Figura 53

annuncio pubblicitario
CAPITOLO 8
IMPIANTI A VAPORE
8.1
Le sostanze pure e le fasi
Si definisce sostanza pura una sostanza la cui composizione chimica non cambia in tuta la massa;
esempi di sostanze pure sono l’acqua (H2O), l’azoto (N2), l’elio (He), l’anidride carbonica (CO2),
…etc..
Una sostanza pura può essere costituita da più elementi chimici,come ad esempio è il caso dell’aria
che è composta di tanti elementi, purché questi siano uniformante distribuiti. Una miscela di due o
più fasi di una sostanza, come ad esempio l’acqua in una miscela di stato liquido e vapore, è una
sostanza pura. Non può essere considerata sostanza pura, ad esempio, una miscela di acqua e olio,
perché l’olio non essendo solubile nell’acqua si raccoglie superiormente formando nella sostanza
due distinte zone chimicamente differenti.
Una sostanza pura può trovarsi contemporaneamente in una o più fasi, in base ai valori assunti dalle
proprie grandezze termodinamiche p e T. Esistono:
 la FASE SOLIDA
 la FASE LIQUIDA
 la FASE AEREIFORME
Ogni fase è caratterizzata da differenti strutture molecolari.
La distinzione tra gli stati della materia evidenzia le seguenti differenze qualitative:

un materiale allo stato solido ha un volume e una forma propria;

un materiale allo stato liquido ha un volume proprio, ma acquisisce la forma del recipiente
che lo contiene;

