Sociologia della comunicazione e
della moda
Modulo di Sociologia dei processi
culturali
Presentazione del corso
Prof. Romana Andò
2 marzo
2016
Perchè studiare
i media?
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Di cosa parleremo?
PAROLE CHIAVE DI UN
PERCORSO
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1. COMUNICAZIONE
• «la comunicazione ha […] a che fare, almeno in
partenza, con la messa in comune di qualche
aspetto personale da parte di individui che sanno di
essere diversi ma che sanno anche di dover
lavorare insieme […]
• La peculiarità della comunicazione è quella di
riassumere il desiderio di relazione che è centrale
nell’istinto di sopravvivenza umano» (Bovone, 2014
pp.8-9)
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2. RAPPRESENTAZIONE
• «Quando un individuo viene a trovarsi alla presenza
di altre persone, queste, in genere, cercano di
avere informazioni sul suo conto o di servirsi di
quanto già sanno di lui» […]
• «Una ‘rappresentazione’ può essere definita come
tutta quella attività svolta da un partecipante in una
determinata occasione e volta in qualche modo ad
influenzare uno qualsiasi degli altri partecipanti»
(Goffman 1959)
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3. IDENTITA’
• “il sé è […] un progetto simbolico che l’individuo
costruisce attivamente sulla base dei materiali
simbolici a sua disposizione, materiali che
l’individuo ordina in un racconto coerente a
proposito di chi egli sia – un racconto della sua
identità” (Thompson, 1995, p.293)
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4. PERFORMATIVITA’
• La performatività è «una serie di pratiche che
segnano i corpi, in accordo ad una griglia di
intelligibilità, in modo tale che il corpo stesso diventi
una fiction familiare» (Mc Robbie 2005).
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5. CULTURA
• La cultura si riferisce a un “particolare stile di vita che
esprime certi significati e valori non solo nell’arte e
nell’alta cultura, ma anche nelle istituzioni e nel
comportamento quotidiano. L’analisi della cultura, in base
a questa definizione, consiste nella chiarificazione dei
significati e dei valori impliciti ed espliciti di uno stile di
vita particolare, di una cultura particolare”. (Williams
1979)
• "Yet a culture is not only a body of intellectual and
imaginative work, it is also and essentially a whole way of
life" (Williams 1958).
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6. MEDIA
• “è mia intenzione sostenere che i media vanno
studiati perché sono centrali per la nostra vita
quotidiana, in quanto dimensioni sociali, culturali,
politiche ed economiche del mondo contemporaneo
e in quanto elementi che contribuiscono alla nostra
capacità variabile di dar senso al mondo, di
costruire e condividere i suoi significati” (R.
Silverstone 2002, pag.19)
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7. AUDIENCE - FAN
• «I fan sono lettori che si appropriano di testi
popolari e che li rileggono in un modo che
asseconda altri interessi, da spettatori che
trasformano l’esperienza di guardare la televisione
in una ricca e complessa cultura partecipativa.
• I fan sono la parte più attiva e innovativa
dell’audience diffusa dei testi popolari, come
partecipanti attivi nella costruzione e nella
circolazione di significati testuali» (Jenkins 1992).
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8. CONSUMO
• «un’attività astuta, dispersa, che però si insinua
ovunque, silenziosa e quasi invisibile, poiché non si
segnala con prodotti propri, ma attraverso i modi di
usare quelli imposti da un ordine economico
dominante» (de Certeau 2001, p. 7)
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9. MODA
• La moda è «un sistema di istituzioni e cioè un
insieme di pratiche sociali che sono ripetute con
regolarità e continuità, sono sanzionate e
mantenute da norme sociali e rivestono
un’importanza fondamentale nella struttura sociale»
• «la moda come insieme di credenze, orientamenti,
atteggiamenti si manifesta attraverso gli abiti».
• «La moda non è l’abbigliamento visibile ma è
l’insieme degli elementi invisibili in esso incorporati»
(Kawamura, 2005)
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Approfondiamo
DEFINIRE LA
COMUNICAZIONE
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1° definizione
• Comportamento di un essere
vivente che ne influenza un altro
oppure qualunque emissione di un
segnale da parte di un organismo
che influenza un altro organismo.
• Contatto significativo che si
accompagna ad una modificazione
osservabile del comportamento
Comunicazione come influenza
Comunicazione come influenza
• Tra i due comunicanti si stabilisce una
relazione articolata per cui l’uno può
modificare l’altro senza modificare se
stesso.
• Nel “trasferimento”, invece, il comunicatore
si assimila all’altro, oppure si priva di
qualcosa.
• È una definizione applicabile indistintamente
alle società umane e a quelle animali.
2° definizione
• Scambio di valori sociali,
condotto secondo determinate regole
Comunicazione come
scambio di valori
Comunicazione come scambio
di valori
• Definizione derivante dall’antropologia
strutturalista, secondo cui la società funziona
secondo criteri generali di funzionamento che
regolano gli scambi tra le persone
• Le società non sono altro che insiemi di individui
messi in comunicazione attraverso vari aspetti
della cultura, che diventano operazioni volte ad
attivare una comunicazione strutturalmente
analoga al linguaggio.
• L’individuo è il casuale punto di incrocio fra
strutture sociali: non comunica, bensì viene
comunicato.
3° definizione
• Trasferimento di informazioni da un
soggetto a un altro per mezzo di veicoli di
varia natura
Comunicazione come
trasmissione
Comunicazione come trasmissione
• Riprende l’essenzialità e la neutralità del
trasferimento di risorse.
• Tuttavia, a seconda del significato attribuito
alla parola “informazione” varia l’estensione
del modello verso interpretazioni meno
imparziali.
• Per quanto “informazione” sia un termine
neutro, in esso è inscritta la superiorità della
fonte, di chi informa su chi viene informato.
Modello comunicativo della teoria
matematica dell’informazione
(Shannon-Weaver 1949)
Fonte di
informazione
destinatario
messaggio
messaggio
segnale
segnale ricevuto
trasmittente
ricevente
Fonte di
rumore
Dalla trasmissione alla relazione
4° definizione
• Condivisione, fra due o più soggetti, di un
medesimo significato
Comunicazione come
Attraverso un condivisione
processo comunicativo è possibile
giungere ad una condivisione di significato, e
dunque ad una comprensione reciproca
Comunicazione come condivisione
• Si passa dalla comunicazione come
procedimento, dove l’agire comunicativo è
motivato dalle strutture e dalle circostanze,
alla tensione verso il risultato, cioè all’agire
comunicativo dotato di senso.
• Nell’interazione sociale i soggetti si
scambiano grandi quantità di messaggi:
meno frequente è la condivisione di un
significato nella stessa misura e con
connotazioni uguali.
5° definizione
• Formazione di un’unità sociale a partire da
individui singoli, mediante l’uso di un
linguaggio o di segni
(Collins Cherry, On Human Communications, 1957)
Comunicazione come
relazione sociale
Il processo comunicativo permette di
creare legami sociali tra persone
attraverso la condivisione di valori
ed il coinvolgimento
Comunicazione come relazione
• Questa definizione aggiunge alla
condivisione di significati, la comunione di
regole e modelli comportamentali.
• Annulla l’isolamento presupposto dai
concetti di fonte e ricevente e li inserisce in
gruppi, rapporti sociali.
• Il soggetto naturale di un sistema
comunicativo è l’uomo nel suo
comportamento volontario e nell’attività
sociale esercitata nei rapporti in comunità.
6° definizione
• Il lavoro comunicativo consiste nell’inferenza a partire da
indizi e nella correlativa costruzione di indizi a partire dai
quali far indurre inferenze.
• Comunicare significa offrire all’altro degli indizi e trarre
inferenze dagli indizi offerti dagli altri.
Comunicazione come inferenza
Comunicazione come inferenza
• Il messaggio non viene interpretato per il suo
senso letterale, per l’informazione linguistica
pura che esso porta con sé, ma per quel che
permette di capire sulla base delle
conoscenze possedute rispetto a sé e all’altro.
• Comunicare significa contribuire a mutare lo
spazio cognitivo dell’altro, il mondo percepito
di un destinatario, inducendolo a cambiare le
sue ipotesi sulla realtà (comunicazione
ostensivo-inferenziale).
Lo schema di Lasswell e quello di
McQuail
Domande
• Chi ?
• Dice che cosa ?
• Attraverso quale
canale ?
• A chi ?
• Con quale effetto ?
Domande
• Chi comunica con
chi?
• Perché si comunica?
• Come avviene la
comunicazione?
• Su quali temi?
• Quali sono le
conseguenze?
LA COMUNICAZIONE NELLA
VITA QUOTIDIANA
Perchè studiare i media?
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La svolta comunicativa
• È rilevante non solo perché ha incrementato gli
studi sulla comunicazione (e sui media),
• ma perché «ha inserito la comunicazione tra i temi
fondamentali da indagare per comprendere le
dinamiche complesse della convivenza sociale»
(Bovone, 2014, 14).
• La realtà, infatti, viene interpretata e definita nello
scambio interattivo: è una costruzione sociale su
cui mettersi d’accordo nelle microinterazioni della
comune vita quotidiana.
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Il soggetto nelle micro-teorie della comunicazione
• «l’individuo di cui parla questa nuova sociologia non è
più il soggetto che trasforma il mondo, capace di
padroneggiarlo razionalmente portandolo al progresso
economico e sociale e cioè alla modernità.
• Sembra, invece, un individuo che rinuncia a definire il
mondo in cui si trova, a codificare dei fini sociali
condivisi, a dire dove debba andare il progresso;
• si sente peraltro perennemente circondato dai suoi
simili, cosciente che non può fare nulla solo perché lo
vuole, cosciente che tutto si determina nell’interazione,
anche il senso da attribuire ad ogni suo intervento e a
se stesso» (Bovone, p.15-16).
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Dalla teoria dell’azione alle micro-teorie della
comunicazione
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Alfred Schutz
• Filosofo e sociologo
(Vienna 1899 - New
York 1959).
• Focus: applicare il metodo
fenomenologico alle scienze
sociali, intese sempre come
studio della realtà quotidiana
dell'individuo, delle sue
assunzioni di senso comune,
del suo mondo di rapporti.
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L’esperienza e la conoscenza nella vita quotidiana
• «Questo settore del mondo fatto di oggetti percepiti
e percepibili di cui io sono al centro sarà chiamato il
mondo a mia portata attuale, il quale dunque,
comprende gli oggetti entro il raggio della mia vista
e la sfera del mio udito» (Schutz 1971, trad. it. 279)
• «Tutta la conoscenza del mondo […] comporta
costrutti, cioè un insieme di astrazioni, di
generalizzazioni, di formalizzazioni, di
idealizzazioni». (Schutz, 1971, trad. it. 5)
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Mondo sociale, predecessori e contemporanei
• Le tipizzazioni derivano da un mondo sociale che
preesiste al soggetto che osserva – «i
predecessori» - e che il soggetto condivide con i
suoi «contemporanei», più o meno vicini a lui.
• Tutto ciò che il soggetto incontra nella sua vita
quotidiana, quindi, può essere interpretato in
funzione delle esperienze del passato, del mondo
sociale, noto, dato per scontato,
• del senso comune.
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Il senso comune
• Il senso comune è “quell’insieme di conoscenze
che la vita quotidiana mette a disposizione di
ognuno: tipizzazioni preinterpretate
intersoggettivamente nelle quali si riproduce la
costruzione sociale della realtà” (Schutz).
• Il senso comune emerge da “tutte quelle pratiche,
rappresentazioni, simbolizzazioni per mezzo delle
quali il soggetto si organizza e contratta
incessantemente il suo rapporto con la società, con
la cultura, con gli eventi”(Jedlowski)
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Il senso comune
• La fitta e complessa trama delle conoscenze
condivise e largamente interiorizzate a livello
sociale costituisce il senso comune.
• Il senso comune può essere considerato come
l’insieme delle certezze tacite e indubitabili che
ciascun componente di un gruppo condivide con i
suoi simili.
• I contenuti e le assunzioni sulle quali si basa sono
ritenute auto-evidenti; le domande che lo mettono in
discussione sono “prive di senso”; le persone che
se ne discostano sono “dissennate”.
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Senso oggettivo e soggettivo
• Se nella sociologia classica l’attribuzione di senso è sempre
soggettiva «perché è il soggetto agente che attribuisce senso e
perciò intenzionalità alla sua azione, ed è l’osservatore, un altro
soggetto, che penetra questa intenzionalità» (Bovone, p.20)
• per Schutz abbiamo da una parte il senso soggettivo del vissuto –
spesso impenetrabile anche per il soggetto stesso – e il senso
oggettivo «ricostruibile a posteriori in modo riflessivo, ma
soprattutto incasellato in altre azioni simili tramite le categorie
idealtipiche intersoggettive» (Bovone, p.21)
• Quest’ultimo è il senso comune che noi ereditiamo dai nostri
predecessori già organizzato e che è «fin dall’inizio un mondo
intersoggettivo di cultura» (Schutz 1971, trad.it. 10)
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Che cosa è la realtà?
