Martedì 31 gennaio 2017, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Quartetto Takács Edward Dusinberre violino Károly Schranz violino Geraldine Walther viola András Fejér violoncello Haydn - Quartetto in fa maggiore op. 77 n. 2 Hob.III.82 Ravel - Quartetto in fa maggiore Beethoven - Quartetto n. 14 in do diesis minore op. 131 11 Di turno Salvatore Carrubba Mathias Deichmann Direttore artistico Paolo Arcà 5 minuti prima di ascoltare: Gaia Varon Con il contributo e il patrocinio di Franz Joseph Haydn (Rohrau 1732 - Vienna 1809) Quartetto in fa maggiore op. 77 n. 2 Hob.III.82 (ca. 27’) I. Allegro moderato II. Menuetto. Presto ma non troppo III. Andante IV. Finale. Vivace assai l Anno di composizione: 1799 l Anno di pubblicazione: Vienna, 1802 La prima raccolta di Beethoven e l’ultima serie di Haydn furono scritte tra il 1798 e 1799, entrambe su richiesta del principe Franz Joseph Max von Lobkowitz, uno dei mecenati più munifici di Vienna. In quello scorcio del Settecento, il passato e il futuro sembrano tendersi la mano per l’ultima volta. Il giovane maestro, impaziente e impetuoso, sfidava il vecchio Haydn, all’apice della gloria dopo la trionfale accoglienza della Creazione, sul suo terreno, il quartetto d’archi, la forma che più d’ogni altro egli aveva contribuito a forgiare. I nobili viennesi avevano l’abitudine di prendere in leasing, per così dire, nuove composizioni. Il committente acquistava per un certo periodo il diritto di eseguire in esclusiva il lavoro, poi l’autore era libero di vendere e pubblicare la musica come meglio credeva. Nell’ultimo scorcio del Settecento, Haydn intendeva onorare l’impegno preso con Lobkowitz, malgrado l’età avanzata e la cattiva salute. L’intenzione era di scrivere una nuova serie di sei quartetti, ma riuscì a terminarne solo due, pubblicati nel 1802 da Artaria come opus 77. Non fu tuttavia il suo canto del cigno. Il congedo finale di Haydn dal genere che, grazie al suo ingegno, aveva conquistato una posizione privilegiata nella musica del periodo classico sarà un torso di quartetto rimasto incompiuto e pubblicato nel 1806 come opus 103. I due Quartetti op. 77 contengono la stessa felicità creativa e il rovello intellettuale del ciclo precedente, i sei lavori dell’op. 76, una delle vette assolute della letteratura musicale. La ricerca di nuove maniere di variare la forma rappresenta il tema costante dell’ultimo Haydn. L’arte di comporre, nel senso filologico di disporre gli elementi in un insieme, acquista negli ultimi quartetti un carattere ancora più spiccato, quasi astratto. L’economia di mezzi, a tratti così rigorosa da apparire severa, domina la parte finale della sua produzione, ma Haydn non rinuncia a rivestire il suo stile di ironia, buon gusto e cose belle. Il Quartetto in fa maggiore, ultimo quartetto completo scritto da Haydn, è un esempio eloquente di quella sprezzatura che, secondo il Castiglione, “nasconda l’arte e dimostri ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi”. A differenza del quartetto gemello in sol maggiore, dove gli archi si divertono a pungere, a saltare, a battere sulle corde come ragazzi impegnati a battersi con le palle di neve, il Quartetto in fa maggiore è immerso nella luce del Medi- terraneo. La frase del tema principale dell’“Allegro moderato” è una morbida melodia di stampo italiano, che disegna una curva discendente di un’ottava, da fa a fa. La prima volta si presenta quasi nuda, sostenuta solo da discreti accordi di accompagnamento, la seconda invece rivestita di un panneggio contrappuntistico e ornata di colorature per spanderne il profumo. Il principio, cioè, è quello di cominciare a variare subito il materiale, senza aspettare che l’esposizione sia completa. Il tema secondario, in do maggiore, attinge allo stile operistico, in una scena dove la primadonna fiorisce con slancio melodico il murmure del coro. Lo sviluppo riprende alcuni frammenti del primo tema e altre idee sparse nell’esposizione, elaborando il materiale con l’arte sopraffina di nascondere la fatica dietro un velo di semplicità e naturalezza. La ripresa viene preparata con un trucco umoristico, ripetendo in pianissimo le strappate in fortissimo e aggiungendo poi una grande pausa, come per raschiare dall’accordo di dominante l’inevitabile patina di pathos e di retorica. Le sorprese però non sono finite, perché nella riesposizione del secondo tema, nella tonalità principale di fa maggiore, fa capolino nelle