un materiale allo stato gassoso non ha né volume né forma propria, ma si espande fino a
occupare tutto lo spazio disponibile.
8.1.1 FASE SOLIDA
Nella fase solida le molecole sono disposte in un reticolo tridimensionale; poiché le distanze tra le
molecole sono piccole, le forze di attrazione sono grandi ,tanto da mantenere le molecole fisse
all’interno del solido.
Nello stato di aggregazione solida i costituenti atomi, molecole o ioni sono trattenuti gli uni vicini
agli altri da interazioni attrattive sufficientemente forti da prevalere sull’energia dei moti termici.
Normalmente i solidi hanno una struttura interna ordinata, chiamata struttura cristallina. Esistono
anche solidi che non hanno una struttura cristallina: sono detti solidi amorfi.
Le particelle che costituiscono un solido oscillano intorno a posizioni di equilibrio che nell’insieme
definiscono il reticolo cristallino del solido.
Pagina 1 di 60
Caratteristica tipica dei solidi cristallini è l’anisotropia: proprietà di una sostanza per cui i valori
delle sue grandezze fisiche (indice di rifrazione, conducibilità elettrica e termica, durezza, ecc.)
dipendono dalla direzione che viene considerata.
I solidi amorfi (es. vetri, polimeri organici, ecc.) sono isotropi.
I solidi cristallini hanno una temperatura di fusione molto netta (i solidi amorfi hanno un intervallo
di rammollimento, prima di fondere).
Classificazione dei solidi
Tipo
Esempi
cristallino NaCl, K2SO4 Fe, Ag, Cu, leghe, H2, O2, H2O, CO2
grafite, diamante, quarzo
amorfo vetro, polietilene, nylon
Tabella 1: classificazione dei solidi.
Pagina 2 di 60
unità strutturale
struttura interna ordinata detta
struttura cristallina
reticoli legati in strutture estese,
ma non regolari
Solidi cristallini
La disposizione regolare dei componenti un solido cristallino a livello microscopico produce la
forma caratteristica dei cristalli (detta morfologia) definita da facce e angoli diedri caratteristici.
I solidi cristallini mostrano piani di sfaldatura che sono in relazione con la forma dell’edificio
cristallino.
Una stessa sostanza talvolta ha più forme cristalline, in dipendenza dalla temperatura e dalla
pressione a cui solidifica. Questa proprietà viene detta polimorfismo quando è riferita a un
composto (es. CaCO3, calcite e aragonite) e allotropia quando è riferita ad un elemento (es.
diamante, grafite, fullereni).
Esistono molti casi in cui sostanze differenti, ma capaci di dare cristalli con la stessa struttura, anche
a livello molecolare, mostrano una reciproca e completa miscibilità allo stato solido (cristalli misti).
Questa proprietà è detta isomorfismo.
Classificazione dei solidi in base al tipo di reticolo cristallino
La posizione dei componenti di un solido cristallino sono rappresentati da un reticolo: una
disposizione tridimensionale dei punti che rappresentano i componenti (atomi, ioni o molecole) che
mostra il motivo ripetitivo dei componenti. La più piccola unità ripetitiva del reticolo è chiamata
cella unitaria o elementare: è definita da tre vettori non paralleli e non necessariamente ortogonali
(a, b e c), che ripetendosi regolarmente nella direzione degli assi cristallografici danno origine a un
reticolo tridimensionale
Figura 1: cella unitaria o elementare di un reticolo cristallino.
Bravais dimostrò che ci possono essere solo 14 reticoli elementari, raggruppabili in 7 sistemi
cristallografici. Il tutto rappresentato come nel seguito.
Pagina 3 di 60
Figura 2: i 14 reticoli elementari di Bravais.
Figura 3: i 7 sistemi cristallografici di Bravais.
Pagina 4 di 60
Tipi di solidi cristallini
Esistono vari tipi di solidi cristallini. Ad esempio il sale da cucina (NaCl) e lo zucchero da tavola
sono entrambi solubili in acqua. Le soluzione di NaCl conducono la corrente perché contengono
ioni. Il saccarosio è costituito da molecole neutre che non conducono la corrente.
Un terzo tipo di solido è rappresentato da grafite, diamante, boro, silicio e tutti i metalli. Tutte
queste sostanze hanno atomi che occupano i punti reticolari: sono chiamati solidi atomici .
Classificazione dei solidi cristallini
Tipo di solido
esempi
cristallino
Ionico NaCl, K2SO4
unità strutturale
Metallico Fe, Ag, Cu, leghe
Molecolare H2, O2, H2O, CO2
Reticolare grafite, diamante,
quarzo
ioni positivi e negativi non vi sono molecole
discrete
atomi di metalli
molecole
atomi localizzati in un reticolo
tridimensionale
Tabella 2: classificazione dei solidi cristallini.
I solidi cristallini possono essere classificati in base al tipo di legame che trattiene i costituenti
nell’edificio cristallino:
1. Cristalli (o solidi) molecolari
2. Cristalli (o solidi) covalenti
3. Cristalli (o solidi) ionici
4. Cristalli (o solidi) metallici
Cristalli molecolari
Sono costituiti da singole molecole mono o poliatomiche (Xe, I2, H2, O2, P4, S8, H2O e gran parte
dei composti organici) tenute assieme nel reticolo cristallino dalle forze di Van der Waals.
Le energie intermolecolari di natura attrattiva nei cristalli molecolari sono comprese fra 10-70
kJ/mol, energie molto inferiori a quella dei legami chimici (200-1000 kJ/mol).
I cristalli molecolari si caratterizzano da essere molto teneri, avere basse temperature di fusione (<
400 °C o decompongono prima di fondere) ed essere molto volatili. Dal punto di vista strutturale, le
molecole tendono a dare strutture compatte.
Cristalli covalenti
In questi solidi gli atomi nel cristallo sono tutti direttamente legati tramite legami di natura
covalente, di modo che nel cristallo non sono individuabili singole molecole (il cristallo può essere
visto come un’unica macromolecola). L’energia dei legami nei cristalli covalenti è molto elevata,
simile a quella dei legami covalenti. Esempio tipico è il diamante, solido perfettamente trasparente
e incolore, duro e alto fondente (4100 °C), con densità 3,51 g/cm3. In questa forma allotropica, ogni
atomo di C utilizza orbitali ibridi sp3 per legarsi covalentemente ai 4 atomi di C posti ai vertici di
un tetraedro al cui centro c’è l’atomo in questione. La distanza C-C, (154,45 pm) è molto vicina a
quella dei legami semplici C-C degli idrocarburi saturi (154,1 pm). Il carburo di silicio (SiC,
carborundum) ha una struttura simile a quella del diamante.
Pagina 5 di 60
Figura 4: i sistemi cristallografici.
La grafite
Esistono solidi cristallini che presentano alcuni aspetti strutturali tipici dei cristalli covalenti e altri
tipici dei cristalli molecolari: sono costituiti da strati di atomi legati tra loro covalentemente (come
nei cristalli covalenti) ma i cui singoli strati sono trattenuti tra loro solo dalle forze di van der Waals
(come tra le molecole nei cristalli molecolari).
Esempio tipico è la grafite: solido opaco, nero, buon conduttore elettrico, con d = 2,22 g/cm3. Ogni
atomo di C è legato covalentemente solo ad altri 3, situati ai vertici di un triangolo equilatero,
realizzando strutture planari costituite da anelli esagonali condensati.
Si può immaginare che ogni C utilizzi orbitali ibridi sp2 per formare 3 legami con i tre atomi
adiacenti, mentre l’orbitale p non ibridizzato, ortogonale allo strato planare, si combina con gli
orbitali p della stessa simmetria presenti negli altri atomi, generando una densità elettronica
delocalizzata lungo l’intera struttura dello strato planare.
Figura 5: aspetto strutturale della grafite.
Pagina 6 di 60
I fullereni
I fullereni, oltre al diamante e alla grafite, rappresentano la terza forma allotropica del carbonio,
osservata nel nerofumo, costituta da molecole contenenti 60, 70 o più atomi di carbonio chiamate
fullereni.
Il fullerene C60 è il primo ad essere stato preparato. E’ una molecola a gabbia con gli atomi di
carbonio disposti nei 60 vertici risultanti dalla unione di anelli a 5 atomi (12 pentagoni) e anelli a 6
atomi (20 esagoni)
Figura 6: aspetto strutturale del fullerene C60.
Cristalli ionici
L’edificio cristallino è costituito da ioni mono o poliatomici trattenuti tra loro da intense interazioni
elettrostatiche di tipo coulombiano. Queste, per loro natura, non sono direzionali e quindi gli ioni di
carica opposta si attirano indipendentemente dalla loro collocazione spaziale: non sono quindi
riconoscibili singole unità molecolari.
I cristalli ionici presentano durezza intermedia, sono fragili e di solito hanno elevati
punti di fusione (p. es., Na+Cl- fonde a 808 °C). Molti solidi ionici sono insolubili in quasi tutti i
solventi apolari o poco polari data l’elevata energia reticolare. Quando l’energia liberata dalla
solvatazione degli ioni supera l’energia reticolare questi composti possono essere solubili: ciò
avviene normalmente in acqua.
L’energia reticolare ha un ruolo fondamentale nella stabilizzazione delle strutture cristalline. E’
definita come l’energia che viene ceduta quando una mole di un solido ionico si forma a partire
dagli ioni allo stato gassoso, ad es.:
Q  Q2
E reticolare  k  1
r
ove Q1 e Q2 sono le cariche degli ioni, r è la distanza dei centri degli ioni e k è una costante di
proporzionalità che dipende dalla struttura del solido. L’energia reticolare di NaF è 923 kJ/mol;
quella di MgO è 3925 kJ/mol.
Le strutture dei cristalli ionici sono determinate essenzialmente dalle dimensioni relative degli ioni
che formano il composto e dalla loro formula chimica. Per un composto ionico di formula MX, si
può immaginare la struttura cristallina costituita da ioni monoatomici o poliatomici sferici, Mn+ e
Xn-, disposti in modo da dare il massimo numero di coordinazione del catione, compatibile con la
necessità che gli anioni che lo circondano non si compenetrino.
Considerando il numero di coordinazione (N.C.) del catione, esistono tre tipi di impacchettamento
degli ioni: Per dare questo N.C. il catione deve essere situato al centro di un cubo ai cui vertici sono
disposti 8 anioni, come si osserva nel cloruro di cesio (CsCl, r+/r- = 0,92). Lo ione Cs+ si trova
nella cavità cubica compresa fra le otto sfere che idealizzano gli ioni cloruro. A sua volta, ogni ione
Cl- è circondato da 8 ioni cesio Catione con numero di coordinazione 8
Pagina 7 di 60
Figura 7: catione con numero di coordinazione 8.
Se le dimensioni relative del catione rispetto a quelle dell’anione diminuiscono a sufficienza, il N.C.
8 non può più essere mantenuto (perché gli anioni vengono a contatto tra loro e le forze repulsive
destabilizzano il sistema). Il numero di coordinazione si riduce a 6, corrispondente alla collocazione
del catione al centro di un ottaedro i cui vertici sono occupati da 6 anioni, come avviene nel cloruro
di sodio. Lo ione Na+ si trova in una cavità ottaedrica compresa fra 6 ioni cloruro A loro volta, gli
ioni Cl- sono circondati ottaedricamente da 6 ioni Na+ In NaCl il rapporto r+/r- vale 0,54. Una
struttura simile si osserva anche in CsI in cui il rapporto r+/r- vale 0,76.
Figura 8: catione con numero di coordinazione 6.
Se le dimensioni del catione diminuiscono ulteriormente, il N.C. si riduce a 4, come si osserva nella
blenda (solfuro di zinco, ZnS, rapporto r+/r- = 0,40) e nell’ossido di berillio (BeO, rapporto r+/r- =
0,33). Il catione Zn2+ è collocato al centro di un tetraedro i cui vertici sono occupati da 4 ioni S2-.
Anche gli anioni solfuro sono circondati da 4 cationi zinco.
Figura 9: catione con numero di coordinazione 4.
Quando i composti hanno formula chimica diversa da MX, per esempio MX2 o M2X, le rispettive
strutture cristalline devono dare conto anche nel rapporto stechiometrico tra catione e anione. Nella
struttura della fluorite (CaF2, r+/r- = 0,74) ogni ione Ca2+ è circondato da 8 ioni F- posti ai vertici
di un cubo, mentre ogni ione fluoruro è circondato tetraedricamente da 4 ioni calcio:
Figura 10: strutture cristalline dei composti MX2 e M2X.
Pagina 8 di 60
CRISTALLI METALLICI
Le proprietà fisiche dei metalli sono:
 elevato potere riflettente della luce visibile (responsabile della lucentezza); i non metalli non
riflettono la luce;
 elevata duttilità (riducibili in fili) e malleabili (riducibili in fogli sottili);
 elevata conducibilità elettrica che diminuisce all’aumentare della temperatura;
 elevata conducibilità termica (i non metalli sono cattivi conduttori);
 energie di prima ionizzazione relativamente basse (a differenza dei non metalli);
 bassa tensione di vapore
 a temperatura ambiente sono normalmente solidi (con t. f. molto varie: -38,9 °C per Hg, 28,4
(Cs), 1538 (Fe) fino a 3380 °C per W)
Le basse tensione di vapore suggeriscono che nei cristalli metallici siano operanti legami molto forti
tra gli atomi, non imputabili quindi a forze di tipo Van der Waals. Non sono neppure imputabili a
legami covalenti perché gli atomi degli elementi metallici non hanno un numero sufficiente di
elettroni nel guscio di valenza per giustificare il fatto che attorno ad ogni atomo si trovano altri 12 o
8 atomi (i legami covalenti richiederebbero 12 o 8 elettroni nei gusci di valenza di ciascun atomo).
L’insieme delle proprietà dei metalli suggerisce una struttura in cui il solido cristallino sia costituito
da cationi del metallo ottenuti dalla liberazione di elettroni dal guscio di valenza, oscillanti intorno
ai nodi del reticolo cristallino, mentre gli elettroni liberati si muovono nell’intero reticolo
comportandosi come una sorta di “gas elettronico” che permea l’intero cristallo ed è responsabile
della stabilità della struttura cristallina.
Pagina 9 di 60
8.1.2 FASE LIQUIDA e FASE AERIFORME
Le molecole del solido oscillano continuamente attorno alla loro posizione di equilibrio con una
velocità che dipende dalla temperatura.
A temperature sufficientemente elevate, la velocità e quindi la quantità di moto possono
raggiungere valori tale da vincere le forze di attrazione intermolecolare ed inizia per alcuni gruppi
di molecole la separazione, ovvero ha inizio il processo di fusione (passaggio di fase da solido a
liquido).Da tenere presente che le molecole in un solido sono vicine e risulta elevata la forza
intermolecolare. La loro distanza però non potrebbe essere nulla in quanto in quel caso entrerebbero
in gioco le forze nucleari repulsive.
Le distanze intermolecolare nella fase liquida non sono molto diverse da quelle della fase solida, ma
le molecole non sono più in posizioni fisse tra loro.
La fase aeriforme è caratterizzata da molecole lontane le une dalle altre e dall’assenza di qualsiasi
struttura molecolare ordinata. Si possono suddividere gli aeriformi in tre principali famiglie: i
vapori, i gas e i fluidi supercritici.
8.1.3 DIAGRAMMA DELLE FASI
In sintesi si individuano i seguenti diversi passaggi di fase:
passaggio di fase
()
SOLIDO  LIQUIDO
LIQUIDO  AERIFORME
AERIFORME  LIQUIDO
LIQUIDO  SOLIDO
SOLIDO  AERIFORME
AERIFORME  SOLIDO
processo
fusione o liquefazione
vaporizzazione
condensazione
solidificazione
sublimazione
desublimazione
Tabella 3: sintesi passaggi di fase.
Figura 11: i passaggi di fase.
Pagina 10 di 60
Consideriamo l’acqua (H2O) e descriviamo quanto succede durante l’esperimento rappresentato
nella figura seguente. Tali principi si potranno riportare a qualsiasi fluido.
Stato 4
Stato 1
Stato 2
Stato 3
vapore
vapore
liquido
liquido
Stato 5
vapore
liquido
liquido
Q
Q
Q
Q
Curva limite di Andrews
T
curva limite inferiore
liquido saturo
curva limite inferiore
liquido saturo
p
vapore
liquido
stato 2
liquido + vapore
stato 1
stato 3
stato 4
stato 6
stato 5
S
Figura 12: esperienza con l’H2O.
Si consideri un sistema costituito da acqua (H2O), il cui contorno sia definito dalle pareti di un
cilindro e dalla superficie di un pistone mobile, il tutto come rappresentato nella figura precedente.
Il sistema si trova in equilibrio e lo stato termodinamico è rappresentativo è lo stato 1;
successivamente attraverso la fornitura di calore Q si rappresentano i diversi stati evolventi e
conseguentemente le transizioni di fase che l’acqua subisce, mantenendo sempre la p costante.
Stato 1: p = 101325 Pa
t = 20°C
H2O in fase liquida (“liquido sotto raffreddato”)
L’acqua è lontana da iniziare ad evaporare, ovvero è distante dalla curva limite inferiore
di Andrews di liquido saturo e in questo caso è tipicamente chiamata liquido sotto
raffreddato.
Stato 2: p = 101325 Pa
t = 40°C
Pagina 11 di 60
H2O in fase liquida (“liquido sotto raffreddato”)
Si fornisce al sistema del calore Q dall’esterno, l’acqua si scalda e si porta alla
temperatura di 40°C, ciò genera un aumento di volume specifico rispetto all’iniziale,
allora il pistone mobile si solleva leggermente per consentire che l’espansione
progredisca a pressione costante. Anche in questo caso si parla di liquido sotto
raffreddato.
Stato 3: p = 101325 Pa
t = 100°C temperatura di saturazione o di ebollizione
H2O in fase liquida (“liquido saturo”)
Si fornisce al sistema ulteriore calore Q dall’esterno, l’acqua si scalda e si porta alla
temperatura di 100°C, mantenendo, nello stessa modalità precedente la stessa pressione.
Il liquido è pronto ad evaporare e si trova sulla curva limite inferiore di liquido saturo.
Ulteriore calore che verrà fornito al sistema non porterà ad alcun nuovo innalzamento di
temperatura, ma solo transizione di fase, ovvero parte del liquido diventerà vapore. In
questo caso si parla di liquido saturo.
Stato 4: p = 101325 Pa
t = 100°C temperatura di saturazione o di ebollizione
H2O miscela liquida e vapore
Si continua a fornire al sistema calore Q dall’esterno, l’acqua rimane alla stessa
temperatura e pressione (la trasformazione avviene lungo una isotermobarica), ma
continua a passare dalla fase liquida alla fase di vapore. L’acqua in questo caso si trova
sottoforma di miscela liquido e vapore. All’interno della campana di Mollier la T e la p
perdono la loro indipendenza e diventano due grandezze collegate: p=f(T) oppure T=g(p).
Una comoda relazione, che ben stima il valore della Tsaturazione, nota la pressione
assoluta è:
t saturazione  100  2
2
psaturazione
ove la p assoluta deve essere espressa in bar-a, e la t risulta espressa in °C.
Stato 5: p = 101325 Pa
t = 100°C temperatura di saturazione o di ebollizione
H2O in fase di vapore (“vapore saturo”)
Tutta il liquido si è trasformato in vapore. Si parla in questo caso di vapore saturo perché
si è sulla curva limite superiore di Andrews. E’ stata compiuta tutta la trasformazione
isotermo barica passando dal punto di liquido saturo a quello di vapor saturo, grazie alla
fornitura di una quantità di calore specifico che prende il nome di calore latente di
transizione di fase.
Ulteriore fornitura di calore porterà il sistema in uno stato a destra della curva limite e
ritornerà ad innalzarsi la temperatura. La T e la P torneranno ad essere parametri
indipendenti.
Stato 6: p = 101325 Pa
t > 100°C
H2O in fase di vapore (“vapore surriscaldato”)
Ulteriori forniture di calore dallo stato 5 precedente consentirà al sistema di riscaldarsi. Si
parlerà in tal caso di vapore surriscaldato.
Pagina 12 di 60
Evidentemente se cambia la pressione, la temperatura di saturazione cambia, ovvero la temperatura
alla quale l’acqua inizia a bollire cambia. Alla pressione atmosferica l’acqua bolle a 100°C, a
pressioni superiori la temperatura di saturazione cresce.
Dato che la pressione atmosferica decresce con l’aumentare dell’altitudine, conseguentemente la
temperatura di saturazione decrescerà, ovvero nella tabella seguente si riportano alcuni valori al
variare dell’altitudine; si evidenzia come la temperatura di ebollizione dell’acqua diminuisca di
circa 3 gradi centigradi per ogni 1.000 metri in più di altitudine.
Quota
(m)
0
1000
2000
5000
10000
20000
Patmosferica
(kPa)
101,33
89,55
79,50
54,05
26,50
5,53
Tebollizione
(°C)
100
96,3
93,2
83
66,2
34,5
Tabella 4: Teboll. al variare dell’altitudine.
Al crescere della pressione di saturazione cresce la temperatura di saturazione, ovvero la
temperatura di ebollizione.
Si osserva come da un certo punto in poi si esce dalla campana e non esiste più il luogo dei punti
per i quali sussiste una miscela vapore e liquido. Questa si evidenzia nel Mollier dell’acqua ma,
come già avuto modo di precisare in precedenza, vale per tutte le sostanze pure.
Si chiama PUNTO CRITICO quello stato termodinamico, per la particolare sostanza pura presa in
esame, in cui il segmento isotermobarica di transizione di fase diventa un punto, il punto critico.
Ovvero in tale stato vi è la coincidenza dei punti rappresentativi dello stato liquido saturo con il
vapore saturo. Da un punto di vista geometrico, l'isoterma critica corrisponde alla massima
temperatura per cui l'isoterma presenta un flesso, ed è l'unica temperatura in corrispondenza della
quale si ha un flesso a tangente orizzontale.
Evidentemente in tale stato le grandezze T, p, v prendono il nome di critiche: Tcritica, pcritica, vcritica.
Ad esempio ecco alcuni valori di punti critici per sostanze pure.
sostanza
NH3
O2
CO2
H2O
Temperatura critica
(°C)
Pressione critica
(atm)
132
-119
31,2
374,14
111,5
49,7
73
217,7
Tabella 5: Tc e pc. di alcune sostanze pure.
Analogamente a quanto fatto nel piano (T,s) e (h,s) si può considerare il piano (p, v) detto anche
piano di Clapeyron.
Pagina 13 di 60
Figura 13: trasformazione isoterma nel piano (p,v).
Figura 14: diagramma di Andrews nel piano di Clapeyron.
Pagina 14 di 60
La curva che rappresenta la temperatura critica è una curva limite per le sostanze pure suddividendo
il piano (p,v) nelle regioni evidenziate nella figura precedente.
Si evidenzia chiaramente come nel punto critico l’isoterma ha un flesso orizzontale. Inoltre le
sostanze che si trovano al di sopra del loro punto critico sono allo stato gassoso e non possono
essere condensate con una compressione isoterma.
Per ogni sostanza esiste una coppia di valori (p,T) alla quale possono esistere contemporaneamente
le fasi solida, liquida e vapore: tale stato prende il nome di punto triplo.
p
.
Gas incondensabile
liquido
solido+liquido
solido
.
liquido+vapore
Vapore surriscaldato
condensabile
Tcritica
.
punto triplo
solido+vapore
V
Figura 15: diagramma qualitativo delle fasi per una sostanza pura che solidificandosi si riduce di volume.
p
liquido
.
Gas incondensabile
solido+liquido
Tcritica
liquido+vapore
..
Vapore surriscaldato
condensabile
solido
solido+vapore
punto triplo
V
Figura 16: diagramma qualitativo delle fasi per una sostanza pura che solidificandosi aumenta di volume (es.
H2O).
Pagina 15 di 60
Dalle due figure precedenti si rileva che tra le sostanze pure esistono due comportamenti distinti nel
passaggio liquido solido, ovvero:
 sostanza pura che solidificandosi si riduce di volume;
 sostanza pura che solidificandosi aumenta di volume, come il caso dell’acqua (H2O).
Se l’acqua nel solidificarsi riducesse il volume, come avviene per la maggior parte delle sostanze
pure, il ghiaccio risultante sarebbe più pesante dell’acqua liquida e perciò si depositerebbe sui
fondali dei fiumi, dei laghi o degli oceani, anziché galleggiare. I raggi del sole difficilmente
riuscirebbero a vedere il ghiaccio e scioglierlo.
Nel piano (p,T) la linea del punto triplo appare invece come un punto. Infatti:
liquefazione per sostanze pure che solidificandosi
aumentano i l volume
liquefazione per sostanze pure che solidificandosi
.
p
diminuiscono i l volume
LIQUIDO
punto critico
SOLIDO
.
punto triplo
vaporizzazione
VAPORE
sublimazione
T
Figura 17: diagramma qualitativo delle fasi nel piano (T, p).
Tutte le figure nei piani (p,V), (p,T), ecc. fin qui rappresentate sono delle proiezioni della
rappresentazione spaziale nel (p,V,T). Ricordano che per le sostanze pure bastano due grandezze
indipendenti per definire lo stato, allora si può considerare:
Z  Z X ,Y 
rappresentano superfici dello spazio.
Considerando (T,v) come variabili indipendenti e p dipendente si ha, considerando la sostanza pura
che solidificandosi si riduce di volume:
Pagina 16 di 60
Figura 18: diagramma delle fasi per sostanze pure che riducono il volume solidificandosi.
E considerando la sostanza pura che solidificandosi aumenta di volume:
Pagina 17 di 60
Figura 19: diagramma delle fasi per sostanze pure che aumentano il volume solidificandosi (es. H 2O).
Pagina 18 di 60
Riepilogando per sostanze pure che riducono il volume solidificandosi:
Figura 20: diagramma di Andrews tridimensionale nel piano di Clapeyron.
Pagina 19 di 60
Il titolo X di vapore
Si definisce titolo di vapore X:
X
Ove con:
Mv
M tot
Mv= massa di vapore presente nel miscuglio bifase;
Mtot= massa totale del miscuglio
L’introduzione del titolo è importante per conoscere la quantità di vapore o di liquido presente nel
miscuglio; si tenga presente che presenze significative di liquido in un miscuglio bifase sono
preoccupanti per la resistenza delle ultime schiere delle pale della turbina a vapore.
Inoltre, ricordando che lungo la isotermobarica di cambiamento di stato la T e la p sono grandezze
dipendenti, per poter rappresentare univocamente lo stato termodinamico della sostanza pura può
comodamente essere utilizzato il titolo X.
p
liquido saturo
vapor saturo
.
x
A
ps
B
Vx
Vl
.
A
bifase
X=0
Vs
.
B
X=1
tutto liquido
V
0 X 1
x
tutto vapore
Figura 21: il luogo dei punti del cambiamento di fase.
Vale:
Vx  Vl  (Vs  Vl )  X
X
Vx  Vl   Ax
Vs  Vl  AB
Il luogo dei punti con il titolo uguale viene detta linea isotitolo e rappresentata:
Pagina 20 di 60
Figura 22: diagramma di Mollier dell’acqua nel (T,s) con evidenza delle isotitolo x.
Pagina 21 di 60
Il calore di cambiamento di fase
T
dQ
T1
1
2
S1
S2
dS
S
Dalla definizione di entropia vale:
dQ
 dQ  T  dS
T
Q è il calore di cambiamento di stato e dato che il processo avviene lungo una isoterma (T = cost.),
la corrispondente variazione di entropia vale:
Q
S  SV  S l 
T
Generalizzando ad ogni fase si ha nel piano (T,s):
dS 
gas incondensabile
.
T
punto critico
Tcritica
.
6
liquido
T4
T2
solido
1
TI I
.
.
.
.
.
.
5
4
3
2
vapore
LIQUIDO+VAPORE
SOLIDO+LIQUIDO
.
4
.
III
II
solido+vapore
2
Ss
Ssolido
Sliquido
Sliquidosaturo
Svaporsaturo Sv
S
Ql v  T4  (Svaporsaturo  Sliquidosaturo )
calore di transizione liquido-vapore = calore latente di evaporazione
Qsl  T2  (Sliquido  S solido)
calore di transizione solido-liquido = calore latente di fusione
Qsublim azione  TI  (Sv  S s )
calore di transizione solido-vapore = calore latente di sublimazione
Pagina 22 di 60
Lungo una trasformazione di cambiamento di fase il calore latente si può esprimere come
variazione di entalpia.
Infatti dalla definizione dell’entalpia:
h  u  pv
dh  du  pdv  vdp
Ma lungo la trasformazione di cambiamento di fase la p = costante (isotermo barica) e pertanto
vdp=0
e dal primo principio vale:
dQ  du  pdv
e pertanto:
dh  du  pdv  dQ
Ovvero in generale lungo una qualsiasi trasformazione isobara il calore scambiato è pari alla
variazione di entalpia: diventa pertanto rilevante lavorare nel piano entalpia, entropia (h,s).
Il diagramma di Mollier (H,S) o meglio (h,s) con l’entalpia e l’entropia specifiche alla massa è di
impiego diffusissimo perché consente la lettura precisa dei valori di entalpia, la cui variazione
consente il calcolo del lavoro nei principali cicli termodinamici
Figura 23: diagramma di Mollier nel piano (h,s).
All’interno della curva limite vi è la presenza delle linee isotermo bariche del cambiamento di stato,
che rispetto al piano (T,s) qui sono delle linee inclinate con coefficiente angolare T
Per quanto visto appena sopra, facendo riferimento a grandezze specifiche alla massa si ha:
Pagina 23 di 60
dh  dQ (1)
Per definizione di entropia:
dQ
T
ds 
(2)
Inserendo la (1) nella (2) si ha:
ds 
Quindi riprendendo:
dh
dh

