Il rito liturgico come modo particolare di trasmissione della fede cristiana di Padre Giorgio Bonaccorso (testo non rivisto dall’autore) Si dice, in modo ormai abbastanza pacifico, che una cultura potrebbe forse anche fare a meno della religione, ma non può fare a meno dei riti. Tanto è vero che, se scomparissero i riti religiosi, la cultura genererebbe altri riti, per es. quelli laici, perché i riti sono costitutivi dell'esperienza umana. Se ci restringiamo all'orizzonte biblico, notiamo che i due momenti fondamentali della fede nel V.T. e nel N.T. sono segnati da due riti: quello della pasqua (esodo 12) - che racconta un rito all'interno dell'evento stesso, non soltanto ricordandolo ma facendolo rivivere – e quello dell’ultima cena che, per i cattolici, è l'eucaristia. Diciamo sempre che l'eucaristia è memoria della pasqua; ma la prima eucaristia è stata celebrata ben prima della morte e resurrezione di Gesù. Quasi a voler sottolineare che questo fatto contribuisce a istituire l'evento centrale della vita di Gesù e della vita del mondo, che è la sua stessa morte e resurrezione. Tutto ciò significa che: in coerenza con quello che è l'essere umano, il rito è fondamentale anche per la fede cristiana. La tesi che vedeva in Gesù un profeta dell'antiritualismo è una tesi superata anche se ha avuto i suoi motivi di esserci. 1. La fede nasce dalla Parola di Dio Per capire come funzionano liturgia e rito cristiani dobbiamo approfondire qualcosa sulla Parola di Dio. Giustamente di dice che la fede dipende dalla Parola di Dio. Ma questa non si identifica col linguaggio verbale, ma ha un respiro molto più ampio. La Parola di Dio non è semplicemente la nostra parola, cioè “comunicazione di contenuti”. Ci sono almeno 3 nozioni di Parola di Dio nella Bibbia: a) Dio parla l’uomo. Se esaminiamo Gn 1, 26 troviamo scritto così: “Dio disse: facciamo l'uomo”. Significa che Dio parla ma l'uomo ancora non c'è. Dio parla prima che ci sia il suo interlocutore. Questa è la Parola che fa, che crea l'uomo, non che parla all' uomo ma che “parla l'uomo”, lo dice e, dicendolo, lo fa. E' la prima nozione di Parola: la Parola creatrice b) Dio parla nell’uomo. Proseguendo, troviamo la seconda nozione di Parola: la Parola che sta dentro l'uomo. Gn 1, 26-27 infatti così si esprime: “Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza»”. L’uomo è in se stesso una specie di Parola di Dio, quella che è presente nell'uomo, in quanto l’uomo è la sua “espressione”. Cioè: guardando l'uomo, io vedo già in lui una Parola di Dio, un’espressione, un riflesso, un’immagine e una somiglianza particolari di Dio. Dio, quindi, parla nell'uomo e attraverso l’uomo, sua immagine. c) Dio parla all’uomo. Troviamo qui la terza nozione di Parola, quella della Parola che comunica a e con qualcuno. “Dio li benedisse e disse loro”. Solo questa è Parola di Dio che comunica all'uomo. Ma questa terza nozione di Parola non sarebbe niente, se non ci fosse la “Parola che fa” e “la Parola che sta dentro l’uomo”, così come ho descritto nei primi due punti. La Parola di Dio, quindi, non è solo informativa di contenuti, o meglio, lo è solo per quanto riguarda la terza nozione ma la Parola di Dio è quella che prima fa e poi sta nell’uomo. La Parola di Dio, più che parola che trasmette contenuti, è una parola che forma, una parola potente prima ancora che parola sapiente; è parola performativa, trasformante, cioè fa esistere e trasforma la realtà umana perché è parola potente e creante. Questo è importante per capire poi la comunicazione della fede, perché comunicare i contenuti teologici della fede è un conto, ed è come andare a scuola; comunicare la fede, invece, è altra cosa; ed è riduttivo pensare di comunicare la fede limitandosi alla comunicazione dei contenuti. Una volta la nostra catechesi era così, era soprattutto un ”andare a dottrina”. Oggi questo è inaccettabile. Comunicare la fede è molto di più che trasmettere parole e contenuti teologici. Imparare i contenuti non è comunicare la fede, anche se i contenuti sono importanti. d) Dio è la Parola che si fa uomo. Altre indicazioni riguardanti la Parola le troviamo nel NT, precisamente nel prologo di Gv dove si legge: «In principio era il Verbo (la Parola) e il Verbo era presso Dio ed il Verbo era Dio». Qui si dice addirittura che la Parola (Logos) è Dio stesso e, se questo è vero, Dio non può essere ridotto a linguaggio verbale. La Parola di Dio non è un insieme