parti interne anche la testa del primo tema, marcando l’intero movimento di un carattere fortemente unitario. Il “Menuetto” collocato prima del tempo lento non era un’eccezione per Haydn. Il movimento conserva il nome settecentesco, ma è ormai lontano dallo spirito della danza. Il marchio dello scherzo è impresso negli ingannevoli accenti che rendono sfalsato il fraseggio e nella ostinazione con cui si ripete la figura del tema. Il “Trio”, in re bemolle maggiore, riflette uno schema tonale (una terza sotto la tonalità principale) caratteristico di questa coppia di quartetti. Anche l’altro lavoro infatti metteva in evidenza lo stesso rapporto, che governa in maniera ancora più significativa il successivo “Andante”. Il primo violino, accompagnato dal violoncello, intona una melanconica melodia in re maggiore e da questo tema germoglia una serie di variazioni. La forma viene trattata con uno stile elegantissimo, mescolando in maniera leggera il processo di metamorfosi della variazione e il principio dialettico dello sviluppo. Lo scarto tra il re maggiore dell’“Andante” e il fa maggiore del “Finale” viene colmato da due accordi tenuti, che introducono un breve episodio per collegare con una cerniera i due movimenti. Haydn riprende in maniera più consistente lo stile monotematico dell’inizio, con una forma sonata costruita su un’unica idea musicale. Il secondo tema infatti è una variante della figura principale nella tonalità di do maggiore. L’elemento interessante di questa scrittura è il frequente ricorso alla tecnica dell’ostinato, che rappresenta una delle caratteristiche più rilevanti dell’intero Quartetto. La musica viennese dell’Ottocento, in particolare Schubert e Bruckner, si ricollega a questa precoce intuizione dell’ultimo Haydn, che affronta sempre con il sorriso sulle labbra le nuove sfide del linguaggio strumentale. Maurice Ravel (Ciboure 1875 - Parigi 1937) Quartetto in fa maggiore (ca. 28’) I. Allegro moderato II. Assez vif. Très rythmé III. Très lent IV. Vif et agité l Anno di composizione: 1903 l Prima esecuzione: Parigi, 5 marzo 1904 Dopo lo choc della disfatta di Sedan, gli artisti più giovani cominciarono a ravvisare nelle forme della musica strumentale la strada per rinnovare dalle fondamenta la musica francese. La figura di César Franck e l’influenza della nuova Schola Cantorum, fondata dal suo allievo Vincent D’Indy, rappresentano i punti di riferimento indispensabili per collocare il Quatuor di Ravel nel panorama della vita musicale parigina a cavallo del Novecento. Il lavoro viene abbozzato tra la fine del 1902 e l’aprile dell’anno successivo, ma la partitura fu pubblicata nella versione definitiva solo nel 1910. Lo spunto era stato un progetto degli allievi di Fauré al Conservatorio, i quali intendevano rendere omaggio al maestro. Solo Ravel però portò a termine l’impresa, lasciando sul frontespizio della partitura la dedica “à mon cher maître Gabriel Fauré”. Il Quatuor, tuttavia, rappresenta il congedo dal mondo del maestro, che non a caso suggerì all’allievo di modificare il finale. Le loro divergenze di vedute furono inoltre l’occasione per l’ultimo scambio di battute amichevoli tra Ravel e Debussy, che, richiesto di un parere sul lavoro, scrisse al collega più giovane: «In nome degli dèi della musica e mio personale, non toccate niente di quello che avete scritto nel vostro quartetto». L’impronta di Franck rimane percepibile nella preoccupazione di conferire alla forma un carattere unitario, attraverso una serie di elementi che collegano l’intero Quartetto. Ma la musica di Ravel, come apparve subito chiaro a Debussy, era animata da uno spirito nuovo, lontano dal carattere decadente e decorativo del tardo Ottocento. Debussy aveva preceduto Ravel di una decina d’anni, ma l’originalità del suo Quartetto, rispetto alla forma quasi pietrificata della tradizione tedesca, non era stato compresa dai suoi contemporanei. Ravel cercava di ripartire dal punto in cui s’era fermato Debussy, con la ferma intenzione però di usare i vocaboli del suo linguaggio. Il Quartetto cerca di spogliare la musica di ogni elemento superfluo e si sforza di ricondurre lo stile all’espressione pura delle forme classiche. In altre parole, Ravel stava compiendo nella musica una rivoluzione simile a quella di Adolf Loos nell’architettura viennese. Le prime battute dell’“Allegro moderato” rappresentano il manifesto di un nuovo linguaggio puro e razionale. Per quattro misure, nessun strumento suona una nota estranea alla tonalità di fa maggiore. Tutti i temi del Quartetto conservano questo carattere diatonico, espresso in maniera dolce e morbida dalle lunghe le- gature delle arcate. L’idea principale ricompare in diverse forme, collegando assieme gli episodi e articolando la struttura generale. La concezione della forma di questo primo movimento è limpida e d’un nitore esemplare, perfettamente classica, malgrado il linguaggio armonico ricco e moderno. Il secondo movimento, “Assez vif ”, occupa il posto del tradizionale Scherzo, elaborato però con molta libertà. La tonalità di la minore è ispirata dal tema principale, preso in prestito dal movimento precedente. La natura capricciosa dello scherzo si esprime nel contrasto di carattere tra gli episodi ritmici, suonati pizzicando le corde, e quelli cantabili. La parte centrale, sognante e melanconica, offre lo spunto al violoncello per inserire una nuova idea, che genera un episodio di stile orchestrale. Il “Très lent” successivo si spinge molto vicino ai confini dell’informale, sminuzzando la forma in brevi episodi ora di grande slancio lirico, ora assopiti in un’immobile attesa. Questa dimensione quasi astratta dell’inizio, con un tenue sfondo armonico di sol bemolle maggiore, spicca ancor di più in contrasto con la sezione centrale, animata da un’aperta frase in do maggiore, ben presto inghiottita nel magma espressivo del movimento. Ma la discesa nell’informe mondo del sogno è solo una parentesi, perché il “Vif et agité” conclusivo riporta la musica all’energica e solare lucentezza del classicismo. Marcel Marnat ha parlato di “luminosité adolescente” e l’immagine restituisce bene il brulicante ritmo dell’ultimo movimento, in apparenza privo di ombre ed eccitante come una corsa in automobile. La musica del Quatuor sembra già in sintonia con il secolo veloce, anche laddove si aprono dei brevi squarci lirici, che l’autore raccomanda di suonare “sans ralentir”. Per suggellare un lavoro tornito in maniera così fine, Ravel ricorre a un gesto di slancio coreografico. I quattro strumenti allacciati assieme spiccano un balzo sull’ultimo accordo di fa maggiore, che conclude in maniera spettacolare il Quartetto, estrema propaggine novecentesca dello stile classico. Ludwig van Beethoven (Bonn 1770 - Vienna 1827) Quartetto n. 14 in do diesis minore op. 131 (ca. 40’) 1. Adagio, ma non troppo e molto espressivo 2. Allegro molto vivace 3. Allegro moderato 4. Andante, ma non troppo e molto cantabile 5. Presto 6. Adagio quasi un poco andante 7. Allegro l Anno di composizione: 1825/26 l Prima esecuzione: Halberstadt, 5 giugno 1828 Il Quartetto in do diesis minore, scritto tra la fine del 1825 e l’estate dell’anno successivo, reca il numero d’opus 131, sebbene sia posteriore al Quartetto in la minore op. 132, che venne pubblicato postumo dall’editore Schott di Magonza nel giugno 1827. La partitura del Quartetto in do diesis minore invece vide la luce a Berlino poche settimane dopo il completamento, nel settembre 1826, ma la prima esecuzione avvenne quando Beethoven non c’era ormai più, il 5 giugno 1828. L’onore spetta al Quartetto Müller, formato da quattro fratelli di una delle più prolifiche famiglie di musicisti della Sassonia, che l’hanno suonato nella piccola cittadina di Halberstadt, il luogo d’origine della famiglia Lehman. La magistrale padronanza di scrittura consente a Beethoven, nelle opere tarde e in particolare nella serie degli ultimi Quartetti, di trattare la forma con una libertà inimmaginabile in precedenza. Le arditezze del suo stile hanno sconcertato il pubblico contemporaneo non meno dei musicisti venuti dopo di lui. Una semplice occhiata alla struttura formale del Quartetto è sufficiente per capire quanto sia poco convenzionale la concezione di questo lavoro. In realtà, balza all’occhio il desiderio di Beethoven di conferire alla forma un carattere il più unitario possibile. Non solo Beethoven, ma anche Mozart e Haydn si erano sforzati di cercare un’architettura organica della forma strumentale. Gli ultimi lavori di Beethoven oltrepassano di gran lunga il confine sul quale si erano fermati i predecessori, che avevano respinto l’idea di comporre musica per i posteri e non per i contemporanei. Avendo rinunciato all’obbligo di scrivere musica comprensibile all’ascoltatore del suo tempo, Beethoven cercava di volta in volta le soluzioni che gli sembravano appropriate ai problemi posti dalla composizione. Vista sotto questa luce, la sequenza in apparenza frammentaria degli episodi del Quartetto in do diesis minore, indicati sulla partitura con un numero, richiede ai musicisti e agli ascoltatori di passare da un movimento all’altro senza interrompere la concentrazione e riprendere fiato. L’autore desiderava ottenere un senso di assoluta continuità, che nella dimensione della musica significa la ricerca di coerenti relazioni temporali all’interno della struttura, che assume la forma del ciclo. A parte questo, infatti, la musica non si discosta in maniera clamorosa dalla struttura tradizionale di un Quartetto. In filigrana, la trama dei movimenti è abbastanza riconoscibile. I nn. 1 e 2 formano una sorta di primo movimento con un’introduzione lenta. Il n. 3 rappresenta un breve episodio di transizione, che porta al complesso “Andante” del n. 4. Il “Presto” n. 5 riveste il ruolo tipico dello scherzo, mentre l’“Allegro” n. 7 occupa il posto del Finale, preceduto anche in questo caso da un breve episodio di transizione di carattere meditativo (n. 6 “Adagio”). Come si vede, la forma spregiudicata del lavoro contiene un nesso logico ben stretto e un legame con la tradizione più saldo di quanto non appaia a prima vista. Il primo “movimento”, formato dai primi due numeri, non rappresenta però una forma sonata. L’“Adagio” manifesta con mestizia e dolcezza un dolore profondo, espresso con un linguaggio nato in seno al contrappunto. Neppure l’“Allegro” successivo si discosta da una semplice forma ternaria. Il principio dialettico della forma sonata emerge infatti non dalla struttura dei singoli elementi, quanto dalla loro contrapposizione complessiva. La natura allo stesso tempo simile e opposta dei due numeri mette in luce la trasfigurazione della forma sonata in una struttura dinamica, svuotata però della dimensione drammatica. Lo sviluppo tematico, ridotto al minimo, non rappresenta più infatti il motore principale della scrittura. La tensione della forma, per esempio, risulta dalla stridente contrapposizione delle tonalità, il do diesis minore dell’“Adagio” contro il re maggiore dell’“Allegro”, così come del metro (in tempo tagliato l’uno, in 6/8 l’altro) e dello stile (antico e contrappuntistico il primo, moderno e melodico il secondo). Anche qui, come in altri lavori dell’ultimo periodo, Beethoven conferisce al movimento in forma di variazioni un rilievo particolare. L’“Andante, ma non troppo e molto cantabile” n. 4 nasce da un tema leggiadro, con un sorriso da fanciulla, che getta sull’intero numero una luce pastorale e senza ombre. L’armonia di la maggiore risuona costante fino alla fine, senza neppure la canonica variazione in minore. La tonalità di la maggiore è in stretta relazione sia con il re maggiore dell’“Allegro” precedente, sia con il mi maggiore del successivo n. 5 “Presto”. Quest’ultimo, una sorta di scherzo, è forse la cosa più vicina a una musica degli elfi mai scritta da Beethoven. Di sicuro è in sintonia con la sensibilità del giovanissimo Mendelssohn, che in quello stesso 1825 scrive una musica altrettanto mercuriale ed elettrica come l’Ottetto per archi. Solo arrivando al numero finale, “Allegro” n. 7, preceduto da un breve ma intenso “Adagio” (n. 6) in sol diesis minore, si delinea chiaramente il disegno ideale del lavoro. Dopo aver evitato in ogni maniera la scrittura sonatistica nel corso dei movimenti precedenti, Beethoven corona il gigantesco blocco assemblato senza soluzione di continuità con la forma più connaturata al suo stile, la sonata. Ogni tensione latente nelle forme attraversate in precedenza trova soluzione nel finale, sia sul piano espressivo, sia su quello dialettico. La disperata frase dell’inizio, che pone una domanda inquietante con la sanguinante appoggiatura sottolineata dallo sforzando, trova alla fine una risposta nello squarcio di cielo luminoso della tonalità maggiore, alla quale l’intero finale tende con ansiosa fiducia. Il Quartetto in do diesis minore, per la potente forza espressiva e il limpido scioglimento degli enigmi accumulati nel corso del lavoro, calcola in maniera perfetta la traiettoria poetica del lavoro, che rappresenta uno degli esempi più alti e precoci di ciclo musicale. Oreste Bossini Il quartetto tra Otto e Novecento, una “palestra” per virtuosi Se per il musicologo Dominique Jameux (1939-2015) il quartetto d’archi diventa per i compositori del XX secolo “laboratoire des formes” - un banco di prova per la sperimentazione armonica, timbrica, ritmica - le premesse di tale giustissima affermazione sono presenti nella struttura stessa del quartetto. Una forma perfetta, in grado di esprimere pensieri musicali complessi con economia di mezzi ma con risultati di grande ricchezza. Ogni parte ha pari dignità: scrivere per il quartetto significa generare un percorso dialettico al di sopra delle concezioni armoniche e dei modelli compositivi del momento, quadruplicando le potenzialità tecnico-espressive solitamente riservate al solo. Nessun altro repertorio, sostiene il critico e librettista britannico Paul Griffiths nella sua storia dedicata al genere (The String Quartet - A History, Londra, Thames and Hudson, 1983), ha un’identità così ben definita, data dalla formula invariata dei quattro strumenti solisti, due violini, la viola, il violoncello. Significativa la scelta di Ludwig van Beethoven di affidare al quartetto alcuni fra i distillati più sublimi, ma anche arditi e inaccessibili del suo pensiero musicale più maturo e visionario, così lontano dalle possibilità di comprensione dei contemporanei. Ventisette anni separano l’ultimo quartetto del genio di Bonn (l’op. 135 è del 1826) dall’op. 77 (è del 1799) di Haydn. Quando, alle soglie dell’Ottocento, il quasi settuagenario maestro la scrive, è giunto al suo apice un percorso quarantennale che ha contribuito, attraverso la fioritura del “genere” quartetto, all’affermazione dello stile classico viennese, la cui incarnazione è la forma-sonata. I decenni seguenti saranno all’insegna delle tensioni romantiche che porteranno alla dilatazione della forma. Ma su un altro versante - fra Vienna, Parigi e le grandi capitali europee - si assisterà anche alla proliferazione di un filone dilettantistico, destinato alle esecuzioni quartettistiche da salotto. In Francia, il revival di metà Ottocento delle ultime opere beethoveniane, eseguite dai Quartetti Maurin e Armingaud, sfocia in un rinato interesse per il genere da parte dei compositori, a cominciare da César Franck; a riscoprire il quartetto verso fine secolo, quale duttile strumento per elaborare nuovi linguaggi nell’Europa delle nascenti scuole nazionali, sono proprio i francesi e i musicisti di area slava: qui i modelli sono quelli della tradizione, eppure le musiche di Smetana, Dvořàk, Borodin, Čajkovskij, Rimskij-Korsakov, risuonano di melodie, colori, ritmi locali. Il Quartetto in fa, del 1903, è fra i primi lavori di Maurice Ravel: opera che ancora molto risente dell’influenza di Debussy, anch’egli autore di un unico quartetto. Vent’anni dopo, Gabriel Fauré trasferisce alla forma-quartetto le proprie volontà estreme: la sua op. 121 in mi minore per soli archi è del 1923-24, ultimo anno di vita del musicista. Essa riassume la natura quasi miniaturistica, misurata ed intima delle sue composizioni per voce e per pianoforte. Del tutto diverso l’approccio di Darius Milhaud, che nel 1920 annuncia di voler scrivere “diciotto quartetti”: così avverrà. L’ultimo è del 1950. I numeri 14 e 15 op. 291, del 1949, possono essere eseguiti separatamente o simultaneamente, in questo caso da un ottetto d’archi. Fra molti altri compositori europei di spicco, nel primo Novecento, ad esplorare forme, stili e tecniche saranno anche gli esponenti della scuola di Vienna: Arnold Schönberg, Alban Berg, Anton von Webern. I suoni armonici, gli effetti “pizzicato”, “col legno, battuto”, “col legno, tratto sul ponticello” sono presenti nella produzione di Schönberg, che nell’op. 10 (1908) accosterà i quattro strumenti alla voce umana. In anni in cui, accanto a correnti di sperimentazione radicale, si affaccia l’esigenza di recuperare modelli classici, spiccano i quartetti di Béla Bartók; fra il 1908 e il 1939 il compositore ungherese rivisita sistematicamente questa forma, contenitore in cui travasare le conquiste acquisite dal suo linguaggio. L’esplorazione formale va di pari passo con il ricorso a particolari tecniche esecutive, suoni percussivi e sonorità “barbare”, incluse quelle udite nelle campagne magiare. Talora la musica collima con il rumore: è evidente a tutti, ormai, che il quartetto, oltre a confermarsi laboratorio di sperimentazione per i compositori, è sempre per gli interpreti un affare da virtuosi assoluti. Paola Rossetti Allieva del Biennio di Musicologia del Conservatorio “G. Verdi” di Milano Quartetto Takács Universalmente riconosciuto come uno dei migliori quartetti d’archi dei nostri tempi, il Quartetto Takács, fondato a Budapest nel 1975, suona con tecnica superba e intensa immediatezza. Ospite regolare delle maggiori istituzioni musicali in tutto il mondo, tra gli impegni recenti del quartetto ricordiamo il ritorno alla Carnegie Hall per due concerti (il primo presentando un nuovo lavoro del compositore Timo Andres, su commissione della Carnegie Hall, e il secondo con il pianista Garrick Ohlsson) e concerti a Santiago del Cile, Sao Paulo e Rio de Janeiro. In Europa, oltre alla serie di concerti alla Wigmore Hall, dove il quartetto è “artista associato”, si è esibito a Oslo, Amsterdam, Budapest, Amburgo, Hannover, Bruxelles, Bilbao e alla Schubertiade Hohenems. Nell’ottobre 2015 ha eseguito Everyman di Philip Roth con Meryl Streep al Royal Conservatory of Music di Toronto; questo programma già presentato a Princeton nel 2014, è nato in stretta collaborazione con Philip Roth e la prima esecuzione è stata alla Carnegie Hall con Philip Seymour Hoffman nel 2007. Celebre per i suoi programmi innovativi, il Quartetto Takács ha collaborato con il poeta Robert Pinsky e collabora regolarmente con il gruppo Folk ungherese Muzsikas. Nel 2014 ha vinto la prestigiosa Wigmore Hall Medal. Nel 2012 il Gramophone Magazine lo ha inserito nella “Hall of Fame” a fianco di artisti leggendari quali Jascha Heifetz, Leonard Bernstein e Dame Janet Baker. Nel 2011 ha vinto il premio per la musica da camera della Royal Philharmonic Society di Londra. Il Quartetto Takács incide per Hyperion e l’ampia discografia comprende opere di Schubert, Brahms, Schumann e Britten. Le prossime incisioni per Hyperion saranno dedicate ai quartetti di Šostakovič, Janáček, Smetana, Debussy e Dvořák. Le precedenti registrazioni del Quartetto Takács per Decca sono state premiate con tre Gramophone Awards, un Grammy Award, tre Japanese Record Academy Awards, BBC Music Magazine Disc of the Year e “Ensemble Album of the Year” dei Classical Brit Awards. Dal 1983 il Takács è “in residence” alla University of Boulder in Colorado, dal 1988 “Visiting International Artists” alla Guildhall School of Music & Drama di Londra. Ai membri del Quartetto la Repubblica Ungherese ha assegnato la Croce di Cavaliere dell’Ordine di Merito. È stato ospite della nostra Società nel 1987, 2005 e 2011. In collaborazione con 1947 .2017 Piccolo Teatro Strehler Scatola Magica Largo Greppi 1 – M2 Lanza Lunedì 30 gennaio e lunedì 6 febbraio 2017 ore 19.30 70 ANNI DI TEATRO Giovedì 9 e venerdì 10 febbraio 2017 ore 10.30 Back to Bach dalle Suites per violoncello a oggi e ritorno drammaturgia Giovanna Scardoni da un’idea di Luca Franzetti regia Nicola Ciaffoni con Nicola Ciaffoni e Luca Franzetti (violoncello) assistente alla drammaturgia Giulia Maria Basile produzione Società del Quartetto di Milano Piccolo Teatro di MilanoTeatro d’Europa Un attore, un musicista e un violoncello danno vita a un dialogo di musica e parola – un viaggio tra passato e presente – guidati dalle Suites per violoncello di Johann Sebastian Bach. Le Suites, capitolo fondamentale della storia della musica, diventano quindi il punto di partenza per raccontare la vita di Bach, per indagare poeticamente chi si cela dietro al volto severo e corrucciato del suo ritratto. Non si tratta di un’esecuzione di brani fine a se stessa, né di una lezione accademica sulla vita di Bach, ma di un viaggio nella sua umanità e genialità attraverso la sua opera e la grande eredità che ci ha lasciato e che, in maniera più o meno consapevole, riecheggia e si esprime ancora oggi nel nostro DNA musicale. Posto unico: € 8,00 Questo viaggio è per tutti. Tutti lo compiamo e lo viviamo allo Per info e prenotazioni: stesso modo, senza differenze e separazioni tra chi guida e chi Biglietteria telefonica 02 42411889 (lunedì-sabato 9.45-18.45; domenica 10-17) viene guidato, tra l’esperto ascoltatore e il principiante. Ufficio promozione pubblico 02 72333216 Un viaggio fatto di note e parole attraverso Bach, attraverso la (lunedì-venerdì 9.00-13.00; 14.30-18.30) sua musica, attraverso il passaggio segreto dell’ascolto delle singole note, la loro successione e precisione (del resto, quale potrebbe essere il miglior mezzo se non la musica per capire un uomo che ha fatto della musica la sua vita?). Un viaggio per ridare vita all’imbronciato ritratto del compositore tedesco, per trascinare la sua opera fuori dalle polverose teche museali, in cui troppo spesso viene rinchiusa la “musica classica”. Un viaggio per farla volare libera fino ad oggi, libera di raccontarci che il classico, inteso come modello esemplare, non ha epoca ed è destinato a essere sempre fonte di ispirazione. Universalmente fruito, goduto e amato. Un viaggio: ritorno al presente incluso. (dalle note di regia di Nicola Ciaffoni) Musica nel tennis Villa Necchi Campiglio via Mozart, 14 - Milano 2017 Sabato 28 gennaio 2017 ore 17.30 Sabato 4 febbraio 2017 ore 17.30 Sabato 11 febbraio 2017 ore 17.30 Quartetto Noûs Leonardo Colafelice Marco Gialluca Beethoven - Sonata n. 5 in do minore op. 10 n. 1 Schubert - Moments musicaux in do diesis minore op. 94 n. 4 D 780 Beethoven - Sonata n. 26 in mi bemolle maggiore op. 81a “Les Adieux” Mendelssohn - Variations sérieuses in re minore op. 54 Čajkovskij-Pletnev - Lo Schiaccianoci, Suite Annalisa Orlando Sabato 18 febbraio 2017 ore 17.30 Sabato 11 marzo 2017 ore 17.30 Sabato 25 marzo 2017 ore 17.30 Trio Metamorphosi Alessandro Taverna Quartetto Guadagnini pianoforte Tiziano Baviera violino Alberto Franchin violino Sara Dambruoso viola Tommaso Tesini violoncello Dvořák - Quartetto n. 10 in mi bemolle maggiore op. 51 Mendelssohn - Quartetto n. 6 in fa minore op. 80 violino pianoforte Brahms - Scherzo in do minore dalla Sonata F.A.E. Schubert - Sonatina in re maggiore op. 137 n. 1 D 384 Schubert - Rondò brillante in si minore op. 70 D 895 Brahms - Sonata n. 3 in re minore op. 108 ROMANTICISMO! pianoforte Mauro Loguercio violino Francesco Pepicelli violoncello Angelo Pepicelli pianoforte Martucci - Trio n. 1 in do maggiore op. 59 Schumann - Trio n. 1 in re minore op. 63 Chopin - Scherzo n. 1 in si minore op. 20 - Scherzo n. 2 in si bemolle minore op. 31 - Scherzo n. 3 in do diesis minore op. 39 - Scherzo n. 4 in mi maggiore op. 54 - Sonata n. 3 in si minore op. 58 Fabrizio Zoffoli violino Giacomo Coletti violino Matteo Rocchi viola Alessandra Cefaliello violoncello Carpi - Due movimenti per quartetto d’archi Dvořák - Quartetto n. 12 in fa maggiore op. 96 “Americano” Brahms - Quartetto n. 1 in do minore op. 51 n. 1 Biglietti Interi: € 10 Ridotti: € 5, riservati a chi è Socio o della Società del Quartetto o dei FAI, su prenotazione, sino a esaurimento dei posti. Gratuiti: riservati a chi è Socio sia della Società del Quartetto, sia del FAI, su prenotazione, sino a esaurimento dei posti. Il biglietto dà diritto di visitare la Villa il giorno del concerto o in altra data entro il 31 marzo 2017 con prenotazione obbligatoria al n. 02 76340121 (da mercoledì a venerdì). Informazioni e prenotazioni Società del Quartetto di Milano via Durini 24 - 20122 Milano Tel. 02.795.393 [email protected] www.quartettomilano.it Con il contributo della Con il contributo e il patrocinio di Sponsor istituzionali Media partner Con il contributo di al progetto “Società del Quartetto: dalle nostre radici, inventiamo il futuro” Soggetto riconosciuto di rilevanza regionale La Società del Quartetto partecipa a In collaborazione con Premio Sergio Dragoni a Casa Verdi Quasi un talent show musicale I giovani vincitori del Premio del Conservatorio di Milano 2016 in competizione La giuria del concorso è formata dai musicisti Ospiti di Casa Verdi I concerti si terranno a Casa Verdi, piazza Buonarroti 29, il giovedì dalle 17 alle 18 Biglietti € 2 9 febbraio 2017 16 marzo 2017 6 aprile 2017 4 maggio 2017 Francesco Granata Damiano Afrifa Elisa Balbo saxofono pianoforte Francesco Ronzio flauto soprano Salvatore Castellano Luigi Denaro Mozart - Sonata in si bemolle maggiore K 333 Beethoven - Sonata n. 31 in la bemolle maggiore op. 110 Schubert - Wanderer Fantasie in do maggiore op. 15 D 760 Ilaria Ronchi Davide Cavalli pianoforte Luigi Palombi Schubert - Introduzione e Variazioni sul Lied “Trockne Blumen” D 802 Reinecke - Sonata per flauto e pianoforte “Undine” op. 167 Casella - Sicilienne et Burlesque per flauto e pianoforte Martin - Ballade Arie di Bellini, Tosti, Liszt, Verdi e Puccini Desenclos - Prelude, Cadence et Finale Villa-Lobos - Fantasia Schulhoff - Hot-Sonate Françaix - Cinq Danses Exotiques Jolivet - Fantaisie Impromptu Woods - Sonata (I mov.) Schubert - Sonata in la minore op. 42 D 845 Chopin - Berceuse op. 57 in fa bemolle maggiore - Barcarola op. 60 in fa diesis maggiore Daniele Bonini pianoforte pianoforte 16 febbraio 2017 Valentina Vanini mezzosoprano Giuseppina Coni pianoforte 23 marzo 2017 Arie di Quilter, CastelnuovoTedesco, Tosti, de Falla, Berio Francesca Marini 2 marzo 2017 Chiara Borghese violino Yoko Kimura pianoforte Elgar - Sonata in mi minore per violino e pianoforte op. 82 Wieniawski - Capricci op. 18 n. 3 e 4 per violino solo Paganini - Capriccio in si bemolle maggiore op. 1 n. 13 per violino solo Sarasate - Zigeunerweisen per violino e pianoforte op. 20 arpa Tournier - Sonatine pour Harpe op. 30 de Falla - Danza spagnola n. 1 dall’opera La Vida breve Patterson - The Red-backed Spider - The Black Widow Chertok - Around the Clock 30 marzo 2017 Diego Petrella pianoforte pianoforte 20 aprile 2017 Giuseppe Grosso fisarmonica Pachelbel - Ciaccona in fa minore Angelis - Impasse (I e II movimento) Voitenko - Revelation Semionov - Divertimento Pozzoli - danza fantastica mezzosoprano Yuka Godha Haydn - Sonata n. 62 in mi bemolle maggiore Hob.XVI.52 Brahms - Variazioni sul tema di Paganini op. 35, vol. I Liszt - Rapsodia spagnola S. 254 Prokof’ev - Sonata n. 7 op. 83 Mozart - Sonata in re maggiore K 576 Beethoven - Sonata n.15 in re maggiore op. 28 Schumann - Papillons op. 2 Chopin - Notturno n. 2 in sol minore op. 37 Mendelssohn - Variations sérieuses op. 54 18 maggio 2017 Oliviya Antoshkina soprano Michele Varriale pianoforte Arie di Händel, Purcell, Bellini, Donizetti, Massnet, Saint-Saëns, Mahler, Hahn, Rachmaninov, Williams pianoforte Ravel - Sonatina in fa diesis minore M. 40 arr. per sax soprano e pianoforte Poulenc - Sonata per oboe e pianoforte FP 185 arr. sax soprano e pianoforte Albright - Sonata per sax alto e pianoforte Decruck - Sonata in do diesis per sax alto e pianoforte pianoforte pianoforte pianoforte saxofono Caterina Piva Davide Ranaldi Isa Trotta 16 novembre 2017 2 novembre 2017 11 maggio 2017 27 aprile 2017 Brahms - Sonata n. 3 in fa minore op. 5 Rachmaninov - Selezione di Preludi e Studi 25 maggio 2017 Arie di Bellini, Bizet, Saint-Saëns, Verdi, Barber, Mozart, Tosti, Massenet, Fauré giovedì 9 novembre 2017 Guido Orso Coppin pianoforte Prokof’ev - Sonata n. 2 op. 14 Beethoven - Sonata n. 8 in do minore op. 13 “Patetica” Schubert - Wanderer Fantasie in do maggiore op. 15 D 760 Liszt - Studio in sol diesis minore S. 141 n. 3 “La campanella” 23 novembre 2017 Riccardo Zangirolami pianoforte Rachmaninov - Preludi op. 23 n. 2, 4 e 5 Liszt - Ballata n. 2 in si minore Brahms - Variazioni su un tema di Paganini op. 35, vol. II Gershwin - Three Preludes Skrjabin - Sonata n. 2 op. 19 Kapustin - Toccatina op. 40 Dopo i concerti si può partecipare alla visita guidata della cripta e delle sale museali di Casa Verdi Biglietti in vendita presso Società del Quartetto in orari di ufficio e, nei giorni di concerto a partire dalle 16.30, a Casa Verdi. 9 marzo 2017 Danilo Mascetti pianoforte Informazioni Beethoven - Sonata in la maggiore op. 2 n. 2 Schubert/Liszt - Gretchen am Spinnrade, Barcarolle, Erlkönig Ravel - Miroirs Società del Quartetto Via Durini 24 - 20122 Milano tel. 02 795393 [email protected] www.quartettomilano.it Tavola dal Progetto di Camillo Boito per la Casa di Riposo per musicisti “G. Verdi” Il Premio Sergio Dragoni fa parte del progetto “Società del Quartetto: dalle nostre radici, inventiamo il futuro” sostenuto da Sponsor istituzionali Con il contributo di Con il contributo e il patrocinio del Comune di Soggetto riconosciuto di rilevanza regionale La Società del Quartetto partecipa a Prossimo concerto: Martedì 7 febbraio 2017, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Trio di Parma Inizia al Quartetto un nuovo ciclo dedicato a Beethoven, prendendo in esame questa volta la produzione di trio con pianoforte. L’Integrale dei Trii, spalmata su due stagioni, vede protagonista il Trio di Parma, che da alcuni anni è ospite regolare dei nostri concerti. Il percorso del Trio di Parma si svolge in senso cronologico seguendo la spina dorsale dei lavori ufficiali, dai tre Trii dell’op. 1 al grande Trio dell’Arciduca op. 97, ma con l’inserzione delle pagine minori come cartina di tornasole di certi aspetti particolari della produzione di Beethoven. Il primo concerto infatti si apre con le Variazioni sul tema “Ich bin der Schneider Kakadu” op. 121a, ultimo lavoro per trio con pianoforte pubblicato da Beethoven in vita, chiudendo l’intero ciclo in un cerchio che lega le prime opere ufficiali alle estreme propaggini della sua scrittura per un organico d’importanza cruciale nella parabola artistica dell’autore. Società del Quartetto di Milano - via Durini 24 20122 Milano - tel. 02.795.393 www.quartettomilano.it - [email protected]