• Quella che noi chiamiamo realtà è quindi una realtà
interpretata, incasellata e riprodotta entro i
significati che siamo in grado di attribuirle per
leggerla e per renderla accessibile, cioè le
«province finite di significato».
• «il veicolo più importante della preservazione della
realtà è la conversazione» (Berger e Luckmann
1966, p.9)
Perchè studiare i media?
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Azione e riflessività
• Nella visione di Schutz le azioni dei soggetti non
sono «razionali rispetto allo scopo», cioè il soggetto
decide i mezzi funzionali per un fine.
• Al contrario, secondo Schutz il soggetto utilizza le
tipizzazioni per razionalizzare la propria azione.
• «è pensando al passato che possiamo renderci
conto se i mezzi sono stati appropriati per il fine»
(Bovone p. 22).
• È la riflessività, cioè, che consente di dare un senso
razionale alle azioni del soggetto.
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L’interazione con l’altro
• Solo a partire da «eventi […] che si verificano nel
corpo dell’altro o sono da esso provocati e
soprattutto attraverso espressioni linguistiche […]
posso comprendere l’Altro» (Schutz, 1971, trad. it.
287).
• È solo attraverso la materialità dell’altro (i suoi
gesti, le sue parole) che è possibile accedere alla
sua individualità.
• La sua individualità, la sua mente viene
«appresentata», cioè richiamata da quello che di lui
si vede.
Perchè studiare i media?
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Senso comune e media
• I media mettono in scena il senso comune, lo costruiscono e
lo riproducono, in quanto “potenti costruttori di
rappresentazioni socio-narrative convenzionalizzate e
stereotipiche”.
• “Nel diventare parte del senso comune, le storie, i personaggi
e le rappresentazioni socio-narrative mediali si offrono come
risorse interpretative e riferimenti simbolici con i quali non si
può evitare di confrontarsi, anche solo per rifiutarli. (Di Fraia,
2004)
Perchè studiare i media?
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I luoghi comuni
• “I luoghi comuni sono i simboli condivisi di una
comunità: condivisi ma non necessariamente
indiscussi, e d’altro canto discussi, ma certamente
riconoscibili”
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I luoghi comuni
• Al centro della persuasione ci sono i luoghi comuni,
i topoi: “essi sono idee e valori, strutture di
significato, condivise e condivisibili da parte di chi
ascolta e chi parla.
• I luoghi comuni sono il punto in cui la retorica si
incontra con il senso comune e lo sfrutta […]
costruendo un quadro di conoscenza e di
riconoscimento senza il quale i tentativi di
persuadere risultano vani” (Silverstone, 2002:66)
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La retorica e i media
• La retorica è una dimensione dei media: tutto quello
che arriva ai nostri occhi, alle nostre orecchie, alla
nostra immaginazione è costruito retoricamente.
• Proprio perché la comunicazione mediale è
retorica, la retorica può essere utilizzata come
metodo di analisi dei media stessi.
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Una mano aperta
• La retorica è una mano aperta, non un pugno chiuso come la
logica.
• La retorica è una mano aperta perché prevede e richiede uno
spazio di dibattito, una forma argomentativa.
• Tra gli esseri umani ci saranno sempre divergenze di opinioni:
la retorica, da sola, non basta ad assicurare il successo.
• “La mano aperta non determina, invita” (Silverstone, 2002: 63)
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La retorica come metodo
• I media offrono continuamente una mano aperta, vanno
costantemente alla ricerca di pubblici e di attenzione, ci
coinvolgono, ci interpellano.
• “Dobbiamo occuparci dei modi in cui questo avviene
[…]. Dobbiamo occuparci della relazione fra strategie
testuali e risposte del pubblico, della retoricizzazione
della cultura pubblica”. (Silverstone 2002:63)
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La fiducia
• Di fronte ad una rappresentazione dei media come facciamo a
sapere che ciò che osserviamo sta accadendo o è accaduto
veramente?
• In cosa differiscono le rappresentazioni dell’uomo sulla luna,
della guerra del Golfo,dell’invasione dei marziani di Orson
Welles?
• “La risposta si trova nella fiducia che riponiamo nelle istituzioni
responsabili di riportarci la storia, una fiducia nei sistemi
tecnici e astratti che è una componente importantissima della
modernità” (Silverstone,2002: 65)
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La fiducia
• “La risposta si trova nelle convenzioni della rappresentazione, nelle
forme di espressione, nel fragile ma efficace equilibrio fra il
familiare e il nuovo, nella sicurezza e nella rassicurazione della
narrazione e della voce; si trova nel linguaggio, nella retorica del
testo e nel supporto di altri testi che lo precedono e lo seguono,
quelli che rienfatizzano e riasseriscono continuamente la realtà
affermata.
• […] e l’immagine che non è degna di fiducia è ridotta al silenzio
dalla retorica di una voce insistente” (Silverstone,2002: 65-66)
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Vivere o conoscere attraverso il senso comune?
• «Solo un gruppo molto ristretto di persone è impegnato
a teorizzare nel campo delle ‘idee’ e della costruzione
delle Weltanschauungen [visione del mondo] in
qualunque società, ma tutti partecipano della sua
‘conoscenza’ in un modo o in un altro.
• In altri termini solo pochi sono interessati
all’interpretazione teoretica del mondo, ma tutti vivono
in un certo tipo di mondo […].
• È proprio questa ‘conoscenza’ del senso comune che
costituisce il tessuto dei significati senza il quale
nessuna società potrebbe esistere» (Berger e
Luckmann 1966, it. 32)
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Harold Garfinkel
• Sociologo (Newark 1917
– Los Angeles 2011)
• Focus: l’etnometodologia
cioè l'insieme dei
''metodi'' impiegati dagli
uomini (etno) per creare
e sostenere, nei confronti
del mondo sociale, la
quotidianità e la naturalità
del vissuto sociale; per
ragionare praticamente
sulla vita quotidiana.
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L’etnometodologia
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Realtà, costruzione e spiegazione
• Garfinkel va oltre l’idea di Schutz e di Berger e
Luckmann di «costruzione sociale della realtà» perché
essa separa «il processo di costruzione dal suo risultato,
cioè indagare come la società riesca a trovarsi d’accordo
nel definire realtà un certo tipo di oggetti» (Bovone, p.23)
• Secondo Garfinkel è impossibile separare la realtà dai
metodi (etno-metodi) usati dagli stessi soggetti che la
costruiscono per spiegarla.
• "ogni situazione sociale deve essere studiata come
autoorganizzantesi rispetto al carattere intellegibile delle
sue proprie manifestazioni considerate sia come
rappresentazioni che come prove-di-un-ordine-sociale"
(Garfinkel 1967: 86).
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La riflessività
• Garfinkel intende per riflessività un processo
discorsivo, «una attività di produzione di senso, per lo
più implicita e data per scontata, attraverso la quale i
membri dell’interazione reciprocamente si accordano e
si confermano che quello che hanno fatto o stanno
facendo o stanno per fare è sensato» (Bovone, p. 24).
• La riflessività è quindi una competenza, una
caratteristica dell’interazione umana.
• È il modo che automaticamente impieghiamo per farci
comprendere dagli altri, costruendo con gli altri un
discorso dotato di senso per tutti (anche se non tutti
sono d’accordo su esso).
La Fiducia. Una risorsa per coordinare l’interazione
Di Harold Garfinkel
11/04/2016
Pagina 53
Accountability
La Fiducia. Una risorsa per coordinare l’interazione
Di Harold Garfinkel
11/04/2016
Pagina 54
Account
• «Ogni discorso è un «account», un racconto o una
spiegazione che razionalizza ciò che è successo in
passato e nello stesso tempo si presenta come
attualmente ragionevole, diventando
«accountable», cioè spiegabile in un altro futuro
account» (Bovone, 24)
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Pagina 55
La morale e il senso comune
• «i membri di una data società incontrano e conoscono
l’ordine morale come un normale corso dell’azione»
scene familiari non solo date per scontate, ma che
«sono così perché è moralmente giusto o sbagliato che
siano così» (Garfinkel 1967:35)
La Fiducia. Una risorsa per coordinare l’interazione
Di Harold Garfinkel
11/04/2016
Pagina 56
La fiducia nell’interazione con l’altro
La Fiducia. Una risorsa per coordinare l’interazione
Di Harold Garfinkel
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Far saltare le regole …
• «Harold Garfinkel [1967] per far capire in che cosa consiste il
senso comune e come funziona la fiducia, invitava i suoi
studenti a «far saltare le regole» date per scontate,
mostrandone così, empiricamente, la rilevanza e nello stesso
tempo la fragilità» (Sciolla, 2002, 177).
Perchè studiare i media?
11/04/2016
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Agnese, fiducia e rappresentazione
•
Perchè studiare i media?
Agnes’ appearance was convincingly female. She
was tall, slim, with a very female shape. Her
measurements were 38-25-38. She had long, fine
dark-blonde hair, a young face with pretty
features, a peaches-and-cream complexion, no
facial hair, subtly plucked eyebrows, and no
makeup except for lipstick. At the time of her first
appearance she was dressed in a tight sweater
which marked off her thin shoulders, ample
breasts, and narrow waist. Her feet and hands,
though somewhat larger than usual for a woman,
were in no way remarkable in this respect. Her
usual manner of dress did not distinguish her
from a typical girl of her age and class. There was
nothing garish or exhibitionistic in her attire, nor
was there any hint of poor taste or that she was ill
at ease in her clothing, as is seen so frequently in
transvestites and in women with disturbances in
sexual identification. Her voice, pitched at an alto
level, was soft, and her delivery had the
occasional lisp similar to that affected by feminine
appearing male homosexuals. her manner was
appropriately feminine with a slight awkwardness
that is typical of middle adolescence.
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Pagina 59
La promessa e la fiducia
• «quando l’individuo si trova alla presenza diretta di
altri, la sua attività ha il carattere di una promessa.
• Gli osservatori si accorgeranno di dover accettare
l’individuo sulla fiducia, facendogli credito, mentre è
in loro presenza, per qualcosa il cui vero valore
sarà accertabile soltanto dopo che egli se ne sarà
andato». (Goffman, 1959 : tr. it. 1969 p. 13)
Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione
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Erving Goffman
• Sociologo canadese (1922 1982).
• Il suo modello di sociologia
si basa sull’idea di
''interazione rituale'‘:
avvalendosi della metafora
teatrale individua e analizza
i processi di costruzione del
mondo e del ruolo in esso
svolto dall'individuo.
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Pagina 61
La rappresentazione
• «sto adoperando la parola ‘rappresentazione’ per
indicare tutta quella attività di un individuo che si
svolge durante un periodo caratterizzato dalla sua
continua presenza dinanzi a un particolare gruppo
di osservatori e tale da avere una certa influenza su
di essi»(Goffman, 1959 : tr. it. 1969 p.33)
Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione
11/04/2016
Pagina 62
La vita quotidiana come rappresentazione
• «la prospettiva che viene usata in questo lavoro è
quella della rappresentazione teatrale: i principi che
ne derivano sono di tipo drammaturgico.
• Prenderò in esame il modo in cui un individuo, in
normali situazioni di lavoro, presenta se stesso e le
sue azioni agli altri, il modo in cui guida e controlla
le impressioni che costoro si fanno di lui, e il genere
di cose che può o non può fare mentre svolge la
sua rappresentazione in loro presenza» (Goffman
1959 : tr. it. 1969 p. 9)
Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione
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Pagina 63
Scena e retroscena
• Erving Goffman “descrive la vita sociale come una
sorta di recita teatrale su molti palcoscenici, in cui
ognuno di noi interpreta ruoli diversi in differenti
arene sociali a seconda del tipo di situazione, del
nostro ruolo particolare in essa e della
composizione del pubblico” (J. Meyrowitz, Oltre il
senso del luogo).
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Persona e ruoli
Park, 1950, p. 250
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Pagina 65
Scena e retroscena
• Goffman distingue tra comportamenti comunicativi di scena e
di retroscena.
• In una situazione comunicativa esplicita, cioè, il soggetto
tende a presentare agli interlocutori una specifica immagine di
sé e del suo ruolo.
• Questo comportamento comunicativo viene abbandonato
quando “il pubblico” non vede ciò che avviene sulla scena:
quando cioè il soggetto si trova in una posizione di retroscena.
• “La rappresentazione individuale sulla scena dipende
dall’esistenza di un retroscena isolato dal pubblico”.
