APPUNTI DEL CORSO DI PATROLOGIA Don Angelo Longo *** INTRODUZIONE Patrologia, patristica e letteratura cristiana antica; lo studio dei Padri nella teologia: significato e metodo dello studio Dal documento Optatam Totius, lo studio della teologia incomincia con i temi biblici. Dopo lo studio della scrittura si considerano i Padri della chiesa. E in seguito lo sviluppo della dottrina. 1. DIVERSI APPROCCI La parola Patrologia deriva da Pater + Logos. È la scienza dei Padri della Chiesa. Ci sono diversi approcci alla stessa materia dei padri. • La Patrologia è lo studio scientifico della vita delle opere e della dottrina di quei personaggi dell’antichità. Ha un approccio prima di tutto storico e bibliografico, ma anche teologico. • La Patristica è la teologia patristica che considera la dogmatica dei Padri nella loro riflessione ecclesiale. È quindi vera e propria teologia (nel corso faremo sia patrologia che patristica). • La Letteratura cristiana antica è una disciplina non teologica, si può dire letteraria. È uno studio che considera gli aspetti stilistici e filologici degli scrittori cristiani antichi. Anche un ateo può affrontare questo tipo di studi. L’oggetto dello studio, comunque, rimane lo stesso; cambia il contesto. Perché studiamo i Padri oggi? Nei Padri vi è qualcosa di singolare. Qualcosa di normativo per noi. I Padri sono i primi teologi che rifletterono sulla scrittura; con loro la teologia prese una direzione precisa che è normativa anche per noi. Perché il canone, perché i simboli di fede, perché le catechesi? Grazie ai Padri. Nell’Ottocento riprende con nuovo vigore la teologia dei Padri, soprattutto con Johann Adam Mohler della scuola di Tubinga, con J.H. Newman e con Perrone della scuola romana; nel secolo scorso, poi, si trovano de Lubac, Danielou, von Balthasar. Tutti questi teologi ci dicono che c’è ancora moltissimo da sfruttare e da tirare fuori dalla teologia patristica (ne parla sempre Benedetto XVI) che rappresenta per noi una miniera inesauribile. Questo risveglio dei Padri ha preparato il Concilio Vaticano II. Ironicamente, però, dopo li Concilio si trova una certa ermeneutica della discontinuità, l’anno 1965 per alcuni è l’anno zero della teologia. Papa Paolo VI, però, invitava ad assumere l’atteggiamento opposto verso i Padri. Con il grande ritorno alle scritture, il Concilio chiama al ritorno alla grande tradizione, il contesto in cui la chiesa antica leggeva la scrittura; quest’ultima infatti non è staccata dalla comunità in cui vive. 2. ATTUALITÀ DEI PADRI È importante sottolineare l’attualità dei Padri (La presentazione all‘Instruzione della Congregazione per l‘Educazione Cattolica: Lo studio dei padri della chiesa nella formazione sacerdotale, p. 3). Dai Padri ci si attendono oggi: 1) orientamenti e luce per superare certe difficoltà in cui si trova la teologia. [Il Ritorno alle Scritture ―deve essere accompagnato dal ritorno alla Tradizione attestata dagli scritti patristici, se si vuole che produca I frutti sperati,(Instr. 29)]. 2)sani criteri di discernimento dottrinale e morale per camminare più sicuri in mezzo alle attuali trasformazioni culturali e sociali.1 3)un nutrimento sostanzioso per i vari movimenti di spiritualità che stanno sorgendo nel laicato e animano la vita pastorale (vedi le Piccole Sorelle dell’Agnello). 3. IL TITOLO “PADRE” Il titolo Padre è un titolo onorifico: padre è colui che dà la vita. I Padri, quindi, sono coloro che ci hanno educato nella fede. Sono i custodi della tradizione, gli autentici maestri della fede. Hanno una vocazione particolare nella Chiesa: non sono alla nascita né all’infanzia, ma nell’adolescenza della Chiesa. Insegnano alla Chiesa quello che dalla Chiesa hanno imparato. La chiesa primitiva, fino al IV secolo ha riservato questo titolo solo ai vescovi, che predicano il vangelo nell’assemblea liturgica. Dalla fine del IV secolo diventano i testimoni autorevoli della tradizione. È da allora che nasce un argomentum patristicum per stabilire definitivamente cosa crediamo e cosa non crediamo. 25.02.2011 La prima volta che il titolo viene applicato è per indicare i partecipanti al concilio di Nicea (i 318 padri conciliari, che in realtà erano solo 200-220). dopo il 200 il titolo viene applicato anche ai sacerdoti: san Girolamo non era vescovo. Insieme a Gregorio Magno, Agostino e Ambrogio forma il quartetto dei padri occidentali: il primo era papa, il secondo e il terzo erano vescovi. Lui era solo un eremita che viveva nella caverna. Nell'iconografia viene fatto cardinale (vestito di rosso), dato che era anche assistente di papa Damaso (un caso analogo è quello di Efrem, semplice diacono). La definizione classica di Padre è quella di Vincenzo di Lerin (dispensa 5). si distinguono per la dottrina, la santità di vita e l'approvazione della Chiesa (soprattutto romana, per sottoscrivere la comunione) come testimoni della fede. Sono autorevoli nella spiegazione della fede. Le quattro caratteristiche – tracciate da Petrus Anatus in un manuale del '700 – che definiscono il padre, quindi, sono • Antichità • Ortodossia • Santità • approvazione ecclesiastica ANTICHITÀ Nel suo manuale, oltre ai primi sette secoli, Petrus mette in continuità i padri con gli scolastici, chiamando padri anche Tommaso e Bonaventura. Forse chiamarli Padri è eccessivo, soprattutto per la differenza di metodo. La cosa importante di Petrus è che mette a fuoco la continuità. Bernardo è l'ultimo padre, scrive come i padri, non è scolastico. Padre Perrone, gesuita dell'Ottocento, insiste 1 Oggi viviamo in un contesto simile a quello del V secolo: Roma, intoccabile, eterna, invincibile, cade nel 410. Il panico percorre tutto l’impero: è uno shock ovunque. Da quel momento tutti i cristiani sono accusati di essere i colpevoli del crollo di Roma: i pagani accusavano i cristiani che andavano contro il decreto di Vespasiano sull’idolatria. Agostino risponde con il De Civitate Dei. Oggi la situazione è analoga, almeno negli Stati Uniti. Con il crollo delle Torri Gemelle c’è un cambiamento pragmatico non solo in America, ma in tutto il mondo: non si può mai essere sicuri in nessun luogo (aumento dei controlli in tutto il mondo…). E le accuse dei pagani sono: è colpa delle religioni, è colpa del papa, ecc… i Padri ci danno risposte valide anche per il nostro contesto. sulla nomina di Bernardo, rendendo molto lunga l'era dei padri. Ma si deve tenere conto che la sua nomina, inizialmente è una critica alla scolastica, che in questo prospettiva si pensa abbia tradito l'eredità patristica. Anche il genere conta (si nota differenza tra i padri e gli scolastici in metodologia). Ma nel de Trinitate Agostino applica anche le categorie aristoteliche e lo si legge come Tommaso. Non è giusto dire che i padri scrivevano in uno stile unico (Tommaso ha scritto inni bellissimi) né discriminare in tal modo gli scolastici. Se non si chiude l'era dei padri con Bernardo, la si chiude con Giovanni Dalla Lettera di Clemente ai Corinti (c. 96AD) fino a→ → Papa Gregorio Magno (604)/ Occidente damasceno in oriente e con Isidoro di → Imperatore Giustiniano (527)/ Oriente Siviglia in occidente. Un'altra o più tardi possibilità, più conservatrice, è → Isidoro di Siviglia (c. 636)/ Occidente l'avvento di Giustiniano o la morte di → Giovanni Damasceno (c. 750)/ Oriente Gregorio Magno (che spesso è il riferimento per l'inizio del medioevo). Un altra ipotesi è il concilio di Calcedonia, ma è una proposta eccessiva. Gli scritti del primo testamento diventano il canone del Testamento. La prima lettera al di fuori è la lettera di papa Clemente alla chiesa di Corinto. L'assemblea liturgica leggeva quella lettera durante la liturgia, come si legge la scrittura (allora c'era ancora fluidità nel canone). L'epoca patristica finisce con un clima intellettuale diverso: le invasioni barbariche e la diffusione dell'islam che comincia a occupare le sedi episcopali e le zone cristiane (alcuni monofisiti erano accoglienti con i musulmani, perché gli permettevano di vivere più in libertà la loro fede, non più sotto il controllo ortodosso). Da quel momento il papa si rivolge più all'impero romano europeo e non più verso la chiesa di oriente (così nasce anche il rapporto stato-chiesa e si pongono i presupposti per il grande scisma del 1054). secondo Ratzinger la configurazione del medioevo è già impostata qui. L'ORTODOSSIA Non significa priva di errore, ma semplicemente che essi mantenevano una comunione leale con la Chiesa e senza opposizione dottrinale. Ad esempio, la chiesa non ha mai condiviso la teoria di Agostino sui bambini morti non battezzati. Questi, insistendo molto sulla priorità della grazia di Cristo per la salvezza, grazia che passa per il battesimo, affermava che per un bambino morto senza battesimo non c'era alternativa all'inferno (anche se poi il bambino finisce in una zona dell'inferno dove il fuoco non brucia tanto). La chiesa non segue Agostino; si crea l'ipotesi del Limbo, mai negata dalla chiesa (solo pochi anni fa la commissione teologica internazionale ha mostrato la non necessarietà dell'ipotesi del limbo). Un altro esempio è quello di altri padri che non hanno sostenuto la santita o l'immacolata concezione di Maria. Come risolvere questi problemi? Qui in gregoriana Perrone faceva la distinzione tra Padri • come Testimoni alla tradizione apostolica (quando parla della fede e in accordo agli altri padri) sono infallibili e non possono sbagliarsi. • Come esegeti privati, essi prendono la loro posizione privata. Un esempio odierno è il libro di Gesù di Nazareth, lavoro di un teologo, non di un papa. Lo stresso papa distingue tra il dottore privato e il magistero petrino (in quanto testimone autorevole alla tradizione apostolica della chiesa). Gregorio di Nissa sostiene che anche il diavolo sarà guarito (la salvezza universale, condannata dal quinto concilio ecumenico): “Questi e di tal genere sono gli insegnamenti che ci offre il grande mistero dell‘incarnazione divina. Mediante il suo congiungimento con l‘umanità, assumendo tutti i caratteri propri della natura umana, la nascita, il nutrimento e la crescita, fino alla prova della morte, Dio ha effettuato tutti quei benefici sopra menzionati, liberando l‘uomo dalla malvagità e procurando guarigione allo stesso padre del vizio. E salvezza da una infermità la liberazione da una malattia, sia pur a costo di sofferenza” (Oratio catechetica magna 26.8-9). LA SANTITÀ Virtù cristiana di base. Armonia tra vita e fede, tra fede e moralità. Una precomprensione vede nella santità una condizione che fa possibile una comprensione più esatta o più profonda della rivelazione cristiana. Per questa santità i Padri sono docili allo spirito ed hanno un istinto dogmatico, leggono le scritture “con lo stesso spirito con cui sono state scritte” (DV12). APPROVAZIONE ECCLESIASTICA Tertulliano, anche lui compare nel breviario, non è un padre, ma uno scrittore ecclesiastico antico. Lo chiamiamo così perchè gli manca almeno una di queste prerogative: non è santo (muore da montanista). Come lui Origene (muore in comunione con la chiesa e da essa venerato). Al “dottore della Chiesa”, invece, manca l'antichità. 4. SCRITTI ECCLESIASTICI E DOTTORI DELLA CHIESA Abbiamo visto i quattro padri della chiesa latini latini, nominati da Bonifacio VIII nel 1295. Nel IV. Scrittori Ecclesiastici e Dottori 1) I Padri Latini: 1568 san Pio V nomina quattro padri greci (1)Ambrogio (Atanasio, Basilio il grande, Gregorio (2) Girolamo nazianzeno e Giovanni crisostomo) (3) Agostino In alcune raffigurazioni si trovano i padri latini (4) Gregorio Magno insieme ai quattro evangelisti (ad indicare 2) I Padri Greci: scrittura e tradizione). (1) Atanasio (2) Basilio il Grande Quando il passato consisteva soltanto degli (3) Gregorio Nazianzo apostoli, i loro discepoli e i martiri. Dal cuore di (4) Giovanni Gesù, su cui si è reclinato Giovanni evangelista, Crisostomo al suo discepolo Policarpo, al suo discepolo Ireneo che muore a Lione: con Ireneo siamo ancora molto vicini a Gesù. Ireneo insiste sul fatto che Policarpo trasmetteva solo ciò che avevano detto gli apostoli: la sua opera è contro gli gnostici, che pretendevano di avere la vera rivelazione personale da Gesù. Vediamo ancora la vicinanza dei Padri al Signore: Ireneo, verso la fine della sua vita ricorda i ricordi di Policarpo per quanto concerne Giovanni: EUSEBIO, citando la lettera di IRENEO a Florino, dice: «Ricordo infatti gli avvenimenti di allora meglio di quelli accaduti di recente (perché le conoscenze acquisite da ragazzi crescono con l‘anima, dentro di essa), così che posso dire anche in luoghi dove il beato Policarpo si sedeva a discutere e il suo modo di procedere ed entrare in argomento, il carattere della sua vita e il suo aspetto fisico, i discorsi che faceva alla folla, come riferiva le sue relazioni con Giovanni e con gli altri che avevano visto il Signore, come ricordava le loro parole e quali erano le cose che aveva udito da loro sul Signore, sui suoi miracoli e sul suo insegnamento, e come Policarpo avesse ricevuto tutto questo dai testimoni oculari della vita del Signore e lo riferisse in conformità con le Scritture» (Historia Ecclesiastica 5.20.5-6). Policarpo ascoltava Giovanni e raccontava, e quanto raccontava era concorde alle scritture: tradizione viva in sintonia con la Parola scritta. Gli gnostici, invece, credendo alle loro proprie ispirazioni iniziano a produrre altri scritti proprio. La verità che la chiesa professa si manifesta nelle scritture, non in fantasie provenienti da trasmissioni solo orali o da immaginazione privata. 5. METODO TEOLOGICO PATRISTICO Siamo in un momento di discernimento, il lavoro dei Padri è anche stabilire le cose normative: il deposito della fede, la teologia sorge come riflessione delle scritture, si canonizza il NT, si proclamano i dogmi trinitari e cristologici, nascono le prime formulazioni liturgiche. 1) Sacra Scrittura La Sacra Scrittura è chiaramente al centro della teologia patristica: i Padri erano principalmente esegeti. Prendevano molto sul serio la parola e la stessa lettera: assieme alla lettura spirituale si trova anche un embrione di riflessione critica. Dire che non si trova la scrittura nei testi patristici è dire che non si trova acqua in un fiume, dice un martire gesuita inglese. Se non avessimo la scrittura, potremmo ricostruirne i due terzi solo dalle citazioni di Agostino nelle sue opere. Facevano un esegesi in medio ecclesiae. La tradizione della chiesa era per loro norma interpretativa. È una teologia scritturistica e liturgica: «I padri hanno dato in tal modo la prima risposta consapevole e riflessa alla sacra Scrittura, formulandola non tanto come una teoria astratta, ma come quotidiana prassi pastorale di esperienza e di insegnamento nel cuore delle assemblee liturgiche riunite per professare la fede e per celebrare il culto del Signore risorto », (Congregazione per l‘Educazione Cattolica, Lo studio dei padri della chiesa nella formazione sacerdotale, 20). Origene dà sempre tre interpretazioni del Cantico dei Cantici: letterale (l’argomento drammatico di amore), spirituale A (la sposa è la Chiesa e l’amante è Cristo), spirituale B (la sposa è l’anima, ma l’incontro individuale avviene solo nella comunità e nel contesto della tradizione viva). Solo nel medioevo si perde questa componente e si arriva ad un misticismo individualista: io e Dio. Non era questo l’atteggiamento dei Padri. 2) Inculturazione I Padri si trovano davanti alla necessità di inculturare per esprimere nelle diverse culture il Vangelo (è un problema che si trova già in Paolo). Per alcuni Padri, i filosofi sono degli eretici non illuminati (Tertulliano a qualche altro); per molti altri, invece, la filosofia greca procede da un'unica fonte di saggezza, il Verbo di Dio. Benedetto XVI quando parlò a Regensburg della peculiarità del cristianesimo disse che è la ragione divina che si incarna: il cristianesimo non è dunque al di là della ragione, ma ne è la pienezza. Nonostante ciò non c’è sincretismo con i filosofi, ma c’è un attenzione critica: Agostino critica la visione platonica che disprezzava il corpo. Lo schema exitus-reditus di Plotino, ad esempio, è stato visto come una similitudine della teologia cristiana. Ma ci sono differenze profonde: i cristiani parlano di Dio in seconda persona, hanno un rapporto personale, i filosofi sempre in terza persona. E di fatti, l’exitus è piuttosto una caduta;l’uno di Plotino non si preoccupa per niente, né pensa per niente all’uomoeil ritorno al Padre non avviene per negazione del mondo materiale come in Plotino: è il Signore stesso che si è preoccupato di riportarci a lui incarnandoci. 3) Difesa della fede Le molte eresie furono un grande stimolo per la crescita della fede cristiana: «Come diceva s. Agostino di fronte al moltiplicarsi degli eretici: Dio ha permesso la loro diffusione, affinché non ci nutrissimo del solo latte e non rimanessimo in stato di rude infanzia (Io. eu. tr. 36.6), in quanto molte questioni riguardanti la fede quando, con astuta inquietudine, vengono esaminate più diligentemente, capite più chiaramente, predicate più insistentemente di modo che la questione mossa dall’avversario diventi l’occasione d’imparare, (ciu. 16.2.1)», (Istruzione della Congregazione per l‘Educazione Cattolica: Lo studio dei padri della Chiesa nella formazione sacerdotale, 33). La fede cristiana è sempre la stessa: già nelle scritture si vede il credo cristologico, testimonianze della trinità, il progetto di salvezza del mondo e tutto ciò che la chiesa ha semplicemente esplicitato e attualizzato nel corso dei secoli, grazie anche alle sfide delle eresie. Così anche il sacerdozio come prerogativa maschile è così perché così lo ha stabilito Cristo. 4) Il Senso del Mistero e l‘Esperienza del Divino C’è un bel rapporto fides et ratio nei padri come anche un profondo senso del divino e della trascendenza: si percepisce il mistero di Dio che si può intelligere ma non comprendere. San Gregorio Nazianzeno, in proposito, dice: “Io penso che parlare di Dio è impossibile e comprenderlo è ancor più impossibile. Ché quello che si è pensato, la parola potrebbe fors‘anche manifestarlo, se non adeguatamente, comunque in modo oscuro, a colui che non sia completamente malato nell‘udito e stolto nell‘intelligenza. Ma il comprendere con il nostro intelletto una sostanza così grande è assolutamente impossibile e irraggiungibile, non solo per quelli di spirito insonnolito e che badano solo a quello che è a terra, ma anche per quelli che sono molto grandi e che amano Dio; è impossibile, senza distinzione, a tutta la natura creata, a tutti quelli davanti ai quali si addensa questa caligine e ai quali questo spesso elemento carnale fa ostacolo alla conoscenza della verità”, (Orazione 28.4). Possiamo fare qualcosa, ma dobbiamo sempre avere presente il nostro limite (cfr. leggenda agostiniana, che lo stesso Benedetto XVI ricorda nel suo stemma con la conchiglia: umiltà del teologo davanti al mistero di Dio). È necessario, oltre allo studio intellettuale, un processo di purificazione dell’anima. C’è un rapporto tra santità e comprensione. Ancora San Gregorio Nazianzeno: “Non crediate, voialtri, che il parlar di Dio come vuole la nostra religione sia una cosa che compete a chiunque. Niente affatto: tale argomento costa caro e non lo posseggono quelli che vivono terra-terra. Aggiungerò anche che non si può parlarne chiunque: lo si può fare certe volte, e a certe persone, e in una certa misura. Non lo possono fare tutti, perché è un compito che spetta a quelli che si sono esercitati e hanno trascorso tutta la loro vita nella contemplazione e, soprattutto, hanno purificato l‘anima e il corpo o, almeno, la stanno purificando”, (Orazione 27.3). Così dice anche Dionigi: è necessario pregare, “fare teologia in ginocchio” (von Balthasar) per poter stare uniti a Dio. Fare teologia pregando: “Perciò, prima di tutto, ed in particolar modo prima di parlare di Dio, è necessario cominciare dalla preghiera, non per attrarre a noi la forza che è presente in tutti i luoghi e in nessuno, ma affinché con il ricordo e le invocazioni possiamo metterci nelle sue mani e unirci a lei” (Dionigi L‘Areopagita, Nomi Divini 3.1). Agostino è un grande esempio che mostra lo stesso atteggiamento: “Se mi si domanda poi come si realizzò l‘incarnazione, dico che il Verbo di Dio si è fatto carne, cioè uomo, senza essere tuttavia convertito e trasformato in ciò che si è fatto, e si è fatto esattamente in tal modo che in lui si trova non solo il Verbo di Dio e la carne dell‘uomo, ma anche l‘anima razionale e che questo tutto si dica Dio a causa della natura divina, e uomo a causa della natura umana. Se è difficile intenderlo, l‘anima si purifichi con la fede, astenendosi ogni giorno di più dal peccato, operando il bene e pregando con il gemito dei santi desideri, perché, progredendo con l‘aiuto divino, comprenda ed ami”, (Agostino, De Trinitate 4.21.31). 5) La Realtà Unitiva della Teologia L’obiettivo è l’unione della fede tra ciò che si crede e ciò che si vive. La chiesa non insegna solo la fede, ma anche i costumi. Le due cose vanno insieme: non c’è verità senza amore, né amore senza verità (ortodossia ed ortoprassi). C’è sempre questo aspetto unitivo tra teologia e spiritualità. Allo stesso modo c’era nei padri uno sguardo universale: i cattolici, nella diocesi di Agostino erano in minoranza, ma come vescovo egli influenzava tutto il mediterraneo; aveva una corrispondenza epistolare con mezza Europa.2 Lo scopo, quindi, è farsi un amico. Sentire cum ecclesiam(?). È più o meno la proposta di sant’Ignazio di Loyola. 2 Si dice che una lettera di Agostino per Girolamo circolò 9 anni in Europa prima di arrivare a destinazione, tanto che Girolamo (che ne aveva già sentito il contenuto prima di riceverla) lo rimproverò. Anche Ilario di Poitiers, che passa pure in Asia minore; così anche altri pastori. 6. CONCLUSIONE Sant‘Ignazio di Loyola e gli Esercizi Spirituali. Lo studio dei padri della chiesa ci mostra quel momento di grande compimento di tutti gli esercizi spirituali: amare e servire Dio in tutte le cose. Cosa ami e cosa servi? Come conclusione, leggiamo questo brano della Congregazione per la dottrina della fede: “Gli studi patristici non possono fare a meno di una solida conoscenza della storia della chiesa che rende possibile una visione unitaria dei problemi, degli avvenimenti, delle esperienze, delle acquisizioni dottrinali, spirituali, pastorali e sociali nelle varie epoche. In tal modo ci si rende conto del fatto che il pensiero cristiano, se comincia con i padri, non finisce con loro. Ne segue che lo studio della patristica e dalla patrologia non può prescindere dalla tradizione posteriore, compresa quella scolastica, in particolare per ciò che riguarda la presenza dei padri in questa tradizione. Solo in questo modo si può vedere l‘unità e lo sviluppo che vi è in essa e anche comprendere il senso del ricorso al passato. Esso infatti apparirà non come un inutile archeologismo, ma come uno studio creativo che ci aiuta a conoscere meglio i nostri tempi e a preparare il futuro” (Congregazione per l‘Educazione Cattolica, Lo studio dei padri della chiesa nella formazione sacerdotale, 60). Non si può canonizzare la patristica a scapito dello sviluppo successivo. È bene assumere un’ermeneutica di continuità per cogliere l’unità e lo sviluppo della teologia e comprendere anche l’importanza del ricorso ai padri. La base patristica è un vero punto comune tra ortodossi e cattolici, non c’è vera opposizione nel modo di vedere i padri (al di là della forma). Sezione 2: Gli Apocrifi Biblici Canonizzazione del Nuovo Testamento, gli apocrifi ed il Protovangelo di Giacomo. 