T
T
ds
dh  T  ds (3)
Ma lungo il cambiamento di fase la trasformazione è isotermo barica, ovvero la T è una costante Ts
e quindi integrando la (3) si ha:
 dh   T  ds  T  ds
s
s
h2  h1  Ts  (s2  s1 )
Ovvero in una scrittura generalizzata:
h  Ts  s  A
ove
s, h sono rispettivamente l’ascissa e l’ordinata,
Ts è il coefficiente angolare
A è una costante.
h
3
2
Ts3
Ts2
1
Ts1
s
Figura 24: le linee di cambiamento di fase nel piano (h,s).
Al crescere di Ts (Ts1< Ts2< Ts3) aumenta il coefficiente angolare della linea retta che rappresenta il
luogo dei punti di cambiamento di stato all’interno della curva limite e pertanto i segmenti indicati
come 1, 2, 3 sono delle spezzate di rette con coefficienti angolari sempre crescenti e quindi si
aprono sempre di più, quindi non sono paralleli.
Nel diagramma (h,s) il punto critico non si trova sul massimo della curva, ma in corrispondenza del
punto di tangenza tra la curva limite e la retta d’inclinazione Tcr.
Anche nel caso del piano (h,s) la curva limite inferiore termina nel punto rappresentativo dello stato
liquido al punto triplo.
Pagina 24 di 60
pcr
H
GAS INCONDENSABILI
SOLIDO+LIQUIDO
.
VAPORI CONDENSABILI
punto critico
LIQUIDO
Tcr
curva di Andrews
LIQUIDO+VAPORE
SOLIDO
linea di punto triplo
SOLIDO+VAPORE
S
Figura 25: il diagramma H,S.
Pagina 25 di 60
Il comportamento dell’H2O: tra il liquido incomprimibile ed il gas perfetto
Nel diagramma di stato esistono zone limitate in cui l’acqua può essere considerata un liquido
perfettamente incomprimibile, e il vapore un gas perfetto.
Con riferimento alla Figura 26, è possibile identificare diverse zone.
A sinistra della campana, il liquido può essere considerato incomprimibile purché si trovi a
temperature moderate (zona 5). Con il crescere della temperatura, la densità comincia a variare e il
liquido diventa ad alta comprimibilità (zona 6).
All’interno della campana, per bassi valori della temperatura, e quindi anche della pressione, il
vapore presente nella miscela bifase può essere trattato come un gas perfetto (zona 1). Se però la
temperatura sale, cominciano a verificarsi effetti di gas reale, per cui la frazione di vapore presente
nella miscela bifase non può più essere assimilata a gas perfetto (zona 3).
Anche nella zona del vapore surriscaldato, al di sotto dell’isobara critica, si distinguono due zone,
una a bassa pressione, in cui l’ipotesi di gas perfetto è applicabile (zona 2), ed una a più alta
pressione (zone 4), dove, per la presenza di vapore ad alta densità, si verificano effetti di gas reale.
Al di sopra del punto critico, e per pressioni superiori alla pressione critica (zona 7), il fluido non
può essere considerato un gas perfetto, in quanto si ha la presenza di un fluido che è a metà strada
tra un liquido e un gas.
Il vapore può nuovamente essere considerato un gas perfetto ad alta pressione e temperatura (zona
8). Quando però la temperatura raggiunge i 2000-3000K, la comparsa di fenomeni di dissociazione
molecolare fa sì che il fluido presenti elevati effetti di gas reale.
Figura 26: diverse tipologie di fluido nel piano (T,s).
Pagina 26 di 60
Si ricorda che la relazione pv = cost, valida per trasformazioni isentropiche, può essere scritta
anche per il vapore, ma ora  non è più il rapporto tra i calori specifici a pressione e volume
costante, ma varia da punto a punto, come mostrato a destra in Figura 26. Esso, nella zona 2,
assume valori tra 1.3 e 1.33.  risulterà essere quindi funzione della temperatura e dell’entropia,
secondo la definizione seguente:
v  p 
   
p  v  s
L’effetto di gas reale causa una riduzione del volume specifico, rispetto all’ipotesi di gas perfetto.
Ricordando che il lavoro, nel caso ideale, è dato da:
Ls   vdp
Ne segue che il lavoro di espansione di un gas reale risulterà inferiore, così come la temperatura di
fine trasformazione, e ciò a causa dell’azione delle forze intermolecolari.
Quando si ha a che fare con un gas reale, l’equazione costitutiva che può essere utilizzata in
sostituzione alla classica equazione dei gas perfetti, è ad esempio l’equazione di Van der Waals:
a 

 p  2 v  b   RT
v 

dove a e b sono coefficienti correttivi.
Le tabelle del vapore
Il particolare stato termodinamico in cui si trova la sostanza pura in esame è completamente
descritto se si hanno a disposizione i diagrammi di stato, sotto forma grafica, come visto in
precedenza o attraverso i dati riportati su particolari tabelle.
Nel caso dell’acqua queste tabelle vengono indicate come le tabelle del vapore, saturo e
surriscaldato.
Pagina 27 di 60
8.2
Ciclo Rankine
Per la produzione di potenza elettrica si usano impianti basati prevalentemente sul ciclo Rankine,
Tale ciclo sfrutta il cambiamento di fase dell’acqua o di altri fluidi, e trova applicazione nei seguenti
impianti:
 Centrali Termoelettriche (combustibili fossili)
 Centrali Nucleari
 Centrali Geotermiche
 Centrali Solari (“termodinamico solare”)
Nelle tre figure seguenti è riportato un esempio di centrale termoelettrica, ovvero la centrale Enel di
Piacenza dalla potenza elettrica di 320MW: in particolare si rappresenta il lay-out generale
dell’impianto, lo schema del ciclo termico Rankine e il relativo ciclo nel piano (T,s).
Figura 27: esempio di impianto termoelettrico: Lay-out della centrale Enel di Piacenza da 320MW.
Pagina 28 di 60
Figura 28: schema del ciclo termico dell’impianto a vapore ENEL da 320 MW di Piacenza.
Figura 29: ciclo Rankine nel piano (T,s) dell’impianto a vapore ENEL da 320 MW di Piacenza.
Nell’esempio rappresentato si è di fronte ad un ciclo Rankine reale a più surriscaldamenti con
spillamenti rigenerativi e che utilizza come fluido evolvente l’acqua. Nel seguito affrontiamo
passo a passo la tematica per poter comprenderne completamente il significato.
Pagina 29 di 60
8.2.1 Ciclo Rankine ideale
8.2.1.1
Ciclo Rankine ideale a vapore saturo
Si consideri il ciclo tracciato, nei piani (T,s) e (h,s) in Figura 30. Nella stessa figura è disegnato lo
schema semplificato d’impianto che realizza tale ciclo.
Il ciclo descritto dal fluido comprende 5 trasformazioni: una compressione in fase liquida (1-2), un
riscaldamento a pressione costante (2-3), un passaggio di stato o evaporazione (3-4), un’espansione
in zona bifase (4-5) e un nuovo passaggio di stato o condensazione (5-1) per riportare il fluido alle
condizioni iniziali. Si tratta quindi di un ciclo chiuso, in cui il fluido evolvente è sempre lo stesso,
qualunque sia la trasformazione considerata. Il ciclo tracciato in Figura 30 fa riferimento ad un caso
ideale, ovvero internamente reversibile. Si suppone cioè di considerare le macchine ideali, assenza
di perdite di calore verso l’esterno e di perdite di carico nei condotti di collegamento dei diversi
elementi dell’impianto così come negli scambiatori di calore presenti. Si rimanda alla trattazione
dell’irreversibilità in particolare a i cicli reversibili internamente ed esternamente.
.
.
.
4
SORGENTE
(TH)
Q1
L=LT-Lp
M
Q2
POZZO
(TC)
3
2
.
.
5
1
Figura 30: ciclo Rankine ideale a vapore saturo.
La trasformazione 12 avviene in una stazione di pompaggio attraverso una pompa, e richiede un
assorbimento di potenza dall’esterno pari a:
Pagina 30 di 60
Pp  m  l p ,id  m 
p2  p1

essendo lp,id è il lavoro ideale specifico alla massa, assorbito dalla pompa e ṁ la portata di fluido
evolvente nel ciclo; p2 e p1 è la pressione del fluido evolvente nel ciclo rispettivamente negli stati
identificati con 2 e con 1; infine  è la densità del fluido, nel nostro caso acqua, considerata costante
lungo la trasformazione 12.
Le trasformazioni 23 e 34 avvengono in un generatore di vapore. Sono trasformazioni a
pressione costante, in cui si ha l’introduzione di calore nel ciclo. Nel generatore di vapore l’acqua
viene inizialmente riscaldata in un elemento detto Economizzatore. Raggiunta la temperatura di
saturazione corrispondente alla pressione di evaporazione (pari alla pressione in uscita dalle
pompe), l’acqua inizia ad evaporare. Il processo di evaporazione avviene lungo un’isotermobarica,
ed è realizzata nell’evaporatore. Il calore necessario perché avvengano queste trasformazioni è
fornito, ad esempio negli impianti termoelettrici, dalla combustione di un combustibile fossile o
dalla fissione nucleare. Questo calore rappresenta il calore entrante nel ciclo Q1; in termini di
potenza vale:
4
Q1   m  T  ds  m  (h4  h2 )
2
essendo T e s rispettivamente la temperatura e l’entropia specifica alla massa evolventi durante le
trasformazioni 24; h4 e h2 le entropie specifiche alla massa del fluido che evolve nel ciclo (nel
nostro caso acqua) rispettivamente nello stato 4 e 2.
La trasformazione 45 avviene in una turbina. La turbina sarà collegata ad un generatore elettrico.
La potenza utile meccanica erogata dalla turbina (Pt), al lordo quindi di eventuali perdite nelle
trasmissioni, sarà pari a:
  lt ,s  m
  h4  h5 
Pt  m
essendo lt,s il lavoro specifico alla massa sviluppato dalla turbina lungo un’espansione isoentropica;
h5 e h4 le entropie specifiche alla massa di acqua rispettivamente nello stato 5 e 4.
La trasformazione 5-1 avviene infine in un condensatore. Questo elemento non è altro che uno
scambiatore di calore a superfici, in cui il fluido bifase viene fatto condensare. Il calore di
condensazione Q2 uscente dal ciclo viene ceduto ad un fluido secondario di raffreddamento. Esso
vale in termini di potenza:
1
5
5
1
Q 2    m  T  ds   m  T  ds  m  (h5  h1 )
essendo T e s rispettivamente la temperatura e l’entropia specifica alla massa evolventi durante le
trasformazioni 51; h5 e h1 le entropie specifiche alla massa di acqua, rispettivamente nello stato 5
e 1. Si evidenzia che per le convenzioni di segno il calore è negativo se uscente.
Pagina 31 di 60
Per un ciclo chiuso, si ricorda che la definizione di rendimento di primo principio del ciclo è pari al
rapporto tra effetto utile e quanto si spende per ottenerlo. Nel caso del ciclo a vapore, l’effetto utile
è la potenza netta uscente dal sistema, e quindi la differenza tra quella prodotta dalla turbina e
quella assorbita dalla pompa. Per produrre questa potenza netta, è necessario fornire al ciclo una
potenza termica Q 1 , che quindi rappresenta la spesa. Il rendimento risulta quindi:

Pu Pt  Pp

Q 1
Q 1
La portata di acqua ṁ in circolo nell’impianto è ovunque la stessa, quindi al posto delle potenze si
possono utilizzare i lavori specifici (lt e lp) e i calori (q1) specifici all’unità di massa:
l l
 t p
q1
Si deve notare che il lavoro assorbito dalle pompe (lp) è trascurabile rispetto a quello fornito dalla
turbina (lt). Ciò è dovuto al fatto che il volume specifico dell’acqua in fase liquida è molto piccolo,
2
e quindi il lavoro assorbito dalla pompa l p   vdp risulta molto ridotto se confrontato con quello
1
5
della turbina lt   vdp , dove il fluido evolvente è vapore ad alta temperatura e quindi dotato di un
4
volume specifico decisamente maggiore. Essendo le macchine attraversate dalla stessa portata in
massa, è evidente che la pompa assorbirà una potenza nettamente inferiore rispetto a quella erogata
dalla turbina. Se ad esempio si pensa di far subire al liquido un incremento di pressione pari a 80
bar nella pompa, il lavoro assorbito sarà pari a 8 kJ/kg. L’ordine di grandezza del lavoro fornito
dalla turbina è nettamente maggiore, aggirandosi intorno agli 800 kJ/kg.
Considerando trascurabile il lavoro assorbito dalle pompe, il rendimento del ciclo diventa:
L
 t
Q1
Figura 31: ciclo Rankine ideale a vapore saturo nel piano (p,v).
E’ quindi evidente la ragione per cui il ciclo a vapore non venga normalmente rappresentato nel
piano (p,v), in quanto in questo piano le trasformazioni nella pompa e nella turbina risultano
analoghe, così come mostrato in Figura 31, fornendo quindi una rappresentazione fuorviante
dell’importanza relativa delle trasformazioni.
Pagina 32 di 60
Sorgente Calda
Q1
Tmax
3
4
Lu = Area
Tmin
12
Q2
5
Sorgente Fredda
Figura 32: ciclo ideale a vapore saturo.
È quindi evidente la ragione per cui il ciclo a vapore non venga normalmente rappresentato nel
piano (p,v), in quanto in questo piano le trasformazioni nella pompa e nella turbina risultano
analoghe, così come mostrato in Figura 31, fornendo quindi una rappresentazione fuorviante
dell’importanza relativa delle trasformazioni.
Come già approfondito nel capitolo dedicato, il rendimento di primo principio fornisce delle
informazioni d tipo quantitativo, ovvero non è altro che l’applicazione di un bilancio energetico del
primo principio della termodinamica.
Interessante diventa invece, a parità di condizioni (temperature massime e minime del ciclo),
valutare quanto il ciclo in esame sia prossimo alle efficienze del miglior ciclo possibile che è il ciclo
reversibile, di cui un esempio è fornito dal ciclo di Carnot.
Si introduce allora il rendimento di secondo principio o rendimento energetico, definito come
rapporto tra rendimento del ciclo in esame ed il rendimento del relativo ciclo reversibile, ovvero:
1 principio
L
 II  exergetico 

1 principioreversibile Lreversibile
Il rendimento di secondo principio esprime la qualità di un ciclo; la lontananza dell’efficienza di un
ciclo qualsiasi da quello reversibile è dovuto alla presenza di irreversibilità, sia esse interne che
esterne.
Per individuare le cause di riduzione di efficienza del ciclo si preferisce utilizzare un’espressione
del rendimento, in cui compaiano esplicitamente le irreversibilità:
s T
1 principio  Carnot   i min
Q1
Questa espressione, che fornisce esattamente lo stesso valore della scrittura tipica:
1 principio 
Lutile
Q
1 2
Q1
Q1
Pagina 33 di 60
fa uso del rendimento di un ciclo di Carnot di riferimento, ossia del ciclo di Carnot che evolverebbe
tra le stesse temperature minima e massima del ciclo, come mostrato in Figura 32:
T
Carnot  1  min
Tmax
In questa analisi si assume cioè che la sorgente calda sia collocata ad una temperatura
corrispondente alla Tmax del ciclo che, in questo caso, coincide con la temperatura di evaporazione.
La sorgente fredda si trova invece alla Tmin del ciclo, coincidente con la temperatura di
condensazione. Il ciclo a vapore saturo è pertanto quello che più si avvicina al ciclo di Carnot. Esso
tuttavia non ne raggiunge il rendimento in quanto, pur avendo supposto ogni trasformazione ideale,
presenta una fase di introduzione di calore a temperatura variabile (23), in cui il calore viene
scambiato (tra sorgente e fluido) con differenze finite di temperatura, che quindi comporta la
presenza di irreversibilità esterne.
Un ulteriore parametro fondamentale per descrivere le prestazioni di un ciclo a vapore è il lavoro
utile. Nel caso ideale (si ricorda che un ciclo ideale è un ciclo reversibile internamente), l’area
racchiusa dalle trasformazioni rappresenta il lavoro utile specifico alla massa (lu):
4
1
2
5
lu  q1  q2   Tds   Tds
essendo q1 e q2 le quantità di calore specifiche alla massa scambiate; T e s rispettivamente la
temperatura e l’entropia specifica alla massa evolventi durante le trasformazioni in esame.
E’ quindi evidente che, per aumentare il lavoro fornito dalla turbina sarà necessario aumentare il più
possibile l’area racchiusa dal ciclo. Questo può essere ottenuto diminuendo la temperatura di
condensazione e aumentando quella di evaporazione.
L’aumento della temperatura di evaporazione significa aumentare la temperatura della sorgente:
aspetto questo fattibile fino ad un certo punto in quanto poi esistono problemi strutturali dei
materiali ad avere in gioco temperature troppo elevate.
La diminuzione della temperatura di condensazione significa conseguentemente diminuire la
temperatura del pozzo: ma la temperatura del pozzo è, il più delle volte, la temperatura dell’aria
ambiente o dell’acqua di un fiume o di un mare e pertanto è fisicamente fissata e non può scendere
sotto certi valori.
I cicli a vapore saturo vengono usati solamente nelle centrali nucleari e in impianti geotermici, dove
la sorgente termica si trova a bassa temperatura. Essi possono raggiungere rendimenti, nel caso
ideale, dell’ordine del 30-35%. Per superare questi inconvenienti e ottenere cicli termodinamici
caratterizzati da rendimenti maggiori si introduce il ciclo a vapore surriscaldato.
Pagina 34 di 60
8.2.1.2
Ciclo Rankine ideale a vapore surriscaldato
Con riferimento alla Figura 33, il ciclo a vapore surriscaldato si differenzia da quello a vapore
saturo per la presenza, nel generatore di vapore, di una terza zona, detta surriscaldatore. Il vapore
in uscita dall’evaporatore entra in un ulteriore scambiatore di calore in cui si riscalda fino alla
temperatura TSH (dall’inglese super heat). Il fluido che entra in turbina è quindi un vapore
surriscaldato, che ha tutte le caratteristiche di un gas perfetto.
T
5
3
4
2
6is
1
s
.
5
h
.
4
2
.
6rev
.
3
..
2
1
s
Figura 33: ciclo Rankine ideale a vapore surriscaldato.
.
Pagina 35 di 60
L’introduzione del surriscaldamento ha diversi effetti benefici.
Innanzitutto aumenta il lavoro utile Lu (area (1-2-3-4-5-6is)) avendo aumentato l’area racchiusa dal
ciclo, nel caso ideale. Si ricorda che con lavoro utile si intende la differenza del lavori reso
disponibile dalla turbina e quelli assorbito dal sistema di pompaggio.
Infatti graficamente l’aumento di lavoro utile corrisponde con l’area (4-5-6is-4is):
T
Q45
Q34
.
3
.5
.4
Q23
L56is
L12
..1
2
.3
.4
is
is
.6
is
Q6is1
s1
s3
s4
s6
s
Figura 34: ciclo Rankine ideale a vapore surriscaldato.
L’aumento del lavoro utile non comporta necessariamente l’aumento dell’efficienza (rendimento)
del ciclo. Infatti l’aumento di lavoro utile riscontrato (effetto utile) è conseguenza di una maggiore
spesa dovuta al maggior calore introdotto Q1 per effettuare il surriscaldamento, ovvero ricordando il
rendimento di primo principio si ha:
L
1 principio  utile
Q1
E’ evidente che nel caso del surriscaldamento è cresciuto il numeratore (e la crescita è pari all’area
(4-5-6is-4is)), ma contestualmente è aumentato il calore introdotto del valore Q45 (area 4-5-S6-S4).
In realtà aumenta anche il rendimento del ciclo, avendo aumentato la temperatura media di
introduzione del calore e quindi ridotto il peso delle irreversibilità introdotte per scambio di calore
con salto finito di temperatura.
Infatti l’aumento di rendimento conseguente all’introduzione del surriscaldamento può essere
qualitativamente dimostrato se si immagina di suddividere il ciclo in tre cicli elementari, così come
schematizzato nella seguente Figura 35.
Pagina 36 di 60
T
Q1III
3
Q1II
.
5
.4
I
Q1
III
II
I
2
4is
Q2III
3is
Q2II
1 Q2I
6is
s
Figura 35: suddivisione del Ciclo ideale in tre cicli elementari (I, II, III).
Ricordando che il rendimento di un ciclo è tanto maggiore quanto più è grande la differenza tra le
temperature medie di introduzione e cessione del calore, è evidente che il rendimento del ciclo I è
sicuramente inferiore rispetto a quello del ciclo II il quale è, a sua volta, inferiore rispetto a quello
del ciclo III:
I  II  III
Il rendimento complessivo del ciclo surriscaldato può essere facilmente calcolato come la media
pesata sui calori entranti dei rendimenti dei singoli cicli.
Basta infatti ricordare che la relazione può essere scritta per ogni ciclo, così come per il ciclo
complessivo, per cui si ricava:
I 
(Q1  Q2 ) I
 II 
 III 
I
(Q1  Q2 ) II
Q1
II
(Q1  Q2 ) III
Q1
III
Q1  Q2 Q1  Q2   Q1  Q2   Q1  Q2 
 I Q1I   II Q1II   III Q1III