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La vita sociale come gestione delle impressioni
• Durante l’interazione «l’individuo dovrà agire in modo da
esprimersi più o meno intenzionalmente, e i presenti, a loro
volta, dovranno riportare un’impressione sul suo conto»
(Goffman, 1959 : tr. it. 1969 p. 12)
• “il nostro è un mondo di apparenza visibile: viviamo in una
cultura della presentazione, in cui l’apparenza è realtà.
• Gli individui e i gruppi presentano al mondo i loro volti in
ambienti in cui gestiscono le proprie rappresentazioni con più
o meno sicurezza” (Silverstone 2002: 115)
Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione
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Rappresentazione e moralità
• «la società è organizzata sul principio che qualsiasi
individuo che possieda certe caratteristiche sociali
ha il diritto morale di pretendere che gli altri lo
valutino e lo trattino in modo appropriato».
(Goffman 1959 : tr. it. 1969, p.23)
Perchè studiare i media?
11/04/2016
Pagina 68
L’asimmetria del processo di comunicazione
• «Gli osservatori, sapendo che l’individuo tende a presentarsi sotto una
luce favorevole, possono dividere la scena a cui assistono in due parti:
l’una, che l’individuo può facilmente controllare a piacere e che riguarda
in massima parte le sue affermazioni verbali;
• l’altra che sembra sfuggire al controllo o non rivestire alcun interesse
per l’individuo e che consiste in massima parte nelle espressioni che
«lascia trasparire».
• Gli altri possono allora servirsi di quelli che vengono considerati gli
aspetti non controllabili del suo comportamento espressivo come mezzo
per verificare la verità di quanto è trasmesso dagli aspetti controllabili.
• Con ciò viene dimostrata la fondamentale asimmetria del processo di
comunicazione, poiché, presumibilmente, l’individuo è consapevole di
un solo livello della sua comunicazione, mentre gli osservatori sono
consapevoli di questo livello e di un altro» (Goffman, 1959 : tr. it. 1969
p. 17)
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Approfondiamo
LA COMUNICAZIONE NEL
CONTESTO: LA PRAGMATICA
Perchè studiare i media?
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La pragmatica
• La PRAGMATICA: si occupa del rapporto tra
comunicazione, interlocutori e ambiente in cui
avviene. Il suo oggetto sono le azioni che si
svolgono per mezzo del linguaggio e della
comunicazione.
• Oggetto della pragmatica sono cioè “ non
soltanto le parole, le loro configurazioni e i loro
significati (che sono i dati della sintassi e della
semantica), ma anche i fatti non verbali
concomitanti come pure il linguaggio del corpo”
(P. Watzlawick, J.H. Beavin, D. Jackson, Pragmatica della
comunicazione umana).
ASSIOMI DELLA COMUNICAZIONE
(WATZLAWICK)
• Si tratta di alcune proprietà semplici della
comunicazione che hanno fondamentali
implicazioni interpersonali
• 1. “Non si può non comunicare”
– Chiunque si trovi in una situazione sociale è
comunque la sorgente di un flusso informativo,
indipendentemente dalla propria intenzionalità,
dall’efficacia dell’atto comunicativo o dalla
comprensione reciproca.
Non si può non comunicare
• Il comportamento non ha un suo opposto.
Non esiste qualcosa che sia un non
comportamento o, per dirla anche più
semplicemente, non è possibile non avere
un comportamento. Ora se si accetta che
l’intero comportamento in una situazione di
interazione ha valore di messaggio, vale a
dire è comunicazione, ne consegue che
comunque ci si sforzi non si può non
comunicare. (Watzlawick 1967)
Non si può non comunicare
"L’uomo che guarda fisso davanti a sé
mentre fa colazione in una tavola calda
affollata , o il passeggero d’aereo che
siede con gli occhi chiusi, stanno
entrambi comunicando che non vogliono
parlare con nessuno né vogliono si
rivolga loro la parola, e i vicini di solito
afferrano il messaggio e rispondono
lasciandoli in pace”
E. Degas, L’absinthe, 1876
P. Watzlawick, J.H. Beavin, D.D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Studio dei
modelli interattivi delle patologie e dei paradossi, Roma, Astrolabio, 1971
Contenuto e relazione
• 2. “Ogni comunicazione ha un aspetto di
contenuto e un aspetto di relazione, di
modo che il secondo classifica il primo ed è
quindi metacomunicazione”. (Watzlawick
1967)
– L’aspetto di “notizia” di un messaggio trasmette
informazione (contenuto).
– L’aspetto di “comando” si riferisce al tipo di
messaggio che deve essere assunto e quindi
alla relazione tra i partecipanti.
Contenuto e relazione
In sostanza ogni tipo di comunicazione fra due o più individui può
avere livelli diversi di:
a. notizia
b. comando
Il primo aspetto(a) trasmette i dati , il secondo(b) il modo in
cui si deve assumere tale comunicazione
Un cartello in un ristorante …
“se non siete contenti dei
camerieri dovreste vedere il
direttore.”
Il modulo numerico e il modulo analogico
• 3. “Gli esseri umani comunicano sia col
modulo numerico che con quello
analogico” (Watzlawick 1967)
– Il linguaggio pone una connessione “numerica”
nel riferimento agli oggetti e attiene normalmente
all’aspetto di contenuto della comunicazione.
– Tutte le modalità non verbali attengono alla
dimensione “analogica” e riguardano
normalmente l’aspetto di relazione della
comunicazione.
La comunicazione analogica
• La comunicazione analogica non ha nulla di
confrontabile alla sintassi logica del linguaggio
numerico.
• Nel linguaggio analogico non c’è nulla che
equivalga agli elementi del discorso come “seallora” “o-o”; è difficile esprimere concetti astratti, e
manca una espressione che sostituisca il “non”.
La comunicazione simmetrica e
complementare
4. “Tutti gli scambi di comunicazione sono
simmetrici o complementari, a seconda che
siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza”
Nella relazione simmetrica i soggetti tendono a
rispecchiare il comportamento dell’altro
(uguaglianza o minimizzazione delle differenze);
Nella relazione complementare il comportamento
dell’uno completa quello dell’altro (ad una
posizione one-up corrisponde una posizione
one-down)
Scambi simmetrici e complementari
Uno scambio simmetrico
avviene fra interlocutori che si
considerano sullo stesso piano,
svolgendo funzioni comunicative
e ruoli sociali analoghi
Uno scambio complementare fa
incontrare persone che hanno
una relazione ma non sono sullo
stesso piano per potere, ruolo
comunicativo, autorità sociale,
interessi (per es. il rapporto
madre-figlio, medico-paziente,
insegnante-allievo).
La punteggiatura della
comunicazione
5.“La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura
delle sequenze di comunicazione fra i partecipanti”
La comunicazione è sempre bidirezionale,
caratterizzata da numerosi scambi che a turno
avvengono in un senso o nell’altro.
Ogni elemento della sequenza è
simultaneamente stimolo, risposta e rinforzo
La punteggiatura della
comunicazione
•
•
•
•
Un osservatore esterno può ritenere che una serie di
comunicazioni rappresenti una serie ininterrotta di scambi.
Le sequenze d’azione non sono mai isolate, ma vanno
considerate in serie.
La punteggiatura della relazione consente di individuare il
rapporto di causa ed effetto di uno scambio comunicativo:
in altre parole la responsabilità del rapporto
La comunicazione non verbale
• Del registro non verbale fanno parte tutti quegli
elementi comunicativi diversi dal linguaggio
articolato, che usiamo per chiarire rapporti
reciproci, per sottolineare discorsi, per creare
intimità, per raggiungere l’interlocutore sul
piano emotivo:
• I gesti, le espressioni, le posture, i movimenti e
le azioni, gli atteggiamenti,le distanze,
l’intonazione della voce, gli odori,
l’abbigliamento, etc.
I media e lo spazio intermedio
• La fusione degli spazi di scena e di retroscena,
prodotta dai nuovi ambienti sociali costruiti dai media
elettronici, porta alla definizione di un nuovo “spazio
intermedio” o “da palcoscenico laterale”.
• I pubblici, cioè, vedono parti sia della scena che del
retroscena e gli attori devono riadattare i propri ruoli,
rendendoli coerenti con le nuove informazioni a
disposizione del pubblico.
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Oltre il senso del luogo
• “l’evoluzione dei media secondo me ha cambiato la logica
dell’ordine sociale, ristrutturando il rapporto tra luogo fisico e
luogo sociale e modificando i modi in cui trasmettiamo e
riceviamo le informazioni sociali”
• Questo mutamento va messo in correlazione con “il potere
unico della televisione di abbattere le distinzioni tra qui è là,
diretto e mediato, personale e pubblico. Più di ogni altro
medium elettronico, essa ci coinvolge in temi che una volta
non credevamo fossero “affari nostri”, ci lancia a pochi
centimetri dai volti di assassini e presidenti, rende barriere e
passaggi fisici relativamente privi di significato in qualità di
modelli di accesso all’informazione sociale”. (Meyrowitz 1985)
Perchè studiare i media?
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Attraversare i confini
• “Anche se conosciamo i confini tra spazi pubblici e
privati, e quelli fra realtà mediate e realtà esperite,
sappiamo che i confini separano e allo stesso tempo
connettono:
• Sono barriere, ma anche ponti”
• “il mondo viene quotidianamente rappresentato dai
media e noi spettatori recitiamo al loro fianco come
attori e partecipanti, imitando, appropriandoci e
riflettendo sulle sue verità e falsità”. (Silverstone
2002:118)
• Il confine tra attore e spettatore viene attraversato
continuamente con sempre maggiore facilità.
Perchè studiare i media?
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Il successo della rappresentazione
• Il successo di una rappresentazione, nella vita
quotidiana, o sul palcoscenico, o sullo schermo,
dipende dai giudizi del pubblico e dalla sua
accettazione di quella rappresentazione.
• La modernità ha portato con sé “il nascere di una
vita privata resa maggiormente pubblica”; i
comportamenti di rappresentazione “consentono
all’attore non solo di presentarsi all’altro, ma di
presentarsi a se stesso, con un atto essenzialmente
riflessivo” (Silverstone 2002:116)
Perchè studiare i media?
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Rappresentazione e identità
• «L’individuo ritiene, di solito, di esercitare un
controllo sul modo in cui appare agli occhi degli
altri. Per questo ha bisogno di cosmetici, vestiti, e di
strumenti per adattarli, aggiustarli e renderli più
belli; di un luogo accessibile, sicuro, dove poter
conservare queste scorte e gli strumenti di lavoro –
in breve, l’uomo ha bisogno di un corredo per la
propria identità per mezzo del quale poter
manipolare la propria facciata personale».
(Goffman, 1961, tr.it. 49-50)
Perchè studiare i media?
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Attore, personaggio, apparenza (e moda)
• L’attore è «un affaticato fabbricante di impressioni,
immerso nel fin troppo umano compito di mettere in
scena una rappresentazione»
• il personaggio è «una figura per definizione dotata di
carattere positivo, il cui spirito, forza e altre qualità
eccezionali debbono essere evocati dalla
rappresentazione» (Goffman, 1959, tr. it. p. 288).
• Per Goffman, la scelta di moda è collegata all’identità
multipla, cioè al modo in cui un attore gestisce i
molteplici personaggi e fa emergere i differenti ruoli.
• È il modo per negoziare con gli stereotipi sociali.
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Accedere all’identità
• All’identità dell’altro (e anche alla propria) è
possibile accedere solo attraverso l’apparenza, la
rappresentazione.
• La corporeità, quindi, è - per chi osserva l’unica finestra che si apre sulla immaterialità
dell’identità.
• Il sé che osserviamo «non ha origine nella persona
del soggetto, bensì nel complesso della scena della
sua azione […] ciò che viene attribuito – il sé – è il
prodotto di una scena che viene rappresentata e
non una sua causa […] è piuttosto un effetto
drammaturgico» (Goffman, 1959, tr. it. p. 289)
Perchè studiare i media?
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Identità personale e identità sociale
• L’identità personale diventa sociale quando si comunica,
attraverso l’esteriorità e l’apparenza.
• L’identità narrata del soggetto è continuamente costruita
attraverso discorsi e comportamenti, corpo, pratiche e
parole,
• ed è ricostruita da chi osserva le pratiche corporee situate
e ascolta le narrazioni in un contesto di interazione.
• L’identità sociale è costruita e interpretata sulla base
di regole morali e rituali di interazione (eseguiti in
conformità con le regole dell’etichetta sociale che
stabiliscono le coordinate per un corretto
comportamento cerimoniale - gesti, espressioni,
abbigliamento etc.)
Perchè studiare i media?
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L’identità nelle rappresentazioni
• «le identità hanno a che fare con il problema di usare le
risorse della storia, del linguaggio e della cultura in un
processo che è in divenire, e non in essere: il problema è
non tanto ‘chi siamo’ o ‘da dove veniamo’, quanto che
cosa potremmo diventare, come siamo stati rappresentati
e come tutto ciò riguardi il modo in cui potremmo
rappresentarci.
