APPUNTI DEL CORSO DI PATROLOGIA INTRODUZIONE

annuncio pubblicitario
APPUNTI DEL CORSO DI PATROLOGIA
Don Angelo Longo
***
INTRODUZIONE
Patrologia, patristica e letteratura cristiana antica;
lo studio dei Padri nella teologia: significato e metodo dello studio
Dal documento Optatam Totius, lo studio della teologia incomincia con i temi biblici. Dopo lo
studio della scrittura si considerano i Padri della chiesa. E in seguito lo sviluppo della dottrina.
1. DIVERSI APPROCCI
La parola Patrologia deriva da Pater + Logos. È la scienza dei Padri della Chiesa. Ci sono diversi
approcci alla stessa materia dei padri.
• La Patrologia è lo studio scientifico della vita delle opere e della dottrina di quei personaggi
dell’antichità. Ha un approccio prima di tutto storico e bibliografico, ma anche teologico.
• La Patristica è la teologia patristica che considera la dogmatica dei Padri nella loro
riflessione ecclesiale. È quindi vera e propria teologia (nel corso faremo sia patrologia che
patristica).
• La Letteratura cristiana antica è una disciplina non teologica, si può dire letteraria. È uno
studio che considera gli aspetti stilistici e filologici degli scrittori cristiani antichi. Anche un
ateo può affrontare questo tipo di studi. L’oggetto dello studio, comunque, rimane lo stesso;
cambia il contesto.
Perché studiamo i Padri oggi?
Nei Padri vi è qualcosa di singolare. Qualcosa di normativo per noi. I Padri sono i primi teologi che
rifletterono sulla scrittura; con loro la teologia prese una direzione precisa che è normativa anche
per noi. Perché il canone, perché i simboli di fede, perché le catechesi? Grazie ai Padri.
Nell’Ottocento riprende con nuovo vigore la teologia dei Padri, soprattutto con Johann Adam
Mohler della scuola di Tubinga, con J.H. Newman e con Perrone della scuola romana; nel secolo
scorso, poi, si trovano de Lubac, Danielou, von Balthasar. Tutti questi teologi ci dicono che c’è
ancora moltissimo da sfruttare e da tirare fuori dalla teologia patristica (ne parla sempre Benedetto
XVI) che rappresenta per noi una miniera inesauribile. Questo risveglio dei Padri ha preparato il
Concilio Vaticano II. Ironicamente, però, dopo li Concilio si trova una certa ermeneutica della
discontinuità, l’anno 1965 per alcuni è l’anno zero della teologia. Papa Paolo VI, però, invitava ad
assumere l’atteggiamento opposto verso i Padri. Con il grande ritorno alle scritture, il Concilio
chiama al ritorno alla grande tradizione, il contesto in cui la chiesa antica leggeva la scrittura;
quest’ultima infatti non è staccata dalla comunità in cui vive.
2. ATTUALITÀ DEI PADRI
È importante sottolineare l’attualità dei Padri (La presentazione all‘Instruzione della Congregazione
per
l‘Educazione Cattolica: Lo studio dei padri della chiesa nella formazione sacerdotale, p. 3). Dai
Padri ci si attendono oggi:
1) orientamenti e luce per superare certe difficoltà in cui si trova la teologia. [Il Ritorno alle
Scritture ―deve essere accompagnato dal ritorno alla Tradizione attestata dagli scritti
patristici, se si vuole che produca I frutti sperati,(Instr. 29)].
2)sani criteri di discernimento dottrinale e morale per camminare più sicuri in mezzo alle
attuali trasformazioni culturali e sociali.1
3)un nutrimento sostanzioso per i vari movimenti di spiritualità che stanno sorgendo nel
laicato e animano la vita pastorale (vedi le Piccole Sorelle dell’Agnello).
3. IL TITOLO “PADRE”
Il titolo Padre è un titolo onorifico: padre è colui che dà la vita. I Padri, quindi, sono coloro che ci
hanno educato nella fede. Sono i custodi della tradizione, gli autentici maestri della fede. Hanno una
vocazione particolare nella Chiesa: non sono alla nascita né all’infanzia, ma nell’adolescenza della
Chiesa. Insegnano alla Chiesa quello che dalla Chiesa hanno imparato. La chiesa primitiva, fino al
IV secolo ha riservato questo titolo solo ai vescovi, che predicano il vangelo nell’assemblea
liturgica. Dalla fine del IV secolo diventano i testimoni autorevoli della tradizione. È da allora che
nasce un argomentum patristicum per stabilire definitivamente cosa crediamo e cosa non crediamo.
25.02.2011
La prima volta che il titolo viene applicato è per indicare i partecipanti al concilio di Nicea (i 318
padri conciliari, che in realtà erano solo 200-220). dopo il 200 il titolo viene applicato anche ai
sacerdoti: san Girolamo non era vescovo. Insieme a Gregorio Magno, Agostino e Ambrogio forma il
quartetto dei padri occidentali: il primo era papa, il secondo e il terzo erano vescovi. Lui era solo un
eremita che viveva nella caverna. Nell'iconografia viene fatto cardinale (vestito di rosso), dato che
era anche assistente di papa Damaso (un caso analogo è quello di Efrem, semplice diacono).
La definizione classica di Padre è quella di Vincenzo di Lerin (dispensa 5). si distinguono per la
dottrina, la santità di vita e l'approvazione della Chiesa (soprattutto romana, per sottoscrivere la
comunione) come testimoni della fede. Sono autorevoli nella spiegazione della fede. Le quattro
caratteristiche – tracciate da Petrus Anatus in un manuale del '700 – che definiscono il padre,
quindi, sono
• Antichità
• Ortodossia
• Santità
• approvazione ecclesiastica
ANTICHITÀ
Nel suo manuale, oltre ai primi sette secoli, Petrus mette in continuità i padri con gli scolastici,
chiamando padri anche Tommaso e Bonaventura. Forse chiamarli Padri è eccessivo, soprattutto per
la differenza di metodo. La cosa importante di Petrus è che mette a fuoco la continuità. Bernardo è
l'ultimo padre, scrive come i padri, non è scolastico. Padre Perrone, gesuita dell'Ottocento, insiste
1
Oggi viviamo in un contesto simile a quello del V secolo: Roma, intoccabile, eterna, invincibile, cade nel 410. Il
panico percorre tutto l’impero: è uno shock ovunque. Da quel momento tutti i cristiani sono accusati di essere i
colpevoli del crollo di Roma: i pagani accusavano i cristiani che andavano contro il decreto di Vespasiano sull’idolatria.
Agostino risponde con il De Civitate Dei. Oggi la situazione è analoga, almeno negli Stati Uniti. Con il crollo delle
Torri Gemelle c’è un cambiamento pragmatico non solo in America, ma in tutto il mondo: non si può mai essere sicuri
in nessun luogo (aumento dei controlli in tutto il mondo…). E le accuse dei pagani sono: è colpa delle religioni, è colpa
del papa, ecc… i Padri ci danno risposte valide anche per il nostro contesto.
sulla nomina di Bernardo, rendendo molto lunga l'era dei padri. Ma si deve tenere conto che la sua
nomina, inizialmente è una critica alla scolastica, che in questo prospettiva si pensa abbia tradito
l'eredità patristica.
Anche il genere conta (si nota differenza tra i padri e gli scolastici in metodologia). Ma nel de
Trinitate Agostino applica anche le categorie aristoteliche e lo si legge come Tommaso. Non è
giusto dire che i padri scrivevano in uno stile unico (Tommaso ha scritto inni bellissimi) né
discriminare in tal modo gli scolastici.
Se non si chiude l'era dei padri con
Bernardo, la si chiude con Giovanni Dalla Lettera di Clemente ai Corinti (c. 96AD) fino a→
→ Papa Gregorio Magno (604)/ Occidente
damasceno in oriente e con Isidoro di
→ Imperatore Giustiniano (527)/ Oriente
Siviglia in occidente. Un'altra
o
più
tardi
possibilità, più conservatrice, è
→
Isidoro di Siviglia (c. 636)/ Occidente
l'avvento di Giustiniano o la morte di
→ Giovanni Damasceno (c. 750)/ Oriente
Gregorio Magno (che spesso è il
riferimento per l'inizio del medioevo). Un altra ipotesi è il concilio di Calcedonia, ma è una
proposta eccessiva.
Gli scritti del primo testamento diventano il canone del Testamento. La prima lettera al di fuori è la
lettera di papa Clemente alla chiesa di Corinto. L'assemblea liturgica leggeva quella lettera durante
la liturgia, come si legge la scrittura (allora c'era ancora fluidità nel canone).
L'epoca patristica finisce con un clima intellettuale diverso: le invasioni barbariche e la diffusione
dell'islam che comincia a occupare le sedi episcopali e le zone cristiane (alcuni monofisiti erano
accoglienti con i musulmani, perché gli permettevano di vivere più in libertà la loro fede, non più
sotto il controllo ortodosso). Da quel momento il papa si rivolge più all'impero romano europeo e
non più verso la chiesa di oriente (così nasce anche il rapporto stato-chiesa e si pongono i
presupposti per il grande scisma del 1054). secondo Ratzinger la configurazione del medioevo è già
impostata qui.
L'ORTODOSSIA
Non significa priva di errore, ma semplicemente che essi mantenevano una comunione leale con la
Chiesa e senza opposizione dottrinale. Ad esempio, la chiesa non ha mai condiviso la teoria di
Agostino sui bambini morti non battezzati. Questi, insistendo molto sulla priorità della grazia di
Cristo per la salvezza, grazia che passa per il battesimo, affermava che per un bambino morto senza
battesimo non c'era alternativa all'inferno (anche se poi il bambino finisce in una zona dell'inferno
dove il fuoco non brucia tanto). La chiesa non segue Agostino; si crea l'ipotesi del Limbo, mai
negata dalla chiesa (solo pochi anni fa la commissione teologica internazionale ha mostrato la non
necessarietà dell'ipotesi del limbo). Un altro esempio è quello di altri padri che non hanno sostenuto
la santita o l'immacolata concezione di Maria.
Come risolvere questi problemi? Qui in gregoriana Perrone faceva la distinzione tra Padri
• come Testimoni alla tradizione apostolica (quando parla della fede e in accordo agli altri
padri) sono infallibili e non possono sbagliarsi.
• Come esegeti privati, essi prendono la loro posizione privata.
Un esempio odierno è il libro di Gesù di Nazareth, lavoro di un teologo, non di un papa. Lo stresso
papa distingue tra il dottore privato e il magistero petrino (in quanto testimone autorevole alla
tradizione apostolica della chiesa).
Gregorio di Nissa sostiene che anche il diavolo sarà guarito (la salvezza universale, condannata dal
quinto concilio ecumenico):
“Questi e di tal genere sono gli insegnamenti che ci offre il grande mistero
dell‘incarnazione divina. Mediante il suo congiungimento con l‘umanità, assumendo tutti i
caratteri propri della natura umana, la nascita, il nutrimento e la crescita, fino alla prova
della morte, Dio ha effettuato tutti quei benefici sopra menzionati, liberando l‘uomo dalla
malvagità e procurando guarigione allo stesso padre del vizio. E salvezza da una infermità
la liberazione da una malattia, sia pur a costo di sofferenza” (Oratio catechetica magna
26.8-9).
LA SANTITÀ
Virtù cristiana di base. Armonia tra vita e fede, tra fede e moralità. Una precomprensione vede nella
santità una condizione che fa possibile una comprensione più esatta o più profonda della rivelazione
cristiana. Per questa santità i Padri sono docili allo spirito ed hanno un istinto dogmatico, leggono le
scritture “con lo stesso spirito con cui sono state scritte” (DV12).
APPROVAZIONE ECCLESIASTICA
Tertulliano, anche lui compare nel breviario, non è un padre, ma uno scrittore ecclesiastico antico.
Lo chiamiamo così perchè gli manca almeno una di queste prerogative: non è santo (muore da
montanista). Come lui Origene (muore in comunione con la chiesa e da essa venerato). Al “dottore
della Chiesa”, invece, manca l'antichità.
4. SCRITTI ECCLESIASTICI E DOTTORI DELLA CHIESA
Abbiamo visto i quattro padri della chiesa latini
latini, nominati da Bonifacio VIII nel 1295. Nel IV. Scrittori Ecclesiastici e Dottori
1) I Padri Latini:
1568 san Pio V nomina quattro padri greci
(1)Ambrogio
(Atanasio, Basilio il grande, Gregorio
(2) Girolamo
nazianzeno e Giovanni crisostomo)
(3) Agostino
In alcune raffigurazioni si trovano i padri latini
(4) Gregorio Magno
insieme ai quattro evangelisti (ad indicare
2) I Padri Greci:
scrittura e tradizione).
(1) Atanasio
(2) Basilio il Grande
Quando il passato consisteva soltanto degli
(3) Gregorio Nazianzo
apostoli, i loro discepoli e i martiri. Dal cuore di
(4) Giovanni
Gesù, su cui si è reclinato Giovanni evangelista, Crisostomo
al suo discepolo Policarpo, al suo discepolo
Ireneo che muore a Lione: con Ireneo siamo ancora molto vicini a Gesù. Ireneo insiste sul fatto che
Policarpo trasmetteva solo ciò che avevano detto gli apostoli: la sua opera è contro gli gnostici, che
pretendevano di avere la vera rivelazione personale da Gesù.
Vediamo ancora la vicinanza dei Padri al Signore: Ireneo, verso la fine della sua vita ricorda i
ricordi di Policarpo per quanto concerne Giovanni:
EUSEBIO, citando la lettera di IRENEO a Florino, dice: «Ricordo infatti gli avvenimenti di allora meglio di
quelli accaduti di recente (perché le conoscenze acquisite da ragazzi crescono con l‘anima, dentro di essa),
così che posso dire anche in luoghi dove il beato Policarpo si sedeva a discutere e il suo modo di procedere ed
entrare in argomento, il carattere della sua vita e il suo aspetto fisico, i discorsi che faceva alla folla, come
riferiva le sue relazioni con Giovanni e con gli altri che avevano visto il Signore, come ricordava le loro
parole e quali erano le cose che aveva udito da loro sul Signore, sui suoi miracoli e sul suo insegnamento, e
come Policarpo avesse ricevuto tutto questo dai testimoni oculari della vita del Signore e lo riferisse in
conformità con le Scritture» (Historia Ecclesiastica 5.20.5-6).
Policarpo ascoltava Giovanni e raccontava, e quanto raccontava era concorde alle scritture:
tradizione viva in sintonia con la Parola scritta. Gli gnostici, invece, credendo alle loro proprie
ispirazioni iniziano a produrre altri scritti proprio. La verità che la chiesa professa si manifesta nelle
scritture, non in fantasie provenienti da trasmissioni solo orali o da immaginazione privata.
5. METODO TEOLOGICO PATRISTICO
Siamo in un momento di discernimento, il lavoro dei Padri è anche stabilire le cose normative: il
deposito della fede, la teologia sorge come riflessione delle scritture, si canonizza il NT, si
proclamano i dogmi trinitari e cristologici, nascono le prime formulazioni liturgiche.
1) Sacra Scrittura
La Sacra Scrittura è chiaramente al centro della teologia patristica: i Padri erano principalmente
esegeti. Prendevano molto sul serio la parola e la stessa lettera: assieme alla lettura spirituale si
trova anche un embrione di riflessione critica. Dire che non si trova la scrittura nei testi patristici è
dire che non si trova acqua in un fiume, dice un martire gesuita inglese. Se non avessimo la
scrittura, potremmo ricostruirne i due terzi solo dalle citazioni di Agostino nelle sue opere.
Facevano un esegesi in medio ecclesiae. La tradizione della chiesa era per loro norma interpretativa.
È una teologia scritturistica e liturgica:
«I padri hanno dato in tal modo la prima risposta consapevole e riflessa alla sacra Scrittura, formulandola
non tanto come una teoria astratta, ma come quotidiana prassi pastorale di esperienza e di insegnamento nel
cuore delle assemblee liturgiche riunite per professare la fede e per celebrare il culto del Signore risorto »,
(Congregazione per l‘Educazione Cattolica, Lo studio dei padri della chiesa nella formazione sacerdotale,
20).
Origene dà sempre tre interpretazioni del Cantico dei Cantici: letterale (l’argomento drammatico di
amore), spirituale A (la sposa è la Chiesa e l’amante è Cristo), spirituale B (la sposa è l’anima, ma
l’incontro individuale avviene solo nella comunità e nel contesto della tradizione viva). Solo nel
medioevo si perde questa componente e si arriva ad un misticismo individualista: io e Dio. Non era
questo l’atteggiamento dei Padri.
2) Inculturazione
I Padri si trovano davanti alla necessità di inculturare per esprimere nelle diverse culture il Vangelo
(è un problema che si trova già in Paolo). Per alcuni Padri, i filosofi sono degli eretici non illuminati
(Tertulliano a qualche altro); per molti altri, invece, la filosofia greca procede da un'unica fonte di
saggezza, il Verbo di Dio. Benedetto XVI quando parlò a Regensburg della peculiarità del
cristianesimo disse che è la ragione divina che si incarna: il cristianesimo non è dunque al di là della
ragione, ma ne è la pienezza. Nonostante ciò non c’è sincretismo con i filosofi, ma c’è un attenzione
critica: Agostino critica la visione platonica che disprezzava il corpo. Lo schema exitus-reditus di
Plotino, ad esempio, è stato visto come una similitudine della teologia cristiana. Ma ci sono
differenze profonde: i cristiani parlano di Dio in seconda persona, hanno un rapporto personale, i
filosofi sempre in terza persona. E di fatti, l’exitus è piuttosto una caduta;l’uno di Plotino non si
preoccupa per niente, né pensa per niente all’uomoeil ritorno al Padre non avviene per negazione
del mondo materiale come in Plotino: è il Signore stesso che si è preoccupato di riportarci a lui
incarnandoci.
3) Difesa della fede
Le molte eresie furono un grande stimolo per la crescita della fede cristiana:
«Come diceva s. Agostino di fronte al moltiplicarsi degli eretici: Dio ha permesso la loro diffusione, affinché
non ci nutrissimo del solo latte e non rimanessimo in stato di rude infanzia (Io. eu. tr. 36.6), in quanto molte
questioni riguardanti la fede quando, con astuta inquietudine, vengono esaminate più diligentemente, capite
più chiaramente, predicate più insistentemente di modo che la questione mossa dall’avversario diventi
l’occasione d’imparare, (ciu. 16.2.1)», (Istruzione della Congregazione per l‘Educazione Cattolica: Lo studio
dei padri della Chiesa nella formazione sacerdotale, 33).
La fede cristiana è sempre la stessa: già nelle scritture si vede il credo cristologico, testimonianze
della trinità, il progetto di salvezza del mondo e tutto ciò che la chiesa ha semplicemente esplicitato
e attualizzato nel corso dei secoli, grazie anche alle sfide delle eresie. Così anche il sacerdozio come
prerogativa maschile è così perché così lo ha stabilito Cristo.
4) Il Senso del Mistero e l‘Esperienza del Divino
C’è un bel rapporto fides et ratio nei padri come anche un profondo senso del divino e della
trascendenza: si percepisce il mistero di Dio che si può intelligere ma non comprendere. San
Gregorio Nazianzeno, in proposito, dice:
“Io penso che parlare di Dio è impossibile e comprenderlo è ancor più impossibile. Ché quello che si è
pensato, la parola potrebbe fors‘anche manifestarlo, se non adeguatamente, comunque in modo oscuro, a
colui che non sia completamente malato nell‘udito e stolto nell‘intelligenza. Ma il comprendere con il nostro
intelletto una sostanza così grande è assolutamente impossibile e irraggiungibile, non solo per quelli di spirito
insonnolito e che badano solo a quello che è a terra, ma anche per quelli che sono molto grandi e che amano
Dio; è impossibile, senza distinzione, a tutta la natura creata, a tutti quelli davanti ai quali si addensa questa
caligine e ai quali questo spesso elemento carnale fa ostacolo alla conoscenza della verità”, (Orazione 28.4). Possiamo fare qualcosa, ma dobbiamo sempre avere presente il nostro limite (cfr. leggenda
agostiniana, che lo stesso Benedetto XVI ricorda nel suo stemma con la conchiglia: umiltà del
teologo davanti al mistero di Dio).
È necessario, oltre allo studio intellettuale, un processo di purificazione dell’anima. C’è un rapporto
tra santità e comprensione. Ancora San Gregorio Nazianzeno:
“Non crediate, voialtri, che il parlar di Dio come vuole la nostra religione sia una cosa che compete a
chiunque. Niente affatto: tale argomento costa caro e non lo posseggono quelli che vivono terra-terra.
Aggiungerò anche che non si può parlarne chiunque: lo si può fare certe volte, e a certe persone, e in una
certa misura. Non lo possono fare tutti, perché è un compito che spetta a quelli che si sono esercitati e hanno
trascorso tutta la loro vita nella contemplazione e, soprattutto, hanno purificato l‘anima e il corpo o, almeno,
la stanno purificando”, (Orazione 27.3).
Così dice anche Dionigi: è necessario pregare, “fare teologia in ginocchio” (von Balthasar) per
poter stare uniti a Dio. Fare teologia pregando:
“Perciò, prima di tutto, ed in particolar modo prima di parlare di Dio, è necessario cominciare dalla
preghiera, non per attrarre a noi la forza che è presente in tutti i luoghi e in nessuno, ma affinché con il
ricordo e le invocazioni possiamo metterci nelle sue mani e unirci a lei” (Dionigi L‘Areopagita, Nomi Divini
3.1).
Agostino è un grande esempio che mostra lo stesso atteggiamento:
“Se mi si domanda poi come si realizzò l‘incarnazione, dico che il Verbo di Dio si è fatto carne, cioè uomo,
senza essere tuttavia convertito e trasformato in ciò che si è fatto, e si è fatto esattamente in tal modo che in lui
si trova non solo il Verbo di Dio e la carne dell‘uomo, ma anche l‘anima razionale e che questo tutto si dica
Dio a causa della natura divina, e uomo a causa della natura umana. Se è difficile intenderlo, l‘anima si
purifichi con la fede, astenendosi ogni giorno di più dal peccato, operando il bene e pregando con il gemito
dei santi desideri, perché, progredendo con l‘aiuto divino, comprenda ed ami”, (Agostino, De Trinitate
4.21.31).
5) La Realtà Unitiva della Teologia
L’obiettivo è l’unione della fede tra ciò che si crede e ciò che si vive. La chiesa non insegna solo la
fede, ma anche i costumi. Le due cose vanno insieme: non c’è verità senza amore, né amore senza
verità (ortodossia ed ortoprassi). C’è sempre questo aspetto unitivo tra teologia e spiritualità. Allo
stesso modo c’era nei padri uno sguardo universale: i cattolici, nella diocesi di Agostino erano in
minoranza, ma come vescovo egli influenzava tutto il mediterraneo; aveva una corrispondenza
epistolare con mezza Europa.2 Lo scopo, quindi, è farsi un amico. Sentire cum ecclesiam(?). È più o
meno la proposta di sant’Ignazio di Loyola.
2
Si dice che una lettera di Agostino per Girolamo circolò 9 anni in Europa prima di arrivare a destinazione, tanto che
Girolamo (che ne aveva già sentito il contenuto prima di riceverla) lo rimproverò. Anche Ilario di Poitiers, che passa
pure in Asia minore; così anche altri pastori.
6. CONCLUSIONE
Sant‘Ignazio di Loyola e gli Esercizi Spirituali. Lo studio dei padri della chiesa ci mostra quel
momento di grande compimento di tutti gli esercizi spirituali: amare e servire Dio in tutte le cose.
Cosa ami e cosa servi?
Come conclusione, leggiamo questo brano della Congregazione per la dottrina della fede:
“Gli studi patristici non possono fare a meno di una solida conoscenza della storia della chiesa che rende
possibile una visione unitaria dei problemi, degli avvenimenti, delle esperienze, delle acquisizioni dottrinali,
spirituali, pastorali e sociali nelle varie epoche. In tal modo ci si rende conto del fatto che il pensiero cristiano,
se comincia con i padri, non finisce con loro. Ne segue che lo studio della patristica e dalla patrologia non può
prescindere dalla tradizione posteriore, compresa quella scolastica, in particolare per ciò che riguarda la
presenza dei padri in questa tradizione. Solo in questo modo si può vedere l‘unità e lo sviluppo che vi è in essa
e anche comprendere il senso del ricorso al passato. Esso infatti apparirà non come un inutile archeologismo,
ma come uno studio creativo che ci aiuta a conoscere meglio i nostri tempi e a preparare il futuro”
(Congregazione per l‘Educazione Cattolica, Lo studio dei padri della chiesa nella formazione sacerdotale, 60).
Non si può canonizzare la patristica a scapito dello sviluppo successivo. È bene assumere
un’ermeneutica di continuità per cogliere l’unità e lo sviluppo della teologia e comprendere anche
l’importanza del ricorso ai padri.
La base patristica è un vero punto comune tra ortodossi e cattolici, non c’è vera opposizione nel
modo di vedere i padri (al di là della forma).
Sezione 2: Gli Apocrifi Biblici
Canonizzazione del Nuovo Testamento, gli apocrifi
ed il Protovangelo di Giacomo.
1. LA CANONIZZAZIONE DEL NUOVO TESTAMENTO
1. Scritti canonici
(1) Lettere
(2) Vangeli
(3) Atti
(4) L‘Apocalisse
2. Scritti dei Padri Apostolici letti come Scrittura:
(1) I & II Clemente
(2) La Didaché
(3) Il Pastore di Erma
(4) La Lettera di Barnaba
3. Scritti gnostici
* Marcione
* κανων = metro, misura, criterio
4. I tre criteri operativi nella canonizzazione del NT
(1) Origine apostolica
(2) Il ruolo delle chiese locali nell‘accoglienza del libro
(3) Regula Fidei = la norma che delimita l‘ambito della ricerca cristiana della verità
5. Testimonianza documentiva
(1) Il Canone Muratori ( c. 200 AD ) mancano soltanto: Ebrei, I & II Pietro, Giacomo ed una
lettera di Giovanni
(2) Liste complete
Oriente: La Lettera Pasquale di Atanasio (Ep. 39) 367 AD
Occidente: Decretum Gelasianum de libris recipiendis et non recipiendis ( capitoli 13) 382 AD
2. GLI APOCRIFI BIBLICI
1. αποκρυφος = segreto
2. I Vangeli Apocrifi dell‘Infanzia
Derivano da essi:
(1) i nomi dei genitore di Maria3
(2) la presentazione di Maria nel Tempio
3
Intanto per la bambina i mesi andavano aumentando; quando ebbe due anni, Gioacchino disse: “Portiamola nel tempio
al Signore per compiere la promessa da noi fatta, per paura che il Signore non ce la richiami e non risulti sgradito il
nostro dono”. Ma Anna rispose: “Aspettiamo il terzo anno, affinché non cerchi suo padre o sua madre”. E Gioacchino
disse: “Aspettiamo”.
(3) la grotta a Bethlemme
(4) il bue e l‘asino vicino alla culla di Gesù
(5) il numero e i nomi dei Magi
3. IL PROTOVANGELO DI GIACOMO
Il titolo deriva da P. Guillaume Postel, S.J. nel 1549-1550; il titolo originale era “La Natività di
Maria e Apocalisse di Giacomo”.
Questo vangelo, risalente alla seconda metà del secondo secolo in Egitto e ampliato
successivamente, ha lo scopo di completare gli scritti del Vangelo. l’autore non è un giudeo: mostra
un ignoranza impressionante dei luoghi della Palestina. Si trovano estratti di vangeli canonici
arricchiti da tradizioni provenienti da Gerusalemme. In occidente è stato condannato come apocrifo
nel decreto Gelasiano, mentre in Oriente è stato tenuto molto in considerazione.
Per difendere la verginità di Maria, si è detto che Giuseppe sposò Maria già vecchio, e con figli. Ma
questa è solo un idea successiva; lo stesso Giovanni Paolo II la rifiuta: non ci aiuta a comprendere la
castità di Giuseppe.
Nel testo abbiamo anche una testimonianza della verginità in partu di Maria.
La natività miracolosa di Gesù: XIX.
E [Giuseppe e la levatrice] si fermarono nel luogo della grotta e vi era una nube oscura che adombrava la
grotta. La levatrice disse: “Oggi la mia anima è stata esaltata (cf. Lc 1.46), perché oggi i miei occhi hanno
visto cose mirabili (cf. Lc 2, 30): è nata la salvezza di Israele ”. All‘improvviso la nube si ritrasse dalla grotta,
e apparve nella grotta una grande luce, tale che gli occhi non potevano sopportarla. E, a poco a poco, quella
luce andava dileguandosi, finché apparve un bambino. Egli venne e prese il seno della madre. La levatrice
allora esclamò: “Quanto è grande questo giorno per me, perché mi è stato dato di vedere questo nuovo
spettacolo!” E la levatrice uscì dalla grotta imbattendosi in Salome, alla quale disse: “Salome, Salome, ho da
riferirti del nuovo: una vergine ha messo al mondo, cosa che la sua natura non permette ” [è la verginità in
parto: ciò che la sua natura non permette] . Salome replicò: “Vive il Signore, mio Dio: se non metto il dito
e non esamino la sua natura, non crederò mai che una vergine abbia partorito”.
[nel racconto del vangelo, Salome fa la prova e la sua mano in quel momento si inaridisce; subito, però, il
bambino Gesù la guarisce]
Se questo vangelo, pur presentando cose border line, testimonia comunque il canone, ci sono altri
vangeli apocrifi che non sono accettati in nessun modo. Vediamo l’esempio del vangelo di
Tommaso:
Questo bambino Gesù, all‘età di cinque anni, giocava nel guado di un ruscello, e traeva le acque correnti nei
fossati, e le rendeva subito pure, e le comandava con una semplice parola. E bagnata dell‘argilla, ne foggiò
dodici passeri, e quando fece questo era un giorno di sabato. E c‘erano anche molti altri fanciulli che
giocavano con lui. Allora un ebreo, avendo osservato quello che Gesù stava facendo, che giocava in giorno di
sabato, se ne andò subito ad annunciarlo al padre suo Giuseppe: “Ecco, disse, che tuo figlio è presso il
ruscello, e, presa dell‘argilla, ne ha foggiato dodici uccelletti, ed ha profanato il sabato”. E Giuseppe, venuto
in quel posto, lo vide e gli gridò: “Perché fai di sabato ciò che non è permesso fare?” Ma Gesù, battendo le
mani e rivolgendosi ai passerotti, gridò loro: “Volate via!” E i passeri, aperte le ali, volarono mandando
strida. Gli Ebrei rimasero molto stupiti a questo spettacolo e andarono a raccontare ai loro capi ciò che
avevano visto fare a Gesù (c.2).
Quando la bimba ebbe tre anni, Gioacchino disse: “Invitiamo le figlie degli Ebrei, quelle senza macchia; prendano in
mano, ciascuna, una lucerna, e siano (le lucerne) accese, affinché ella non si volga indietro e il suo cuore non sia
trattenuto fuori del tempio del Signore”. E così fecero fino a quando non furono saliti al tempio del Signore. Il sacerdote
l‘accolse, l‘abbracciò, la benedisse ed esclamò: “Il Signore Iddio ha magnificato il tuo nome in tutte le generazioni [cf.
Lc 1, 48 citazione del vangelo canonico]. In te, negli ultimi giorni, il Signore manifesterà la sua salvezza ai figli
d‘Israele”. Ed egli la fece sedere sul terzo grado dell‘altare e il Signore Iddio effuse su di lei la sua grazia, ed ella si
mise a danzare [giustificazione patristica della danza liturgica] e così fu presa a benvolere da tutta la casa di Israele”. (Il
Protovangelo di Giacomo: 2.7.1 La presentazione di Maria al tempio, VII)
Un‘altra volta, Gesù attraversava il villaggio, e un bambino correndo lo urtò ad una spalla.
E Gesù irritato gli disse: “Non continuerai la tua strada”. E tosto il bambino cadde morto.
E alcune persone, che avevano visto ciò ch‘era accaduto, dissero: “Donde verrà mai questo
bambino, che ciascuna sua parola si realizza subito? ” E i genitori del bambino morto
vennero a trovare Giuseppe e si lamentarono dicendo: “Con un bambino simile, non puoi
abitare con noi nel villaggio, oppure insegnagli a benedire e non a maledire; giacché egli fa
morire i nostri figli ”. E Giuseppe, preso a parte il bambino, lo rimproverava, dicendo:
“Perché fai così? Queste persone soffrono, e ci odiano, e ci perseguitano ”. Gesù rispose:
“So che le parole che pronunci non sono tue; tuttavia, tacerò per amor tuo; ma loro,
subiranno il castigo”. E subito, quelli che l‘accusavano divennero ciechi (4,1-5,2)
Oppure il vangelo arabo dell’infanzia di Gesù:
Gesù coricato nella culla disse a Maria: “Sono Gesù, il Figlio di Dio, il Logos a cui tu hai
dato la luce”.
C’è molto fascino per questi racconti. È interessante chiedersi il perché.
Per concludere, quindi, possiamo parlare dei quattro categorie di scritti:
• Scritti canonici (inizio del primo secolo)
• Scritti apocrifi (mescolanza di verità e falsità)
• Scritti gnostici (totalmente fuori dal discorso, sono eretici); non scritti prima dei vangeli
canonici (non c’è alcuna evidenza della loro esistenza prima del I secolo; vengono fuori dal
II in poi; in più le citazioni dei vangeli canonici mostrano la loro posterioritù);
• Scritti patristici di autori ecclesiastici, che godono una certa ispirazione (nel senso generico,
non al livello della parola di Dio);
Il cristianesimo che conosceva Maometto, probabilmente, era molto basato sulla letteratura
gnostica: il corano cita molto quei testi (ad esempio, il Corano crede che Cristo non è morto in
croce: è sceso ed è andato a vivere da un'altra parte).
Sezione 3: La letteratura dei Padri Apostolici
La lettera di Clemente ai Corinzi, la Didaché, la Lettera di Barnaba, la Lettera a Diogneto ed
il Pastore di Erma.
1. I PADRI APOSTOLICI: LETTERATURA SUBAPOSTOLICA ( 90 - 160 AD )
Siamo all’inizio della letteratura apostolica. La denominazione risale a Jean-Baptiste Cotelier che
pubblicò a Parigi nel 1672 la prima edizione di
questi Padri: Patres aevi apostolici. Si sapeva dell’esistenza della Didake dalle citazioni che si sono
susseguite nei secoli. È stata riscoperta nel suo intero solo nel XIX secolo.
La Letteratura
(1) Le Lettere di Barnaba, Clemente Romano, Ignazio di Antiochia, Policarpo di Smirne ed
il Pastore di Erma
(2) I frammenti di Papia di Gerapoli e la Lettera a Diogneto
(3) La Didaché (riscoperta nel XIX secolo)
Non è una letteratura omogenea: Barnaba ed Erma sono scritti apocrifi; la lettera a Diogneto è un
apologia. C’è diversità anche per l’origine letteraria. La datazione è dalla fine del I secolo fino alla
prima metà del secondo. (la lettera di Clemente è contemporanea alla lettera di Pietro).
Alcune di queste opere godevano dello stato canonico (a Corinto si leggevano le lettere di
Clemente, a Roma il Pastore). Con queste si apre, però, il periodo non canonico. Sono scritte dai
discepoli degli apostoli, che richiamano immediatamente la tradizione apostolica. Anche la struttura
comunitaria è neo-testamentaria. È il momento di passaggio dalla rivelazione alla tradizione.
Varie Caratteristiche della Letteratura Sub-apostolica:
(1) Obbedienza Ecclesiastica
(2) Contro Eresie e Scismi
(3) Senso Escatologico
(4) Un Ricordo Vivido di Cristo
(5) Cristologia più o meno uniforme (Cristo figlio di Dio, pre-esistente, collaboratore nella
creazione).
(6) Non è una Esposizione Scientifica della Fede; non ne è lo scopo (che è invece di
rispondere le sfide della comunità su unità, obbedienza …)
2. LA LETTERA DI CLEMENTE AI CORINTI
La più antica accanto agli scritti biblici, contemporanea, più o meno, con quella di Pietro. Il motivo
era una disputa nella chiesa di Corinto: alcuni dei presbiteri anziani sono stati messi a lato da
giovani carismatici. La comunità di Roma ne viene a conoscenza (è probabile che alcuni cristiani di
Roma siano passati per Corinto, non siano stati accolti bene ed hanno riportato a Roma quello
scisma). In ogni caso era una comunità molto vispa, san Paolo la bastona spesso. Datata dopo
Nerone e subito dopo la persecuzione di Domiziano (volevamo rispondere prima, ma abbiamo
appena passato una persecuzione con Domiziano). È probabile che Giovanni sia ancora in vita; è
importante per capire l’azione della chiesa romana, che, malgrado l’apostolo sia ancora in vita,
risponde ad una crisi in Grecia.
Attestata nella lettera di Dionigi di Corinto a Papa Sotero (166-175)
Circa 96 AD
Autore ( Clemente)
Chi era? (Un ipotesi è che sia il collaboratore di Paolo)
* secondo Ireneo, il terzo successore di Pietro
* collaboratore di Paolo? Filippesi 4:3: “E prego te pure, mio fedele collaboratore, di
aiutarle, poiché hanno combattuto per il vangelo insieme
con me, con Clemente e con gli altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della
vita.”
* qualche legame con il console Flavio Clemente, cugino di Domiziano?
* il portavoce autorevole e autorizzato del consiglio presbiterale di Roma
Un’analisi scientifica ci mostra che è un testo scritto da un singolo autore di discendenza giudaica:
cita molto l’AT (e meno i testi che diverranno il NT, solo due volte brani dai Vangeli). L’autore
parla in nome della comunità romana.
Indirizzo e saluto della Lettera (di San Clemente Romano) ai Corinti:
“La Chiesa di Dio che dimora in Roma, alla Chiesa di Dio che dimora in Corinto, ai
chiamati e santificati nella volontà di Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo. Grazia
a voi e pace in abbondanza dall‘onnipotente Dio per mezzo di Gesù Cristo” (I Clemente).
Il saluto somiglia ai saluti paolini. Nell’antichità è stata attribuita unanimemente a Clemente anche
se in essa non si trova il suo nome. Chi era Clemente? Secondo Ireneo (seconda metà del II secolo),
era (?).
“Dunque, dopo aver fondato ed edificato la Chiesa, i beati apostoli affidarono a Lino il servizio
dell‘episcopato; di questo Lino Paolo fa menzione nelle lettere a Timoteo. A lui succede Anacleto. Dopo di lui,
al terzo posto a partire dagli apostoli, riceve in sorte l‘episcopato Clemente , il quale aveva visto gli apostoli
stessi e si era incontrato con loro ed aveva ancora nelle orecchie la loro predicazione e davanti agli occhi la
loro Tradizione. E non era il solo. Perché allora restavano ancora molti che erano stati ammaestrati dagli
apostoli. Dunque, sotto questo Clemente, essendo sorto un contrasto non piccolo tra i fratelli di Corinto, la
Chiesa di Roma inviò ai Corinzi una importantissima lettera per riconciliarli nella pace, rinnovare la loro
fede e annunciare la Tradizione che aveva appena ricevuto dagli apostoli: un solo Dio onnipotente [è un
esempio di regula fidei: suona già come il simbolo, ma non aveva ancora una formulazione fissa], creatore
del cielo e della terra e plasmatore dell‘uomo, il quale ha fatto venire il diluvio, ha chiamato Abramo, ha fatto
uscire il popolo dalla terra d‘Egitto, ha conversato con Mosè, ha stabilito la Legge e inviato i profeti ed ha
preparato il fuoco per il diavolo e i suoi angeli. Che questo Dio è annunciato dalla Chiesa come Padre del
nostro Signore Gesù Cristo, chi vuole lo può apprendere da questo stesso scritto, come pure può conoscere la
Tradizione apostolica della Chiesa, essendo quella lettera più antica di coloro che ora inegnano falsamente e
immaginano un altro Dio al di sopra del Demiurgo e Creatore di tutto ciò che esiste. A questo Clemente
succede Evaristo....” (Adversus Haereses 3.3.3).
Eusebio di Cesarea sostiene che Clemente era il collaboratore di Paolo che si trova in Fil 4,3:
“Il dodicesimo anno dello stesso principato [cioè, di Domiziano], ad Anacleto, vescovo della Chiesa di Roma
per dodici anni, succedette Clemente, che l‘apostolo Paolo, nella lettera ai Filippesi, dichiara di aver avuto
come collaboratore, dicendo: ―Insieme con Clemente e gli altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro
della vita” (Storia Ecclesiastica 3.15).
Un’altra ipotesi lo vede come console Flavio clemente, cugino dell’imperatore Domiziano e
condannato alla morte per ateismo (si sarebbe rifiutato di dare culto agli dei del Pantheon romano e
in particolare l’imperatore stesso); questo membro della famiglia imperiale, sarebbe stato dunque un
cristiano (i cristiani del I secolo, infatti, erano accusati di ateismo). Anche il pastore di Erma,
documento romano del II secolo, parla di un Clemente che ha l’incarico di corrispondere con le
altre chiese (una sorta di ministro degli esteri):
“Scriverai pertanto due libretti e ne manderai uno a Clemente e uno a Grapte. Clemente poi
lo manderà alle città straniere, poiché ciò è commesso a lui; Grapte invece ammonirà le
vedove e gli orfani. Tu infine lo leggerai a questa città insieme coi presbiteri preposti alla
Chiesa” (Il Pastore di Erma Vis 2.4.3).
Entriamo qui nelle discussione sulla presenta o meno del mono-episcopato a Roma: gli studiosi
dicono che il mono-episcopato si è sviluppato più rapidamente in oriente che in occidente e non era
presente ancora in quel secolo. c’erano di certo riunioni (concilii direttivi) di vescovi e presbiteri
(non distinti). In questi, Clemente si sarebbe distinto tra gli altri come portavoce della comunità
romana. Bosio e altri concludono che si deve concludere che si rivendica come portavoce dello
Spirito Santo. ma la domanda, allora è come mai Eusebio ci riporta, già nel II secolo, un’elenco così
preciso di vescovo? Clemente si distingueva nel concilio e rappresentava il concilio; ciò non vuol
dire che non possiamo dire di più, ma con la documentazione storica che abbiamo (quella
presentata), non si può dire di più con certezza. La tradizione della Chiesa parla comunque di lui
come papa.
Vari punti sul contenuto e sul significato della Lettera di Clemente
Testimonianza alla presenza di Pietro e Paolo a Roma.
“Ma lasciando gli esempi antichi, veniamo agli atleti vicinissimi a noi. Prendiamo i nobili esempi della nostra
generazione. Per gelosia e invidia (le persone che erano) le più giuste colonne furono perseguitate e lottarono
sino alla morte. Mettiamoci dinanzi agli occhi i buoni Apostoli. Pietro, che per un‘ingiusta gelosia sopportò
non una o due, ma molte sofferenze e così, resa testimonianza, raggiunse il posto a lui dovuto della gloria. Per
gelosia e discordia Paolo mostrò (come si consegua) il premio della pazienza. Sette volte caricato di catene,
esiliato, lapidato, fattosi araldo in Oriente e in Occidente, ottenne l‘eccellente fama della sua fede. Dopo aver
insegnato la giustizia a tutto il mondo, giunto i confini dell‘Occidente [Paolo sarebbe dunque arrivato in
Spagna, come ha espresso desiderio di fare], resa testimonianza dinanzi ai governanti, lasciò così il mondo e
raggiunse il luogo santo, divenendo un grandissimo modello di pazienza” (I Clemente 5.1-7).
È una testimonianza antichissima e molto importante. La chiesa romana stabilisce il suo primato
sulle due colonne. La lettera risale al 96 circa: se il martirio sarebbe avvenuto nel 60 circa, non c’è
motivo di dubitare della validità del documento a soli 30 anni di distanza.
L‘ordine e l‘armonia del cosmo come preludio dell’ordine della e nella Chiesa.
Il motivo della lettera era ristabilire l’ordine nella Chiesa di Corinto, cfr. Clemente 3,5). Che è
anche l’ordine nella liturgia (risposta allo scisma); è una preoccupazione intra-ecclesiale, non si
preoccupa dei giudei, dei pagani o degli eretici.
“1. Sono per noi evidenti queste cose e siamo scesi nelle profondità della conoscenza divina. Dobbiamo fare
con ordine tutto quello che il Signore ci comanda di compiere nei tempi fissati. 2. Egli ci prescrisse di fare le
offerte e le liturgie, e non a caso o senz'ordine, ma in circostanze ed ore stabilite. 3. Egli stesso con la sua
sovrana volontà determina dove e da chi vuole siano compiute, perché ogni cosa fatta santamente con la sua
santa approvazione sia gradita alla sua volontà. 4. Coloro che fanno le loro offerte nei tempi fissati sono
graditi e amati. Seguono le leggi del Signore e non errano. 5. A1 gran sacerdote sono conferiti particolari
uffici liturgici, ai sacerdoti è stato assegnato un incarico specifico e ai leviti incombono propri servizi. I1 laico
è legato ai precetti laici [ è la prima volta nella letteratura cristiana che si incontra la parola «laico» per quanto concerne l’ordine nella liturgia; qui, comunque, l’enfasi è sul fatto che tutti sono battezzati ] ” (I Clemente 40.1-5).
La successione apostolica
La successione inizia da Dio stesso, che ha mandato Cristo; Egli, a sua volta ha mandato gli
apostoli, e questi i vescovi che hanno stabilito i loro successori.
“Gli apostoli furono mandati a predicare il Vangelo dal Signore Gesù Cristo. Gesù Cristo fu mandato da Dio.
Il Cristo dunque viene da Dio e gli Apostoli da Cristo: ambedue le cose procedettero ordinatamente dalla
volontà di Dio. Ricevuto quindi il mandato e resi sicuri dalla risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo,
fiduciosi nella parola di Dio, con l‘assicurazione dello Spirito Santo, andarono ad annunziare la buona
novella che il regno di Dio stava per venire. Predicando per la campagna e per le città, essi costituivano le
loro primizie, provandole per mezzo dello spirito, per farne vescovi e diaconi dei futuri credenti. E questo non
era una novità, poiché da gran tempo la Scrittura parlava dei vescovi e dei diaconi. Così infatti dice la
Scrittura in un luogo: Stabilirò i loro vescovi nella giustizia e i loro diaconi nella fede (Isa. 60,7) ‖ (I
Clemente 42.1-5).
Non solo i vescovi, ma anche altri.
«Anche i nostri Apostoli conoscevano per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo che vi sarebbe stata contesa a
proposito della dignità episcopale. Per questo motivo, prevedendo perfettamente l‘avvenire, istituirono coloro
di cui sopra abbiamo parlato e poi diedero ordine che quando costoro fossero morti, altri uomini provati
succedessero nel loro ministero. Quelli dunque che furono da essi (= Apostoli) stabiliti, oppure, in seguito da
altri esimi uomini con l‘approvazione di tutta la Chiesa, che avevano servito in modo irreprensibile il gregge
di Cristo con umiltà, con calma e con gentilezza, e che hanno ottenuto (buona) testimonianza da tutti per
molto tempo, noi riteniamo che non sia giusto scacciarli dal loro ministero. Poiché sarebbe una colpa non
lieve per noi se rimuovessimo dall‘episcopato quelli che hanno offerto le oblazioni in modo irreprensibile e
santo. Beati i presbiteri che ci precedettero nel cammino e che ebbero una fine fruttousa e perfetta! Essi non
temono più che qualcuno li destituisca dal posto loro assegnato. Vediamo infatti che avete rimosso alcuni, che
si comportavano virtuosamente, dal ministero che essi esercitavano con onore e in modo irreprensibile ‖ (I
Clemente 44.1-6).
L‘intervento di Roma: testimonianza al primato?
Roma, informata di ciò che succede a Corinto. Sembra che non sia stata sollecitata dai Corinti per
intervenire nei loro affari; sembra dunque che sia la stessa Roma tenuta ad intervenire, si sente
coinvolta. Si vede la sua sollecitudine per le altre chiese: forse Roma aveva già un senso di carità
per tutta la chiesa. questa sollecitudine si può interpretare in due modi:
• Semplicemente come solidarietà fraterna (interpretazione protestante), che si trova tra tutte
le chiese; ad esempio, nell’espressione di Ignazio («Roma che presiede in Carità») è
interpretata dai protestanti in modo stretta è che Roma era sempre generosa con i soldi.
• Vedere il primato in senso un giuridico già articolato.
Si può dire che c’è una epifania iniziale del primato romano nella Chiesa: come affermano alcuni
studiosi c’è qui una dimostrazione della preminenza di Roma, che prende in mano la situazione di
Corinto. È chiaro che non siamo di fronte ad una distinzione articolata, come la avremo in Leone
Magno. Ma parlare di uno sviluppo dottrinale nella vita ecclesiale non nega che già in forma
seminale è presente il primato che si andrà esplicitando. In questi documenti, in ogni caso, non si
può dire che non si veda il primato in embrione. Di certo c’è un motivo storico: Roma era la
capitale dell’impero, e più facilmente arrivavano le notizie. Ma Leone Magno, quando rifiuta il
canone XXVIII del concilio di Calcedonia (in cui Costantinopoli si mette al II posto dopo Roma,
lasciando dietro Antiochia ed Alessandria) 4, dice che il primato di Roma non si basa
sull’importanza politica nell’essere capitale dell’impero: se così fosse, Costantinopoli sarebbe
autorizzata a mettersi sopra ora, perché è la capitale. Il suo primato, invece, si poggia sulle due
colonne che ha Roma hanno versato il loro sangue, Pietro e Paolo. C’è uno sviluppo teologico in
proposito, ma il Ministero Petrino in sé è un dato rivelato (fa parte del depositum fidei): viene da
Cristo stesso.
Pietro a Roma
Roma sarebbe stata evangelizzata tra il 43 e il 49. Chi l’avrebbe evangelizzata? La tradizione vuole
che sarebbe stato lo stesso Pietro, ma partiamo dagli atti (cfr. Atti, 12,17).
“Egli [Pietro], allora, fatto segno con la mano di tacere, narrò come il Signore lo aveva
tratto fuori del carcere, e aggiunse: ‗Riferite questo a Giacomo e ai fratelli.‘ Poi uscì e
s‘incamminò verso un altro luogo”.
Pietro non lo si vede per sei anni: ri-appare nel 49. In un documento del IV secolo, Eusebio parla di
Pietro a Roma nel 44, all’inizio del regno di Claudio (10 a.C. – 13 ottobre 54 d.C., ucciso da
Agrippina, madre di Nerone). Svetonio dice che Claudio espulse dei giudei nell’anno 50.
Suentonis, Le vite di dodici Cesari, V.25.
Le tre chiese (Roma, Alessandria ed Antiochia) sono tutte e tre chiese Petrine: se Pietro ha concluso il
ministero a Roma, Alessandria fu fondata da Marco, suo discepolo; Pietro stesso, secondo la tradizione
aveva fondato Antiochia.
4
«I Giudei per le istigazioni di Cristo continuamente tumultuanti [l‘Imperatore Claudio]
espulse da Roma.‖ [Iudaeos impulsore Chresto assidue tumultuantis Roma expulit.]
I giudei che abitavano allora in Trastevere, si dividevano su un certo Crestus, che potrebbe essere
anche un nome romano; potrebbe anche essere la parola ebrea cristo, che Svetonio sente come
Crestus. L’evangelizzazione, dunque, sarebbe già arrivata a Roma, e avrebbe provocato divisioni tra
i giudei.
Nell’anno 57 Paolo scrive già alla comunità giudaica di Roma (non è ancora arrivato a Roma), che
ha già conosciuto nel 51 attraverso degli elementi espulsi da Roma (Aquila e Priscilla): Roma è già
stata evangelizzata.
Eusebio di Cesarea, nella sua Storia della Chiesa, ci offre una testimonianza della presenza di Pietro
a Roma. Essendo del IV secolo, non si può dire che ci dia la certezza assoluta della presenza di
Pietro in quegli anni a Roma (proprio in quelli in cui Roma è stata evangelizzata …), ma è
comunque una testimonianza. Eusebio descrive lo scontro tra Pietro e Simone Mago: Simone era
venuto a Roma e Pietro lo aveva seguito. Dalla storia scritta da Eusebio leggiamo alcuni brani.
Capitolo Quattordicesimo (Predicazione dell’apostolo Pietro a Roma)
[1] Di questi malanni Simone era il padre e l‘autore; e il potere malvagio, che odia ciò che è buono e congiura
contro la salvezza degli uomini, lo innalzò in quel tempo come un grande antagonista dei grandi e ispirati
apostoli del nostro Salvatore. [2] Tuttavia, la grazie di Dio che viene dal cielo aiutò i suoi ministri e subito
estinse le fiamme del male con il loro arrivo e la loro presenza, e per mezzo loro umiliò e abbassò ―ogni
altezza che s‘innalza sopra la conoscenza di Dio” (2 Cor 10, 5). [3] Perciò nessuna congiura, sia di Simone, che
di ogni altro di coloro che erano sorti in quel tempo, riuscì in quei tempi apostolici, perché la luce della verità e
il Verbo divino stesso, che aveva brillato da Dio sopra gli uomini, crescendo sulla terra e abitando fra gli stessi
apostoli, aveva stravinto e superato ogni cosa.
[4] Il suddetto mago, come se gli occhi della sua mente fossero stati colpiti dal meraviglioso fulgore di Dio
quando era stato scoperto nei suoi crimini in Giudea dall‘apostolo Pietro (cf At 8, 18-23), subito aveva
intrapreso un grande viaggio sul mare, ed era andato in fuga da oriente a occidente, perché solo in questo modo
poteva vivere come voleva. [5] Finalmente arrivato alla città di Roma, e là tanto avendo lavorato con lui il
potere che lo dominava, in poco tempo ottenne tale successo, che gli uomini di quella città lo onorarono come
un dio con l‘erezione di una statua. [6] Ma egli non prosperò a lungo. Subito infatti nello stesso periodo
dell‘impero di Claudio, la provvidenza di Dio benignissima e clementissima verso tutti condusse Pietro, il più
forte e il più grande tra gli apostoli, contro quella iattura e peste della vita. Pietro, come un valoroso capo della
milizia di Dio, munito di armi divine (cf Ef 6, 14-17; 1 Ts 5, 8), portò quella preziosa mercanzia di luce
spirituale dall‘oriente a coloro che abitavano in occidente, la luce stessa e la Parola che salva le anime ( cf Gv 1,
9), proclamando l‘annuncio del regno dei cieli.
I cristiani che avevano ascoltato Pietro chiesero a Marco di scrivere il vangelo, per ricordare
l’annuncio di Pietro.
Capitolo Quindicesimo (Il vangelo secondo Marco)
[1] Avendo dunque la Parola divina posto la sua dimora presso di essi, la forza di Simone con lui stesso si
estinse e immediatamente fu distrutta. Tale luce della religione risplendette nelle menti di coloro che avevano
udito Pietro, che ritenevano poco aver udito una sola volta, né erano contenti di aver ricevuto a viva voce la
dottrina dell‘annuncio divino, non consegnata ad alcuno scritto. Ma pregarono istantemente Marco, del quale
anche oggi rimane il Vangelo, vedendo che era seguace di Pietro, di lasciare qualche ricordo scritto
dell‘insegnamento dato loro verbalmente.
3. LA DIDACHE
1. Dottrina dei dodici Apostoli:
∆ιδαχη του κυριου δια των δωδεκα αποστολων τοις εθνεσιν
È un documento Siriaco che risale tra il 50 – 150AD; probabilmente dagli ultimi decenni del primo
secolo. Aveva una grande importanza nella chiesa antica, che le riconosceva una grande autorità,
ma non ne abbiamo avuto tracce fino al 1873, quando a Costantinopoli, fu riscoperta da Philoteos
Bryennios.
LE DUE VIE
I. 1. Due sono le vie, una della vita e una della morte, e la differenza è grande fra queste due vie. 2. Ora
questa è la via della vita: innanzi tutto amerai Dio che ti ha creato, poi il tuo prossimo come te stesso; e tutto
quello che non vorresti fosse fatto a te, anche tu non farlo agli altri. 3. Ecco pertanto l'insegnamento che
deriva da queste parole: benedite coloro che vi maledicono e pregate per i vostri nemici; digiunate per quelli
che vi perseguitano; perché qual merito avete se amate quelli che vi amano? Forse che gli stessi gentili non
fanno altrettanto? Voi invece amate quelli che vi odiano e non avrete nemici. 4. Astieniti dai desideri della
carne. Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l'altra e sarai perfetto; se uno ti
costringe ad accompagnarlo per un miglio, tu prosegui con lui per due. Se uno porta via il tuo mantello, dagli
anche la tunica. Se uno ti prende ciò che è tuo, non ridomandarlo, perché non ne hai la facoltà. 5. A chiunque
ti chiede, da' senza pretendere la restituzione, perché il Padre vuole che tutti siano fatti partecipi dei suoi
doni. Beato colui che dà secondo il comandamento, perché è irreprensibile. Stia in guardia colui che riceve,
perché se uno riceve per bisogno sarà senza colpa, ma se non ha bisogno dovrà rendere conto del motivo e
dello scopo per cui ha ricevuto. Trattenuto in carcere, dovrà rispondere delle proprie azioni e non sarà
liberato di lì fino a quando non avrà restituito fino all'ultimo centesimo. 6. E a questo riguardo è pure stato
detto: "Si bagni di sudore l'elemosina nelle tue mani, finché tu sappia a chi la devi fare".
Sant’Atanasio ci dice che era usata per l’istruzione dei cristiani. Si parla delle due vie, quella della
vita e quella della morte. Ci ricordano, tra le altre cose la lotta descritta dalle comunità di Qumran
tra i figli della luce e i figli delle tenebre. È un’immagine che dal giudaismo è passato al
cristianesimo attraverso la Didakè e la lettera di Barnaba ed è rimasto un tema centrale della
spiritualità cristiana.
Nonostante sia solo dell’anno 50, si trova già la prima testimonianza di condanna dell’aborto e
dell’infanticidio.
II. 1. Secondo precetto della dottrina: 2. Non ucciderai, non commetterai adulterio, non corromperai fanciulli,
non fornicherai, non ruberai, non praticherai la magia, non userai veleni, non farai morire il figlio per aborto
né lo ucciderai appena nato; non desidererai le cose del tuo prossimo. 3. Non sarai spergiuro, non dirai falsa
testimonianza, non sarai maldicente, non serberai rancore. 4. Non avrai doppiezza né di pensieri né di parole,
perché la doppiezza nel parlare è un'insidia di morte. 5. La tua parola non sarà menzognera né vana, ma
confermata dall'azione. 6. Non sarai avaro, né rapace, né ipocrita, né maligno, né superbo; non mediterai
cattivi propositi contro il tuo prossimo. 7. Non odierai alcun uomo, ma riprenderai gli uni; per altri, invece,
pregherai; altri li amerai più dell'anima tua.
V. 1. La via della morte invece è questa: prima di tutto essa è maligna e piena di maledizione: omicidi,
adultèri, concupiscenze, fornicazioni, furti, idolatrie, sortilegi, venefici, rapine, false testimonianze, ipocrisie,
doppiezza di cuore, frode, superbia, malizia, arroganza, avarizia, turpiloquio, invidia, insolenza, orgoglio,
ostentazione, spavalderia. 2. Persecutori dei buoni, odiatori della verità, amanti della menzogna, che non
conoscono la ricompensa della giustizia, che non si attengono al bene né alla giusta causa, che sono vigilanti
non per il bene ma per il male; dai quali è lontana la mansuetudine e la pazienza, che amano la vanità, che
vanno a caccia della ricompensa, non hanno pietà del povero, non soffrono con chi soffre, non riconoscono il
loro creatore, uccisori dei figli, che sopprimono con l'aborto una creatura di Dio, respingono il bisognoso,
opprimono i miseri, avvocati dei ricchi, giudici ingiusti dei poveri, pieni di ogni peccato. Guardatevi, o figli,
da tutte queste colpe.
C’è già una prima testimonianza sul battesimo che non si faceva solo nel fiume e si faceva anche
per infusione.
La gerarchia stabile.
Onorare i vescovi con lo stesso onore che riservate ai profeti che passano: la realtà carismatica si
istituzionalizza nella chiesa. il vero profeta, secondo la Didakè è un profeta itinerante, che si
trattiene nella comunità solo un giorno o due, e ha il diritto del mantenimento. Se uno rimane per tre
giorni è un falso profeta (dopo tre giorni puzza).
“Eleggetevi dunque [cioè per la celebrazione eucaristica, della quale ha parlato nel capitolo precedente]
vescovi e diaconi degni del Signore, uomini mansueti, non bramosi di denaro, veritieri e provati; poiché
anch‘essi esercitano per voi il ministero dei profeti e dei dottori. Perciò non disprezzateli; essi infatti, insieme
ai profeti e ai dottori, sono gli uomini onorati tra voi” (Didaché 15.1-2).
La chiesa si radica nella comunità e si stabilisce una gerarchia che va onorata. È il passaggio da un
carisma iniziale che si cristallizza in un istituzione; è ciò che è avvenuto in ogni carisma (vedi san
Francesco, che è stato costretto a scrivere una regola, accettando, come conseguenza, libri, case,
come si conciliano con la povertà?) con tutta la tensione del caso.
Ecclesiologia Eucaristica: La Cattolicità.
Solo i battezzati possono ricevere l’eucaristia. È una testimonianza antichissima di questa norma.
Oggi, in ambienti protestanti, si parla di ospitalità eucaristica e si invitano tutti a ricevere la
comunione. Anche nella quaresima, non si parlava esplicitamente dell’eucaristia; lo si iniziava a
fare solo dopo la pasqua in cui erano battezzati: si faceva allora una mistagogia. Troviamo anche
un’immagine eucaristica della chiesa, della sua cattolicità e della sua unità.
“Come questo pane spezzato era prima sparso qua e là, su per i colli e, raccolto, divenne
una cosa sola, così si raccolga la tua Chiesa dai confini della terra nel tuo regno; poiché
tua è la gloria e la potenza, per Gesù Cristo nei secoli!” (Didaché 9.4)
Sull’ellenizzazione, da leggere FR 72 e discorso a Ratisbona di Benedetto XVI. Non è stato un
problema; anzi. La fede biblica andava interiormente incontro alla parte migliore del pensiero
greco. La stessa LXX fa parte della storia della rivelazione (gli ebrei hanno la leggenda della sua
ispirazione). La fede biblica e la parte migliore del pensiero greco si sono incontrate e si sono
trovate. È stata un inculturazione fondamentale per noi. Newman dice che sbaglia chi vuole dividere
la pura rivelazione e la pura cultura ellenistica(?): vivono nella stessa cultura, parlano la stessa
lingua.
2. Insegnamento della comunità nei riguardi:
• della morale (capitoli 1 - 6)
• della liturgia (capitoli 7 - 10)
• del rapporto con profeti itineranti e con cristiani viandanti (capitoli 11 - 13)
• della vita comunitaria (capitoli 14 - 15)
• dell‘escatologia (capitoli 16)
4. LA LETTERA DI BARNABA
Da attribuire alle lettere apocrife. È uno scritto pseudo-epigrafo. Porta il nome di un apostolo, ma
no è stato scritto da lui. Già da Clemente alessandrino viene ricondotta a Barnaba, compagno di
Paolo. La lettera stessa parla di un gentile convertito; eppure Barnaba era giudeo.
• La data: 130 – 132 AD prima della rivolta Bar-Kokba.
• Provenienza è dubbia Egitto (Alessandrina) o Asia Minore, Siria, la Palestina.
• Uno scritto pseudo-epigrafico (uno di quelli posti sotto il nome di un Apostolo)
• Spesso incluso fra i libri canonici del NT nella Chiesa antica.