1. LA CANONIZZAZIONE DEL NUOVO TESTAMENTO 1. Scritti canonici (1) Lettere (2) Vangeli (3) Atti (4) L‘Apocalisse 2. Scritti dei Padri Apostolici letti come Scrittura: (1) I & II Clemente (2) La Didaché (3) Il Pastore di Erma (4) La Lettera di Barnaba 3. Scritti gnostici * Marcione * κανων = metro, misura, criterio 4. I tre criteri operativi nella canonizzazione del NT (1) Origine apostolica (2) Il ruolo delle chiese locali nell‘accoglienza del libro (3) Regula Fidei = la norma che delimita l‘ambito della ricerca cristiana della verità 5. Testimonianza documentiva (1) Il Canone Muratori ( c. 200 AD ) mancano soltanto: Ebrei, I & II Pietro, Giacomo ed una lettera di Giovanni (2) Liste complete Oriente: La Lettera Pasquale di Atanasio (Ep. 39) 367 AD Occidente: Decretum Gelasianum de libris recipiendis et non recipiendis ( capitoli 13) 382 AD 2. GLI APOCRIFI BIBLICI 1. αποκρυφος = segreto 2. I Vangeli Apocrifi dell‘Infanzia Derivano da essi: (1) i nomi dei genitore di Maria3 (2) la presentazione di Maria nel Tempio 3 Intanto per la bambina i mesi andavano aumentando; quando ebbe due anni, Gioacchino disse: “Portiamola nel tempio al Signore per compiere la promessa da noi fatta, per paura che il Signore non ce la richiami e non risulti sgradito il nostro dono”. Ma Anna rispose: “Aspettiamo il terzo anno, affinché non cerchi suo padre o sua madre”. E Gioacchino disse: “Aspettiamo”. (3) la grotta a Bethlemme (4) il bue e l‘asino vicino alla culla di Gesù (5) il numero e i nomi dei Magi 3. IL PROTOVANGELO DI GIACOMO Il titolo deriva da P. Guillaume Postel, S.J. nel 1549-1550; il titolo originale era “La Natività di Maria e Apocalisse di Giacomo”. Questo vangelo, risalente alla seconda metà del secondo secolo in Egitto e ampliato successivamente, ha lo scopo di completare gli scritti del Vangelo. l’autore non è un giudeo: mostra un ignoranza impressionante dei luoghi della Palestina. Si trovano estratti di vangeli canonici arricchiti da tradizioni provenienti da Gerusalemme. In occidente è stato condannato come apocrifo nel decreto Gelasiano, mentre in Oriente è stato tenuto molto in considerazione. Per difendere la verginità di Maria, si è detto che Giuseppe sposò Maria già vecchio, e con figli. Ma questa è solo un idea successiva; lo stesso Giovanni Paolo II la rifiuta: non ci aiuta a comprendere la castità di Giuseppe. Nel testo abbiamo anche una testimonianza della verginità in partu di Maria. La natività miracolosa di Gesù: XIX. E [Giuseppe e la levatrice] si fermarono nel luogo della grotta e vi era una nube oscura che adombrava la grotta. La levatrice disse: “Oggi la mia anima è stata esaltata (cf. Lc 1.46), perché oggi i miei occhi hanno visto cose mirabili (cf. Lc 2, 30): è nata la salvezza di Israele ”. All‘improvviso la nube si ritrasse dalla grotta, e apparve nella grotta una grande luce, tale che gli occhi non potevano sopportarla. E, a poco a poco, quella luce andava dileguandosi, finché apparve un bambino. Egli venne e prese il seno della madre. La levatrice allora esclamò: “Quanto è grande questo giorno per me, perché mi è stato dato di vedere questo nuovo spettacolo!” E la levatrice uscì dalla grotta imbattendosi in Salome, alla quale disse: “Salome, Salome, ho da riferirti del nuovo: una vergine ha messo al mondo, cosa che la sua natura non permette ” [è la verginità in parto: ciò che la sua natura non permette] . Salome replicò: “Vive il Signore, mio Dio: se non metto il dito e non esamino la sua natura, non crederò mai che una vergine abbia partorito”. [nel racconto del vangelo, Salome fa la prova e la sua mano in quel momento si inaridisce; subito, però, il bambino Gesù la guarisce] Se questo vangelo, pur presentando cose border line, testimonia comunque il canone, ci sono altri vangeli apocrifi che non sono accettati in nessun modo. Vediamo l’esempio del vangelo di Tommaso: Questo bambino Gesù, all‘età di cinque anni, giocava nel guado di un ruscello, e traeva le acque correnti nei fossati, e le rendeva subito pure, e le comandava con una semplice parola. E bagnata dell‘argilla, ne foggiò dodici passeri, e quando fece questo era un giorno di sabato. E c‘erano anche molti altri fanciulli che giocavano con lui. Allora un ebreo, avendo osservato quello che Gesù stava facendo, che giocava in giorno di sabato, se ne andò subito ad annunciarlo al padre suo Giuseppe: “Ecco, disse, che tuo figlio è presso il ruscello, e, presa dell‘argilla, ne ha foggiato dodici uccelletti, ed ha profanato il sabato”. E Giuseppe, venuto in quel posto, lo vide e gli gridò: “Perché fai di sabato ciò che non è permesso fare?” Ma Gesù, battendo le mani e rivolgendosi ai passerotti, gridò loro: “Volate via!” E i passeri, aperte le ali, volarono mandando strida. Gli Ebrei rimasero molto stupiti a questo spettacolo e andarono a raccontare ai loro capi ciò che avevano visto fare a Gesù (c.2). Quando la bimba ebbe tre anni, Gioacchino disse: “Invitiamo le figlie degli Ebrei, quelle senza macchia; prendano in mano, ciascuna, una lucerna, e siano (le lucerne) accese, affinché ella non si volga indietro e il suo cuore non sia trattenuto fuori del tempio del Signore”. E così fecero fino a quando non furono saliti al tempio del Signore. Il sacerdote l‘accolse, l‘abbracciò, la benedisse ed esclamò: “Il Signore Iddio ha magnificato il tuo nome in tutte le generazioni [cf. Lc 1, 48 citazione del vangelo canonico]. In te, negli ultimi giorni, il Signore manifesterà la sua salvezza ai figli d‘Israele”. Ed egli la fece sedere sul terzo grado dell‘altare e il Signore Iddio effuse su di lei la sua grazia, ed ella si mise a danzare [giustificazione patristica della danza liturgica] e così fu presa a benvolere da tutta la casa di Israele”. (Il Protovangelo di Giacomo: 2.7.1 La presentazione di Maria al tempio, VII) Un‘altra volta, Gesù attraversava il villaggio, e un bambino correndo lo urtò ad una spalla. E Gesù irritato gli disse: “Non continuerai la tua strada”. E tosto il bambino cadde morto. E alcune persone, che avevano visto ciò ch‘era accaduto, dissero: “Donde verrà mai questo bambino, che ciascuna sua parola si realizza subito? ” E i genitori del bambino morto vennero a trovare Giuseppe e si lamentarono dicendo: “Con un bambino simile, non puoi abitare con noi nel villaggio, oppure insegnagli a benedire e non a maledire; giacché egli fa morire i nostri figli ”. E Giuseppe, preso a parte il bambino, lo rimproverava, dicendo: “Perché fai così? Queste persone soffrono, e ci odiano, e ci perseguitano ”. Gesù rispose: “So che le parole che pronunci non sono tue; tuttavia, tacerò per amor tuo; ma loro, subiranno il castigo”. E subito, quelli che l‘accusavano divennero ciechi (4,1-5,2) Oppure il vangelo arabo dell’infanzia di Gesù: Gesù coricato nella culla disse a Maria: “Sono Gesù, il Figlio di Dio, il Logos a cui tu hai dato la luce”. C’è molto fascino per questi racconti. È interessante chiedersi il perché. Per concludere, quindi, possiamo parlare dei quattro categorie di scritti: • Scritti canonici (inizio del primo secolo) • Scritti apocrifi (mescolanza di verità e falsità) • Scritti gnostici (totalmente fuori dal discorso, sono eretici); non scritti prima dei vangeli canonici (non c’è alcuna evidenza della loro esistenza prima del I secolo; vengono fuori dal II in poi; in più le citazioni dei vangeli canonici mostrano la loro posterioritù); • Scritti patristici di autori ecclesiastici, che godono una certa ispirazione (nel senso generico, non al livello della parola di Dio); Il cristianesimo che conosceva Maometto, probabilmente, era molto basato sulla letteratura gnostica: il corano cita molto quei testi (ad esempio, il Corano crede che Cristo non è morto in croce: è sceso ed è andato a vivere da un'altra parte). Sezione 3: La letteratura dei Padri Apostolici La lettera di Clemente ai Corinzi, la Didaché, la Lettera di Barnaba, la Lettera a Diogneto ed il Pastore di Erma. 1. I PADRI APOSTOLICI: LETTERATURA SUBAPOSTOLICA ( 90 - 160 AD ) Siamo all’inizio della letteratura apostolica. La denominazione risale a Jean-Baptiste Cotelier che pubblicò a Parigi nel 1672 la prima edizione di questi Padri: Patres aevi apostolici. Si sapeva dell’esistenza della Didake dalle citazioni che si sono susseguite nei secoli. È stata riscoperta nel suo intero solo nel XIX secolo. La Letteratura (1) Le Lettere di Barnaba, Clemente Romano, Ignazio di Antiochia, Policarpo di Smirne ed il Pastore di Erma (2) I frammenti di Papia di Gerapoli e la Lettera a Diogneto (3) La Didaché (riscoperta nel XIX secolo) Non è una letteratura omogenea: Barnaba ed Erma sono scritti apocrifi; la lettera a Diogneto è un apologia. C’è diversità anche per l’origine letteraria. La datazione è dalla fine del I secolo fino alla prima metà del secondo. (la lettera di Clemente è contemporanea alla lettera di Pietro). Alcune di queste opere godevano dello stato canonico (a Corinto si leggevano le lettere di Clemente, a Roma il Pastore). Con queste si apre, però, il periodo non canonico. Sono scritte dai discepoli degli apostoli, che richiamano immediatamente la tradizione apostolica. Anche la struttura comunitaria è neo-testamentaria. È il momento di passaggio dalla rivelazione alla tradizione. Varie Caratteristiche della Letteratura Sub-apostolica: (1) Obbedienza Ecclesiastica (2) Contro Eresie e Scismi (3) Senso Escatologico (4) Un Ricordo Vivido di Cristo (5) Cristologia più o meno uniforme (Cristo figlio di Dio, pre-esistente, collaboratore nella creazione). (6) Non è una Esposizione Scientifica della Fede; non ne è lo scopo (che è invece di rispondere le sfide della comunità su unità, obbedienza …) 2. LA LETTERA DI CLEMENTE AI CORINTI La più antica accanto agli scritti biblici, contemporanea, più o meno, con quella di Pietro. Il motivo era una disputa nella chiesa di Corinto: alcuni dei presbiteri anziani sono stati messi a lato da giovani carismatici. La comunità di Roma ne viene a conoscenza (è probabile che alcuni cristiani di Roma siano passati per Corinto, non siano stati accolti bene ed hanno riportato a Roma quello scisma). In ogni caso era una comunità molto vispa, san Paolo la bastona spesso. Datata dopo Nerone e subito dopo la persecuzione di Domiziano (volevamo rispondere prima, ma abbiamo appena passato una persecuzione con Domiziano). È probabile che Giovanni sia ancora in vita; è importante per capire l’azione della chiesa romana, che, malgrado l’apostolo sia ancora in vita, risponde ad una crisi in Grecia. Attestata nella lettera di Dionigi di Corinto a Papa Sotero (166-175) Circa 96 AD Autore ( Clemente) Chi era? (Un ipotesi è che sia il collaboratore di Paolo) * secondo Ireneo, il terzo successore di Pietro * collaboratore di Paolo? Filippesi 4:3: “E prego te pure, mio fedele collaboratore, di aiutarle, poiché hanno combattuto per il vangelo insieme con me, con Clemente e con gli altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita.” * qualche legame con il console Flavio Clemente, cugino di Domiziano? * il portavoce autorevole e autorizzato del consiglio presbiterale di Roma Un’analisi scientifica ci mostra che è un testo scritto da un singolo autore di discendenza giudaica: cita molto l’AT (e meno i testi che diverranno il NT, solo due volte brani dai Vangeli). L’autore parla in nome della comunità romana. Indirizzo e saluto della Lettera (di San Clemente Romano) ai Corinti: “La Chiesa di Dio che dimora in Roma, alla Chiesa di Dio che dimora in Corinto, ai chiamati e santificati nella volontà di Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo. Grazia a voi e pace in abbondanza dall‘onnipotente Dio per mezzo di Gesù Cristo” (I Clemente). Il saluto somiglia ai saluti paolini. Nell’antichità è stata attribuita unanimemente a Clemente anche se in essa non si trova il suo nome. Chi era Clemente? Secondo Ireneo (seconda metà del II secolo), era (?). “Dunque, dopo aver fondato ed edificato la Chiesa, i beati apostoli affidarono a Lino il servizio dell‘episcopato; di questo Lino Paolo fa menzione nelle lettere a Timoteo. A lui succede Anacleto. Dopo di lui, al terzo posto a partire dagli apostoli, riceve in sorte l‘episcopato Clemente , il quale aveva visto gli apostoli stessi e si era incontrato con loro ed aveva ancora nelle orecchie la loro predicazione e davanti agli occhi la loro Tradizione. E non era il solo. Perché allora restavano ancora molti che erano stati ammaestrati dagli apostoli. Dunque, sotto questo Clemente, essendo sorto un contrasto non piccolo tra i fratelli di Corinto, la Chiesa di Roma inviò ai Corinzi una importantissima lettera per riconciliarli nella pace, rinnovare la loro fede e annunciare la Tradizione che aveva appena ricevuto dagli apostoli: un solo Dio onnipotente [è un esempio di regula fidei: suona già come il simbolo, ma non aveva ancora una formulazione fissa], creatore del cielo e della terra e plasmatore dell‘uomo, il quale ha fatto venire il diluvio, ha chiamato Abramo, ha fatto uscire il popolo dalla terra d‘Egitto, ha conversato con Mosè, ha stabilito la Legge e inviato i profeti ed ha preparato il fuoco per il diavolo e i suoi angeli. Che questo Dio è annunciato dalla Chiesa come Padre del nostro Signore Gesù Cristo, chi vuole lo può apprendere da questo stesso scritto, come pure può conoscere la Tradizione apostolica della Chiesa, essendo quella lettera più antica di coloro che ora inegnano falsamente e immaginano un altro Dio al di sopra del Demiurgo e Creatore di tutto ciò che esiste. A questo Clemente succede Evaristo....” (Adversus Haereses 3.3.3). Eusebio di Cesarea sostiene che Clemente era il collaboratore di Paolo che si trova in Fil 4,3: “Il dodicesimo anno dello stesso principato [cioè, di Domiziano], ad Anacleto, vescovo della Chiesa di Roma per dodici anni, succedette Clemente, che l‘apostolo Paolo, nella lettera ai Filippesi, dichiara di aver avuto come collaboratore, dicendo: ―Insieme con Clemente e gli altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita” (Storia Ecclesiastica 3.15). Un’altra ipotesi lo vede come console Flavio clemente, cugino dell’imperatore Domiziano e condannato alla morte per ateismo (si sarebbe rifiutato di dare culto agli dei del Pantheon romano e in particolare l’imperatore stesso); questo membro della famiglia imperiale, sarebbe stato dunque un cristiano (i cristiani del I secolo, infatti, erano accusati di ateismo). Anche il pastore di Erma, documento romano del II secolo, parla di un Clemente che ha l’incarico di corrispondere con le altre chiese (una sorta di ministro degli esteri): “Scriverai pertanto due libretti e ne manderai uno a Clemente e uno a Grapte. Clemente poi lo manderà alle città straniere, poiché ciò è commesso a lui; Grapte invece ammonirà le vedove e gli orfani. Tu infine lo leggerai a questa città insieme coi presbiteri preposti alla Chiesa” (Il Pastore di Erma Vis 2.4.3). Entriamo qui nelle discussione sulla presenta o meno del mono-episcopato a Roma: gli studiosi dicono che il mono-episcopato si è sviluppato più rapidamente in oriente che in occidente e non era presente ancora in quel secolo. c’erano di certo riunioni (concilii direttivi) di vescovi e presbiteri (non distinti). In questi, Clemente si sarebbe distinto tra gli altri come portavoce della comunità romana. Bosio e altri concludono che si deve concludere che si rivendica come portavoce dello Spirito Santo. ma la domanda, allora è come mai Eusebio ci riporta, già nel II secolo, un’elenco così preciso di vescovo? Clemente si distingueva nel concilio e rappresentava il concilio; ciò non vuol dire che non possiamo dire di più, ma con la documentazione storica che abbiamo (quella presentata), non si può dire di più con certezza. La tradizione della Chiesa parla comunque di lui come papa. Vari punti sul contenuto e sul significato della Lettera di Clemente Testimonianza alla presenza di Pietro e Paolo a Roma. “Ma lasciando gli esempi antichi, veniamo agli atleti vicinissimi a noi. Prendiamo i nobili esempi della nostra generazione. Per gelosia e invidia (le persone che erano) le più giuste colonne furono perseguitate e lottarono sino alla morte. Mettiamoci dinanzi agli occhi i buoni Apostoli. Pietro, che per un‘ingiusta gelosia sopportò non una o due, ma molte sofferenze e così, resa testimonianza, raggiunse il posto a lui dovuto della gloria. Per gelosia e discordia Paolo mostrò (come si consegua) il premio della pazienza. Sette volte caricato di catene, esiliato, lapidato, fattosi araldo in Oriente e in Occidente, ottenne l‘eccellente fama della sua fede. Dopo aver insegnato la giustizia a tutto il mondo, giunto i confini dell‘Occidente [Paolo sarebbe dunque arrivato in Spagna, come ha espresso desiderio di fare], resa testimonianza dinanzi ai governanti, lasciò così il mondo e raggiunse il luogo santo, divenendo un grandissimo modello di pazienza” (I Clemente 5.1-7). È una testimonianza antichissima e molto importante. La chiesa romana stabilisce il suo primato sulle due colonne. La lettera risale al 96 circa: se il martirio sarebbe avvenuto nel 60 circa, non c’è motivo di dubitare della validità del documento a soli 30 anni di distanza. L‘ordine e l‘armonia del cosmo come preludio dell’ordine della e nella Chiesa. Il motivo della lettera era ristabilire l’ordine nella Chiesa di Corinto, cfr. Clemente 3,5). Che è anche l’ordine nella liturgia (risposta allo scisma); è una preoccupazione intra-ecclesiale, non si preoccupa dei giudei, dei pagani o degli eretici. “1. Sono per noi evidenti queste cose e siamo scesi nelle profondità della conoscenza divina. Dobbiamo fare con ordine tutto quello che il Signore ci comanda di compiere nei tempi fissati. 2. Egli ci prescrisse di fare le offerte e le liturgie, e non a caso o senz'ordine, ma in circostanze ed ore stabilite. 3. Egli stesso con la sua sovrana volontà determina dove e da chi vuole siano compiute, perché ogni cosa fatta santamente con la sua santa approvazione sia gradita alla sua volontà. 4. Coloro che fanno le loro offerte nei tempi fissati sono graditi e amati. Seguono le leggi del Signore e non errano. 5. A1 gran sacerdote sono conferiti particolari uffici liturgici, ai sacerdoti è stato assegnato un incarico specifico e ai leviti incombono propri servizi. I1 laico è legato ai precetti laici [ è la prima volta nella letteratura cristiana che si incontra la parola «laico» per quanto concerne l’ordine nella liturgia; qui, comunque, l’enfasi è sul fatto che tutti sono battezzati ] ” (I Clemente 40.1-5). La successione apostolica La successione inizia da Dio stesso, che ha mandato Cristo; Egli, a sua volta ha mandato gli apostoli, e questi i vescovi che hanno stabilito i loro successori. “Gli apostoli furono mandati a predicare il Vangelo dal Signore Gesù Cristo. Gesù Cristo fu mandato da Dio. Il Cristo dunque viene da Dio e gli Apostoli da Cristo: ambedue le cose procedettero ordinatamente dalla volontà di Dio. Ricevuto quindi il mandato e resi sicuri dalla risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo, fiduciosi nella parola di Dio, con l‘assicurazione dello Spirito Santo, andarono ad annunziare la buona novella che il regno di Dio stava per venire. Predicando per la campagna e per le città, essi costituivano le loro primizie, provandole per mezzo dello spirito, per farne vescovi e diaconi dei futuri credenti. E questo non era una novità, poiché da gran tempo la Scrittura parlava dei vescovi e dei diaconi. Così infatti dice la Scrittura in un luogo: Stabilirò i loro vescovi nella giustizia e i loro diaconi nella fede (Isa. 60,7) ‖ (I Clemente 42.1-5). Non solo i vescovi, ma anche altri. «Anche i nostri Apostoli conoscevano per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo che vi sarebbe stata contesa a proposito della dignità episcopale. Per questo motivo, prevedendo perfettamente l‘avvenire, istituirono coloro di cui sopra abbiamo parlato e poi diedero ordine che quando costoro fossero morti, altri uomini provati succedessero nel loro ministero. Quelli dunque che furono da essi (= Apostoli) stabiliti, oppure, in seguito da altri esimi uomini con l‘approvazione di tutta la Chiesa, che avevano servito in modo irreprensibile il gregge di Cristo con umiltà, con calma e con gentilezza, e che hanno ottenuto (buona) testimonianza da tutti per molto tempo, noi riteniamo che non sia giusto scacciarli dal loro ministero. Poiché sarebbe una colpa non lieve per noi se rimuovessimo dall‘episcopato quelli che hanno offerto le oblazioni in modo irreprensibile e santo. Beati i presbiteri che ci precedettero nel cammino e che ebbero una fine fruttousa e perfetta! Essi non temono più che qualcuno li destituisca dal posto loro assegnato. Vediamo infatti che avete rimosso alcuni, che si comportavano virtuosamente, dal ministero che essi esercitavano con onore e in modo irreprensibile ‖ (I Clemente 44.1-6). L‘intervento di Roma: testimonianza al primato? Roma, informata di ciò che succede a Corinto. Sembra che non sia stata sollecitata dai Corinti per intervenire nei loro affari; sembra dunque che sia la stessa Roma tenuta ad intervenire, si sente coinvolta. Si vede la sua sollecitudine per le altre chiese: forse Roma aveva già un senso di carità per tutta la chiesa. questa sollecitudine si può interpretare in due modi: • Semplicemente come solidarietà fraterna (interpretazione protestante), che si trova tra tutte le chiese; ad esempio, nell’espressione di Ignazio («Roma che presiede in Carità») è interpretata dai protestanti in modo stretta è che Roma era sempre generosa con i soldi. • Vedere il primato in senso un giuridico già articolato. Si può dire che c’è una epifania iniziale del primato romano nella Chiesa: come affermano alcuni studiosi c’è qui una dimostrazione della preminenza di Roma, che prende in mano la situazione di Corinto. È chiaro che non siamo di fronte ad una distinzione articolata, come la avremo in Leone Magno. Ma parlare di uno sviluppo dottrinale nella vita ecclesiale non nega che già in forma seminale è presente il primato che si andrà esplicitando. In questi documenti, in ogni caso, non si può dire che non si veda il primato in embrione. Di certo c’è un motivo storico: Roma era la capitale dell’impero, e più facilmente arrivavano le notizie. Ma Leone Magno, quando rifiuta il canone XXVIII del concilio di Calcedonia (in cui Costantinopoli si mette al II posto dopo Roma, lasciando dietro Antiochia ed Alessandria) 4, dice che il primato di Roma non si basa sull’importanza politica nell’essere capitale dell’impero: se così fosse, Costantinopoli sarebbe autorizzata a mettersi sopra ora, perché è la capitale. Il suo primato, invece, si poggia sulle due colonne che ha Roma hanno versato il loro sangue, Pietro e Paolo. C’è uno sviluppo teologico in proposito, ma il Ministero Petrino in sé è un dato rivelato (fa parte del depositum fidei): viene da Cristo stesso. Pietro a Roma Roma sarebbe stata evangelizzata tra il 43 e il 49. Chi l’avrebbe evangelizzata? La tradizione vuole che sarebbe stato lo stesso Pietro, ma partiamo dagli atti (cfr. Atti, 12,17). “Egli [Pietro], allora, fatto segno con la mano di tacere, narrò come il Signore lo aveva tratto fuori del carcere, e aggiunse: ‗Riferite questo a Giacomo e ai fratelli.