• Perciò le identità si strutturano all’interno, e non
all’esterno, della rappresentazione. […]
• Esse scaturiscono dalla narrativizzazione del Sé»
(Hall,2006 p. 316)
Perchè studiare i media?
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Rappresentazione sociale
• “Una rappresentazione sociale è “una forma di conoscenza,
socialmente elaborata e condivisa, avente un fine pratico e
concorrente alla costruzione di una realtà comune a un
insieme sociale” (Jodelet 1992)
• Le rappresentazioni sociali sono costrutti “con i quali la realtà
sociale è non solamente riprodotta, ma anche
costruita”.(ibidem)
• Le rappresentazioni sociali sono strutture socio-cognitive che
consentono agli individui e ai gruppi da cui sono state
elaborate di far corrispondere un concetto a un’immagine e
viceversa.
Perchè studiare i media?
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I ruoli delle rappresentazioni
• Le rappresentazioni “convenzionalizzano gli oggetti, le
persone, gli eventi che incontriamo nel nostro percorso,
fornendo loro una forma precisa, assegnandoli ad una data
categoria e definendoli in maniera graduale quale modello di
certo tipo, distinto e condiviso da un gruppo di persone. Tutti i
nuovi elementi aderiscono a questo modello e si integrano con
esso”.
• “le rappresentazioni sono prescrittive, cioè si impongono a noi
con forza irresistibile, forza che è la combinazione di una
struttura che è presente addirittura prima che noi cominciamo
a pensare e di una tradizione che stabilisce cosa dobbiamo
pensare” (Moscovici, 2005, pp.12-15).
Perchè studiare i media?
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Le rappresentazioni
• “Mentre queste rappresentazioni, condivise da
molti, entrano nella mente di ciascuno di noi e la
influenzano, non sono pensate da noi ma piuttosto,
per essere più precisi, sono ri-pensate, ri-citate e ripresentate” (Moscovici, 2005, pp.12-15).
Perchè studiare i media?
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Le identità
• «Mi avvalgo del termine ‘identità’ per fare riferimento al
punto d’incontro, al punto di sutura, tra – da una parte –
i discorsi e le pratiche che cercano di ‘interpellarci’, di
parlarci o di sistemarci come soggetti sociali di
determinati discorsi, e – dall’altra – i processi che
producono soggettività, che ci costituiscono come
soggetti che possono essere ‘parlati’.
• Le identità sono perciò punti di temporaneo
attaccamento alle posizioni soggettive che le pratiche
discorsive costruiscono per noi (Hall p. 318)
Perchè studiare i media?
11/04/2016
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Identificazione (o non identificazione)
• Per comprendere come l’identità viene costruita è
necessario capire «quali siano i meccanismi mediante i
quali gli individui in quanto soggetti s’identificano (o non
s’identificano) con le ‘posizioni’ a cui vengono chiamati,
in che modo essi modellino, stilizzino, producano e
‘realizzino performativamente’ queste posizioni e
perché non lo facciano mai completamente, una volta
per tutte, anzi alcuni non lo facciano affatto o siano
perennemente in conflitto, lotta, resistenza,
negoziazione e aggiustamento con le regole normative
o regolative con le quali affrontano e regolamentano se
stessi (Hall, p.328)
Perchè studiare i media?
11/04/2016
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La performatività
• Per performatività si intendono, nelle parole di Judith
Butler, quegli atti e gesti, generalmente costruiti, che
regolano i principi di organizzazione dell’identità,
• nel senso che “l’essenza o identità che essi dichiarano
di esprimere sono fabbricazioni prodotte e mantenute
attraverso segni corporei e altri mezzi discorsivi”
• “la performatività non è un atto singolare, bensì una
ripetizione e un rituale che sortisce i suoi effetti
mediante la naturalizzazione nel contesto di un corpo”
(Butler, 2004)
Perchè studiare i media?
11/04/2016
Pagina 99
La performatività
• La performatività è «una serie di pratiche che
segnano i corpi, in accordo ad una griglia di
intelligibilità, in modo tale che il corpo stesso diventi
una fiction familiare» (McRobbie 2005)
• sono quindi le pratiche che segnano il sé in accordo
ad una griglia di intelligibilità sociale, in modo tale
che il sé diventi una fiction (rappresentazione)
familiare (cioè condivisa e condivisibile all’interno
dei legami sociali).
Perchè studiare i media?
11/04/2016
Pagina 100
Identità e carriere biografiche tipiche
• «il problema dell’identità è un problema di
indeterminatezza, nasce quando l’identità è vista
come qualcosa da raggiungere, non un dato ma un
compito» (Bovone, p. 43)
• Questo significa da una parte «possibilità» dall’altra
«indeterminatezza».
• Nel secondo Novecento, l’identità nonostante la
«pluralizzazione dei mondi di vita» possiede ancora
un «repertorio di carriere biografiche tipiche» cui
l’individuo può differire la propria gratificazione.
Perchè studiare i media?
11/04/2016
Pagina 101
Identità, stabilità, abito
Perchè studiare i media?
11/04/2016
Pagina 102
Il lavoro e l’identità, tra eteroriconoscimento a
autoriconoscimento
• Nella società industriale il lavoro conferisce al soggetto un
posto nella stratificazione sociale e ne determina lo status.
• «ogni individuo diventa socialmente riconoscibile solo se
inserito nel sistema economico, in quanto lavoratore, con un
conseguente elevato grado di identificazione con il proprio
ruolo professionale».
• «nella società attuale l’individuo sembra assegnare al lavoro
o un ruolo puramente strumentale al procacciamento di un
reddito o una valenza di autorealizzazione, che esprime
appunto la prevalenza di un’esigenza di autoriconoscimento
su quella del riconoscimento sociale» (pp. 75-76).
P. Parmiggiani1997, Consumo e identità nella società contemporanea
11/04/2016
Pagina 103
La crisi dell’identità
• Dalla cosiddetta «homeless mind» (Berger e Keller
1973) si passa ad una identità instabile per cui
l’individuo sperimenta quella perenne ricerca di sé –
tipica del periodo adolescenziale – fino a tutta l’età
adulta.
• «Nelle società complesse […] le identità sociali di una
persona sono non solo numerose, ma spesso
contraddittorie, e non c’è una chiara gerarchia di
appartenenze che renda un’identità dominante sulle
altre. Qui il problema delle biografie personali diventa
sempre più quello delle identità, dell’assenza di segni
da parte della cultura della società nel suo complesso
che aiutino nella scelta» (Kopytoff. 1986 tr. it. 109)
Bovone, 2014, Rappresentarsi nel mondo
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Pagina 104
L’individuo tra moderno e postmoderno
P. Parmiggiani1997, Consumo e identità nella società contemporanea
11/04/2016
Pagina 105
Definire l’identità attraverso il consumo
• Immaginare l’individuo postmoderno come un turista senza
pace o a un giocatore d’azzardo significa sottolineare la
provvisorietà delle scelte del soggetto tra crisi delle istituzioni
e opportunità crescenti di consumo.
• «l’uomo contemporaneo mantiene la propria identità,
sintonizzandosi con la gamma delle mutevoli differenze che lo
avvolgono da ogni parte, è questa capacità di ‘sintonizzazione’
che manifesta la forza del nucleo centrale dell’identità»
• Tra le aree del vivere possiamo identificare «nel consumo,
non la misura dell’identità come in qualche modo accadeva
per il lavoro, ma uno dei linguaggi più adatti ad esprimere
l’identità dell’individuo postmoderno» (p. 13. prefazione Di
Nallo)
P. Parmiggiani1997, Consumo e identità nella società contemporanea
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Pagina 106
PERCHÉ STUDIARE I MEDIA
Perchè studiare i media?
11/04/2016
Pagina 107
Perché studiare i media?
• “ è mia intenzione sostenere che i media vanno
studiati perché sono centrali per la nostra vita
quotidiana, in quanto dimensioni sociali, culturali,
politiche ed economiche del mondo contemporaneo
e in quanto elementi che contribuiscono alla nostra
capacità variabile di dar senso al mondo, di
costruire e condividere i suoi significati” (R.
Silverstone 2002, pag.19)
Perchè studiare i media?
11/04/2016
Pagina 108
I media: parte del tessuto generale dell’esperienza
• “i nostri media sono ubiqui, costituiscono la quotidianità, […]
sono una dimensione essenziale dell’esperienza
contemporanea.
• […] siamo diventati dipendenti dai mezzi di comunicazione,
sia quelli a stampa sia quelli elettronici, per svago e per
informazione, per conforto e per sicurezza, per un certo senso
della continuità dell’esperienza e di quando in quando anche
per i momenti più intensi dell’esperienza” (Silverstone, 2002,
pag. 18)
Perchè studiare i media?
11/04/2016
Pagina 109
I media partecipano alla vita sociale e culturale
• “Si tratta dunque di esaminare i media come
processo, come agenti e come oggetti dati, a tutti i
livelli, ovunque gli esseri umani si aggreghino in
uno spazio reale o virtuale, comunichino, tentino di
persuadere, informare, divertire, educare; ovunque
tentino, in una molteplicità di modi e con diversi
gradi di successo, di connettersi l’uno all’altro”
(Silverstone 2002, pag. 21)
Perchè studiare i media?
11/04/2016
Pagina 110
Lo studio dei media: partire dall’esperienza e dalla
sua normalità
• Il punto di partenza per uno studio sui media è l’esperienza e
la sua normalità.
• “i media sono in primo luogo normali, sono una presenza
costante nella nostra vita quotidiana”
• L’azione dei media si svolge nel mondo ordinario: essi sono
“parte di una realtà alla quale partecipiamo, che condividiamo
e che manteniamo, giorno per giorno, attraverso i nostri
discorsi e le nostre interazioni quotidiane” (Silverstone 2002,
pag. 24-25)
Perchè studiare i media?
11/04/2016
Pagina 111
Noi e i media
• Possiamo “pensare a noi stessi nella nostra
quotidianità e nella nostra vita con i media, come a
nomadi, girovaghi che si muovono da luogo a
luogo, da un ambiente mediale a un altro”
• “Ci muoviamo fra spazi privati e pubblici, fra spazi
locali e globali, da spazi sacri a spazi profani e da
spazi reali a spazi di finzione e virtuali e viceversa”
• “I media costituiscono il quotidiano e allo stesso
tempo forniscono alternative ad esso” (Silverstone
2002, pag. 27)
Perchè studiare i media?
11/04/2016
Pagina 112
I nostri media, le nostre storie, le nostre relazioni
• “le nostre storie, le nostre conversazioni sono
presenti sia nelle narrazioni formalizzate dei media,
nei resoconti fattuali e nelle rappresentazioni di
finzione sia nelle storie quotidiane: pettegolezzi,
dicerie e interazioni causali in cui troviamo dei modi
per fissarci nello spazio e nel tempo, e soprattutto
per fissarci nelle nostre relazioni reciproche,
connettendoci e separandoci, condividendo e
rifiutando, individualmente e collettivamente, in
amicizia e in ostilità, in pace e in guerra”
(Silverstone 2002, pag. 32)
Perchè studiare i media?
11/04/2016
Pagina 113
Media e senso comune
• Il senso comune va inteso come “espressione e allo
stesso tempo precondizione dell’esperienza, come
condiviso o per lo meno condivisibile, come misura
delle cose spesso invisibile.
• I media dipendono dal senso comune, lo
riproducono, vi fanno riferimento così come lo
sfruttano e lo fraintendono” (Silverstone 2002, pag.
25)
Perchè studiare i media?
11/04/2016
Pagina 114
Media come filatoi del mondo moderno
• Se “l’uomo è sospeso su una rete di significati che
lui stesso ha tessuto” (Geertz)
• allora i media sono i i filatoi del mondo moderno, e
utilizzandoli, gli esseri umani tessono reti di
significato per loro stessi (Thompson1998, 22).
Perchè studiare i media?
11/04/2016
Pagina 115
Media, risorse simboliche e vita sociale
• Lo sviluppo dei media va letto come una
rielaborazione del carattere simbolico della vita
sociale, una riorganizzazione dei modi in cui le
informazioni e i contenuti simbolici sono prodotti e
scambiati nel mondo sociale, e una ristrutturazione
dei modi in cui gli individui si rapportano l’uno
all’altro e a se stessi (Thompson 1998, 22).
Perchè studiare i media?
11/04/2016
Pagina 116
Media e contesti sociali
• Quando studiamo i media non dobbiamo correre il
rischio di concentrarci solo su
• i testi, analizzandoli in sé e per sé, senza relazioni
né con gli obiettivi e le risorse di chi li ha prodotti,
né con i modi in cui chi li riceve li utilizza e
comprende;
• i pubblici, analizzandone la composizione e la
quantità, gli effetti subiti, i bisogni alla base del
consumo etc.