Le due vie, della luce e del Nero
Si trova di nuovo questo tema tipicamente giudaico (Η ουν οδος του φωτος. Η δε του µελανος οδος). di nuovo si
trova la testimonianza contro l’aborto. Si parla di tutto l’AT come profezia di Cristo e di condotta di vita cristiana. Si
deve intendere il documento come un dibattito tra cugini (non è ancora arrivato Marcione). Il documento sostiene che i
giudei hanno perso l’alleanza che Dio ha fatto con loro, e si sono rivolti all’idolatria. Se c’è continuità, c’è anche una
discontinuità radicale. Si deve sempre analizzare sempre secondo questi due principi. La lettera dice che
l’interpretazione letterale dell’AT è un malinteso. Solo i cristiani lo capiscono, perché lo leggono con un interpretazione
spirituale. I giudei, non accettando Cristo, non capiscono le proprie profezie, e quindi non capiscono la Scrittura. ci sono
delle tipologie di questo: i gemelli di Rebecca che lottano nel grembo, i figli di Giacobbe. Barnaba fa notare che la
benedizione va sempre al fratello minore.
La perfetta conoscenza.5
Noi crediamo, ma dovremmo capire ciò che crediamo. È la gnosi, la giusta conoscenza che
dovremmo avere per capire come le scritture ci parlano di Cristo. Cristo è prefigurato nel capro
mandato nel deserto per espiare tutti i peccati del popolo. Il nuovo tempio è il nostro cuore, in cui
Dio dimora. I nostri peccati sono perdonati per il sacrificio dell’agnello di Dio sulla croce.
Non si tratta di anti-semintismo: è ancora un dibattito in famiglia sul valore dell’AT nei confronti al
nuovo; un dibattito sulla fede, non sulla razza. C’è una nuova alleanza, le due alleanze sono distinte.
6
L’esortazione finale: una chiamata a capire ciò che è stato rivelato.
“Iddio, che domina tutto l‘universo, dia a voi sapienza, intelligenza, scienza, conoscenza delle sue disposizioni
e perseveranza. 6. Siate docili scolari di Dio, ricercando che cosa richiede da voi il Signore e fate in modo
d‘esser trovati (preparati) nel giorno del giudizio” (Epistola di Barnaba 21.5).
Le due vie (capitolo 18).
Basta così. Passiamo ad un'altra conoscenza e dottrina. Due sono le vie dell'insegnamento e della libertà;
quella della luce e quella delle tenebre. Grande è la differenza tra queste due vie. Per l'una sono disposti gli
angeli di Dio apportatori di luce, per l'altra gli angeli di Satana. L'uno è il Signore dei secoli nei secoli, l'altro
è principe di questo tempo di iniquità.
La via della luce (capitolo 19)
Questa, pertanto, è la via della luce. Se qualcuno vuole pervenire ad un luogo determinato non risparmi le sue
fatiche. Questa è l'indicazione dataci per camminare su tale via. Amerai chi ti ha creato, temerai chi ti ha
plasmato, glorificherai chi ti ha liberato dalla morte. Sarai semplice di cuore e ricco di spirito e non ti unirai
a coloro che camminano sulla strada della morte. Odierai tutto ciò che non piace a Dio ed ogni ipocrisia e
non abbandonerai i precetti del Signore. Non ti vanterai, sarai, invece, umile in tutto senza cercare gloria per
te. Non adotterai un malvagio proposito contro il tuo prossimo e non darai arroganza alla tua anima. Non
fornicherai, non sarai adultero né corromperai i fanciulli. Non esca da te la parola di Dio frequentando i
depravati. Non considerare la persona nel riprendere qualcuno per la caduta. Sarai mansueto, tranquillo e
temerai le parole che hai ascoltato. Non avrai rancore contro tuo fratello. Non dubitare se avverrà o non
avverrà l'una o l'altra cosa. Non pronunzierai il nome del Signore. Amerai il prossimo tuo più della tua anima.
Non ucciderai il bambino con l'aborto e non lo farai morire appena nato. Non allontanare la mano da tuo
figlio e da tua figlia, ma dall'infanzia insegnerai loro il timore di Dio. Non essere desideroso dei beni del tuo
prossimo, né essere avaro. Non ti legare nell'anima ai superbi, ma frequenterai gli umili e i giusti. Accetta gli
avvenimenti che ti capitano come un bene, sapendo che nulla avviene senza Dio. Non sarai doppio nel
pensiero e nella parola; laccio di morte è la doppiezza della parola. Sii sottomesso ai padroni come ad
immagine di Dio con rispetto e timore. Non comanderai con asprezza al tuo servo e alla tua serva che sperano
nello stesso Dio, perché non abbiano a perdere il timore di Dio che è sugli uni e sugli altri. Egli non venne a
chiamare secondo la persona, ma quelli che lo Spirito ebbe a preparare. Renderaicomune ogni cosa col tuo
prossimo e non dirai che è tua. Se avete in comune ciò che è incorruttibile, quanto più quello che è
corruttibile. Non essere loquace, laccio di morte è la bocca. Per quanto potrai, sarai casto per la tua anima.
Non avere le mani larghe nel prendere, e strette nel dare. Amerai come la pupilla del tuo occhio chi ti dice la
parola di Dio. Giorno e notte ti ricorderai del giudizio. Cercherai sempre di affaticarti con la predicazione
andando ad esortare e preoccupandoti di salvare l'anima con la parola, o di lavorare con le mani per espiare
le tue colpe. Non esitare nel concedere e non brontolare nel dare e conoscerai chi è il tuo buon rimuneratore.
Custodirai ciò che hai ricevuto senza aggiungere e senza togliere. Odierai il male sino alla fine. Giudicherai
con giustizia. Non creare divisioni, cerca, invece, la pace riconciliando i contendenti. Confesserai i tuoi
peccati e non ti recherai alla preghiera con coscienza agitata.
La via delle tenebre (capitolo 20)
La via del nero è tortuosa e piena di maledizioni. E' la via della morte eterna nel castigo, in cui si hanno le cose
che rovinano l'anima: idolatria, arroganza, superbia di potere, ipocrisia, doppiezza di cuore, adulterio,
omicidio, rapina, disprezzo, trasgressione, inganno, malizia, alterigia, veneficio, magia, avarizia, mancanza di
5
“Avendo pensato dunque che, se avrò cura di farvi parte di ciò che ho ricevuto, l‘aver prestato il servizio a tali spiriti
mi sarà di ricompensa, mi sono fatto premura di mandarvi questo breve scritto, affinché oltre alla vostra fede abbiate
anche perfetta la conoscenza” (Epistola di Barnaba 1.5).
6
Un libro completo sul tema è Catholic Engagement with world religions. Ci sono due capitoli di carola: Non cristiani
nella teologia patristica; I temi patristici riguardo i non cristiani nel Concilio Vaticano II. Nel primo presenta la
distinzione cristiani e greci, come si faceva nell’antichità: gli uni tra l’antica promessa e Gesù Cristo, gli altri tra la
filosofia e il culto pagano.
timore di Dio. coloro che vessano i buoni, odiano la verità, amano la menzogna, non riconoscono il guadagno
della giustizia, non aderiscono al bene né al giudizio giusto, non si curano della vedova e dell'orfano, non
vegliano per il timore di Dio, ma per il male, e da essi sono assai lontano la mansuetudine e la pazienza, amano
la vanità e si procacciano la ricompensa. Sono crudeli verso il povero, indolenti verso il sofferente, facili alla
maldicenza, ingrati verso il loro creatore, uccisori dei figli, distruttori del plasma creato da Dio, incuranti del
bisogno, oppressori del tribolato, avvocati dei ricchi, giudici cattivi dei poveri, peccatori in tutto.
5. IL PASTORE DI ERMA
Si tratta di un’ “apocalisse apocrifa”; È il libro più apprezzato tra gli apocrifi, nell’antichità godeva
di una grandissima stima, come l’imitazione di Cristo nel medioevo.
Fu scritto a Roma tra 130 - 140 AD
Erma
(1) schiavo liberato e poi commerciante
(2) sposato con figli
(3) fratello di Papa Pio I ? (secondo il frammento muratoriano, che conteneva 22 dei 27 libri del
NT, lo attribuisce al fratello di papa Pio I, papa dal 145)
(forse una parte fu già scritta verso la fine del primo secolo; si trova un riferimento a Clemente,);
secondo Quasten Erma era un uomo di fede, che rimase fermo durante la persecuzione durante cui
fu scritto. Durante questa persecuzione i figli stessi di Erma apostatarono e tradirono i genitori.
Furono molti ad apostatare: probabilmente c’era una certa comodità tra i cristiani, molti di essi nati
cristiani, e forse tiepidi. Ciò anche in mezzo al clero, tra diaconi e presbiteri. Si parla di questa
possibilità anche negli Atti degli apostoli: quando il capo della casa (pater familias) si convertiva,
tutti si convertivano nella casa (anche la figlia del portiere). Anche per questo nella persecuzione ci
furono molti apostati.
Contenuto
Si descrivono due rivelazioni provenienti da due Figure Celesti:
(1) Una donna vecchia (l‘incarnazione simbolica della Chiesa) che esorta alla penitenza
(2) Un angelo in forma di pastore – da cui il nome dell’opera – che è il patrono e direttore della
missione penitenziale.
Il libro, quindi, si presenta come un vasto esame un vasto esame di coscienza della chiesa romana
La penitenza
Uno dei punti più importanti è il discorso sulla seconda Penitenza (dopo il Battesimo). Al tempo,
infatti, il Battesimo era ricevuto solo dopo un lungo cammino penitenziale di conversione. Ma se il
catecumeno, ricevuto il battesimo cadeva in peccati gravi (adulterio, omicidio, grande furto o
apostasia) poteva avere una seconda possibilità? Questa nuova penitenza non è un secondo
battesimo (che si riceve una sola volta); e come il battesimo, anche la penitenza è unica. Quella
nuova, dunque, è solo un eco di quella battesimale:
Il Pastore di Erma, “La Penitenza Seconda”:
“Ancora, dico, Signore, tornerò a interrogare”. “Parla”, dice. “Udii, dico, Signore, da alcuni maestri che
non c‘è altra penitenza, se non quella di quando discendemmo nell‘acqua e ricevemmo la remissione dei
nostri peccati passati”. Mi dice: “Bene udisti: così è infatti. Bisognerebbe che chi ha ricevuto la remissione
dei peccati non peccasse più, ma vivesse nell’innocenza. E poiché vuoi renderti conto esatto di ogni cosa,
anche questo ti manifesterò; ma non voglio dare pretesto (di peccare) a quelli che stanno per credere, o a
quelli che hanno creduto adesso nel Signore. Quelli che hanno abbracciato la fede ora, o la abbracceranno in
seguito, non hanno possibilità di fare penitenza dei loro peccati; essi hanno solo il perdono dei peccati
anteriori. Per quelli, dunque, chiamati prima di questi giorni, dispose il Signore la penitenza. Essendo infatti il
Signore conoscitore del cuore e prevedendo ogni cosa, conobbe la debolezza degli uomini e l‘astuzia del
diavolo, cioè che avrebbe fatto del male ai servi di Dio e avrebbe macchinato contro di essi. Essendo pertanto
il Signore assai misericordioso, s‘impietosì per la sua creatura e dispose questa penitenza e diede a me la
potestà di questa penitenza. “Però io, dice, dico a te: dopo la grande e santa chiamata, se alcuno, tentato dal
diavolo, pecca, ha una sola penitenza; se poi subito dopo pecca e fa penitenza è inutile per tal uomo, poiché
difficilmente vivrà. Gli dico: “Mi sono sentito rinascere nell‘udire da te tali cose tanto esattamente; ora so
che, se non tornerò ai miei peccati, sarò salvo. “Sarai salvo, dice, tu e quanti facciano queste cose ”, (Il
Pastore di Erma Precetto 4.3.1-7).
Ma il pentimento deve essere sincero.
Il bisogno di pentimento:
“Le pietre, che cadono nel fuoco e vi bruciano, sono quelli che si sono separati
definitivamente dal Dio vivente; e il pensiero di fare penitenza non è più entrato nel loro
cuore” (Pastore Vis. 3.7.2).
È interessante la grande comprensione per la realtà umana: espressione di un cristianesimo
equilibrato, lontano da una fede rigoristica.
(1) Carattere Universale: nessuna persona e nessun peccato sono esclusi
(2) L‘unico limite al perdono di Dio è il rifiuto del peccatore al pentimento.
(3) µετανοια
6. LA LETTERA A DIOGNETO
È una apologia greca, composta per un pagano di alto rango (Diogneto).
• Il periodo intorno al 200 oppure prima della controversia Marcionista intorno al 140
• Luogo d’origine probabilmente è Alessandria
• Autore sconosciuto, anche si ci sono molti punti in comune con Aristide, apologista che
utilizzava le opere di Ireneo e Ippolito, ma senza dipendenza diretta.
• Utilizza le opere di Ireneo e di Ippolito
Citiamo direttamente l’osservazione di J. Quasten: “L‘epistola merita di essere collocata tra gli
scritti più brillanti e più belli della letteratura cristiana greca. Lo scrittore è un maestro di
retorica. Il ritmo della sua frase è assai gradevole, e sottilmente equilibrato, lo stile limpido. Il
contenuto rivela un uomo di fede ardente, di conoscenze estese, uno spirito completamente
imbevuto dei princìpi del cristianesimo, che si esprime con vivacità e con calore”, (Quasten, p.
222).
Il paradosso della vita dei cristiani
“I cristiani non si distinguono dagli altri uomini, né per territorio, né per lingua, né per vestiti. Essi non
abitano città loro proprie, non usano un linguaggio particolare, né conducono uno speciale genere di vita. La
loro dottrina non è conquista di genio irrequieto d‘uomini indagatori; né professano, come fanno alcuni, un
sistema filosofico umano. Abitando in città greche o barbare, come a ciascuno è toccato in sorte, ed
adattandosi agli usi del paese nel vestito, nel cibo e in tutto il resto del vivere, danno esempio di una loro
forma di vita sociale meravigliosa, che, a confessione di tutti, ha dell‘incredibile. 7 Abitano la loro rispettiva
patria, ma come gente straniera; partecipano a tutti i doveri come cittadini, e sopportano tutti gli oneri come
stranieri.8 Ogni terra straniera è patria per loro, e ogni patria è terra straniera. Si sposano come tutti gli altri
e generano figli, ma non espongono i neonati. Hanno comune la mensa, ma non il letto. Vivono nella carne,
ma non secondo la carne. Passano la loro vita sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi
stabilite, ma con il loro tenore di vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti sono perseguitati. Non sono
conosciuti e sono condannati; si dà loro la morte, ed essi ne ricevono vita. Sono poveri e fanno ricchi molti;
sono privi di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nel disprezzo trovano gloria; si fa oltraggio alla
loro fama, e si aggiunge testimonianza alla loro innocenza. Insultati, benedicono; si insolentisce contro di
loro, ed essi trattano con riverenza. Fanno del bene. E sono puniti come dei malfattori; e puniti, godono, quasi
si dia loro vita. I Giudei fanno loro guerra come razza straniera e gli Elleni li perseguitano; ma coloro che li
odiano non sanno dire il motivo del loro odio”
7
Inculturazione dei cristiani: non sono una razza diversa, si integrano perfettamente dove vivono. La differenza è
radicale.
8
Nell’antichità i cristiani erano accusati di essere anti-sociali (si vede il riferimento in san Paolo: non mangiare le carni
sacrificate agli idoli). Nell’antichità era molto difficile, perché era pieno di tempietti, numerosissimi sacrifici e quindi
molta della carne in commercio era quella sacrificata agli idoli; per questo motivo non si poteva andare facilmente al
mercato, né a feste. Il macellaio, ovviamente, si arrabbiava spesso con i cristiani per questo motivo, perché non gli
compravano la carne. Lo stesso discorso valeva per teatri e altro.
(L’Epistola a Diogneto 5.1-17).
Sezione IV: Ignazio di Antiochia e le sue lettere
Pagano convertito. Secondo successore di Pietro sulla sede episcopale di Antiochia.
1. PERSONA ED OPERA
* secondo successore di Pietro ad Antiochia (a Pietro successe Evodio che fu seguito da Ignazio)
* ha scritto 7 lettere
* scritte da Smirne
(1) agli Efesi (vescovo = Onesimo)
(2) ai Magnesiaci (vescovo = Dama)
(3) ai Trallesi (vescovo = Polibio)
(4) ai Romani (non menziona nessun vescovo;9 i tre precedenti lo avevano visitato nel suo
soggiorno a Smirne, dove aveva incontrato Policarpo). Le guardie speciali imperiali che lo
accompagnavano erano cosa insolita per una persona come lui; una ipotesi propone che
forse era stato preso proprio come successore di Pietro a Roma. Di fatto non c’è alcuna
evidenza, e se lo avevano preso delle guardie speciali, si può spiegare con il fatto che era
una persona molto carismatica.
* scritte da Troade
5) ai Filadelfiesi (un vescovo, comunque nessun nome indicato)
6) agli Smirnesi (vescovo = Policarpo)
7) a Policarpo, vescovo di Smirne
2. TRE TEMI PRINCIPALI
(1) Mettere in guardia contro le dottrine eretiche
* Contro le tendenze giudaizzanti. Anche se lui è un pagano convertito, il suo non è un antigiudaismo, ma è contro la tendenza giudaizzante tra i cristiani. Ad esempio quella degli Ebioniti,
giudei-cristiani, negavano la divinità di Cristo e insistevano molto sulla sua umanità; o quella di
alcuni cristiani che insistevano sulla necessità della pratica di riti giudaici.
* Contro docetismo (δοκειν = sembrare). Per la sofferenza umana è incompatibile con
l’immutabilità divina. Gesù, essendo Dio, non ha potuto soffrire realmente. Ignazio insiste sulla
vera incarnazione, la vera passione, la vera risurrezione. Insiste sulla carne di Gesù Cristo: nella
morte, nella risurrezione e nell’eucaristia. Con lui si passa dal monoteismo al trinitarianismo.10
(2) Unità teologica ed ecclesiologica
* Monoepiscopato: I protestanti, quando furono scoperti le lettere dissero che non erano
autentiche perché credevano fosse impossibile che già alla fine del secondo secolo ci fosse
una gerarchia così ordinata: diaconi, vescovi e mono-episcopato. 11 L’inizio della chiesa
9
Forse perché in quel momento la sede romana era vacante.
Gerarchia celeste come modello per la gerarchia ecclesiale (come faceva san Clemente di fronte alle controversie
intra-ecclesiali): “E come il Signore non fa cosa alcuna né da sé stesso, né per mezzo degli apostoli, se non in unione
col Padre, così voi fate tutto d‘accordo col vescovo e coi preti” (Lettera ai Magnesiaci 7).
10
“Siate soggetti al vescovo e l‘un l‘altro fra voi, come Gesù Cristo, secondo la carne, è soggetto al Padre, e gli Apostoli a
Cristo, al Padre e allo Spirito, perché l‘unione fra voi esista all‘interno e all‘esterno” (Lettera ai Magnesiaci 13).
11
Gerarchia Ecclesiastica: “Vi esorto a compiere con premura tutto nella concordia di Dio e sotto l‘autorità del
vescovo, che sta al luogo di Dio, e dei preti, che stanno al luogo del senato apostolico, e dei diaconi, a me carissimi, che
antica tutta la chiesa si riuniva per la messa del vescovo. Quando, per motivi di numero, ciò
non è più possibile, comunque l’eucaristia è unica, le diverse celebrazioni sono tutte unite a
quella del vescovo. Nella sua diocesi il vescovo non può mai concelebrare (fuori si):
l’eucaristia è sempre la sua perché lui è il simbolo di unità. Il vescovo amministra il
battesimo, il matrimonio e l’eucaristia. Quando poi non è stato possibile che amministrasse
tutti i battesimi, il vescovo passava più tardi a confermare il battesimo (da cui la cresima). È
il vescovo che garantisce l’ortodossia della fede del suo popolo.
* η καθολικη εκκλησια (Lettera agli Smirnesi 8.2). 12
(3) Teologia e la brama del martirio.13
* La sequela di Cristo: “attraverso il martirio, arriverò ad essere vero discepolo”. Solo con la
testimonianza del sangue si ritiene vero discepolo.
* Connotazione eucaristica. Non solo si è discepoli con il sangue; con il martirio, diventa
immagine dell’eucaristia: frumento macinato di Cristo.14 Anche Policarpo di Smirne, che ricevette
questa lettera, morì martire; prima di essere bruciato pregò un anafora, la preghiera dell’offerta.
Quando la fiamma lo avvolse, divenne come pane nel forno e invece di mandare cattivo odore,
spandeva fragranza. Il martirio è associazione alla croce di Cristo. si vede qui l’importanza della sua
lotta contro i doceti: se Cristo non avesse veramente sofferto, perché dovrei farlo io? O se dovessi
soffrire più di lui, che valore ha? Il docetismo mina alla base tutto il valore del martirio e della
sofferenza. C’è la vera incarnazione di Cristo e l’eucaristia è il vero corpo; la mia auto donazione
nel martirio prende valore dall’eucaristia di Cristo. divento eucaristia offrendomi in Cristo e come
Cristo. Una teoria dice che quando lui esorta i romani a non opporsi al suo martirio a Roma, aveva
paura che i romani avessero fermato il suo martirio per non disturbare la pace della chiesa romana:
vedere un vescovo carismatico della chiesa orientale, preso e martirizzato a Roma è uno scandalo, e
rischia di aprire una via di persecuzioni anche per i cristiani di Roma. C’è il rischio di apostasia. Per
questo Ignazio insiste.
3. ROMA
Per Roma, Ignazio mostra un riguardo unico. Essa è lontana da ogni macchia (purezza di fede).
Questo saluto, innanzitutto proviene da uno scrittore non romano.
“che in Roma presiede”
(ητις και προκ⇐θηται εν τπω χωρ⇓ου Ρωµα⇓ων) letteralmente = “che presiede nel luogo della regione dei
Romani”. Prokathemai indica un autorità ecclesiastica, usata in Mag 12 per indicare la vigilanza del vescovo sulla
chiesa; la giurisdizione del vescovo sulla comunità in nome di Dio. nella letteratura non cristiana ha un accezione
semplicemente giuridica. Ignazio usa la parola in senso giuridico verso i magnesiaci.
Presiedere [προκα,θηµαι] come esercizio di sorveglianza: “Poiché nelle persone nominate sopra ho visto e
amato tutta la comunità vi prego di essere solleciti a compiere ogni cosa nella concordia di Dio e dei
presbiteri. Con la guida del vescovo al posto di Dio [προκαθηµενου του επισκοπου εις τοπον Θεου], e dei
sono investiti del ministero di Gesù Cristo, il quale, prima dei secoli, era già presso il Padre, ed apparve nel termine
prefisso” (Lettera ai Magnesiaci 6).
12
Ecclesiologia ed Eucaristia: “Studiatevi pertanto di far uso della stessa Eucaristia, perché una sola è la carne di
Gesù Cristo, Signor nostro, e uno solo è il Calice nell‘unità del Sangue di lui, uno solo l‘altare, come uno solo è il
vescovo col collegio dei preti e coi diaconi, conservi mei. E tutto ciò che farete in quest‘ordine, fatelo secondo Dio ”
(Lettera ai Filadelfi 4).
13
Martirio e il Vero Discepolo: “Ora, io spero di combattere in Roma contro le belve per poter arrivare ad essere vero
discepolo, come appunto otterrò di certo per le vostre preghiere” (Lettera agli Efesini 1).
14
Martirio ed Eucaristia: “Lasciate che io sia pasto delle belve, per mezzo delle quali mi è dato di raggiungere Dio!
Io sono frumento di Dio, e sono macinato dai denti delle belve, perché possa divenire pane immacolato di Cristo”
(Lettera ai Romani 4.1).
presbiteri al posto del collegio apostolico e dei diaconi a me carissimi che svolgono il servizio di Gesù Cristo
che prima dei secoli era presso il Padre e alla fine si è rivelato ” (Lettera ai Magnesiaci 6.1).
In Platone: “προκαθηµαι της πολεως”  (presiedere in città, cioè, governare). Ignatius’ salutation
highlighting Rome’s presidency in love is well known. But what exactly does it mean (1) to preside and (2) in
love? Firstly, the Greek verb to preside, προκαθηµαι, has a juridical meaning. Plato uses the verb to identify
the activities of the sovereign municipal body which convokes and dissolves institutional assembles (cf. Plato ,
Laws, VI.758d). Found in Aristotle‘s Politics (VI.1322b14) the verb refers to the administrative oversight of
municipal goods. This municipal supervision is exercised by ―a body which convenes the supreme authority
in the State‖; its members hold ―the chief political offices ” (Aristotle, Politics VI.1322b15-17).1 Writing to
the Magnesians, Ignatius employs this same Greek verb to describe the role of the bishop who presides in the
place of God over the local church (Ignatius of Antioch, Letter to the Magnesians, 6.1). As for the Greek word
αγαπη, that is, love, it denotes in ancient Christian usage much more than mere affection or charitable giving.
It stands as a synonym for the Eucharist and the ecclesial communion which the Sacrament effects (cf. Ignatius
of Antioch, Letter to the Romans, 7.3). Hence, the Church of Rome solicitously oversees or governs the
ecclesial communion which unites all the Christian faithful together in love. (JOSEPH CAROLA, S.J., Sermon
for the Second Monday of Lent 2010, La Chiesa di San Clemente di Roma, 1 March 2010.)
L’espressione può essere quindi un indicazione dei limiti di giurisdizione della diocesi, ma anche un
indicazione del luogo da dove viene esercitata una giurisdizione che però oltrepassa i limiti
geografici.15
(2) “che presiede alla carità” (“προκαθηµ νη της αγ πης ”)
Ma cosa vuol dire “presiedere in carità”? può essere che Roma si distingueva per la sua generosità,
ma vedendo in Carità un sinonimo usato dalla chiesa antica per l’eucaristia, si può capire che la
chiesa di Roma è la chiesa che governa sulla comunione eucaristica della chiesa universale. Allora
non si tratta di un saluto affettuoso, ma indica un ruolo preciso della chiesa di Roma. La chiesa di
Roma supera le altre per la purezza della fede. È chiesa maestra (vedi il martirio). Ai romani dice:
“Io non vi comando come Pietro e Paolo”; alle altre chiese, invece, comandava. In queste lettere,
quindi, si vede già il primato della chiesa di Roma riconosciuto dalle altre chiese. Qui manca ancora
Roma e l’insegnamento riguardo al martirio “Voi non invidiaste mai nessuno, anzi ammaestraste
altri” (Rom. 3.1).
Roma insegnata da Pietro e Paolo “Io non vi comando come Pietro e Paolo. Essi erano Apostoli,
io sono un condannato” (Rom. 4.3).
È interessante il pensiero di Ignazio sul mistero dell’incarnazione. 16 Secondo Ignazio, il diavolo non
capisce la verginità al momento della concezione, né il parto miracoloso, né la morte del Signore. Il
diavolo era ignorante e non vedeva Dio in Cristo. È una soteriologia antichissima portata avanti per
secoli (l’ultimo esempio è The Passion di Mel Gibson: il diavolo che tenta Gesù nel giardino gli
dice “chi pensi di essere, non puoi portare il peccato di tutti su di te…” e a Gesù che prega e dice
15
La Lettera ai Romani: Indirizzo e saluto: “Ignazio, chiamato anche Teofòro, alla Chiesa che è oggetto della
misericordia nella munificenza del Padre altissimo e di Gesù Cristo, suo unico Figlio; amata e illuminata per volontà di
Colui che ha voluto tutte le cose che sono, secondo la carità di Gesù Cristo, nostro Dio; che in Roma presiede
[προκαθηται] degno di Dio, venerabile, degna d‘essere chiamata beata, degna di lode e di felice successo; adorna di
candore, che presiede alla carità [προκαθηµενη της αγαπης], che ha la legge di Cristo e porta il nome del Padre.
Questa Chiesa io saluto nel nome di Gesù Cristo, Figlio del Padre. A quelli poi, uniti nella carne e nello spirito ad ogni
suo precetto, ripieni inseparabilmente della grazia di Dio, e lontani da ogni estranea macchia, molti saluti e l‘augurio
della gioia pura in Gesù Cristo, nostro Dio” (Lettera ai Romani praef.).
16
L’ignoranza del principe di questo mondo “Al principe di questo mondo rimase celata la verginità di Maria e il suo
parto, similmente la morte del Signore, i tre misteri clamorosi che furono compiuti nel silenzio di Dio. Come furono
manifestati ai secoli? Un astro brillò nel cielo sopra tutti gli astri, la sua luce era indicibile, e la sua novità stupì. Le altre
stelle con il sole e la luna fecero un coro all'astro ed esso più di tutti illuminò. Ci fu stupore. Donde quella novità strana
per loro? Apparso Dio in forma umana per una novità di vita eterna si sciolse ogni magia, si ruppe ogni legame di
malvagità. Scomparve l'ignoranza, l'antico impero cadde. Aveva inizio ciò che era stato deciso da Dio. Di qui fu
sconvolta ogni cosa per preparare l'abolizione della morte.” (Lettera agli Efesini 19).
“Padre” il diavolo dice “chi è tuo padre, chi sei tu?”). è rimasta nel mistero la concezione virginale,
il parto e la morte. L’idea è questa: il diavolo aveva un patto con Dio secondo cui poteva prendere
tutti gli uomini sottomessi alla morte; ma in questo caso c’è un uomo che è fuori dal peccato
originale e quindi non fa parte del patto del diavolo con Dio. quindi il diavolo quando prende
quest’uomo, lo prende ingiustamente, e portandolo alla morte rompe, senza rendersi conto, il
contratto con Dio. si rende conto di stare lottando contro Dio solo alla morte. Ma allora come si
spiegano i passi di esorcismo in cui i demoni riconoscono Gesù come figlio di Dio? è una buona
domanda a cui i padri non rispondono.
Il catechismo riporta quella soteriologia Ignaziana e i suoi sviluppi. 17 Sant’Agostino riprende questa
idea del contratto, però da lui non si parla più dell’ignoranza del diavolo (e in quel contesto, senza
l’ignoranza, non si capisce più il comportamento del diavolo).
4.10 Discorso sul Signore 3-4, 9 di Efrem il diacono (c.306-373)
―La morte lo [= Gesù] ha ucciso nel corpo, che egli aveva assunto. Ma con le stesse armi egli trionfò sulla morte. La
divinità si nascose sotto l‘umanità e si avvicinò alla morte, la quale uccise e a sua volta fu uccisa. La morte uccise la
vita naturale, ma venne uccisa dalla vita soprannaturale. Siccome la morte non poteva inghiottire il Verbo senza il
corpo, né gli inferi accoglierlo senza la carne, egli nacque dalla Vergine, per poter scendere mediante il corpo al regno
dei morti. Ma una volta giunto colà col corpo che aveva assunto, distrusse e disperse tutte le ricchezze e tutti i tesori
infernali.
―Cristo venne da Eva, genitrice di tutti i viventi. Ella è la vigna, la cui siepe fu aperta proprio dalla morte per le mani
di quella stessa Eva che doveva, per questo, gustare i frutti della morte.
―Eva, madre di tutti i viventi, divenne anche causa di morte per tutti i viventi.
―Fiorì poi Maria, nuova vite rispetto all‘antica Eva, ed in lei prese dimora la nuova vita, Cristo. Avvenne allora che la
morte si avvicinasse a lui per divorarlo con la sua abituale sicurezza e ineluttabilità. Non si accorse, però, che nel frutto
mortale, che mangiava, era nascosta la Vita. Fu questa che causò la fine della inconsapevole e incauta divoratrice. La
morte lo inghiottì senza alcun timore ed egli liberò la vita e con essa la moltitudine degli uomini‖ (Efrem, Discorso sul
Signore 3-4, 9)
17
Il concepimento verginale di Maria nel CCC: “Il silenzio del Vangelo secondo san Marco e delle lettere del Nuovo
Testamento sul concepimento verginale di Maria è stato talvolta causa di perplessità. Ci si è potuto anche chiedere se
non si trattasse di leggende o di elaborazioni teologiche senza pretese di storicità. A ciò si deve rispondere: la fede nel
concepimento verginale di Gesù ha incontrato vivace opposizione, sarcasmi o incomprensione da parte dei noncredenti, giudei e pagani: Essa non proveniva dalla mitologia pagana né da qualche adattamento alle idee del tempo. Il
senso di questo avvenimento è accessibile soltanto alla fede, la quale lo vede in quel nesso che lega tra loro i vari
misteri‘, nell‘insieme dei misteri di Cristo, dalla sua incarnazione alla sua pasqua. Sant‘Ignazio di Antiochia già
testimonia tale legame: Rimase nascosta al principe di questo mondo la verginità di Maria e il suo parto, come pure la
morte del Signore: tre misteri sublimi che si compirono nel silenzio di Dio” (Catechismo della Chiesa Cattolica § 498).
5. La letteratura apologetica e Giustino Martire: un‘esperienza di incontro tra cristianesimo e
filosofia greca;
il Logos spermatikos
1. SAN GIUSTINO MARTIRE
Il logos spermatikos
In Giustino non si legge logoi spermatikoi: l’espressione si trova solo due volte e sempre al
singolare (Ap II 8,3; 13,3). Il logos spermatikos è il verbo divino: ha un significato attivo (è colui
che dissemina, non colui che è disseminato). Egli dissemina i sperma tou logos, i semi della verità,
la componente razionale dell’uomo. Quello che semina, quindi è altro di sé stesso. Non è un in
abitazione del logos, che “taglia pezzi di se stesso” e mette i pezzi negli uomini. Lui semina ciò che
illumina gli uomini moralmente e religiosamente (cfr. Mt 13,3ss). I semi, quindi sono una
imitazione del logos, una scienza in cui egli è riflettuto.
Distingue tra
• Dunamis: il seme, la capacità razionale naturale dell’uomo che è seminata in tutti gli uomini
dalla creazione
• La charis è la cosa in se stessa, non più un imitazione. Dipende dal logos stesso e da ciò che
Egli fa. È un esperienza di fede ed un incontro spirituale con il verbo incarnato. Questa
rende accessibile la conoscenza del logos a uomini di ogni estrazione.
“Cristiani” fra i pagani
“Ci è stato insegnato che Cristo è il primogenito di Dio, ed abbiamo già dimostrato che Egli è il Logos di cui
fu partecipe tutto il genere umano. Quelli poi che vissero secondo il Logos sono cristiani, anche se passarono
per atei, come tra i greci, Socrate, Eraclito e altri simili; tra i barbari, Abramo, Anania, Azaria, Misaele, Elia
e molti altri. Sapendo che sarebbe troppo lungo elencarne le opere e i nomi, per il momento li tralasciamo.
Anche coloro che, essendo nati prima, non vissero secondo il Logos, furono non-cristi (= improbi), anzi
nemici di Cristo, uccisori di quanti vivevano secondo il Logos; e invece coloro che vissero e vivono seguendo
il Logos sono cristiani, senza paura e senza turbamento”, (1 Apologia 46.2-4).
Giustino non parla di “cristiani anonimi” (come fa Rahner); al contrario, essi vivevano
esplicitamente secondo il logos tanto da arrivare, come Socrate, a Cristo. Socrate ha una conoscenza
che va un po’ oltre le capacità normali, ma non la spiega con la Charis. Forse è una sua capacità
speciale. La salvezza è per i giusti, anche non ebrei (vedi Melchisedek, Giobbe …).
Il seme del Logos innato in ogni uomo
“Sappiamo che sono stati odiati ed uccisi anche i seguaci delle dottrine degli Stoici, almeno quando si sono
mostrati corretti nel discorso etico – come in alcune cose fecero anche i poeti –, per mezzo del seme del Logos,
che è insito in ogni stirpe degli uomini. Sappiamo di Eraclito, come abbiamo detto, e di Musonio, tra quelli dei
nostri tempi, e di altri. Come infatti spiegammo, i demoni sempre si sono sforzati affinché fossero odiati tutti
coloro che, in qualunque modo, cercano di vivere secondo il Logos e di fuggire la malvagità. Nessuna
meraviglia, se i demoni, una volta scoperti, si sforzino affinché ancora di più siano odiati coloro che (vivono)
non secondo una parte del Logos seminale [ κατα σπερµατικου λογου µερος], ma secondo la conoscenza e
la contemplazione del Logos totale, che è Cristo [ κατα την του παντος λογου, ο εστι Χριστου ]”, (2
Apologia 8.1-3).
Se i cristiani prima di Cristo sono stati perseguitati perché lo conoscevano, quanto più noi che lo
abbiamo conosciuto direttamente.
La verità appartiene ai cristiani (i due tipi di conoscenza)
“...quanto è stato espresso rettamente da chiunque, appartiene a noi cristiani: infatti, dopo Dio (Padre) noi
adoriamo e veneriamo il Logos, (che proviene) da Dio ingenerato e ineffabile, poiché Egli per noi si fece
uomo, affinché, divenuto partecipe delle nostre infermità, potesse anche guarirle. Tutti gli scrittori infatti, per
mezzo dell‘innato seme del Logos, insito in essi, poterono oscuramente intravedere la realtà. Ma una cosa è
un seme e un‘imitazione concessa secondo le capacità [δυναµις], altra è l‘oggetto stesso (= il Logos), del
quale si ha una partecipazione e una imitazione, mediante la grazia [ χαρις] che da lui proviene ” (2 Apologia
13.4-6).
I cristiani posseggono l’intera verità e l’esempio di Socrate
“Al di sopra di ogni umana dottrina risplende la nostra, perché su di noi risplende il Logos totale, Cristo
fattosi presente tra noi in corpo, ragione ed anima. Tutto ciò che sempre rettamente enunciarono e scoprirono
i filosofi e i legislatori, lo scoprirono e lo compresero a fatica secondo il Logos parziale, proprio perché non
indagarono secondo il Logos totale che è il Cristo, si contraddissero tra di loro, anzi quanti vissero prima del
Cristo tentando di comprendere e confutare le loro dottrine secondo l‘umana ragione, furono trascinati
dinanzi ai tribunali come empi e cacciatori di novità. Socrate che più di tutti costoro, ebbe tale nobile
tensione, fu accusato proprio come noi, perché dicevano che introducesse nuove divinità e non riconoscesse
gli dèi, in cui la città credeva, mentre egli invece insegnò all‘umanità a rinnegare i demoni del male, autori
delle nefandezze narrate nei poeti, esorcizzando dalla repubblica sia Omero sia gli altri poeti, ed esortò a
riconoscere, attraverso la ricerca della ragione, il loro Dio ignoto, dicendo né facile scoprire chi è il Padre e
il Creatore dell’universo, né senza rischio parlarne a tutti dopo averlo scoperto. Il che operò il nostro Cristo
con la potenza che gli era propria; perché, mentre a Socrate nessuno prestò fede, benché testimoniasse con la
morte la sua dottrina, a Cristo invece credettero non solo i filosofi e gli amanti della cultura---era Lui infatti e
lo è sempre il Logos, che avendo prima predetto il futuro attraverso i profeti, poi insegnò questa dottrina di
persona, assoggettandosi a simile passione---ma anche operai, persone del tutto ignoranti, che hanno saputo
disprezzare opinioni, paure e morte, poiché operava in Lui la potenza del Padre ineffabile e non a struttura
dell‘umana natura”, (2 Apologia 10.1-8).
Socrate è una figura di Cristo perché lo ha conosciuto con la sua dunamis ed ha rigettato . Ma lui è
morto e non aveva discepoli che hanno dato la vita per lui. Cristo, invece è morto e ha dato ad altri
la grazia di morire per lui. Il vangelo di Cristo, infatti, non è per i più bravi: Cristo ha aperto una via
universale, anche per gli operai.
Questa è la teoria metafisica che spiega le somiglianze della filosofia greca con il cristianesimo.
Non si tratta di dialogo inter-religioso, perché i culti pagani, per Giustino, sono demoniaci. Il
dialogo è con la filosofia.
CHARLES MUNIER, Sources Chrétiennes 507, p. 349, n. 6 : « Justin distingue nettement
entre le Logos lui-même et la participation au logos impliquée par l‘exercise de la raison
humaine (cf. II, 7(8),3 ; 10, 8 ; 13, 3.) »
In altri autori, Giustino vede una sapienza celeste; non spiega la presenza di questa sapienza
attraverso la teoria dei logos spermatikos, ma storicamente: secondo lui i greci hanno letto le
scritture ebraiche ed hanno preso in prestito idee che non potevano conoscere. La teoria di Giustino
non va storicamente, perché Platone è morto prima della LXX. Il problema per lui riguarda:
• L’immortalità dell’anima,
• La punizioni dopo la morte,
• La contemplazione delle cose celesti.
Profeti anteriori agli scrittori greci
“Tutto quello che fu detto dai filosofi e dai poeti sull‘immortalità dell‘anima, sulle punizioni dopo morte, sulla
contemplazione delle cose celesti o su analoghe dottrine, lo hanno potuto apprendere e lo hanno esposto, per
averne attinto i principi dai profeti. Perciò in tutti sembra vi siano dei semi di verità; benché, quando si
contraddicono l‘un altro, dimostrino di non aver esattamente inteso”, (1 Apologia 44.9-10).
Le teofanie dell’AT sono in realtà Cristo-fanie. I greci contemplavano oscuramente, quindi non
avevano una rivelazione soprannaturale. C’è differenza di genere, non di grado, tra l’AT e le
filosofie: il primo mostra una profezia ispirata da Dio, il secondo dunamis naturale. l’intuito
profetico, comunque, è incompiuto: si doveva aspettare Cristo, verbo incarnato che compie tutte le
profezie. Per questo quando trova qualcosa di soprannaturale, la spiegazione è il plagio. Spesso c’è
un’applicazione forzata da parte di Giustino di questa teoria. La dominus Iesus fa la distinzione tra
fede e credenze religiose che assomiglia un po’ a questa di Giustino.
Non siamo arrivati alla teologia della grazia di sant’Agostino. Abbiamo san Paolo che dice “siamo
giustificati per la fede in cristo”. Qui Giustino sta cercando di rispondere alle accuse per cui Cristo è
venuto così in ritardo e quindi tutti gli antenati non si sono salvati. Giustino dice: no, potevano
conoscere Dio e la legge morale. Oggi noi diciamo che per compiere la legge morale abbiamo
bisogno della grazia. Giustino dice che gli antenati potevano vivere bene a loro modo, ma siamo
con una teologia della grazia ancora non sviluppata.
Il cristianesimo è la vera filosofia.
Altri temi in Giustino
Giustino è il primo che fa l’allegoria tra Eva e Maria. Sono entrambe vergini: una disobbediente,
che genera la morte e una obbediente che genera la vita. Come nel peccato c’è una donna ed un
uomo, così nella restaurazione. Certo, c’è disparità tra i due uomini (allegoria che viene da Paolo).
5.9 Parallelismo Eva-Maria
“Siamo venuti a conoscere che egli si è fatto uomo per mezzo della vergine, affinché, per quella via dalla
quale ebbe origine la disobbedienza causata dal serpente, per la medesima (via) avesse termine. Eva infatti,
pur rimanendo vergine e incorrotta, per aver concepito la parola dal serpente, generò disobbedienza e morte,
la vergine Maria invece concepì fede e gioia, allorquando l‘angelo Gabriele le annunziò che lo Spirito del
Signore sarebbe disceso su di lei e la potenza dell’Altissimo l’avrebbe adombrata – sì che fu il Figlio di Dio, il
santo, ad essere generato da Lei – e rispose: Si faccia di me secondo la tua parola. Così è stato generato per
mezzo di lei colui al quale – come abbiamo dimostrato – si riferivano tanti passi della Scrittura, per mezzo del
quale il Padre distrugge il serpente e gli angeli e gli uomini che ad esso si assomigliano, ed opera la
liberazione dalla morte per tutti coloro che si convertono dal male e credono in Lui”, (Dialogo con Trifone
100.4-5).
C’è qualche dipendenza da Ireneo in questa teoria. Il battesimo è un bagno di rigenerazione: non è
un idea di giustificazione inculcata in cui l’uomo rimane sempre cattivo e peccaminoso (l’uomo si
rivestirebbe così di Cristo e Dio lo vedrebbe giusto). Qui si parla, invece, di vera rigenerazione, in
cui l’uomo nel battesimo è rifatto.
Giustino parla anche dell’Eucaristia, sacrificio secondo il logos, in cui si adora in spirito e verità. Il
culto spirituale come dice san Paolo (logikè). È la maniera di adorare Dio secondo il logos. Ma si
parla anche di sacrificio.
Eucaristia
“Questo alimento noi lo chiamiamo “Eucaristia” e non è dato parteciparne se non a chi crede vera la nostra
dottrina ed è stato lavato per la remissione dei peccati e per un bagno di rigenerazione, per vivere così come
Cristo ha insegnato a fare. Poiché noi non lo prendiamo come un pane comune ed una comune bevanda, ma
secondo abbiamo appreso dal nostro Salvatore Gesù Cristo, incarnatosi in virtù del Verbo di Dio. L‘alimento
sul quale fu compiuta l‘azione di grazie e di cui si nutrono il nostro sangue e le nostre carni, per virtù
dell‘orazione di grazie sono trasformati nella carne e nel sangue del medesimo Gesù incarnato per la nostra
salvezza. Gli Apostoli infatti nelle loro Memorie dette Evangeli proprio questo tramandarono: che Gesù Cristo
lasciò loro questo comando: preso del pane, rese grazie e disse loro: Fate questo in memoria di me; questo è
il mio corpo; poi preso similmente il calice, rese grazie e disse: Questo è il mio sangue”, (1 Apologia 66.1-3).
Sezione 6: Ireneo di Lione: Cristologia, Mariologia, antropologia, la Regula Fidei, la
tradizione apostolica ed anti-gnosticismo
1. SANT’IRENEO
Sant’Ireneo di Lione è stato un teologo di fede e fedele Chiesa. è molto attento alla tradizione. È
l’ultimo uomo apostolico: è vissuto nell’ambiente degli apostoli. Ha imparato il vangelo da
bambino ai piedi di Policarpo, discepolo di Giovanni.
Grande campione anti-gnostico: lotta contro coloro che disprezzano il corpo e la materia.
È in un certo senso il fondatore della teologia cristiana con il libro Adversus Haereseis. Nei primi
due libri risponde botta per botta alle eresie del tempo. gli ultimi due libri, invece, è una teologia
ben sviluppata (è impressionante vedere il livello della teologia del II secolo). C’è una certa ironia
qui: Ireneo era molto sospettoso alla teologia speculativa a causa della lettura mistico-allegoricospeculativa che gli gnostici facevano del NT, uscendo dalla regula fidei per esporre la loro filosofia
esoterica. Dimostra così un certo anti-intellettualismo Di fatto, però, la sua è una teologia
speculativa: è il primo a formulare in termini dogmatici tutta la dottrina cristiana (e Origene segue
questa linea con il suo De Principiis).
Nacque circa nel 135 – 140 in Asia Minore. Da bambino ascoltava Policarpo di Smirne ed altri
discepoli degli apostoli. Giunse in Gallia. È impressionante la comunicazione a distanza
nell’antichità. Non sappiamo perché Ireneo sia andato a Lione.18 Intorno al 177 fu ordinato
sacerdote e mandato a Roma (tutti venivano a Roma allora) con una lettera del confessore di Lione
a Papa Eleuterio (c. 174 – 189). In questa lettera si esortava il papa a mantenere i rapporti tra le
comunità ecclesiastiche ed i montanisti che quindi non dovevano essere completamente fuori dalla
chiesa e dovevano avere un certo influsso a Lione (negli atti dei martiri di Lione, compare una
figura che doveva essere un montanista). 19 In questa lettera Ireneo viene descritto come zelante
seguitore di Cristo e prete della chiese di Lione. Al suo ritorno a Lione fu eletto vescovo al posto
del vescovo Pontino, martirizzato nel mentre.
Il suo nome significa “Operatore di pace” (ειρηνοποιος). Questo, infatti, fu il suo sforzo costante.
Un esempio è la sua lettera a Papa Vittore, in cui gli chiedeva di non scomunicare tutto la chiesa
orientale perché non celebrava la Pasqua come la celebrava la chiesa di occidente (controversia dei
Quartadecimani). Esorta ad accettare la diversità nella chiesa. segue la linea usata da San Policarpo
con papa Aniceto (accettare le differenze). Si vede già quindi la tensione tra oriente ed occidente,
anche se in occidente si parlava ancora Greco (Novaziano scrive nel terzo secolo la prima opera
cristiana in latino).
Morì circa nel 200.
Due sono le sue opere principali
• De detectione et eversione falso cognominatae agnitionis (smascheramento e confutazione
della falsa gnosi) o Adversus haereses, libri quinque
I Padri della chiesa avevano un grande interesso della Chiesa universale e stavano in contatto tra di loro
(Girolamo e Agostino ebbero una grande corrispondenza epistolare pur non essendosi mai visti).
18
Essendo in cinta Felicita non poteva essere esposta alle bestie. I giorni precedenti, quindi, si lamentava di
non poter partecipare al martirio con gli altri; ma la notte precedente diede alla luce gridando di dolori. La
guardia gli disse: come farai domani se oggi soffri così per il parto. Lei rispose: oggi soffro io, domani sarà
Cristo in me. Santa Blondine allo stesso modo fu un esempio di Cristo. Morì come in croce e diede grande
incoraggiamento ai cristiani.
19
• Demonstratio apostolicae praedicationis. Fa riferimento all’AT per spiega la predicazione
degli apostoli (ciò che sarà il NT). Il binomio AT-NT viene da lui, che insiste sull’unità
della scrittura. opera già con un certo canone (parla dei quattro vangeli).
2. LAVORO APOSTOLICO: UNA TRIPLICE DIREZIONE
(1) Adoperarsi per la diffusione del cristianesimo lungo il Rodano.20
(2) Opporsi allo gnosticismo. Soprattutto a quello di Valentino che si andava diffondendo nella
Gallia del sud.
(3) Risolvere la questione pasquale con Papa Vittore (189 – 199)
3. LA TEOLOGIA DI SANT’IRENEO
La Trinità
Il Creatore è il Padre del Logos. Non ci sono due dei secondo il dualismo gnostico. Il Figlio e lo
Spirito Santo sono le due mani del Padre nell‘opera della creazione.
Nella sua Cristologia c’è questa teoria della Ricapitolazione [ανακεϕαλαιωσις]. Che viene da
Paolo. Adamo è il capo dell’umanità e da lui viene la rovina per tutti. Ci vuole quindi un nuovo
Adamo che dia un nuovo inizio per tutti. In Gesù, nuovo Adamo, tutta l’umanità è riconciliata con
Dio. per questo passa per tutte le tappe della vita umana per sanarla e rinnovarla. È concepito da una
donna, è bambino, passa l’infanzia, l’adolescenza, la sofferenza. Nel Cristo l’uomo è ri-creato.
L’uomo, chiamato ad immagine di Dio è chiamato a crescere secondo la sua somiglianza.
L’immagine per l’uomo è Cristo incarnato e risorto (secondo il dualismo gnostico il vero uomo è
solo l’anima dell’uomo, scintilla divina intrappolata nella carne). Cristo viene a darci la possibilità
di crescere nella somiglianza a quell’immagine. Per Ireneo, quindi, l’incarnazione era prevista dal
momento della creazione, non è solo un rimedio al peccato originale.
Mariologia
Ireneo segue Giustino nel parallelismo Eva-Maria. Vergine, ascolta serpente/angelo.
Disobbediente/obbediente. Genera la morte/la vita.
Come all’inizio di tutto il dramma di redenzione c’è una donna insieme con l’uomo, anche nella
redenzione ci vuole una donna con l’uomo. Maria è corredentrice nel senso che è coinvolta
nell’opera di redenzione dell’umanità (non nel senso che è co-star).
È interessante come Newman utilizza la dottrina di Maria nuova Eva per provare l’immacolata
concezione di Maria pensata fin dall’eternità. La dimostrazione si trova nel libro scritto contro E.
Pusey che scrisse Erenicon per conciliare gli anglicani con i cattolici; ma per Newman quest’opera
ha solo l’effetto di far arrabbiare i cattolici perché mette in questione la concezione immacolata ed
altro. Secondo Newman, invece, se c’è il parallelismo esatto tra Maria ed Eva, allora essendo Eva
creata senza peccato, perché il parallelismo sia totale, anche Maria deve essere stata creata senza
peccato. È una prova implicita contenuta in una dimostrazione esplicita del II secolo.
Subito dopo il parallelismo Adamo-Cristo, Ireneo dice:
“Parallelamente si trova anche la Vergine Maria obbediente quando dice «Ecco la tua serva, avvenga di me
quello che hai detto». Eva disobbedì, e fu disobbediente mentre era ancora vergine. Come Eva, che pur avendo
come marito Adamo era ancora vergine - infatti erano ambedue nudi nel paradiso e non ne provavano
vergogna, perché, essendo stati creati poco prima, non avevano alcuna idea della generazione dei figli: infatti
prima dovevano crescere e poi moltiplicarsi; come Eva dunque, disobbedendo divenne causa di morte per sé le
era stato assegnato era ancora vergine, obbedendo divenne causa di salvezza per sé e per tutto il genere umano.
Perciò la Legge chiama colei che era fidanzata ad un uomo, benché sia ancora vergine, moglie di colui che
l‘aveva presa come fidanzata indicando il movimento a ritroso che va da Maria ad Eva. Infatti ciò che è stato
legato non può essere slegato se non si ripercorrono in senso inverso le pieghe del nodo, così che le prime
20
In Texas molte strutture ecclesiastiche vengono da Lione (gesuiti, case di suore e vescovi) perché i primi
due vescovi venivano dalla città francese. Carola, quindi, si sente in grande debito verso Ireneo.
pieghe siano sciolte grazie alle seconde e inversamente le seconde liberino le prime, per cui capita che il primo
legame è sciolto dal secondo e il secondo nodo serve da slegatura per il primo….Così dunque il nodo della
disobbedienza di Eva trovò soluzione grazie all‘obbedienza di Maria. Ciò che Eva aveva legato per la sua
incredulità, Maria l’ha sciolto per la sua fede” (Adversus haereses 3.22.4).
Maria è causa salutis per se e per tutto il popolo umano. È un affermazione molto forte.. Ad Oxford
è venerata un immagine di Maria che scioglie i nodi. Il nodo della disobbedienza di Eva che
complica così tanto la vita.
“Se dunque il Signore è venuto visibilmente nella sua proprietà; se è stato portato dalla sua propria creazione
che è portata da lui; se grazie alla sua obbedienza sul legno ha fatto la ricapitolazione della disobbedienza
che era stata compiuta per mezzo del legno; se la seduzione, di cui miseramente era stata vittima Eva, vergine
soggetta al marito, è stata dissipata dalla verità che fu annunciata magnificamente dall‘angelo a Maria,
vergine già in potere del marito, - infatti, come quella fu sedotta dalla parola dell‘angelo in modo da fuggire
Dio trasgredendo la sua parola, così questa ricevette il lieto annunzio per mezzo della parola dell‘angelo, in
modo da portare Dio obbedendo alla sua parola; e come quella si lasciò sedurre in modo da disobbedire a
Dio, così questa si lasciò persuadere in modo da obbedire a Dio, affinché la Vergine Maria divenisse avvocata
della vergine Eva; e come il genere umano fu legato alla morte per mezzo di una vergine, così ne fu liberato
per mezzo di una vergine, perché la disobbedienza di una vergine fu controbilanciata dall‘obbedienza di una
vergine”, (Adversus haereses 5.19.1).
Maria è Advocata Evae, titolo mariano che si trova in LG 8. Il genere umana fu liberato per mezzo
di una vergine. Maria già nel II secolo è considerata corredentrice. È chiarissimo che la sua opera è
inserita nel piano di ricapitolazione del figlio.
“Cristo è un essere puro che apre con purezza quel puro seno che rigenera gli uomini in Dio”
( Adversus haereses 4.33.11).
La tradizione legge questo brano come verginità in partu, trovata già nel protoevangelo di Giacomo.
Possiamo pensare che la mariologia così alta di Ireneo possa avere un collegamento, attraverso
Policarpo, con san Giovanni, cui Cristo affidò la madre. Nella chiesa di Lione ci sono molti mosaici
della vergine, tra cui l’aquila di Giovanni con Policarpo ed Ireneo e di fronte il concilio di Efeso
(della Theotokos).
Eucaristia
La risurrezione dei corpi nella polemica anti-gnostica. La vera eucaristia fa parte della difesa della
nostra umanità.
Eucaristia e la risurrezione del corpo
“Vani sono in ogni modo quanti rifiutano tutta l‘economia di Dio, negano la salvezza della carne e
disprezzano la sua rigenerazione, dicendo che non è capace di accogliere l‘incorruttibilità. Ora se essa non
riceve la salvezza, senza dubbio il Signore non ci ha riscattati con il suo sangue, e il calice dell‘Eucaristia non
è la comunione del suo sangue né il pane che spezziamo è la comunione del suo corpo. Il sangue infatti
proviene dalle vene, dalle carni e dalla restante sostanza umana, e appunto perché è divenuto veramente tutto
questo, il Verbo di Dio ci ha riscattati con il suo sangue, come dice il suo Apostolo: In lui abbiamo il riscatto
mediante il suo sangue, la remissione dei peccati‘. E poiché siamo sue membra e siamo nutriti mediante la
creazione – egli stesso ci procura la creazione, facendo sorgere il suo sole e mandando la pioggia come
vuole-, dichiarò che il calice proveniente dalla creazione è il suo proprio sangue e proclamò che il pane
proveniente dalla creazione è il suo proprio corpo, con il quale si fortificano i nostri corpi”.
“Se dunque il calice mescolato e il pane preparato ricevono la parola di Dio e divengono Eucaristia, cioè il
sangue e il corpo di Cristo, e se con essi si fortifica e si consolida la sostanza della nostra carne, come
possono dire che la carne non è capace di ricevere il dono di Dio che è la vita eterna: la carne che si nutre del
sangue e del corpo di Cristo ed è sue membra? Come il beato Apostolo dice nella sua lettera agli Efesini:
Siamo membra del suo corpo formati dalla sua carne e dalle sue ossa‘ indicando con queste parole non un
certo uomo spirituale ed invisibile, perché lo Spirito non ha né ossa né carne‘, ma l‘organismo veramente
umano, composto di carne nervi ed ossa, il quale è nutrito dal calice, che è il suo sangue, ed è fortificato dal
pane, che è il suo corpo. E come il legno della vite, collocato nella terra, porta frutto a suo tempo, e il chicco
del frumento caduto nella terra‘ e dissolto risorge moltiplicato in virtù dello Spirito di Dio che sostiene tutte le
cose---e poi grazie all‘abilità umana sono trasformati ad uso degli uomini e ricevendo la parola di Dio
divengono Eucaristia, cioè il corpo ed il sangue di Cristo; così anche i nostri corpi, che si sono nutriti di essa,
sono stati collocati nella terra e vi si sono dissolti, risorgeranno al loro tempo, perché il Verbo di Dio donerà
loro la risurrezione ‗per la gloria di Dio Padre‘, il quale procura l‘immortalità a ciò che è mortale e dona
gratuitamente l‘incorruttibilità a ciò che è corruttibile, poiché la potenza di Dio si esprime perfettamente nella
debolezza, affinché non ci lasciamo mai prendere dall‘orgoglio come se avessimo la vita da noi stessi e non ci
solleviamo contro Dio, accogliendo nell‘animo un pensiero d‘ingratitudine, ma avendo appreso per
esperienza che dalla sua grandezza e non dalla nostra natura deriva la nostra capacità di rimanere per
sempre, non tradiamo mai la vera concezione di Dio né ignoriamo la nostra natura, ma sappiamo qual è la
potenza di Dio e quali sono i benefici che l‘uomo può ricevere, e non ci inganniamo mai sulla vera concezione
circa le cose che esistono, cioè Dio e l‘uomo. Del resto, come abbiamo detto prima, Dio non ha forse
permesso il nostro dissolvimento nella terra affinché, educati in ogni modo, siamo attenti per il futuro in tutte
le cose, senza ignorare né Dio né noi stessi?” (Adversus haereses 5.2.2-3)
La teologia protestante va contro questa tradizione dei padri: nel II secolo si parla chiaramente di
carne e sangue non di segni.
Antropologia
La salus carnis. Una frase famosa di Ireneo è ricordata a metà: «la gloria di Dio è l’uomo vivente e
la vita dell’uomo è la visione di Dio» («Gloria enim Dei vivens homo, vita autem hominis visio
Dei», AH. 4.20.7). Fini naturali e soprannaturali diventeranno un grande dibattito per la teologia nel
corso della storia.
Soteriologia
• Partecipare gloriae Dei
• Da imago Dei a similitudo Dei
• Divinizzazione cristologica
L’uomo, creato ad immagine di Dio, è chiamato a crescere nella somiglianza. Se molti padri
identificano immagine e somiglianza, per Ireneo siamo creati ad immagine di Dio (che è il Cristo
glorificato) e siamo chiamati a crescere secondo la somiglianza di Dio (indicata da Cristo) per poter
partecipare della gloria di Dio. Troviamo qui la frase famosa: «Dio è diventato uomo, affinché
l’uomo fosse degno di diventare Dio».
Regula Fidei
Gli gnostici leggono le stesse letture degli ortodossi (e ne scrivono altri non aggiunti nel canone).
Come si può dimostrare che la loro lettura non è corretta? Ireneo è il primo a parlare di Regula
Fidei o Canon veritatis che è
(1) Il messaggio contenuto nelle Scritture
(2) esprime la fede battesimale
(3) ed è una professione di fede in comunione con la Chiesa di Roma
Il canone di Ireneo non è completo, ma per lui il NT = γραϕη allo stesso modo dell’AT (Paolo
parla di AT chiamandolo “scrittura”).
C’è anche il dono sicuro di verità che Dio dà ai successori degli apostoli. Attraverso questo carisma
il magistero vivente nella Chiesa gode della garanzia di autenticità nell’interpretazione.
Carisma sicuro della verità
“Perciò si debbono ascoltare i presbiteri che sono nella Chiesa: essi sono i successori degli apostoli, come
abbiamo dimostrato, e con la successione nell‘episcopato hanno ricevuto il carisma sicuro della verità
secondo il beneplacito del Padre; mentre tutti gli altri, che si separano dalla successione originaria e si
riuniscono in qualunque modo, si devono guardare con sospetto, o come eretici che insegnano false dottrine o
come scismatici orgogliosi e vanagloriosi o ancora come ipocriti che lavorano per guadagno e vanagloria”,
(Adversus haereses 4.26.2).
Per essere sicuri, si deve rimanere nella Chiesa.
La tradizione
Sant’Ireneo sviluppa una teoria delle scritture per dire quali sono le scritture e come si leggono
correttamente.
Il Vangelo attraverso gli Apostoli
―Non attraverso altri noi abbiamo conosciuto l‘economia della nostra salvezza, ma attraverso coloro i quali
il Vangelo è giunto fino a noi. Quel Vangelo essi allora lo predicarono, poi per la volontà di Dio ce lo
trasmisero in alcune scritture perché fosse fondamento e colonna della nostra fede. Non si può dire che lo
predicarono prima di aver ricevuto la conoscenza perfetta, come alcuni osano dire, vantandosi di essere
correttori degli Apostoli. Infatti, dopo che il Signore fu risuscitato dai morti ed essi furono rivestiti della
potenza proveniente dall‘alto grazie alla discesa dello Spirito Santo, allora furono pieni di certezza su tutte le
cose ed ebbero la conoscenza perfetta; andarono allora fino alle estremità della terra a predicare il Vangelo
dei beni che ci vengono da Dio e ad annunciare agli uomini la pace celeste: essi avevano tutti insieme e
ciascuno singolarmente il Vangelo di Dio” (Adversus haereses 3.1.1).
Cfr. 1Gv1,1: la tradizione comincia oralmente, e solo dopo diventa scritta.
La Tradizione apostolica della Chiesa
“Dunque la Tradizione degli apostoli, manifestata in tutto quanto il mondo, possono vederla in ogni Chiesa
tutti coloro che vogliono vedere la Verità e noi possiamo enumerare i vescovi stabiliti dagli apostoli nelle
Chiese e i loro successori fino a noi. Ora essi non hanno insegnato né conosciuto sciocchezze come quelle che
insegnano costoro. Infatti, se gli apostoli avessero conosciuto misteri segreti, che avrebbero insegnato a parte
e di nascosto ai perfetti, certamente prima di tutto li avrebbero trasmessi a coloro ai quali affidavano le
Chiese stesse. Volevano infatti che fossero assolutamente perfetti e irreprensibili in tutto coloro che
lasciavano come successori, trasmettendo loro la propria missione di insegnamento. Se essi avessero capito
correttamente, ne avrebbero ricavato grande profitto, se invece fossero falliti, ne avrebbero ricavato un danno
grandissimo”, (Adversus haereses 3.3.1).
Il vangelo è già in tutto il mondo. L’idea che si diffonde è che se uno non ascolta il vangelo è colpa
sua, perché il vangelo è giunto ovunque: se qualcuno veramente lo vuole lo cerca e lo trova.
La tradizione è pubblica. È importante la pubblicità, perché gli gnostici sostenevano che Gesù
avesse insegnato le loro dottrine segretamente ad alcuni e che loro erano gli incaricati a rivelarle nel
II secolo. La tradizione cristiana, invece, è sotto gli occhi di tutti. Per garantire la pubblicità, allora,
ci vuole un elenco dei vescovi, quelli affidabili.
Se stabilisco qualcuno per essere mio successore, ovviamente se ho segreti li trasmetterò a lui, non
ad altri (come pretendevano gli gnostici)!
È una teologia della tradizione e del magistero. La tradizione è originalmente
• Testimonianza apostolica
• Trasmissione apostolica
• Successione apostolica (garanzia dell’autenticità della trasmissione)
Roma
È bene allora sapere quali sono le chiese che stanno nella tradizione. Non c’è tempo di elencare
tutte le chiese: andiamo allora alla più eccellente, quella di Roma.
Roma: il principale testimonio della Tradizione apostolica
“Ma poiché sarebbe troppo lungo in quest‘opera enumerare le successioni di tutte le Chiese, prenderemo la
Chiesa grandissima e antichissima e a tutti nota, la Chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosissimi
apostoli Pietro e Paolo. Mostrando la Tradizione ricevuta dagli Apostoli e la fede annunciata agli uomini che
giunge fino a noi attraverso le successioni dei vescovi confondiamo tutti coloro che in qualunque modo, o per
infatuazione o per vanagloria o per cecità e per errore di pensiero, si riuniscono oltre quello che è giusto.
Infatti con questa Chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve necessariamente essere d‘accordo
ogni Chiesa, cioè i fedeli che vengono da ogni parte---essa nella quale per tutti gli uomini sempre è stata
conservata la Tradizione che viene dagli Apostoli” (Adversus haereses 3.3.2).
Ireneo fornisce quindi i successori di Pietro a Roma fino al suo tempo.
La Successione a Roma
“Dunque, dopo aver fondato ed edificato la Chiesa, i beati apostoli affidarono a Lino il servizio
dell‘episcopato; di questo Lino Paolo fa menzione nelle lettere a Timoteo. A lui succede Anacleto. Dopo di lui,
al terzo posto a partire dagli apostoli, riceve in sorte l‘episcopato Clemente, il quale aveva visto gli apostoli
stessi e si era incontrato con loro ed aveva ancora nelle orecchie la loro predicazione e davanti agli occhi la
loro Tradizione. E non era il solo. Perché allora restavano ancora molti che erano stati ammaestrati dagli
apostoli. Dunque, sotto questo Clemente, essendo sorto un contrasto non piccolo tra i fratelli di Corinto, la
Chiesa di Roma inviò ai Corinzi una importantissima lettera per riconciliarli nella pace, rinnovare la loro
fede e annunciare la Tradizione che aveva appena ricevuto dagli apostoli: un solo Dio onnipotente, creatore
del cielo e della terra e plasmatore dell‘uomo, il quale ha fatto venire il diluvio, ha chiamato Abramo, ha fatto
uscire il popolo dalla terra d‘Egitto, ha conversato con Mosè, ha stabilito la Legge e inviato i profeti ed ha
preparato il fuoco per il diavolo e i suoi angeli. Che questo Dio è annunciato dalla Chiesa come Padre del
nostro Signore Gesù Cristo, chi vuole lo può apprendere da questo stesso scritto, come pure può conoscere la
Tradizione apostolica della Chiesa, essendo quella lettera più antica di coloro che ora insegnano falsamente e
immaginano un altro Dio al di sopra del Demiurgo e Creatore di tutto ciò che esiste. A questo Clemente
succede Evaristo e ad Evaristo Alessandro; poi, come sesto a partire dagli Apostoli, fu stabilito Sisto; dopo di
lui Telesforo, che dette la sua testimonianza gloriosamente; poi Igino, quindi Pio e dopo di lui Aniceto. Dopo
che ad Aniceto fu succeduto Sotere, ora, al dodicesimo posto a partire dagli apostoli, tiene la funzione
dell‘episcopato Eleutero. Con questo ordine e queste successioni è giunta fino a noi la Tradizione che è nella
Chiesa a partire dagli apostoli e la Predicazione della verità. E questa è la prova più completa che una e
medesima è la Fede vivificante degli apostoli, che è stata conservata e trasmessa nella Verità ”, (Adversus
haereses 3.3.3).
La successione apostolica è la garanzia dell’autenticità.
Le Chiese-madri apostoliche
“Se ci fosse qualche controversia su una questione di poca importanza, non si dovrebbe ricorrere alle Chiese
più antiche, nelle quali vissero gli apostoli, e prendere la dottrina esatta sulla questione presente? Anche se
gli apostoli non ci avessero lasciato le Scritture, non si dovrebbe seguire l‘ordine della Tradizione, che hanno
trasmesso a coloro a cui affidavano le Chiese?” (Adversus haereses 3.4.1)
La scrittura si trova nel contesto della tradizione orale e viva della chiesa, che concretizza. Ma se
non ci fosse, basterebbe consultare le chiese madri, perché in esse c’è la tradizione viva. La
memoria dell’uomo antico era molto forte e diveniva un elemento fondamentale (alcuni
memorizzavano la bibbia per intero).
Ci sono popoli che credono non per la scrittura ma per la tradizione orale viva ed hanno la nostra
stessa regula fidei (di cui scrive un esempio).
La Tradizione orale
“A quest‘ordine obbediscono molti popoli barbari che hanno creduto in Cristo e possiedono la salvezza,
scritta senza carta e inchiostro nei loro cuori mediante lo Spirito e custodiscono scrupolosamente l‘antica
Tradizione: essi credono in un solo Dio, Creatore del cielo e della terra….”, (Adversus haereses 3.4.2).
Malgrado l’universalità c’è unità di fede. Secondo J.H. Newman, se c’è un insegnamento che si
trova in quattro punti distanti e non c’è un segno chiaro di come si possa essere spostato, è una
prova del fatto che quell’insegnamento è apostolico e viene dal deposito della fede.
Universalità della Tradizione
“La Chiesa, benché disseminata su tutto il mondo abitato fino ai confini della terra, ricevette dagli apostoli e
dai loro discepoli la fede in un solo Dio….Ricevuto, come abbiamo detto, questo messaggio e questa fede, la
Chiesa, benché disseminata in tutto il mondo, lo custodisce con cura come se abitasse una sola casa; allo
stesso modo crede in queste verità, come se avesse una sola anima e lo stesso cuore; in pieno accordo queste
verità proclama, insegna e trasmette, come se avesse una sola bocca. Le lingue del mondo sono diverse, ma la
potenza della Tradizione è unica e la stessa. Né le Chiese fondate nelle Germanie hanno ricevuto o
trasmettono una fede diversa; né quelle fondate nelle Spagne o tra i Celti o nelle regioni orientali o in Egitto o
in Libia o nel centro del mondo (= le chiese di Roma ed Italia). Ma come il sole, la creatura di Dio, è in tutto
il mondo uno solo e il medesimo, così la luce spirituale, il messaggio della verità, dappertutto risplende e
illumina tutti gli uomini che vogliono giungere alla conoscenza della verità. Né, tra i capi delle chiese, colui
che è molto abile nel parlare insegnerà dottrine diverse da queste: ---nessuno, infatti, è al di sopra del
Maestro---né chi non è abile nel parlare impoverirà la Tradizione. Siccome la fede è una sola e sempre la
stessa, né chi è molto abile nel parlare di essa l‘arricchisce, né chi è poco abile la impoverisce ” (Adversus
haereses 1.10.1 – 2).
La verità è sempre la stessa, non dipende da chi la predica. Anche un uomo semplice può insegnarla
meglio di un sapiente.
6.11 La Sede Romana: lo sviluppo storico fino al Concilio di Calcedonia
“La ricerca ecclesiologica ha messo sempre più in rilievo la Communio (koinonia) tra le chiese e la funzione del
servizio petrino in tale contesto. L'espansione del cristianesimo portava a creare e fondare nuove comunità,
stabilendo un rapporto sentito e vitale tra chiese madri e chiese figlie. L'apostolicità si trasmette per mezzo di
generazione nella fede e cosi tutte le chiese sono apostoliche e cattoliche. Quelle chiese che conservarono una più
forte memoria della fondazione da parte di un apostolo, anche per la loro situazione strategica nel sistema politico
romano, godevano di maggiore autorevolezza. Cosi si svilupparono le grandi sedes apostolicae, con stima e rispetto
reciproco.
II concilio di Nicea, che non aveva 1'intento di stabilire un ordine precise di gradazione, riconosce Roma,
Alessandria e Antiochia (can. 6). II loro rango era riconosciuto anche nell'ordine civile. Tale decisione diede luogo
alla teoria delle tre sedi apostoliche petrine; Pietro è il fondatore della chiesa di Antiochia e di Roma, e in suo
nome Marco, detto discipulus oppure filius Petri, ha fondato la chiesa di Alessandria (cf. PL 13, 374D - 376A; PL
54, 1007). In altre parole, la preminenza delle tre sedi nasceva dall’importanza di Pietro e quindi da ragioni
apostoliche e non politiche.
“Nel concilio di Costantinopoli del 381 si inserisce nella triarchia petrina anche le sede imperiale, «perchè tale
città è la nuova Roma» (can. 3). II concilio aggiorna 1'organizzazione alla nuova situazione politica ed
ecclesiastica. D’ora in poi, nell'ordine gerarchico delle sedes quella romana viene collocata sempre al primo posto;
si costituisce per la prima volta la "pentarchia", che si afferma concretamente nel concilio di Calcedonia. Il vescovo
di Roma, in questa prospettiva, è uno dei cinque patriarchi, anche se e il primo (cf. Gregorio Magno, Ep. II, 50,
Registrum Ep., MGH vol. I, p. 154; in CCL 140, p. 136 e la II, 44), ma è il patriarca dell'occidente: praesidens
occidentalis Ecclesiae (Agostino, C. M. VI, 1,4, 13: PL 44, 648). La convinzione della Chiesa antica assegnava un
posto preminente al criterio di apostolicità storica, come criterio irrinunciabile e necessario per assicurare l’unita e
la comunione ecclesiale dell'unica Chiesa di Cristo. Tutte le chiese devono essere apostoliche, ma le chiese madri
hanno maggiore responsabilità, anche per la loro organizzazione, per «essere ed apparire in modo più evidente
degli altri troni apostolici». L'apostolicità è qualcosa di storico e dimostrabile anche attraverso la redazione delle
liste episcopali delle singole chiese, le quali liste sono una catena di trasmissione del "deposito" originario e fedele
e permettono la verifica dell'autenticità di esso.
“Il discorso del paragrafo precedente ci introduce al ruolo storico di mediazione e di unità ecclesiale che svolgeva
il vescovo di Roma sin dai primi secoli. Questo ruolo era stato svolto nei primi decenni dell'espansione cristiana
dalla comunità madre di Gerusalemme. II suo declino è determinato sia dalla rigida posizione di difesa della
tradizione giudaica con il conseguente ridimensionamento della posizione di Pietro, accusato di troppa apertura al
mondo pagano e di lassismo verso la tradizione legalistica giudaica, sia dalle vicende storiche della guerra
giudaica. Pietro viene presentato da Paolo come l’incaricato della mis-sione ai giudei della diaspora di lingua
greca. La scomparsa delle "colonne" e degli altri grandi missionari arreca il pericolo della frantumazione delle
comunità cristiane, anche perché nelle città maggiori forse esistevano più gruppi con tendenze e organizzazione
diverse. Scomparsa la chiesa madre, i punti di riferimento diventano gli apostoli e i luoghi della loro missione, in
particolare Roma, che raccoglie l’eredità di Pietro e Paolo e anche di Gerusalemme. Ragioni apostoliche, politiche,
commerciali, economiche e sociali conferiscono alla Chiesa di Roma, centro dell'ecumene, una posizione
privilegiata, e quindi d'incontro e di contatto tra le comunità (cf. i saluti in Rm 16; 1 Pt 5, 13; Col 4, 16). Cosi la
comunità romana svolge un ruolo unitario e di mediazione riconosciuto ed accettato; le Chiese comunicavano tra
loro già dal secondo secolo mediante 1'azione di Roma (cf. Eusebio, Stor. Ecc. 5, 25; 6, 43, 3). La Chiesa romana
godeva di grande prestigio sin dagli inizi del cristianesimo; Paolo scrive ad essa una lettera piena di
considerazione, pur non essendo una comunità da lui fondata, e loda la sua fede «che si espande in tutto il mondo»
(Rm 1, 8). La prima lettera di Pietro, indirizzata ai cristiani di alcune province anatoliche, proviene dalla Chiesa
romana. In continuità con essa, alla fine del primo secolo la Prima Clementis è un autorevole
intervento della comunità romana in occasione delle discordie scoppiate a Corinto; essa si
colloca nel clima di solidarietà per offrire un aiuto a una Chiesa sorella in difficoltà. Anche
verso il 170 Roma scrive di nuovo ai corinzi (Eusebio, Stor. Ecc. 4, 23, 11). Nella Lettera di
Clemente il riferimento al martirio di Pietro e Paolo (cap. 5) e alla successione apostolica come
garanzia dell'ordine nella comunità già preannuncia la dottrina della sollecitudine romana per
tutte le chiese. II prologo della lettera di Ignazio ai romani e la menzione di Pietro e Paolo (cap.
4) mettono in rilievo il suo primato nella fede e nella carità. Egli fa riferimento anche
all'abitudine di scrivere lettere da Roma: «Voi avete insegnato» (3, 1). Ireneo di Lione, gia
citato, afferma 1'esigenza di essere in armonia con la dottrina della Chiesa romana; Tertulliano
(De praescr. 32 e 36: «Se raggiungi 1'Italia cola troverai Roma dalla quale anche a noi viene 1'
autorità») e Origene (Eusebio, Stor. Ecc. 6,14,10) indirettamente dicono la stessa cosa. Avere
rapporti stretti con la Chiesa romana, anche dalle province orientali dell'Impero romano,
testimoniava la sua grande autorità; informarla di quanto avveniva altrove era un atto di
fiducia. I suoi interventi autorevoli in diverse direzioni e su argomenti dottrinali, sia in Oriente
che in Occidente, veniva-no sollecitati. L'afflusso di cristiani da ogni dove faceva diventare
Roma un centro ben informato su quanto avveniva altrove e in qualche modo le imponeva di
intervenire nelle comunità lontane. La sollicitudo romana si concretizzava anche sul piano
assistenziale.
“Nei secoli seguenti la Chiesa romana considera sua prerogativa la custodia fidei et disciplinae
(cf. Leone Magno, Ep. 115, 1). Con papa Damaso (366-384) la sede romana rafforza la sua idea
di centralità anche con 1'utilizzo del testo di Matteo 16, 18ss.; Siricio papa (384 - 399)
considera la sollicitudo omnium ecclesiarum (2 Cor 11, 28) una prerogativa della sede romana.
II termine sollicitudo dalla fine del IV secolo diventa usuale nella cancelleria pontificia. Essa
per i paesi latini viene esercitata anche attraverso le decretali, lettere pontificie autorevoli che
sono inserite nel diritto canonico, per le causae maiores. Leone Magno, che afferma con vigore il
ruolo primaziale della sedes apostolica al servizio della fede di tutte le Chiese, rispetta le
decisioni dei sinodi locali, le consuetudini e i diritti degli altri vescovi che costitui-scono insieme
con lui il collegium caritatis (Epp. 5, 2; 6, 1; 12, 2). Tuttavia, la primazia e l’influenza della
Chiesa romana variava da chiesa a chiesa, da regione a regione e a seconda dei tempi.
Nell'antichità ogni vescovo in qualche modo si sentiva coinvolto nella sollicitudo omnium
ecclesiarum. Se da una parte questo favoriva l’aiuto e il sostegno reciproco, dall'altra poteva
causare sconfinamenti e ingerenze in altre sedi episcopali. Le decisioni dei concili ecumenici
sulle circoscrizioni ecclesiastiche ebbero lo scopo di conservare le competenze di ciascuna
Chiesa. Lo storico Socrate afferma che le decisioni del concilio di Costantinopoli del 381 furono
prese per evitare intromissioni in altre diocesi e in altre eparchie (insieme di più diocesi) (Storia
ecc. V, 8). Questo dato di fatto e indipendente dalla riflessione teologica posteriore, ma nasce
dalla consapevolezza che l’unità dell'unica Chiesa comportava un ordine pur nel governo
collegiale. Un tale ruolo di rnediazione di Roma divenne quasi esclusivo tra Oriente e
Occidente, poiché i contatti diretti tra le Chiese orientali e quelle occidentali andavano
riducendosi nella tarda antichità e nell'alto medioevo, sia per la separazione politica sia per le
difficoltà linguistiche. Soltanto Roma, nell'alto medioevo, era in grado di svolgere questa
mediazione sia attraverso 1'azione di un delegato romano permanente a Costantinopoli
(apocrisario) dal tempo di Leone Magno, sia per la presenza a Roma di comunità monastiche di
lingua greca. Diversi apocrisari divennero vescovi di Roma, e quindi in grado di conoscere la
chiesa di Costantinopoli. Le regioni orientali oltre i confini dell'Impero avevano una maggiore
autonomia, rispetto a tutti i patriarchi, la quale divenne lentamente scissione dopo il concilio di
Calcedonia del 451” ( Angelo di Bernardino, “Lo Sviluppo degli Studi Patristici”, La Teologia
del XX Secolo: un bilancio, vol. I, 335- 338).
Sezione 7: Gnosticismo: la minaccia degli gnostici, Marcione e Valentino
1. LO GNOSTICISMO
1. Elementi Generali
Sistema di pensiero antecedente al pensiero cristiano.
(1) Un prodotto di sincretismo ellenistico (di idee greche ed orientali) susseguente alle conquiste di
Alessandro Magno.
(2) Parassitico: Usa le idee delle altre religioni come un parassita.
(3) Una mitologia propria creata da materia straniera (parlano di Dio Padre, Dio Figlio… ma per
loro dio è padre perché ha una moglie e dei figli, di cui il primo è il Figlio… ma c’era un dio prima
di loro…)
(4) Una “conferma” della rivelazione primordiale
2. Fonti
(1) Scritti anti-eretici dei Padri (ad esempio l’Adversus haereseis). Conosciamo gli gnostici prima di
tutto attraverso gli scritti dei padri. Questo è un punto debole della nostra conoscenza degli gnostici,
perché dipendiamo da come ci sono riportate le cose.
(2) La Biblioteca Nag Hammadi (scoperta nel 1945 nel deserto d’Egitto). Sono stati ben conservati
13 codici copti. In essi sono riportati 50 trattati distinti. Codici sotterrati circa nel 400 d.C. Da
quegli scritti propriamente gnostici si vede che Ireneo ci ha riportato abbastanza fedelmente le loro
credenze.
3. Una conoscenza salvifica che unisce
L’idea centrale è che è una conoscenza che salva. Gli gnostici sono coloro che hanno questa
conoscenza che libera e redime. È una conoscenza esoterica e rivelata soltanto ad un elite capace di
ricevere questa rivelazione (tipico dell’uomo).
4. Un riassunto basico del mito gnostico
(1) Una scintilla divina nell‘uomo
(2) Proveniente dal mondo divino
(3) Cade nel mondo di destino, nascita e morte (la materia è negativa)
(4) Dev’essere risvegliata dalla sofia
(5) Quindi, uno sviluppo all’ingiù (discendente) dal divino
(6) Sophia deve ricuperare la scintilla divina. È lei la responsabile, che ha fatto cadere la scintila dal
cielo e che cerca di recuperarla e riportarla al cielo
5. Anti-cosmico
C’è un forte dualismo tra la materia e lo spirito. Il mondo materiale è il prodotto di una tragedia
divina. Il dio inferiore è un demiurgo cattivo. Lo stesso uomo è un micro-cosmo: in lui c’è la
scintilla e c’è il corpo (un po’ come Platone). Eppure non tutti gli uomini hanno questa scintilla. Nel
vangelo di Giuda, Giuda è il migliore apostolo e compagno di Gesù, non lo tradisce perché lo aiuta
ad arrivare alla croce, dove quella scintilla divina viene liberata da questo corpo che è cattivo.
Gli gnostici utilizzavano i vangeli cristiani per parlare della loro filosofia. Ad esempio «la verità vi
farà liberi». La verità di chi siamo noi ci libera da questa prigione di destino, della materia.
6. Liberazione attraverso auto-conoscenza
Conoscenza salvifica
“E perfetta redenzione la conoscenza stessa della Grandezza ineffabile. Dal momento che la caduta e la
passione sono derivate dall’ignoranza, tutto ciò che si è formato a causa dell’ignoranza si dissolve per mezzo
della conoscenza, così che la gnosi è la redenzione dell’uomo interiore. Ed essa non è corporea, perché il
corpo è corruttibile, né psichica, perché l’anima deriva dalla caduta ed è per così dire il ricettacolo dello
spirito. Dunque la redenzione dev’essere spirituale. L’uomo interiore e spirituale è, infatti, redento per mezzo
della gnosi ed essi si accontentano della conoscenza di tutte le cose. E questa è la vera redenzione” (Adversus
Haereses 1.21.4).
L’anima è un risultato della caduta dell’intelletto (nous): riceve l’intelletto, ma è un intelletto
raffreddato (psuche).
“Quando uomo conoscerà sé stesso e Dio chi è sopra la verità, sarà salvato, e sarà coronato con la corona
che non marcisce” (Nag Hammadi IX, 3: La Testimonianza di Verità 45).
Tutte queste teorie si ripetono nel New Age dove si trova quel desiderio di avere quella conoscenza
privata ed esoterica. È una tendenza accattivante che ha molta presa oggi.
7. Le figure gnostiche del redentore
Il dio supremo comunica attraverso dei messaggeri il suo messaggio salvifico. Queste figure
sorgono indipendentemente dal cristianesimo. Ma quando lo gnosticismo incontra il cristianesimo,
Cristo viene identificato come uno degli esseri prominenti di luce: il figlio del padre supremo, il
primo rivelatore e redentore. La figura del redentore gnostico riceve una certa storicità da Cristo,
che a sua volta è mitologgizzato dallo gnosticismo. Si crea così una spaccatura tra il Gesù storico e
il Gesù della fede, tipicamente gnostica, che vede un essere mistico e misterico scendere sull’uomo
Gesù della storia. Questa figura del redentore, rivela, durante i quaranta giorni tra la risurrezione e
l’ascenzione, le conoscenze gnostiche ad un gruppo di elite. Il libro di Morone (mormone) dice che
dopo la risurrezione Gesù è apparso agli indiani degli Stati Uniti facendogli una rivelazione.
8. Docetismo
Di solito l cristologia gnostica è doceta, perché il corpo è cattivo: una figura celeste, quindi, non si
incarna veramente, ma dà solo l’impressione di essere incarnato, di essere uomo. L’origine di
questo pensiero non è necessariamente gnostico, perché c’è anche un docetismo ortodosso: quando i
padri parlano delle teofanie dell’AT, per loro sono sempre cristofanie: Dio si presenta, ma senza
una vera incarnazione. Ma dopo l’incarnazione è chiaramente un eresia parlare di Gesù come
fantasma.
(1) Basilide
La Passione di Gesù Cristo secondo Basilide
“Il Padre ingenerato e innominato, vedendo la rovina di tutti costoro, ha mandato il suo primogenito,
l’Intelletto---e questo è colui che è chiamato Cristo – per liberare quanti avrebbero creduto in lui dal potere
degli angeli che avevano creato il mondo. Alle genti di costoro egli è apparso in terra come uomo ed ha
compiuto prodigi. Perciò non ha patito lui; ma un certo Simone di Cirene, costretto, ha portato la croce di lui
al suo posto: questo è stato crocifisso per ignoranza ed errore, in quanto Cristo lo aveva trasformato sì che si
credesse che fosse lui Gesù. Gesù invece aveva assunto l’aspetto di Simone e stando lì vicino irrideva i
crocifissori. Infatti egli era la Potenza incorporea e l’Intelletto del Padre ingenerato: perciò si è trasformato
come voleva ed è asceso a colui che lo aveva mandato, prendendosi gioco di quelli, poiché non poteva esser
preso ed era invisibile a tutti. Pertanto coloro che sanno queste cose sono stati liberati dagli arconti creatori
del mondo. E non bisogna professare fede in quello che è stato crocifisso, ma in colui che è venuto in aspetto
di uomo ed è stato creduto crocifisso, è stato chiamato Gesù ed è stato mandato dal Padre, per distruggere
con tale disposizione le opere dei creatori del mondo. Se pertanto qualcuno professa fede nel crocifisso,
questi è ancora servo e sotto il potere di quelli che hanno creato i corpi: invece chi lo avrà rinnegato, è libero
dal potere di quelli e conosce la disposizione del Padre ingenerato”, (Adversus Haereses 1.24.4).
Gli arconti creatori del mondo sono sempre cattivi. C’è una lotta cosmica tra il Padre ingenerato e
gli arconti creatori del mondo. È interessante che nel Corano c’è una negazione esplicita della morte
di Gesù sulla croce. È molto probabile che Mohammed conoscesse il cristianesimo attraverso gli
gnostici, perché la somiglianza è forte.
(2) Cerinto
La Cristologia di Cerinto
“Anche un certo Cerinto insegnò in Asia che il mondo non è stato fatto dal primo Dio, ma da una potenza
molto separata e distante dal principato che è al di sopra di tutte le cose, e che questa Potenza non conosce il
Dio che è al di sopra di tutte le cose. Aggiunse che Gesù non è nato dalla Vergine, perché ciò gli sembrava
impossibile, ma era figlio di Giuseppe e di Maria, come tutti gli altri uomini, e valeva più di tutti in giustizia,
prudenza e sapienza. Dopo il battesimo discese su di lui, dal Principato che è al di sopra di tutte le cose,
Cristo in forma di colomba, ed allora annunziò il Padre ignoto e compì i miracoli; alla fine Cristo volò via
ancora da Gesù e Gesù patì e risuscitò, mentre Cristo rimase impassibile, essendo spirituale” (Adversus
Haereses 1.26.1).
Il demiurgo che ha fatto il mondo (il Dio di Israele?) è un ignorante, perché non sa che al di là di lui
ci sono altri dei. L’uomo Gesù e il Cristo sono due cose diverse: soffre l’uomo Gesù, non Cristo.
Come si vede, lo gnosticismo ha un mito generale di base, ma poi ogni corrente ha le sue idee le sue
caratteristiche, personaggi, storie.
Se il dio creatore, quello dell’At è cattivo, allora tutto ciò che appare di buono nell’At è cattivo e ciò
che appare cattivo è buono. C’è un ribaltamento completo, come si vede nel testo che segue.
Un’esegesi gnostica positiva del serpente di Eden: La Testimonianza di Verità dalla
Biblioteca Nag Hammadi
E scritto nella Legge per quanto concerne questo, quando Dio diede [un comandamento ] ad Adamo, ‘Da ogni
[albero] voi potrete mangiare, [però] dall’albero che è in mezzo al Paradiso non mangiate, perché il giorno
che voi mangerete da esso voi morirete sicuramente.’ Però il serpente era più saggio 46 di tutti gli animali che
erano in Paradiso, ed egli persuase Eva, dicendo ‘Il giorno in cui voi mangerete dall’albero che è in mezzo al
Paradiso, gli occhi della vostra mente saranno aperti.’ Ed Eva ubbidì e stese la mano; ella prese dall’albero;
ne mangiò; ella diede anche al suo marito con sé. E subito essi seppero di essere nudi, e presero dei fogli di
fico e si fasciarono.
Però [Dio] venne di sera, camminando in mezzo del Paradiso. Quando Adamo lo vide, si nascose. Ed Egli
disse, ‘Adamo, dove sei?’ Egli rispose [e] disse, ‘Sono venuto sotto il fico.’ E proprio in quel momento Dio
seppe che lui aveva mangiato dall’albero del quale Dio gli aveva comandato, ‘Non mangiare di esso.’ Ed egli
gli disse, ‘Chi è 47 che gli ha istruito?’ Ed Adamo rispose, ‘La donna che tu mi ha dato.’ E la donna disse, ‘ Il
serpente è colui che mi ha istruito.’ Ed egli maledisse il serpente, e lo chiamò ‘diavolo’. Ed egli disse, ‘ Ecco,
Adamo è diventato come uno di noi, conoscendo il male ed il bene.’ Poi disse, ‘Scacciamolo via dal Paradiso
per paura che lui prenda dall’albero della vita e mangi e viva per sempre.’
Però che tipo è questo Dio? Prima invidiò Adamo che egli mangiasse dall’albero della conoscenza.
E poi egli disse, ‘Adamo, dove sei?’ E Dio non ha prescienza, cioè, perché non sapeva questo dal principio.
[E] dopo egli disse, ‘Scacciamolo via dal Paradiso per paura che lui mangiasse dell’albero della vita e
vivesse per sempre.’ Senza dubbio egli si manifestò particolarmente invidioso. E 48 che tipo di Dio è questo?
Perché grande è la cecità di coloro che lessero, e non ne ebbero conoscenza. Ed egli disse, ‘Io sono il Dio
geloso; imporrò i peccati dei padri sui figli fino alla terza [ed] alla quarta generazione.’ Ed egli disse,
‘Indurirò il loro cuore, e farò che la loro mente diventi cieca affinché né sappiano né capiscano le cose dette.’
Però queste cose egli dice a coloro che credono in lui e lo servono!
E [in un] luogo Mosè scrive, ‘[Egli] fece del diavolo un serpente per [coloro] che egli ha nella sua
generazione.’ In un altro libro, che è chiamato ‘Esodo’, è scritto dunque (cf. 7: 8-12): ‘Egli combatté contro
[maghi], quando il luogo era pieno [di serpenti] secondo la loro [iniquità; e il bastone] che era nella mano di
Mosè diventò un serpente (e) inghiottì i serpenti dei maghi.’
Ancora è scritto (Numeri 21:9), ‘Egli fece un serpente di rame (e) lo mise sopra l’asta 49 […] che
[…] in maniera tale che [chiunque avesse a guardare questo serpente] di rame, nessuno [avrebbe potuto
distruggerlo], e chiunque che [crederà in] questo serpente di rame [verrà salvato].
Perché questo è Cristo; [coloro che] credono in lui [avranno ricevuto la vita]. Coloro che non
credono [moriranno]” (Nag Hammadi IX, 3: La Testimonianza di Verità 45-49).
Eva era ubbidiente e il serpente la istruisce. Dio non ha prescienza ed è geloso delle sue conoscenze che opprime quelli
che lo servono. Si prendono riferimenti dalla scrittura vedendo il serpente come una cosa buona in opposizione a Dio.
Zamarro, che ha vinto un nobel per la letteratura, ha scritto un romanzo su Caino descrivendo un dio cattivo, che è da
rifiutare assolutamente. Usa l’AT per attaccare la fede, esattamente come facevano gli gnostici.
2. MARCIONE
Si trova tra la tradizione Gnostica e quella cristiana paolina. Viene da Sinope in Asia Minore; suo
padre era il vescovo locale. Si stabilì a Roma nel 139 (tutti si spostavano a Roma). Venne ripudiato
a Roma nel 144, e fondò la sua chiesa. Morì nel (quindi contemporaneo di Giustino, di Erma e di
Valentino). Giustino scrive quindi le apologie dicendo agli imperatori che devono saper distinguere
i veri cristiani da quelli che si dicono tali.
Antitesi fra il Dio Creatore della Legge ed il Dio di Salvezza. sono due dei opposti: il Dio della
creazione e della legge è cattivo e ignorante, è un Dio giusto ma non misericordioso. Il Dio della
salvezza, invece, quello del Nt, è buono ma sconosciuto perché al di là del cielo. È lui che manda
Gesù nel mondo di disperazione e di miseria. La morte di Gesù sulla croce è voluta dal dio creatore
e ignorante, ma sulla croce c’è un fantasma, non il vero Gesù. Nella sua discesa agli inferi, Gesù
redime tutti i condannati dell’AT, tranne i giudei virtuosi, lasciati indietro perché obbedienti al Dio
creatore.
La redenzione si ottiene per mezzo della legge (riprende Paolo) e per questo esalta la vita ascetica.
Marcione è il primo a proporre un canone neotestamentario: il vangelo di Luca e dieci lettere di
Paolo (ma senza alcun elemento giudaico). Siamo agli inizi del processo di canonizzazione:
Marcione dà la provocazione.
Ha dei caratteri gnostici (crede nel demiurgo, è anti-materiale), eppure la sua antropologia non é
gnostica: non c’è alcuna affinità tra Dio e l’uomo, che non ha in sé una scintilla divina. L’anima
umana è macchiata. Non c’è una speculazione mitologica. È un biblista più che un teologo
speculativo.
Secondo Marcione, l’insegnamento di Gesù è stato mescolato con altri elementi nel NT, dai quali
tale insegnamento deve essere liberato. Il principio della giustizia e dell’amore sono in opposizione
stretta, come la religione di esteriorità legale ed una di interiorità spirituale. La sua è una prima
forma sistematica di anti-semitismo teologico. La prima forma di anti-semitismo, quindi, non viene
dalla chiesa, ma da una tendenza eretica.
3.
VALENTINO
È il più grande gnostico del II secolo. nato probabilmente in Egitto, si convertì al cristianesimo ad
Alessandria; ma il cristianesimo che conobbe, probabilmente, era uno gnosticismo. Arrivò a Roma
nel 140 e fondò una scuola (come fece Giustino). Rifiutato dalla chiesa di Roma, morì nel 160.
Valentino ha un sistema molto fantasioso, con una mitologia piuttosto profonda. Insisteva sulla
rivelazione divina di ciò che insegnava (come fanno i mormoni: l’autorità delle loro dottrine è
fondata su rivelazioni private e c’è così una grande libertà di pensiero ed un evoluzione difficile da
ricostruire).
J. Kelly descrive bene il pantheon di Valentino:
Secondo Valentino, al di sopra e al di là dell’universo si trova il Padre supremo, Bythos, Monade ingenerata e
perfetto eone, e accanto a lui Sige (Silenzio), che è la sua Ennoia (Pensiero). Da questi procedono per
emanazioni successive tre paia di eoni, Nous (o Monogenes) e Aletheia (Verità), Logos e Zoe (Vita),
Anthropos (Uomo) ed Ecclesia (Chiesa) completando così l’Ogdoade. Da Logos e Zoe procedono cinque paia
(la Decade) e da Anthropos ed Ecclesia sei paia successive di eoni (la Dodecade). Questi trenta formano il
Pleroma, o pienezza di Dio, ma soltanto l’unigenito Nous ha la possibilità di conoscere e rivelare il Padre.
Tuttavia il più basso dei trenta eoni, Sophia, aveva un desiderio incomprimibile di conoscere la sua natura.
Essa soffrì per il desiderio colpevole che aveva concepito (Enthymesis), e sarebbe stata dissolta nel Tutto se
Horos (Limite, chiamato anche Stauros, o Croce), nominato guardiano del Pleroma, non l’avesse convinta che
il Padre è incomprensibile. Sophia abbandonò così la sua passione e le fu concesso di rimanere nel Pleroma.
Intanto Nous e Aletheia, per ordine del Padre, avevano prodotto una nuova coppia di eoni, Cristo e lo Spirito
Santo, per istruire gli eoni sul loro vero rapporto con lui. Essendo così stato ristabilito l’ordine, essi cantano
le lodi del Padre e producono il Salvatore Gesù frutto perfetto del Pleroma.
Ma che cosa accadde del mostruoso frutto del concepimento di Sophia, Enthymesis, esiliata dal pleroma, nota
ora come Sophia inferiore o Achamoth? Mentre essa vaga ancora nel vuoto senza vita, la sua angoscia fa
nascere la materia, mentre dal suo desiderio di Cristo nasce lo ‘psichico’ (ψυχικο,ν) o elemento-anima.
Quindi Cristo ha pietà di lei e discendendo dalla Croce (Horos) imprime una forma alla sua informità. Come
effetto essa dà alla luce la sostanza spirituale, o ‘pneumatica’. Da questi tre elementi – materia, psiche e
pneuma – venne all’essere il mondo. Prima la Sophia formò un Creatore, o Demiurgo, dalla sostanza fisica,
come immagine del Padre supremo. Il Demiurgo, che in realtà è il Dio dell’Antico Testamento, creò poi il
cielo e la terra e le creature che lo abitano. Quando fece uomo, egli fece prima ‘l’uomo terreno’, e poi vi
soffiò la propria sostanza psichica; ma a sua insaputa Achamoth pose lo pneuma, o spirito, nato da lei,
nell’anima di alcuni uomini. Questo elemento spirituale anela a Dio e la salvezza consiste nella sua
liberazione dagli elementi inferiori ai quali è unito. Questo è il compito che il Salvatore Gesù porta a termine.
Secondo la loro costituzione, vi sono tre classi di uomini: l’uomo carnale o materiale, l’uomo psichico e
l’uomo pneumatico. Coloro che sono carnali non possono essere salvati in alcun modo, mentre per giungere
alla redenzione lo pneumatico ha solo bisogno di apprendere l’insegnamento di Gesù. L’uomo psichico può
essere salvato, anche se con difficoltà, attraverso la conoscenza e l’imitazione di Gesù”, (J. N. D. Kelly, Il
Pensiero Cristiano delle Origini, 34-35).
La tradizione gnostica non ammette la salvezza di tutti gli uomini: è impossibile per principio che
alcuni uomini siano salvati perché ci sono uomini che per natura – poiché sono carnali – non
possono essere salvati (l’apparenza esteriore basta a capire che tipo di uomo è: per questo non c’è
da preoccuparsi se si vede un uomo messo male, è carnale, non c’è niente da salvare in lui). Uno
schema per rappresentare l’idea di Valentino:
La Pleroma (30 eoni in 15 paia)
Il Padre Supremo [Bythos]
  Silenzio [Sige]/ Pensiero [Ennoia]
Monogenes [Nous]
  Verità [Aletheia]
( Cristo e lo Spirito Santo)
Verbo [Logos]
  Vita [Zoe]
 la Decade (5 paia successive di eoni)
Uomo [Anthropos]
  Ecclesia [Chiesa]
 la Dodecade (6 paia successive di eoni)
________________________________________________________
L’ultimo eone = Sophia
l’Ogdoade
Gesù = il frutto perfetto del Pleroma
__________________________Horos (il Limite della Pleroma)______________________________________
Sophia Inferiore/ Achamoth
[Enthymesis]  fa nascere la materia
Il mondo materiale______________________________________________Demiurgo / il Dio Creatore dell’AT
(ignorante ed arrogante: “Io sono l’unico Dio!”)
Uomini terreni e psichici
1) creati secondo l’immagine dell’Anthropos, quindi sono superiori al loro creatore
2) nell’anima di alcuni uomini Achamoth pone lo pneuma che anela a Dio
Nella lettera agli smirnesi, dove Ignazio parla ai doceti (che negano la vera carne di Gesù e quindi
l’eucarestia), abbiamo letto:
«Nessuno si lasci trarre in inganno: anche gli abitanti del cielo e gli angeli, con tutta la loro gloria, e i
principi visibili e invisibili, se non credono nel sangue di Cristo, anch’essi non sfuggiranno al giudizio. Chi
può intendere intenda! Nessuno s’inorgoglisca per il posto che occupa, poiché tutto sta nella fede e nella
carità, delle quali non c’è nulla di più eccellente. 2. Osservate come sono contrari al pensiero di Dio coloro
che professano l’errore intorno alla grazia di Gesù Cristo, venuta a noi. Essi non si curano della carità, né
della vedova, né dell’orfano, né dell’oppresso, né di chi è prigioniero o è stato liberato, né di chi ha fame o
sete».
Gli gnostici svolgevano un qualch e servizio di diaconia o altro? Se si vuole un rapporto di giustizia
sociale, ci vuole l’ortodossia di Cristo: coloro che lo rifiutano in qualche cosa non conoscono la sua
carità.
In Iraq c’è una comunità che si dice discepola di Giovanni Battista. Sono ancora manichei vivono
una teologia anti-cosmica. A Sidney c’è una loro comunità.
Lo gnosticismo fa leva sul grande fascìno (come dice) che esercita l’esoterismo.
Sezione 8
L’ambiente alessandrino tra II e III secolo: Clemente ed Origene. Principali temi della
“ricerca” teologia origeniana (riflessione trinitaria, antropologia). Alessandria nel IV secolo
ed Atanasio.
1. LA SCUOLA ALESSANDRINA
Alessandria fondata nel 331 a.C. da Alessandro Magno
Alessandria fu fondata nel 331 a.C. da Alessandro Magno. Era il crocevia delle più grandi civiltà
del mondo antico, e quindi una città veramente cosmopolita.
Tradizione giudaica
In questa città nacque una comunità ebraica (Filone, nato 20 anni prima Cristo e morto 20 anni dopo
la morte di Cristo), e più tardi una cristiana. Fu lì che fu tradotta la LXX. I greci già leggevano la
scrittura in modo allegorico: per salvaguardare i testi classici della loro mitologia, infatti, i più
illuminati, li re-interpretarono. È ciò che fece Filone nella spiegazione di Gn: cercò di superare gli
antropomorfismi spiegandoli con l’allegoria.
(1) Filone (20 a.C. – 50 AD)
(2) La Settanta (LXX)
(3) Metodo allegorico
La Scuola Alessandrina
Questa scuola È il più vecchio centro di scienze sacre dell’antico oriente. Era un modo di
comunicare la fede ai catecumeni più intellettuali.
(1) Per i convertiti più colti
(2) Indagine metafisiche della fede
(3) Filosofia filo-platonica
(4) Esegesi allegorica
(5) I primi capi della cosiddetta scuola
1.
Panteno = il ‘fondatore’
2.
Clemente Alessandrino
3.
Origene (istituì una scuola propria, centro di istruzione dei catecumeni: la
prima università teologica nell’antichità cristiana; nel 220 divise la scuola
in due livelli: mantenne la guida del livello superiore – catecumeni – e
lasciò ad Eracla la formazione dei candidati al catecumenato)
• Eracla = discepolo di Origene
2. CLEMENTE ALESSANDRINO
Tito Flavio Clemente = nato tra il 140 ed il 150 ad Atene (o Alessandria), da genitori pagani, fu lui
stesso a convertirsi.
Un ‘filosofo itinerante’ per la formazione culturale: cercando la verità, la sapienza viaggiò molto
(Magna Grecia, Medio Oriente, Egitto, Alessandria  Panteno). Ma sembra si sia convertito prima
di questi viaggi.
Rimase venti anni ad Alessandria durante i regni di Comodo e di Settimio Severo. Non è sicuro il
suo stato: ci sono ipotesi che fosse ordinato, ma potrebbe essere stato un semplice laico. Fuggì la
persecuzione anticristiana di Settimio Severo (202/203)
Morto in Palestina (o Cappodocia) nel 215/216
Per lui, Il vero gnostico = il cristiano perfetto
La filosofia greca = propedeutica per il cristianesimo
Tre opere principali
• Il Protreptico
• Il Pedagogo
• Gli Stromati
Προτρεπτικος (critica servera d mitologia greca e del culto pagano)
Παιδαγωγος
Στρωµατεις (letteralmente «stracci», raccolta di vari pensieri)
È stato di certo un erudito che ha cercato di armonizzare la filosofia greca con il Vangelo,
mostrando che non c’è conflitto. Insegnava il cristianesimo alla ricca comunità di Alessandria (di un
certo livello culturale, oltre che economico).
La conoscenza cristiana di Dio è superiore sia a quella ebrea, sia a quella greca. La vera sapienza,
infatti, viene dal logos. È il logos incarnato che insegna ai cristiani. La salvezza del cristiano è la
gnosi di realtà spirituali sconosciute prima di Cristo. Cristo, logos incarnato, insegna la verità. I
cristiani sono discepoli di Dio stesso. Il cristiano, quindi, è il vero gnostico, ma non nel senso
eretico. Clemente parla di uno gnosticismo genuino. Esso vive distaccato dalle passioni, ha vinto il
peccato per la grazia di Dio ed è arrivato all’ απαθεια, la libertà dal turbamento interiore che
risulta dal peccato. Esso dunque vive una vita virtuosa caratterizzata da un equilibrio interiore. E
questo perché vive unito a Dio. non è un semplice fedele. Per Clemente ci sono due livelli: i
semplici, che semplicemente credono e gli gnostici (anche se dice «solo lo gnostico è il vero
cristiano»), che cercano di capire la loro fede con l’intelligenza e di difendere la sua fede con le
armi della dialettica e con l’aiuto del sapere enciclopedico proveniente dalla cultura greca. Il
cristiano, quindi è un uomo con grande potere di ascetismo. Capisce il livello spirituale della lettera
che legge. Tre sono i momenti classici della vita spirituale:
1. abbandono i vizi
2. conoscenza di Dio in tutte le cose (conoscenza naturale di Dio)
3. Contemplazione mistica di Dio
Ciò che i maestri domenicani hanno chiamato via purgativa, via illuminativa e via unitiva.
Per Clemente la filosofia è un dono di Dio agli uomini, un opera di provvidenza: Dio stesso ne è
l’autore, come è l’autore della fede. La filosofia è propedeutica alla fede: gli prepara la strada. In
quanto punto di partenza, non scopre la verità tutta intera, ma solo quella parziale, perché si arriva
alla pienezza della verità solo per la fede. Tutti coloro che cercano la verità possiedono una qualche
porzione del Verbo di Verità (come i germi del verbo). I filosofi sono riusciti a vederla
parzialmente. È interessante il modo in cui spiega la conoscenza dei filosofi: sono arrivati o per la
ragione umana (come dice Giustino) oppure per mezzo di un ispirazione divina (diversamente da
Giustino). I cristiani arrivano alla perfezione della verità perché sono essi stessi discepoli di Dio. La
filosofia aiuta chi cerca la verità solo a distanza (la via breve è la scritture cristiane, in cui è il Verbo
stesso che istruisce).
In tutti gli uomini è instillato un “certo divino efflusso”, ciò che egli chiama «αποροοια». Origene
usa questa parola per descriver l’atto con cui Dio illumina i profeti ebrei. C’è anche un ispirazione
chiamata «επιτνοια» cui si attribuisce la tradizione monoteistica greca (Giustino usa questa parola
per spiegare come Dio ha ispirato Mosè). L’ispirazione divina nella filosofia greca e nella
tradizione giudaica è diversa non per genere, ma solo per grado.
La filosofia greca (cf. 8.26)
“Orbene, prima della venuta del Signore la filosofia era ai Greci necessaria per giungere alla
giustizia; ora diviene utile per giungere alla religione: essa è in certo modo una propedeutica per coloro che
intendono conquistarsi la fede per via di dimostrazione razionale. ‘Il tuo piede’ dice la Scrittura ‘non c’è
rischio che inciampi’: purché riconduca alla provvidenza ciò che è bene, greco o nostro che sia. Di tutte le
cose che sono buone è causa Dio: di alcune in modo diretto, come per esempio dell’Antico e del Nuovo
Testamento, di altre mediatamente, come della filosofia. Potrebbe anche darsi che la filosofia fosse stata data
ai Greci quale bene primario, avanti che il Signore li chiamasse, poiché anche essa educava la grecità a
Cristo, come la legge gli Ebrei. Perciò la filosofia serva a preparare, aprendo la strada a colui che sarà reso
perfetto da Cristo.” (Gli Stromati I.5.28.1-3).
Il momento decisivo è l’incarnazione. Dopo la filosofia non è più indispensabile, anche se è utile
perché porta alla fede. Filosofia e Antico Testamento sono due strade che portano a Cristo, ma non
sono sullo stesso livello: Dio è la causa indiretta della filosofia, e diretta dell’AT. La filosofia, poi,
non perfeziona l’uomo. Infatti:
La filosofia greca: una preparazione alla ‘gnosi’
“…la filosofia greca purifica, si direbbe, ed abitua preliminarmente l’anima all’accoglimento della fede, sulla
quale poi la verità costruisce la ‘gnosi’.” (Gli Stromati VII.3.20.2.)
La filosofia aiuta ma da lontano:
Superiorità della fede cristiana (cf. 8.18,19)
“E se la filosofia coadiuva alla scoperta della verità anche solo da lontano, tendendo con sforzi molteplici
verso quella dottrina nostra che è strettamente congiunta con la verità, essa coadiuva , s’intende, colui che s’è
impegnato a raggiungere la ‘gnosi’ con la ragione. Tuttavia la verità dei Greci è distante dalla nostra, anche
se ha in comune la designazione, per [la nostra] ampiezza di conoscenze, maggior rigore di dimostrazione,
divina potenza e altre simili prerogative. ‘Allievi di Dio’ noi siamo, poiché siamo istruiti in Scritture
veramente sante, alla scuola del Figlio di Dio: e perciò [i Greci] non certo allo stesso modo addestrano le
anime, ma con insegnamento diverso.” (Gli Stromati I.20.98.3-4).
E infatti ciò che i greci hanno detto di giusto, lo hanno detto con una divina ispirazione, anche se
parziale (quando si contraddicono, siamo a livello di congetture, ragionamenti umani).
La comprensione parziale dei Greci…
“[I Greci] in parte li sottrassero, in parte anche li fraintesero; negli altri casi certe cose hanno
espresso con divina ispirazione, ma non le resero alla perfezione, certe altre hanno espresso con congetture e
raziocinio umano, e qui anche falliscono. Essi s’illudono di raggiungere la verità in modo completo, ma noi li
scopriamo: essi la raggiungono solo parzialmente.” (Gli Stromati VI.7.55.4).
…I cristiani e la sapienza vera
“...noi [Cristiani] siamo divenuti discepoli di Dio, che abbiamo acquistato la sapienza realmente vera, quella
alla quale i sommi filosofi fecero solamente allusione, ma che i discepoli di Cristo ricevettero e
annunziarono” (XI.111.2)
Tra i filosofi, poi, Clemente mostra una predilezione per Platone:
La superiorità di Platone…
“Io aspiro al Signore dei venti, al Signore del fuoco, al Creatore del mondo, al Datore della luce al sole. Dio
cerco, non le opere di Dio. Chi dunque potrò prendere da te come compagno nella mia ricerca? Noi infatti
non ti respingiamo del tutto. Se vuoi, prendiamo Platone. Come dunque si deve cercare Dio, o Platone? Il
padre e creatore di questo mondo è una grande impresa trovarlo e, per chi lo trova, annunciarlo a tutti è
impossibile. Ma, in nome di Lui stesso, perché? Perché non è assolutamente possibile esprimerlo per mezzo
di formule. Bene, Platone, sfiori la verità, ma non stancarti; insieme con me intraprendi la ricerca intorno al
bene. Infatti in tutti gli uomini generalmente, e massimamente in quelli che passano il tempo a ragionare, si
trova istillato un certo divino efflusso. Grazie ad esso, pur malvolentieri, essi riconoscono che c’è un solo
Dio, senza principio e senza fine il quale in alto, nelle più lontane regioni del cielo in un suo proprio e
particolare luogo, esiste veramente e per sempre” (VI.67.2-68.3).
…ma non soltanto Platone
“E tu, o filosofia, non il solo Platone, ma molti altri [Antistene...in quanto discepolo di Socrate, l’ateniese
Senofonte, Cleante di Pedaso] ancora affrettati a presentarmi, i quali il solo che è veramente Dio hanno
riconosciuto come tale per la Sua ispirazione se in qualche punto abbiano toccato la verità” (VI.71.1).
A differenza di Giustino, come si vede, Clemente apprezza molto la filosofia.
Riguardo ai poeti
“Se infatti i Greci, che più degli altri hanno ricevuto qualche scintilla del Verbo divino, dissero queste poche
cose della verità, rendono testimonianza alla sua forza che non è stata nascosta e accusano se stessi di
debolezza, poiché non hanno conseguito lo scopo” (VII.74.7).
Clemente VIII ha tolto Clemente dal martirologio (a causa delle dottrine sospette sull’influsso
divino nei greci) e Benedetto XIV ha confermato.
3. ORIGENE
Malgrado tutta la controversia attorno a lui, oggi non si trova niente che non riporti una sua
influenza.
Nato nel 185 ad Alessandria, fu segnato, da piccolo, dal martirio del padre (Leonide, decapitato
durante la persecuzione di Settimio Severo). Voleva seguirlo, ma la madre gli nascose i vestiti. A
diciotto anni si trovò a dover sostenere il peso della famiglia. Il Vescovo Demetrio gli assegnò (?)
l’istruzione dei catecumeni. Durante la nuova persecuzione di Aquila, si trovò ad accompagnare i
suoi discepoli al martirio.
Per un certo tempo, fu discepolo – insieme a Plotino – di Ammonio Sacca, fondatore del
neoplatonismo (ancora non sviluppato).
Viveva una vita molto austera (un martirio spirituale) che lo spinse a pratiche ascetiche radicali
(prendendo troppo alla lettera Mt 19,12, si volle rendere eunuco per il regno dei cieli e per questo fu
deposto dal sacerdozio).
Per il gran numero di discepoli, divise la sua scuola in due, affidando la scuola inferiore ad Eracla,
suo studente.
Viaggiò molto (era molto conosciuto già in vita):
• Roma (Papa Zefirino) dove conobbe Ippolito
• Giordania (invitato)
• Cesaria di Palestina (dove predicò alla presenza del vescovo, cosa che fece arrabbiare
il suo vescovo: allora solo i vescovi predicavano). Godeva grande stima dei vescovi
siro-palestinesi.
• Ad Antiochia, la madre dell’imperatore Alessandro Severo (222-235), Iulia Mamea,
donna profondamente religiosa, lo invitò a parlare a corte.
Nel 231 (a 46 anni) fu ordinato da Teoctisto di Cesarea con l’accordo di Alessandro di
Gerusalemme, ma senza il permesso del suo vescovo Demetrio (e nonostante la sua evirazione). Al
ritorno da Alessandria, Demetrio dichiarò invalido il suo stato sacerdotale e lo scomunicò.
All’inizio fu privato dall’insegnamento, allontanato da Alessandria (in un primo sinodo) e poi
deposto dal sacerdozio (in un secondo).
Origene, allora, ritornò a Cesarea di Palestina (dove la censura di Alessandria non valeva). Là fondò
una nuova scuola portando il patrimonio culturale di Alessandria. questa scuola divenne un fiorente
centro di studi con una grande biblioteca (il suo più grande discepolo là fu San Gregorio
Taumaturgo).
Quando morì Demetrio, suo vescovo, fu eletto suo successore Aracla, discepolo di Origene, che
però continuò a respingere il maestro.
Durante la persecuzione di Decio (250-251), Origene fu arrestato e torturato, ma non rinnegò la
fede. I Romani volevano la sua apostasia, non certo la sua morte che avrebbe portato effetti
indesiderati.
Uscì di prigione molto debilitato e morì dopo tre anni, nel 254 a Cesarea. Fino al XIII secolo la sua
tomba era ancora visibile nella cattedrale di Kiev. In vita formò molti vescovi, santi e uomini molto
famosi. Morì in comunione con la chiesa. le difficoltà vennero fuori solo dopo anni, soprattutto con
gli origenisti. Ma i suoi primi discepoli erano uomini di grande valore.
Agostino parla di scomuniche ingiuste e si chiede cosa si dovrebbe fare in questo caso. Si risponde:
se la persona rimane fedele alla chiesa e soffre questa scomunica, non morirà fuori dalla Chiesa:
Dio guarderà alla sua pazienza ed alla sua fedeltà.
Le Opere
Assieme ad Agostino è lo scrittore antico più prolifico. Moltissime sue opere, purtroppo, sono
andate perse. Ci rimane qualche opera greca e alcune traduzioni latine. La maggior parte delle sue
opere sono commenti alla bibbia. grande maestro dell’allegoria, seppe prendere sul serio anche la
lettera: se fu condannato di allegorismo, è perché non si è tenuto conto del suo pensiero per intero.
Hexapla
Origene compose l’Espala (Hexapla), una versione critica di bibbia dell’AT (13 volumi). Essa è
composta di sei colonne che riportano:
(1) Il testo originale ebraico
(2) Lo stesso testo traslitterato in caratteri greci
(3) La traduzione greca di Aquila
(4) Quella di Simmaco
(5) La versione dei Settanta
(6) Quella di Teodozione
Ma perché tante traduzioni? La bibbia della comunità primitiva cristiana era la LXX (quella della
comunità ebrea nella diaspora). Ma con il cristianesimo ci fu una controversia seria tra giudei
cristiani e non. Anche tra i giudei c’era una teoria dell’ispirazione per la traduzione della LXX
(Secondo Benedetto XVI è passo importante nella storia della rivelazione, [si può considerare quasi
ispirata]). Ecco perché, accanto alla LXX si iniziarono a fare nuove traduzioni dall’ebraico.
Secondo Origene ogni versetto ha un significato spirituale, ma non necessariamente uno letterale.
Non che la parola non sia storica: quando si trova una cosa che non è degna di Dio, è un segno che
Dio stesso ha messo nella scrittura per indicarci di abbandonare la lettera ed andare allo spirito.
De Principiis (Περι. ς∆ρχων)
È un primo saggio di riflessione teologica della storia. Una trattazione approfondita e sistematica di
alcuni punti dogmatici fondamentali per fornire spiegazioni approfondite in accordo con la scrittura
e per confutare dottrine errate. Dice più volte di voler essere fedele alla tradizione apostolica, senza
cercare la novità.
De Principiis: La tradizione ecclesiastica ed apostolica
“Molti tuttavia di coloro che professano di credere in Cristo discordano non soltanto su questioni di poco
conto, ma anche della massima importanza: cioè, su Dio, sul signore Gesù Cristo, sullo Spirito santo; e non
soltanto su questi, ma anche su altre creature: cioè, sulle dominazioni e le beate potestà: sembra perciò
necessario stabilire prima su questi singoli punti precisa distinzione e chiara regola, poi ricercare anche sugli
altri punti. Come infatti sono tanti, presso i Greci e i barbari, che promettono verità, ma noi abbiamo smesso
di cercarla presso coloro che l’affermavano con falsi insegnamenti dopo che abbiamo creduto che Cristo è il
figlio di Dio e ci siamo convinti che da lui l’avremmo dovuta apprendere: così son molti che credono di
comprendere la verità di Cristo e alcuni di loro sono in contrasto con gli altri, ma è in vigore l’insegnamento
della chiesa tramandato dagli apostoli per ordine di successione e tuttora nelle chiese conservato: pertanto
quella sola bisogna tenere per verità, che in nessun punto si discosti dalla tradizione ecclesiastica ed
apostolica” (prefazione, 2).
C’è qui un chiaro riferimento agli gnostici: per conoscere la verità è importante rimanere fedeli alla
tradizione apostolica.
Il testo riflette una teologia “in ricerca”, ai suoi inizi: si vede come egli non avesse in mano grandi
certezze. Per questo, il suo modo di procedere è analizzare le diverse possibilità.
La traduzione latina di Rufino ha migliorato qualche significato evitando, ad esempio, i
subordinazionismi.
Contra Celsum
L’opera più importante in difesa del cristianesimo scritta in greco. Nel 178, Celso, uno scrittore
pagano, scrisse Il vero logos, attaccando i cristiani andando direttamente alle scritture, che
conosceva bene. Non fu facile confutarle (infatti ci vollero 75 anni e Origene per farlo).
Contra Celsum (c.245-248): una confutazione del Vero Discorso di Celso (178AD).
4. LA TEOLOGIA DI ORIGENE
Una teologia “in ricerca”
Antropologia & Esegesi (tre sensi della Scrittura):
Spirito (πνευµα) 
Anima (ψυχη)
Nous (νους)
Carne (σαρξ)
Corpo (σωµα)
dono di Dio (Mistico/ spirituale)

sede del libero arbitrio (Morale/ psichico)
ha la capacità di accogliere la grazia divina
sede di istinti e passioni

rivestimento dell’anima, segno della creaturalità
(Letterale/ fisico)
(da 1 Tessalonicesi 5:23)
L’uomo è quindi immagine dell’Immagine di Dio.
Agostino vuole evitare questo discorso, perché sa di subordinazionismo: l’uomo è immagine del
Dio vero (Cristo). Comunque per Origene, l’essere immagine di Dio è un qualcosa che ci definisce,
rimane per sempre. Si può oscurare o offuscare con il peccato, ma non distruggere. Questo è il
fondamento della dignità dell’uomo valido e ripetuto da tutti i padri della Chiesa. Origene non
distingue immagine e somiglianza come fa Ireneo.
Preesistenza delle anime
Per Origene ci sono due creazioni (secondo i due racconti di Genesi, che legge separatamente):
nella prima Dio ha creato le anime, nella seconda i corpi che ricevono l’anima. Dopo la prima
creazione le anime, stanno attorno al logos cantando le sue lodi. Dopo un certo tempo si annoiano,
si girano e si staccano dal logos. Raffreddandosi nell’amore, cadono a diverse distanze: gli angeli,
gli uomini (alcuni più sani, altri ciechi, sordi) e i demoni (siamo tutti gli stessi). Di chi è la colpa di
tutto ciò? Non di Dio. Per Origene la colpa è dell’anima nella sua pre-esistenza. Così il bambino
nasce malato per il suo comportamento prima della nascita. In questo modo, Origene sottolinea
anche il libero arbitrio. Così anche la creazione del mondo si può vedere in due modi: al modo
gnostico (come luogo negativo, di oppressione sotto la materia) o come atto misericordioso di Dio
per ricevere le anime che cadono affinché possano ritornare al paradiso. Non c’è un progresso
lineare – come per Ireneo – dall’immagine alla somiglianza: per Origene il processo è ciclico,
l’obiettivo è il ritorno al paradiso. Ma se ci siamo annoiati una volta, perché non ci annoieremo
quando ritorneremo a Dio? è un punto debole della sua teoria, che non sa evitare la ri-caduta, riincarnazione.
1. sazietà: “raffreddate” nell’amore
2. caduta
3. seconda creazione
Purificazione escatologica ed apocatastasi = la restaurazione universale alla fine dei tempi
Origene legge alla lettera 1Cor 5:23-28 («Dio sarà tutto in tutti») ed è convinto che tutto ciò che è
creato, anche il demonio, ritornerà a Dio. l’inferno è una punizione temporale, dopo il quale si
tornerà all’unità e l’armonia iniziali. Questa dottrina è stata condannata.
Sant’Agostino sulla preesistenza delle anime secondo Origene
“Dobbiamo forse ritornare all’errore già vinto e ripudiato: le anime, dopo aver peccato nella loro dimora
celeste, scendono gradatamente e lentamente nei corpi da esse meritati e sono afflitte più o meno da malanni
corporali secondo la vita condotta anteriormente?” (De peccatorum meritis et remissione et de baptismo
parvulorum 1.22.31-33).
Diavolo redento? No!
Chiamato a spiegare questa dottrina, alla domanda se il diavolo sarà redento, Origene risponde che
No, non si salverà, perché ha mutato la sua natura cristallizzando la sua decisione. (Cf. La Lettera
agli amici alessandrini). Ritroviamo questa idea nel commento alla lettera ai Romani:
L’impossibilità di salvezza per il demonio
“Va tuttavia osservato che Paolo una volta dice ‘inciampare’ e ‘sbagliare’, una volta ‘cadere’: e pone un
rimedio per l’inciampo o lo sbaglio, non recupera invece la situazione di quelli che sono caduti, quasi non ci
sia in essa alcuna speranza. Dice infatti: ‘Hanno forse inciampato in modo da cadere? Certo no! Ma per il
loro sbaglio ci fu la salvezza per i gentili’….l’apostolo nel passo presente, come sapendo che se fossero caduti
non potrebbero assolutamente rialzarsi, nega per questo che siano caduti e li giustifica con forza dicendo:
‘Hanno forse inciampato in modo da cadere? No certo!’ A meno che l’apostolo in questo caso non giustifichi
Israele e neghi che sia caduto riferendosi ad un altro tipo di caduta, quella probabilmente a proposto della
quale il Signore e Salvatore nostro diceva: ‘Vedevo Satana cadere dal cielo come folgore’, ma anche quella di
cui Isaia dice: ‘In che modo è caduto dal cielo Lucifero che sorgeva al mattino?’ Qui dunque Paolo nega che
Israele sia caduto con una caduta di questo tipo. Di esso, infatti, almeno alla fine del mondo vi sarà il ritorno,
allorquando sarà subentrata la pienezza delle nazioni e tutto Israele sarà salvato; di costui invece, di cui si
dice che è caduto dal cielo, neppure alla fine del mondo vi sarà alcun ritorno.” (Commento ai Romani,
VIII.9)
Salvezza universale: una grande speranza
I padri parlano della salvezza degli ebrei in termini di una caduta temporale. Von Balthasar ha
scritto un libro (Che cosa possiamo sperare) in cui parla dell’apocatastasi: dovremmo sperare della
salvezza di tutti gli uomini, ma non è una dottrina a livello canonico (al contrario, è stata
condannata da un concilio). ma in che senso possiamo sperarci?
La preghiera a Dio solo
“A ben comprendere l’essenza della preghiera, non è lecito pregare nessuna delle creature e neppure
Cristo, ma solamente Dio e Padre di tutto che anche il nostro Salvatore pregava, come abbiamo detto sopra, e
che ci insegna a pregare. Avendo egli udito le parole ‘Insegnaci a pregare’, insegna a pregare non se stesso,
ma il Padre, dicendo: ‘Padre Nostro che sei nei Cieli’ ecc.” (La preghiera 15.1).
L’anima umana di Gesù è quella che è rimasta sempre fedele al Logos, e rimane il punto di contatto
tra Esso e le altre anime. Nel testo sopra si ha un riferimento esplicito all’anima umana di Gesù.
Comunque, speranza =/= certezza.
Dopo Origene
Dopo Origene, i suoi discepoli portano agli estremi alcune sue idee assolutizzandole
• subordinazionismo trinitario: inferiorità del Figlio e dello Spirito Santo
• preesistenza delle anime e delle loro inserzioni nei corpi
• apocatastasi (compreso il demonio)
• eccessivo allegorismo
tutte queste idee hanno un’ispirazione remota nel De Principiis, ma perdono l’equilibrio presente
nell’opera di Origene.
Gregorio di Nissa insegnava l’apocatastasi, anche parlando della redenzione del diavolo
“Ora, appunto, come coloro che subiscono la terapia del bisturi e del cauterio se la prendono con i medici
per il dolore acuto provato nell’intervento operativo, ma se tutto questo procura loro la guarigione e la
sofferenza della cauterizzazione scompare, allora avranno riconoscenza per chi li ha curati; allo stesso modo,
una volta resa libera la natura nel lungo scorrere dei tempi dal male che ora è in essa intruso e congiunto,
quando si sarà compiuto il ritorno alla condizione originaria di coloro che attualmente sono soggetti al male,
da tutta quanta la creazione si leverà un canto unanime di ringraziamento, sia da parte di coloro che saranno
puniti con questa purificazione e sia da parte di chi non avrà alcun bisogno di purificazione.
“Questi e di tal genere sono gli insegnamenti che ci offre il grande mistero dell’incarnazione divina.
Mediante il suo congiungimento con l’umanità, assumendo tutti i caratteri propri della natura umana, la
nascita, il nutrimento e la crescita, fino alla prova della morte, Dio ha effettuato tutti quei benefici sopra
menzionati, liberando l’uomo dalla malvagità e procurando guarigione allo stesso padre del vizio. E salvezza
da una infermità la liberazione da una malattia, sia pur a costo di sofferenza” (Gregorio di Nissa, Oratio
catechetica magna 26.8-9).
Nel 5° Concilio Ecumenico del 553, convocato da Giustiniano contro la volontà del papa, Origene
appare nella lista degli eretici. Ma nei documenti che Papa Virgilio approvò dopo la chiusura del
concilio non si trova alcuna condanna ad Origene, ma solo ad alcune sue dottrine. La condanna ad
Origene si trova solo nei documenti imperiali.
• Origenisti isochristi: monaci palestinesi origenisti del IV-V secolo. Seguivano parte
di Evagrio pontico estremizzando Origene.
• Evagrio Pontico (ca. 345-399), uomo molto saggio ordinato a Costantinopoli che
visse poi da eremita nel deserto
• Kephalaia Gnostica di Evagrio Pontico
Sezione 11: Lo sviluppo della teologia nell’Africa del Nord tra II e III secolo. Tertulliano &
Cipriano.
Prima Carola usava vedere lo sviluppo dell’oriente, nella scuola di Alessandria, e poi spostarsi a
Cartagine. Ora, invece, vogliamo fare tutti i Pre-niceni, e poi, a Dio piacendo, i post-niceni. L’epoca
d’oro è il IV secolo, Post-Nicea. Tutta la teologia patristica è teologia biblica, un esegesi. Ma a
causa delle limitazioni del tempo, saltiamo la sezione sull’esegesi patristica.
1. TERTULLIANO
Quintus Septimius Florens Tertullianus fu il primo scrittore cristiano di lingua latina, e il più
interessante accanto ad Agostino. Nato intorno al 160 a Cartagine, si convertì al cristianesimo nel
197 grazie alla testimonianza dei martiri. Sua è la frase: “Il sangue è semente di cristiani!”,
(Apologeticum 50.13).
La persecuzione dei cristiani
“Per contro a quelli si deve attribuire il nome di fazione, i quali, per suscitare l'odio contro persone buone e
oneste cospirano, che contro il sangue d'innocenti gridano, a giustificazione del loro odio pretestando, invero,
anche quella futile opinione, per cui stimano che per ogni publica calamità, per ogni disgrazia popolare siano
in causa i Cristiani. Se il Tevere fino alle mura sale, se il Nilo fino ai campi non cresce, se il cielo si arresta,
se la terra si scuote, se c'è la fame, la peste, subito 'I Cristiani al leone!' - si grida. Tanta gente a un solo
leone?” (Apologeticum 40.1-2).
Di ogni cosa che non va bene, sono colpevoli i cristiani. Agostino segue questa idea. In occasione
del sacco di Roma del 410, i cristiani sono accusati dell’evento perché non adoravano le divinità
civili, ed Agostino risponde con il De civitate Dei. Così anche nell’età moderna si sente dire che la
religione è la colpa di tutti i mali (violenze, guerre…).
Scrisse opere di dogmatica contro gli eretici. È interessante che parla degli spettacoli e ne fa una
critica (lo stesso farà Agostino). Tertulliano parla anche – come aveva fatto Ireneo – dell’autorità
delle chiese apostoliche e del ruolo della chiesa di Roma.
L’autorità delle chiese apostoliche
“Se dunque, tu che vuoi esercitare meglio la tua curiosità, vale a dire, la vuoi esercitare per metterla al
servizio della tua salvezza, percorri le chiese apostoliche, nelle quali i seggi stessi degli apostoli presiedono
ancora, al loro posto, nelle quali le stesse loro lettere, lettere autentiche, vengono recitate facendo risuonare
la voce e rappresentando il volto di ciascuno apostolo. Vicino a te è l’Acaia: tu trovi Corinto. Se non sei
lontano dalla Macedonia, hai Filippi; se puoi recarti in Asia, hai Efeso; se poi sei ai confini dell’Italia, hai
Roma, donde giunge anche fino a noi l’autorità degli apostoli. Quanto è felice quella chiesa, alla quale gli
apostoli profusero tutta la dottrina con il loro sangue, dove Pietro è pari al Signore nella passione, dove
Paolo è incoronato della stessa morte di Giovanni il Battista, dove l’apostolo Giovanni, alcuni anni più tardi,
viene gettato in un olio di fuoco: niente patì, viene relegato in un’isola. Guardiamo che cosa ha appreso, che
cosa ha insegnato, quella chiesa: insieme alle chiese africane che sono unite a lei, essa conosce un solo Dio
Signore, creatore dell’universo, e Gesù Cristo…” (De praescritione haereticorum 36.1-3).
Si sente ancora l’eco della predicazione apostolica nelle chiese apostoliche. Nel testo si fa
riferimento ad una leggenda su san Giovanni a porta latina dice che è stata fondata accanto ad una
cappellina eretta dove Giovanni sarebbe stato immerso nell’olio bollente e vi sarebbe riemerso
come da un bagno di acqua fresca.
Dal 207, si avvicinò sempre più al rigorismo del montanismo fino a rompere definitivamente con la
Chiesa cattolica nel 213. Rimproverava, infatti, alla chiesa un certo lassismo nei confronti della
penitenza (la chiesa offriva la riconciliazione anche ad apostati e ad adulteri). Ciò comporta una
rottura anche nella continuità del suo pensiero.
Montano fu un profeta che si presentò in Frigia tra il 155 e il 160, insistendo di essere il portavoce
dello Spirito Santo e che nella sua persona si sarebbe incarnato il Paraclito promesso. Il movimento
si chiamava «la nuova profezia». Caratterizzato da un linguaggio spirituale di estasi e di
entusiasmo, era un movimento carismatico negava ogni autorità ecclesiastica ed insisteva
sull’autorità assoluta a Cristo ed allo Spirito Santo che parla a Montano e a due profetesse, Priscilla
e Massimilla. Lo scopo era restaurare la situazione antica della Chiesa (parlare le lingue, una
struttura rigorosa…).
Tertulliano, entrato in questa setta, si dice avrebbe fondato una sua setta (i tertullianisti). Ma dopo il
220 non abbiamo alcuna sua notizia. Tre grandi questioni vengono dalla sua persona e dalla sua
opera.
1) Il rifiuto della società e cultura romana (contro l’educazione romana e contro il servizio
militare)
2) Il rifiuto della filosofia (malgrado egli stesso la usi; era un avvocato con una buona
formazione)
Atene e Gerusalemme
“Che hanno in comune, dunque, Atene e Gerusalemme? che hanno in comune l’Accademia e la Chiesa? che
hanno in comune gli eretici e i cristiani? La nostra disciplina viene dal portico di Salomone, che pure aveva
insegnato doversi cercare Dio in semplicità di cuore. Ci pensino coloro che hanno inventato un cristianesimo
stoico e platonico e dialettico. Non abbiamo bisogno della curiosità, dopo Gesù Cristo, né della ricerca dopo
il Vangelo. Quando crediamo, non sentiamo il bisogno di credere in altro, giacché noi crediamo prima
questo, non esserci motivo di dover credere in altro” (De praescritione haereticorum 7.9-10).
Il suo atteggiamento si oppone totalmente alla scuola alessandrina. Dopo il vangelo non c’è più
bisogno di filosofia. Si chiude in un fideismo che rifiuta ogni dialettica.
3) Il contributo allo sviluppo del latino cristiano. Fu lui il creatore del latino cristiano teologico
(secondo Bosio ed altri studiosi ha coniato 982 neologismi latini).
Non fu l’unico a lavorare in questo campo, ma fu il primo. San Cipriano lo apprezza molto, che
leggeva molto le sue opere (quando ne voleva una, diceva semplicemente al segretario: «Da
magistrum!», portami il maestro). Fa sorridere, perchè Cipriano è il teologo più forte
nell’appoggiare il ruolo e l’autorità dei vescovi.
2. LA TEOLOGIA DI TERTULLIANO
Trinità
Tertulliano usa le parole
•
substantia, status, potestas per indicare l’unità e
•
gradus, formae species per indicare la distinzione.
Cristologia
Per la prima volta parla delle due nature non divise, ma congiunte, in una sola persona:
«videmus duplicem statum, non confusum sed coniunctum in una persona, deum et hominem
Iesum», ( Adversus Praxean 27.11).
Questa sua intuizione viene dimenticata. Agostino, poi la riprenderà e attraverso Leone andrà al
concilio di Calcedonia. Cantalamessa, patrologo, ha studiato molto questo argomento.
Filosofia
Nel suo disprezzo per la filosofia dice che i filosofi i patriarchi degli eretici che hanno rubato anche
dall’AT, come diceva Giustino (probabilmente Tertulliano leggeva Giustino; ci deve essere un
legame, soprattutto per ciò che riguarda i giudei). Ladroni!
La antichissima tradizione sull’aborto.
Contro l’aborto
“Quanto a noi, essendoci l'omicidio una volta per tutte interdetto, anche la creatura concepita nel grembo,
mentre tuttora il sangue le deriva a formare l'uomo, dissolvere non lice. È un omicidio affrettato impedire di
nascere, né importa se una vita nata uno strappi, o mentre sta nascendo la dissipi. E' uomo anche chi è per
diventarlo; anche ogni frutto già nel seme esiste.” (Apologeticum 9.8)
La Seconda Penitenza
La chiesa di Roma aveva già incontrato questo problema con le prime persecuzioni: cosa fare con i
battezzati che hanno fatto peccati così gravi? È possibile per loro una sola penitenza (come è unico
il battesimo). Senza minare il valore del battesimo, è possibile per loro riconciliarsi.
De paenitentia (Opera cattolica) εξοµολο,γησις
Nel De paenitentia, Tertulliano approva questa penitenza fatta una sola volta. Questa non dà più
spazio al peccato (non c’è lassismo). Dopo la penitenza c’è la riconciliazione. Parla della chiesa
come Ecclesia Christus.
La seconda penitenza
“Di questa penitenza seconda ed unica il procedimento è più rigoroso e la prova più laboriosa, perché non si
tratti solamente di un fatto interiore della coscienza, ma si esplichi anche in qualche atto esteriore. Questa
azione – con parola greca più espressiva e più usata – si chiama εvξοµολο,γησις [confessione]: con essa
noi confessiamo il nostro pentimento al Signore, non già per il fatto che egli lo ignori, ma perché con la nostra
confessione Egli riceve una soddisfazione; dalla confessione nasce il pentimento, e il pentimento placa Dio.
L’esomologèsi è quella disciplina che prescrive all’uomo di umiliarsi e di prosternarsi, imponendo un regime
di vita, che attiri la compassione a cominciare dallo stesso vestito e dal vitto: essa impone che il penitente si
corichi sul sacco e nella cenere, che abbassi il corpo negli stracci e abbandoni l’anima alla tristezza, che
sconti con un trattamento rude i peccati commessi. L’esomologèsi conosce soltanto per cibo e per bevanda
cose semplici, in conformità al bene dell’anima, non al piacere del ventre. Impone di alimentare d’ordinario
le preghiere con digiuni, di gemere, di piangere, di muggire giorno e notte al Signore Dio tuo, di prosternarsi
ai piedi dei sacerdoti, d’inginocchiarsi davanti agli altari di Dio [le vedove], e incarica i fratelli d’intercedere
per ottenere il perdono” (De paenitentia 9.1-4).
Si tratta di una vita penitenziale severa (non si mangia né si veste bene, e si mangia soli, non si
hanno rapporti sessuali con i coniugi), una vita ascetica. Questa umiliazione fa sorgere anche la
compassione della Chiesa, che piange per il peccatore. Le sue lacrime ne sono il segno. Tutta la
chiesa è chiamata a pregare (sacerdoti, vedove e altri cristiani). La chiesa di Cristo: quando tocchi il
ginocchio del fratello davanti a te, tocchi Cristo stesso.
Ecclesia Christus
“Ecclesia Christus; ergo cum te ad fratrum genua protendis Christum contrectas, Christum exoras; aeque illi
cum super te lacrimas agunt Christus patitur, Christus patrem deprecatur” (De paenitentia 10.6)
È l’immagine di Cristo che piange davanti alla tomba di Lazzaro: così fa Cristo anche con le nostre
morti. La preghiera della Chiesa sarà sempre esaudita perché è la preghiera di Cristo. e Cristo
perdona.
De pudicitia
(Opera montanista)
Passato al montanismo e al suo rigorismo, Tertulliano nega qualsiasi possibilità di riconciliazione
dopo peccati gravi: adulterio e apostasia non sono perdonabili. Se Pietro ha ricevuto le chiavi per
sciogliere e legare, questo era un dono personale, non c’è alcuna trasmissione istituzionale. È un
dono carismatico che viene dato ad altri, ma non ai vescovi in sé. Oppure, c’è una possibilità
teoretica, ma non dovrebbero utilizzarla. Adesso Tertulliano non parla più di Ecclesia Christus, ma
di Ecclesia Spiritus.
Riflessioni montaniste contro la remissione ecclesiastica dei peccati
“Ed ora, poiché tu la pensi così, ti domando a che titolo tu ti arroghi questo diritto della Chiesa. Se il Signore
ha detto a Pietro: Sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, ti darò le chiavi del regno dei cieli; o: tutto
quello che avrai legato o sciolto sulla terra sarà legato o sciolto nei cieli, per questo presumi che il potere di
sciogliere e di legare sia derivato anche a te, cioè ad ogni Chiesa che si congiunge a Pietro? Ma chi sei tu
che capovolgi e falsi l’intenzione così lampante del Signore di conferirlo a Pietro personalmente: Sopra di te,
egli dice, edificherò la mia Chiesa; darò a te le chiavi, non alla Chiesa. Tutto ciò che avrai sciolto o legato,
non ciò che avranno sciolto o legato. (…) “Che cosa c’è dunque che si riferisca alla Chiesa, alla tua chiesa
voglio dire, o psichico? Secondo la persona di Pietro questo potere apparterrà agli spirituali, all’apostolo o
al profeta, giacché la Chiesa stessa è propriamente ed essenzialmente lo stesso Spirito nel quale è la Trinità di
un’unica Divnità , il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Egli riunisce quella Chiesa che il Signore ha posto su
tre. E quindi anche tutto il numero di quelli che partecipano di questa fede è dal Fondatore e Consacratore
considerato Chiesa. E per questo appunto la Chiesa rimetterà i peccati; ma la Chiesa-Spirito, per mezzo di un
uomo spirituale, non la Chiesa numero dei vescovi. Il potere sovrano infatti è del Signore, non del ministro; è
di Dio stesso, non del sacerdote” (De pudicitia 21.9-10, 16-17).
Insiste sul fatto che i verbi di Mt 16 sono al singolare: con la morte di Pietro, il dono finisce. Il dono
carismatico, poi,viene dato a carismatici come Montano. La chiesa istituzionale, quindi, non può più
perdonare. Non c’è più la chiesa di Cristo: È la chiesa dello spirito che perdona. Non ci vuole la
gerarchia: la chiesa sono almeno tre persone che si radunano.
Il Tertulliano montanista nega ciò che credeva da cattolico. C’è un divorzio totale tra l’elemento
spirituale della chiesa e quello gerarchico. Solo con Agostino si arriverà alla riconciliazione dei due
elementi: è solo Dio che rimette i peccati, non l’uomo; tuttavia, Dio perdona attraverso il suo
ministro che Gesù ha stabilito perché sia strumento del suo perdono. Per Agostino, poi, Pietro è una
figura della Chiesa, ne rappresenta l’unità. Le chiavi sono date in lui a tutta la Chiesa. Christus
petrus, Petrus Ecclesia (Cristo è la roccia e Pietro – la roccia – è la chiesa).
L’Ecclesia Christus realtà incarnata, gerarchica, corporale è ciò che nega con tutte le forze da
montanista. L’ecclesia spiritus è molto più ambigua: tutto dipende dai doni carismatici che ricevono
gli individui.
Accettando la remissione dei peccati, Tertulliano accettava di parlare di Corpus Christi. Rifiutando
la misericordia, e chiudendosi nel rigorismo, Tertulliano si estremizza sullo Spiritus. È interessante:
Quale realtà umana veramente offre il perdono dei peccati? Solo la chiesa cattolica, quella
istituzionale.
Tuttavia, in tutto ciò, e con quest’insistenza sullo Spirito Santo Tertulliano ha l’occasione di
sviluppare una pneumatologia profonda nell’adversus Praxean.
3. CIPRIANO
San Cipriano vedeva Tertulliano come maestro. È ironico come Cipriano fosse un grande difensore
dei vescovi, così avversati dal Magistrum.
Caecilius Cyprianus Thascius nacque c. 210 a Cartagine. Si convertì intorno al 245, fu eletto
sacerdote e poi vescovo nel 249 (solo quattro anni dopo il battesimo!). niente in paragone con
sant’Ambrogio, eletto vescovo prima del suo battesimo. All’inizio soffrì l’opposizione di cinque
preti cartaginesi, invidiosi della sua rapida ascesa.
Decio nel 250 impose una supplicatio in tutto l’impero, richiedendo i certificati dei sacrifici operati.
Iniziò così una persecuzione nel 250 e Cipriano – proscritto e confiscato dei suoi beni – lasciò
Cartagine. Fuggi perché “Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un’altra” (Matteo
10:23). Disse di fuggire per la pace della comunità dei fedeli, per non eccitare i tumulti già
scoppiati. Tuttavia non voleva lasciare il suo popolo senza pastore: già nel Roma, Gerusalemme ed
Antiochia erano morti in carcere. In ogni caso, la sua fuga fu strumentalizzata contro di lui.
La questione dei lapsi
I cristiani davanti alla persecuzione si distinguevano in diversi livelli:
a. Lapsi: sacrificati (che hanno operato sacrifici) o thurificati (che hanno dato
incenso).
b. Libellatici (per compromessi o amicizie hanno ottenuto un libellus – certificato di
sacrificio – senza aver sacrificato). Per Cipriano è uno scandalo: gli altri non sanno
che non hai sacrificato (vedi l’anziano di Macc).
c. Stantes (fermi nella fede senza compromessi).
d. Confessores (in carcere per la fede).
e. Martyres (confessori che hanno dato la vita per testimoniare Cristo).
La domanda è la solita: cosa facciamo con i lapsi?
Chi rispondeva per il perdono.
La chiesa d’Africa parlò subito di riconciliazione immediata. All’altro estremo c’era chi proponeva
una penitenza senza fine. Cipriano, dall’esilio consigliò di aspettare: la questione si sarebbe risolta
insieme in un concilio di vescovi.
Intanto i peccatori iniziarono ad andare in carcere dai confessori che offrivano per loro la penitenza.
Testimoniavano il tutto con dei Libelli pacis. È l’origine della pratica delle indulgenze: applicare le
sofferenze degli innocenti ai peccatori che hanno bisogno di punizioni temporali per peccati già
rimessi. Tuttavia la pratica fu subito abusata fino a che si creò uno scisma (guidato dal sacerdote
Felicissimo). Cipriano intanto faceva fare una penitenza media con la possibilità di riconciliazione.
Dopo questo periodo Cipriano morirà in una nuova persecuzione, ma prima della persecuzione
affrettò la riconciliazione per dare l’eucaristia ai lapsi perché avessero forza per sopportare la nuova
persecuzione. Fu così che molti lapsi divennero martiri nella seconda persecuzione.
Il concilio di Cartagine nel 251 (Cipriano morirà nel 257) permette una riconciliazione dei
libellatici. Ai lapsi si proponeva una lunga penitenza, che si poteva terminare subito con la
riconciliazione in caso di morte o malattia grave.
Testimonianza di questo lassismo è la lettera di Cipriano a un gruppo di lapsi che si dicevano
chiesa:
I laici e la Chiesa
“La chiesa riposa sui vescovi e ogni suo atto è governato dagli stessi capi. Essendo così stabilito per legge
divina, mi meraviglia l’audacia e la temerarietà di alcuni che mi hanno scritto a nome della chiesa, mentre la
chiesa è fondata sui vescovi, sul clero e su quelli che sono rimasti fedeli (stantes). Dio ci guardi e la
misericordia divina e la potenza invincibile del Signore non permetta che si chiami chiesa un gruppo di lapsi,
dal momento che sta scritto che ‘Dio non è il Dio dei morti, ma dei viventi’” (Epistula 33.1).
La controversia battesimale
a. Papa Stefano: l’efficacia santificatrice del sacramento
b. Cipriano: la santità soggettiva del ministro
A Roma, gli eretici che tornavano in comunione con la Chiesa erano riaccolti con l’imposizione
delle mani. La grazia del sacramento è data a prescindere. Stefano I, il papa, sosteneva questa
teoria: ex opere operato. A Roma, oltretutto si professava il simbolo apostolico “professo un solo
battesimo …”.
Cipriano, invece dice che la grazia del sacramento dipende dallo stato di comunione e di grazia di
chi lo impartisce. Cipriano segue la corrente nord-africana di Tertulliano. Sua è la frase: extra
ecclesiam nulla salus. Gli eretici, quindi, venivano riaccolti con un nuovo battesimo (non un ribattesimo).
La controversia battesimale, però, finì con la morte di Stefano e Cipriano, l’una a distanza dall’altra.
Durante la persecuzione di Valeriano
a. Stefano morì il 2.VIII.257
b. Cipriano morì il 14.IX.258
Parla dei cristiani quando dice:
“Habere non potest Deum patrem qui ecclesiam non habet matrem” (De cath. eccl. unit. 6)
“Salus extra ecclesiam non est,” (Ep. 73.21).
È un affermazione forte anche quella sulla comunione del vescovo con la Chiesa:
“Scire debes episcopum in ecclesia esse et ecclesiam in episcopo, et si quis in episcopo non
sit in ecclesia non esse” (Ep. 66.8).
È interessante anche studiare il De catholicae ecclesiae unitate, che Cipriano modificherà proprio
per la controversia che ebbe con Stefano I.
Sant’Atanasio
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Nato ad Alessandria nel 295 circa.
Diacono di Alessandro a Nicea
Consacrato vescovo l’ 8. VI. 328
Difficoltà con lo scisma meliziano e con gli ariani
Costantino ed Ario
Cinque (5) esili: più di 17 anni in esilio
• 1° 7. XI. 335 – 23. XI. 337 a Treviri (dove conosce la chiesa occidentale, molto
favorevole con lui).
L’imperatore Costantino
• 2° 18. III. 339 – 21. X. 346 a Roma (viene sfortunatamente associato a Marcello di
Ancira)
Al ritorno, l’imp. = Costante
• 3° 8. II. 356 – 24. II. 362 dai monaci (condannato con Marcello dai due sinodi). I
monaci erano grandi sostenitori di Atanasio. In questo esilio Atanasio conosce
sant’Antonio.
L’imp. = Costanzo (ariano) con la sua morte e con il fallimento dell’anti-vescovo,
ritorna sotto Giuliano l’apostata.
• 4° 24. X. 362 – c. 26. VI. 363
L’imp. = Giuliano l’Apostata. Questi pensava che la maniera di distruggere il
cristianesimo era quella di far tornare tutti gli esiliati alle loro case (i donatisti tronao in
Nord-Africa, Ilario e Atanasio alle loro sedi vescovili).21 Ma quando Giuliano vide che
l’effetto del ritorno di Atanasio era contrario a ciò che si aspettava, lo rimandò in esilio.
dopo, Gioviano
• 5° 5. X. 365 – 1. II. 366
L’imp. = Valente
Morì (età di 78) il 2. V. 373
1. LE OPERE DI SANT’ATANASIO
Una vita sempre in lotta per la difesa della fede di Nicea. I suoi scritti sono incentrati sulla
questione nicena.
Lettera Pasquale
Degna di nota è la Lettera Pasquale # 39 (367AD). In essa troviamo per la prima volta l’elenco
completo del canone neotestamentario (solo 167 anni dopo il canone muratoriano, cui mancavano 5
libri).
Vita Antonii (357 AD)
È un capolavoro. Il più letto prima delle Confessiones di Agostino. È il più importante documento
del monachesimo primitivo. Antonio (356) è un modello di vita consacrata al servizio di Dio.
21
Ammiano Marcellino (C. 330 – dopo 390), pagano di Antiochia, l’ultimo grande storico del mondo antico,
testimonia il progetto di Giuliano.
“Sebbene poi Giuliano fin dalla puerizia fosse inclinato all’idolatria, e col crescere dell’età se ne fosse sempre più acceso,
nondimeno, da molte cagioni infrenato, avea sempre tenuto occultassimo quanto egli in questo proposito meditava. Ma
quando, tolto di mezzo tutto ciò che gli dava timore, vide ch’era venuto il tempo da poter compiere a suo senno quanto
eragli in grado, fece palesi gli arcani del proprio petto, e con chiari ed assoluti decreti ordinò che si aprissero i templi, e si
guidassero all’are le vittime pel culto dei Numi. E per invigorire l’effetto di queste sue disposizioni, chiamando nel proprio
palazzo i capi dei Cristiani discordi fra loro a la plebe divisa con essi in fazioni, ammonivali tutti, che, lascite le civili
discordie, ciascheduno sicuramente servisse alla proprio religione, né altri potesse impedirlo. Nel che si portava tanto più
fermamente, affinchè moltiplicandosi colla licenza le dissensioni, non avesse egli poi più da temere la conordia della plebe:
conoscendo per esperienza non esservi belve tanto infeste agli uomini, quanto i più de’ Cristiani sono esiziali a sé stessi”
(Res Gestae XXII.5.1-4).
Rivela la vita monastica come martirio, il monaco come il successore dei martiri, la vita ascetica
come la lotta spirituale contro il diavolo. Si deve tenere conto che in questo periodo si registrano
conversioni in massa: conveniva allora condividere la fede dell’imperatore. Sant’Antonio, dopo
aver sentito il vangelo del giovane ricco, non andò subito nel deserto, ma visse nella periferia del
villaggio con un altro. La cosa originale è che poi andò nel deserto, sempre più profondamente
(perché attirava molti discepoli).
Il Signore lotta in Antonio conto il diavolo
8.52.1 “Lo aiutava il Signore che si rivestì di carne per noi, e che concesse al corpo la vittoria contro il
diavolo; sicché ciascuno di quelli che sostennero una simile lotta poteva dire con l’Apostolo: ‘Non io, ma la
grazia di Dio che è con me.” (La Vita di Antonio 5.7).
8.52.2“Questa fu la prima lotta di Antonio contro il diavolo; o per meglio dire, la lotta del Salvatore, che
compì ciò in Antonio.” (La Vita di Antonio 7.1).
Avevamo trovato quasi le stesse parole nei racconti delle lotte dei martiri. Ora non ci sono più i
leoni e le fiere. Ma il diavolo è rappresentato dagli stessi simboli:
Le bestie diaboliche
“E subito il luogo [nelle tombe] si riempì di immagini di leoni e di orsi, di leopardi, serpenti, tori, aspidi,
scorpioni e lupi.” (La Vita di Antonio 9.6).
La vita monastica fa belli!
L’ascetismo e l’umanità ideale
8.54.1 “Passò in tal maniera circa vent’anni, conducendo da solo questa vita ascetica, senza allontanarsi di
là e senza essere veduto da alcuno se non raramente. Poi, molti, tormentati da malattie, venivano a farsi
curare, altri desideravano di imitare la vita ascetica di Antonio, altri suoi conoscenti si recarono al castello, e
forzato l’ingresso, entrarono. Si fece loro innanzi Antonio, come un iniziato ai misteri che esce dal sacro
recesso, ispirato da Dio. Allora per la prima volta lo videro fuori dal castello quelli che erano andati da lui.
Si meravigliarono al vedere che le sue condizioni fisiche erano sempre le stesse, non impinguato per la
mancanza di moto, né dimagrito dai digiuni e dalle lotte con i demoni: era come l’avevano visto prima che si
chiudesse nel suo ritiro.” (La Vita di Antonio 14.1-3).
Nella vita monastica, il diavolo inganna l’uomo come angelo di luce, ingannandolo con desideri
buoni (ad esempio quello di non dormire).
L’angelo di luce
“ ‘Sono astuti’ e pronti a trasfigurarsi. Talvolta, infatti, salmodiano cantando. Fingono di cantare senza
essere visibili e citano i detti delle Scritture. Accade che quando noi leggiamo essi producono quasi un suono,
come se leggessero ciò che noi stiamo leggendo; e mentre dormiamo ci spingono a pregare, e fanno ciò
continuamente senza quasi permetterci di dormire. Spesso si trasformano in eremiti, e sembrano parlare
come persone devote e timorate, per sedurre con un aspetto simile al nostro e trascinare dove vogliono coloro
che hanno sedotto. Ma non bisogna prestar loro attenzione, neanche se tentano di persuadervi a non
mangiare o se vi rimproverano per cose delle quali furono una volta, con noi, unici testimoni. Non fanno
questo per amore della religione e della verità, ma piuttosto mirano a far cadere i semplici e a rendere senza
profitto l’ascesi. Essi vogliono produrre negli uomini una nausea, affinché reputino troppo grave la vita
solitaria e vengano impediti di vivere combattendo i demoni.” (La Vita di Antonio 25.1-5)
Il discernimento degli spiriti
“Con l’aiuto del Signore, è possibile imparare a distinguere l’avvicinarsi degli esseri buoni e dei malvagi”,
(La Vita di Antonio 35.4).
Antonio fu per il luogo dove viveva un sostegno straordinario.
Il ministero di consolazione
“In una parola, Dio l’aveva dato come medico all’Egitto. Chi andò una volta da lui, e non tornò lieto? Chi
andò da lui piangendo i suoi morti, e non dimenticò subito il lutto? Chi andò irato, e non si volse subito
all’amicizia? Chi scoraggiato dalla povertà, ascoltandolo e vedendolo, non disprezzò le ricchezze, e non
ricevette consolazione dalla povertà? Quale eremita titubante andò da lui senza essere fortificato contro le
difficoltà? Quale giovane andò sul monte da lui, e vedendo Antonio non si inaridirono subito nel suo cuore i
piaceri lascivi, e non amò subito la pudicizia? Chi, tormentato dal demonio, andò da lui, e non riacquistò la
speranza? Chi andò da lui soffrendo la inquietudine dei pensieri, e non tornò con la menta serena?” (La Vita
di Antonio 87.3-6).
2. LA TEOLOGIA DI SANT’ATANASIO
Cristianesimo tradizionale contro l’ellenizzazione
Trinità
• οµοιος κατ vvουvσι,αν =/= εϖκ τη/ς ουϖσι,ας
•
Lo Spirito Santo = οµοου,σιος
Soteriologia
Soteriologia come divinizzazione (θεοποιηθωµεν): Il Figlio dev’essere Dio!
Cristologia:
•
•
•
λογος − σαρξ
Ario ed Apollinare
Atanasio
Origene
Il problema con Atanasio è la mancanza di un riferimento esplicito all’anima umana (non la
negazione, fatta dagli apollinaristi).
Mariologia
Maria = θεοτοκος
Colonna della Chiesa nella sua difesa della dottrina nicena.
Sezione 10
La riflessione dei Cappadoci nelle controversie trinitarie e cristologiche del IV secolo: Basilio,
Gregorio di Nazianzo, Gregorio di Nissa
Gregorio di Nazianzo, suo fratello minore Basilio e il compagno di studi di quest’ultimo, Gregorio
di Nissa. Vengono da famiglie cristiane (con santi: Gregorio taumaturgo, discepolo di Origene, fu il
padre spirituale della nonna materna dei fratelli Basilio e Gregorio; santi erano anche il padre e la
madre, una sorella, un altro fratello vescovo; anche i partenti di Gregorio di Nissa). Nessuno dei tre
aveva ambizioni ecclesiastiche (né tantomeno civili): desideravano una vita solitaria invece furono
chiamati ad essere vescovi. Furono grandi organizzatori, teologi e retori e mistici.
1. BASILIO IL GRANDE
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
nato nel 329/ 330 AD
studiò a Costantinopoli ed Atene
si ritirò a vita monastica ad Annisi, sulle rive del fiume Iris, nella provincia del Ponto
Scrisse Due Regole (monastiche) in cui cerca un delicato equilibrio (si legge una
valutazione meno negativa del corpo)
La Philokalia (antologia delle opere di Origene, influenza attraverso la santa nonna)
Ordinato sacerdote nel 364, abbandonò la vita monastica. Tra i monaci del deserto
l’ordinazione era visto come un tradimento della vita monastica: voleva dire un lavoro
apostolico che non lasciava tempo per la vita contemplativa. Come sacerdote cercò di
riconciliare le chiese neo-ariane con Roma. Le chiese orientali erano divise tra loro e con
Roma. Scrisse al papa chiedendo aiuto e una visita in Asia minore.
Vescovo di Cesarea e metropolita della provincia ecclesiastica di Cappadocia (nel 370)
Difficoltà con l’Imperatore Valente (ariano), che, irritato dai successi di Basilio, tentò di
deporlo dalla sua sede episcopale.
Conseguenza: nel 372 Valente divise della provincia di Cappadocia diminuì la
giurisdizione e l’influsso di Basilio in quella regione. In risposta Basilio aumentò le sedi
episcopali nella sua provincia e ad ordinare vescovi i suoi parenti e amici cosicché
aumentassero i vescovi di fede nicena nel territorio. Alla fine, Basilio non poté vedere la
vittoria sugli ariani: i suoi sforzi ebbero frutto dopo la sua morte, con l’ascesa al trono di
Teodosio, imperatore cristiano di fede ortodossa.
Morto il 1 gennaio, 379. (Valente era morto nell’agosto del 378, a lui era successo il 19
gennaio del 379 l’imperatore Teodosio, cristiano).
Amicizia con Sant’Atanasio
µια ουϖσια, τρεις υποστασεις
Lo Spirito Santo =/= esplicitamente Dio. Una certa oikonomia
Nel De spirito sancto 29.71-75, Argumentum Patristicum (La prova dei Padri)
Le sue opere dogmatiche sono anti-ariane. Lavora per la riconciliazione dei semi-ariani e riesce a
formulare un linguaggio chiaro e comune per la Trinità: Ousia è la parola per l’unità, upostaseis per
la distinzione. Nella teologia dello Spirito Santo non dice mai esplicitamente e direttamente che è
Dio. Ne parla con tutti titoli divini (creatore, adorato…).
Nozioni sullo Spirito Santo
“Esaminiano ora le nozioni correnti che abbiamo intorno allo Spirito Santo, sia quelle raccolte dalle
Scritture, sia quelle che ci furono trasmesse dalla tradizione non scritta dei Padri. E prima di tutto, chi,
udendo i nomi dati allo Spirito Santo, non si sente l’anima sollevata e non innalza il suo pensiero verso la
natura suprema? Lo Spirito Santo è chiamato Spirito di Dio, Spirito di verità che procede dal Padre, Spirito
retto, Spirito che giuda. Il suo nome più appropriato è Spirito Santo, perché questo nome indica l’essere più
incorporale, più immateriale e più esente da composizione. Perciò il Signore, alla Samaritana persuasa che si
dovesse adorare Dio in un luogo, insegnò che l’incorporeo non può essere chiuso da limiti, e disse: Dio è
spirito (Gv. 4,24). Quindi chi sente dire ‘Spirito’ non può figurarsi una natura limitata, sottoposta a
mutamenti e variazioni, oppure simile in tutto a cosa creata. Colui che si spinge col pensiero fino a ciò che vi
è di più sublime, necessariamente dovrà figurarsi un Essere intelligente, infinito in potenza, illimitato in
grandezza, non misurabile con i tempi e con i secoli, generoso dei suoi beni.
“A lui si rivolgono tutti quelli che hanno bisogno di santificazione; lui desiderano coloro che vivono
secondo virtù, perché irrorati dal suo effluvio, sono aiutati a giungere al loro proprio fine naturale. Egli
perfeziona gli altri e di nulla ha bisogno: non vive perché riceve da altri, ma distribuisce lui stesso la vita.
Non riceve accrescimento, perché è perfetto già dal principio, stabile in se stesso, presente dappertutto.
Sorgente di santificazione, luce intelligibile, egli fornisce da se stesso ad ogni facoltà razionale l’illuminazione
necessaria per la ricerca della verità. Inaccessibile per natura, si lascia comprendere per sua bontà. Riempie
tutto con la sua potenza, ma si comunica soltanto a coloro che ne sono degni, e non nella stessa misura, ma
proporzionando la sua azione alla fede di ciascuno. Semplice nella sostanza, vario nelle sue potenze, tutto
intero in ciascuno e tutto intero dappertutto: si divide e non subisce diminuzione, si partecipa a tutti e rimane
integro, come accade alla luce del sole: ne gode ciascuno, come se fosse solo; e tuttavia essa illumina la terra
e il mare e si mescola all’aria. Così fa lo Spirito con coloro che sono in grado di riceverlo; è presente a
ciascuno come se fosse solo, e infonde in tutti la grazia sufficiente. Di lui ciascuno gode quanto ne è capace,
non quanto lo Spirito può donare,” (De Spiritu Sancto 9.22).
In un certo senso cerca di evitare tutte le controversie intorno al Figlio (Dio da Dio, omousios con il
Padre). Gregorio di Nazianzo, infatti, ci testimonia la prudenza di Basilio e insieme la rettitudine
della fede spiegando l’arcano:
La riservatezza ortodossa di Basilio per quanto concerne lo Spirito Santo
“Che poi egli conoscesse meglio d’ogni altro la divinità dello Spirito, risulta chiaro dalle frequenti
dichiarazioni ch’egli fece in pubblico al riguardo, quando lo consentiva l’opportunità, e dall’esplicito
riconoscimento che ne faceva in privato a coloro che lo interrogavano; più chiaro ancora l’ha reso nei suoi
colloqui con me, col quale non aveva segreti nelle conversazioni sull’argomento, senza limitarsi ad una
dichiarazione pura e semplice, ma—ciò che prima non gli era accaduto di fare frequentemente—imprecando
su di sé la cosa più tremenda, d’essere, cioè, respinto dallo Spirito, s’egli non venerava lo Spirito insieme col
Padre e col Figlio, come dotati della stessa sostanza e dello stesso onore. E se si vuol consentirmi di mettermi
insieme con lui anche in cose di questa natura, rivelerò un particolare finora ignorato dai più: che allora,
cioè, che il momento ci poneva in una situazione difficile, egli assegnò a se stesso la parte del prudente
riserbo, ed a noi, invece, quella di parlare con piena franchezza, poiché noi nessuno pensava di processare o
di scacciar dalla patria, rispettati come eravamo per il fatto stesso d’essere oscuri, così che per mezzo
d’entrambi s’afforzasse il nostro evangelo.
“Ho ricordato queste cose, non per difendere il suo nome—chè superiore ai detrattori, se pure ve ne
sono, è quest’uomo—ma perché non accada che qualcuno, predendo come regola di pietà certe espressioni
isolate che si trovano negli scritti di lui, ne derivi un indebolimento della sua fede, e porti a sostegno della sua
malvagità quella teologia che a Basilio consigliavano il particolare momento e lo Spirito: ma piuttosto,
indagando il vero significato degli altri scritti e lo scopo con cui scriveva queste cose, sia tratto di più verso la
verità a chiuda agli empi la bocca. Quanto a me, possa io avere, e così chiunque m’è caro, la teologia di
Basilio! E sono tanto sicuro della purezza della sua fede in questa cose, che non esito a farla mia con tutte le
altre: s’ascrivano a lui le mie cose, ed a me le sue, innanzi a Dio ed ai più saggi fra gli uomini! Certo noi non
diremo che gli Evangelisti si contraddicono tra loro, per il fatto che alcuni si sono di più intrattenuti
sull’umanità di Cristo, altri si sono innalzati alla considerazione della sua divinità; gli uni hanno cominciato
da ciò ch’è a nostro livello, gli altri da ciò ch’è al di sopra di noi: gli è che così essi s’erano divisa la
predicazione, secondo l’utile—credo—di quelli che la ricevevano, e così li aveva improntati lo Spirito ch’era
in loro” (Elogio funebre di Basilio, 69).
Un’altra testimonianza di ciò è l’Argumentum Patristicum (il riferimento al comune insegnamento
dei Padri riguardo ad una cosa per dimostrarla). Si indicava la divinità dello Spirito santo usando la
parola “con” nelle dossologie: lo Spirito è adorato con il Padre e il Figlio. L’idea del consensus
patrum, da Cirillo e Basilio arriverà al concilio di Trento che dichiarerà: «non si può leggere la
scrittura contro il consensum patrum».
Basilio e la parola con nelle dossologie: Testimonianze dei Padri
“A coloro che dicono che la dossologia con lo Spirito non è attestata nella Scrittura, diciamo questo: se non si
accetta nessun’altra cosa non attestata nella Scrittura, non si accetti neppure questa: se però la maggior parte
delle celebrazioni dei misteri hanno per noi diritto di cittadinanza insieme a molte altre cose che pur non sono
nella Scrittura, allora ammettiamo anche questa. Io credo che sia un criterio apostolico attenersi anche alle
tradizioni non scritte: ‘Vi lodo—dice infatti l’Apostolo—perché in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le
tradizioni così come ve le ho trasmesse’; e ancora: ‘Mantenete le tradizioni che avete apprese sia dalla nostra
parola sia dalla nostra lettera’.
“Una di queste tradizioni è anche questa dossologia che è stata trasmessa ai successori da coloro che l’hanno
inizialmente istituita: si ne è diffuso l’uso sempre più nel tempo, e per lunga consuetudine si è radicata nelle
Chiese. E allora, se come nel tribunale, mancando di prove scritte, vi presentassimo una folla di testimoni, non
otterremmo da voi un voto di remissione?
“Io credo che ‘ogni parola sarà stabilita sulla bocca di due o tre testimoni’; e se vi dimostriamo
chiaramente che abbiamo dalla nostra parte un lungo tempo, non vi sembra naturale che diciamo che questo
processo non è imputabile a noi? Le dottrine antiche infatti ingenerano emozione, come quelle che hanno la
venerabilità di un’altra antichità. Vi enumererò dunque i difensori di questa parola con e si potrà misurare
bene il tempo anche da ciò che passeremo sotto silenzio. Non siamo stati noi a lanciare per primi
quell’espressione: e come avremmo potuto? Noi siamo solo di ieri, secondo la parola di Giobbe, di fronte a
tanto tempo quale è quello che accompagna quest’usanza.
“Io stesso, se devo dire la mia testimonianza, custodisco questa parola come una sorta di eredità
paterna, avendola ricevuta da un uomo che è vissuto a lungo nel servizio di Dio, dal quale sono stato anche
battezzato e introdotto al servizio della Chiesa [Basilio accenna a Dianio, vescovo di Cesarea].
“Cercando, da parte mia, se qualcuno degli antichi santi uomini ha usato queste parole ora
controverse, ne trovai molti degni di fede anche per la loro antichità e che, per la profondità della loro
scienza, non sono come quelli di ora. Alcuni di loro per unire i termini della dossologia hanno usato la
preposizione, altri la congiunzione, e hanno giudicato che ciò non facesse differenza alcuna nei confronti di
una retta nozione della pietà” (Basilio, De Spiritu Sancto 29.71).
Anche Vincenzo di Lerino insiste sull’importanza del consensum patrum: senza la guida dei padri,
nascono molto più facilmente eresie. La fede della Chiesa è attestata in ciò che è insegnato da tutti,
da per tutto e da sempre.
Vincenzo di Lerino: Legittimità del Ricorso ai Padri
“A questo punto penso sia giunto il momento di ricapitolare, alla fine di questo secondo Commonitorio, tutto
ciò che è stato trattato nei due Commonitori. Nel primo ho detto che i cattolici hanno avuto sempre la
consuetudine, come l’hanno tuttora, di determinare la vera fede in due modi: con l’autorità della Scrittura
divina e con la tradizione della Chiesa Cattolica. Non che la Scrittura da sola non sia sufficiente in ogni caso,
ma perché molti, interpretando a loro piacere le parole divine, finiscono con l’inventare una quantità
incredibile di dottrine erronee. Per questo motivo è necessario che l’esegesi della Scrittura divina sia guidata
dall’unica regola del senso ecclesiastico, specialmente in quelle questioni che toccano le fondamenta di tutto il
dogma cattolico.
“Ho parimenti affermato che nella stessa Chiesa bisogna tener conto dell’universalità e dell’antichità,
affinché non ci accada di staccarci dall’unità del tutto e di finire, disgregati, nel frammentarismo
particolaristico dello scisma, o di precipitare dalla fede antica in novtià eretiche.
“Ho detto, inoltre, riguardo all’antichità, che bisogna a tutti i costi tener presente due cose e a esse aderire
profondamente se non si vuole diventare eretici: primo, vedere se anticamente c’è stato qualche decreto da
parte di tutti i vescovi della Chiesa Cattolica, emanato sotto l’autorità di un concilio universale; quindi, nel
caso che sorga una questione nuova intorno alla quale nulla si trovi che sia stato definito, ricorrere alle
sentenze dei Padri, a quelli soli però che, per aver dimorato nei loro tempi e nei loro luoghi nell’unità della
comunione della fede, sono divenuti maestri approvati. Tutto ciò che si trova che essi hanno ritenuto senza
timore alcuno come espressione della vera fede cattolica” (Vincenzo di Lerino, Commonitorio 29).
2. GREGORIO DI NISSA
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
Nato tra 335-340
Sposato: moglie = Teosebeia?
Nel 371 fu creato vescovo di Nissa (dal fratello – vedi sopra – che rimase deluso dalla
sua incapacità di amministrare: era un uomo contemplativo)
In esilio dal concilio ariano (che aveva presieduto) nel 375/376 al 378 (morte
dell’Imperatore Valente).
Nel 380, eletto vescovo di Sebaste
Partecipò al Concilio di Costantinopoli (381AD)
Teodosio, Pulcheria e Flaccilla.
Morto dopo 394.
Oratio catechetica magna
De vita Moysis (primo libro pubblicato da Source Chretienne, dove Danielou ha
sottolineato la sua vicinanza alla filosofia moderna).
La filosofia e la rivelazione
“Per esempio, anche la filosofia profana afferma che l’anima è immortale, e questo è un figlio buono;
ma farla passare da un corpo all’altro e trasformarla da natura razionale in irrazionale, questa è in
circoncisione, carnale e straniera. E si possono addurre molti esempi di tal genere. La filosofia
profana afferma che c’è Dio, ma lo crede anche materiale; ammette ch’è creatore, ma bisognoso
della materia per poter creare; concede ch’è buono e potente, ma lo fa cedere in molti casi alla
necessità del fato.” (La Vita di Mosè II.40).
Escatologia: αϖποκαταστασις.
Riguardo all'apocatastasi, Gregorio riprende la dottrina origeniana:
11.
“Ora, appunto, come coloro che subiscono la terapia del bisturi e del cauterio se la prendono con i medici per
il dolore acuto provato nell’intervento operativo, ma se tutto questo procura loro la guarigione e la sofferenza
della cauterizzazione scompare, allora avranno riconoscenza per chi li ha curati; allo stesso modo, una volta
resa libera la natura nel lungo scorrere dei tempi dal male che ora è in essa intruso e congiunto, quando si
sarà compiuto il ritorno alla condizione originaria di coloro che attualmente sono soggetti al male, da tutta
quanta la creazione si leverà un canto unanime di ringraziamento, sia da parte di coloro che saranno puniti
con questa purificazione e sia da parte di chi non avrà alcun bisogno di purificazione.
“Questi e di tal genere sono gli insegnamenti che ci offre il grande mistero dell’incarnazione divina.
Mediante il suo congiungimento con l’umanità, assumendo tutti i caratteri propri della natura umana, la
nascita, il nutrimento e la crescita, fino alla prova della morte, Dio ha effettuato tutti quei benefici sopra
menzionati, liberando l’uomo dalla malvagità e procurando guarigione allo stesso padre del vizio. E salvezza
da una infermità la liberazione da una malattia, sia pur a costo di sofferenza” (Oratio catechetica magna
26.8-9).
“Quanto poi al fatto che dopo aver sofferto tre giorni nell’oscurità anche gli Egiziani tornano a godere della
luce, forse uno, prendendo spunto da qui, spingerà il pensiero all’apocatastasi che dopo queste vicende
attende nel regno dei cieli quanti sono stati condannati all’inferno. Infatti, come dice il racconto, quelle
tenebre palpabili hanno stretta affinità, nell’espressione e nel concetto, con le tenebre esteriori. E l’una e
l’altra si dissolvono quando Mosè, così come noi l’abbiamo sopra interpretato, distende le mani per color che
sono nelle tenebre.” (La Vita di Mosè II.82.)
Un altro tema di quelli già visti è quello della verginità perpetua di Maria:
La verginità perpetua di Maria: in partu
“Da ciò apprendiamo anche il mistero che riguarda la vergine, perché la luce della divinità, che da lei
risplendette alla vita umana grazie al suo parto, ha custodito incorrotto il cespuglio ardente, in quanto il fiore
della verginità non si è appassito per il parto.” (La Vita di Mosè II.21).
3. GREGORIO DI NAZIANZO
Nato 329/330, suo padre era il vescovo di Nazianzo.
Ha studiato a Cesarea di Palestina (dove aveva insegnato Origene), Alessandria ed Atene
Battezzato c. 358
Con Basilio ad Annisi sull’Iris nella provincia di Ponto: la sua vita sarà un continuo fuggire a vita
monastica dai molti incarichi che gli verranno dati.
Nel 361/362, ordinato sacerdote (dal padre). Parlerà della sua vita come una seri di violenze fatte
contro la sua volontà. In quell’epoca non c’era il discorso della nullità bastava l’imposizione delle
mani. Non voleva essere prete perché lo distoglieva dalla contemplazione. Subito dopo
l’ordinazione scappò di nuovo da Basilio e vi stette un’anno. Tornato, pronunciò un oratio (il
cosiddetto de Fuga) in cui spiegava i motivi della sua fuga. È un testo fondamentale della patristica
che ha ispirato alla base l’opera di san Giovanni crisostomo sul sacerdozio (organizza i suoi pensieri
sul modello del de Fuga) e il termine di paragone di Gregorio Magno per quello che sarà il manuale
di formazione presbiterale per tutto il medioevo.
Nel 371, fu consacrato vescovo di Sasima (un villaggio miserabile) da Basilio, che voleva
aumentare il numero dei vescovi cattolici (vedi sopra). Non vi andò mai e restò ad aiutare il padre
fino alla morte. Fuggì a Seleucia in Isauria.
Dopo la morte dell’imperatore ariano, andò con la comunità nicena a Costantinopoli; la cappella
Αναστασι. Predicò cinque discorsi teologici fondamentali per la cristologia (gli meritarono il titolo
di “Teologo” tra gli orientali). Tra gli ascoltatori c’era Girolamo.Vescovo di Costantinopoli che non
è ancora un patriarcato (lo sarà con Giovanni Crisostomo), ma è la pur sempre la capitale
dell’impero. Al concilio di Costantinopoli diventa il presidente dopo la morte del predecessore e
porta avanti nel concilio la teologia dello Spirito santo. Verrà tuttavia rimproverato dai Padri
conciliari per lo spostamento irregolare da Sasima a Costantinopoli. Per questo si dimise e tornò a
casa a Nazianzo. La morte di Melezio di Antiochia (?)
Morto ad Ariano – in un possedimento della famiglia – nel 390. Una parte delle reliquie stanno
nella basilica di san Pietro.
La teologia di Gregorio Nazianzeno
I Cinque Discorsi Teologici contengono una polemica antiariana, in particolare anti-eunomiana. Si
trova nei discorsi per la prima volta l’idea di ekporeusis. Gregorio dice chiaramente che lo spirito
santo è Dio e procede dal Padre.
• ϖ Εκπορευσις −− γεννησις
• το πνευµα αγιον και θεος
“Cosa manca, dunque, allo Spirito---tu obietti---perché sia Figlio? Ché, se non ci fosse qualcosa che gli
manca, sarebbe il Figlio. Ma noi non diciamo che gli manchi qualcosa, perché Dio non è manchevole; ci
riferiamo alla differenza della manifestazione, per così dire, o del rapporto reciproco, che produce anche la
differenza del loro nome. Del resto, nemmeno al Figlio manca qualcosa per essere il Padre---ché la
condizione di figlio non implica una mancanza---e non per questo è il Padre; altrimenti, mancherebbe
qualcosa anche al Padre per essere il Figlio---ché il padre non è il figlio. Ma queste parole non indicano una
mancanza di alcun genere, né una diminuzione secondo la sostanza, mentre i termini di non essere stato
generato e di essere stato generato e di procedere indicano l'uno il Padre, l'altro il Figlio, il terzo quello che
si chiama, appunto, Spirito Santo, in modo che si conservi non confusa la distinzione delle tre ipostasi
nell'unica natura e nell'unica dignità dell'essenza divina. Il Figlio non è il Padre, ché il Padre è uno solo, ma
è la stessa cosa che è il Padre; né lo Spirito è il Figlio per il fatto che proviene da Dio, perché uno solo è
l’Unigenito, ma è la stessa cosa del Figlio. I Tre sono un solo essere quanto alla natura divina, e il solo
essere è tre quanto alle proprietà: l’uno non deve essere inteso alla maniera di Sabellio, né i Tre sono quelli
della sciagurata divisione che è in voga oggidì.
Ebbene? Lo Spirito è Dio? Certamente! E allora? E’ homousion? Sì, se è vero che è Dio,” (Oratio 31.9-10).
Nella cristologia segue la forma: λογος − ανθρωπος
“Se uno pretende che la sua carne sia discesa dal cielo, che non sia di quaggiù, non di noi ma superiore a
noi, sia anatema. (…) Se uno confida in lui come in un uomo che fosse sprovvisto di spirito umano, è in verità
sfornito egli stesso di spirito e del tutto indegno di salvezza, giacché ciò che (il Cristo) non ha assunto, non ha
eppure guarito, ma ciò che ha unito alla sua divinità è pure salvato,” (Ep. a Cledonio 101.30,32.)
È importante anche per il linguaggio trinitario:
“E se bisogna esprimersi concisamente, le sostanze da cui è composto il Salvatore sono una e un’altra
(αλλο µεν και αλλο), dal momento che l’invisibile non è la stessa cosa del visibile e ciò che è al di fuori del
tempo non si identifica con quello che è soggetto al tempo, ma non vi sono uno e un altro
(ου ϖκ αλλος δε και αλλος): non sia mai! Ché le due sostanze diventano un essere solo per mezzo della
loro mescolanza (Τα γαρ αϖµϕοτερα εν τη συγκρασει), dato che Dio si incarna e l’uomo diventa divino--o comunque lo si voglia definire. Io dico una sostanza e un’altra ( αλλο και αλλο) nel significato opposto a
quello che si applica alla Trinità. Nell’ambito della Trinità, infatti, vi è uno e un altro, perché noi non
dobbiamo confondere le ipostasi, ma non una e un’altra sostanza: una cosa sola, infatti, sono i Tre, e la
medesima,
quanto
alla
natura
divina
( Εκει
µεν γαρ αλλος και αλλος, ινα µη τας υποστασεις συγχεωµεν ου vκ αλλο δε
και
αλλο εν γαρ τα τρια και ταυvτον τη θεοτητι),” (Ep. a Cledonio 101.20-21.)
Mariologia: θεοτοκος
Sezione 12
Agostino: l’elaborazione teologica connessa al servizio di pastore
1. AGOSTINO D’IPPONA
1. Nato il 13 novembre, 354, a Tagaste nella provincia nordafricana di Numidia
2. Padre = Patrizio; madre = Santa Monica
La madre seppe conquistare tutta la famiglia. Si diceva cristiano ovunque: cristiano perché
cercava Cristo (i catecumeni si dicevano già cristiani). Ma abbandonò la fede cattolica, non
seguendo sua madre (per questo la preghiera di santa Monica è perché sia cristiano
cattolico).
3. Ha studiato a Madaura e Cartagine (buona educazione).
4. Il Hortensius di Cicerone: a 19 anni ebbe il suo risveglio filosofico.
5. Manicheismo: cristianesimo gnostico e dualista (due principi: bene e male). Rimane manicheo
per 9 anni a l livello più basso (quello degli auditores). Spiegerà il manicheismo in tre temi.
• Razionalità che esclude la fede
• Cristianesimo puro che esclude Antico Testamento
• Soluzione radicale al problema del male: il male non viene da Dio, la soluzione è un
dualismo materialistico.
•
Per Agostino in questa fase il male esiste ed è materiale. il problema del male è che
non possono stare insieme tutte e tre queste proposizioni (una deve essere falsa):
o Dio è buono
o Dio è onnipotente
o Il male esiste.
6. Suo figlio = Adeodato (372) lo ebbe da una donna con cui convisse 10 anni, ma che non poté
sposare per la differenza sociale. Quando la madre lo andò a trovare, rifiuta di stare sotto lo stesso
tetto perché era manicheo (non tanto per la sua convivenza, perché il matrimonio non era possibile e
c’erano di queste unioni). Il gesto di Monica è una scomunica: nella chiesa antica, infatti, la
scomunica era non solo dall’altare, ma anche dalla mensa famigliare.
7.Il grande manicheo Fausto. Agostino, di fatto, viveva da manicheo, ma era pieno di domande.
Aspetto Fausto per esporgliele, ma vedendo che non sapeva rispondere, chiuse la questione (pur
mantenendo i rapporti).
8. A Roma nel 383. È una fuga con la moglie e il figlio dalla madre (l’aveva mandata a pregare in
una cappella tutta la notte). Monica prese la barca successiva per raggiungere il figlio e non ebbe
paura della tempesta che incontrò. Arrivato a Roma, Agostino rimase deluso, perché aveva tanti
studenti, ma non pagavano.
9. Nel 384 Mandato da Simmaco – prefetto di Roma – a Milano, dove Agostino diverrà il Magister
retoricae. Incontra i libri platonici e dice che la filosofia platonica lo ha aiutato molto a superare il
dualismo dei manichei: il male non è una cosa sostanziale, è semplicemente l’assenza del bene. I
platonici sono stati importanti per la conversione. Eppure riconoscerà che gli mancava una cosa:
l’incarnazione. I platonici lo avevano portato su una collina che domina una valle e che stava di
fronte ad un’altra collina dove si vedeva il Verbo, ma da lontano. L’incarnazione del verbo è come
la valle: i platonici erano orgogliosi e non potevano vedere l’incarnazione del Verbo. Ma a questo
punto mancava un passo ad Agostino: da manicheo non poteva ancora capire l’At e il Dio che vi si
legge.
10. Incontro con Sant’Ambrogio. La sua predica fu la chiave per la conversione perché era un
esegesi allegorica. dalla lettera non accettabile allo spirito vero della scrittura. oltretutto non
accettava la banalità del linguaggio scritturistico, ma Ambrogio sciolse anche quella riserva. Il
passo successivo è quello nel giardino di milano dove legge il passo di san Paolo che lo porta a
comprendere la circolarità di fede e ragione.
11. Platonismo
12. Tolle, lege; tolle, lege!
13. Ritiro a Cassiciaco
14. Battesimo a Milano con Adeodato e Alipio alla vigilia della Pasqua (24. IV. 387).
15. Monica morì nel 387 ad Ostia
16. Comunità monastica a Tagaste
17. Nel 391, sacerdote
18. Nel 396, vescovo coadiutore.
19. Nel 397, vescovo di Ippona
20. Le controverise
a. Manicheismo
b. Donatismo
c. Pelagianismo
d. Arianesimo
e. Leporino: un caso di ‘pre-nestorianesimo’
21. Agostino morì il 28 agosto del 430.
22. Sepolto nella Basilica Pacis;
dopo Sardegna;
dopo Pavia  San Pietro in Ciel d’Oro.
LE OPERE DI AGOSTINO
1. Confessiones (397-400)
2. De civitate Dei (dopo 410)
LA TEOLOGIA DI AGOSTINO
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
Cristologia: Christus una persona in utraque natura
L’uomo
a. Capax Dei
b. Indigens Deo
Il Male =/= una sostanza
Mariologia
a. Verginità perpetua
b. La Concezione Immacolata
Il peccato originale e la giustificazione
a. Ignorantia et infirmitas
b. Libertas minor (posse non peccare)
c. Libertas maior (non posse peccare)
La Chiesa
a. Societas permixta
b. Communio sacramentorum
c. Communio sanctorum
d. Numerus praedestinatorum
e. Christus totus
f. Sine macula et ruga
La preghiera ecclesiale = Cristocentrica
Contemplazione (caritas veritatis)
Azione (necessitas caritatis)
Scarica