‘ Poi uscì e s‘incamminò verso un altro luogo”. Pietro non lo si vede per sei anni: ri-appare nel 49. In un documento del IV secolo, Eusebio parla di Pietro a Roma nel 44, all’inizio del regno di Claudio (10 a.C. – 13 ottobre 54 d.C., ucciso da Agrippina, madre di Nerone). Svetonio dice che Claudio espulse dei giudei nell’anno 50. Suentonis, Le vite di dodici Cesari, V.25. Le tre chiese (Roma, Alessandria ed Antiochia) sono tutte e tre chiese Petrine: se Pietro ha concluso il ministero a Roma, Alessandria fu fondata da Marco, suo discepolo; Pietro stesso, secondo la tradizione aveva fondato Antiochia. 4 «I Giudei per le istigazioni di Cristo continuamente tumultuanti [l‘Imperatore Claudio] espulse da Roma.‖ [Iudaeos impulsore Chresto assidue tumultuantis Roma expulit.] I giudei che abitavano allora in Trastevere, si dividevano su un certo Crestus, che potrebbe essere anche un nome romano; potrebbe anche essere la parola ebrea cristo, che Svetonio sente come Crestus. L’evangelizzazione, dunque, sarebbe già arrivata a Roma, e avrebbe provocato divisioni tra i giudei. Nell’anno 57 Paolo scrive già alla comunità giudaica di Roma (non è ancora arrivato a Roma), che ha già conosciuto nel 51 attraverso degli elementi espulsi da Roma (Aquila e Priscilla): Roma è già stata evangelizzata. Eusebio di Cesarea, nella sua Storia della Chiesa, ci offre una testimonianza della presenza di Pietro a Roma. Essendo del IV secolo, non si può dire che ci dia la certezza assoluta della presenza di Pietro in quegli anni a Roma (proprio in quelli in cui Roma è stata evangelizzata …), ma è comunque una testimonianza. Eusebio descrive lo scontro tra Pietro e Simone Mago: Simone era venuto a Roma e Pietro lo aveva seguito. Dalla storia scritta da Eusebio leggiamo alcuni brani. Capitolo Quattordicesimo (Predicazione dell’apostolo Pietro a Roma) [1] Di questi malanni Simone era il padre e l‘autore; e il potere malvagio, che odia ciò che è buono e congiura contro la salvezza degli uomini, lo innalzò in quel tempo come un grande antagonista dei grandi e ispirati apostoli del nostro Salvatore. [2] Tuttavia, la grazie di Dio che viene dal cielo aiutò i suoi ministri e subito estinse le fiamme del male con il loro arrivo e la loro presenza, e per mezzo loro umiliò e abbassò ―ogni altezza che s‘innalza sopra la conoscenza di Dio” (2 Cor 10, 5). [3] Perciò nessuna congiura, sia di Simone, che di ogni altro di coloro che erano sorti in quel tempo, riuscì in quei tempi apostolici, perché la luce della verità e il Verbo divino stesso, che aveva brillato da Dio sopra gli uomini, crescendo sulla terra e abitando fra gli stessi apostoli, aveva stravinto e superato ogni cosa. [4] Il suddetto mago, come se gli occhi della sua mente fossero stati colpiti dal meraviglioso fulgore di Dio quando era stato scoperto nei suoi crimini in Giudea dall‘apostolo Pietro (cf At 8, 18-23), subito aveva intrapreso un grande viaggio sul mare, ed era andato in fuga da oriente a occidente, perché solo in questo modo poteva vivere come voleva. [5] Finalmente arrivato alla città di Roma, e là tanto avendo lavorato con lui il potere che lo dominava, in poco tempo ottenne tale successo, che gli uomini di quella città lo onorarono come un dio con l‘erezione di una statua. [6] Ma egli non prosperò a lungo. Subito infatti nello stesso periodo dell‘impero di Claudio, la provvidenza di Dio benignissima e clementissima verso tutti condusse Pietro, il più forte e il più grande tra gli apostoli, contro quella iattura e peste della vita. Pietro, come un valoroso capo della milizia di Dio, munito di armi divine (cf Ef 6, 14-17; 1 Ts 5, 8), portò quella preziosa mercanzia di luce spirituale dall‘oriente a coloro che abitavano in occidente, la luce stessa e la Parola che salva le anime ( cf Gv 1, 9), proclamando l‘annuncio del regno dei cieli. I cristiani che avevano ascoltato Pietro chiesero a Marco di scrivere il vangelo, per ricordare l’annuncio di Pietro. Capitolo Quindicesimo (Il vangelo secondo Marco) [1] Avendo dunque la Parola divina posto la sua dimora presso di essi, la forza di Simone con lui stesso si estinse e immediatamente fu distrutta. Tale luce della religione risplendette nelle menti di coloro che avevano udito Pietro, che ritenevano poco aver udito una sola volta, né erano contenti di aver ricevuto a viva voce la dottrina dell‘annuncio divino, non consegnata ad alcuno scritto. Ma pregarono istantemente Marco, del quale anche oggi rimane il Vangelo, vedendo che era seguace di Pietro, di lasciare qualche ricordo scritto dell‘insegnamento dato loro verbalmente. 3. LA DIDACHE 1. Dottrina dei dodici Apostoli: ∆ιδαχη του κυριου δια των δωδεκα αποστολων τοις εθνεσιν È un documento Siriaco che risale tra il 50 – 150AD; probabilmente dagli ultimi decenni del primo secolo. Aveva una grande importanza nella chiesa antica, che le riconosceva una grande autorità, ma non ne abbiamo avuto tracce fino al 1873, quando a Costantinopoli, fu riscoperta da Philoteos Bryennios. LE DUE VIE I. 1. Due sono le vie, una della vita e una della morte, e la differenza è grande fra queste due vie. 2. Ora questa è la via della vita: innanzi tutto amerai Dio che ti ha creato, poi il tuo prossimo come te stesso; e tutto quello che non vorresti fosse fatto a te, anche tu non farlo agli altri. 3. Ecco pertanto l'insegnamento che deriva da queste parole: benedite coloro che vi maledicono e pregate per i vostri nemici; digiunate per quelli che vi perseguitano; perché qual merito avete se amate quelli che vi amano? Forse che gli stessi gentili non fanno altrettanto? Voi invece amate quelli che vi odiano e non avrete nemici. 4. Astieniti dai desideri della carne. Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l'altra e sarai perfetto; se uno ti costringe ad accompagnarlo per un miglio, tu prosegui con lui per due. Se uno porta via il tuo mantello, dagli anche la tunica. Se uno ti prende ciò che è tuo, non ridomandarlo, perché non ne hai la facoltà. 5. A chiunque ti chiede, da' senza pretendere la restituzione, perché il Padre vuole che tutti siano fatti partecipi dei suoi doni. Beato colui che dà secondo il comandamento, perché è irreprensibile. Stia in guardia colui che riceve, perché se uno riceve per bisogno sarà senza colpa, ma se non ha bisogno dovrà rendere conto del motivo e dello scopo per cui ha ricevuto. Trattenuto in carcere, dovrà rispondere delle proprie azioni e non sarà liberato di lì fino a quando non avrà restituito fino all'ultimo centesimo. 6. E a questo riguardo è pure stato detto: "Si bagni di sudore l'elemosina nelle tue mani, finché tu sappia a chi la devi fare". Sant’Atanasio ci dice che era usata per l’istruzione dei cristiani. Si parla delle due vie, quella della vita e quella della morte. Ci ricordano, tra le altre cose la lotta descritta dalle comunità di Qumran tra i figli della luce e i figli delle tenebre. È un’immagine che dal giudaismo è passato al cristianesimo attraverso la Didakè e la lettera di Barnaba ed è rimasto un tema centrale della spiritualità cristiana. Nonostante sia solo dell’anno 50, si trova già la prima testimonianza di condanna dell’aborto e dell’infanticidio. II. 1. Secondo precetto della dottrina: 2. Non ucciderai, non commetterai adulterio, non corromperai fanciulli, non fornicherai, non ruberai, non praticherai la magia, non userai veleni, non farai morire il figlio per aborto né lo ucciderai appena nato; non desidererai le cose del tuo prossimo. 3. Non sarai spergiuro, non dirai falsa testimonianza, non sarai maldicente, non serberai rancore. 4. Non avrai doppiezza né di pensieri né di parole, perché la doppiezza nel parlare è un'insidia di morte. 5. La tua parola non sarà menzognera né vana, ma confermata dall'azione. 6. Non sarai avaro, né rapace, né ipocrita, né maligno, né superbo; non mediterai cattivi propositi contro il tuo prossimo. 7. Non odierai alcun uomo, ma riprenderai gli uni; per altri, invece, pregherai; altri li amerai più dell'anima tua. V. 1. La via della morte invece è questa: prima di tutto essa è maligna e piena di maledizione: omicidi, adultèri, concupiscenze, fornicazioni, furti, idolatrie, sortilegi, venefici, rapine, false testimonianze, ipocrisie, doppiezza di cuore, frode, superbia, malizia, arroganza, avarizia, turpiloquio, invidia, insolenza, orgoglio, ostentazione, spavalderia. 2. Persecutori dei buoni, odiatori della verità, amanti della menzogna, che non conoscono la ricompensa della giustizia, che non si attengono al bene né alla giusta causa, che sono vigilanti non per il bene ma per il male; dai quali è lontana la mansuetudine e la pazienza, che amano la vanità, che vanno a caccia della ricompensa, non hanno pietà del povero, non soffrono con chi soffre, non riconoscono il loro creatore, uccisori dei figli, che sopprimono con l'aborto una creatura di Dio, respingono il bisognoso, opprimono i miseri, avvocati dei ricchi, giudici ingiusti dei poveri, pieni di ogni peccato. Guardatevi, o figli, da tutte queste colpe. C’è già una prima testimonianza sul battesimo che non si faceva solo nel fiume e si faceva anche per infusione. La gerarchia stabile. Onorare i vescovi con lo stesso onore che riservate ai profeti che passano: la realtà carismatica si istituzionalizza nella chiesa. il vero profeta, secondo la Didakè è un profeta itinerante, che si trattiene nella comunità solo un giorno o due, e ha il diritto del mantenimento. Se uno rimane per tre giorni è un falso profeta (dopo tre giorni puzza). “Eleggetevi dunque [cioè per la celebrazione eucaristica, della quale ha parlato nel capitolo precedente] vescovi e diaconi degni del Signore, uomini mansueti, non bramosi di denaro, veritieri e provati; poiché anch‘essi esercitano per voi il ministero dei profeti e dei dottori. Perciò non disprezzateli; essi infatti, insieme ai profeti e ai dottori, sono gli uomini onorati tra voi” (Didaché 15.1-2). La chiesa si radica nella comunità e si stabilisce una gerarchia che va onorata. È il passaggio da un carisma iniziale che si cristallizza in un istituzione; è ciò che è avvenuto in ogni carisma (vedi san Francesco, che è stato costretto a scrivere una regola, accettando, come conseguenza, libri, case, come si conciliano con la povertà?) con tutta la tensione del caso. Ecclesiologia Eucaristica: La Cattolicità. Solo i battezzati possono ricevere l’eucaristia. È una testimonianza antichissima di questa norma. Oggi, in ambienti protestanti, si parla di ospitalità eucaristica e si invitano tutti a ricevere la comunione. Anche nella quaresima, non si parlava esplicitamente dell’eucaristia; lo si iniziava a fare solo dopo la pasqua in cui erano battezzati: si faceva allora una mistagogia. Troviamo anche un’immagine eucaristica della chiesa, della sua cattolicità e della sua unità. “Come questo pane spezzato era prima sparso qua e là, su per i colli e, raccolto, divenne una cosa sola, così si raccolga la tua Chiesa dai confini della terra nel tuo regno; poiché tua è la gloria e la potenza, per Gesù Cristo nei secoli!” (Didaché 9.4) Sull’ellenizzazione, da leggere FR 72 e discorso a Ratisbona di Benedetto XVI. Non è stato un problema; anzi. La fede biblica andava interiormente incontro alla parte migliore del pensiero greco. La stessa LXX fa parte della storia della rivelazione (gli ebrei hanno la leggenda della sua ispirazione). La fede biblica e la parte migliore del pensiero greco si sono incontrate e si sono trovate. È stata un inculturazione fondamentale per noi. Newman dice che sbaglia chi vuole dividere la pura rivelazione e la pura cultura ellenistica(?): vivono nella stessa cultura, parlano la stessa lingua. 2. Insegnamento della comunità nei riguardi: • della morale (capitoli 1 - 6) • della liturgia (capitoli 7 - 10) • del rapporto con profeti itineranti e con cristiani viandanti (capitoli 11 - 13) • della vita comunitaria (capitoli 14 - 15) • dell‘escatologia (capitoli 16) 4. LA LETTERA DI BARNABA Da attribuire alle lettere apocrife. È uno scritto pseudo-epigrafo. Porta il nome di un apostolo, ma no è stato scritto da lui. Già da Clemente alessandrino viene ricondotta a Barnaba, compagno di Paolo. La lettera stessa parla di un gentile convertito; eppure Barnaba era giudeo. • La data: 130 – 132 AD prima della rivolta Bar-Kokba. • Provenienza è dubbia Egitto (Alessandrina) o Asia Minore, Siria, la Palestina. • Uno scritto pseudo-epigrafico (uno di quelli posti sotto il nome di un Apostolo) • Spesso incluso fra i libri canonici del NT nella Chiesa antica. Le due vie, della luce e del Nero Si trova di nuovo questo tema tipicamente giudaico (Η ουν οδος του φωτος. Η δε του µελανος οδος). di nuovo si trova la testimonianza contro l’aborto. Si parla di tutto l’AT come profezia di Cristo e di condotta di vita cristiana. Si deve intendere il documento come un dibattito tra cugini (non è ancora arrivato Marcione). Il documento sostiene che i giudei hanno perso l’alleanza che Dio ha fatto con loro, e si sono rivolti all’idolatria. Se c’è continuità, c’è anche una discontinuità radicale. Si deve sempre analizzare sempre secondo questi due principi. La lettera dice che l’interpretazione letterale dell’AT è un malinteso. Solo i cristiani lo capiscono, perché lo leggono con un interpretazione spirituale. I giudei, non accettando Cristo, non capiscono le proprie profezie, e quindi non capiscono la Scrittura. ci sono delle tipologie di questo: i gemelli di Rebecca che lottano nel grembo, i figli di Giacobbe. Barnaba fa notare che la benedizione va sempre al fratello minore. La perfetta conoscenza.5 Noi crediamo, ma dovremmo capire ciò che crediamo. È la gnosi, la giusta conoscenza che dovremmo avere per capire come le scritture ci parlano di Cristo. Cristo è prefigurato nel capro mandato nel deserto per espiare tutti i peccati del popolo. Il nuovo tempio è il nostro cuore, in cui Dio dimora. I nostri peccati sono perdonati per il sacrificio dell’agnello di Dio sulla croce. Non si tratta di anti-semintismo: è ancora un dibattito in famiglia sul valore dell’AT nei confronti al nuovo; un dibattito sulla fede, non sulla razza. C’è una nuova alleanza, le due alleanze sono distinte. 6 L’esortazione finale: una chiamata a capire ciò che è stato rivelato. “Iddio, che domina tutto l‘universo, dia a voi sapienza, intelligenza, scienza, conoscenza delle sue disposizioni e perseveranza. 6. Siate docili scolari di Dio, ricercando che cosa richiede da voi il Signore e fate in modo d‘esser trovati (preparati) nel giorno del giudizio” (Epistola di Barnaba 21.5). Le due vie (capitolo 18). Basta così. Passiamo ad un'altra conoscenza e dottrina. Due sono le vie dell'insegnamento e della libertà; quella della luce e quella delle tenebre. Grande è la differenza tra queste due vie. Per l'una sono disposti gli angeli di Dio apportatori di luce, per l'altra gli angeli di Satana. L'uno è il Signore dei secoli nei secoli, l'altro è principe di questo tempo di iniquità. La via della luce (capitolo 19) Questa, pertanto, è la via della luce. Se qualcuno vuole pervenire ad un luogo determinato non risparmi le sue fatiche. Questa è l'indicazione dataci per camminare su tale via. Amerai chi ti ha creato, temerai chi ti ha plasmato, glorificherai chi ti ha liberato dalla morte. Sarai semplice di cuore e ricco di spirito e non ti unirai a coloro che camminano sulla strada della morte. Odierai tutto ciò che non piace a Dio ed ogni ipocrisia e non abbandonerai i precetti del Signore. Non ti vanterai, sarai, invece, umile in tutto senza cercare gloria per te. Non adotterai un malvagio proposito contro il tuo prossimo e non darai arroganza alla tua anima. Non fornicherai, non sarai adultero né corromperai i fanciulli. Non esca da te la parola di Dio frequentando i depravati. Non considerare la persona nel riprendere qualcuno per la caduta. Sarai mansueto, tranquillo e temerai le parole che hai ascoltato. Non avrai rancore contro tuo fratello. Non dubitare se avverrà o non avverrà l'una o l'altra cosa. Non pronunzierai il nome del Signore. Amerai il prossimo tuo più della tua anima. Non ucciderai il bambino con l'aborto e non lo farai morire appena nato. Non allontanare la mano da tuo figlio e da tua figlia, ma dall'infanzia insegnerai loro il timore di Dio. Non essere desideroso dei beni del tuo prossimo, né essere avaro. Non ti legare nell'anima ai superbi, ma frequenterai gli umili e i giusti. Accetta gli avvenimenti che ti capitano come un bene, sapendo che nulla avviene senza Dio. Non sarai doppio nel pensiero e nella parola; laccio di morte è la doppiezza della parola. Sii sottomesso ai padroni come ad immagine di Dio con rispetto e timore. Non comanderai con asprezza al tuo servo e alla tua serva che sperano nello stesso Dio, perché non abbiano a perdere il timore di Dio che è sugli uni e sugli altri. Egli non venne a chiamare secondo la persona, ma quelli che lo Spirito ebbe a preparare. Renderaicomune ogni cosa col tuo prossimo e non dirai che è tua. Se avete in comune ciò che è incorruttibile, quanto più quello che è corruttibile. Non essere loquace, laccio di morte è la bocca. Per quanto potrai, sarai casto per la tua anima. Non avere le mani larghe nel prendere, e strette nel dare. Amerai come la pupilla del tuo occhio chi ti dice la parola di Dio. Giorno e notte ti ricorderai del giudizio. Cercherai sempre di affaticarti con la predicazione andando ad esortare e preoccupandoti di salvare l'anima con la parola, o di lavorare con le mani per espiare le tue colpe. Non esitare nel concedere e non brontolare nel dare e conoscerai chi è il tuo buon rimuneratore. Custodirai ciò che hai ricevuto senza aggiungere e senza togliere. Odierai il male sino alla fine. Giudicherai con giustizia. Non creare divisioni, cerca, invece, la pace riconciliando i contendenti. Confesserai i tuoi peccati e non ti recherai alla preghiera con coscienza agitata. La via delle tenebre (capitolo 20) La via del nero è tortuosa e piena di maledizioni. E' la via della morte eterna nel castigo, in cui si hanno le cose che rovinano l'anima: idolatria, arroganza, superbia di potere, ipocrisia, doppiezza di cuore, adulterio, omicidio, rapina, disprezzo, trasgressione, inganno, malizia, alterigia, veneficio, magia, avarizia, mancanza di 5 “Avendo pensato dunque che, se avrò cura di farvi parte di ciò che ho ricevuto, l‘aver prestato il servizio a tali spiriti mi sarà di ricompensa, mi sono fatto premura di mandarvi questo breve scritto, affinché oltre alla vostra fede abbiate anche perfetta la conoscenza” (Epistola di Barnaba 1.5). 6 Un libro completo sul tema è Catholic Engagement with world religions. Ci sono due capitoli di carola: Non cristiani nella teologia patristica; I temi patristici riguardo i non cristiani nel Concilio Vaticano II. Nel primo presenta la distinzione cristiani e greci, come si faceva nell’antichità: gli uni tra l’antica promessa e Gesù Cristo, gli altri tra la filosofia e il culto pagano. timore di Dio. coloro che vessano i buoni, odiano la verità, amano la menzogna, non riconoscono il guadagno della giustizia, non aderiscono al bene né al giudizio giusto, non si curano della vedova e dell'orfano, non vegliano per il timore di Dio, ma per il male, e da essi sono assai lontano la mansuetudine e la pazienza, amano la vanità e si procacciano la ricompensa. Sono crudeli verso il povero, indolenti verso il sofferente, facili alla maldicenza, ingrati verso il loro creatore, uccisori dei figli, distruttori del plasma creato da Dio, incuranti del bisogno, oppressori del tribolato, avvocati dei ricchi, giudici cattivi dei poveri, peccatori in tutto. 