Perchè studiare i media?
11/04/2016
Pagina 117
Media e contesti sociali
• Quando studiamo i media dobbiamo partire dal
carattere terreno dell’attività di ricezione.
• La ricezione dei prodotti dei media è un’attività
pratica e di routine che gli individui intraprendono in
quanto rappresenta un aspetto costitutivo della loro
vita quotidiana.
Perchè studiare i media?
11/04/2016
Pagina 118
Identità e media
• Se nelle società tradizionali l’identità del soggetto
corrispondeva a quella della comunità di
appartenenza e in quelle industriali derivava dal
ruolo professionale
• nella società contemporanea la produzione di
significati - anche relativi all’identità – appare
sempre meno ancorata agli ambiti dell’esperienza e
sempre più connessa con l’elaborazione identitaria
e sociale proposta dai media.
Leonini
11/04/2016
Pagina 119
Il sé riflessivo e i media
• Nelle società moderne il processo di
autoformazione è sempre più riflessivo e aperto:
per costruirsi un’identità coerente, gli individui
imparano a ricorrere in misura sempre maggiore
alle loro stesse risorse.
• Ma anche alle risorse simboliche mediate, la cui
abbondanza estende le opportunità dell’individuo,
ma allenta il legame tra autoformazione e ambiente
condiviso: gli individui accedono infatti a
informazioni provenienti da fonti lontane e
attraverso reti di comunicazione mediate…
• ma l’appropriazione di questa conoscenza non
locale avviene sempre in contesti locali.
Perchè studiare i media?
11/04/2016
Pagina 120
Il sé come progetto simbolico
• “il sé è […] un progetto simbolico che l’individuo
costruisce attivamente sulla base dei materiali
simbolici a sua disposizione, materiali che
l’individuo ordina in un racconto coerente a
proposito di chi egli sia – un racconto della sua
identità” (Thompson, 293)
Perchè studiare i media?
11/04/2016
Pagina 121
L’appropriazione
• Thompson utilizza il termine di appropriazione per riferirsi
all’estensione del processo di ricezione oltre il momento
della fruizione.
• Appropriarsi significa “far proprio” qualcosa di estraneo e
sconosciuto e trovare un modo per rapportarsi ad esso e
incorporarlo nella propria vita, attraverso il proprio
bagaglio di competenze, conoscenze, inclinazioni.
• “Perciò l’appropriazione dei messaggi deve essere intesa
come un processo continuo e socialmente diseguale che
dipende dai contenuti dei messaggi ricevuti,
dall’elaborazione discorsiva, e dagli attributi sociali dei
destinatari sia diretti sia indiretti” (Thompson, 159).
Perchè studiare i media?
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Un progetto simbolico diseguale
• Il carattere attivo e creativo del sé non implica che
esso non subisca condizionamenti sociali. Questi
possono essere letti nel:
• modo diseguale in cui sono distribuiti i materiali
simbolici sulla base dei quali costruiamo la nostra
identità;
• modo/i diseguali con cui gli individui utilizzano queste
risorse per costruire il proprio sé.
Perchè studiare i media?
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Da dove vengono i materiali simbolici
• Prima dell’avvento dei media, i materiali simbolici utilizzati dai
soggetti per la costruzione della propria identità
(autoformazione) provenivano principalmente dalle interazioni
faccia a faccia (conoscenza locale).
• Oggi gli orizzonti di comprensione degli individui si allargano:
sono legati alla espansione delle reti mediate che rendono i
mezzi di comunicazione “moltiplicatori di mobilità” (Lerner):
“viaggi dell’immaginazione che aiutano gli individui a prendere
le distanze dagli ambienti più immediati del loro vivere
quotidiano” (Thompson, 295)
Perchè studiare i media?
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Il sé come progetto riflessivo
• Materiali simbolici locali e mediati vengono incorporati dal
soggetto nel processo di autoformazione.
• “il sé si trasforma dunque in un progetto riflessivo nel corso
del quale l’individuo incorpora materiali mediati (tra le altre
cose) e li inserisce in un racconto autobiografico coerente e
continuamente rivisto” (Thompson, 295)
• Non solo: i media, e la conseguente abbondanza di
materiale simbolico, potenziano la stessa forma riflessiva del
sé.
• i materiali simbolici mediati offrono possibilità nuove al
processo di autoformazione e sottopongono il sé a richieste
senza precedenti.
Perchè studiare i media?
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Media come provider e certificatori
• I mezzi di comunicazione forniscono continuamente
e in grande quantità materiali simbolici con cui
confrontarsi e cui riferirsi a livello di lettura e pratiche
della e nella realtà che ci circonda,
• interpretando il doppio ruolo di provider di modelli e
di certificatori di qualità degli stessi e intervenendo
con decisione, dunque, nel processo riflessivo di
costruzione dell’identità.
Perchè studiare i media?
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La dimensione relazionale del progetto riflessivo
del sé
• L’esercizio identitario si concretizza e si esplicita a
livello relazionale, non solo nel rapporto con i
media, ma in quello che si costruisce con altri
soggetti con i quali si condivide o si condividerà il
consumo mediale.
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Approfondiamo
LA CULTURA E I MEDIA
Perchè studiare i media?
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Cultura come vita
• La cultura è indissolubilmente intrecciata con i
vissuti e le pratiche degli attori sociali.
• La cultura non esiste se non come una "forma di
vita" (secondo la celebre espressione di Wiliams, è
“a whole way of life”):
• studiarla significa studiare come le persone danno
senso alla realtà e alle cose che fanno,
• studiare gli oggetti che li circondano e i modi in cui
vivono quotidianamente.
• La cultura si riproduce nella vita dei soggetti
concreti e da questi viene costantemente
riformulata e innovata.
Il ruolo politico della cultura
• Negli anni ’70 la cultura comincia, dunque, ad
essere indagata dal punto di vista della sua
funzione politica.
• La cultura viene letta come “ideologia” e come
“egemonia”, intendendo con questo concetto una
relazione di dominio che non viene vista (e vissuta)
come tale da chi la subisce.
• Gli individui accolgono l’ideologia così facilmente
perché essa li aiuta a “dare senso” al mondo.
L’ideologia
• Gli individui sono costrutti dell’ideologia.
• L’ideologia è l’insieme dei discorsi e delle
immagini che costituiscono la conoscenza
diffusa degli uomini: il senso comune.
• L’ideologia serve allo stato (e al capitalismo)
a riprodurre se stesso, senza la minaccia di
una rivoluzione.
• L’ideologia “cambia ciò che era politico,
parziale e aperto al cambiamento in
qualcosa che sembri “naturale”, universale
ed eterno” (S. During 2004)
Il senso comune
• “sono proprio la sua qualità “spontanea”, la sua
trasparenza, la sua “naturalità”, il rifiuto che oppone
a far esaminare i principi su cui è fondato, la sua
resistenza ai cambiamenti o alle correzioni, il suo
effetto di riconoscimento immediato, e il circolo
chiuso in cui si muove, che rendono il senso
comune simultaneamente “spontaneo” ideologico e
inconscio.
• tramite il senso comune non si può apprendere
come stanno le cose: si può solo scoprire qual è il
loro posto nello schema esistente delle cose” (Hall
in Hebdige p. 14)
L’atmosfera della vita umana
Perchè studiare i media?
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L’ideologia in Althusser
• “l’ideologia ha ben poco a che vedere con la
“coscienza” […]. Essa è profondamente inconscia
[…].
• Per lo più sono immagini, a volte anche concetti,
ma soprattutto sono strutture e come tali si
impongono alla stragrande maggioranza degli
uomini senza passare attraverso la loro
“coscienza”.
• Sono oggetti culturali percepiti-accettati-subiti che
agiscono sugli uomini attraverso un processo che
sfugge loro” (Althusser in Hebdige, p. 14)
La consapevolezza dell’ideologia
• Non si può scegliere di uscire dall’ideologia,
ma si può scegliere di
• “conoscerla il più approfonditamente
possibile, riconoscerla il più in fretta
possibile e, attraverso il proprio lavoro
interpretativo, sempre e necessariamente
incompleto, lavorare per trasformarla”
(Spivak 1988, tr. it. p.38)
Dall’ideologia all’egemonia
• Il concetto di egemonia, nell’accezione di
ideologia dominante (Gramsci 1977), appare
in grado di spiegare come la cultura (anche
mediale) concorra a perpetuare la società
classista dominata da una classe.
• Per egemonia si intende un insieme di idee
dominanti che permeano una società,ma in
modo tale da far sembrare sensato, pacifico e
naturale l’assetto vigente di potere. (McQuail
1983)
• L’egemonia tende a liquidare l’opposizione
allo status quo come dissidenza o devianza
L’egemonia in Gramsci
• Secondo Gramsci non è lo Stato a essere
responsabile dell’egemonia, ma la società civile,
con le sue istituzioni, i sistemi educativi, la famiglia,
la chiesa, i mass media e la cultura popolare.
• Il consenso è un processo in continuo divenire,
frutto di un patteggiamento e non un
indottrinamento guidato.
Potere ed egemonia
• “il potere, chiaramente, è qualcosa di infinitamente
complesso e contraddittorio, non è mai condensato
in un unico luogo, circola dappertutto, è diffuso
lungo tutto il tessuto sociale.
• Come ci ha insegnato Gramsci, un potere che sia
capace di inquadrare la società all’interno di un
nuovo progetto storico deve operare
egemonicamente, deve necessariamente
intrecciare i modi di pensare, i media, la cultura, la
lingua, la filosofia, l’economia, la cultura popolare,
la Chiesa ecc.” (Hall, Mellino, 2007, p.41)
Il potere: Foucault
• L’idea di egemonia non come data a priori dall’alto,
ma come terreno di scontro
• è vicina al concetto di “potere” di Michel Foucault.
• Non esiste un potere unico, dall’alto, ma reti di
rapporti di potere.
• “come sarebbe indubbiamente facile smantellare il
potere, se esso si limitasse a sorvegliare, spiare,
sorprendere, proibire e punire. Ma esso incita,
suscita, produce; non è semplicemente occhio e
orecchio, ma fa agire e parlare” (La vita degli
uomini infami, in Archivio Foucault pag. 259)
Il potere: Foucault
• Il dominio è stabile e violento.
• Il potere è fluido e ribaltabile.
• Le azioni degli uomini avvengono all’interno di una
rete di poteri e sono esse stesse un modo per
ribaltare i rapporti e crearne di nuovi.
• Il discorso è il luogo dell’articolazione produttiva del
potere e del sapere.
Il discorso: Foucault
• Per Foucault il discorso è un insieme di
performance verbali, di sequenze di enunciati
cui si possono attribuire delle particolari
modalità di esistenza.
• “così concepito il discorso non è la
manifestazione, maestosamente sviluppata di
un soggetto che pensa, conosce e dice: si
tratta, invece, di un insieme in cui si possono
determinare la dispersione del soggetto e la
sua discontinuità con se stesso”
(L’archeologia del sapere 1971).
I discorsi del potere
• “L’analisi del discorso […] può divenire il mezzo
attraverso il quale le posizioni ideologiche dei
singoli si mostrano e si inseriscono in un contesto
sociale, favorendo l’analisi del modo in cui il
multiforme uso del linguaggio si interseca con il
potere”.
• Seguendo Foucault le “relazioni di potere sono
mantenute dall’infinita catena di espressioni che
“mobilitano” significati nel mondo sociale; […] al
modo in cui la storia è prodotta e la società si
riproduce” (Bianchi, Demaria, Nergaard, 2002, 16)
L’ideologia nei media e gli effetti
di realtà
• La presenza dell'ideologia nei mass media ha come
effetto il suo eclissarsi all'interno di messaggi che
appaiono come naturali descrizioni della realtà:
• 'Vero' significa credibile, o almeno capace di conquistare
credibilità in quanto affermazione basata su fatti
• Hall parla, in questo caso, di "effetto di realtà“ da cui
derivano alcune conseguenze:
• la "naturalizzazione" delle rappresentazioni ideologiche
del mondo, la polisemicità del linguaggio e il processo di
significazione inteso come risultato di un conflitto non
riducibile alla lotta di classe, in quanto le forme culturali
sono considerate relativamente autonome dalle
condizioni economiche.
Gli effetti dell’ideologia
• Secondo Hall, l’attività ideologica si
presenta come la possibilità dei mass media
di definire la linea di demarcazione
• “tra spiegazioni preferite ed escluse,
• tra comportamenti ammessi e devianti,
• tra ‘ciò che è privo di senso’ e ‘ciò che è
pieno di senso’
• tra pratiche, significati e valori integrati e di
opposizione” (Hall 1979)
L’egemonia e i media
• I mass media non definiscono di per sé la
realtà, ma danno spazio alle definizioni dei
detentori del potere.