di parole. Dice, infatti, Giovanni: «La Parola si è fatta carne (sarx)» (Gv 1, 14). Non c'è scritto che la Parola si è fatta parole; ma che la Parola è sarx. Sarx significa sia carne che uomo. Dunque la Parola si è fatta uomo nella sua completezza e anche nella sua debolezza. La Parola di Dio è la persona di Gesù. La Parola non è solo la Bibbia. La Parola di Dio è Gesù Cristo, in persona, quello che incontriamo e riceviamo nell’eucaristia! La Parola è Cristo e non la Bibbia. E' chiaro, quindi, che anche le 1 sacre Scritture sono Parola di Dio. Ma lo è prima di tutto il Verbo fatto carne, che si inserisce nel suo popolo ed entra dentro di noi. In tal modo le tre dimensioni della Parola di Dio, di cui abbianmo parlato sopra sono concentrate in Gesù Cristo, che è Dio (trascendenza della Parla), fattosi carne (immanenza della Parola) e che si inserisce nel suo popolo dialogando con gli uomini (prossimità della Parola). Comunicare la fede è soprattutto far incontrare Gesù Cristo, sperimentarlo, testimoniarlo: questo è comunicare la fede. I comunicatori della fede non sono i semplici informatori di Gesù Cristo. La Parola di Dio è costituita anche dalle parole di Dio perché Gesù ha parlato e quindi queste sono parole di Dio. Ma Gesù è anche colui che è stato toccato, avvicinato, è stato visto, è stato respirato e questa è tutta Parola di Dio, cioè è comunicazione di Dio Noi sappiamo che ci sono tanti linguaggi della comunicazione, per es. le icone, i profumi, la musica, i colori, la stessa croce, la pittura: tutte queste cose parlano e sono Parola di Dio, cioè linguaggi non verbali che comunicano messaggi. Il linguaggio verbale di Dio per eccellenza è la Bibbia; ma Dio comunica anche con altri linguaggi non verbali, che sono appunto il vedere, il sentire, il toccare. ecc. Così si capisce ciò che dice Gv nella 1° lettera: «Quello che abbiamo visto, udito, toccato, noi ve lo trasmettiamo...». Dunque la Parola la si vede, la si tocca, la si ascolta: far toccare e vedere è comunicare Dio. La fede dipende sì dalla parola comunicata ma Gesù Cristo si comunica anche con la testimonianza (martyria). Questo è comunicare la fede. I comunicatori della fede non sono tanto gli informatori su Gesù ma i testimoni di Gesù. E non c'è bisogno di farsi mangiare dai leoni per essere testimoni di Dio e per comunicare la fede. 2. La liturgia come comunicazione della fede Se la fede dipende dalla Parola di Dio che riguarda tutto l’uomo ed è più dell’uomo, allora la comunicazione della fede trova la sua dimensione congeniale nella liturgia. Questa, certo, non è l'unico modo per comunicare la fede. Però ha delle caratteristiche che la rendono terreno privilegiato ad una corretta comunicazione della fede, a condizione che si rispetti il rito ed i simboli. E questo dipende molto anche da noi celebranti che riusciamo, talvolta, a rovinare il rito, rendendolo noioso e inidoneo a far entrare in una esperienza di fede. a) I messaggi e i codici: la parte nel tutto. Per comunicare, il rito ha bisogno di un codice di trasmissione dei messaggi che, innanzi tutto, è il codice comune del linguaggio. Ci vuole un codice comune per trasmettere messaggi. Di solito nella comunicazione della fede avviene che si trasmettono molti messaggi utilizzando un solo codice, quello verbale. Nella liturgia da sempre si ricorre alla trasmissione di molti messaggi facendo ricorso anche ad altri codici, quello iconico, olfattivo, tattile, ecc.. Si utilizzano i principali codici umani dei sensi, oltre al camminare e al danzare, cioè linguaggi rituali di cui oggi è rimasto solo qualcosa nella processione. E' difficile trovare nella vita della Chiesa, un altro luogo, diverso dalla liturgia, in cui si usano tanti codici per comunicare messaggi. L'uso di tanti codici ha una sua conseguenza importante soprattutto di tipo psico-dinamico. Infatti, quando attivo tanti codici si passa dal descrivere la realtà restandone fuori come spettatore, al rappresentare la realtà in tutte le sue sfaccettature umane percependo lo stare dentro di essa, sentendosi inseriti e coinvolti. Questo è fondamentale e tipico dell'esperienza cristiana che usa, soprattutto nella liturgia, tutti i linguaggi possibili della comunicazione e produce uno stare dentro e non di fronte all' evento. E' l'esperienza dello stare in Dio, è esperienza di fede. Nel battesimo è ancora più evidente questa compenetrazione: l'essere innestati in Gesù. Con l'eucaristia, poi, si raggiunge il vertice: è lui che entra in me. Questa è la comunicazione della fede che si attua attraverso i riti; la liturgia è idonea a far percepire questa compenetrazione tra me e Dio. (Una esperienza simile, sia pure su un piano completamente diverso, la troviamo anche nel mondo virtuale dei video giochi dove, attraverso l'attivazione di tutti i codici umani, si fa esperienza dello stare dentro una realtà virtuale, quella appunto, del gioco). b) I linguaggi e le azioni: la conoscenza nell’incontro La caratteristica della liturgia è che essa è azione, e azione del popolo che si muove. E' azione che trasforma i linguaggi e li rende tendenzialmente tutti attivi; è proprio questo movimento che favorisce l'incontro, perché l'incontro è un andare verso. L'incontro è sempre un muoversi, è un compenetrarsi come nel battesimo ma ancor più nell’eucaristia. Però Gv ci dice anche che nessuno ha mai conosciuto Dio. Egli è l'irraggiungibile. Dio non è circoscrivibile dentro una nostra esperienza umana, perché Dio nessuno l'ha mai visto. Quindi dobbiamo accettare che l'unica possibilità di incontro con lui sia che lui si muova verso di noi. La fede più che noetica 2 (fondata sul pensiero) è ergologica (fondata sul movimento di Dio verso di me). La rivelazione è azione di Dio verso di me. La liturgia è questa azione divina, molto simile alla rivelazione, cioè implica il muoversi, l'andare verso. Fondamentale è che lui si muova verso di me. Tutti i linguaggi verbali e non verbali usati nella liturgia sono per muoversi cioè per realizzare la prossimità. c) L’attivazione e la sospensione: il dicibile nell’indicibile È sempre bene ricordare (per non comunicare messaggi errati) che Dio rimane mistero imprendibile, non circoscrivibile dentro confini umani. Nella liturgia Gesù Cristo, colui che sto comunicando, essendo Dio, è anche l'Incomunicabile, l'Invisibile, l'Intoccabile. Perciò, dopo aver attivato tutti i linguaggi umani, devo anche saperli disattivare, cioè riconoscere che non posso dire tutto di lui. La liturgia comunica colui che non può essere ridotto a oggetto, a creatura. Dio è trascendente e non è riducibile ad una esperienza. Lo comunico nella misura in cui comunico agli altri che è impossibile comunicarlo. Questo è il paradosso della fede. Lui è il presente ma è anche l'assente. Lui è il Visibile ma anche l'Invisibile, il Toccabile ma anche l'Intoccabile. Dio rimane mistero anche se è potente. Dio si comunica in un modo che ha il suo vertice soprattutto nella croce che è emblema della sua impotenza. Comunicare la fede significa comunicare questo paradosso: che Dio è impossibile dirlo. È il Potente che si manifesta a noi come l'Impotente! Non ci salva per la sua potenza. Non vi ricordate, cosa gli chiedevano sotto la croce: "Scendi dalla croce, se tu sei Dio!". Cioè mostra la tua onnipotenza. Ma Gesù non scende e muore. Se continuiamo a predicare un Dio onnipotente corriamo il rischio di far perdere la fede proprio nel momento in cui mi trovo nella prova e la colpa ricade inevitabilmente sul Dio Onnipotente e impassibile. Lui, invece, non salva scendendo dalla croce. Salva rimanendo impotente. Comunicare la fede è prima di tutto comunicare il suo amore. Lui salva non per la potenza ma per l’amore: sulla croce, appunto. Dio non si è presentato a noi come un superman, ma come uno che ci ama fino alla fine. Per dire Dio devo imparare a muovermi continuamente da un luogo all'altro: potente/impotente, visibile/invisibile. La comunicazione della fede comprende anche la consapevolezza della incomunicabilità di Dio, del mistero della rivelazione che rimane mistero anche dopo la rivelazione (K. Rahner). Comunicare la fede è inevitabilmente ambiguo perché si può dire che Dio sta tutto in una goccia d'acqua ma è anche infinitamente più grande dell'universo intero. Dio è esperienza paradossale! Dio non è un contenuto, è una esperienza paradossale, Dio è la croce. d) L’integrazione e la comunione: l’universale nel singolare Una comunicazione implica una comunità che non è da intendere in senso numerico come la Chiesa universale, astratta. Io faccio esperienza di comunità, quando incontro dei volti, delle persone, cioè la loro singolarità. Quando uno entra in chiesa, tranne la predica, sa già cosa succede e quello che l'altro dice; non ci sono grandi novità. Questo si chiama modello di comunicazione circolare della fede. Perché la liturgia è strutturata cosi? Perché l’interesse della comunicazione liturgica non è quello di dire qualcosa, ma di fare incontrare Qualcuno. L'esperienza della fede è incontrare Qualcuno, sapendo che Egli non si esaurisce mai in quell'incontro. L'incontro è segnato anche dalla emotività. Ogni incontro umano è segnato dalla emotività. Ognuno di noi, infatti, è un intreccio di azione, ragione (contenuti) ed emozione. Una vera liturgia deve attivare azione, contenuti ed emozione La fede emotiva non può essere trascurata dalla liturgia, perché la forza delle nostre convinzioni sta anche nella loro carica emotiva. Non solo è la ragione che fa percepire i valori mi anche l'emozione. Non comunichi i valori con la ragione ma con l'emozione. L'emotività è il primo modo di mettermi in contatto con il mondo. Poi ovviamente c'è anche la ragione. La fede di alcune persone, anche modeste intellettualmente, quando è fondata sull'emozione più che sulle disquisizioni teologiche è, spesso, una fede granitica. La nostra attuale liturgia ha dei riti, forse, un po' intellettuali, dove prevale la bella riflessione. Si dice: "Vado a messa là dove c'è una bella omelia, un bravo predicatore". Altre liturgie, invece, fondano tutto sull'azione, soprattutto i pontificali; e poi ci sono quelle carismatiche che fondano tutto sulle emozioni. Nella liturgia, la fede va trasmessa a tre livelli: azione, ragione ed emozione, in equilibrio tra loro. L'atto di fede è un compenetrarsi, non è il semplice ascolto, lo stare di fronte; è lo stare dentro; è dire Dio anche con il corpo. Forse abbiamo puntato troppo sull’aspetto dottrinale, dimenticandoci che il cristiano è tale perché è battezzato e rinasce. Non è cristiano perché sa tante cose o perché va a scuola, ma perché è ri-creato dall'incontro: è la Parola che crea, che fa l'uomo. L'esperienza di fede è più un fatto biologico che ideologico; sono cristiano perché sono figlio e posso sempre tornare dal Padre, un Padre misericordioso..., 3 nonostante il mio peccato. e) Il lineare e il circolare: l’obbedienza nell’accoglienza I sacramenti e la liturgia sono azioni che non dipendono tanto e soltanto dalla capacità del prete, perché sono azioni di Dio che hanno come primo responsabile non l'uomo ma Dio. Tutto dipende da Dio e dalla Grazia. La comunicazione della fede non deve smarrire che chi si dona è Dio, anche se si dona a me. Il vero soggetto è Dio. Nella comunicazione della fede il primato è di Dio. Con la morte e la resurrezione di Gesù siamo inseriti in questo dono della rinascita. Ma proprio perché questo dono è fatto a me, mi è data anche la grazia della risposta. Dono è anche questo credere che sto comunicando con Lui. In tal modo la liturgia non ha la forma di una comunicazione lineare ma circolare, dove ognuno è mittente e destinatario di ciò che non appartiene a nessuno e che ci si scambia nella reciproca accoglienza. 3. I linguaggi della comunicazione liturgica a) La parola scritta: vista e udita. Il testo sacro ha un’intrinseca qualità rituale e non solo testuale, dato che viene ripetuto e non solo interpretato. La qualità sacra della Bibbia viene espressa dal fatto che nella liturgia viene mostrata e proclamata, vista e udita. b) La parola orale: udita. L’oralità ha la qualità del suono che nelle sue diverse tonalità o modalità investe l’aspetto performativo e non solo informativo della parola. In tal modo, la parola non è solo sapiente ma anche potente. c) La musica: udita. Il confine tra parola orale e suono musicale è sfumato, dato che uno incrocia l’altro su molteplici piani. Un aspetto da tenere presente è che nella liturgia, la musica è quanto mai un suono che incrocia l’emozione e l’azione. d) Lo spazio: visto e agito. Il linguaggio spaziale è complesso, perché riguarda il modo di disporre persone e cose, movimenti e gesti, luoghi e architettura. Interagendo col tempo (festa, racconto), realizza un contesto decisivo per l’esperienza di fede. e) L’immagine: vista. Il linguaggio delle immagini che coinvolge il gioco della luce e dei colori è l’apparire di un mondo. Nella liturgia è importante non l’aspetto esibitivo (protagonismo) ma l’aspetto allusivo (a Dio) e partecipativo (nella comunità). f) Il tatto, l’olfatto, il gusto. L’interazione dei suddetti linguaggi, ampliata all’intreccio col tatto, l’olfatto, il gusto, realizza un contesto di illusione, nel senso di in-ludus, l’entrare nel gioco, e più precisamente nel gioco del sacro, del mistero. 4