Q1
Q1I  Q1II  Q1III
Q1I  Q1II  Q1III
I

Q1
II
III
Se il rendimento del terzo ciclo, quello introdotto con il surriscaldamento, è maggiore del
rendimento del ciclo saturo di partenza, il rendimento finale del ciclo a vapore surriscaldato sarà
una via di mezzo tra i due, e quindi sicuramente maggiore del rendimento del ciclo saturo di
partenza.
Pagina 37 di 60
8.2.2 Ciclo Rankine reale
Il ciclo Rankine reale (1-2reale-3-4-5-6reale), rappresentato in Figura 36, è quel ciclo in cui, rispetto al
caso ideale, si introducono le irreversibilità in fase di pompaggio del liquido(1-2reale) e di espansione
in turbina (5-6reale ). Si continuano invece ad assumere nulle le perdite di calore verso l’esterno, così
come le perdite di carico nelle tubazioni e negli scambiatori.
T
.5
3
.4
.
..
2is. 2reale
1
6is
.6
reale
s
Figura 36: ciclo Rankine reale nel piano (T,s).
Le trasformazioni (1-2reale) e (5-6reale) sono trasformazioni non ideali( non irreversibili internamente)
e pertanto non se ne conosce univocamente tutti gli stati , ma solo lo stato iniziale e finale, ovvero
solo 1 e 2reale e solo 5 e 6reale e : come si è avuto già modo di approfondire nel capitolo dedicato alle
irreversibilità, per convenzione, si suole rappresentare con un segmento tratteggiato tali
trasformazioni ad indicare che i punti intermedi ai punti iniziale e finale non sono rappresentativi
degli stati termodinamici del sistema.
Si evidenzia, come atteso, che le due trasformazioni portano ad una crescita dell’entropia del
sistema.
Il punto di fine espansione reale (6reale) cade sulla isobara: quindi se è all’interno della campana sarà
sulla isotermo barica, se fosse esterno cadrebbe sull’isobara, ovvero:
.
5
T
.
5
T
isotermobarica
espansione reale
.
isotermobarica
espansione reale
isotermobarica
. .6
isotermobarica
..
6is
6is 6real
isotermobarica
e
s
.
Figura 37: punto di caduta dell’espansione reale nel piano
s (T,s).
Pagina 38 di 60
reale
s
.
isobara
L’espansione reale determina un punto di fine espansione più a destra e quindi nel caso in cui si sia
ancora all’interno della campana uno stato con titolo maggiore e quindi sicuramente preferibile
dalle ultime schiere di palette della turbina a vapore.
Lo spostamento verso destra però determina maggiore entropia e quindi minor lavoro sviluppato
durante l’espansione. Analizzando il ciclo Rankine reale nel diagramma (h,s) (Figura 38) è ben
evidente questa riduzione dell’effetto utile, ovvero diminuzione del salto entalpico di espansione.
Lo scostamento dell’espansione reale da quella isoentropica è dovuto ad una serie di cause, che si
possono limitare in fase di costruzione della macchina turbina, ma che non si possono mai eliminare
completamente. Queste cause possono essere così riepilogate:
-
attriti interni sulla palettatura;
perdite di calore verso l’esterno;
fughe di vapore;
energia cinetica del vapore in uscita all’ultima girante.
.
5
h
hreale = (h5-h6reale)
.
4
..
hideale = (h5-h6id)
6reale
2
.
6id
riduzione di effetto utile
3
..
2
1
s
Figura 38: punto di caduta dell’espansione reale nel piano (h,s).
Pagina 39 di 60
Ora si analizzano le diverse trasformazioni che costituiscono il ciclo Rankine reale, assumendo, in
tutte le macchine e componenti di impianto, trascurabile sia la variazione di quota, che la variazione
di energia cinetica tra ingresso e uscita.
Con queste ipotesi, le scritture delle due forme dell’equazione dell’energia per sistemi aperti al
flusso di massa sono:
out
l e  lirr   vdp
in
le  qe  hout  hin
Ogni elemento costitutivo dell’impianto verrà analizzato inizialmente come se fosse una scatola
nera. Si vedrà quindi cosa succede tra ingresso e uscita, tenendo conto delle perdite nelle macchine
attraverso la definizione di opportuni rendimenti. Si ricorda inoltre che le trasformazioni nelle
macchine a fluido, pompe e turbine, sono comunque adiabatiche.
Il ciclo può essere considerato costituito da un certo numero di macchine e quindi schematizzato
come nella Figura 39 seguente.
T
.5
3
..
2is. 2reale
1
.
.4
6is
.6
reale
s
Figura 39: schematizzazione del ciclo Rankine.
Pagina 40 di 60
Pompa (12)
h
h2reale
h2id
h1
isobara
.
2reale
.
2id
reale
pompaggio reale
.
1
pompaggio ideale
s1
s
Figura 40: la trasformazione 12.
La trasformazione 12 avviene in una o più pompe. Se si considerano le macchine ideali, il punto
finale 2 si trova alla stessa entropia del punto 1(s1). Il lavoro ideale assorbito dalla macchina (lp,id)
specifico alla massa (lp,id), essendo il fluido incomprimibile, vale:
l p ,id  vp  h2id  h1
Se viceversa la macchina è reale, il punto di fine compressione si troverà allo stesso livello di
pressione del caso ideale, ma ad un’entropia maggiore (punto 2reale). Detto p il rendimento della
pompa, definito come il rapporto tra lavoro ideale e lavoro reale, il lavoro reale specifico alla massa
assorbito dalla pompa sarà:
l p , reale 
l p ,id
p
 h2 reale  h1
E’ inoltre possibile valutare anche la temperatura del fluido all’uscita della macchina. Trattandosi
sempre di liquido, la variazione di entalpia dovuta alle irreversibilità è esprimibile in termini di
variazione di temperatura:
h2, reale  h2,id  c  T2, reale  T2,id 
essendo c il calore specifico dell’acqua, pari a 4.186 kJ/(kgxK).
L’ipotesi di trascurare il lavoro assorbito dalle pompe si traduce nell’assumere che la variazione di
entalpia a cavallo della macchina sia trascurabile, così come la variazione di temperatura.
Ovviamente lo stesso non può essere detto per la pressione.
Pagina 41 di 60
Generatore di vapore (2345)
.
h
h5
5
isobara
.
4
h4
2
h3
3
.
.
h2
isotermobarica
isobara
2
s2 s3
s4
s5
3
2
ECO
N
.
.
.
.
q45
q34
q23
H2O alimento dal degasatore
s
EVA
vapore surriscaldato alla turbina
5
4
SH
Figura 41: le trasformazioni 2345.
Le trasformazione 2345 avvengono nel generatore di vapore. Nella particolare sezione del
generatore di vapore detta ECONOMIZZATORE (anche ECO) si ha un riscaldamento isobaro in
fase liquida fino al raggiungimento delle condizioni di saturazione (trasformazione 23); nella
sezione detta EVAPORATORE o VAPORIZZATORE (anche EVA) si ha il passaggio di fase a
pressione e temperatura costanti (trasformazione 34). Infine nel SURRISCALDATORE (anche
SH) si ha l’ulteriore riscaldamento del vapore ancora a pressione costante fino alla temperatura di
surriscaldamento (trasformazione 45).
Il calore specifico all’unità di massa introdotto nel ciclo lungo le trasformazioni 2345 vale
quindi:
qtot  q23  q34  q45  (h3  h2 )  (h4  h3 )  (h5  h4 )  h5  h2
Pagina 42 di 60
Turbina (56)
.
h
h5
5
hreale
hideale
h6reale
h6id
..
6id
6reale
s6id s6reale
s
Figura 42: la trasformazione 56.
Se la macchina è ideale, il punto di fine espansione (6id) si trova alla temperatura e pressione
minime del ciclo, e con un’entropia uguale a quella del punto d’inizio espansione (s6id ).
Il lavoro ideale sempre specifico alla massa (lt,id) fornito dalla turbina vale quindi:
lt ,id  h5  h6id
Considerando la macchina reale, il fluido in uscita dalla turbina avrà la stessa pressione e
temperatura del caso ideale, ma un’entropia maggiore, e quindi un titolo del vapore maggiore.
Introducendo un rendimento isoentropico della turbina t,isoentropico, anch’esso definito come il
rapporto tra lavoro reale e lavoro ideale:
t ,isoentropico 
h5  h6,reale hreale

h5  h6,id
hideale
(a)
è possibile calcolare il lavoro specifico alla massa realmente erogato dalla turbina (lt,reale):
lt ,reale  h5  h6,reale  t ,isoentropico  lt ,id  t ,isoentropico  (h5  h6,id )
L’introduzione del rendimento isoentropico evidenzia ancora una volta la “ratio” logica con cui ci si
muove. Si è individuata la trasformazione più comoda da gestire che è quella ideale (56id) e poi la
realtà si discosta dall’dealità e pertanto si introducono dei coefficienti correttivi al caso ideale per
farlo avvicinare al reale. Tali rendimenti vengono dati da chi realizza la macchina.
Operativamente, noto il valore del rendimento dell’isoentropica, ad esempio pari a 0,85, dalla
scrittura (a) si ricava l’incognita che è h6,reale.
Normalmente il fluido, lungo l’espansione, passa da vapore surriscaldato a fluido bifase. Non è
quindi utilizzabile alcuna relazione semplice per il calcolo delle diverse grandezze termodinamiche
all’uscita della macchina, ma sarà necessario utilizzare il piano di Mollier o le tabelle del vapore.
Pagina 43 di 60
Condensatore (61)
h
.
h6
h1
6reale
1
.
isotermobarica
s1
s
s6
5
CONDENSATORE
da scarico turbina
.
.
6reale
liquido saturo al degasatore
1
q61
Figura 43: la trasformazione 61.
Il fluido bifase uscente dalla turbina viene fatto condensare a pressione e temperatura costanti. Il
calore specifico alla massa sottratto al fluido vale:
q61  h6,reale  h1
Il condensatore è un grande scambiatore di calore caratterizzato da:
- un modesto salto termico trai due fluidi (generalmente nelle centrali di produzione il vapore
scaricato dalla turbina è a 3040°C a 0,05 kg/cm2 e l’acqua refrigerante a 525°C;
- una grande quantità di calore da scambiare ( ad esempio per un gruppo da 320MW si ha una
portata di vapore scaricato dalla turbina di circa 600 t/h, che a circa 560 kcal/kg comporta una
quantità di potenza termica in gioco di poco meno di 400 MW da smaltire;
- una grande dimensione della superficie di scambio termico. Considerando sempre un gruppo da
320 MW si ha una superficie dell’ordine di 16.000 m2;
- una grande portata di acqua di raffreddamento necessaria per condensare il vapore (nel caso di
condensatore ad acqua). Considerando un salto medio dell’acqua di raffreddamento t = 89°C
per asportare le 560 kcal dal chilogrammo di vapore occorrono 80100 litri di acqua di
raffreddamento.
Il corretto dimensionamento ed impiego del condensatore soddisfa le seguenti priorità:
- accrescere l’area racchiusa dal ciclo per aumentare la massimo l’efficienza;
- chiudere il ciclo recuperando il vapore in forma di liquido condensato per iniziare
nuovamente il ciclo;
- costituire assieme al degasatore e al corpo cilindrico una riserva di acqua utile a fronteggiare
riduzioni di portata nel ciclo, ad esempio a causa di apertura di scarichi e valvole di
sicurezza.
Pagina 44 di 60
Ora è possibile esprimere il rendimento di primo principio del ciclo Rankine reale ad un
surriscaldamento in funzione dei salti entalpici che il fluido subisce nelle diverse trasformazioni:
 I ,reale 
lt ,reale  l p ,reale
h  h   h2,reale  h1 
lutile

 5 6,reale
spesa q23  q34  q45
h5  h2
Bisogna precisare che, quanto detto fino ad ora, in realtà si riferisce al caso “quasi reale” in cui
vengono considerate le perdite nelle trasformazioni che hanno luogo nelle pompe e nella turbina;
tutte le altre ipotesi, e cioè le assunzioni di assenza di perdite di calore verso l’esterno, di perdite di
carico nel condensatore e nel generatore di vapore nulle, così come nei condotti di collegamento tra
i diversi componenti, sono state mantenute. Queste ipotesi fanno sì che nella realtà le
trasformazioni che il fluido subisce nel compiere il ciclo di lavoro siano diverse, e che il rendimento
dell’impianto reale sia inferiore, così come la potenza erogata dalla turbina.
Le prestazioni di un impianto a vapore vengono spesso fornite in termini di Consumo specifico
(Heat Rate), ovvero l’inverso del rendimento. Il consumo specifico, pur essendo concettualmente
un parametro a-dimensionale, viene solitamente calcolato in kcal/kWh, ed esprime quindi quanta
energia termica viene utilizzata per produrre un chilowattora:
Q
860
Heat Rate 
 860 1

Lt
essendo 860 kcal = 1 kWh.
Un altro parametro utile nella definizione della taglia dell’impianto è il consumo di vapore:
1
Consumo di vapore  qv 
lu
ed è normalmente espresso in kg/kcal. Esso quindi indica quanti chilogrammi di vapore vengono
prodotti dall’unità di energia.
Pagina 45 di 60
8.3
Analisi delle influenze di alcune grandezze
Se si considera il generico impianto a vapore con surriscaldamento, è evidente come le prestazioni
dell’impianto, lavoro erogato dalla turbina e rendimento del ciclo, siano funzione della pressione di
evaporazione, della temperatura di surriscaldamento e della temperatura di condensazione, oltre
ovviamente del rendimento della turbina:
  f  pev , tSH , tcond ,t 
Ci si chiede a questo punto in che maniera questi parametri influenzino il rendimento del ciclo. Per
fare ciò, si analizza l’influenza di ciascuno singolarmente.
pressione di evaporazione (pev) e temperatura di surriscaldamento (tSH)
Figura 44: influenza della pressione di evaporazione sul ciclo Rankine.
Come mostrato in Figura 44, al crescere della pressione di evaporazione (restando sempre
comunque inferiore al valore critico), fissati gli altri parametri, il rendimento subito aumenta molto,
ma questo aumento si riduce di entità al crescere della pressione. Ciò è dovuto al fatto che, più
aumenta la pressione di evaporazione, maggiore risulta la quota di calore introdotto a bassa
temperatura, e ciò va in parte a bilanciare l’aumento del rendimento dei tre cicli in cui è possibile
scomporre il ciclo surriscaldato, aumento legato al fatto che, in tutti e tre i cicli, aumenta la
temperatura media di introduzione del calore.
Inoltre, al crescere della pressione di evaporazione, la linea di espansione in turbina si sposta
sempre più a sinistra, comportando una parte sempre più estesa di espansione in zona bifase, con
quindi un peggioramento del rendimento della turbina. Infatti la presenza, nell’espansione, di gocce
di liquido circondate dal vapore, porti ad una diminuzione del rendimento della macchina,
esercitando le gocce un’azione frenante sul vapore che le circonda. Inoltre, l’impatto delle gocce
sulle superfici palari della turbina può portare a fenomeni di erosione delle palettature con
conseguente deterioramento del funzionamento della macchina. Negli impianti di piccola taglia si
possono tollerare titoli del vapore allo scarico della turbina non inferiori a 0.85, valore che sale a
0.92 per gli impianti di grossa taglia.
L’influenza della pressione di evaporazione sul rendimento di diverse tipologie di cicli a vapore è
ben evidenziata nella figura seguente Figura 45.
Pagina 46 di 60
Figura 45: effetto della pressione di evaporazione sul rendimento del ciclo saturo, surriscaldato e a scarico
atmosferico.
Oltre al ciclo di Carnot, vengono considerati un ciclo a vapore saturo con pressione al condensatore
pari a 0.05 kg/mm2, un ciclo Rankine semplice con uguale pressione al condensatore e temperatura
di surriscaldamento pari a 500°C, e un ciclo a vapore in cui nel condensatore regna la pressione
atmosferica. Dalle curve riportate in Figura 45 si vede come il passaggio dal ciclo a vapore saturo a
quello surriscaldato comporti tutto sommato un guadagno piuttosto limitato (il guadagno maggiore
dell’introduzione del surriscaldamento riguarda l’espansione in turbina), mentre risulti significativa
la caduta di rendimento conseguente all’instaurarsi della pressione atmosferica allo scarico della
Pagina 47 di 60
turbina. Ovviamente, qualunque sia il ciclo considerato, esso è ben lontano dal raggiungere il
rendimento del ciclo di Carnot equivalente (con tmax = 500°C).
Aumentare la pressione di evaporazione quindi conviene fino ad un certo punto, a meno che questo
aumento non sia accompagnato da altri accorgimenti, come ad esempio un incremento della
temperatura di surriscaldamento.
In Figura 46 e Figura 47 è illustrata l’influenza combinata di questi due parametri.
Figura 46: effetto della pressione di evaporazione sul rendimento del ciclo surriscaldato.
Pagina 48 di 60
Figura 47: effetto della temperatura di surriscaldamento sul rendimento del ciclo.
La Figura 46 in particolare mostra come la pressione di evaporazione corrispondente al massimo
rendimento aumenti al crescere della temperatura di surriscaldamento. Inoltre, aumentare detta
temperatura comporta un guadagno di rendimento, la cui entità tuttavia si riduce progressivamente,
così come avviene per la pressione.
La Figura 47 mostra infine come la temperatura di surriscaldamento sia poco influente per gli
impianti a vapore sub-critici. Per aumentare il rendimento del 10% la temperatura dovrebbe infatti
raddoppiare, passando da 500°C a 1000°C. Si fa però notare come esista un vincolo sulla
temperatura di surriscaldamento, vincolo dettato da ragioni di convenienza economica. Tale limite
si assesta sui 500 – 600°C, ed è imposto da considerazioni riguardanti i materiali utilizzati per la
costruzione del generatore di vapore. Va infatti sottolineato come il generatore di vapore costituisca
il componente più ingombrante, insieme al condensatore, di tutto l’impianto a vapore, e quello che
si trova ad operare, in regime continuo, con temperature elevate.
La scelta della tipologia di materiali con cui realizzare il generatore di vapore vincola quindi la
massima temperatura del ciclo. Se infatti si volesse andare oltre i 600°C sarebbe necessario passare
a leghe a base di nichel o cobalto, decisamente molto più costose. Aumentare la temperatura di
surriscaldamento oltre questo limite comporterebbe un aumento del rendimento dell’impianto che
economicamente non paga il maggior investimento iniziale.
temperatura di condensazione (tcond)
Il rendimento del ciclo è influenzato dalla temperatura di condensazione. Con riferimento alla
Figura 48 in cui è riportato un ciclo ideale, un abbassamento della temperatura di condensazione da
Tk a Tk’ comporta un aumento del lavoro utile, pari all’aumento dell’area racchiusa dal ciclo
(2'266’). Il valore della temperatura di condensazione è però imposto dalla temperatura dell’acqua
di raffreddamento TR, dall’aumento di temperatura che l’acqua di raffreddamento subisce
Pagina 49 di 60
nell’attraversamento del condensatore TR, funzione della portata d’acqua di raffreddamento, e
della minima differenza di temperatura tra i due flussi Tmin, a sua volta imposta dalle superfici di
scambio termico presenti, tra loro legate dal seguente bilancio termico:
Q 2  Q H2O  mH2O cTR  USTml
Figura 48: effetto della temperatura di condensazione.
dove Tml è la differenza di temperatura media logaritmica. Per poter abbassare la temperatura di
condensazione è allora necessario, fissata la temperatura dell’acqua di raffreddamento, o
aumentarne la portata, riducendo quindi TR, o aumentare le superfici di scambio termico,
riducendo Tmin, o entrambe le cose.
Se si hanno a disposizione grandi quantitativi d’acqua, è possibile ottenere temperature di
condensazione dell’ordine dei 20°C. Se infatti si suppone di avere acqua a 6°C, che subisca nel
condensatore un incremento di 8°C, e che le superfici di scambio termico siano tali da garantire una
minima differenza di temperatura di 7°C, la temperatura di condensazione risulta pari a 21°C. E’
necessario valutare se lo sforzo richiesto per ottenere tale abbassamento di temperatura sia
economicamente vantaggioso.
E’ possibile dimostrare che l’abbassamento della temperatura di condensazione comporta un
aumento del rendimento del ciclo. Abbiamo già detto che aumenta il lavoro utile, aumento che può
essere approssimativamente così quantificato:
r X
L  Tk s  Tk  Tk   k
Tk
essendo rk il calore di condensazione alla temperatura Tk e X il titolo del vapore a fine espansione.
Anche il calore entrante nel ciclo aumenta:
Q1  cTk
Ne segue che la variazione di rendimento del ciclo conseguente ad un abbassamento di temperatura
di condensazione vale:
r X
  k
cTk
Se si suppone ad esempio di avere una temperatura iniziale di condensazione di 32°C, con un titolo
del vapore pari a 0.9, si ottiene un aumento di rendimento di 1.71%. Ne segue quindi che il
rendimento termodinamico del ciclo aumenta, mentre diminuisce il titolo del vapore allo scarico
della turbina. Bisogna però valutare quali possono essere gli svantaggi, che portano a definire
un’ottima temperatura di condensazione.
Pagina 50 di 60
Innanzi tutto, si rende necessario aumentare le superfici di scambio termico, con conseguente
aumento del costo del condensatore. Aumenta inoltre la potenza assorbita dalle pompe di
circolazione, sia lato impianto, sia lato acqua di raffreddamento, aumentando il salto di pressione
che queste devono fornire. Un altro aspetto importante riguarda le dimensioni della corona di
scarico della turbina, aspetto che può spesso essere quello dominante. Supponiamo di avere un
condensatore progettato per lavorare a circa 33°C, a cui corrispondono 0.05 bar. Se si vuole
scendere a 21°C (a cui competono 0.025 bar), il volume specifico varia, come ordine di grandezza,
da 28.19 m3/kg a 54.3 m3/kg, e quindi aumenta di circa l’80-90%. L’aumento richiesto di sezione di
passaggio è quindi notevole, e potrebbe richiedere il passaggio ad una configurazione della turbina a
più flussi. Infatti la massima portata smaltibile da un singolo corpo di turbina è limitato dal
raggiungimento della massima sezione di passaggio consentita dalla resistenza meccanica delle pale
del rotore alla forza centrifuga. Quando questo limite viene raggiunto, il flusso di vapore viene
ripartito su più corpi di turbina, disposti in una classica configurazione in parallelo.
Pagina 51 di 60
8.4
Cicli con ri-surriscaldamenti e cicli ipercritici
Dall’analisi precedente risulta chiaro come il modo più efficace di aumentare il rendimento del ciclo
a vapore consista nell’aumentare la pressione di evaporazione. Si è però sottolineato come tale
aumento comporti anche una diminuzione del titolo di vapore all’uscita della turbina, con un
conseguente decadimento del rendimento della macchina. Negli impianti di grande potenza,
all’aumento di pressione di evaporazione viene accoppiata una configurazione d’impianto che
prevede un doppio surriscaldamento del vapore o, in casi particolari, addirittura un triplo
surriscaldamento, in maniera da garantire un valore adeguato del titolo del vapore allo scarico della
turbina.
Con riferimento alla Figura 49 il vapore surriscaldato in uscita dal generatore di vapore (punto 5)
viene inviato in un primo corpo di turbina, di alta pressione, dove espande parzialmente fino al
livello di pressione indicato con 6. A questo punto, il vapore di media pressione viene rimandato al
generatore di vapore, dove subisce un secondo surriscaldamento, in generale fino ad una
temperatura prossima, se non uguale, a quella del primo surriscaldamento (punto 7). Questo vapore
viene quindi rinviato in turbina, questa volta di media e bassa pressione, dove espande fino alle
condizioni imposte dal condensatore (punto 8).
E’ evidente che il rendimento del ciclo migliora, avendo aggiunto un ulteriore ciclo (8’678)
caratterizzato da un rendimento maggiore rispetto a quello originario, in quanto il calore viene
introdotto ad una temperatura mediamente superiore.
Figura 49: ciclo con ri-surriscaldamento.
Esiste un ottimo livello di pressione a cui effettuare il ri-surriscaldamento. Questo ottimo livello è
indicato nella seguente Figura 50 dove viene diagrammato l’aumento di rendimento conseguente
all’introduzione di un surriscaldamento ripetuto, in funzione del rapporto tra la pressione di risurriscaldamento e quella in ingresso in turbina. Sono inoltre tracciati gli andamenti della
temperatura di ri-surriscaldamento e del titolo del vapore all’uscita della turbina.
Pagina 52 di 60
Figura 50: pressione ottima di risurriscaldamento.
Fino ad ora si sono analizzati solo impianti in cui la pressione di evaporazione fosse inferiore al
valore critico. L’ulteriore aumento della pressione al di sopra della pressione critica porta a quelli
che vanno sotto il nome di impianti iper-critici. La Figura 51 ne riporta un esempio.
Figura 51: ciclo a vapore ipercritico.
In questi impianti, in cui il passaggio di stato da liquido a vapore surriscaldato avviene in maniera
diretta, senza la presenza di una fase intermedia, si può arrivare fino ad un massimo di 3
surriscaldamenti. Va comunque notato che, anche in presenza di surriscaldamenti ripetuti,
l’espansione in turbina deve terminare all’interno della campana, e quindi in zona di vapore umido.
Questo per garantire un buon funzionamento del condensatore. Un conto è infatti sottrarre calore ad
un vapore bifase condensante, un altro conto farlo con un vapore surriscaldato, che quindi presenta
un minor coefficiente di scambio termico.
Pagina 53 di 60
8.5
Rigenerazione
Consideriamo un ciclo a vapore saturo come quello riportato in precedenza.
Si è visto come la fase di pre-riscaldo dell’acqua di alimento (economizzatore), essendo quella che
presuppone uno scambio termico tra condensato a bassa temperatura e la sorgente, supposta
idealmente alla temperatura massima del ciclo, sia quella che presenta le maggiori irreversibilità.
Sarebbe allora possibile aumentare il rendimento del ciclo se si potesse spostare il punto di ingresso
dell’acqua in caldaia a un livello termico maggiore. Questo è possibile grazie alla rigenerazione.
L’idea della rigenerazione prende spunto dai cicli termodinamici proposti da Erikson e Stirling
(Figura 52). Consideriamo inizialmente il caso ideale. Tali cicli, detti simmetrici, consistono di due
trasformazioni isoterme collegate da due trasformazioni della stessa famiglia: due isocore per il
ciclo Stirling e due isobare per quello di Erikson. La rigenerazione avviene nelle trasformazioni 1-2
e 3-4, tra cui avviene uno scambio termico interno e reversibile. Il calore entrante Q1” viene infatti
ceduto reversibilmente al fluido nella trasformazione 1-2 non a spese di una sorgente esterna, ma
internamente al ciclo stesso: è infatti il fluido di lavoro stesso che, in fase di espansione 3-4, cede
reversibilmente al fluido che viene compresso una quantità di calore Q2” esattamente pari a quella
richiesta Q1”. Questo calore è quindi scambiato internamente al ciclo, e non con l’esterno, e quindi
non compare nell’espressione del rendimento. Ne risulta quindi che il rendimento di un simile ciclo
è uguale a quello del ciclo di Carnot evolvente tra le stesse temperature minima e massima:

Q2
RT1 lnp1 p4 
T
  1
 1
 1 1

RT3 lnp2 p3 
T3
Q1
T
Q’1
2
3
Q’’1
Q’’2
1
Q’2
4
s
Figura 52: ciclo di Erikson.
Se si applica quanto visto al ciclo a vapore, l’ideale sarebbe realizzare una espansione come quella
riportata in Figura 53, in cui cioè il vapore scambia calore con l’acqua di alimento in maniera
reversibile durante l’espansione. La fattibilità pratica di un tale ciclo è tuttavia impraticabile. Esso
infatti presuppone la possibilità di scambiare calore durante l’espansione, come schematizzato in
Figura 53. Tuttavia, le superfici palari all’interno della turbina lambite dal vapore non sono
sufficientemente estese perché lo scambio termico con il liquido risulti possibile. Ma anche nel caso
in cui queste fossero sufficienti, le portate in gioco e i tempi di attraversamento della macchina da
parte del vapore sono tali da rendere il processo di scambio termico inefficiente. Inoltre, il vapore
negli ultimi stadi della turbine presenterebbe un titolo eccessivamente basso (punto 2), con
conseguenti problemi per il corretto funzionamento ed efficienza della turbina stessa.
Pagina 54 di 60
Figura 53: rigenerazione ideale.
Per ovviare a questi problemi, si fanno prelievi (spillamenti) successivi di vapore dalla turbina e questo vapore
questo vapore viene usato per pre-riscaldare l’acqua di alimento, tra l’uscita dal condensatore e l’ingresso nel
l’ingresso nel generatore di vapore, in opportuni scambiatori di calore, così come mostrato in Figura 54 e
Figura 55. Con questo sistema si usa tutto il calore contenuto in una porzione limitata di vapore
invece di usare parte del calore contenuto in tutto il vapore evolvente in turbina.
Vediamo dapprima come si modifica l’espressione del rendimento del ciclo in presenza di
rigenerazione.
Consideriamo ad esempio il caso di Figura 54. In presenza di rigenerazione ideale, l’espressione del
rendimento diventa:

PT  PP
PT
m  h8  h11   m2  h9  h11   m3  h10  h11 

 v
mv  Q1 mv  Q1
mv  h8  h6 
essendo mv la portata complessivamente prodotta nel generatore di vapore.
Pagina 55 di 60
A questo punto è necessario entrare nel merito di come questo rigeneratore funziona ed,
eventualmente, introdurre delle semplificazioni. Esistono due tipi di rigeneratori: a miscela e a
superficie.
Nel caso dei rigeneratori a miscela (Figura 54), il vapore spillato dalla turbina entra nello
scambiatore, dove si miscela con l’acqua di alimento proveniente o dal condensatore, o dallo
scambiatore precedente. Lo scambiatore lavora quindi a pressione costante, e tutti i flussi di massa
che entrano, o escono, si trovano alla stessa pressione. Il vapore spillato cede il proprio calore
latente di condensazione per portare l’acqua di alimento in condizioni sature. Il fluido che ne esce
può, in prima approssimazione, essere considerato come un liquido saturo alla pressione che regna
nello scambiatore a miscela.
Il principio di conservazione dell’energia applicato ad esempio al primo scambiatore di Figura 54
porta alla seguente relazione:
mv  m2  m3   h2  m3  h10  mv  m2   h3
da cui si ricava la quantità di vapore che è necessario spillare per portare l’acqua di alimento dal
punto 2 al punto 3:
Figura 54: ciclo Rankine rigenerativo – scambiatori a miscela.
Figura 55: ciclo Rankine rigenerativo – scambiatori a superficie.
Pagina 56 di 60
m3  mv  m2  
h3  h2
h10  h2
Si vede quindi che i due fluidi escono dallo scambiatore alla stessa temperatura. I rigeneratori a
miscela hanno quindi rendimenti elevati, perché Tmin=0°C, ma richiedono più pompe, con
conseguente pericolo di cavitazione. Si ricorda infatti che ogni pompa lavora con un fluido saturo in
ingresso, che quindi può cavitare se la pressione scende.
Nella realtà, in ogni impianto esiste un unico rigeneratore a miscela che ha anche la funzione di
degasare il liquido. Per questa ragione prende il nome di degasatore, di cui un esempio è riportato
in Figura 56: è detto degasatore termo fisico ed è costituito da un serbatoio sormontato da una
torretta. Il vapore spillato dalla turbina viene fatto gorgogliare nell’acqua di alimento, la quale
alimenta dall’alto il degasatore. L’acqua viene fatta cadere dall’alto in cascata su una successione di
piatti, in maniera tale da aumentare la superficie di contatto tra i due fluidi. L’acqua all’interno del
degasatore, che ha anche una funzione di accumulo, viene mantenuta alla temperatura di
saturazione, dove la solubilità dei gas (O2 e CO2) è praticamente nulla, facilitandone quindi la
separazione. Ogni scambiatore è dotato di sfiatatoi nella parte sommitale della torretta per eliminare
i gas.
Figura 56: il degasatore.
Si considerano ora gli scambiatori a superficie (
Pagina 57 di 60
Figura 55). Qui i due fluidi sono separati: il vapore spillato dalla turbina ad un certo livello di
pressione percorre lo scambiatore in controcorrente rispetto all’acqua di alimento, che si trova ad
una pressione diversa, ed in generale maggiore. Il vapore condensa e cede il proprio calore di
condensazione all’acqua. In Figura 57 sono riportate le distribuzioni di temperatura lungo uno
scambiatore a superfici. Nella prima figura sulla sinistra è riportato il caso, tipico dello spillamento
di bassa pressione, in cui il vapore è spillato dalla turbina nella zona dentro alla campana, e quindi è
saturo. L’acqua di alimento esce dallo scambiatore ad una temperatura che è minore rispetto a
quella di condensazione del vapore di un T imposto dalle superfici di scambio termico.
Figura 57: diagrammi temperatura – potenza termica scambiata nei rigeneratori a superficie.
Si vuole ora valutare se esiste una linea guida nella scelta del numero di rigeneratori e nel come
ripartire il carico termico tra i diversi rigeneratori.
Per far ciò, si consideri il caso semplice di un ciclo a vapore saturo, cioè senza surriscaldamento, in
cui venga inserito un rigeneratore a superfici in cui il condensato viene reintrodotto, previo
pompaggio, a valle dello scambiatore stesso, così come schematizzato in Figura 58.
Supponiamo che siano nulle le perdite di calore verso l’esterno, che il vapore esca dallo scambiatore
in condizioni di liquido saturo alla pressione di spillamento, e che l’acqua di alimento esca dallo
scambiatore alla stessa temperatura a cui esce il vapore condensato. Supponiamo inoltre che sia
trascurabile il lavoro assorbito dalle pompe. Si vuole verificare cosa accada al ciclo in conseguenza
dell’introduzione del rigeneratore, quindi si concentra l’attenzione sulla fase di pre-riscaldo
dell’acqua di alimento, di cui si calcola la produzione entropica. Questa deriva da due contributi:
uno relativo alla trasformazione nel rigeneratore (s1) e uno relativo alla trasformazione nella parte
restante dell’economizzatore (s2). Ognuno di questi due termini risulta poi a sua volta dalla
somma di due contributi: la variazione di entropia dell’acqua (s2R – s1) e la variazione di entropia
della sorgente. Per quanto riguarda la sorgente, assimiliamo il vapore condensante nel rigeneratore
Pagina 58 di 60
ad una sorgente a temperatura costante pari alla temperatura T2R, mentre nell’economizzatore
supponiamo che lo scambio termico avvenga con una sorgente alla temperatura T2, anch’essa
costante. In questo modo si ricava:

h  h1  
h2  h2R 
s  s1  s 2  s 2R  s1   2R
  s 2  s 2R  

T
T
2R
2

 

 h  h1 h2  h2R 
 s 2  s1   2 R


T2 
 T2 R
T
3
4is
T2
2
3
2
T2R
3
2R
2
1
4is
1
5is
T1
5is
s
s1
5is
2R
s2
Figura 58: ciclo a vapore saturo rigenerativo – ottima temperatura di rigenerazione.
Esprimendo, per l’acqua, le variazioni di entalpia in funzione delle variazioni di temperatura, si
ricava infine:

T
T 
s  s 2  s1  c 1  1  1  2R   f T2R 
T2 
 T2R
Si tratta quindi di valutare l’esistenza di un minimo di tale funzione rispetto alla temperatura di
rigenerazione:
s 
0
T2R
Svolgendo i calcoli si ricava:
T2R  T1T2
Per quanto ottenuta per un caso ideale e semplificato, la relazione risulta di applicabilità generale,
fornendo quindi un utile strumento in fase di definizione dei livelli ottimi di spillamento. Nella
realtà tali prelievi di vapore andranno fatti tra i diversi stadi della turbina, la cui architettura quindi
imporrà l’esatto punto di prelievo.
Pagina 59 di 60
Infine, i punti di prelievo reali vengono fatti a livelli di pressione maggiori rispetto a quelli che
regnano effettivamente nei rigeneratori, ciò per compensare le perdite di carico nei condotti, ma
anche per ragioni di regolazione. La presenza di una valvola di regolazione permette infatti il
controllo del corretto valore di pressione.
Vediamo ora di individuare il numero di spillamenti ottimale dal punto di vista del rendimento
dell’impianto. La Figura 59 riporta l’andamento dell’incremento di rendimento percentuale / in
funzione del numero di spillamenti z.. Da tale grafico si nota innanzi tutto come il rendimento
continui ad aumentare al crescere del numero di spillamenti, ma come l’incremento si riduca sempre
più diventando in pratica trascurabile già per z = 10, per cui la complicazione impiantistica diventa
ingiustificata.
Figura 59: ottimo numero di spillamenti.
Pagina 60 di 60
Scarica