• I media agiscono per il mantenimento del
potere non attraverso “la trasmissione
diretta di istruzioni[…] ma grazie alla messa
in forma dell’intero ambiente ideologico, un
modo di rappresentare l’ordine delle cose
[…]” (Hall 1982)
L’egemonia e i media
• Il ruolo “consensuale” dei media non è più
individuato nel loro riflettere un consenso già
presente a livello sociale, ma nel partecipare alla
costruzione stessa di tale consenso che si articola
“liberamente” attorno a definizioni della situazione
interne alla “cornice di ciò su cui ciascuno
concorda”.(Hall 1982)
Il processo di comunicazione
Programma come
discorso “significato”
Codifica
Decodifica
Strutture di significato 1
Strutture di significato 2
Quadri di conoscenza
Quadri di conoscenza
Relazioni di produzione
Relazioni di produzione
Infrastrutture tecniche
Infrastrutture tecniche
Il processo di comunicazione
• Il processo comunicativo può essere, a grandi
linee, spiegato in questo senso:
• alle strutture istituzionali televisive “con le loro
pratiche e network produttivi, relazioni
organizzate e infrastrutture tecniche, è
richiesto di produrre un programma”.
• “La produzione, in questo contesto, costruisce
il messaggio. Da un certo punto di vista,
quindi, il circuito comincia qui” (Hall, Televisioni pag. 69)
La forma discorsiva
• Un evento grezzo “non può essere trasmesso nella
sua forma originaria da un notiziario televisivo. Gli
eventi possono essere comunicati solo dentro le
forme audiovisive del discorso televisivo”.
• Le strutture televisive devono produrre messaggi
codificati, nella forma di un discorso dotato di
senso” (Hall, Tele-visioni pag. 69-70)
La forma discorsiva
nel processo comunicativo
• “Il processo produttivo ha un suo aspetto
“discorsivo” in quanto è, a sua volta inserito
in una struttura di significati e di idee”
• “è nella forma discorsiva che avviene sia la
circolazione del prodotto che la sua
distribuzione a diversi tipi di pubblico”
• “affinché il circuito sia completo ed efficace,
il discorso una volta realizzato, deve essere
tradotto – cioè nuovamente trasformato – in
pratiche sociali” (Hall, Tele-visioni pag. 6870)
La mancanza di equivalenza
• “i codici di codifica e decodifica possono non
essere perfettamente simmetrici.
• Il grado di simmetria – cioè i gradi di
“comprensione” e di “fraintendimento” nello
scambio comunicativo – dipende dal livello
di simmetria/asimmetria (relazioni di
equivalenza) stabilitosi tra le posizioni delle
“personificazioni”, codificatore-produttore e
decodificatore-ricettore”
• Lo squilibrio può dipendere da differenze
strutturali (di relazione e posizione) o da
differenze di codici. (Hall, Tele-visioni pag.
72)
Denotazione e connotazione
• Il termine “denotazione” indica il significato
letterale del testo: “poiché questo significato
letterale è riconosciuto in maniera quasi
universale […] la “denotazione” è stata
spesso confusa con una trascrizione
letterale della “realtà” nel linguaggio, e
quindi con un “segno naturale”, prodotto
senza l’intervento di un codice”
• “La “connotazione” è utilizzata per indicare
significati associativi meno fissi e quindi più
convenzionali e trasformabili” (Hall, Televisioni pag. 75)
L’ideologia nel discorso
• Nel discorso i segni mescolano sia gli aspetti
denotativi che connotativi.
• “I segni sembrano acquisire il loro pieno valore
ideologico, ovvero sembrano aprirsi all’articolazione
con discorsi e significati più ampi,
• al livello dei significati “associativi” (cioè al livello
connotativo),
• perché qui i “significati” apparentemente non sono
fissati dalla percezione naturale (cioè non sono
completamente naturalizzati) e la fluidità di
significati e di associazioni può essere sfruttata e
trasformata più pienamente”.
• “A questo livello, possiamo vedere più chiaramente
l’intervento attivo delle ideologie nel discorso e su di
esso” (Hall, Tele-visioni pag. 75-76)
L’ideologia nei media
• La polisemia del segno connotativo non
deve essere scambiata per pluralismo.
• I significati connotativi non sono tutti uguali
tra loro. “qualunque società/cultura tende,
con diversi livelli di chiusura, ad imporre le
sue classificazioni del mondo sociale e
culturale e politico.
• Queste costituiscono un ordine culturale
dominante, che tuttavia non è né univoco né
incontrastato”. (Hall, Tele-visioni pag. 77)
L’ideologia nei media
• Qualunque società (struttura produttiva)
tende ad imporre le proprie “mappe di
significato” e a comporre la dimensione
connotativa in un “ordine culturale
dominante”
• I significati dominanti/preferiti non sono né
univoci, né incontrastati. Tuttavia, all’interno
del processo comunicativo, sono
perfettamente riconoscibili alcune “regole
performative” che cercano attivamente di
“imporre” o “promuovere” una mappa di
significato, o di rendere compatibili elementi
differenti all’interno della mappe dominanti.
La comunicazione
sistematicamente distorta
• “Dal momento che non esiste alcuna
corrispondenza necessaria fra la codifica e
la decodifica, la prima può cercare di
“indirizzare”, ma non può prescrivere o
garantire la seconda, che ha le sue proprie
condizioni di esistenza”
• L’ipotesi Encoding/Decoding è formulata a
partire dal fatto che non esistendo una
“corrispondenza necessaria” occorre
costruire una teoria della “comunicazione
sistematicamente distorta”
Stuart Hall: Encoding and decoding
in television discourse (1980)
• Se l’attività di codifica consiste dunque nel definire i
limiti e i parametri che racchiudono la libertà del
processo di decodifica
• dalla relazione tra lettore e questi limiti discendono
tre differenti modalità di decodifica :
la posizione dominante egemonica (lettura preferita)
• la posizione negoziata
• la posizione “di opposizione”
La lettura preferita
• Si attua una lettura “preferita” quando il
telespettatore “prende il significato connotato
da, diciamo, un telegiornale o una rubrica di
attualità direttamente e nella sua interezza e
decodifica il messaggio nei termini del codice
attraverso il quale è stato codificato” (Hall
1980)
• Il telespettatore opera all’interno del codice
dominante/egemonico mediato
professionalmente.
La lettura negoziata
• L’uso del codice negoziato sottende un
atteggiamento duplice:
“accordare la posizione privilegiata alle
definizioni dominanti degli eventi, pur
riservando il diritto di attuarne un uso più
negoziato legato a condizioni locali” (Hall
1980)
La posizione di opposizione
• Nella posizione di opposizione il telespettatore
comprende la lettura preferita costruita e
proposta, ma ridefinisce “il messaggio all’interno di
una qualche cornice di riferimento alternativa”
• Nel caso precedente avevamo fenomeni di
distorsione della comunicazione, mentre qui non
si crea distorsione, ma si attiva la volontà di porre
in rilievo le contraddizioni che una lettura contro le
regole del codice egemonico comporta. (Hall
1980)
LE AUDIENCE DIFFUSE TRA
PERFORMATIVITÀ,
NARCISISMO E
IMMAGINAZIONE
Perchè studiare i media?
11/04/2016
Pagina 161
Lo spectacle/performance
paradigm
• Gli studi di Abercrombie e Longhurst prendono
le mosse dal limite intrinseco al paradigma
dell’incorporazione/resistenza nel considerare
le audience come costrette tra una posizione di
accettazione dell’ideologia o di resistenza.
• L’attenzione si sposta dalla lettura delle
audience in chiave oppositiva, a audience che
definiscono la propria identità all’interno delle
relazioni che stabiliscono con le forme mediali.
L’identità delle audience
• Il paradigma mira a studiare l’identità delle
audience e il loro statuto all’interno della società,
immaginando che l’identità si costruisca all’interno
non tanto dei testi mediali ma del cosiddetto
mediascape, il mondo globale dei media.
Lo studio delle audience: dove siamo arrivati
• Secondo Abercrombie e Longhurst (1998) esistono
tre tipi di audience, che si sono sviluppate
storicamente e che oggi tendono alla compresenza:
• Simple audience
• Mass audience
• Diffused audience
La simple audience
• La simple audience, nata in età premoderna e
tuttora presente, si basa sul rapporto diretto e
immediato tra emittente e ricevente.
• La comunicazione si svolge in uno spazio
socialmente definito (spazio pubblico)
• La figura dell’emittente-performer è distante da
quella del ricevente (che assiste allo spettacolo).
• Al ricevente è richiesto un elevato grado di
attenzione.
La mass audience
• È tipica di forme di fruizione despazializzate.
• La comunicazione è mediata dai mezzi di
comunicazione.
• Emittente-performer e ricevente sono molto distanti.
• L’attenzione richiesta al ricevente può variare sulla
base delle caratteristiche contestuali della fruizione.
La diffused audience
• Abercrombie e Longhurst intendono per
audience diffusa la situazione in cui il soggetto
è sempre parte di un pubblico a prescindere dal
singolo atto di fruizione e da singoli eventi.
• “The essential feature of this audienceexperience is that, in contemporary society,
everyone becomes an audience all the time.
Being a member of an audience is no longer an
exceptional event, nor even an everyday event.
Rather it is constitutive of everyday life”
(Abercrombie e Longhurst)
Le audience diffuse…
• «il vedere la televisione [consumare media
nda] non può essere confinato nei periodi in
cui la televisione è accesa. La televisione
[…] è anche parte della nostra vita
culturale, quando la sua presenza è meno
diretta, meno ovvia» (Fiske, 1989)
• «essere un membro di un’audience non è
più tanto un evento eccezionale, e neanche
un evento quotidiano. Piuttosto è parte della
vita quotidiana» (Abercrombie, Longhurst,
1998)
Le audience diffuse
• L’esperienza di consumo non è più legata ad un
particolare evento, spettacolo o canale mediale, ma
è un’esperienza quotidiana.
• L’audience diffusa nasce dall’intersezione di 4
fattori
•
•
•
•
Quantità di tempo investito nel consumo mediale
Pervasività dei media nella vita moderna
Società performativa
Spettacolarizazione della vita e del mondo +
atteggiamento narcisista
Performatività
• Per performatività si intendono, nelle parole
della Butler, quegli atti e gesti, generalmente
costruiti, che regolano i principi di
organizzazione dell’identità,
• nel senso che “l’essenza o identità che essi
dichiarano di esprimere sono fabbricazioni
prodotte e mantenute attraverso segni
corporei e altri mezzi discorsivi” (Butler
1990).
Performatività
• La performatività è «una serie di pratiche che
segnano i corpi, in accordo ad una griglia di
intelligibilità, in modo tale che il corpo stesso diventi
una fiction familiare» (Mc Robbie 2005).
• Allargando il ragionamento al soggetto nella sua
interezza, per performatività intendiamo quindi le
pratiche che segnano il sé in accordo ad una griglia
di intelligibilità sociale,
• in modo tale che il sé diventi una fiction
(rappresentazione) familiare (cioè condivisa e
condivisibile all’interno dei legami sociali).
Il mondo come spettacolo
• “Nel portare tesi a sostegno dell’importanza dello
spettacolo, la nostra proposta è che il mondo, e
tutto ciò che è al suo interno, viene trattato sempre
più come qualcosa a cui si assiste (Chaney, 1993).
• Nel mondo le persone, gli oggetti, gli eventi non
possono essere dati per scontati, ma devono
essere inseriti in cornici, guardati, osservati,
registrati e controllati. Ciò, a sua volta, suggerisce
che il mondo si costituisce come un evento, come
una performance; gli oggetti: le persone e gli eventi
che fanno parte del mondo sono fatti per mettere in
scena performance per coloro che li guardano o
osservano intensamente. (Abercrombie, Longhurst)
Vedere ed essere visti
• Più in generale, la vita contemporanea è una
questione di spettacolo e lo scopo della vita
moderna è quello di vedere e essere visti. Questo
perché:
• 1) il mondo come merce richiede attenzione;
inscena performance;
• 2) la pervasività dei mezzi di comunicazione di
massa contribuisce alla presentazione del mondo
come uno spettacolo, come una serie di
performance. Il landscape diventa mediascape.
Il narcisismo
• La nozione di società narcisista include
l’idea che le persone si comportino come se
fossero guardate, come se fossero al centro
dell’attenzione di un’audience reale o
immaginata.
• Il narcisista incontra difficoltà nel distinguere
i confini del sé, nel separare se stesso dagli
altri. Il sé narcisista è costruito e mantenuto
solo nei riflessi ricevuti dagli altri.
Società dello spettacolo,
narcisismo e performance
• Il narcisismo, dunque, fornisce il lato motivazionale e
individuale dello spettacolo.
• Per rendere il mondo sociale uno spettacolo, le persone
devono essere viste come oggetti di spettacolo. Devono
essere incitate, motivate, per mettere in atto
performance. Lo spettacolo e il narcisismo sono
realmente i due lati della stessa medaglia.