5. IL PASTORE DI ERMA Si tratta di un’ “apocalisse apocrifa”; È il libro più apprezzato tra gli apocrifi, nell’antichità godeva di una grandissima stima, come l’imitazione di Cristo nel medioevo. Fu scritto a Roma tra 130 - 140 AD Erma (1) schiavo liberato e poi commerciante (2) sposato con figli (3) fratello di Papa Pio I ? (secondo il frammento muratoriano, che conteneva 22 dei 27 libri del NT, lo attribuisce al fratello di papa Pio I, papa dal 145) (forse una parte fu già scritta verso la fine del primo secolo; si trova un riferimento a Clemente,); secondo Quasten Erma era un uomo di fede, che rimase fermo durante la persecuzione durante cui fu scritto. Durante questa persecuzione i figli stessi di Erma apostatarono e tradirono i genitori. Furono molti ad apostatare: probabilmente c’era una certa comodità tra i cristiani, molti di essi nati cristiani, e forse tiepidi. Ciò anche in mezzo al clero, tra diaconi e presbiteri. Si parla di questa possibilità anche negli Atti degli apostoli: quando il capo della casa (pater familias) si convertiva, tutti si convertivano nella casa (anche la figlia del portiere). Anche per questo nella persecuzione ci furono molti apostati. Contenuto Si descrivono due rivelazioni provenienti da due Figure Celesti: (1) Una donna vecchia (l‘incarnazione simbolica della Chiesa) che esorta alla penitenza (2) Un angelo in forma di pastore – da cui il nome dell’opera – che è il patrono e direttore della missione penitenziale. Il libro, quindi, si presenta come un vasto esame un vasto esame di coscienza della chiesa romana La penitenza Uno dei punti più importanti è il discorso sulla seconda Penitenza (dopo il Battesimo). Al tempo, infatti, il Battesimo era ricevuto solo dopo un lungo cammino penitenziale di conversione. Ma se il catecumeno, ricevuto il battesimo cadeva in peccati gravi (adulterio, omicidio, grande furto o apostasia) poteva avere una seconda possibilità? Questa nuova penitenza non è un secondo battesimo (che si riceve una sola volta); e come il battesimo, anche la penitenza è unica. Quella nuova, dunque, è solo un eco di quella battesimale: Il Pastore di Erma, “La Penitenza Seconda”: “Ancora, dico, Signore, tornerò a interrogare”. “Parla”, dice. “Udii, dico, Signore, da alcuni maestri che non c‘è altra penitenza, se non quella di quando discendemmo nell‘acqua e ricevemmo la remissione dei nostri peccati passati”. Mi dice: “Bene udisti: così è infatti. Bisognerebbe che chi ha ricevuto la remissione dei peccati non peccasse più, ma vivesse nell’innocenza. E poiché vuoi renderti conto esatto di ogni cosa, anche questo ti manifesterò; ma non voglio dare pretesto (di peccare) a quelli che stanno per credere, o a quelli che hanno creduto adesso nel Signore. Quelli che hanno abbracciato la fede ora, o la abbracceranno in seguito, non hanno possibilità di fare penitenza dei loro peccati; essi hanno solo il perdono dei peccati anteriori. Per quelli, dunque, chiamati prima di questi giorni, dispose il Signore la penitenza. Essendo infatti il Signore conoscitore del cuore e prevedendo ogni cosa, conobbe la debolezza degli uomini e l‘astuzia del diavolo, cioè che avrebbe fatto del male ai servi di Dio e avrebbe macchinato contro di essi. Essendo pertanto il Signore assai misericordioso, s‘impietosì per la sua creatura e dispose questa penitenza e diede a me la potestà di questa penitenza. “Però io, dice, dico a te: dopo la grande e santa chiamata, se alcuno, tentato dal diavolo, pecca, ha una sola penitenza; se poi subito dopo pecca e fa penitenza è inutile per tal uomo, poiché difficilmente vivrà. Gli dico: “Mi sono sentito rinascere nell‘udire da te tali cose tanto esattamente; ora so che, se non tornerò ai miei peccati, sarò salvo. “Sarai salvo, dice, tu e quanti facciano queste cose ”, (Il Pastore di Erma Precetto 4.3.1-7). Ma il pentimento deve essere sincero. Il bisogno di pentimento: “Le pietre, che cadono nel fuoco e vi bruciano, sono quelli che si sono separati definitivamente dal Dio vivente; e il pensiero di fare penitenza non è più entrato nel loro cuore” (Pastore Vis. 3.7.2). È interessante la grande comprensione per la realtà umana: espressione di un cristianesimo equilibrato, lontano da una fede rigoristica. (1) Carattere Universale: nessuna persona e nessun peccato sono esclusi (2) L‘unico limite al perdono di Dio è il rifiuto del peccatore al pentimento. (3) µετανοια 6. LA LETTERA A DIOGNETO È una apologia greca, composta per un pagano di alto rango (Diogneto). • Il periodo intorno al 200 oppure prima della controversia Marcionista intorno al 140 • Luogo d’origine probabilmente è Alessandria • Autore sconosciuto, anche si ci sono molti punti in comune con Aristide, apologista che utilizzava le opere di Ireneo e Ippolito, ma senza dipendenza diretta. • Utilizza le opere di Ireneo e di Ippolito Citiamo direttamente l’osservazione di J. Quasten: “L‘epistola merita di essere collocata tra gli scritti più brillanti e più belli della letteratura cristiana greca. Lo scrittore è un maestro di retorica. Il ritmo della sua frase è assai gradevole, e sottilmente equilibrato, lo stile limpido. Il contenuto rivela un uomo di fede ardente, di conoscenze estese, uno spirito completamente imbevuto dei princìpi del cristianesimo, che si esprime con vivacità e con calore”, (Quasten, p. 222). Il paradosso della vita dei cristiani “I cristiani non si distinguono dagli altri uomini, né per territorio, né per lingua, né per vestiti. Essi non abitano città loro proprie, non usano un linguaggio particolare, né conducono uno speciale genere di vita. La loro dottrina non è conquista di genio irrequieto d‘uomini indagatori; né professano, come fanno alcuni, un sistema filosofico umano. Abitando in città greche o barbare, come a ciascuno è toccato in sorte, ed adattandosi agli usi del paese nel vestito, nel cibo e in tutto il resto del vivere, danno esempio di una loro forma di vita sociale meravigliosa, che, a confessione di tutti, ha dell‘incredibile. 7 Abitano la loro rispettiva patria, ma come gente straniera; partecipano a tutti i doveri come cittadini, e sopportano tutti gli oneri come stranieri.8 Ogni terra straniera è patria per loro, e ogni patria è terra straniera. Si sposano come tutti gli altri e generano figli, ma non espongono i neonati. Hanno comune la mensa, ma non il letto. Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Passano la loro vita sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma con il loro tenore di vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti sono perseguitati. Non sono conosciuti e sono condannati; si dà loro la morte, ed essi ne ricevono vita. Sono poveri e fanno ricchi molti; sono privi di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nel disprezzo trovano gloria; si fa oltraggio alla loro fama, e si aggiunge testimonianza alla loro innocenza. Insultati, benedicono; si insolentisce contro di loro, ed essi trattano con riverenza. Fanno del bene. E sono puniti come dei malfattori; e puniti, godono, quasi si dia loro vita. I Giudei fanno loro guerra come razza straniera e gli Elleni li perseguitano; ma coloro che li odiano non sanno dire il motivo del loro odio” 7 Inculturazione dei cristiani: non sono una razza diversa, si integrano perfettamente dove vivono. La differenza è radicale. 8 Nell’antichità i cristiani erano accusati di essere anti-sociali (si vede il riferimento in san Paolo: non mangiare le carni sacrificate agli idoli). Nell’antichità era molto difficile, perché era pieno di tempietti, numerosissimi sacrifici e quindi molta della carne in commercio era quella sacrificata agli idoli; per questo motivo non si poteva andare facilmente al mercato, né a feste. Il macellaio, ovviamente, si arrabbiava spesso con i cristiani per questo motivo, perché non gli compravano la carne. Lo stesso discorso valeva per teatri e altro. (L’Epistola a Diogneto 5.1-17). Sezione IV: Ignazio di Antiochia e le sue lettere Pagano convertito. Secondo successore di Pietro sulla sede episcopale di Antiochia. 1. PERSONA ED OPERA * secondo successore di Pietro ad Antiochia (a Pietro successe Evodio che fu seguito da Ignazio) * ha scritto 7 lettere * scritte da Smirne (1) agli Efesi (vescovo = Onesimo) (2) ai Magnesiaci (vescovo = Dama) (3) ai Trallesi (vescovo = Polibio) (4) ai Romani (non menziona nessun vescovo;9 i tre precedenti lo avevano visitato nel suo soggiorno a Smirne, dove aveva incontrato Policarpo). Le guardie speciali imperiali che lo accompagnavano erano cosa insolita per una persona come lui; una ipotesi propone che forse era stato preso proprio come successore di Pietro a Roma. Di fatto non c’è alcuna evidenza, e se lo avevano preso delle guardie speciali, si può spiegare con il fatto che era una persona molto carismatica. * scritte da Troade 5) ai Filadelfiesi (un vescovo, comunque nessun nome indicato) 6) agli Smirnesi (vescovo = Policarpo) 7) a Policarpo, vescovo di Smirne 2. TRE TEMI PRINCIPALI (1) Mettere in guardia contro le dottrine eretiche * Contro le tendenze giudaizzanti. Anche se lui è un pagano convertito, il suo non è un antigiudaismo, ma è contro la tendenza giudaizzante tra i cristiani. Ad esempio quella degli Ebioniti, giudei-cristiani, negavano la divinità di Cristo e insistevano molto sulla sua umanità; o quella di alcuni cristiani che insistevano sulla necessità della pratica di riti giudaici. * Contro docetismo (δοκειν = sembrare). Per la sofferenza umana è incompatibile con l’immutabilità divina. Gesù, essendo Dio, non ha potuto soffrire realmente. Ignazio insiste sulla vera incarnazione, la vera passione, la vera risurrezione. Insiste sulla carne di Gesù Cristo: nella morte, nella risurrezione e nell’eucaristia. Con lui si passa dal monoteismo al trinitarianismo.10 (2) Unità teologica ed ecclesiologica * Monoepiscopato: I protestanti, quando furono scoperti le lettere dissero che non erano autentiche perché credevano fosse impossibile che già alla fine del secondo secolo ci fosse una gerarchia così ordinata: diaconi, vescovi e mono-episcopato. 11 L’inizio della chiesa 9 Forse perché in quel momento la sede romana era vacante. Gerarchia celeste come modello per la gerarchia ecclesiale (come faceva san Clemente di fronte alle controversie intra-ecclesiali): “E come il Signore non fa cosa alcuna né da sé stesso, né per mezzo degli apostoli, se non in unione col Padre, così voi fate tutto d‘accordo col vescovo e coi preti” (Lettera ai Magnesiaci 7). 10 “Siate soggetti al vescovo e l‘un l‘altro fra voi, come Gesù Cristo, secondo la carne, è soggetto al Padre, e gli Apostoli a Cristo, al Padre e allo Spirito, perché l‘unione fra voi esista all‘interno e all‘esterno” (Lettera ai Magnesiaci 13). 11 Gerarchia Ecclesiastica: “Vi esorto a compiere con premura tutto nella concordia di Dio e sotto l‘autorità del vescovo, che sta al luogo di Dio, e dei preti, che stanno al luogo del senato apostolico, e dei diaconi, a me carissimi, che antica tutta la chiesa si riuniva per la messa del vescovo. Quando, per motivi di numero, ciò non è più possibile, comunque l’eucaristia è unica, le diverse celebrazioni sono tutte unite a quella del vescovo. Nella sua diocesi il vescovo non può mai concelebrare (fuori si): l’eucaristia è sempre la sua perché lui è il simbolo di unità. Il vescovo amministra il battesimo, il matrimonio e l’eucaristia. Quando poi non è stato possibile che amministrasse tutti i battesimi, il vescovo passava più tardi a confermare il battesimo (da cui la cresima). È il vescovo che garantisce l’ortodossia della fede del suo popolo. * η καθολικη εκκλησια (Lettera agli Smirnesi 8.2). 12 (3) Teologia e la brama del martirio.13 * La sequela di Cristo: “attraverso il martirio, arriverò ad essere vero discepolo”. Solo con la testimonianza del sangue si ritiene vero discepolo. * Connotazione eucaristica. Non solo si è discepoli con il sangue; con il martirio, diventa immagine dell’eucaristia: frumento macinato di Cristo.14 Anche Policarpo di Smirne, che ricevette questa lettera, morì martire; prima di essere bruciato pregò un anafora, la preghiera dell’offerta. Quando la fiamma lo avvolse, divenne come pane nel forno e invece di mandare cattivo odore, spandeva fragranza. Il martirio è associazione alla croce di Cristo. si vede qui l’importanza della sua lotta contro i doceti: se Cristo non avesse veramente sofferto, perché dovrei farlo io? O se dovessi soffrire più di lui, che valore ha? Il docetismo mina alla base tutto il valore del martirio e della sofferenza. C’è la vera incarnazione di Cristo e l’eucaristia è il vero corpo; la mia auto donazione nel martirio prende valore dall’eucaristia di Cristo. divento eucaristia offrendomi in Cristo e come Cristo. Una teoria dice che quando lui esorta i romani a non opporsi al suo martirio a Roma, aveva paura che i romani avessero fermato il suo martirio per non disturbare la pace della chiesa romana: vedere un vescovo carismatico della chiesa orientale, preso e martirizzato a Roma è uno scandalo, e rischia di aprire una via di persecuzioni anche per i cristiani di Roma. C’è il rischio di apostasia. Per questo Ignazio insiste. 3. ROMA Per Roma, Ignazio mostra un riguardo unico. Essa è lontana da ogni macchia (purezza di fede). Questo saluto, innanzitutto proviene da uno scrittore non romano. “che in Roma presiede” (ητις και προκ⇐θηται εν τπω χωρ⇓ου Ρωµα⇓ων) letteralmente = “che presiede nel luogo della regione dei Romani”. Prokathemai indica un autorità ecclesiastica, usata in Mag 12 per indicare la vigilanza del vescovo sulla chiesa; la giurisdizione del vescovo sulla comunità in nome di Dio. nella letteratura non cristiana ha un accezione semplicemente giuridica. Ignazio usa la parola in senso giuridico verso i magnesiaci. Presiedere [προκα,θηµαι] come esercizio di sorveglianza: “Poiché nelle persone nominate sopra ho visto e amato tutta la comunità vi prego di essere solleciti a compiere ogni cosa nella concordia di Dio e dei presbiteri. Con la guida del vescovo al posto di Dio [προκαθηµενου του επισκοπου εις τοπον Θεου], e dei sono investiti del ministero di Gesù Cristo, il quale, prima dei secoli, era già presso il Padre, ed apparve nel termine prefisso” (Lettera ai Magnesiaci 6). 12 Ecclesiologia ed Eucaristia: “Studiatevi pertanto di far uso della stessa Eucaristia, perché una sola è la carne di Gesù Cristo, Signor nostro, e uno solo è il Calice nell‘unità del Sangue di lui, uno solo l‘altare, come uno solo è il vescovo col collegio dei preti e coi diaconi, conservi mei. E tutto ciò che farete in quest‘ordine, fatelo secondo Dio ” (Lettera ai Filadelfi 4). 13 Martirio e il Vero Discepolo: “Ora, io spero di combattere in Roma contro le belve per poter arrivare ad essere vero discepolo, come appunto otterrò di certo per le vostre preghiere” (Lettera agli Efesini 1). 14 Martirio ed Eucaristia: “Lasciate che io sia pasto delle belve, per mezzo delle quali mi è dato di raggiungere Dio! Io sono frumento di Dio, e sono macinato dai denti delle belve, perché possa divenire pane immacolato di Cristo” (Lettera ai Romani 4.1). presbiteri al posto del collegio apostolico e dei diaconi a me carissimi che svolgono il servizio di Gesù Cristo che prima dei secoli era presso il Padre e alla fine si è rivelato ” (Lettera ai Magnesiaci 6.1). In Platone: “προκαθηµαι της πολεως” (presiedere in città, cioè, governare). Ignatius’ salutation highlighting Rome’s presidency in love is well known. But what exactly does it mean (1) to preside and (2) in love? Firstly, the Greek verb to preside, προκαθηµαι, has a juridical meaning. Plato uses the verb to identify the activities of the sovereign municipal body which convokes and dissolves institutional assembles (cf. Plato , Laws, VI.758d). Found in Aristotle‘s Politics (VI.1322b14) the verb refers to the administrative oversight of municipal goods. This municipal supervision is exercised by ―a body which convenes the supreme authority in the State‖; its members hold ―the chief political offices ” (Aristotle, Politics VI.1322b15-17).1 Writing to the Magnesians, Ignatius employs this same Greek verb to describe the role of the bishop who presides in the place of God over the local church (Ignatius of Antioch, Letter to the Magnesians, 6.1). As for the Greek word αγαπη, that is, love, it denotes in ancient Christian usage much more than mere affection or charitable giving. It stands as a synonym for the Eucharist and the ecclesial communion which the Sacrament effects (cf. Ignatius of Antioch, Letter to the Romans, 7.3). Hence, the Church of Rome solicitously oversees or governs the ecclesial communion which unites all the Christian faithful together in love. (JOSEPH CAROLA, S.J., Sermon for the Second Monday of Lent 2010, La Chiesa di San Clemente di Roma, 1 March 2010.) L’espressione può essere quindi un indicazione dei limiti di giurisdizione della diocesi, ma anche un indicazione del luogo da dove viene esercitata una giurisdizione che però oltrepassa i limiti geografici.15 (2) “che presiede alla carità” (“προκαθηµ νη της αγ πης ”) Ma cosa vuol dire “presiedere in carità”? può essere che Roma si distingueva per la sua generosità, ma vedendo in Carità un sinonimo usato dalla chiesa antica per l’eucaristia, si può capire che la chiesa di Roma è la chiesa che governa sulla comunione eucaristica della chiesa universale. Allora non si tratta di un saluto affettuoso, ma indica un ruolo preciso della chiesa di Roma. La chiesa di Roma supera le altre per la purezza della fede. È chiesa maestra (vedi il martirio). Ai romani dice: “Io non vi comando come Pietro e Paolo”; alle altre chiese, invece, comandava. In queste lettere, quindi, si vede già il primato della chiesa di Roma riconosciuto dalle altre chiese. Qui manca ancora Roma e l’insegnamento riguardo al martirio “Voi non invidiaste mai nessuno, anzi ammaestraste altri” (Rom. 3.1). Roma insegnata da Pietro e Paolo “Io non vi comando come Pietro e Paolo. Essi erano Apostoli, io sono un condannato” (Rom. 4.3). È interessante il pensiero di Ignazio sul mistero dell’incarnazione. 16 Secondo Ignazio, il diavolo non capisce la verginità al momento della concezione, né il parto miracoloso, né la morte del Signore. Il diavolo era ignorante e non vedeva Dio in Cristo. È una soteriologia antichissima portata avanti per secoli (l’ultimo esempio è The Passion di Mel Gibson: il diavolo che tenta Gesù nel giardino gli dice “chi pensi di essere, non puoi portare il peccato di tutti su di te…” e a Gesù che prega e dice 15 La Lettera ai Romani: Indirizzo e saluto: “Ignazio, chiamato anche Teofòro, alla Chiesa che è oggetto della misericordia nella munificenza del Padre altissimo e di Gesù Cristo, suo unico Figlio; amata e illuminata per volontà di Colui che ha voluto tutte le cose che sono, secondo la carità di Gesù Cristo, nostro Dio; che in Roma presiede [προκαθηται] degno di Dio, venerabile, degna d‘essere chiamata beata, degna di lode e di felice successo; adorna di candore, che presiede alla carità [προκαθηµενη της αγαπης], che ha la legge di Cristo e porta il nome del Padre. Questa Chiesa io saluto nel nome di Gesù Cristo, Figlio del Padre. A quelli poi, uniti nella carne e nello spirito ad ogni suo precetto, ripieni inseparabilmente della grazia di Dio, e lontani da ogni estranea macchia, molti saluti e l‘augurio della gioia pura in Gesù Cristo, nostro Dio” (Lettera ai Romani praef.). 16 L’ignoranza del principe di questo mondo “Al principe di questo mondo rimase celata la verginità di Maria e il suo parto, similmente la morte del Signore, i tre misteri clamorosi che furono compiuti nel silenzio di Dio. Come furono manifestati ai secoli? Un astro brillò nel cielo sopra tutti gli astri, la sua luce era indicibile, e la sua novità stupì. Le altre stelle con il sole e la luna fecero un coro all'astro ed esso più di tutti illuminò. Ci fu stupore. Donde quella novità strana per loro? Apparso Dio in forma umana per una novità di vita eterna si sciolse ogni magia, si ruppe ogni legame di malvagità. Scomparve l'ignoranza, l'antico impero cadde. Aveva inizio ciò che era stato deciso da Dio. Di qui fu sconvolta ogni cosa per preparare l'abolizione della morte.” (Lettera agli Efesini 19). “Padre” il diavolo dice “chi è tuo padre, chi sei tu?”). è rimasta nel mistero la concezione virginale, il parto e la morte. L’idea è questa: il diavolo aveva un patto con Dio secondo cui poteva prendere tutti gli uomini sottomessi alla morte; ma in questo caso c’è un uomo che è fuori dal peccato originale e quindi non fa parte del patto del diavolo con Dio. quindi il diavolo quando prende quest’uomo, lo prende ingiustamente, e portandolo alla morte rompe, senza rendersi conto, il contratto con Dio. si rende conto di stare lottando contro Dio solo alla morte. Ma allora come si spiegano i passi di esorcismo in cui i demoni riconoscono Gesù come figlio di Dio? è una buona domanda a cui i padri non rispondono. Il catechismo riporta quella soteriologia Ignaziana e i suoi sviluppi. 17 Sant’Agostino riprende questa idea del contratto, però da lui non si parla più dell’ignoranza del diavolo (e in quel contesto, senza l’ignoranza, non si capisce più il comportamento del diavolo). 4.10 Discorso sul Signore 3-4, 9 di Efrem il diacono (c.306-373) ―La morte lo [= Gesù] ha ucciso nel corpo, che egli aveva assunto. Ma con le stesse armi egli trionfò sulla morte. La divinità si nascose sotto l‘umanità e si avvicinò alla morte, la quale uccise e a sua volta fu uccisa. La morte uccise la vita naturale, ma venne uccisa dalla vita soprannaturale. Siccome la morte non poteva inghiottire il Verbo senza il corpo, né gli inferi accoglierlo senza la carne, egli nacque dalla Vergine, per poter scendere mediante il corpo al regno dei morti. Ma una volta giunto colà col corpo che aveva assunto, distrusse e disperse tutte le ricchezze e tutti i tesori infernali. ―Cristo venne da Eva, genitrice di tutti i viventi. Ella è la vigna, la cui siepe fu aperta proprio dalla morte per le mani di quella stessa Eva che doveva, per questo, gustare i frutti della morte. ―Eva, madre di tutti i viventi, divenne anche causa di morte per tutti i viventi. ―Fiorì poi Maria, nuova vite rispetto all‘antica Eva, ed in lei prese dimora la nuova vita, Cristo. Avvenne allora che la morte si avvicinasse a lui per divorarlo con la sua abituale sicurezza e ineluttabilità. Non si accorse, però, che nel frutto mortale, che mangiava, era nascosta la Vita. Fu questa che causò la fine della inconsapevole e incauta divoratrice. La morte lo inghiottì senza alcun timore ed egli liberò la vita e con essa la moltitudine degli uomini‖ (Efrem, Discorso sul Signore 3-4, 9) 17 Il concepimento verginale di Maria nel CCC: “Il silenzio del Vangelo secondo san Marco e delle lettere del Nuovo Testamento sul concepimento verginale di Maria è stato talvolta causa di perplessità. Ci si è potuto anche chiedere se non si trattasse di leggende o di elaborazioni teologiche senza pretese di storicità. A ciò si deve rispondere: la fede nel concepimento verginale di Gesù ha incontrato vivace opposizione, sarcasmi o incomprensione da parte dei noncredenti, giudei e pagani: Essa non proveniva dalla mitologia pagana né da qualche adattamento alle idee del tempo. Il senso di questo avvenimento è accessibile soltanto alla fede, la quale lo vede in quel nesso che lega tra loro i vari misteri‘, nell‘insieme dei misteri di Cristo, dalla sua incarnazione alla sua pasqua. Sant‘Ignazio di Antiochia già testimonia tale legame: Rimase nascosta al principe di questo mondo la verginità di Maria e il suo parto, come pure la morte del Signore: tre misteri sublimi che si compirono nel silenzio di Dio” (Catechismo della Chiesa Cattolica § 498). 5. La letteratura apologetica e Giustino Martire: un‘esperienza di incontro tra cristianesimo e filosofia greca; il Logos spermatikos 1. SAN GIUSTINO MARTIRE Il logos spermatikos In Giustino non si legge logoi spermatikoi: l’espressione si trova solo due volte e sempre al singolare (Ap II 8,3; 13,3). Il logos spermatikos è il verbo divino: ha un significato attivo (è colui che dissemina, non colui che è disseminato). Egli dissemina i sperma tou logos, i semi della verità, la componente razionale dell’uomo. Quello che semina, quindi è altro di sé stesso. Non è un in abitazione del logos, che “taglia pezzi di se stesso” e mette i pezzi negli uomini. Lui semina ciò che illumina gli uomini moralmente e religiosamente (cfr. Mt 13,3ss). I semi, quindi sono una imitazione del logos, una scienza in cui egli è riflettuto. Distingue tra • Dunamis: il seme, la capacità razionale naturale dell’uomo che è seminata in tutti gli uomini dalla creazione • La charis è la cosa in se stessa, non più un imitazione. Dipende dal logos stesso e da ciò che Egli fa. È un esperienza di fede ed un incontro spirituale con il verbo incarnato. Questa rende accessibile la conoscenza del logos a uomini di ogni estrazione. “Cristiani” fra i pagani “Ci è stato insegnato che Cristo è il primogenito di Dio, ed abbiamo già dimostrato che Egli è il Logos di cui fu partecipe tutto il genere umano. Quelli poi che vissero secondo il Logos sono cristiani, anche se passarono per atei, come tra i greci, Socrate, Eraclito e altri simili; tra i barbari, Abramo, Anania, Azaria, Misaele, Elia e molti altri. Sapendo che sarebbe troppo lungo elencarne le opere e i nomi, per il momento li tralasciamo. Anche coloro che, essendo nati prima, non vissero secondo il Logos, furono non-cristi (= improbi), anzi nemici di Cristo, uccisori di quanti vivevano secondo il Logos; e invece coloro che vissero e vivono seguendo il Logos sono cristiani, senza paura e senza turbamento”, (1 Apologia 46.2-4). Giustino non parla di “cristiani anonimi” (come fa Rahner); al contrario, essi vivevano esplicitamente secondo il logos tanto da arrivare, come Socrate, a Cristo. Socrate ha una conoscenza che va un po’ oltre le capacità normali, ma non la spiega con la Charis. Forse è una sua capacità speciale. La salvezza è per i giusti, anche non ebrei (vedi Melchisedek, Giobbe …). Il seme del Logos innato in ogni uomo “Sappiamo che sono stati odiati ed uccisi anche i seguaci delle dottrine degli Stoici, almeno quando si sono mostrati corretti nel discorso etico – come in alcune cose fecero anche i poeti –, per mezzo del seme del Logos, che è insito in ogni stirpe degli uomini. Sappiamo di Eraclito, come abbiamo detto, e di Musonio, tra quelli dei nostri tempi, e di altri. Come infatti spiegammo, i demoni sempre si sono sforzati affinché fossero odiati tutti coloro che, in qualunque modo, cercano di vivere secondo il Logos e di fuggire la malvagità. Nessuna meraviglia, se i demoni, una volta scoperti, si sforzino affinché ancora di più siano odiati coloro che (vivono) non secondo una parte del Logos seminale [ κατα σπερµατικου λογου µερος], ma secondo la conoscenza e la contemplazione del Logos totale, che è Cristo [ κατα την του παντος λογου, ο εστι Χριστου ]”, (2 Apologia 8.1-3). Se i cristiani prima di Cristo sono stati perseguitati perché lo conoscevano, quanto più noi che lo abbiamo conosciuto direttamente. La verità appartiene ai cristiani (i due tipi di conoscenza) “...quanto è stato espresso rettamente da chiunque, appartiene a noi cristiani: infatti, dopo Dio (Padre) noi adoriamo e veneriamo il Logos, (che proviene) da Dio ingenerato e ineffabile, poiché Egli per noi si fece uomo, affinché, divenuto partecipe delle nostre infermità, potesse anche guarirle. Tutti gli scrittori infatti, per mezzo dell‘innato seme del Logos, insito in essi, poterono oscuramente intravedere la realtà. Ma una cosa è un seme e un‘imitazione concessa secondo le capacità [δυναµις], altra è l‘oggetto stesso (= il Logos), del quale si ha una partecipazione e una imitazione, mediante la grazia [ χαρις] che da lui proviene ” (2 Apologia 13.4-6). I cristiani posseggono l’intera verità e l’esempio di Socrate “Al di sopra di ogni umana dottrina risplende la nostra, perché su di noi risplende il Logos totale, Cristo fattosi presente tra noi in corpo, ragione ed anima. Tutto ciò che sempre rettamente enunciarono e scoprirono i filosofi e i legislatori, lo scoprirono e lo compresero a fatica secondo il Logos parziale, proprio perché non indagarono secondo il Logos totale che è il Cristo, si contraddissero tra di loro, anzi quanti vissero prima del Cristo tentando di comprendere e confutare le loro dottrine secondo l‘umana ragione, furono trascinati dinanzi ai tribunali come empi e cacciatori di novità. Socrate che più di tutti costoro, ebbe tale nobile tensione, fu accusato proprio come noi, perché dicevano che introducesse nuove divinità e non riconoscesse gli dèi, in cui la città credeva, mentre egli invece insegnò all‘umanità a rinnegare i demoni del male, autori delle nefandezze narrate nei poeti, esorcizzando dalla repubblica sia Omero sia gli altri poeti, ed esortò a riconoscere, attraverso la ricerca della ragione, il loro Dio ignoto, dicendo né facile scoprire chi è il Padre e il Creatore dell’universo, né senza rischio parlarne a tutti dopo averlo scoperto. Il che operò il nostro Cristo con la potenza che gli era propria; perché, mentre a Socrate nessuno prestò fede, benché testimoniasse con la morte la sua dottrina, a Cristo invece credettero non solo i filosofi e gli amanti della cultura---era Lui infatti e lo è sempre il Logos, che avendo prima predetto il futuro attraverso i profeti, poi insegnò questa dottrina di persona, assoggettandosi a simile passione---ma anche operai, persone del tutto ignoranti, che hanno saputo disprezzare opinioni, paure e morte, poiché operava in Lui la potenza del Padre ineffabile e non a struttura dell‘umana natura”, (2 Apologia 10.1-8). Socrate è una figura di Cristo perché lo ha conosciuto con la sua dunamis ed ha rigettato . Ma lui è morto e non aveva discepoli che hanno dato la vita per lui. Cristo, invece è morto e ha dato ad altri la grazia di morire per lui. Il vangelo di Cristo, infatti, non è per i più bravi: Cristo ha aperto una via universale, anche per gli operai. Questa è la teoria metafisica che spiega le somiglianze della filosofia greca con il cristianesimo. Non si tratta di dialogo inter-religioso, perché i culti pagani, per Giustino, sono demoniaci. Il dialogo è con la filosofia. CHARLES MUNIER, Sources Chrétiennes 507, p. 349, n. 6 : « Justin distingue nettement entre le Logos lui-même et la participation au logos impliquée par l‘exercise de la raison humaine (cf. II, 7(8),3 ; 10, 8 ; 13, 3.) » In altri autori, Giustino vede una sapienza celeste; non spiega la presenza di questa sapienza attraverso la teoria dei logos spermatikos, ma storicamente: secondo lui i greci hanno letto le scritture ebraiche ed hanno preso in prestito idee che non potevano conoscere. La teoria di Giustino non va storicamente, perché Platone è morto prima della LXX. Il problema per lui riguarda: • L’immortalità dell’anima, • La punizioni dopo la morte, • La contemplazione delle cose celesti. Profeti anteriori agli scrittori greci “Tutto quello che fu detto dai filosofi e dai poeti sull‘immortalità dell‘anima, sulle punizioni dopo morte, sulla contemplazione delle cose celesti o su analoghe dottrine, lo hanno potuto apprendere e lo hanno esposto, per averne attinto i principi dai profeti. Perciò in tutti sembra vi siano dei semi di verità; benché, quando si contraddicono l‘un altro, dimostrino di non aver esattamente inteso”, (1 Apologia 44.9-10). Le teofanie dell’AT sono in realtà Cristo-fanie. I greci contemplavano oscuramente, quindi non avevano una rivelazione soprannaturale. C’è differenza di genere, non di grado, tra l’AT e le filosofie: il primo mostra una profezia ispirata da Dio, il secondo dunamis naturale. l’intuito profetico, comunque, è incompiuto: si doveva aspettare Cristo, verbo incarnato che compie tutte le profezie. Per questo quando trova qualcosa di soprannaturale, la spiegazione è il plagio. Spesso c’è un’applicazione forzata da parte di Giustino di questa teoria. La dominus Iesus fa la distinzione tra fede e credenze religiose che assomiglia un po’ a questa di Giustino. Non siamo arrivati alla teologia della grazia di sant’Agostino. Abbiamo san Paolo che dice “siamo giustificati per la fede in cristo”. Qui Giustino sta cercando di rispondere alle accuse per cui Cristo è venuto così in ritardo e quindi tutti gli antenati non si sono salvati. Giustino dice: no, potevano conoscere Dio e la legge morale. Oggi noi diciamo che per compiere la legge morale abbiamo bisogno della grazia. Giustino dice che gli antenati potevano vivere bene a loro modo, ma siamo con una teologia della grazia ancora non sviluppata. Il cristianesimo è la vera filosofia. Altri temi in Giustino Giustino è il primo che fa l’allegoria tra Eva e Maria. Sono entrambe vergini: una disobbediente, che genera la morte e una obbediente che genera la vita. Come nel peccato c’è una donna ed un uomo, così nella restaurazione. Certo, c’è disparità tra i due uomini (allegoria che viene da Paolo). 5.9 Parallelismo Eva-Maria “Siamo venuti a conoscere che egli si è fatto uomo per mezzo della vergine, affinché, per quella via dalla quale ebbe origine la disobbedienza causata dal serpente, per la medesima (via) avesse termine. Eva infatti, pur rimanendo vergine e incorrotta, per aver concepito la parola dal serpente, generò disobbedienza e morte, la vergine Maria invece concepì fede e gioia, allorquando l‘angelo Gabriele le annunziò che lo Spirito del Signore sarebbe disceso su di lei e la potenza dell’Altissimo l’avrebbe adombrata – sì che fu il Figlio di Dio, il santo, ad essere generato da Lei – e rispose: Si faccia di me secondo la tua parola. Così è stato generato per mezzo di lei colui al quale – come abbiamo dimostrato – si riferivano tanti passi della Scrittura, per mezzo del quale il Padre distrugge il serpente e gli angeli e gli uomini che ad esso si assomigliano, ed opera la liberazione dalla morte per tutti coloro che si convertono dal male e credono in Lui”, (Dialogo con Trifone 100.4-5). C’è qualche dipendenza da Ireneo in questa teoria. Il battesimo è un bagno di rigenerazione: non è un idea di giustificazione inculcata in cui l’uomo rimane sempre cattivo e peccaminoso (l’uomo si rivestirebbe così di Cristo e Dio lo vedrebbe giusto). Qui si parla, invece, di vera rigenerazione, in cui l’uomo nel battesimo è rifatto. Giustino parla anche dell’Eucaristia, sacrificio secondo il logos, in cui si adora in spirito e verità. Il culto spirituale come dice san Paolo (logikè). È la maniera di adorare Dio secondo il logos. Ma si parla anche di sacrificio. Eucaristia “Questo alimento noi lo chiamiamo “Eucaristia” e non è dato parteciparne se non a chi crede vera la nostra dottrina ed è stato lavato per la remissione dei peccati e per un bagno di rigenerazione, per vivere così come Cristo ha insegnato a fare. Poiché noi non lo prendiamo come un pane comune ed una comune bevanda, ma secondo abbiamo appreso dal nostro Salvatore Gesù Cristo, incarnatosi in virtù del Verbo di Dio. L‘alimento sul quale fu compiuta l‘azione di grazie e di cui si nutrono il nostro sangue e le nostre carni, per virtù dell‘orazione di grazie sono trasformati nella carne e nel sangue del medesimo Gesù incarnato per la nostra salvezza. Gli Apostoli infatti nelle loro Memorie dette Evangeli proprio questo tramandarono: che Gesù Cristo lasciò loro questo comando: preso del pane, rese grazie e disse loro: Fate questo in memoria di me; questo è il mio corpo; poi preso similmente il calice, rese grazie e disse: Questo è il mio sangue”, (1 Apologia 66.1-3). Sezione 6: Ireneo di Lione: Cristologia, Mariologia, antropologia, la Regula Fidei, la tradizione apostolica ed anti-gnosticismo 1. SANT’IRENEO Sant’Ireneo di Lione è stato un teologo di fede e fedele Chiesa. è molto attento alla tradizione. È l’ultimo uomo apostolico: è vissuto nell’ambiente degli apostoli. Ha imparato il vangelo da bambino ai piedi di Policarpo, discepolo di Giovanni. Grande campione anti-gnostico: lotta contro coloro che disprezzano il corpo e la materia. È in un certo senso il fondatore della teologia cristiana con il libro Adversus Haereseis. Nei primi due libri risponde botta per botta alle eresie del tempo. gli ultimi due libri, invece, è una teologia ben sviluppata (è impressionante vedere il livello della teologia del II secolo). C’è una certa ironia qui: Ireneo era molto sospettoso alla teologia speculativa a causa della lettura mistico-allegoricospeculativa che gli gnostici facevano del NT, uscendo dalla regula fidei per esporre la loro filosofia esoterica. Dimostra così un certo anti-intellettualismo Di fatto, però, la sua è una teologia speculativa: è il primo a formulare in termini dogmatici tutta la dottrina cristiana (e Origene segue questa linea con il suo De Principiis). Nacque circa nel 135 – 140 in Asia Minore. Da bambino ascoltava Policarpo di Smirne ed altri discepoli degli apostoli. Giunse in Gallia. È impressionante la comunicazione a distanza nell’antichità. Non sappiamo perché Ireneo sia andato a Lione.18 Intorno al 177 fu ordinato sacerdote e mandato a Roma (tutti venivano a Roma allora) con una lettera del confessore di Lione a Papa Eleuterio (c. 174 – 189). In questa lettera si esortava il papa a mantenere i rapporti tra le comunità ecclesiastiche ed i montanisti che quindi non dovevano essere completamente fuori dalla chiesa e dovevano avere un certo influsso a Lione (negli atti dei martiri di Lione, compare una figura che doveva essere un montanista). 19 In questa lettera Ireneo viene descritto come zelante seguitore di Cristo e prete della chiese di Lione. Al suo ritorno a Lione fu eletto vescovo al posto del vescovo Pontino, martirizzato nel mentre. Il suo nome significa “Operatore di pace” (ειρηνοποιος). Questo, infatti, fu il suo sforzo costante. Un esempio è la sua lettera a Papa Vittore, in cui gli chiedeva di non scomunicare tutto la chiesa orientale perché non celebrava la Pasqua come la celebrava la chiesa di occidente (controversia dei Quartadecimani). Esorta ad accettare la diversità nella chiesa. segue la linea usata da San Policarpo con papa Aniceto (accettare le differenze). Si vede già quindi la tensione tra oriente ed occidente, anche se in occidente si parlava ancora Greco (Novaziano scrive nel terzo secolo la prima opera cristiana in latino). Morì circa nel 200. Due sono le sue opere principali • De detectione et eversione falso cognominatae agnitionis (smascheramento e confutazione della falsa gnosi) o Adversus haereses, libri quinque I Padri della chiesa avevano un grande interesso della Chiesa universale e stavano in contatto tra di loro (Girolamo e Agostino ebbero una grande corrispondenza epistolare pur non essendosi mai visti). 18 Essendo in cinta Felicita non poteva essere esposta alle bestie. I giorni precedenti, quindi, si lamentava di non poter partecipare al martirio con gli altri; ma la notte precedente diede alla luce gridando di dolori. La guardia gli disse: come farai domani se oggi soffri così per il parto. Lei rispose: oggi soffro io, domani sarà Cristo in me. Santa Blondine allo stesso modo fu un esempio di Cristo. Morì come in croce e diede grande incoraggiamento ai cristiani. 19 • Demonstratio apostolicae praedicationis. Fa riferimento all’AT per spiega la predicazione degli apostoli (ciò che sarà il NT). Il binomio AT-NT viene da lui, che insiste sull’unità della scrittura. opera già con un certo canone (parla dei quattro vangeli). 2. LAVORO APOSTOLICO: UNA TRIPLICE DIREZIONE (1) Adoperarsi per la diffusione del cristianesimo lungo il Rodano.20 (2) Opporsi allo gnosticismo. Soprattutto a quello di Valentino che si andava diffondendo nella Gallia del sud. (3) Risolvere la questione pasquale con Papa Vittore (189 – 199) 3. LA TEOLOGIA DI SANT’IRENEO La Trinità Il Creatore è il Padre del Logos. Non ci sono due dei secondo il dualismo gnostico. Il Figlio e lo Spirito Santo sono le due mani del Padre nell‘opera della creazione. Nella sua Cristologia c’è questa teoria della Ricapitolazione [ανακεϕαλαιωσις]. Che viene da Paolo. Adamo è il capo dell’umanità e da lui viene la rovina per tutti. Ci vuole quindi un nuovo Adamo che dia un nuovo inizio per tutti. In Gesù, nuovo Adamo, tutta l’umanità è riconciliata con Dio. per questo passa per tutte le tappe della vita umana per sanarla e rinnovarla. È concepito da una donna, è bambino, passa l’infanzia, l’adolescenza, la sofferenza. Nel Cristo l’uomo è ri-creato. L’uomo, chiamato ad immagine di Dio è chiamato a crescere secondo la sua somiglianza. L’immagine per l’uomo è Cristo incarnato e risorto (secondo il dualismo gnostico il vero uomo è solo l’anima dell’uomo, scintilla divina intrappolata nella carne). Cristo viene a darci la possibilità di crescere nella somiglianza a quell’immagine. Per Ireneo, quindi, l’incarnazione era prevista dal momento della creazione, non è solo un rimedio al peccato originale. Mariologia Ireneo segue Giustino nel parallelismo Eva-Maria. Vergine, ascolta serpente/angelo. Disobbediente/obbediente. Genera la morte/la vita. Come all’inizio di tutto il dramma di redenzione c’è una donna insieme con l’uomo, anche nella redenzione ci vuole una donna con l’uomo. Maria è corredentrice nel senso che è coinvolta nell’opera di redenzione dell’umanità (non nel senso che è co-star). È interessante come Newman utilizza la dottrina di Maria nuova Eva per provare l’immacolata concezione di Maria pensata fin dall’eternità. La dimostrazione si trova nel libro scritto contro E. Pusey che scrisse Erenicon per conciliare gli anglicani con i cattolici; ma per Newman quest’opera ha solo l’effetto di far arrabbiare i cattolici perché mette in questione la concezione immacolata ed altro. Secondo Newman, invece, se c’è il parallelismo esatto tra Maria ed Eva, allora essendo Eva creata senza peccato, perché il parallelismo sia totale, anche Maria deve essere stata creata senza peccato. È una prova implicita contenuta in una dimostrazione esplicita del II secolo. Subito dopo il parallelismo Adamo-Cristo, Ireneo dice: “Parallelamente si trova anche la Vergine Maria obbediente quando dice «Ecco la tua serva, avvenga di me quello che hai detto». Eva disobbedì, e fu disobbediente mentre era ancora vergine. Come Eva, che pur avendo come marito Adamo era ancora vergine - infatti erano ambedue nudi nel paradiso e non ne provavano vergogna, perché, essendo stati creati poco prima, non avevano alcuna idea della generazione dei figli: infatti prima dovevano crescere e poi moltiplicarsi; come Eva dunque, disobbedendo divenne causa di morte per sé le era stato assegnato era ancora vergine, obbedendo divenne causa di salvezza per sé e per tutto il genere umano. Perciò la Legge chiama colei che era fidanzata ad un uomo, benché sia ancora vergine, moglie di colui che l‘aveva presa come fidanzata indicando il movimento a ritroso che va da Maria ad Eva. Infatti ciò che è stato legato non può essere slegato se non si ripercorrono in senso inverso le pieghe del nodo, così che le prime 20 In Texas molte strutture ecclesiastiche vengono da Lione (gesuiti, case di suore e vescovi) perché i primi due vescovi venivano dalla città francese. Carola, quindi, si sente in grande debito verso Ireneo. pieghe siano sciolte grazie alle seconde e inversamente le seconde liberino le prime, per cui capita che il primo legame è sciolto dal secondo e il secondo nodo serve da slegatura per il primo….Così dunque il nodo della disobbedienza di Eva trovò soluzione grazie all‘obbedienza di Maria. Ciò che Eva aveva legato per la sua incredulità, Maria l’ha sciolto per la sua fede” (Adversus haereses 3.22.4). Maria è causa salutis per se e per tutto il popolo umano. È un affermazione molto forte.. Ad Oxford è venerata un immagine di Maria che scioglie i nodi. Il nodo della disobbedienza di Eva che complica così tanto la vita. “Se dunque il Signore è venuto visibilmente nella sua proprietà; se è stato portato dalla sua propria creazione che è portata da lui; se grazie alla sua obbedienza sul legno ha fatto la ricapitolazione della disobbedienza che era stata compiuta per mezzo del legno; se la seduzione, di cui miseramente era stata vittima Eva, vergine soggetta al marito, è stata dissipata dalla verità che fu annunciata magnificamente dall‘angelo a Maria, vergine già in potere del marito, - infatti, come quella fu sedotta dalla parola dell‘angelo in modo da fuggire Dio trasgredendo la sua parola, così questa ricevette il lieto annunzio per mezzo della parola dell‘angelo, in modo da portare Dio obbedendo alla sua parola; e come quella si lasciò sedurre in modo da disobbedire a Dio, così questa si lasciò persuadere in modo da obbedire a Dio, affinché la Vergine Maria divenisse avvocata della vergine Eva; e come il genere umano fu legato alla morte per mezzo di una vergine, così ne fu liberato per mezzo di una vergine, perché la disobbedienza di una vergine fu controbilanciata dall‘obbedienza di una vergine”, (Adversus haereses 5.19.1). Maria è Advocata Evae, titolo mariano che si trova in LG 8. Il genere umana fu liberato per mezzo di una vergine. Maria già nel II secolo è considerata corredentrice. È chiarissimo che la sua opera è inserita nel piano di ricapitolazione del figlio. “Cristo è un essere puro che apre con purezza quel puro seno che rigenera gli uomini in Dio” ( Adversus haereses 4.33.11). La tradizione legge questo brano come verginità in partu, trovata già nel protoevangelo di Giacomo. Possiamo pensare che la mariologia così alta di Ireneo possa avere un collegamento, attraverso Policarpo, con san Giovanni, cui Cristo affidò la madre. Nella chiesa di Lione ci sono molti mosaici della vergine, tra cui l’aquila di Giovanni con Policarpo ed Ireneo e di fronte il concilio di Efeso (della Theotokos). Eucaristia La risurrezione dei corpi nella polemica anti-gnostica. La vera eucaristia fa parte della difesa della nostra umanità. Eucaristia e la risurrezione del corpo “Vani sono in ogni modo quanti rifiutano tutta l‘economia di Dio, negano la salvezza della carne e disprezzano la sua rigenerazione, dicendo che non è capace di accogliere l‘incorruttibilità. Ora se essa non riceve la salvezza, senza dubbio il Signore non ci ha riscattati con il suo sangue, e il calice dell‘Eucaristia non è la comunione del suo sangue né il pane che spezziamo è la comunione del suo corpo. Il sangue infatti proviene dalle vene, dalle carni e dalla restante sostanza umana, e appunto perché è divenuto veramente tutto questo, il Verbo di Dio ci ha riscattati con il suo sangue, come dice il suo Apostolo: In lui abbiamo il riscatto mediante il suo sangue, la remissione dei peccati‘. E poiché siamo sue membra e siamo nutriti mediante la creazione – egli stesso ci procura la creazione, facendo sorgere il suo sole e mandando la pioggia come vuole-, dichiarò che il calice proveniente dalla creazione è il suo proprio sangue e proclamò che il pane proveniente dalla creazione è il suo proprio corpo, con il quale si fortificano i nostri corpi”. “Se dunque il calice mescolato e il pane preparato ricevono la parola di Dio e divengono Eucaristia, cioè il sangue e il corpo di Cristo, e se con essi si fortifica e si consolida la sostanza della nostra carne, come possono dire che la carne non è capace di ricevere il dono di Dio che è la vita eterna: la carne che si nutre del sangue e del corpo di Cristo ed è sue membra? Come il beato Apostolo dice nella sua lettera agli Efesini: Siamo membra del suo corpo formati dalla sua carne e dalle sue ossa‘ indicando con queste parole non un certo uomo spirituale ed invisibile, perché lo Spirito non ha né ossa né carne‘, ma l‘organismo veramente umano, composto di carne nervi ed ossa, il quale è nutrito dal calice, che è il suo sangue, ed è fortificato dal pane, che è il suo corpo. E come il legno della vite, collocato nella terra, porta frutto a suo tempo, e il chicco del frumento caduto nella terra‘ e dissolto risorge moltiplicato in virtù dello Spirito di Dio che sostiene tutte le cose---e poi grazie all‘abilità umana sono trasformati ad uso degli uomini e ricevendo la parola di Dio divengono Eucaristia, cioè il corpo ed il sangue di Cristo; così anche i nostri corpi, che si sono nutriti di essa, sono stati collocati nella terra e vi si sono dissolti, risorgeranno al loro tempo, perché il Verbo di Dio donerà loro la risurrezione ‗per la gloria di Dio Padre‘, il quale procura l‘immortalità a ciò che è mortale e dona gratuitamente l‘incorruttibilità a ciò che è corruttibile, poiché la potenza di Dio si esprime perfettamente nella debolezza, affinché non ci lasciamo mai prendere dall‘orgoglio come se avessimo la vita da noi stessi e non ci solleviamo contro Dio, accogliendo nell‘animo un pensiero d‘ingratitudine, ma avendo appreso per esperienza che dalla sua grandezza e non dalla nostra natura deriva la nostra capacità di rimanere per sempre, non tradiamo mai la vera concezione di Dio né ignoriamo la nostra natura, ma sappiamo qual è la potenza di Dio e quali sono i benefici che l‘uomo può ricevere, e non ci inganniamo mai sulla vera concezione circa le cose che esistono, cioè Dio e l‘uomo. Del resto, come abbiamo detto prima, Dio non ha forse permesso il nostro dissolvimento nella terra affinché, educati in ogni modo, siamo attenti per il futuro in tutte le cose, senza ignorare né Dio né noi stessi?” (Adversus haereses 5.2.2-3) La teologia protestante va contro questa tradizione dei padri: nel II secolo si parla chiaramente di carne e sangue non di segni. Antropologia La salus carnis. Una frase famosa di Ireneo è ricordata a metà: «la gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo è la visione di Dio» («Gloria enim Dei vivens homo, vita autem hominis visio Dei», AH. 4.20.7). Fini naturali e soprannaturali diventeranno un grande dibattito per la teologia nel corso della storia. Soteriologia • Partecipare gloriae Dei • Da imago Dei a similitudo Dei • Divinizzazione cristologica L’uomo, creato ad immagine di Dio, è chiamato a crescere nella somiglianza. Se molti padri identificano immagine e somiglianza, per Ireneo siamo creati ad immagine di Dio (che è il Cristo glorificato) e siamo chiamati a crescere secondo la somiglianza di Dio (indicata da Cristo) per poter partecipare della gloria di Dio. Troviamo qui la frase famosa: «Dio è diventato uomo, affinché l’uomo fosse degno di diventare Dio». Regula Fidei Gli gnostici leggono le stesse letture degli ortodossi (e ne scrivono altri non aggiunti nel canone). Come si può dimostrare che la loro lettura non è corretta? Ireneo è il primo a parlare di Regula Fidei o Canon veritatis che è (1) Il messaggio contenuto nelle Scritture (2) esprime la fede battesimale (3) ed è una professione di fede in comunione con la Chiesa di Roma Il canone di Ireneo non è completo, ma per lui il NT = γραϕη allo stesso modo dell’AT (Paolo parla di AT chiamandolo “scrittura”). C’è anche il dono sicuro di verità che Dio dà ai successori degli apostoli. Attraverso questo carisma il magistero vivente nella Chiesa gode della garanzia di autenticità nell’interpretazione. Carisma sicuro della verità “Perciò si debbono ascoltare i presbiteri che sono nella Chiesa: essi sono i successori degli apostoli, come abbiamo dimostrato, e con la successione nell‘episcopato hanno ricevuto il carisma sicuro della verità secondo il beneplacito del Padre; mentre tutti gli altri, che si separano dalla successione originaria e si riuniscono in qualunque modo, si devono guardare con sospetto, o come eretici che insegnano false dottrine o come scismatici orgogliosi e vanagloriosi o ancora come ipocriti che lavorano per guadagno e vanagloria”, (Adversus haereses 4.26.2). Per essere sicuri, si deve rimanere nella Chiesa. La tradizione Sant’Ireneo sviluppa una teoria delle scritture per dire quali sono le scritture e come si leggono correttamente. Il Vangelo attraverso gli Apostoli ―Non attraverso altri noi abbiamo conosciuto l‘economia della nostra salvezza, ma attraverso coloro i quali il Vangelo è giunto fino a noi. Quel Vangelo essi allora lo predicarono, poi per la volontà di Dio ce lo trasmisero in alcune scritture perché fosse fondamento e colonna della nostra fede. Non si può dire che lo predicarono prima di aver ricevuto la conoscenza perfetta, come alcuni osano dire, vantandosi di essere correttori degli Apostoli. Infatti, dopo che il Signore fu risuscitato dai morti ed essi furono rivestiti della potenza proveniente dall‘alto grazie alla discesa dello Spirito Santo, allora furono pieni di certezza su tutte le cose ed ebbero la conoscenza perfetta; andarono allora fino alle estremità della terra a predicare il Vangelo dei beni che ci vengono da Dio e ad annunciare agli uomini la pace celeste: essi avevano tutti insieme e ciascuno singolarmente il Vangelo di Dio” (Adversus haereses 3.1.1). Cfr. 1Gv1,1: la tradizione comincia oralmente, e solo dopo diventa scritta. La Tradizione apostolica della Chiesa “Dunque la Tradizione degli apostoli, manifestata in tutto quanto il mondo, possono vederla in ogni Chiesa tutti coloro che vogliono vedere la Verità e noi possiamo enumerare i vescovi stabiliti dagli apostoli nelle Chiese e i loro successori fino a noi. Ora essi non hanno insegnato né conosciuto sciocchezze come quelle che insegnano costoro. Infatti, se gli apostoli avessero conosciuto misteri segreti, che avrebbero insegnato a parte e di nascosto ai perfetti, certamente prima di tutto li avrebbero trasmessi a coloro ai quali affidavano le Chiese stesse. Volevano infatti che fossero assolutamente perfetti e irreprensibili in tutto coloro che lasciavano come successori, trasmettendo loro la propria missione di insegnamento. Se essi avessero capito correttamente, ne avrebbero ricavato grande profitto, se invece fossero falliti, ne avrebbero ricavato un danno grandissimo”, (Adversus haereses 3.3.1). Il vangelo è già in tutto il mondo. L’idea che si diffonde è che se uno non ascolta il vangelo è colpa sua, perché il vangelo è giunto ovunque: se qualcuno veramente lo vuole lo cerca e lo trova. La tradizione è pubblica. È importante la pubblicità, perché gli gnostici sostenevano che Gesù avesse insegnato le loro dottrine segretamente ad alcuni e che loro erano gli incaricati a rivelarle nel II secolo. La tradizione cristiana, invece, è sotto gli occhi di tutti. Per garantire la pubblicità, allora, ci vuole un elenco dei vescovi, quelli affidabili. Se stabilisco qualcuno per essere mio successore, ovviamente se ho segreti li trasmetterò a lui, non ad altri (come pretendevano gli gnostici)! È una teologia della tradizione e del magistero. La tradizione è originalmente • Testimonianza apostolica • Trasmissione apostolica • Successione apostolica (garanzia dell’autenticità della trasmissione) Roma È bene allora sapere quali sono le chiese che stanno nella tradizione. Non c’è tempo di elencare tutte le chiese: andiamo allora alla più eccellente, quella di Roma. Roma: il principale testimonio della Tradizione apostolica “Ma poiché sarebbe troppo lungo in quest‘opera enumerare le successioni di tutte le Chiese, prenderemo la Chiesa grandissima e antichissima e a tutti nota, la Chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo. Mostrando la Tradizione ricevuta dagli Apostoli e la fede annunciata agli uomini che giunge fino a noi attraverso le successioni dei vescovi confondiamo tutti coloro che in qualunque modo, o per infatuazione o per vanagloria o per cecità e per errore di pensiero, si riuniscono oltre quello che è giusto. Infatti con questa Chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve necessariamente essere d‘accordo ogni Chiesa, cioè i fedeli che vengono da ogni parte---essa nella quale per tutti gli uomini sempre è stata conservata la Tradizione che viene dagli Apostoli” (Adversus haereses 3.3.2). Ireneo fornisce quindi i successori di Pietro a Roma fino al suo tempo. La Successione a Roma “Dunque, dopo aver fondato ed edificato la Chiesa, i beati apostoli affidarono a Lino il servizio dell‘episcopato; di questo Lino Paolo fa menzione nelle lettere a Timoteo. A lui succede Anacleto. Dopo di lui, al terzo posto a partire dagli apostoli, riceve in sorte l‘episcopato Clemente, il quale aveva visto gli apostoli stessi e si era incontrato con loro ed aveva ancora nelle orecchie la loro predicazione e davanti agli occhi la loro Tradizione. E non era il solo. Perché allora restavano ancora molti che erano stati ammaestrati dagli apostoli. Dunque, sotto questo Clemente, essendo sorto un contrasto non piccolo tra i fratelli di Corinto, la Chiesa di Roma inviò ai Corinzi una importantissima lettera per riconciliarli nella pace, rinnovare la loro fede e annunciare la Tradizione che aveva appena ricevuto dagli apostoli: un solo Dio onnipotente, creatore del cielo e della terra e plasmatore dell‘uomo, il quale ha fatto venire il diluvio, ha chiamato Abramo, ha fatto uscire il popolo dalla terra d‘Egitto, ha conversato con Mosè, ha stabilito la Legge e inviato i profeti ed ha preparato il fuoco per il diavolo e i suoi angeli. Che questo Dio è annunciato dalla Chiesa come Padre del nostro Signore Gesù Cristo, chi vuole lo può apprendere da questo stesso scritto, come pure può conoscere la Tradizione apostolica della Chiesa, essendo quella lettera più antica di coloro che ora insegnano falsamente e immaginano un altro Dio al di sopra del Demiurgo e Creatore di tutto ciò che esiste. A questo Clemente succede Evaristo e ad Evaristo Alessandro; poi, come sesto a partire dagli Apostoli, fu stabilito Sisto; dopo di lui Telesforo, che dette la sua testimonianza gloriosamente; poi Igino, quindi Pio e dopo di lui Aniceto. Dopo che ad Aniceto fu succeduto Sotere, ora, al dodicesimo posto a partire dagli apostoli, tiene la funzione dell‘episcopato Eleutero. Con questo ordine e queste successioni è giunta fino a noi la Tradizione che è nella Chiesa a partire dagli apostoli e la Predicazione della verità. E questa è la prova più completa che una e medesima è la Fede vivificante degli apostoli, che è stata conservata e trasmessa nella Verità ”, (Adversus haereses 3.3.3). La successione apostolica è la garanzia dell’autenticità. Le Chiese-madri apostoliche “Se ci fosse qualche controversia su una questione di poca importanza, non si dovrebbe ricorrere alle Chiese più antiche, nelle quali vissero gli apostoli, e prendere la dottrina esatta sulla questione presente? Anche se gli apostoli non ci avessero lasciato le Scritture, non si dovrebbe seguire l‘ordine della Tradizione, che hanno trasmesso a coloro a cui affidavano le Chiese?” (Adversus haereses 3.4.1) La scrittura si trova nel contesto della tradizione orale e viva della chiesa, che concretizza. Ma se non ci fosse, basterebbe consultare le chiese madri, perché in esse c’è la tradizione viva. La memoria dell’uomo antico era molto forte e diveniva un elemento fondamentale (alcuni memorizzavano la bibbia per intero). Ci sono popoli che credono non per la scrittura ma per la tradizione orale viva ed hanno la nostra stessa regula fidei (di cui scrive un esempio). La Tradizione orale “A quest‘ordine obbediscono molti popoli barbari che hanno creduto in Cristo e possiedono la salvezza, scritta senza carta e inchiostro nei loro cuori mediante lo Spirito e custodiscono scrupolosamente l‘antica Tradizione: essi credono in un solo Dio, Creatore del cielo e della terra….”, (Adversus haereses 3.4.2). Malgrado l’universalità c’è unità di fede. Secondo J.H. Newman, se c’è un insegnamento che si trova in quattro punti distanti e non c’è un segno chiaro di come si possa essere spostato, è una prova del fatto che quell’insegnamento è apostolico e viene dal deposito della fede. Universalità della Tradizione “La Chiesa, benché disseminata su tutto il mondo abitato fino ai confini della terra, ricevette dagli apostoli e dai loro discepoli la fede in un solo Dio….Ricevuto, come abbiamo detto, questo messaggio e questa fede, la Chiesa, benché disseminata in tutto il mondo, lo custodisce con cura come se abitasse una sola casa; allo stesso modo crede in queste verità, come se avesse una sola anima e lo stesso cuore; in pieno accordo queste verità proclama, insegna e trasmette, come se avesse una sola bocca. Le lingue del mondo sono diverse, ma la potenza della Tradizione è unica e la stessa. Né le Chiese fondate nelle Germanie hanno ricevuto o trasmettono una fede diversa; né quelle fondate nelle Spagne o tra i Celti o nelle regioni orientali o in Egitto o in Libia o nel centro del mondo (= le chiese di Roma ed Italia). Ma come il sole, la creatura di Dio, è in tutto il mondo uno solo e il medesimo, così la luce spirituale, il messaggio della verità, dappertutto risplende e illumina tutti gli uomini che vogliono giungere alla conoscenza della verità. Né, tra i capi delle chiese, colui che è molto abile nel parlare insegnerà dottrine diverse da queste: ---nessuno, infatti, è al di sopra del Maestro---né chi non è abile nel parlare impoverirà la Tradizione. Siccome la fede è una sola e sempre la stessa, né chi è molto abile nel parlare di essa l‘arricchisce, né chi è poco abile la impoverisce ” (Adversus haereses 1.10.1 – 2). La verità è sempre la stessa, non dipende da chi la predica. Anche un uomo semplice può insegnarla meglio di un sapiente. 6.11 La Sede Romana: lo sviluppo storico fino al Concilio di Calcedonia “La ricerca ecclesiologica ha messo sempre più in rilievo la Communio (koinonia) tra le chiese e la funzione del servizio petrino in tale contesto. L'espansione del cristianesimo portava a creare e fondare nuove comunità, stabilendo un rapporto sentito e vitale tra chiese madri e chiese figlie. L'apostolicità si trasmette per mezzo di generazione nella fede e cosi tutte le chiese sono apostoliche e cattoliche. Quelle chiese che conservarono una più forte memoria della fondazione da parte di un apostolo, anche per la loro situazione strategica nel sistema politico romano, godevano di maggiore autorevolezza. Cosi si svilupparono le grandi sedes apostolicae, con stima e rispetto reciproco. II concilio di Nicea, che non aveva 1'intento di stabilire un ordine precise di gradazione, riconosce Roma, Alessandria e Antiochia (can. 6). II loro rango era riconosciuto anche nell'ordine civile. Tale decisione diede luogo alla teoria delle tre sedi apostoliche petrine; Pietro è il fondatore della chiesa di Antiochia e di Roma, e in suo nome Marco, detto discipulus oppure filius Petri, ha fondato la chiesa di Alessandria (cf. PL 13, 374D - 376A; PL 54, 1007). In altre parole, la preminenza delle tre sedi nasceva dall’importanza di Pietro e quindi da ragioni apostoliche e non politiche. “Nel concilio di Costantinopoli del 381 si inserisce nella triarchia petrina anche le sede imperiale, «perchè tale città è la nuova Roma» (can. 3). II concilio aggiorna 1'organizzazione alla nuova situazione politica ed ecclesiastica. D’ora in poi, nell'ordine gerarchico delle sedes quella romana viene collocata sempre al primo posto; si costituisce per la prima volta la "pentarchia", che si afferma concretamente nel concilio di Calcedonia. Il vescovo di Roma, in questa prospettiva, è uno dei cinque patriarchi, anche se e il primo (cf. Gregorio Magno, Ep. II, 50, Registrum Ep., MGH vol. I, p. 154; in CCL 140, p. 136 e la II, 44), ma è il patriarca dell'occidente: praesidens occidentalis Ecclesiae (Agostino, C. M. VI, 1,4, 13: PL 44, 648). La convinzione della Chiesa antica assegnava un posto preminente al criterio di apostolicità storica, come criterio irrinunciabile e necessario per assicurare l’unita e la comunione ecclesiale dell'unica Chiesa di Cristo. Tutte le chiese devono essere apostoliche, ma le chiese madri hanno maggiore responsabilità, anche per la loro organizzazione, per «essere ed apparire in modo più evidente degli altri troni apostolici». L'apostolicità è qualcosa di storico e dimostrabile anche attraverso la redazione delle liste episcopali delle singole chiese, le quali liste sono una catena di trasmissione del "deposito" originario e fedele e permettono la verifica dell'autenticità di esso. “Il discorso del paragrafo precedente ci introduce al ruolo storico di mediazione e di unità ecclesiale che svolgeva il vescovo di Roma sin dai primi secoli. Questo ruolo era stato svolto nei primi decenni dell'espansione cristiana dalla comunità madre di Gerusalemme. II suo declino è determinato sia dalla rigida posizione di difesa della tradizione giudaica con il conseguente ridimensionamento della posizione di Pietro, accusato di troppa apertura al mondo pagano e di lassismo verso la tradizione legalistica giudaica, sia dalle vicende storiche della guerra giudaica. Pietro viene presentato da Paolo come l’incaricato della mis-sione ai giudei della diaspora di lingua greca. La scomparsa delle "colonne" e degli altri grandi missionari arreca il pericolo della frantumazione delle comunità cristiane, anche perché nelle città maggiori forse esistevano più gruppi con tendenze e organizzazione diverse. Scomparsa la chiesa madre, i punti di riferimento diventano gli apostoli e i luoghi della loro missione, in particolare Roma, che raccoglie l’eredità di Pietro e Paolo e anche di Gerusalemme. Ragioni apostoliche, politiche, commerciali, economiche e sociali conferiscono alla Chiesa di Roma, centro dell'ecumene, una posizione privilegiata, e quindi d'incontro e di contatto tra le comunità (cf. i saluti in Rm 16; 1 Pt 5, 13; Col 4, 16). Cosi la comunità romana svolge un ruolo unitario e di mediazione riconosciuto ed accettato; le Chiese comunicavano tra loro già dal secondo secolo mediante 1'azione di Roma (cf. Eusebio, Stor. Ecc. 5, 25; 6, 43, 3). La Chiesa romana godeva di grande prestigio sin dagli inizi del cristianesimo; Paolo scrive ad essa una lettera piena di considerazione, pur non essendo una comunità da lui fondata, e loda la sua fede «che si espande in tutto il mondo» (Rm 1, 8). La prima lettera di Pietro, indirizzata ai cristiani di alcune province anatoliche, proviene dalla Chiesa romana. In continuità con essa, alla fine del primo secolo la Prima Clementis è un autorevole intervento della comunità romana in occasione delle discordie scoppiate a Corinto; essa si colloca nel clima di solidarietà per offrire un aiuto a una Chiesa sorella in difficoltà. Anche verso il 170 Roma scrive di nuovo ai corinzi (Eusebio, Stor. Ecc. 4, 23, 11). Nella Lettera di Clemente il riferimento al martirio di Pietro e Paolo (cap. 5) e alla successione apostolica come garanzia dell'ordine nella comunità già preannuncia la dottrina della sollecitudine romana per tutte le chiese. II prologo della lettera di Ignazio ai romani e la menzione di Pietro e Paolo (cap. 4) mettono in rilievo il suo primato nella fede e nella carità. Egli fa riferimento anche all'abitudine di scrivere lettere da Roma: «Voi avete insegnato» (3, 1). Ireneo di Lione, gia citato, afferma 1'esigenza di essere in armonia con la dottrina della Chiesa romana; Tertulliano (De praescr. 32 e 36: «Se raggiungi 1'Italia cola troverai Roma dalla quale anche a noi viene 1' autorità») e Origene (Eusebio, Stor. Ecc. 6,14,10) indirettamente dicono la stessa cosa. Avere rapporti stretti con la Chiesa romana, anche dalle province orientali dell'Impero romano, testimoniava la sua grande autorità; informarla di quanto avveniva altrove era un atto di fiducia. I suoi interventi autorevoli in diverse direzioni e su argomenti dottrinali, sia in Oriente che in Occidente, veniva-no sollecitati. L'afflusso di cristiani da ogni dove faceva diventare Roma un centro ben informato su quanto avveniva altrove e in qualche modo le imponeva di intervenire nelle comunità lontane. La sollicitudo romana si concretizzava anche sul piano assistenziale. “Nei secoli seguenti la Chiesa romana considera sua prerogativa la custodia fidei et disciplinae (cf. Leone Magno, Ep. 115, 1). Con papa Damaso (366-384) la sede romana rafforza la sua idea di centralità anche con 1'utilizzo del testo di Matteo 16, 18ss.; Siricio papa (384 - 399) considera la sollicitudo omnium ecclesiarum (2 Cor 11, 28) una prerogativa della sede romana. II termine sollicitudo dalla fine del IV secolo diventa usuale nella cancelleria pontificia. Essa per i paesi latini viene esercitata anche attraverso le decretali, lettere pontificie autorevoli che sono inserite nel diritto canonico, per le causae maiores. Leone Magno, che afferma con vigore il ruolo primaziale della sedes apostolica al servizio della fede di tutte le Chiese, rispetta le decisioni dei sinodi locali, le consuetudini e i diritti degli altri vescovi che costitui-scono insieme con lui il collegium caritatis (Epp. 5, 2; 6, 1; 12, 2). Tuttavia, la primazia e l’influenza della Chiesa romana variava da chiesa a chiesa, da regione a regione e a seconda dei tempi. Nell'antichità ogni vescovo in qualche modo si sentiva coinvolto nella sollicitudo omnium ecclesiarum. Se da una parte questo favoriva l’aiuto e il sostegno reciproco, dall'altra poteva causare sconfinamenti e ingerenze in altre sedi episcopali. Le decisioni dei concili ecumenici sulle circoscrizioni ecclesiastiche ebbero lo scopo di conservare le competenze di ciascuna Chiesa. Lo storico Socrate afferma che le decisioni del concilio di Costantinopoli del 381 furono prese per evitare intromissioni in altre diocesi e in altre eparchie (insieme di più diocesi) (Storia ecc. V, 8). Questo dato di fatto e indipendente dalla riflessione teologica posteriore, ma nasce dalla consapevolezza che l’unità dell'unica Chiesa comportava un ordine pur nel governo collegiale. Un tale ruolo di rnediazione di Roma divenne quasi esclusivo tra Oriente e Occidente, poiché i contatti diretti tra le Chiese orientali e quelle occidentali andavano riducendosi nella tarda antichità e nell'alto medioevo, sia per la separazione politica sia per le difficoltà linguistiche. Soltanto Roma, nell'alto medioevo, era in grado di svolgere questa mediazione sia attraverso 1'azione di un delegato romano permanente a Costantinopoli (apocrisario) dal tempo di Leone Magno, sia per la presenza a Roma di comunità monastiche di lingua greca. Diversi apocrisari divennero vescovi di Roma, e quindi in grado di conoscere la chiesa di Costantinopoli. Le regioni orientali oltre i confini dell'Impero avevano una maggiore autonomia, rispetto a tutti i patriarchi, la quale divenne lentamente scissione dopo il concilio di Calcedonia del 451” ( Angelo di Bernardino, “Lo Sviluppo degli Studi Patristici”, La Teologia del XX Secolo: un bilancio, vol. I, 335- 338). Sezione 7: Gnosticismo: la minaccia degli gnostici, Marcione e Valentino 1. LO GNOSTICISMO 1. Elementi Generali Sistema di pensiero antecedente al pensiero cristiano. (1) Un prodotto di sincretismo ellenistico (di idee greche ed orientali) susseguente alle conquiste di Alessandro Magno. (2) Parassitico: Usa le idee delle altre religioni come un parassita. (3) Una mitologia propria creata da materia straniera (parlano di Dio Padre, Dio Figlio… ma per loro dio è padre perché ha una moglie e dei figli, di cui il primo è il Figlio… ma c’era un dio prima di loro…) (4) Una “conferma” della rivelazione primordiale 2. Fonti (1) Scritti anti-eretici dei Padri (ad esempio l’Adversus haereseis). Conosciamo gli gnostici prima di tutto attraverso gli scritti dei padri. Questo è un punto debole della nostra conoscenza degli gnostici, perché dipendiamo da come ci sono riportate le cose. (2) La Biblioteca Nag Hammadi (scoperta nel 1945 nel deserto d’Egitto). Sono stati ben conservati 13 codici copti. In essi sono riportati 50 trattati distinti. Codici sotterrati circa nel 400 d.C. Da quegli scritti propriamente gnostici si vede che Ireneo ci ha riportato abbastanza fedelmente le loro credenze. 3. Una conoscenza salvifica che unisce L’idea centrale è che è una conoscenza che salva. Gli gnostici sono coloro che hanno questa conoscenza che libera e redime. È una conoscenza esoterica e rivelata soltanto ad un elite capace di ricevere questa rivelazione (tipico dell’uomo). 4. Un riassunto basico del mito gnostico (1) Una scintilla divina nell‘uomo (2) Proveniente dal mondo divino (3) Cade nel mondo di destino, nascita e morte (la materia è negativa) (4) Dev’essere risvegliata dalla sofia (5) Quindi, uno sviluppo all’ingiù (discendente) dal divino (6) Sophia deve ricuperare la scintilla divina. È lei la responsabile, che ha fatto cadere la scintila dal cielo e che cerca di recuperarla e riportarla al cielo 5. Anti-cosmico C’è un forte dualismo tra la materia e lo spirito. Il mondo materiale è il prodotto di una tragedia divina. Il dio inferiore è un demiurgo cattivo. Lo stesso uomo è un micro-cosmo: in lui c’è la scintilla e c’è il corpo (un po’ come Platone). Eppure non tutti gli uomini hanno questa scintilla. Nel vangelo di Giuda, Giuda è il migliore apostolo e compagno di Gesù, non lo tradisce perché lo aiuta ad arrivare alla croce, dove quella scintilla divina viene liberata da questo corpo che è cattivo. Gli gnostici utilizzavano i vangeli cristiani per parlare della loro filosofia. Ad esempio «la verità vi farà liberi». La verità di chi siamo noi ci libera da questa prigione di destino, della materia. 6. Liberazione attraverso auto-conoscenza Conoscenza salvifica “E perfetta redenzione la conoscenza stessa della Grandezza ineffabile. Dal momento che la caduta e la passione sono derivate dall’ignoranza, tutto ciò che si è formato a causa dell’ignoranza si dissolve per mezzo della conoscenza, così che la gnosi è la redenzione dell’uomo interiore. Ed essa non è corporea, perché il corpo è corruttibile, né psichica, perché l’anima deriva dalla caduta ed è per così dire il ricettacolo dello spirito. Dunque la redenzione dev’essere spirituale. L’uomo interiore e spirituale è, infatti, redento per mezzo della gnosi ed essi si accontentano della conoscenza di tutte le cose. E questa è la vera redenzione” (Adversus Haereses 1.21.4). L’anima è un risultato della caduta dell’intelletto (nous): riceve l’intelletto, ma è un intelletto raffreddato (psuche). “Quando uomo conoscerà sé stesso e Dio chi è sopra la verità, sarà salvato, e sarà coronato con la corona che non marcisce” (Nag Hammadi IX, 3: La Testimonianza di Verità 45). Tutte queste teorie si ripetono nel New Age dove si trova quel desiderio di avere quella conoscenza privata ed esoterica. È una tendenza accattivante che ha molta presa oggi. 7. Le figure gnostiche del redentore Il dio supremo comunica attraverso dei messaggeri il suo messaggio salvifico. Queste figure sorgono indipendentemente dal cristianesimo. Ma quando lo gnosticismo incontra il cristianesimo, Cristo viene identificato come uno degli esseri prominenti di luce: il figlio del padre supremo, il primo rivelatore e redentore. La figura del redentore gnostico riceve una certa storicità da Cristo, che a sua volta è mitologgizzato dallo gnosticismo. Si crea così una spaccatura tra il Gesù storico e il Gesù della fede, tipicamente gnostica, che vede un essere mistico e misterico scendere sull’uomo Gesù della storia. Questa figura del redentore, rivela, durante i quaranta giorni tra la risurrezione e l’ascenzione, le conoscenze gnostiche ad un gruppo di elite. Il libro di Morone (mormone) dice che dopo la risurrezione Gesù è apparso agli indiani degli Stati Uniti facendogli una rivelazione. 8. Docetismo Di solito l cristologia gnostica è doceta, perché il corpo è cattivo: una figura celeste, quindi, non si incarna veramente, ma dà solo l’impressione di essere incarnato, di essere uomo. L’origine di questo pensiero non è necessariamente gnostico, perché c’è anche un docetismo ortodosso: quando i padri parlano delle teofanie dell’AT, per loro sono sempre cristofanie: Dio si presenta, ma senza una vera incarnazione. Ma dopo l’incarnazione è chiaramente un eresia parlare di Gesù come fantasma. (1) Basilide La Passione di Gesù Cristo secondo Basilide “Il Padre ingenerato e innominato, vedendo la rovina di tutti costoro, ha mandato il suo primogenito, l’Intelletto---e questo è colui che è chiamato Cristo – per liberare quanti avrebbero creduto in lui dal potere degli angeli che avevano creato il mondo. Alle genti di costoro egli è apparso in terra come uomo ed ha compiuto prodigi. Perciò non ha patito lui; ma un certo Simone di Cirene, costretto, ha portato la croce di lui al suo posto: questo è stato crocifisso per ignoranza ed errore, in quanto Cristo lo aveva trasformato sì che si credesse che fosse lui Gesù. Gesù invece aveva assunto l’aspetto di Simone e stando lì vicino irrideva i crocifissori. Infatti egli era la Potenza incorporea e l’Intelletto del Padre ingenerato: perciò si è trasformato come voleva ed è asceso a colui che lo aveva mandato, prendendosi gioco di quelli, poiché non poteva esser preso ed era invisibile a tutti. Pertanto coloro che sanno queste cose sono stati liberati dagli arconti creatori del mondo. E non bisogna professare fede in quello che è stato crocifisso, ma in colui che è venuto in aspetto di uomo ed è stato creduto crocifisso, è stato chiamato Gesù ed è stato mandato dal Padre, per distruggere con tale disposizione le opere dei creatori del mondo. Se pertanto qualcuno professa fede nel crocifisso, questi è ancora servo e sotto il potere di quelli che hanno creato i corpi: invece chi lo avrà rinnegato, è libero dal potere di quelli e conosce la disposizione del Padre ingenerato”, (Adversus Haereses 1.24.4). Gli arconti creatori del mondo sono sempre cattivi. C’è una lotta cosmica tra il Padre ingenerato e gli arconti creatori del mondo. È interessante che nel Corano c’è una negazione esplicita della morte di Gesù sulla croce. È molto probabile che Mohammed conoscesse il cristianesimo attraverso gli gnostici, perché la somiglianza è forte. (2) Cerinto La Cristologia di Cerinto “Anche un certo Cerinto insegnò in Asia che il mondo non è stato fatto dal primo Dio, ma da una potenza molto separata e distante dal principato che è al di sopra di tutte le cose, e che questa Potenza non conosce il Dio che è al di sopra di tutte le cose. Aggiunse che Gesù non è nato dalla Vergine, perché ciò gli sembrava impossibile, ma era figlio di Giuseppe e di Maria, come tutti gli altri uomini, e valeva più di tutti in giustizia, prudenza e sapienza. Dopo il battesimo discese su di lui, dal Principato che è al di sopra di tutte le cose, Cristo in forma di colomba, ed allora annunziò il Padre ignoto e compì i miracoli; alla fine Cristo volò via ancora da Gesù e Gesù patì e risuscitò, mentre Cristo rimase impassibile, essendo spirituale” (Adversus Haereses 1.26.1). Il demiurgo che ha fatto il mondo (il Dio di Israele?) è un ignorante, perché non sa che al di là di lui ci sono altri dei. L’uomo Gesù e il Cristo sono due cose diverse: soffre l’uomo Gesù, non Cristo. Come si vede, lo gnosticismo ha un mito generale di base, ma poi ogni corrente ha le sue idee le sue caratteristiche, personaggi, storie. Se il dio creatore, quello dell’At è cattivo, allora tutto ciò che appare di buono nell’At è cattivo e ciò che appare cattivo è buono. C’è un ribaltamento completo, come si vede nel testo che segue. Un’esegesi gnostica positiva del serpente di Eden: La Testimonianza di Verità dalla Biblioteca Nag Hammadi E scritto nella Legge per quanto concerne questo, quando Dio diede [un comandamento ] ad Adamo, ‘Da ogni [albero] voi potrete mangiare, [però] dall’albero che è in mezzo al Paradiso non mangiate, perché il giorno che voi mangerete da esso voi morirete sicuramente.’ Però il serpente era più saggio 46 di tutti gli animali che erano in Paradiso, ed egli persuase Eva, dicendo ‘Il giorno in cui voi mangerete dall’albero che è in mezzo al Paradiso, gli occhi della vostra mente saranno aperti.’ Ed Eva ubbidì e stese la mano; ella prese dall’albero; ne mangiò; ella diede anche al suo marito con sé. E subito essi seppero di essere nudi, e presero dei fogli di fico e si fasciarono. Però [Dio] venne di sera, camminando in mezzo del Paradiso. Quando Adamo lo vide, si nascose. Ed Egli disse, ‘Adamo, dove sei?’ Egli rispose [e] disse, ‘Sono venuto sotto il fico.’ E proprio in quel momento Dio seppe che lui aveva mangiato dall’albero del quale Dio gli aveva comandato, ‘Non mangiare di esso.’ Ed egli gli disse, ‘Chi è 47 che gli ha istruito?’ Ed Adamo rispose, ‘La donna che tu mi ha dato.’ E la donna disse, ‘ Il serpente è colui che mi ha istruito.’ Ed egli maledisse il serpente, e lo chiamò ‘diavolo’. Ed egli disse, ‘ Ecco, Adamo è diventato come uno di noi, conoscendo il male ed il bene.’ Poi disse, ‘Scacciamolo via dal Paradiso per paura che lui prenda dall’albero della vita e mangi e viva per sempre.’ Però che tipo è questo Dio? Prima invidiò Adamo che egli mangiasse dall’albero della conoscenza. E poi egli disse, ‘Adamo, dove sei?’ E Dio non ha prescienza, cioè, perché non sapeva questo dal principio. [E] dopo egli disse, ‘Scacciamolo via dal Paradiso per paura che lui mangiasse dell’albero della vita e vivesse per sempre.’ Senza dubbio egli si manifestò particolarmente invidioso. E 48 che tipo di Dio è questo? Perché grande è la cecità di coloro che lessero, e non ne ebbero conoscenza. Ed egli disse, ‘Io sono il Dio geloso; imporrò i peccati dei padri sui figli fino alla terza [ed] alla quarta generazione.’ Ed egli disse, ‘Indurirò il loro cuore, e farò che la loro mente diventi cieca affinché né sappiano né capiscano le cose dette.’ Però queste cose egli dice a coloro che credono in lui e lo servono! E [in un] luogo Mosè scrive, ‘[Egli] fece del diavolo un serpente per [coloro] che egli ha nella sua generazione.’ In un altro libro, che è chiamato ‘Esodo’, è scritto dunque (cf. 7: 8-12): ‘Egli combatté contro [maghi], quando il luogo era pieno [di serpenti] secondo la loro [iniquità; e il bastone] che era nella mano di Mosè diventò un serpente (e) inghiottì i serpenti dei maghi.’ Ancora è scritto (Numeri 21:9), ‘Egli fece un serpente di rame (e) lo mise sopra l’asta 49 […] che […] in maniera tale che [chiunque avesse a guardare questo serpente] di rame, nessuno [avrebbe potuto distruggerlo], e chiunque che [crederà in] questo serpente di rame [verrà salvato]. Perché questo è Cristo; [coloro che] credono in lui [avranno ricevuto la vita]. Coloro che non credono [moriranno]” (Nag Hammadi IX, 3: La Testimonianza di Verità 45-49). Eva era ubbidiente e il serpente la istruisce. Dio non ha prescienza ed è geloso delle sue conoscenze che opprime quelli che lo servono. Si prendono riferimenti dalla scrittura vedendo il serpente come una cosa buona in opposizione a Dio. Zamarro, che ha vinto un nobel per la letteratura, ha scritto un romanzo su Caino descrivendo un dio cattivo, che è da rifiutare assolutamente. Usa l’AT per attaccare la fede, esattamente come facevano gli gnostici. 2. MARCIONE Si trova tra la tradizione Gnostica e quella cristiana paolina. Viene da Sinope in Asia Minore; suo padre era il vescovo locale. Si stabilì a Roma nel 139 (tutti si spostavano a Roma). Venne ripudiato a Roma nel 144, e fondò la sua chiesa. Morì nel (quindi contemporaneo di Giustino, di Erma e di Valentino). Giustino scrive quindi le apologie dicendo agli imperatori che devono saper distinguere i veri cristiani da quelli che si dicono tali. Antitesi fra il Dio Creatore della Legge ed il Dio di Salvezza. sono due dei opposti: il Dio della creazione e della legge è cattivo e ignorante, è un Dio giusto ma non misericordioso. Il Dio della salvezza, invece, quello del Nt, è buono ma sconosciuto perché al di là del cielo. È lui che manda Gesù nel mondo di disperazione e di miseria. La morte di Gesù sulla croce è voluta dal dio creatore e ignorante, ma sulla croce c’è un fantasma, non il vero Gesù. Nella sua discesa agli inferi, Gesù redime tutti i condannati dell’AT, tranne i giudei virtuosi, lasciati indietro perché obbedienti al Dio creatore. La redenzione si ottiene per mezzo della legge (riprende Paolo) e per questo esalta la vita ascetica. Marcione è il primo a proporre un canone neotestamentario: il vangelo di Luca e dieci lettere di Paolo (ma senza alcun elemento giudaico). Siamo agli inizi del processo di canonizzazione: Marcione dà la provocazione. Ha dei caratteri gnostici (crede nel demiurgo, è anti-materiale), eppure la sua antropologia non é gnostica: non c’è alcuna affinità tra Dio e l’uomo, che non ha in sé una scintilla divina. L’anima umana è macchiata. Non c’è una speculazione mitologica. È un biblista più che un teologo speculativo. Secondo Marcione, l’insegnamento di Gesù è stato mescolato con altri elementi nel NT, dai quali tale insegnamento deve essere liberato. Il principio della giustizia e dell’amore sono in opposizione stretta, come la religione di esteriorità legale ed una di interiorità spirituale. La sua è una prima forma sistematica di anti-semitismo teologico. La prima forma di anti-semitismo, quindi, non viene dalla chiesa, ma da una tendenza eretica. 3. VALENTINO È il più grande gnostico del II secolo. nato probabilmente in Egitto, si convertì al cristianesimo ad Alessandria; ma il cristianesimo che conobbe, probabilmente, era uno gnosticismo. Arrivò a Roma nel 140 e fondò una scuola (come fece Giustino). Rifiutato dalla chiesa di Roma, morì nel 160. Valentino ha un sistema molto fantasioso, con una mitologia piuttosto profonda. Insisteva sulla rivelazione divina di ciò che insegnava (come fanno i mormoni: l’autorità delle loro dottrine è fondata su rivelazioni private e c’è così una grande libertà di pensiero ed un evoluzione difficile da ricostruire). J. Kelly descrive bene il pantheon di Valentino: Secondo Valentino, al di sopra e al di là dell’universo si trova il Padre supremo, Bythos, Monade ingenerata e perfetto eone, e accanto a lui Sige (Silenzio), che è la sua Ennoia (Pensiero). Da questi procedono per emanazioni successive tre paia di eoni, Nous (o Monogenes) e Aletheia (Verità), Logos e Zoe (Vita), Anthropos (Uomo) ed Ecclesia (Chiesa) completando così l’Ogdoade. Da Logos e Zoe procedono cinque paia (la Decade) e da Anthropos ed Ecclesia sei paia successive di eoni (la Dodecade). Questi trenta formano il Pleroma, o pienezza di Dio, ma soltanto l’unigenito Nous ha la possibilità di conoscere e rivelare il Padre. Tuttavia il più basso dei trenta eoni, Sophia, aveva un desiderio incomprimibile di conoscere la sua natura. Essa soffrì per il desiderio colpevole che aveva concepito (Enthymesis), e sarebbe stata dissolta nel Tutto se Horos (Limite, chiamato anche Stauros, o Croce), nominato guardiano del Pleroma, non l’avesse convinta che il Padre è incomprensibile. Sophia abbandonò così la sua passione e le fu concesso di rimanere nel Pleroma. Intanto Nous e Aletheia, per ordine del Padre, avevano prodotto una nuova coppia di eoni, Cristo e lo Spirito Santo, per istruire gli eoni sul loro vero rapporto con lui. Essendo così stato ristabilito l’ordine, essi cantano le lodi del Padre e producono il Salvatore Gesù frutto perfetto del Pleroma. Ma che cosa accadde del mostruoso frutto del concepimento di Sophia, Enthymesis, esiliata dal pleroma, nota ora come Sophia inferiore o Achamoth? Mentre essa vaga ancora nel vuoto senza vita, la sua angoscia fa nascere la materia, mentre dal suo desiderio di Cristo nasce lo ‘psichico’ (ψυχικο,ν) o elemento-anima. Quindi Cristo ha pietà di lei e discendendo dalla Croce (Horos) imprime una forma alla sua informità. Come effetto essa dà alla luce la sostanza spirituale, o ‘pneumatica’. Da questi tre elementi – materia, psiche e pneuma – venne all’essere il mondo. Prima la Sophia formò un Creatore, o Demiurgo, dalla sostanza fisica, come immagine del Padre supremo. Il Demiurgo, che in realtà è il Dio dell’Antico Testamento, creò poi il cielo e la terra e le creature che lo abitano. Quando fece uomo, egli fece prima ‘l’uomo terreno’, e poi vi soffiò la propria sostanza psichica; ma a sua insaputa Achamoth pose lo pneuma, o spirito, nato da lei, nell’anima di alcuni uomini. Questo elemento spirituale anela a Dio e la salvezza consiste nella sua liberazione dagli elementi inferiori ai quali è unito. Questo è il compito che il Salvatore Gesù porta a termine. Secondo la loro costituzione, vi sono tre classi di uomini: l’uomo carnale o materiale, l’uomo psichico e l’uomo pneumatico. Coloro che sono carnali non possono essere salvati in alcun modo, mentre per giungere alla redenzione lo pneumatico ha solo bisogno di apprendere l’insegnamento di Gesù. L’uomo psichico può essere salvato, anche se con difficoltà, attraverso la conoscenza e l’imitazione di Gesù”, (J. N. D. Kelly, Il Pensiero Cristiano delle Origini, 34-35). La tradizione gnostica non ammette la salvezza di tutti gli uomini: è impossibile per principio che alcuni uomini siano salvati perché ci sono uomini che per natura – poiché sono carnali – non possono essere salvati (l’apparenza esteriore basta a capire che tipo di uomo è: per questo non c’è da preoccuparsi se si vede un uomo messo male, è carnale, non c’è niente da salvare in lui). Uno schema per rappresentare l’idea di Valentino: La Pleroma (30 eoni in 15 paia) Il Padre Supremo [Bythos] Silenzio [Sige]/ Pensiero [Ennoia] Monogenes [Nous] Verità [Aletheia] ( Cristo e lo Spirito Santo) Verbo [Logos] Vita [Zoe] la Decade (5 paia successive di eoni) Uomo [Anthropos] Ecclesia [Chiesa] la Dodecade (6 paia successive di eoni) ________________________________________________________ L’ultimo eone = Sophia l’Ogdoade Gesù = il frutto perfetto del Pleroma __________________________Horos (il Limite della Pleroma)______________________________________ Sophia Inferiore/ Achamoth [Enthymesis] fa nascere la materia Il mondo materiale______________________________________________Demiurgo / il Dio Creatore dell’AT (ignorante ed arrogante: “Io sono l’unico Dio!”) Uomini terreni e psichici 1) creati secondo l’immagine dell’Anthropos, quindi sono superiori al loro creatore 2) nell’anima di alcuni uomini Achamoth pone lo pneuma che anela a Dio Nella lettera agli smirnesi, dove Ignazio parla ai doceti (che negano la vera carne di Gesù e quindi l’eucarestia), abbiamo letto: «Nessuno si lasci trarre in inganno: anche gli abitanti del cielo e gli angeli, con tutta la loro gloria, e i principi visibili e invisibili, se non credono nel sangue di Cristo, anch’essi non sfuggiranno al giudizio. Chi può intendere intenda! Nessuno s’inorgoglisca per il posto che occupa, poiché tutto sta nella fede e nella carità, delle quali non c’è nulla di più eccellente. 2. Osservate come sono contrari al pensiero di Dio coloro che professano l’errore intorno alla grazia di Gesù Cristo, venuta a noi. Essi non si curano della carità, né della vedova, né dell’orfano, né dell’oppresso, né di chi è prigioniero o è stato liberato, né di chi ha fame o sete». Gli gnostici svolgevano un qualch e servizio di diaconia o altro? Se si vuole un rapporto di giustizia sociale, ci vuole l’ortodossia di Cristo: coloro che lo rifiutano in qualche cosa non conoscono la sua carità. In Iraq c’è una comunità che si dice discepola di Giovanni Battista. Sono ancora manichei vivono una teologia anti-cosmica. A Sidney c’è una loro comunità. Lo gnosticismo fa leva sul grande fascìno (come dice) che esercita l’esoterismo. Sezione 8 L’ambiente alessandrino tra II e III secolo: Clemente ed Origene. Principali temi della “ricerca” teologia origeniana (riflessione trinitaria, antropologia). Alessandria nel IV secolo ed Atanasio. 1. LA SCUOLA ALESSANDRINA Alessandria fondata nel 331 a.C. da Alessandro Magno Alessandria fu fondata nel 331 a.C. da Alessandro Magno. Era il crocevia delle più grandi civiltà del mondo antico, e quindi una città veramente cosmopolita. Tradizione giudaica In questa città nacque una comunità ebraica (Filone, nato 20 anni prima Cristo e morto 20 anni dopo la morte di Cristo), e più tardi una cristiana. Fu lì che fu tradotta la LXX. I greci già leggevano la scrittura in modo allegorico: per salvaguardare i testi classici della loro mitologia, infatti, i più illuminati, li re-interpretarono. È ciò che fece Filone nella spiegazione di Gn: cercò di superare gli antropomorfismi spiegandoli con l’allegoria. (1) Filone (20 a.C. – 50 AD) (2) La Settanta (LXX) (3) Metodo allegorico La Scuola Alessandrina Questa scuola È il più vecchio centro di scienze sacre dell’antico oriente. Era un modo di comunicare la fede ai catecumeni più intellettuali. (1) Per i convertiti più colti (2) Indagine metafisiche della fede (3) Filosofia filo-platonica (4) Esegesi allegorica (5) I primi capi della cosiddetta scuola 1. Panteno = il ‘fondatore’ 2. Clemente Alessandrino 3. Origene (istituì una scuola propria, centro di istruzione dei catecumeni: la prima università teologica nell’antichità cristiana; nel 220 divise la scuola in due livelli: mantenne la guida del livello superiore – catecumeni – e lasciò ad Eracla la formazione dei candidati al catecumenato) • Eracla = discepolo di Origene 2. CLEMENTE ALESSANDRINO Tito Flavio Clemente = nato tra il 140 ed il 150 ad Atene (o Alessandria), da genitori pagani, fu lui stesso a convertirsi. Un ‘filosofo itinerante’ per la formazione culturale: cercando la verità, la sapienza viaggiò molto (Magna Grecia, Medio Oriente, Egitto, Alessandria Panteno). Ma sembra si sia convertito prima di questi viaggi. Rimase venti anni ad Alessandria durante i regni di Comodo e di Settimio Severo. Non è sicuro il suo stato: ci sono ipotesi che fosse ordinato, ma potrebbe essere stato un semplice laico. Fuggì la persecuzione anticristiana di Settimio Severo (202/203) Morto in Palestina (o Cappodocia) nel 215/216 Per lui, Il vero gnostico = il cristiano perfetto La filosofia greca = propedeutica per il cristianesimo Tre opere principali • Il Protreptico • Il Pedagogo • Gli Stromati Προτρεπτικος (critica servera d mitologia greca e del culto pagano) Παιδαγωγος Στρωµατεις (letteralmente «stracci», raccolta di vari pensieri) È stato di certo un erudito che ha cercato di armonizzare la filosofia greca con il Vangelo, mostrando che non c’è conflitto. Insegnava il cristianesimo alla ricca comunità di Alessandria (di un certo livello culturale, oltre che economico). La conoscenza cristiana di Dio è superiore sia a quella ebrea, sia a quella greca. La vera sapienza, infatti, viene dal logos. È il logos incarnato che insegna ai cristiani. La salvezza del cristiano è la gnosi di realtà spirituali sconosciute prima di Cristo. Cristo, logos incarnato, insegna la verità. I cristiani sono discepoli di Dio stesso. Il cristiano, quindi, è il vero gnostico, ma non nel senso eretico. Clemente parla di uno gnosticismo genuino. Esso vive distaccato dalle passioni, ha vinto il peccato per la grazia di Dio ed è arrivato all’ απαθεια, la libertà dal turbamento interiore che risulta dal peccato. Esso dunque vive una vita virtuosa caratterizzata da un equilibrio interiore. E questo perché vive unito a Dio. non è un semplice fedele. Per Clemente ci sono due livelli: i semplici, che semplicemente credono e gli gnostici (anche se dice «solo lo gnostico è il vero cristiano»), che cercano di capire la loro fede con l’intelligenza e di difendere la sua fede con le armi della dialettica e con l’aiuto del sapere enciclopedico proveniente dalla cultura greca. Il cristiano, quindi è un uomo con grande potere di ascetismo. Capisce il livello spirituale della lettera che legge. Tre sono i momenti classici della vita spirituale: 1. abbandono i vizi 2. conoscenza di Dio in tutte le cose (conoscenza naturale di Dio) 3. Contemplazione mistica di Dio Ciò che i maestri domenicani hanno chiamato via purgativa, via illuminativa e via unitiva. Per Clemente la filosofia è un dono di Dio agli uomini, un opera di provvidenza: Dio stesso ne è l’autore, come è l’autore della fede. La filosofia è propedeutica alla fede: gli prepara la strada. In quanto punto di partenza, non scopre la verità tutta intera, ma solo quella parziale, perché si arriva alla pienezza della verità solo per la fede. Tutti coloro che cercano la verità possiedono una qualche porzione del Verbo di Verità (come i germi del verbo). I filosofi sono riusciti a vederla parzialmente. È interessante il modo in cui spiega la conoscenza dei filosofi: sono arrivati o per la ragione umana (come dice Giustino) oppure per mezzo di un ispirazione divina (diversamente da Giustino). I cristiani arrivano alla perfezione della verità perché sono essi stessi discepoli di Dio. La filosofia aiuta chi cerca la verità solo a distanza (la via breve è la scritture cristiane, in cui è il Verbo stesso che istruisce). In tutti gli uomini è instillato un “certo divino efflusso”, ciò che egli chiama «αποροοια». Origene usa questa parola per descriver l’atto con cui Dio illumina i profeti ebrei. C’è anche un ispirazione chiamata «επιτνοια» cui si attribuisce la tradizione monoteistica greca (Giustino usa questa parola per spiegare come Dio ha ispirato Mosè). L’ispirazione divina nella filosofia greca e nella tradizione giudaica è diversa non per genere, ma solo per grado. La filosofia greca (cf. 8.26) “Orbene, prima della venuta del Signore la filosofia era ai Greci necessaria per giungere alla giustizia; ora diviene utile per giungere alla religione: essa è in certo modo una propedeutica per coloro che intendono conquistarsi la fede per via di dimostrazione razionale. ‘Il tuo piede’ dice la Scrittura ‘non c’è rischio che inciampi’: purché riconduca alla provvidenza ciò che è bene, greco o nostro che sia. Di tutte le cose che sono buone è causa Dio: di alcune in modo diretto, come per esempio dell’Antico e del Nuovo Testamento, di altre mediatamente, come della filosofia. Potrebbe anche darsi che la filosofia fosse stata data ai Greci quale bene primario, avanti che il Signore li chiamasse, poiché anche essa educava la grecità a Cristo, come la legge gli Ebrei. Perciò la filosofia serva a preparare, aprendo la strada a colui che sarà reso perfetto da Cristo.” (Gli Stromati I.5.28.1-3). Il momento decisivo è l’incarnazione. Dopo la filosofia non è più indispensabile, anche se è utile perché porta alla fede. Filosofia e Antico Testamento sono due strade che portano a Cristo, ma non sono sullo stesso livello: Dio è la causa indiretta della filosofia, e diretta dell’AT. La filosofia, poi, non perfeziona l’uomo. Infatti: La filosofia greca: una preparazione alla ‘gnosi’ “…la filosofia greca purifica, si direbbe, ed abitua preliminarmente l’anima all’accoglimento della fede, sulla quale poi la verità costruisce la ‘gnosi’.” (Gli Stromati VII.3.20.2.) La filosofia aiuta ma da lontano: Superiorità della fede cristiana (cf. 8.18,19) “E se la filosofia coadiuva alla scoperta della verità anche solo da lontano, tendendo con sforzi molteplici verso quella dottrina nostra che è strettamente congiunta con la verità, essa coadiuva , s’intende, colui che s’è impegnato a raggiungere la ‘gnosi’ con la ragione. Tuttavia la verità dei Greci è distante dalla nostra, anche se ha in comune la designazione, per [la nostra] ampiezza di conoscenze, maggior rigore di dimostrazione, divina potenza e altre simili prerogative. ‘Allievi di Dio’ noi siamo, poiché siamo istruiti in Scritture veramente sante, alla scuola del Figlio di Dio: e perciò [i Greci] non certo allo stesso modo addestrano le anime, ma con insegnamento diverso.” (Gli Stromati I.20.98.3-4). E infatti ciò che i greci hanno detto di giusto, lo hanno detto con una divina ispirazione, anche se parziale (quando si contraddicono, siamo a livello di congetture, ragionamenti umani). La comprensione parziale dei Greci… “[I Greci] in parte li sottrassero, in parte anche li fraintesero; negli altri casi certe cose hanno espresso con divina ispirazione, ma non le resero alla perfezione, certe altre hanno espresso con congetture e raziocinio umano, e qui anche falliscono. Essi s’illudono di raggiungere la verità in modo completo, ma noi li scopriamo: essi la raggiungono solo parzialmente.” (Gli Stromati VI.7.55.4). …I cristiani e la sapienza vera “...noi [Cristiani] siamo divenuti discepoli di Dio, che abbiamo acquistato la sapienza realmente vera, quella alla quale i sommi filosofi fecero solamente allusione, ma che i discepoli di Cristo ricevettero e annunziarono” (XI.111.2) Tra i filosofi, poi, Clemente mostra una predilezione per Platone: La superiorità di Platone… “Io aspiro al Signore dei venti, al Signore del fuoco, al Creatore del mondo, al Datore della luce al sole. Dio cerco, non le opere di Dio. Chi dunque potrò prendere da te come compagno nella mia ricerca? Noi infatti non ti respingiamo del tutto. Se vuoi, prendiamo Platone. Come dunque si deve cercare Dio, o Platone? Il padre e creatore di questo mondo è una grande impresa trovarlo e, per chi lo trova, annunciarlo a tutti è impossibile. Ma, in nome di Lui stesso, perché? Perché non è assolutamente possibile esprimerlo per mezzo di formule. Bene, Platone, sfiori la verità, ma non stancarti; insieme con me intraprendi la ricerca intorno al bene. Infatti in tutti gli uomini generalmente, e massimamente in quelli che passano il tempo a ragionare, si trova istillato un certo divino efflusso. Grazie ad esso, pur malvolentieri, essi riconoscono che c’è un solo Dio, senza principio e senza fine il quale in alto, nelle più lontane regioni del cielo in un suo proprio e particolare luogo, esiste veramente e per sempre” (VI.67.2-68.3). …ma non soltanto Platone “E tu, o filosofia, non il solo Platone, ma molti altri [Antistene...in quanto discepolo di Socrate, l’ateniese Senofonte, Cleante di Pedaso] ancora affrettati a presentarmi, i quali il solo che è veramente Dio hanno riconosciuto come tale per la Sua ispirazione se in qualche punto abbiano toccato la verità” (VI.71.1). A differenza di Giustino, come si vede, Clemente apprezza molto la filosofia. Riguardo ai poeti “Se infatti i Greci, che più degli altri hanno ricevuto qualche scintilla del Verbo divino, dissero queste poche cose della verità, rendono testimonianza alla sua forza che non è stata nascosta e accusano se stessi di debolezza, poiché non hanno conseguito lo scopo” (VII.74.7). Clemente VIII ha tolto Clemente dal martirologio (a causa delle dottrine sospette sull’influsso divino nei greci) e Benedetto XIV ha confermato. 3. ORIGENE Malgrado tutta la controversia attorno a lui, oggi non si trova niente che non riporti una sua influenza. Nato nel 185 ad Alessandria, fu segnato, da piccolo, dal martirio del padre (Leonide, decapitato durante la persecuzione di Settimio Severo). Voleva seguirlo, ma la madre gli nascose i vestiti. A diciotto anni si trovò a dover sostenere il peso della famiglia. Il Vescovo Demetrio gli assegnò (?) l’istruzione dei catecumeni. Durante la nuova persecuzione di Aquila, si trovò ad accompagnare i suoi discepoli al martirio. Per un certo tempo, fu discepolo – insieme a Plotino – di Ammonio Sacca, fondatore del neoplatonismo (ancora non sviluppato). Viveva una vita molto austera (un martirio spirituale) che lo spinse a pratiche ascetiche radicali (prendendo troppo alla lettera Mt 19,12, si volle rendere eunuco per il regno dei cieli e per questo fu deposto dal sacerdozio). Per il gran numero di discepoli, divise la sua scuola in due, affidando la scuola inferiore ad Eracla, suo studente. Viaggiò molto (era molto conosciuto già in vita): • Roma (Papa Zefirino) dove conobbe Ippolito • Giordania (invitato) • Cesaria di Palestina (dove predicò alla presenza del vescovo, cosa che fece arrabbiare il suo vescovo: allora solo i vescovi predicavano). Godeva grande stima dei vescovi siro-palestinesi. • Ad Antiochia, la madre dell’imperatore Alessandro Severo (222-235), Iulia Mamea, donna profondamente religiosa, lo invitò a parlare a corte. Nel 231 (a 46 anni) fu ordinato da Teoctisto di Cesarea con l’accordo di Alessandro di Gerusalemme, ma senza il permesso del suo vescovo Demetrio (e nonostante la sua evirazione). Al ritorno da Alessandria, Demetrio dichiarò invalido il suo stato sacerdotale e lo scomunicò. All’inizio fu privato dall’insegnamento, allontanato da Alessandria (in un primo sinodo) e poi deposto dal sacerdozio (in un secondo). Origene, allora, ritornò a Cesarea di Palestina (dove la censura di Alessandria non valeva). Là fondò una nuova scuola portando il patrimonio culturale di Alessandria. questa scuola divenne un fiorente centro di studi con una grande biblioteca (il suo più grande discepolo là fu San Gregorio Taumaturgo). Quando morì Demetrio, suo vescovo, fu eletto suo successore Aracla, discepolo di Origene, che però continuò a respingere il maestro. Durante la persecuzione di Decio (250-251), Origene fu arrestato e torturato, ma non rinnegò la fede. I Romani volevano la sua apostasia, non certo la sua morte che avrebbe portato effetti indesiderati. Uscì di prigione molto debilitato e morì dopo tre anni, nel 254 a Cesarea. Fino al XIII secolo la sua tomba era ancora visibile nella cattedrale di Kiev. In vita formò molti vescovi, santi e uomini molto famosi. Morì in comunione con la chiesa. le difficoltà vennero fuori solo dopo anni, soprattutto con gli origenisti. Ma i suoi primi discepoli erano uomini di grande valore. Agostino parla di scomuniche ingiuste e si chiede cosa si dovrebbe fare in questo caso. Si risponde: se la persona rimane fedele alla chiesa e soffre questa scomunica, non morirà fuori dalla Chiesa: Dio guarderà alla sua pazienza ed alla sua fedeltà. Le Opere Assieme ad Agostino è lo scrittore antico più prolifico. Moltissime sue opere, purtroppo, sono andate perse. Ci rimane qualche opera greca e alcune traduzioni latine. La maggior parte delle sue opere sono commenti alla bibbia. grande maestro dell’allegoria, seppe prendere sul serio anche la lettera: se fu condannato di allegorismo, è perché non si è tenuto conto del suo pensiero per intero. Hexapla Origene compose l’Espala (Hexapla), una versione critica di bibbia dell’AT (13 volumi). Essa è composta di sei colonne che riportano: (1) Il testo originale ebraico (2) Lo stesso testo traslitterato in caratteri greci (3) La traduzione greca di Aquila (4) Quella di Simmaco (5) La versione dei Settanta (6) Quella di Teodozione Ma perché tante traduzioni? La bibbia della comunità primitiva cristiana era la LXX (quella della comunità ebrea nella diaspora). Ma con il cristianesimo ci fu una controversia seria tra giudei cristiani e non. Anche tra i giudei c’era una teoria dell’ispirazione per la traduzione della LXX (Secondo Benedetto XVI è passo importante nella storia della rivelazione, [si può considerare quasi ispirata]). Ecco perché, accanto alla LXX si iniziarono a fare nuove traduzioni dall’ebraico. Secondo Origene ogni versetto ha un significato spirituale, ma non necessariamente uno letterale. Non che la parola non sia storica: quando si trova una cosa che non è degna di Dio, è un segno che Dio stesso ha messo nella scrittura per indicarci di abbandonare la lettera ed andare allo spirito. De Principiis (Περι. ς∆ρχων) È un primo saggio di riflessione teologica della storia. Una trattazione approfondita e sistematica di alcuni punti dogmatici fondamentali per fornire spiegazioni approfondite in accordo con la scrittura e per confutare dottrine errate. Dice più volte di voler essere fedele alla tradizione apostolica, senza cercare la novità. De Principiis: La tradizione ecclesiastica ed apostolica “Molti tuttavia di coloro che professano di credere in Cristo discordano non soltanto su questioni di poco conto, ma anche della massima importanza: cioè, su Dio, sul signore Gesù Cristo, sullo Spirito santo; e non soltanto su questi, ma anche su altre creature: cioè, sulle dominazioni e le beate potestà: sembra perciò necessario stabilire prima su questi singoli punti precisa distinzione e chiara regola, poi ricercare anche sugli altri punti. Come infatti sono tanti, presso i Greci e i barbari, che promettono verità, ma noi abbiamo smesso di cercarla presso coloro che l’affermavano con falsi insegnamenti dopo che abbiamo creduto che Cristo è il figlio di Dio e ci siamo convinti che da lui l’avremmo dovuta apprendere: così son molti che credono di comprendere la verità di Cristo e alcuni di loro sono in contrasto con gli altri, ma è in vigore l’insegnamento della chiesa tramandato dagli apostoli per ordine di successione e tuttora nelle chiese conservato: pertanto quella sola bisogna tenere per verità, che in nessun punto si discosti dalla tradizione ecclesiastica ed apostolica” (prefazione, 2). C’è qui un chiaro riferimento agli gnostici: per conoscere la verità è importante rimanere fedeli alla tradizione apostolica. Il testo riflette una teologia “in ricerca”, ai suoi inizi: si vede come egli non avesse in mano grandi certezze. Per questo, il suo modo di procedere è analizzare le diverse possibilità. La traduzione latina di Rufino ha migliorato qualche significato evitando, ad esempio, i subordinazionismi. Contra Celsum L’opera più importante in difesa del cristianesimo scritta in greco. Nel 178, Celso, uno scrittore pagano, scrisse Il vero logos, attaccando i cristiani andando direttamente alle scritture, che conosceva bene. Non fu facile confutarle (infatti ci vollero 75 anni e Origene per farlo). Contra Celsum (c.245-248): una confutazione del Vero Discorso di Celso (178AD). 4. LA TEOLOGIA DI ORIGENE Una teologia “in ricerca” Antropologia & Esegesi (tre sensi della Scrittura): Spirito (πνευµα) Anima (ψυχη) Nous (νους) Carne (σαρξ) Corpo (σωµα) dono di Dio (Mistico/ spirituale) sede del libero arbitrio (Morale/ psichico) ha la capacità di accogliere la grazia divina sede di istinti e passioni rivestimento dell’anima, segno della creaturalità (Letterale/ fisico) (da 1 Tessalonicesi 5:23) L’uomo è quindi immagine dell’Immagine di Dio. Agostino vuole evitare questo discorso, perché sa di subordinazionismo: l’uomo è immagine del Dio vero (Cristo). Comunque per Origene, l’essere immagine di Dio è un qualcosa che ci definisce, rimane per sempre. Si può oscurare o offuscare con il peccato, ma non distruggere. Questo è il fondamento della dignità dell’uomo valido e ripetuto da tutti i padri della Chiesa. Origene non distingue immagine e somiglianza come fa Ireneo. Preesistenza delle anime Per Origene ci sono due creazioni (secondo i due racconti di Genesi, che legge separatamente): nella prima Dio ha creato le anime, nella seconda i corpi che ricevono l’anima. Dopo la prima creazione le anime, stanno attorno al logos cantando le sue lodi. Dopo un certo tempo si annoiano, si girano e si staccano dal logos. Raffreddandosi nell’amore, cadono a diverse distanze: gli angeli, gli uomini (alcuni più sani, altri ciechi, sordi) e i demoni (siamo tutti gli stessi). Di chi è la colpa di tutto ciò? Non di Dio. Per Origene la colpa è dell’anima nella sua pre-esistenza. Così il bambino nasce malato per il suo comportamento prima della nascita. In questo modo, Origene sottolinea anche il libero arbitrio. Così anche la creazione del mondo si può vedere in due modi: al modo gnostico (come luogo negativo, di oppressione sotto la materia) o come atto misericordioso di Dio per ricevere le anime che cadono affinché possano ritornare al paradiso. Non c’è un progresso lineare – come per Ireneo – dall’immagine alla somiglianza: per Origene il processo è ciclico, l’obiettivo è il ritorno al paradiso. Ma se ci siamo annoiati una volta, perché non ci annoieremo quando ritorneremo a Dio? è un punto debole della sua teoria, che non sa evitare la ri-caduta, riincarnazione. 1. sazietà: “raffreddate” nell’amore 2. caduta 3. seconda creazione Purificazione escatologica ed apocatastasi = la restaurazione universale alla fine dei tempi Origene legge alla lettera 1Cor 5:23-28 («Dio sarà tutto in tutti») ed è convinto che tutto ciò che è creato, anche il demonio, ritornerà a Dio. l’inferno è una punizione temporale, dopo il quale si tornerà all’unità e l’armonia iniziali. Questa dottrina è stata condannata. Sant’Agostino sulla preesistenza delle anime secondo Origene “Dobbiamo forse ritornare all’errore già vinto e ripudiato: le anime, dopo aver peccato nella loro dimora celeste, scendono gradatamente e lentamente nei corpi da esse meritati e sono afflitte più o meno da malanni corporali secondo la vita condotta anteriormente?” (De peccatorum meritis et remissione et de baptismo parvulorum 1.22.31-33). Diavolo redento? No! Chiamato a spiegare questa dottrina, alla domanda se il diavolo sarà redento, Origene risponde che No, non si salverà, perché ha mutato la sua natura cristallizzando la sua decisione. (Cf. La Lettera agli amici alessandrini). Ritroviamo questa idea nel commento alla lettera ai Romani: L’impossibilità di salvezza per il demonio “Va tuttavia osservato che Paolo una volta dice ‘inciampare’ e ‘sbagliare’, una volta ‘cadere’: e pone un rimedio per l’inciampo o lo sbaglio, non recupera invece la situazione di quelli che sono caduti, quasi non ci sia in essa alcuna speranza. Dice infatti: ‘Hanno forse inciampato in modo da cadere? Certo no! Ma per il loro sbaglio ci fu la salvezza per i gentili’….l’apostolo nel passo presente, come sapendo che se fossero caduti non potrebbero assolutamente rialzarsi, nega per questo che siano caduti e li giustifica con forza dicendo: ‘Hanno forse inciampato in modo da cadere? No certo!’ A meno che l’apostolo in questo caso non giustifichi Israele e neghi che sia caduto riferendosi ad un altro tipo di caduta, quella probabilmente a proposto della quale il Signore e Salvatore nostro diceva: ‘Vedevo Satana cadere dal cielo come folgore’, ma anche quella di cui Isaia dice: ‘In che modo è caduto dal cielo Lucifero che sorgeva al mattino?’ Qui dunque Paolo nega che Israele sia caduto con una caduta di questo tipo. Di esso, infatti, almeno alla fine del mondo vi sarà il ritorno, allorquando sarà subentrata la pienezza delle nazioni e tutto Israele sarà salvato; di costui invece, di cui si dice che è caduto dal cielo, neppure alla fine del mondo vi sarà alcun ritorno.” (Commento ai Romani, VIII.9) Salvezza universale: una grande speranza I padri parlano della salvezza degli ebrei in termini di una caduta temporale. Von Balthasar ha scritto un libro (Che cosa possiamo sperare) in cui parla dell’apocatastasi: dovremmo sperare della salvezza di tutti gli uomini, ma non è una dottrina a livello canonico (al contrario, è stata condannata da un concilio). ma in che senso possiamo sperarci? La preghiera a Dio solo “A ben comprendere l’essenza della preghiera, non è lecito pregare nessuna delle creature e neppure Cristo, ma solamente Dio e Padre di tutto che anche il nostro Salvatore pregava, come abbiamo detto sopra, e che ci insegna a pregare. Avendo egli udito le parole ‘Insegnaci a pregare’, insegna a pregare non se stesso, ma il Padre, dicendo: ‘Padre Nostro che sei nei Cieli’ ecc.” (La preghiera 15.1). L’anima umana di Gesù è quella che è rimasta sempre fedele al Logos, e rimane il punto di contatto tra Esso e le altre anime. Nel testo sopra si ha un riferimento esplicito all’anima umana di Gesù. Comunque, speranza =/= certezza. Dopo Origene Dopo Origene, i suoi discepoli portano agli estremi alcune sue idee assolutizzandole • subordinazionismo trinitario: inferiorità del Figlio e dello Spirito Santo • preesistenza delle anime e delle loro inserzioni nei corpi • apocatastasi (compreso il demonio) • eccessivo allegorismo tutte queste idee hanno un’ispirazione remota nel De Principiis, ma perdono l’equilibrio presente nell’opera di Origene. Gregorio di Nissa insegnava l’apocatastasi, anche parlando della redenzione del diavolo “Ora, appunto, come coloro che subiscono la terapia del bisturi e del cauterio se la prendono con i medici per il dolore acuto provato nell’intervento operativo, ma se tutto questo procura loro la guarigione e la sofferenza della cauterizzazione scompare, allora avranno riconoscenza per chi li ha curati; allo stesso modo, una volta resa libera la natura nel lungo scorrere dei tempi dal male che ora è in essa intruso e congiunto, quando si sarà compiuto il ritorno alla condizione originaria di coloro che attualmente sono soggetti al male, da tutta quanta la creazione si leverà un canto unanime di ringraziamento, sia da parte di coloro che saranno puniti con questa purificazione e sia da parte di chi non avrà alcun bisogno di purificazione. “Questi e di tal genere sono gli insegnamenti che ci offre il grande mistero dell’incarnazione divina. Mediante il suo congiungimento con l’umanità, assumendo tutti i caratteri propri della natura umana, la nascita, il nutrimento e la crescita, fino alla prova della morte, Dio ha effettuato tutti quei benefici sopra menzionati, liberando l’uomo dalla malvagità e procurando guarigione allo stesso padre del vizio. E salvezza da una infermità la liberazione da una malattia, sia pur a costo di sofferenza” (Gregorio di Nissa, Oratio catechetica magna 26.8-9). Nel 5° Concilio Ecumenico del 553, convocato da Giustiniano contro la volontà del papa, Origene appare nella lista degli eretici. Ma nei documenti che Papa Virgilio approvò dopo la chiusura del concilio non si trova alcuna condanna ad Origene, ma solo ad alcune sue dottrine. La condanna ad Origene si trova solo nei documenti imperiali. • Origenisti isochristi: monaci palestinesi origenisti del IV-V secolo. