Valentina D’angelo
Alle origini del linguaggio umano di Francesco Ferreti
“Quali sono le origini del linguaggio?”
Numerose sono state le difficoltà riscontrate nel fornire risposte attendibili e in linea con la teoria
della selezione naturale.
L’innatismo di Chomsky, fautore della Grammatica Universale (G.U.), il tentativo di Pinker e
Bloom di rendere compatibile Chomsky con Darwin, la posizione del culturalismo a favore
dell’exattamento come in opposizione all’adattamento, non sono riusciti ad inserirsi completamente
nel quadro dell’evoluzione.
Come riuscire nell’intento?
Un aspetto fondamentale da non dimenticare nell’ambito della ricerca delle origini del linguaggio è
il carattere animale dell’uomo.
Scrive Ferretti: “sentirci entità speciali nella natura soddisfa il nostro orgoglio antropocentrico ma
tradisce lo spirito della lezione darwiniana.”.
Non bisogna, infatti, perdere di vista la concezione naturalistica dell’uomo. L’essere umano è un
animale e in quanto tale è sottoposto alle leggi naturali cui tutti gli altri animali sono sottoposti:
quelle della selezione naturale.
Per proseguire l’indagine è opportuno posare l’attenzione su due aspetti della teoria darwiniana: lo
sforzo e l’equilibrio.
In natura un organismo sopravvive grazie all’equilibrio tra le caratteristiche genotipiche e la
situazione ambientale esterna.
Nel momento in cui si rompe quest’equilibrio, ovvero quando cambia la situazione ambientale
esterna, e l’organismo non possiede la mutazione vantaggiosa non sì da per vinto, ma lotta per la
sopravvivenza, si sforza per riacquistare l’equilibrio.
L’uso del linguaggio come produzione-comprensione linguistica può essere inteso come un duplice
sforzo di equilibrio tra parlante e ascoltatore. Lo sforzo del parlante consiste nel comunicare
efficacemente un messaggio all’ascoltatore, e lo sforzo dell’ascoltatore nel comprendere le
intenzioni comunicative del parlante.
Da questo proposito sembra partire la tesi di Ferretti che identifica un nesso tra i processi di
produzione-comprensione linguistica e l’origine del linguaggio.
A questo punto si presenta una tematica già affrontata da Pinker riguardo il problema del primo
mutante grammaticale. La domanda che ci si pone è: come ha fatto il primo organismo con la
mutazione vantaggiosa a comunicare e a farsi comprendere dagli altri organismi che non
possedevano ancora la mutazione?
Pinker risponde a questo interrogativo sostenendo che la comunicazione e la comprensione sono
state possibili <<semplicemente grazie all’uso dell’intelligenza in tutta la sua potenza>>.
Questa asserzione di Pinker, da tenere fortemente in considerazione, è accordabile con i due aspetti
sopraccitati della teoria darwiniana ovvero lo sforzo e l’equilibrio.
L’idea di Pinker è che la fatica mentale compiuta sia alla base della decodifica del messaggio.
Ferretti, invece, sostiene che lo sforzo cognitivo è quello sforzo messo in atto non solo per la
riuscita della fase di decodifica, ma anche per quella di quella di costruzione.
Dall’idea che lo sforzo cognitivo sia alla base dell’equilibrio tra parlante e ascoltatore, quindi anche
alla base del sistema di produzione-comprensione linguistica, nasce l’esigenza di cercare un altro
metodo di indagine che si soffermi più su gli aspetti pragmatici del linguaggio piuttosto che su
quelli grammaticali come si è fatto fino ad ora.
Analizzare solo gli aspetti grammaticali di un discorso ovvero l’analisi delle relazioni tra gli enti
interni ad una frase (microanalisi), rende conto solo di alcuni aspetti del linguaggio come
l’automaticità e l’obbligatorietà del linguaggio, e non di altri che dipendono piuttosto dalle relazioni
tra le frasi all’interno del flusso di un discorso(macroanalisi).
Per rendere più esplicita l’importanza
dell’aspetto pragmatico nell’indagine dell’origine del
linguaggio, si dimostra essere necessario uno sguardo al passato, circa a 2 milioni di anni fa.
Il periodo preso in esame, fa riferimento a quello dell’homo erectus/ergaster che viveva nella
savana, e conviveva con gli altri animali. A differenza di questi ultimi, gli ominidi ostentavano la
mancanza di alcune delle caratteristiche di fondamentale importanza ai fini della sopravvivenza,
come per esempio zanne affilate, artigli, e strutture fisiche in grado di assicurare loro una velocità
sostenuta nella corsa.
Gli ominidi, non possedendo le caratteristiche vantaggiose, si sono “sforzati” per colmare queste
mancanze. È nata così la necessità di costruire oggetti acuminati utili per la difesa e la necessità di
unirsi in gruppi, per mettere in atto delle strategie di caccia, per esempio.
All’interno di un gruppo ai fini di una coordinazione dello stesso è necessaria una forma se pur
molto semplice di comunicazione.
Come avveniva la comunicazione? Di che comunicazione si trattava?
Si trattava di una comunicazione gestuale con i caratteri distinti di iconicità e motivatezza, una
comunicazione basata sulla mimica.
Com’è stato possibile il passaggio da una comunicazione gestuale ad una verbale?
Per rispondere a questa domanda è necessario concepire il sistema verbale come un particolare
sistema gestuale.
Corbaills sostiene, a tal proposito, che i movimenti della bocca sono da considerare a tutti gli effetti
gesti tanto quanto lo sono le espressioni del volto. Quanto sostenuto da Corbaills, si sposa con la
<<teoria motoria della percezione>> in base alla quale i suoni vocali vengono compresi a seconda
della modalità con la quale vengono articolati e non grazie alla percezione acustica.
A questo proposito è stato possibile formulare un’ipotesi, di grande portata a sostegno dell’idea che
vede il linguaggio pienamente inserito in un’ottica di continuità, in base a questa ipotesi,
l’affermarsi della parola è collocabile nell’ambito della gestualità.
I gesti manuali sono stati pian piano sostituiti da quelli articolatori dei sistemi di fonazione, certo
non senza delle fasi intermedie in cui coesistevano.
Le spinte selettive spiegano le motivazioni del passaggio dalla comunicazione gestuale a quella
vocale, inquadrare la comunicazione verbale come particolare comunicazione gestuale rende conto
della possibilità del passaggio da un tipo di comunicazione all’altra, ma come si spiega il
cambiamento dei codici iconici e motivati, caratteristici della comunicazione gestuale, in codici
arbitrari e astratti, tipici della comunicazione verbale?
Corbaills sostiene che il rapporto iconico-simbolico debba essere inteso come un continuum.
Un esempio a riprova di ciò è stato proposto dall’autore, quello della lingua dei segni.
Nel tempo, nella lingua dei segni, i segni tendono a diventare meno iconici e sempre più simbolici,
e grazie a questo passaggio vengono apportati miglioramenti all’efficacia comunicativa.
Infatti il linguaggio acquista sia brevità, quindi maggior velocità di comunicazione, sia la
possibilità di creare una differenziazione tra oggetto e azione contribuendo all’eliminazione di
possibili fraintendimenti.
Tutto ciò spiega le origini del linguaggio verbale, ma come erano rese possibili le comunicazioni
che si servivano di un linguaggio composto per lo più di indizi ed estremamente povero?
Occorre un attimo soffermarci sulle caratteristiche del linguaggio e le affinità che Ferretti riscontra
con le capacità di navigazione nello spazio.
Quando parliamo, abbiamo un obbiettivo comunicativo, che sebbene nel flusso del discorso parlante
e ascoltatore incorrano in infinite divagazioni, non viene mai perso di vista.
Similmente per l’autore quando si progetta sulla carta un percorso lineare da seguire, da un punto A
ad un punto B, nell’effettiva navigazione si incontrano più difficoltà che non permettono di seguire
il percorso tracciato, e ci spingono ad intraprendere altri percorsi, senza però perdere di vista
l’obbiettivo.
In questo senso Ferretti riscontra una somiglianza tra il sistema di produzione-comprensione
linguistica e la navigazione nello spazio.
Si è dimostrato che difficoltà linguistiche e difficoltà motorie spesso si manifestano
contemporaneamente, questo perché a differenza delle idee portate avanti dai fautori del modello
modulare della mente, nel nostro cervello l’aree corrispondenti alle attività motorie e quelle
corrispondenti alla produzione-comprensione linguistica, sono adiacenti e interagiscono.
Alla base delle capacità comunicative e di navigazione nello spazio Ferretti propone un sistema che
rende possibile il loro funzionamento. Si tratta del Sistema Triadico di Radicamento e Proiezione
(STRP) il cui funzionamento è reso possibile dall’operare simultaneo di tre meccanismi distinti:
intelligenza sociale, ecologica e temporale.
Radicamento( ancoraggio al contesto che radica l’organismo al contesto) e Proiezione (che permette
agli organismi di sganciarsi dal momento per prevedere pianificare o immaginare) sono i due aspetti
della flessibilità tipica delle menti intelligenti, e per flessibilità si intende la capacità di scegliere la
risposta più consona alla situazione.
E’ grazie a questo sistema di radicamento e proiezione che sono state rese possibili le ricostruzioni
mentali delle intenzioni comunicative del parlante da parte dell’ascoltatore, e quindi le prime
comunicazioni verbali, nonostante la povertà del linguaggio.
Argomentato ciò si evince che l’origine del linguaggio è pienamente inseribile nell’ottica della
selezione naturale ed è accordabile con l’idea continuista della teoria darwiniana.