Due anni fa sono stato in Sardegna con Diego

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FIRENZE, 29 Maggio 2008
Acqua e parola tra narrativa e mistica
Incontro tra antica cultura Sarda e tradizione ebraica
Presentazione dei libri “Onda Sigillata” e “La Donna delle Sette Fonti”
Lasciatemi iniziare con un’ovvia domanda: perché presentare insieme questi due libri?
In effetti, a prima vista, potrebbero sembrare non avere molto in comune: un romanzo sulla
guarigione di una ragazza e un saggio sui testi biblici. Eppure hanno molto in comune. Lo capiremo
meglio, naturalmente, dopo aver ascoltato i due autori, ma intanto vi anticipo il mio pensiero.
La prima cosa che hanno in comune è che sono due facce di uno stesso cammino; un cammino per
riscoprire se stessi, in un caso fatto da una ragazza malata che vuole guarire e dall’altro è il
cammino per riscoprire le proprie tradizioni spirituali, una guida verso il sentiero di Dio, come
indicato dalla Bibbia. Tutti e due sono cammini da percorrere con il cuore e tutti e due i libri sono
scritti col cuore.
E la parola cuore, come diceva il grande rabbino Hillel, racchiude tutta la Bibbia. La Bibbia inizia
con la lettera bet di bereshit, che vuol dire “in principio” (“In principio creò Dio i cieli e la terra”
“Bereshit barà Elokim et hashamaim veet haarez”), e termina con la lettera lamed della parola
Israel. Dal punto di vista umano, il percorso va, naturalmente, rovesciato: l’uomo, tramite il cuore
deve ritornare all’Uno. Lamed più Bet uguale Lev uguale cuore: la Bibbia è il cammino per tornare a
Dio, e questo cammino lo si può fare solo con il cuore.
La seconda cosa che hanno in comune è che entrambi i libri sono al femminile, perché cercano il
cambiamento. Sono un cammino di guarigione che passa per la purificazione dell’io, tramite la
sapienza antica.
Inoltre l’acqua è attore primario in entrambi i libri, ed è purificazione non solo fisica ma soprattutto
spirituale.
In entrambi la guarigione passa dall’uso puro della parola e della volontà; e “parola”, in ebraico, è
davar, che significa anche “cosa”, “azione”: Yarona dà rilievo alla parola e ci racconta le parole dei
testi sacri, svelandone i significati nascosti; Diego dà risalto all’azione e ci racconta una storia in cui
i significati sono sottintesi negli eventi. Acqua, parola, conoscenza, guarigione, stessa trama, stessi
elementi.
Anche i pozzi accomunano i due libri. Gli antichi Sardi scendevano nei pozzi sacri non per attingere
acqua, ma per pregare. Gli Ebrei consideravano i pozzi come raffigurazione della parte più profonda
dell’essere: non sono forse gli occhi il pozzo dell’anima? Non a caso, nella Bibbia, i primi amori
sono nati vicino ad un pozzo, pensate a Isacco, Giacobbe, Mosè.
Anticamente, per aprire un pozzo bisognava spostare la pesante pietra che ne copriva la bocca a
protezione: secondo la Kabbalah, questo corrisponde a togliere la pietra dal cuore per aprirlo agli
altri e ciò porta alla trasformazione e alla guarigione. Forse, l’acqua è nascosta sotto la pietra,
perché non cerchiamo mai nel cuore, ma nella mente, quando affrontiamo un evento.
Pozzo in ebraico si dice beer, che è anche radice del verbo spiegare. Per spiegare devi scavare come
per un pozzo. Se la spiegazione è giusta arrivi all’acqua; altrimenti è una buca di terra secca. Pozzo,
acqua, comunicazione e cuore sono collegati.
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Due libri, quindi, che ci chiedono di dare ascolto al proprio sentire e di aprirci agli altri. Mi piace
citare a questo proposito un testo rabbinico che dice: come il lago di Tiberiade è pieno di vita, e il
Mar Morto è, invece, salato e senza vita, il primo perché ha immissari ed emissari, e il secondo
perché è chiuso e stagnante, così solo da relazioni di reciproco scambio può nascere la vita.
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Onda Sigillata di Yarona Pinhas
Introdurre questo libro mi fa piacere per due motivi. Il primo è perché è un libro che mi è piaciuto
leggere; il secondo è perché seguo da qualche anno i corsi di Kabbalah tenuti da Yarona, e buona
parte della passione che provo per questi argomenti è dovuta a lei, al suo modo di solleticare la
curiosità, che, peraltro, pervade tutto il testo.
In “Onda Sigillata” Yarona ci racconta il “viaggio” che lei stessa ha fatto in tanti anni di studio sui
testi sacri ebraici. È la sua fatica nel porsi domande e le risposte che si è data. È la sua ricerca per
rendere semplici concetti che non le erano chiari e che ora condivide con chi vuole essere stimolato
e porsi delle domande a sua volta.
Vedete, nell’Ebraismo lo studio è un precetto fondamentale: secondo una leggenda midrashica 1, un
angelo insegna tutta la Bibbia al nascituro. Poi, al momento del parto, l’angelo sfiora con un dito la
base del naso del bimbo e cancella tutto il suo sapere. Il bambino nasce puro e ignaro, recando però
il segno di quel tocco: il leggero solco in mezzo al labbro superiore.
Questa rimozione della conoscenza prenatale è un invito rivolto prima di tutto ai genitori, ma poi ad
ogni singolo Ebreo, a recuperarne la memoria attraverso lo studio. Nessuno è escluso perché tutti,
già una volta, abbiamo saputo.
Studiare la Bibbia è, quindi, un comandamento, ma anche un rimedio al male e alle difficoltà della
vita, proprio come la preghiera. Rabbi Finkelstein diceva che quando preghiamo parliamo con Dio,
ma quando studiamo è Dio che parla con noi.
Se dovessi, allora, definire cos’è che mi attrae di più dell’ebraismo, direi senza dubbio che è
quest’amore per lo studio. E studiare è capire e commentare e, quindi, è amore per la discussione.
Gli Ebrei infatti amano discutere, discutono persino con Dio: pensate a Mosè che critica la scelta di
Dio di mandarlo in Egitto e ad Abramo che discute appassionatamente con Dio per salvare almeno
dieci giusti dal castigo di Sodoma.
Se guardiamo alla storia, in effetti, quando si vuole colpire gli Ebrei, per prima cosa si impedisce
loro di studiare e si bruciano i loro libri. E il primo libro ad essere bruciato è sempre stato il
Talmud, che sono le discussioni dei saggi e dei maestri sull’interpretazione dei passi della Bibbia2.
Perché discutere continuamente? Perché gli Ebrei non accettano passivamente ciò che viene detto
loro. Devono capire. Devono fare domande. Per questo i testi sacri, come la Bibbia e il Talmud, per
non parlare dei testi kabbalistici, sono spesso molto difficili e, a volte, ermetici: essi devono
obbligarci a porre domande.
Ma la bellezza di tutto ciò sta nel rispetto che ognuno mostra per le posizioni dell’altro. Nel mondo
del Talmud ogni posizione ha il diritto di essere ascoltata e anche apprezzata.
Pensate che due delle più famose scuole rabbiniche, quella di Shammay e quella di Hillel (siamo
circa una generazione prima di Cristo), proponevano interpretazioni della Legge continuamente
opposte fra di loro. Eppure nel Talmud è scritto che sia l’una sia l’altra sono parole di Dio, ovvero
aspetti diversi di un’unica verità.
Cioè, parole come maggioranza e pluralità sono capisaldi del comportamento ebraico. È la Bibbia
stessa, nel Deuteronomio, che dice che le decisioni vanno prese a maggioranza.
Ricordate la Genesi? “e l’Uomo fu fatto a immagine di Dio…” non solo il Faraone o il re dei Sumeri,
ma tutti gli uomini.
E anche con Dio si discute e ci si può persino arrabbiare.
il Midrash è un commentario alle scritture ebraiche, compilato tra il 400 e il 1200 e.v. ed è
basato su parabole e leggende
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Talmud significa appunto studio
1
3
A tal proposito c’è una discussione fra rabbini, raccontata nel Talmud.
Durante un’animata discussione, rabbi Eliezer si contrappone a tutti gli altri rabbini del Sinedrio e,
per dimostrare di essere nel vero, porta a supporto eventi miracolosi, come un albero che si sposta
da solo o un fiume che inverte la direzione, andando da valle a monte. Ma i colleghi non si
scompongono e rabbi Jehoshua dice: “si ma cosa c’entrano gli alberi e i fiumi con quello che stiamo
discutendo, qui la regola è che si discute e poi si vota”.
Dopo un ulteriore confronto, rabbi Eliezer decide di chiamare Dio stesso a testimone. E dal cielo
esce una voce che dice: “si è vero, in questo caso ha ragione rabbi Eliezer”.
A questo punto rabbi Jehoshua va su tutte le furie e grida: “non è nei cieli che si discute di Legge, ma
qui sulla terra. Tu e Eliezer contro una mezza dozzina di rabbini, siete in minoranza: la mezza dozzina di
rabbini vince”.
Dio, sorride e dice: “i miei figli mi hanno sconfitto, i miei figli mi hanno sconfitto”.
Cosa c’è di più bello contro ogni integralismo, ogni intolleranza. Dio stesso sorride e il sorridere
elimina la soggezione dell’uomo.
Ed è proprio da questi concetti che inizia il libro di Yarona, dall’aspirazione alla conoscenza,
all’inizio onnicomprensiva, ma poi sempre più specializzata. Così facendo, l’uomo tende a rifiutare
i contrasti, privilegiando una sola verità, che, cito Yarona (pag.21),
scambiamo per completezza ma è amputazione…
e ancora
Troppe volte l’umanità ha conosciuto l’orrore a causa di “verità assolute” che non tolleravano
opposizione e si ergevano a valore unico e assoluto… Dio non ha imposto la perfezione alla sua
creazione, al contrario, gli ha donato il dinamismo e il fluire della conflittualità.
In effetti, ad una lettura superficiale della Genesi, sembrerebbe di trovarsi di fronte ad un
Creatore quantomeno indeciso. Nel quarto giorno della creazione leggiamo:
E il Signore fece i due grandi luminari, il grande luminare per dominare il giorno ed il piccolo
luminare per dominare la notte (Bereshit 1,16).
Sembra che la creazione contraddica il disegno divino: i luminari sono uguali o no? E lo stesso
vale per tutte le altre cose create, come ad esempio per gli alberi.
Ma qual è la chiave d’interpretazione di questa narrazione biblica? Lo leggiamo nel libro di
Yarona: lo scopo della Creazione divina è di far continuare all'uomo il lavoro della Creazione per
associarlo a Dio.
E il Signore prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse. (Genesi 2,15)
A questo proposito vorrei riportare una discussione, citata nel Talmud e avvenuta nel secondo
secolo della nostra era, tra Tinneius Rufus, console romano, e rabbi Akivà, che chiarisce questo
concetto.
Rufus chiede ad Akivà: “Quali sono migliori, le opere di Dio o quelle dell'uomo?”
Questa è una domanda da un milione di dollari, ma rabbi Akivà risponde senza alcuna
esitazione: “Le opere dell'uomo. Guarda il grano, questo è un lavoro divino. Guarda il pane, questo è il
lavoro di un uomo. Vera perfezione si ottiene soltanto quando l'uomo associa i suoi sforzi con le opere
divine, diventando in tal modo un partner con Dio nella creazione”.
La morale che si ricava da questo racconto è che per il romano la perfezione è lo status quo:
esistono schiavi e padroni e nulla va modificato. Il bene è ciò che è naturale, mentre ciò che è
elaborato è da evitare. Dall'altro lato c’è il rabbino, per il quale il naturale è solo la metà della
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creazione; l'altra metà e l’elaborazione dell'uomo degli elementi naturali. Dio chiama l'uomo ad
unirsi a Lui e a completare la Sua opera nel guarire i malati, nel tutelare la società, nello
sviluppare le risorse naturali, a condizione, però, che la natura sia preservata, essendo l'uomo
Suo socio nella creazione, e non nella distruzione.
Adamo è messo in Eden come guardiano, ed essere guardiano3 di qualcosa significa non
possederla e doverne rispondere. La liturgia ebraica recita: “perfezionare il mondo sotto la
sovranità di Dio”.
Secondo i saggi, è il Femminile che ha la maestria di questo processo. A partire da Eva, il
pensiero femminile è stato la fonte del cambiamento. Per questo è stato spesso ostacolato,
pensate al medioevo e alle condanne per stregoneria. Non dice il Talmud, che la donna è stata
creata con una dose extra di saggezza e comprensione?
E il libro di Yarona è un libro tutto al femminile. Non perché Yarona è una donna sia ben chiaro.
Ma nel senso che il maschile è legato al lato teorico, logico, mentre il femminile al lato pratico. Un
uomo che studia la Bibbia si entusiasma ai significati, ai collegamenti… una donna si pone il
problema di come poter usare questi concetti nella sua famiglia, nella vita quotidiana.
Yarona, cioè, non era interessata a scrivere un libro di studio sulla Kabbalah: ci sono centinaia di
libri che già trattano questi argomenti, l’albero della vita, la parola, l’acqua… pensate che solo sulla
parola Bereshit, la prima parola della Bibbia, sono stati scritti più di settanta volumi… lei era
interessata, piuttosto, a qualcosa collegata al fare giorno per giorno. Per Yarona, come lei spiega
chiaramente nel suo libro, il fine non è la conoscenza fine a se stessa, ma la conoscenza applicata,
ché altrimenti sarebbe esercitazione sterile.
Un testo kabbalistico di Nahmanide dice: “ascolta, figlio mio, l’etica di tuo padre e la Torah4 di tua
madre”. La Torah viene dal femminile: è la madre che insegna la Torah al bambino: applicazione
alla vita non conoscenza astratta.
Allora, come già detto, il viaggio in questo bel libro è il viaggio che lei stessa ha fatto in tanti anni
di ricerca sui testi sacri. È un viaggio fatto soprattutto per se stessa, per rispondere ai suoi perché. E
ora, questa ricerca, Yarona la condivide, dando gli stimoli perché anche il lettore si ponga delle
domande.
Perché parlo di stimoli? Perché “onda” non è solo parte del titolo del libro, è anche una modalità di
comunicazione dei maestri kabbalisti: io ti dico una cosa, ma un’altra la nascondo, la devi capire tu.
Rivelare non è solo svelare, è anche velare di nuovo. Un’onda, quindi, di comunicazione.
Ne deriva che queste non sono tematiche facili, “Onda Sigillata” non è un libro che va letto tutto
d’un fiato, va interiorizzato, vanno fatti i collegamenti necessari.
E la spinta a solleticare la curiosità, Yarona ce la dà con piccoli paragrafi che possono essere letti da
soli, a salti, oppure di seguito, secondo l’interesse. Possono essere consultati perfino… come in un
dizionario, perché, in pratica, in queste pagine c’è un riassunto di tutta la Bibbia e della mistica
ebraica.
In effetti in “Onda Sigillata” si comprendono tante cose della Bibbia. La Bibbia non è
semplicemente una descrizione di eventi storici o di regole comportamentali. È qualcosa di molto di
più, che, purtroppo, nelle traduzioni perdiamo in massima parte.
In effetti nello Zohar, il testo più importante della Kabbalah, si paragonano le parole della Bibbia a
una noce. Cosa significa? Esattamente come la noce ha un guscio esterno e un nucleo interno, così
anche ogni parola della Bibbia contiene un significato letterale, un’interpretazione allegorica e un
senso più profondo, misterioso.
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Caino usa lo stesso verbo: “sono forse il guardiano di Abele?”
La Torah sono i primi 5 libri della Bibbia, dati da Dio a Mosè sul Sinai
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La Bibbia è scritta, infatti, a più livelli: il primo, il più semplice, letterale, che racconta un fatto
storico, e gli altri più interni, più segreti, in cui la scelta di ogni parola ha un significato preciso.
Quattro livelli di lettura che Yarona ci spiega corrispondere ai famosi quattro fiumi del paradiso.
Quante volte, leggendo la Bibbia, mi sono chiesto cosa c’entrassero i quattro fiumi, che poi non
hanno corrispondenza nella geografia. Pensate che alcune Bibbie non Ebraiche, saltano addirittura il
paragrafo, considerandolo inutile.
Questo, purtroppo, è un grosso problema, tradurre vuol dire tradire dice il maestro Haim Baharier e,
molte volte, l’interpretazione non “originale”, trasfigura completamente il testo.
Come si possono capire le stesse cose che capivano gli Ebrei di tre millenni fa, se sostituiamo “le
Dieci Parole” con “i Dieci Comandamenti”: non si impongono comportamenti, ma si definisce
un’identità.
Se traduciamo “obbedire”, quando non esiste tale parola in Ebraico. La Bibbia usa shemah, cioè
"ascolta", "interiorizza": nulla viene ordinato, è sempre una nostra scelta.
Se non teniamo in conto che in Ebraico non esiste il verbo avere: non dico “io posseggo un libro”,
ma “quel libro è a me”, e se non capiamo questo, come possiamo, ad esempio, capire il rapporto tra
Esaù e Giacobbe: è l’essere che conta, non l’avere.
Oppure, come possiamo capire il senso della Bibbia, se usiamo la parola “peccato”, che non è mai
citata: non parla di peccato la Bibbia, ma di errore.
E come possiamo capire il senso del “non farti immagini”, o dello stesso concetto di Dio, se non
capiamo che nell’Ebraico biblico non esistono “cose” ma solo “parole”: il mondo è fatto di parole.
E non esistono nemmeno i nomi; sono i verbi che comandano nella Bibbia: tutto è fluire, niente è
statico. E non c’è scritto: “Io Sono quel che Sono”, ma “Io Sarò quel che Sarò”.
La stessa idea dell’aspetto terribile dell’Ebraismo e della Bibbia ebraica, origina da una serie di
equivoci di traduzioni e interpretazioni.
Volete un esempio? Prendiamo la frase “occhio per occhio, dente per dente”, frase portata spesso a
dimostrazione di indole vendicativa, che, peraltro, non è nemmeno scritta così. Nella Bibbia è
scritto ayin taha ayin, “occhio sotto occhio”. E in ciò si fonda il concetto del rimborso equo del
danno e non della legge del taglione che era nel codice di Hammurabi. Ovvero ripagherai col valore
dell’occhio che hai ferito. E se fosse stato un cieco a cavare un occhio a qualcuno? Come faremmo
a punirlo?…
Questa è l’interpretazione letterale della Bibbia. Ritornando al livello, invece, più interno, Yarona ci
dà l’interpretazione nascosta e ci spiega che “frase” in ebraico significa anche “giudizio”. Ogni
nostra frase può essere, quindi, una sentenza di vita o di morte e colui che giudica l’altro verrà
giudicato dal Signore. Questo è il vero senso della frase “occhio per occhio, dente per dente”.
Quindi, il criterio di giudizio che hai adottato nei confronti dell’altro sarà usato per giudicare te.
Solo la vittima può perdonare, Dio non interviene.
L’Ebraico è, inoltre, una lingua consonantica, le vocali vengono aggiunte mentalmente dal lettore, a
seconda del significato della frase, quindi stesse consonati possono formare parole diverse ma con
significati legati fra loro.
Yarona ci dà tanti esempi di questo, e ci dona anche tante curiosità. Ad esempio tutti conoscono la
parola abracadabra (pag. 50), ma che significa? È aramaico e si scompone in abara, “creo” e
adabra, “parlo”, ovvero “creo mentre parlo”. Ricordiamo che Dio ha creato il mondo con le parole,
e l’uomo, essendo a immagine di Dio, può con le parole creare angeli o demoni. Leggiamo, infatti,
che ogni nostra azione, non solo influisce sul mondo circostante, ma crea anche nuove forze
spirituali. Quando facciamo un atto di bontà noi creiamo un “angelo buono”, una forza di energia
positiva. Dall’altra parte, quando agiamo con egoismo o in modo distruttivo, creiamo un “angelo
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cattivo”, un’energia negativa. Nella nostra vita accumuliamo legioni di queste creature che sono
nostre creazioni, le quali si librano attorno alle nostre anime.
Come Dio siamo creatori e le nostre creazioni sono nelle nostre mani.
Questo ci ricorda analoghi insegnamenti orientali: creiamo karma, energia nera, con le cattive
azioni e dè, energia bianca, con le buone; le malattie, la fortuna e la malasorte, dipendono dal
bilanciamento di queste forze che circondano i nostri corpi.
Di qui l’importanza di controllare le parole. Nella tradizione ebraica calunniare una persona è come
ucciderla, e davar, che significa parola, può essere letta anche dever che è “peste”: perché la
maldicenza, come un’epidemia, si diffonde. E Yarona ci racconta una simpatica storiella su
questo… ma non ve la dico, ve la leggete.
Altro esempio è Adam5, Adamo, che significa genere umano, dove la A è scritta con la alef, la
prima lettera dell’alfabeto, che rappresenta il divino, l’Uno. Infatti nell’ebraico i numeri sono
prodotti con le stesse lettere dell’alfabeto, per cui ad ogni parola è attribuibile un valore numerico e
alef vale uno. Tornando ad Adam, se l’uomo perde la sua parte divina, cioè tolgo l’alef, resta dam
che è sangue: l’uomo senza spirito è solo violenza. Questo vale anche per emet che significa verità,
se tolgo la prima lettera, l’alef, resta met che significa morte, poiché non c’è vita senza verità.
Ancora, Elokim, Dio, ha lo stesso valore numerico di tevah, natura: il Creatore si rivela tramite la
natura, per questo non c’è separazione tra religione e scienza nell’Ebraismo e molti rabbini sono
anche scienziati.
Ma c’è dell’altro, le lettere hanno una forma e anche questo fa parte della Bibbia: ad esempio alcune
lettere sono scritte con caratteri più grandi. Nel libro di Yarona, scopriamo che nella storia di
Pinhas, il sacerdote che si macchiò di omicidio per difendere il Popolo d’Israele dall’idolatria,
troviamo una lettera vav spezzata. La lettera vav rappresenta il collegamento col divino, e questo era
stato interrotto dal suo comportamento.
Tutto questo, nella Bibbia tradotta, si perde completamente. Ci viene in soccorso però “Onda
Sigillata” che, come abbiamo visto, analizza i testi sacri, ne scompone le frasi, le parole, le singole
lettere. Ne trova i significati segreti, e ci comunica i preziosi insegnamenti morali che vi sono
nascosti tra le righe.
Ma qual è la prima cosa che ci chiediamo se vogliamo sapere se su un pianeta c’è vita? Ci
chiediamo se, in quel pianeta, c’è o meno acqua. Per questo i saggi del Talmud paragonano la
Bibbia all’acqua sorgiva. Perché la Bibbia, come l’acqua è indispensabile alla vita.
In “Onda Sigillata”, c’è uno stupendo capitolo sull’acqua: “Le acque della Creazione”. E che
l’acqua abbia a che fare con la vita lo vediamo dalla stessa parola vita, chayyim, formata da chay,
vivente, e yam, mare.
Lo spirito di Dio si librava sulle acque e, nel secondo giorno, Egli separò le acque sotto i cieli da
quelle sopra i cieli (Gen. 1,7).
Il Talmud ci racconta che le acque inferiori si lamentarono con Dio: «anche noi vogliamo stare vicino
a Te», e Dio le consolò dicendo che lo sarebbero state ogni anno, durante la festa di Sukkot per la
celebrazione dell’estrazione dell’acqua, quando sarebbero state versate sull’altare.
Ma non solo le acque furono separate, continua il Talmud, anche l’anima dell’uomo fu separata:
una parte fu posta nel corpo fisico e un’altra rimase nei cieli. E anche l’anima nel corpo voleva
essere vicina a Dio e si lamentò per essere costretta in un corpo materiale.
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Adamé le’elion, simile all’Altissimo.
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E Dio le rispose: «Quando tu utilizzerai le tue energie per seguire i Miei Comandamenti e vivere una vita
gioiosa ispirata alla Mia Bibbia, tu sarai vicino a Me, più vicino di quanto qualsiasi cosa nei cieli possa
essere».
L’anima come l’acqua, quindi.
Acqua, in ebraico, si dice maim, due mem e una iod, proprio come la formula dell’acqua, H2O. E
come le molecole dell’acqua si agitano freneticamente, così anche le nostre anime si agitano
continuamente, sempre alla ricerca di risposte.
Secondo lo Zohar, la parola maim è composta dalle due domande fondamentali che l’uomo si pone:
ma, che significa “cos’è?”, e mi, che vuol dire “chi sono?”
E queste sono le due domande esistenziali che ci poniamo continuamente, perché scopo dell’uomo è
scegliere:
«ho messo dinnanzi a te la benedizione e la maledizione, la vita e la morte. Scegli la vita», dice Dio.
A noi la scelta.
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La Donna delle Sette Fonti di Diego Manca
Due anni fa sono stato in Sardegna con Diego. Abbiamo fatto un giro nei luoghi del romanzo: le
fonti, i pozzi… ho visto una Sardegna meravigliosa. Ma andando in giro avevo come l’impressione
di un dejà vue, non dei luoghi, ma del sentire, del contatto con la natura: con l’acqua, con le pietre,
con i pozzi…
Piano piano era come se le parole del libro di Diego stessero descrivendo un’antica sapienza, che io
conoscevo per altre vie. Una saggezza legata all’antica tradizione biblica.
È da qui che ho iniziato a leggere “La donna delle sette fonti” con un diverso paio di occhiali. Ogni
parola, ogni situazione sembrava in accordo con gli antichi insegnamenti della Kabbalah.
Ma cos’è “La Donna delle Sette Fonti”?
“La Donna delle Sette Fonti” è un romanzo, non è una storia reale. Tia Nanna e Zia Rosaria non
esistono realmente, anche se esistono persone reali a cui Diego Manca si è ispirato. “La Donna
delle Sette Fonti” è un romanzo di idee, di sentimenti: è un cammino verso la conoscenza di se
stessi. È la storia della guarigione da una grave malattia di Antonietta, una ragazza di 14 anni di
Cabras, che riscopre la sacralità della vita e, con essa, quella della sua terra e delle sue acque.
Antonietta consuma una vita di insoddisfazioni, senza neanche avere il coraggio dei sogni di un
futuro migliore. Dopo la scoperta della grave malattia, le donne della sua famiglia la presentano ad
un’anziana, Tia Nanna, amica di vecchia data, che gestisce una trattoria e ha doti di guaritrice.
L'incontro vede subito fronteggiarsi l’apatia da una parte e la volontà di dare senso alla vita
dall’altra. L'educazione o la rieducazione della ragazza inizia, infatti, all’istante: Tia Nanna chiede
ad Antonietta di cambiare nome e farsi chiamare Maria, nome che la rappresenta meglio, e le
impone un nuovo modo di rapportarsi col mondo circostante, col cibo, con tutto. Ogni cosa dovrà
essere vista con occhi nuovi e trattata con rispetto e riconoscenza. Ma il cambiamento maggiore
dovrà essere soprattutto con la natura: con l’acqua, con i fiumi, le cascate e gli alberi. Maria dovrà
trattarli come cose vive che la ascoltano e la capiscono. Saranno suoi confidenti e amici.
È la meravigliosa Sardegna antica e incontaminata questa: quella dei boschi di querce, delle fonti e
dei pozzi sacri. Con la guida di Tia Nanna, Maria percorrerà e completerà un viaggio di scoperta e
di crescita, visitando luoghi e fonti sacre. Conoscerà la potenza vitale dell’acqua e ne assaporerà la
sacralità, fisicamente e spiritualmente. Un cammino che la porterà alla guarigione dalla malattia, ma
soprattutto al superamento di quella incapacità di sentirsi responsabile che la stava allontanando
dalla vita.
L’acqua è una protagonista di questo romanzo, come lo è il “femminile”, non solo perché i
personaggi principali sono tutte donne, piuttosto perché l’interesse di Diego è la comunicazione, la
trasformazione e la sperimentazione, caratteristiche, queste, tutte femminili.
Per Diego, ciò che è in natura ha un legame diretto con il mondo spirituale: ogni azione ha un
effetto sui mondi superiori. E ciò non è per Diego solo un modo di pensare. Egli ha sempre
praticato e non solo studiato: si è interessato di buddismo, praticandolo per anni; si è interessato di
sciamanesimo, ed è stato allievo di Hyemeyohsts Storm, seguendo la Via della Medicina degli
Indiani d'America. Ora sta studiando la Kabbalah6, imparando anche l’ebraico per poter meglio
comprendere e mettere in pratica millenni di insegnamenti.
La Torah trasmette i suoi messaggi simultaneamente su differenti livelli di significato. In
generale ci sono 4 livelli, descritti dall’acronimo ebraico "PaRDeS": significato superficiale del
testo (Peshat), allusioni o allegorie nel testo (Remez), omilettico o modo rabbinico di leggere
nuove lezioni nel testo (Derash) e lettura segreta (Sod).
Quest’ultima è la dimensione mistica dell’Ebraismo, quella della Kabbalah, che fornisce una
prospettiva della realtà spirituale da cui deriva qualunque cosa nell’universo. Capire queste
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Dopo tanto girovagare Diego si è reso conto di una cosa: tutto è uno. Ai livelli superiori tutte le
pratiche vere dicono le stesse cose, anche se non tutti seguono lo stesso cammino. La Spiritualità è
come una montagna, tutti puntano alla cima, che è una. Qualcuno, però, si ferma su un altopiano e
si accontenta di vedere la cima dal basso; qualcun altro sale da sud, in mezzo agli alberi, un
cammino pieno di sole; altri ancora salgono da nord, col freddo e il vento. C’è anche chi cerca la via
diretta: un 6° grado; chi resiste può arrivare prima, ma molti cadono. C’è infine chi, guardando la
cima coperta di nuvole, e non vedendola, si chiede: “ma c’è una cima?”
Ne “La Donna delle Sette Fonti” ci sono molte di queste esperienze, ma forse è proprio la visione
kabbalistica della vita quella che gli si confà maggiormente.
“La Donna delle Sette Fonti” è un romanzo “terrestre”, ossia rivolto all’ingaggio totale con questo
mondo, al non annullare i desideri ma a cambiarne il fine, al considerare ogni oggetto come sacro,
santificando le cose con la ritualità del quotidiano. Differentemente dal celeste di alcune filosofie
orientali, tese a lasciar andare l’attaccamento a cose e persone e al superamento della sofferenza
esistenziale. Parafrasando un detto del Gaon di Vilna7, grande saggio del 18mo secolo, il fine
dell’ebraismo e della Kabbalah non è quello di trascendere questo mondo, ma quello di elevarlo,
così perfezionando se stessi.
Ogni concetto in questo libro è intriso di idee kabbalistiche. Così come la Torah 8 è un cammino di
elevazione dell’Uomo e di guarigione dell’Anima, il libro di Diego Manca è un cammino di
guarigione e di ritorno al sé. Così come la Torah è detta “Acqua di Vita” e “Sorgente di Vita”, nel
libro di Diego è l’acqua che ci dà la spinta. Il Creatore è infinito e immutabile. L’uomo, che vive in
un mondo finito e mutabile, usa la preghiera come veicolo di comunicazione ed elevazione: la
preghiera è la scala che mette in contatto il mondo spirituale con quello materiale. Ma pregare, in
ebraico, è un verbo riflessivo, poiché la preghiera è rivolta per prima a noi stessi. Essa cambia noi
stessi, non il Creatore. Siamo noi che dobbiamo risalire la scala dopo la caduta sulla Terra. Così, ne
“La Donna delle Sette Fonti”, non ci curiamo attraverso il contatto fisico con l’acqua, ma
innescando l’effetto guaritivo con la consapevolezza del nostro sé, riconoscendo il nostro ruolo e
avendo il coraggio di porci in gioco e di risalire la scala, gradino per gradino.
«Non basta!» fu la risposta di Tia Nanna. «Ti devi impegnare! Se stai facendo sul serio, devi tornare
all’albera e le devi promettere che t’impegni a guarire. Va’!»
Non solo ci dobbiamo impegnare nella volontà, nell’intenzione che mettiamo nelle cose: nella
Kabbalah, la santità della vita va trovata in ogni nostro atto. Ogni cosa è importante e degna di
rispetto. Ogni atto è fondamentale e va vissuto nel momento.
«Devi imparare ad apprezzare e a trattare con rispetto le cose che mangi, Maria», continuò Tia Nanna.
«Quando tocchi i ravioli, o un pomodoro, o una foglia di basilico, o un pezzo di pane oppure bevi un sorso
d’acqua, pensa che sono tutte cose che ti fanno vivere, che fanno vivere te!»
forze e i loro effetti ci consente di percepire l’unità con la Creazione e usare questa conoscenza
per guidarci in tutti gli aspetti della vita.
La parola Kabbalah significa “ricezione”, “accettazione” e anche “parallelo”. L’Insegnamento,
infatti, viene ricevuto da Mosé, ma non basta riceverlo, bisogna accettarlo, mentre il terzo
significato è nella ricerca di un’unica Legge, che metta in parallelo mondo spirituale e
materiale.
7
Elijah (Eliyahu) ben Shlomo Zalman (1720 – 1797), detto Gaon di Vilna. È stato uno dei più
influenti rabbini degli ultimi secoli. Straordinario talento non solo in argomenti ebraici ma
anche in matematica e astronomia, ricevette il titolo di Gaon, “Genio”.
8
I primi cinque libri della Bibbia ebraica, detti anche Pentateuco.
10
Tia Nanna continuò a mettere i ravioli nell’acqua bollente, con tale concentrazione e attenzione che
sembrava si fosse dimenticata di lei.
Non esistono attività meno importanti: santificare ogni nostro atto significa fare il nostro lavoro con
coscienza. Questa è una delle intuizioni più profonde della Kabbalah: ogni cosa nella vita ha un
senso, perché ogni cosa è stata creata per un motivo, secondo un progetto. Per questo nell’ebraismo
ogni precetto è minutamente descritto, è un’azione consacrata. La ricerca della perfezione è sempre
presente in chi segue questa via.
Le spiegò allora che se non faceva bene un lavoro, significava che non stava rispettando se stessa, poiché
non ci sono lavori belli o brutti e che anche lavando i piatti lei era sempre lei. Cercare di svolgere
qualunque attività il meglio possibile era un modo per rispettare se stessa: è questo che doveva capire, ad
ogni costo.
«I cuochi a volte preparano male un piatto di fagioli e invece preparano con attenzione un piatto di
aragosta», le disse un giorno Zia Rosaria, vedendola sbucciare svogliatamente delle patate. «Devi imparare
a preparare qualunque cibo con il massimo impegno e attenzione. Diversamente, anche se non te ne
renderai conto, avrai la tendenza a umiliarti con chi ritieni superiore a te e a trattare con sufficienza chi
consideri inferiore.»
E per cambiare, Antonietta deve iniziare cambiando il suo nome in Maria. Perché Maria è il nome
che rappresenta il suo “io”.
«Ti volevo dire che da ora, per tutti, lei è Maria!» le disse Tia Nanna.
Il leggendario kabbalista del 16mo secolo, rabbi Isaac Luria, diceva che la natura essenziale di una
persona poteva essere scoperta analizzandone il nome. Ricordiamo che il nome ebraico per la parola
“anima” è neshama, che a sua volta contiene la parola shem, “nome”: l’essenza è contenuta nel
nome. È come un recipiente che è definito dal suo contenuto: se è vuoto diciamo: «passami quel
recipiente»; ma se contiene del latte diciamo: «passami il latte».
Nell’ebraismo, quando una persona è malata, è in uso dargli un nome aggiuntivo, come buon
auspicio. Ad esempio Chaim, vita, o Rafael, curato da Dio. E, nella Bibbia, ogni volta che un
personaggio cambia nome, è un segno di trasformazione spirituale: è come se fosse rinato.
Il Popolo della Torah è il Popolo che segue le vie indicate dal Nome. Iddio è HaShem: il Nome.
Adamo conosce e ha potere sugli animali perché gli dà un nome: il cane è chelev, tutto-cuore,
mentre il leone è aryeh, che incute timore, la cicogna è chasidà, amore.
Tia Nanna le rispose che era una pianta di leccio e le annunciò che, ora che sapeva come si chiamava,
poteva andare a piantarla in un posto speciale, poiché quella pianta sarebbe stata la sua amica per tutta la
vita.
E chi è Maria? Maria è Miriam, che significa “acque amare” ma che, permutando le lettere, si può
leggere ”acque elevate”, mentre nell’etimologia egizia significa “la madre del mare”. Miriam è
quindi legata alle acque: nel deserto, infatti, è colei che disseta il popolo con il suo pozzo, al punto
che, alla sua morte, Mosè dovrà colpire la roccia, per trovare dell’acqua. Inoltre, come donna,
Miriam è legata alla praticità, alle incombenze giornaliere, all’hic et nunc. È singolare l’episodio
dell’inno al mare, intonato da Mosè appena attraversato il Mar Rosso. Anche Miriam e le altre
donne celebrano la gloria del Signore per quanto appena avvenuto e, mentre nel suo canto, Mosè
usa il verbo futuro, Miriam usa il presente: il maschile è legato alla progettualità, il femminile è
calato nel momento.
11
Ed è l’acqua che guarisce, l’acqua che in ebraico si dice maim, mentre cielo è shamaim, ovvero le
acque lassù. Il Creatore divise le acque “di giù” dalle acque “di su”, perché all’origine tutto era
acqua. Dall’acqua si è formata la vita, tanto che un bimbo nasce con la rottura delle acque; il diluvio
purifica la terra; gli Ebrei attraversano le acque del Mar Rosso per uscire dalla schiavitù.
L’attraversamento delle acque riguarda sia il trapasso sia il vedere la luce. Ed è il pozzo che riunisce
le acque di su, piovane, con le acque sotterranee della terra: le acque superiori rappresentano la
saggezza e quelle inferiori l’emotività.
“Pozzo” in ebraico è beer, stesse lettere di barà che significa “creò”, la seconda parola della Torah,
da cui deriva briut, “salute”. Guarire è come essere rigenerati, ricreati. La salute, quindi, è legata
all’Inizio, ma anche al pozzo, nel senso che collegando costantemente il basso con l’alto, il creato
con la fonte creativa, si ottiene il benessere.
Il pozzo di Miriam è il simbolo della sapienza. Il grande kabbalista Arizal non mise mai per iscritto
il suo sapere: fu il suo discepolo rabbi Vital9 a trascrivere le sue lezioni. Ma all’inizio non riusciva a
capire nulla di quello che il maestro gli insegnava. Allora l’Arizal lo portò a bere l’acqua del pozzo
di Miriam presso Tiberiade e da allora rabbi Vital fu in grado di comprendere ogni insegnamento e
di trascriverne le parole.
Il pozzo è saggezza, perché l’acqua è legata alla verità: maim si scrive in ebraico con la lettera mem,
che è la lettera al centro dell’alfabeto ebraico, mentre verità si dice emet che si scrive ‫ אמת‬dove la
prima lettera a destra è l’alef, prima lettera dell’alfabeto, la prima a sinistra è la tav, ultima lettera
dell’alfabeto, e al centro c’è la mem. L’alef rappresenta l’Uno, il collegamento col Divino, mentre la
tav è il terreno, l’esistente, la materia; la mem è al centro come il perno della bilancia. Se togliamo
da questa parola il collegamento col Divino, resta ‫ מת‬met che è morte. Non c’è vita senza verità: e
non c’è vita senz’acqua.
È significativo che la Torah sia detta “Insegnamento di Verità”, ma anche “Sorgente di vita” e
“Acqua di vita”.
Dal punto di vista della ghematria10, la mem vale 40, come i 40 giorni della quarantena, dopo i quali
non si è più a rischio di malattia: dunque, l’acqua è completo ristabilimento, guarigione. I 40 giorni
nel deserto per purificare lo spirito, che ricordano i 40 giorni dopo il concepimento in cui l’anima
discende nel feto; i 40 giorni di diluvio, i 40 giorni di Mosè sul Monte Sinai; e ancora, i 40 anni
trascorsi nel deserto dagli Ebrei per purificare le loro anime dopo l’errore del vitello d’oro.
L’acqua è quindi anche purificazione non solo fisica ma spirituale. In ogni comunità ebraica è
presente un bagno rituale, il mikveh, una piscina di acqua “viva”, che cioè raccoglie acqua piovana
o di fonte, che viene usata per le purificazioni rituali: e il minimo quantitativo lecito è di 40 seim11. I
convertiti all’ebraismo si bagnano nel mikveh durante il rituale della propria conversione; le donne
sposate usano il mikveh dopo il periodo del ciclo, prima di riprendere i rapporti sessuali con il
marito; gli utensili non puri vengono immersi in un mikveh, prima di essere usati; gli uomini vi si
Rabbi Chaim ben Yosef Vital (1543 - 1620) fu uno dei maggiori esponenti della scuola
kabbalistica di Safé. Allievo prediletto del Santo Ari, gli successe alla sua morte e cominciò a
scrivere tutto quello che aveva imparato dal suo maestro.
10
In Ebraico i numeri sono rappresentati dalle lettere dell’alfabeto, quindi ad ogni parola è
attribuibile un valore numerico. La ghematria è una delle tecniche della Kabbalah per scoprire
delle identità di significato nascoste nelle lettere, nelle parole o nelle frasi.
11
Circa 750 litri.
9
12
immergono prima dello Yom Kippur12, per essere puri agli occhi di Dio… e dal mikveh deriva la
pratica del battesimo cristiano.
Qual è il significato del numero 40? Il 40 rappresenta la metamorfosi, la trasformazione: dopo 40
giorni, il feto di un bambino inizia ad avere una forma riconoscibile e, ritornando ai 40 giorni di
diluvio, non si trattò di vendetta o punizione, come superficialmente assunto, ma di riparazione e
riconciliazione, di trasformazione e purificazione del mondo, nello stesso modo in cui un mikveh
purifica una persona. Lo stesso vale per i 40 anni nel deserto: la nazione che si era ribellata a Dio, si
trasforma in una nazione pronta ad aderire al Suo mondo.
Così, anche Maria chiede alle acque del sacro pozzo di Santa Cristina di purificarla:
«Lavami, puliscimi, guariscimi», pregò dentro di sé.
«L’acqua scioglie gli elementi, Maria, li lava, li modifica. È la sostanza dalla quale dipende tutta la vita. Gli
Antichi scendevano qui non per lavarsi, ma per pregare. Pregavano Nostra Signora delle Acque di
purificarli e guarirli dai loro mali e Lei dava loro una purezza che potevano trovare solo in questi luoghi,
perché è l’Acqua la sostanza che lava le impurità dello Spirito.»
Il pozzo che guarisce, come quello di Miriam, è un pozzo di acque femminili, non è quello di
Abramo. La lettera mem non rappresenta solo l’acqua, bensì anche l’utero. L’acqua è l’utero della
Creazione: dall’acqua le prime forme di vita. In effetti il primo verso della Torah dice «In principio
Dio creò i cieli e la terra» e il secondo «… lo spirito di Dio aleggiava sulle acque». Quali acque che
non erano ancora state create? Sono il grembo da cui la Creazione emerse. Lo stesso concetto del
mikveh: quando se ne emerge si è come ricreati.
«Una volta anch’io ero così stupida», proseguì Lucia, «sempre a immaginare cose brutte. Quello che ne ho
avuto è che ero sempre di cattivo umore e in più mi sono ammalata del fuoco di Sant’Antonio. Ho
incominciato a guarire solo dopo che Tia Nanna mi ha mostrato come fare a lavare i pensieri e a tenerli
puliti.»
Iniziare il processo di guarigione è iniziare a cambiare la propria vita. Parafrasando il grande rabbi
Nachman13, non dobbiamo commettere lo stesso errore di tutti coloro che rinunciano a cambiare
perché si sentono imprigionati nelle loro abitudini. Bisogna cercare sempre il bene che c’è in noi,
avere sempre pensieri positivi. Comprendere che gli ostacoli che incontriamo sono presenti di
proposito per aumentare il desiderio di raggiungere la meta; cercare il sacro nell’ordinario e lo
straordinario nella routine; amare la vita perché sacra.
«Lo sai qual è il tuo male? È che non vuoi bene a nulla e a nessuno, neanche a te stessa, Maria. Come puoi
pensare a guarire, se non vuoi bene alla vita?» Affermò che se voleva vivere avrebbe dovuto combattere
quell’atteggiamento di passiva indifferenza che aveva nei confronti di tutto e di tutti. Le spiegò che se non
fosse stata curiosa del mondo che la circondava, molto difficilmente sarebbe stata curiosa nei confronti di se
stessa. E se non fosse stata «curiosa» come avrebbe potuto prendersi cura di sé? «Ci voglio riuscire! Voglio
guarire!». Se non rispetti te stesso non rispetti gli altri.
È il giorno ebraico della penitenza, viene considerato il giorno più santo e solenne dell'anno.
Il tema centrale è l'espiazione dei peccati e la riconciliazione.
13
Rabbi Nachman di Bratslav (1772 – 1810), rivitalizzò l’ebraismo hassidico, la corrente
religiosa cosiddetta dei “pii”. Gli insegnamenti di rabbi Nachman continuano ancor oggi a
ispirare molti Ebrei nel mondo intero.
12
13
Machallà, malattia, si può leggere come mechillà, perdono, ed è simile a chemlà, compassione:
dunque la malattia è l’incapacità di perdonare se stessi o gli altri. È come l’acqua stagnante, richiusa
su se stessa, che imputridisce e infetta l’ambiente circostante.
«Non so neanche come si chiami la tua malattia; so solo che ti ha avvelenato il sangue. Se non cambi la tua
vita, non ti rimarrà molto da vivere.»
L’inizio del cambiamento è l’accettazione14 di se stessi, il non vergognarsi dei propri sentimenti, il
parlarne con vigore. Come diceva rabbi Nachman: «Per essere una persona che dimora nella verità,
non farti influenzare né dall’approvazione, né dalla disapprovazione»15, e ancora «Le parole hanno
un grande potere per risvegliare una persona spiritualmente»16.
Quando ebbe finito di lavare i piatti Lucia le annunciò che l’indomani sarebbero andate a una cascata dove
le avrebbe insegnato a parlare.
«A parlare?» si stupì Maria, «ma io so già parlare.»
«Sì, come gli agnelli che vanno a farsi scannare», intervenne Tia Nanna, che aveva sentito la conversazione.
Nelle scuole dove si studia il Talmud17, gli studenti studiano ripetendo continuamente gli
insegnamenti a voce alta. Questo perché “parola”, davar, significa anche “cosa”, “atto”: solo
pronunciandola una frase può essere interiorizzata, altrimenti resta pensiero e potenzialità non
manifestati e realizzati.
«D’ora in avanti impara a parlare a voce alta, usando la volontà!»
«Così non ti sentirà mai», gridò Lucia, facendola sobbalzare per la sorpresa. «Metti più forza nelle parole!
Parlare a bassa voce e con la testa bassa ti debilita», continuò. «Alza la testa e parla a voce alta!»
E cambiamento è anche e soprattutto affermare i propri desideri e i propri sogni, per mettere in atto
la forza di volontà e agevolare il cambiamento..
Confessò che le sarebbe piaciuto fare la giornalista. Si vergognava un po’ di ciò che aveva detto, e aggiunse
subito che in ogni caso era solo un sogno e che figurarsi se lei avrebbe mai potuto lavorare in un giornale o
alla televisione. Aggiunse, sorridendo, che i sogni, se non hanno qualcosa da mangiare, muoiono, come tutte
le cose. «Ragazza debole e rassegnata», esordì Tia Nanna, spietata. Sogni di diventare una giornalista e non
fai nulla per realizzare questo sogno.»
Mai perdere la speranza: «Perdere la speranza è come perdere la libertà, è come perdere il tuo sé 18».
Se veramente vuoi, ottieni: «Se il tuo desiderio è abbastanza forte e la tua concentrazione
abbastanza intensa, puoi far si che si realizzi19»
C’è un altro concetto, espresso nel libro di Diego, che è particolarmente kabbalistico: quello del
femminile. E non è un caso che i personaggi del libro siano 7 donne, come i sette bracci della
Menorah, il candelabro simbolo ebraico per eccellenza. Come dicono i saggi rabbini, ogni cosa ha
In ebraico Kabbalah
Rabbi Nachman, “La sedia vuota“. Edizioni Gribaudi
16
Rabbi Nachman, ibidem
17
Il Talmud consiste in una raccolta di discussioni avvenute tra i sapienti e i maestri circa le
leggi, l’etica, i costumi e la storia ebraiche.
18
Rabbi Nachman, ibidem
19
Rabbi Nachman, ibidem
14
15
14
in sé una parte maschile e una femminile. La parte femminile è quella celata 20,21: la donna è stata
creata da una costola di Adamo, una parte nascosta, ma che è il sostentamento del corpo, l’osso.
Il femminile rappresenta il desiderio di ricercare, provare, sperimentare. Eva parla con il serpente,
ritenendolo conoscitore, ma la parola serpente, in ebraico, significa anche “indovinare”. Non a caso
Eva, in Aramaico, è anche serpente. Per questo è Eva a contravvenire al divieto del Creatore: la
parte femminile vuole conoscere, non si accontenta. E mentre Adamo (Adam), in Ebraico, è formato
da terra (adamà) e da sangue (dam), Eva (Chavà) ha nel suo nome le lettere del sacro Tetragramma,
il Nome del Creatore: perché è Eva che crea, che dà alla luce, e Chavà significa appunto “madre di
tutte le genti”.
Ne “La Donna delle Sette Fonti” l’albero diventa l’albera: perché l’albera dà i frutti. Ed è ancora
per questo che i personaggi sono donne: perché è la sciamana che conosce i segreti nascosti, che ti
può guarire, che è in contatto col mondo velato e nascosto, in contrapposizione al mondo svelato e
manifesto di Adamo.
Nel libro di Diego c’è ancora un concetto squisitamente ebraico e kabbalistico, e cioè che la chiave
per crescere è lo studio. Dall’Eden infinito siamo stati limitati a questo mondo, che ci nasconde la
realtà spirituale: infatti, “mondo” in ebraico è olam, “nascosto”, e siamo limitati solo a ciò che
percepiamo con i cinque sensi. Il Creatore, dopo l’errore di Adamo ed Eva (errore e non peccato,
ché non parla di peccato22 la Torah), ricopre i loro corpi con una pelle. Versetto incomprensibile se
non si conoscono le lettere ebraiche, ma chiaro per chi le compita. Adamo ed Eva erano fatti di
luce, or, dove la “o” è scritta con la alef che rappresenta il Divino: poi il Creatore dà loro una pelle,
or, stesso suono ma con la “o” scritta con la ain. Ain è “occhio” e, cambiando le vocali, possiamo
leggerla iver, “cieco”. L’uomo ha perso la percezione completa della realtà e cade nel mondo
limitato dai sensi: la nostra percezione della realtà è “cieca”. In tutto questo non c’è alcuna
punizione: è conseguenza dell’errore. Iddio non punisce, Iddio ci parla e ci chiede ascolto. I Dieci
Comandamenti sono in ebraico le Dieci Parole che suggeriscono all’uomo un comportamento etico
e morale. Dio ci avverte: non toccare quel fuoco, altrimenti ti brucerai. E se noi tocchiamo il fuoco
e ci bruciamo, siamo stati puniti? O siamo solo stati sciocchi, e ne paghiamo le conseguenze? Il
Creatore ci mostra le Leggi dell’Esistenza materiale e spirituale, ci mostra il Cammino: sta al nostro
libero arbitrio seguirle. Ma come possiamo ovviare all’errore commesso? Con lo studio, che
ripulisce la mente e che attraverso la Conoscenza, unione di Saggezza e Intelligenza, rimuove lo
schermo frapposto dai sensi e ci apre ai mondi spirituali.
Esistono due vie di crescita: lo studio e l’esperienza. È preferibile vivere la vita alla luce della
conoscenza, per evitare sofferenze causate dall’ignoranza: o scopriamo con l’esperienza che il
fuoco brucia, soffriamo e così non ci riproviamo, o studiamo le regole della natura e impariamo che
è consigliabile non mettere la mano sul fuoco. Lo stesso vale per lo spirito, ed è per questo che gli
Ebrei dedicano sei giorni al mondo materiale del “fare” e il settimo, il Sabato, lo dedicano
all’ascolto e alla preghiera. Non a caso la preghiera più importante dell’Ebreo è lo Shemà,
“Ascolta”: il destino è aperto per chi ascolta.
Vedi il bel libro “La saggezza velata” di Yarona Pinhas. Edizioni La Giuntina
La Kabbalah è la parte “velata” e femminile della Torah. Il suo sistema conoscitivo introduce
l’Albero della Vita, composto da 10 Sefiroth (emanazioni divine) di cui 7 rappresentano il
mondo materiale.
22
Chet, la parola usata nella Torah, ha il significato di “mancare il bersaglio, sbagliare”
20
21
15
Rabbi Louis Finkelstein23 diceva che quando preghiamo parliamo con Dio, ma quando studiamo è
Dio che parla con noi.
Tutto è dentro di noi e con lo studio lo riscopriamo. È come cercare un sentiero nella foresta, se mi
pongo in un punto più alto, sulla collina, il sentiero lo vedo chiaramente: lo schiavo ricade nel
passato, l’illuminato esce dal passato e crea il suo futuro.
È ponendoci le domande che troviamo la soluzione; per questo i testi talmudici e quelli kabbalistici
sono difficili e oscuri. Per questo il Talmud “pretende” che vi sia discussione e che esistono
commenti talmudici, magari opposti, ma con stessa dignità.
Isidore Rabi24, alla domanda di perché era divenuto uno scienziato, rispose: «perché mia mamma,
ogni giorno, quando tornavo da scuola, non mi chiedeva cosa avessi imparato quel giorno, ma se avevo posto
una buona domanda, quel giorno. E questo ha fatto la differenza: porre buone domande mi ha fatto diventare
uno scienziato.»
Per pulire la mente si deve faticare, e deve essere fatto subito.
Non devi perdere tempo. Non sei qui per stare comoda, ma per imparare!
Aggiunse che non sapeva nulla delle acque della sua terra e che se davvero voleva fare qualcosa per le
proprie acque, e per se stessa, avrebbe dovuto incominciare a studiare, a studiare seriamente.
Una volta i Profeti usavano andare nel deserto a meditare. Deserto, in ebraico, è midbar, stessa
radice di medaber parlare: il deserto ti parla. Il silenzio ti consente di ascoltare il tuo sé.
“Bamidbar”25 è il quarto libro della Torah, tradotto in “Numeri”, ed è nel deserto che gli Ebrei
ricreano la loro anima collettiva e divengono un popolo.
Ma oggi, in questo mondo di sollecitazioni e di obiettivi da raggiungere, il difficile non è nel
ritirarsi dalla vita quotidiana, scegliendo la via del monaco, ma nel riuscire a vivere la vita di ogni
giorno, trovando tuttavia il tempo per dedicarsi allo spirito, al miglioramento di noi stessi, alla cura
anche dell’altro. La difficoltà sta nel sopportare le avversità, senza soggiacere alla rabbia, alla
maldicenza, all’invidia. Il difficile è avere un proprio ruolo nella società e combattere perché questo
mondo sia migliore, convinti che i momenti più bui siano il massimo potenziale della luce.
Zia Rosaria le chiese allora cosa pensava di fare nella vita per conservare tutta quella Bellezza.
«La giornalista», rispose Maria senza alcuna esitazione.
Un fenicottero solitario, dopo una lunga rincorsa, si levò dallo stagno di Mistras alla loro destra e volò
verso il mare.
Angelo Eliezer Da Fano
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Louis Finkelstein (Cincinnati 1895 – New York 1991) studioso del Talmud.
vincitore del Nobel per la fisica
Nel deserto.
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