• Entrambi sono effettivamente le conseguenze della
diffusione della performance al di fuori dei suoi ambiti
originariamente relativamente ristretti.
• La maggior parte degli eventi che costituiscono la vita
quotidiana sono performance per le quali esiste
un’audience
Audience diffusa e
immaginazione
• Un mondo di spettacolo, narcisismo e performance
richiede il potere dell’immaginazione.
• L’audience diffusa richiede che i propri membri
mettano in campo una mole considerevole di
risorse immaginative
Sogno ad occhi aperti e
performance
• Chiaramente, le trasformazioni del sé che si
sviluppano a partire dalla fantasia,
stimoleranno maggiormente il giudizio degli
altri - l’audience reale e immaginata che
assiste alla performance.
• L’attitudine moderna del sogno ad occhi
aperti significa che le persone sono in grado
di immaginarsi mentre mettono in scena
performance di fronte ad altre persone e di
immaginare, inoltre, le reazioni che gli altri
avranno
Media, immagini e
immaginazione
• Le performance quotidiane che costituiscono una
società spettacolare e narcisistica sono organizzate
frequentemente intorno alle immagini che
provengono dai media sullo stile, la personalità,
l’abbigliamento, la musica e così via.
• Oltre ad essere regolatori o costitutivi della vita
quotidiana, i media forniscono anche immagini,
modelli di performance, o quadri di azione e di
pensiero che diventano risorse di routine del
quotidiano. Le persone, in altre parole, usano nella
vita quotidiana quello che i media forniscono loro.
Il circuito S-N-S
(spectacle-narcisismspectacle)
• I media forniscono una risorsa per vedere il mondo
in modo spettacolare;
• creano sistematicamente il mondo come spettacolo.
• Simultaneamente, forniscono alcuni materiali grezzi
per il narcisismo,
• così che le persone replicano nelle loro vite la
relazione performance-audience che ha luogo nei
media.
Come si forma un’audience diffusa
• Accettando la proposta di Abercrombie e Longhurst
le audience diffuse sono il punto di arrivo di un
processo come il seguente:
• media pervasivi → società dello spettacolo →
narcisismo → performatività → audience diffuse.
Merci, oggetti, valore
IL CONSUMO COME UNICITÀ,
STABILITÀ E COERENZA
11/04/2016
Pagina 181
Definire il consumo nella società industriale
• Nella società industriale il consumo viene considerato
una espressione delle logiche della produzione
industriale e, quindi, delle dinamiche sociali ad esse
sottese.
• «se nell’interpretazione economica la subordinazione
dell’agire di consumo alle esigenze, agli imperativi della
sfera della produzione, viene descritta come condizione
imprescindibile alla riproduzione del sistema economico,
nell’interpretazione sociologica questa sudditanza
assume esplicite valenze ideologiche di riproduzione
sociale, riproduzione delle differenze insite
nell’organizzazione sociale del capitale» (p. 88).
P. Parmiggiani1997, Consumo e identità nella società contemporanea
11/04/2016
Pagina 182
Il consumo secondo Marx
• Per Marx il consumo è uno dei modi in cui si
manifesta la centralità della produzione:
• «La produzione produce quindi il consumo a)
creandogli il materiale; b) determinando il modo di
consumo; c) producendo come bisogno del
consumatore i prodotti che esso ha originariamente
posto come oggetti. Essa produce cioè l’oggetto del
consumo, il modo di consumo e l’impulso del
consumo».
K. Marx. Introduzione alla critica dell’economia politica 1954, pp179180
11/04/2016
Pagina 183
Valore d’uso e valore di scambio
• Secondo Marx la merce possiede una duplice anima:
• il valore d’uso, che rappresenta il contenuto materiale del bene e
la sua effettiva funzione, utilità e capacità di soddisfare bisogni,
• e il valore di scambio, che ne costituisce la forma sociale
astratta, la sua sostituibilità e con tutti gli altri valori d’uso e la sua
commerciabilità.
• Il valore di scambio non si deduce dal valore d’uso, ma dalla
quantità di tempo spesa dal lavoratore per produrre quella
merce. In ogni merce, quindi, si materializza una frazione del
lavoro umano astratto.
• Uno scambio tra merci è quindi uno scambio tra quantità
equivalenti di forza lavoro necessarie a realizzarle. Il valore di
mercato è quindi una relazione tra persone, nascosta dietro le
cose.
L. Minestroni , Comprendere il consumo, 2006
11/04/2016
Pagina 184
Quale ruolo per il consumatore nella critica
marxiana
• Riferendosi ai concetti di alienazione e sfruttamento, Marx
evidenzia come il lavoratore sia incapace di «bisogni
indefinitamente sviluppantisi», e piuttosto caratterizzato da
bisogni dati, a lui esterni e controllabili dallo sfruttatore.
• Il momento del consumo, quindi, dipende dal sistema di
produzione: perché il capitalismo funzioni i bisogni degli
esseri umani devono conformarsi alle esigenze del sistema
produttivo.
• Il consumatore non ha una propria dignità, autonomia: non è
un soggetto attivo.
• L’enfasi posta sul valore di scambio delle merci non consente
di ragionare sulle pratiche di consumo e sul consumo come
linguaggio dotato di senso.
L. Minestroni , Comprendere il consumo, 2006
11/04/2016
Pagina 185
La teoria critica dei consumi
• Anche la Scuola di Francoforte si riferisce al consumo
culturale come pura espressione delle logiche della sfera
della produzione industriale.
• Nella società industriale di massa il tempo libero e la cultura
sono il prodotto di una industria culturale: la ricezione viene
dettata dal valore di scambio e il soggetto partecipa ad un
facsimile di cultura mercificata di massa.
• Il consumatore è manipolato, eterodiretto e vittima di falsi
bisogni:
• «la maggior parte dei bisogni che oggi prevalgono, il bisogno
di rilassarsi, di divertirsi, di comportarsi e di consumare in
accordo con gli annunci pubblicitari, di amare e odiare ciò
che altri amano e odiano, appartengono a questa categoria
di falsi bisogni». (p.25)
H. Marcuse, L’uomo ad una dimensione, 1964
11/04/2016
Pagina 186
Il consumo vistoso di Veblen
• Con la sua teoria del consumo vistoso, Thorstein
Veblen introduce la dimensione segnica del consumo.
• Secondo Veblen i beni vanno considerati per la loro
funzione di segni distintivi, più che per la loro capacità
di soddisfare bisogni (valore d’uso).
• «Ricchezza potere e virtù coincidono: non è l’astinenza
dai consumi ma, all’antitesi, un loro perseguimento
maniacale, l’ostentazione sfrontata della ricchezza, il
consumo cospicuo a divenire meta socialmente
riconosciuta» (p. 27)
P. Fabris Sociologia dei consumi, 1971
11/04/2016
Pagina 187
Il consumo della leisure class
• L’occupazione principale della classe agiata è quella di
consumare per eccellere sulle altre classi, il cui
comportamento di consumo, a sua volta, sarà quello di
emulare lo stile di vita raggiunto e ostentato dal gruppo
o strato più alto nella gerarchia sociale.
P. Parmiggiani1997, Consumo e identità nella società contemporanea
T. Veblen , La teoria della classe agiata, 1899
11/04/2016
Pagina 188
Trickle down effect
• Nella società industriale lo stile di vita dispendioso e
basato sul consumo del superfluo non è solo una
caratteristica della classe agiata, ma riguarda l’intera
struttura sociale, impegnata in processi di emulazione.
• Dalla classe agiata i beni di consumo discendono (trickle)
lungo la gerarchia sociale.
• «si tratta di un flusso discendente di beni caratterizzati da
un tasso di obsolescenza direttamente proporzionale alla
velocità di diffusione/trasmissione verticale: non appena un
certo bene diviene appannaggio delle classi inferiori muta
infatti il suo valore simbolico […] e viene immediatamente
abbandonato dalle classi dominanti» (p. 111)
P. Parmiggiani1997, Consumo e identità nella società contemporanea
11/04/2016
Pagina 189
Agire di consumo come agire comunicativo
• Veblen riconosce agli oggetti una funzione di
differenziazione sociale e di comunicazione
simbolica della distinzione.
• L’agire di consumo, quindi, si presenta come agire
comunicativo che si esplica attraverso la
mediazione simbolica degli oggetti e dei beni di
consumo.
• Tuttavia il consumatore è ancora visto come non
autonomo e il consumo non gli consente alcuna
opportunità sociale eccetto che la differenziazione
sociale.
P. Parmiggiani1997, Consumo e identità nella società contemporanea
11/04/2016
Pagina 190
I beni come valori di scambio: Baudrillard
• «ciascun gruppo sociale si caratterizza anche per
gli oggetti che usa e per come li usa; in tal modo i
sistemi di oggetti cui i gruppi sociali affidano la loro
distinzione divengono parte del loro profilo
culturale, indicatori del loro stile di vita, strumenti
per creare e comunicare le differenze, per
manifestare coesione, appartenenza o rifiuto ed
esclusione.
• Detto altrimenti, gli oggetti assumono un significato
nei rapporti tra gli individui in virtù della loro
capacità di comunicare le differenze tra gli individui
e tra i gruppi della società» (p. 116)
P. Parmiggiani1997, Consumo e identità nella società contemporanea
J. Baudrillard 1970 La società dei consumi
11/04/2016
Pagina 191
Il valore di scambio e il valore-segno
• Oltre al valore d’uso (la funzionalità/utilità del bene)
e al valore di scambio (l’equivalenza nel mercato) entrambi frutto di un rapporto feticistico con gli
oggetti, implicato da un mercato inteso in senso
ideologico – secondo Baudrillard dovremmo
considerare
• il valore di scambio simbolico (del dono, in cui
l’oggetto assume lo statuto di simbolo) e
• il valore-segno (della differenza): i beni cioè
vengono prodotti come segni, come valori culturali,
come segni distintivi, come valore sociale.
P. Parmiggiani1997, Consumo e identità nella società contemporanea
J. Baudrillard, Per una critica dell’economia politica del segno, 1972
11/04/2016
Pagina 192
La differenziazione
• L’oggetto di consumo non è quindi l’utensile (cioè un
oggetto che soddisfa un bisogno materiale) ma
l’oggetto caricato di connotazioni di status che rinvia
differenzialmente agli altri oggetti.
• Il significato delle cose è, dunque, fornito dalle relazioni
differenziali tra gli oggetti, organizzati come sistema.
• Il valore dell’oggetto di consumo consiste, quindi,
«nella sua capacità di rendere evidenti e di mantenere
le differenze o distanze sociali: esso viene desiderato,
scambiato, ostentato in quanto segno, elemento della
cultura» (p. 120)
P. Parmiggiani1997, Consumo e identità nella società contemporanea
11/04/2016
Pagina 193
Il consumo come manipolazione sistematica di
segni
• Il consumo è una attività sociale che acquista il proprio
senso in termini di rapporto tra individui.
• Nel consumo i soggetti aderiscono inconsciamente alle
regole strutturali del sistema, cioè operano all’interno del
codice della differenza:
• il rapporto tra i soggetti e gli oggetti cioè deriva da un
rapporto sociale che riguarda la struttura di differenziazione
della società del capitale, che viene replicata attraverso il
consumo.
• Il consumo, dunque, non è una possibilità generale per
l’individuo di rappresentarsi, ma serve unicamente alla
comunicazione della differenza tra sé, in quanto membro di
un gruppo sociale, e gli altri.
P. Parmiggiani1997, Consumo e identità nella società contemporanea
11/04/2016
Pagina 194
Stili di vita e distinzione nella teoria di Bourdieu
• Ne «La distinzione. Critica sociale del gusto»
Bourdieu da conto dei risultati di una importante
ricerca empirica – condotta in Francia tra il 1963 e il
1968 – sui comportamenti di consumo dei soggetti,
con l’obiettivo di spiegare le dinamiche e le logiche di
una società stratificata, i rapporti tra classi sociali e i
meccanismi di differenziazione connessi con gli stili di
vita.
• «le differenze sociali vengono riprodotte e non solo
affermate tramite il consumo, e quindi anche i gusti
che ci sembrano così intimi da essere solo nostri
sono riportabili a mappe sociali» (p. 91)
R. Sassatelli, Consumo, cultura e società, 2004
11/04/2016
Pagina 195
Il capitale
• Il capitale è per Bourdieu l’insieme di mezzi e risorse
che caratterizzano, definiscono e abilitano socialmente
gli agenti sociali.
• Bourdieu distingue tra capitale economico (che dipende
dal reddito e dal tipo di professione dell’individuo),
capitale culturale (l’insieme delle risorse culturali formate
con gli studi o trasmesse dalla famiglia di appartenenza)
e capitale sociale (cioè la quantità e la qualità delle
relazioni sociali di un individuo)
• «le diverse classi (e frazioni di classe) si distribuiscono
in tal modo da quelle maggiormente fornite sia di
capitale economico che di capitale culturale fino a quelle
che sono maggiormente sprovviste di entrambi» (p. 119)
11/04/2016
P. Bourdieu La distinction 1979, ed it. 2001
Pagina 196
La società come spazio multidimensionale
• Le differenti combinazioni dei tre tipi di capitale
determinano l’identità sociale dell’individuo. I tre capitali
possono essere convertiti tra loro.
• Il soggetto può essere posizionato all’interno di una
mappa – che rappresenta la struttura sociale – articolata
su 2 assi: uno rappresenta il volume di capitale e l’altro la
composizione del capitale (economico e culturale).
Dimensioni del capitale +
Capitale Economico –
Capitale Culturale +
Capitale Economico +
Capitale Culturale -
Dimensioni del capitale -
P. Bourdieu La distinction 1979, ed it. 2001
11/04/2016
Pagina 197
L’habitus
• «l’habitus è infatti contemporaneamente principio
generatore di pratiche oggettivamente classificabili
e sistema di classificazione (principium divisionis) di
queste pratiche.
• È proprio nel rapporto tra queste due capacità che
definiscono l’habitus, capacità di produrre pratiche
ed opere classificabili, e capacità di distinguere e di
valutare queste pratiche e questi prodotti (il gusto),
che si costituisce l’immagine del mondo sociale,
cioè lo spazio degli stili di vita» (p. 174)
11/04/2016
P. Bourdieu La distinction 1979, ed it. 2001
Pagina 198
Il gusto
• Il gusto è il fattore di conversione degli oggetti e
delle pratiche in segni di distinzione,
• è la formula generale all’origine dello stile di vita,
ovvero delle interpretazioni del mondo, una sorta di
senso dell’orientamento sociale in quanto
• «orienta coloro che occupano un determinato posto
nello spazio sociale verso le posizioni … adatte alle
loro proprietà, verso le pratiche o verso i beni che si
addicono a coloro che occupano quella posizione,
che «vanno bene» per loro»
P. Parmiggiani1997, Consumo e identità nella società contemporanea
11/04/2016
Pagina 199
Il consumo
• «Basta tenere presente che i beni si convertono in segni
distintivi – che possono essere segni di distinzione, ma
anche di volgarità – a partire dal momento in cui
vengono percepiti razionalmente, per capire che
l’immagine che gli individui o i gruppi offrono
inevitabilmente, attraverso le loro pratiche e le loro
proprietà, fa parte integrante della loro realtà sociale.
• Una determinata classe è definita dal modo in cui viene
percepita, non meno che dal suo modo di essere, dai
suoi consumi – che non è necessario che siano vistosi
per essere simbolici -, non meno che dalla posizione
che occupa nei rapporti di produzione (anche se è vero
che quest’ultima presiede alla prima)» (pp. 489-490)
11/04/2016
P. Bourdieu La distinction 1979, ed it. 2001
Pagina 200
La società come campo di battaglia
• Una società stratificata è leggibile «come un
insieme di campi di battaglia in cui gruppi […]
oggettivamente contrapposti per interessi legati alle
rispettive posizioni nello spazio sociale (a loro volta
definiti dalla disponibilità di una certa quantità e
composizione di capitale – non solo economico ma
anche culturale, sociale e, soprattutto, simbolico)
lottano in un conflitto, insieme materiale e
simbolico, per la conferma o la rivendicazione del
riconoscimento sociale e, attraverso questo del
dominio legittimo» (p. XVIII)
M. Santoro, Presentazione, in P. Bourdieu La distinction 1979, ed it.
2001
11/04/2016
Pagina 201
Cultura e consumo nella riproduzione del sistema
di classe
• «Bourdieu supera l’idea diffusa nell’opera dei
francofortesi, e fortemente valutativa, di una cospirazione
culturale, offrendo un «modello disincantato di una
struttura di rapporti tra classe e cultura la cui logica
produce i suoi effetti alle spalle degli individui», sebbene
questi ultimi, in quanto agenti sociali capaci di tradurre
strategicamente le disposizioni dell’habitus in azione
pratica, siano in ogni caso coinvolti nel gioco sociale e
contribuiscano essi stessi alla produzione, riproduzione e,
in certi casi, trasformazione delle strutture sociali
«oggettive» che esistono in quanto rappresentate e
messe in pratica dagli individui». (p. XIX)
M. Santoro, Presentazione, in P. Bourdieu La distinction 1979, ed it.
2001
11/04/2016
Pagina 202
Oggetti come segni, consumo come tattica
IL CONSUMO COME
PLURALITÀ, MUTEVOLEZZA
11/04/2016
Pagina 203
Verso un policentrismo esistenziale
•
•
«Sotto il profilo della collocazione strutturale degli individui è ipotizzabile un
passaggio da una pluricollocazione rigida a una relativamente più
flessibile. Infatti, mentre nel passato preindustriale i soggetti erano
sostanzialmente monocollocati e nella società industriale tradizionale
erano pluricollocati in modo rigido, c'è ragione di ritenere che uno stesso
individuo occuperà nel prossimo futuro contemporaneamente posizioni
sempre più numerose in differenti strutture sociali ma con sempre maggior
possibilità di conciliarle tra loro e di cambiarle nel tempo.
Il monocentrismo esistenziale si sta modificando quindi in policentrismo
esistenziale, nel senso che gli individui sono sempre più in grado di
privilegiare invece di un unico ambito esistenziale (monocentrismo),
contemporaneamente più ambiti. Ciò implica che, alla logica dell'aut-aut, si
sostituisce quella dell'et-et, la quale consente, per l'appunto, la
compresenza di una molteplicità di dimensioni del vivere sociale le quali,
inoltre, tendono a essere sempre più compatibili tra loro».
V. Cesareo http://www.treccani.it/enciclopedia/sociologia-dellaeducazione_%28Enciclopedia_Italiana%29/
11/04/2016
Pagina 204
Il consumo come attività culturale e sociale
• « La produzione, lo scambio, l’utilizzo dei beni sono
fatti sociali che definiscono, all’interno delle diverse
società e delle diverse culture, i valori e i significati su
cui esse si fondano».
• «Non conoscere l’uso sociale dei beni significa non
saper interagire all’interno del sistema sociale […] non
conoscere le regole che governano gli scambi tra gli
uomini […]».
• «non è la quantità di beni scambiati e consumati ma le
regole su cui si basano gli scambi, i significati che
vengono confermati o messi in discussione in queste
transazioni, che fanno del consumo un’attività
culturalmente e socialmente rilevante»
L. Leonini, 2003, Per un approccio culturale allo studio dei consumi
11/04/2016
Pagina 205
Consumo e stabilizzazione sociale
• « ogni tipo di società è un mondo pensato, espresso in
un proprio stile di pensiero che penetra le menti dei suoi
membri, definisce le loro esperienze e stabilisce i poli
della loro comprensione» (Douglas 1986).
• Le decisioni che gli individui prendono autonomamente
sono comunque parte di un sistema di classificazione e
di ordinamento del mondo, di cui fanno parte anche gli
oggetti e i beni che vengono consumati.
• I consumi, rappresentando la parte visibile della cultura,
vengono utilizzati come strumenti e materiale per
definire la realtà ( o trovare una nuova definizione della
stessa).
L. Leonini, 2003, Per un approccio culturale allo studio dei consumi
11/04/2016
Pagina 206
I beni come espressione del sistema culturale
• I beni rivestono un ruolo importante nella
strutturazione dell’interazione.
• In questo senso, il consumo diventa espressione
dell’esigenza dell’individuo di entrare in relazione
con gli altri, di disporre e gestire il materiale che
rende possibile l’interazione, la comunicazione, il
rapporto sociale.
• «in questa prospettiva i beni sono accessori rituali;
il consumo è un processo rituale la cui funzione
primaria è di dare un senso al flusso indistinto degli
eventi».
M. Douglas, B Isherwood, Il mondo delle cose, 1978
11/04/2016
Pagina 207
Il consumo
• «A una produzione razionalizzata, espansionista e
al tempo stesso centralizzata, chiassosa e
spettacolare, ne corrisponde un’altra, definita
«consumo»: un’attività astuta, dispersa, che però si
insinua ovunque, silenziosa e quasi invisibile,
poiché non si segnala con prodotti propri, ma
attraverso i modi di usare quelli imposti da un
ordine economico dominante» (p. 7)
M. De Certeau, 1990, L’invenzione del quotidiano
11/04/2016
Pagina 208
L’uso, ovvero il consumo
• «alla luce dei risultati di ricerche, spesso ragionevoli,
che hanno analizzato i «prodotti culturali», il loro
sistema di fabbricazione, la mappa della loro
distribuzione e la suddivisione dei consumatori in
base a tale mappa, possiamo considerare questi
prodotti […] come il repertorio in base al quale i
fruitori li utilizzano secondo modalità proprie».
• «si tratta di riconoscere in questi «modi d’uso» delle
«azioni» (nel senso militare della parola) che hanno
una forma e una creatività loro proprie e che
sottendono tacitamente il brulichio delle forme di
consumo» (tr.it. 2005, pp. 64-65)
M. De Certeau, L’invenzione del quotidiano, 1990
11/04/2016
Pagina 209
Il consumo
• «a una produzione razionalizzata, espansionistica,
centralizzata, spettacolare e chiassosa, fa fronte
una produzione di tipo completamente diverso,
definita «consumo», contrassegnata dalle sue
astuzie, dalla sua frammentazione legata alle
occasioni, dai suoi bracconaggi, dalla sua
clandestinità, dal suo instancabile mormorio, che la
rende quasi invisibile poiché non si segnala in alcun
modo attraverso creazioni proprie, bensì mediante
un’arte di utilizzare ciò che le viene imposto» (p. 66)
M. De Certeau, L’invenzione del quotidiano, 1990
11/04/2016
Pagina 210
Le traiettorie
• I consumatori «rappresentano «traiettorie determinate»,
apparentemente insensate poiché non sono più coerenti
con lo spazio costruito, scritto e prefabbricato entro il quale
si dispiegano.
• Sono fasi imprevedibili in un luogo ordinato dalle tecniche
organizzatrici dei sistemi.
• Benché abbiano come materiale i vocabolari delle lingue
ricevute (quello della televisione, del giornale, del
supermercato o degli assetti urbanistici), benché restino
inquadrate entro sintassi prescritte (le modalità temporali
degli orari, le organizzazioni paradigmatiche dei luoghi
eccetera) queste «traverse» rimangono eterogenee rispetto
ai sistemi che intersecano e dentro i quali insinuano astuzie
di interessi e desideri differenti» (p. 70)
M. De Certeau, L’invenzione del quotidiano, 1990
11/04/2016
Pagina 211
La strategia
• «Chiamo strategia il calcolo (o la manipolazione) dei
rapporti di forza che divengono possibili dal momento
in cui un soggetto dotato di una propria volontà e di
un proprio potere (un’impresa, un esercito, una città,
un’istituzione scientifica) è isolabile.
• Essa postula un luogo suscettibile d’essere
circoscritto come spazio proprio e di essere la base
da cui gestire i rapporti con obiettivi o minacce
esteriori (i clienti, i concorrenti, i nemici, la campagna
intorno alla città, gli obiettivi e gli oggetti della
ricerca).» (p. 71-72)
M. De Certeau, L’invenzione del quotidiano, 1990
11/04/2016
Pagina 212
La tattica: «astuzia, un’arte del più debole»
• «definisco tattica l’azione calcolata che determina l’assenza di un
luogo proprio. […]
• La tattica ha come luogo solo quello dell’altro. Deve pertanto
giocare sul terreno che le è imposto così come lo organizza la
legge di una forza estranea.
• Non ha modo di mantenersi autonoma, a distanza, in una
posizione di ritirata, di previsione e di raccoglimento in sé […].
• Si sviluppa di mossa in mossa. Approfitta delle «occasioni» dalle
quali dipende […]
• Deve approfittare, grazie a una continua vigilanza, delle falle che
le contingenze particolari aprono nel sistema di sorveglianza del
potere sovrano, attraverso incursioni e azioni di sorpresa, che le
consentono di agire là dove uno meno se lo aspetta». (p. 73)
M. De Certeau, L’invenzione del quotidiano, 1990
11/04/2016
Pagina 213
I nomadi del presente
• Alberto Melucci definisce gli uomini e le donne della
nostra epoca come «nomadi del presente»,
rimandando all’idea di creature che sono sempre
più determinate dal loro essere in movimento.
• Essere nomadi suggerisce la libertà nello spazio;
• essere nomadi del presente suggerisce la libertà
del tempo.
A. Melucci 1996, The playing self
11/04/2016
Pagina 214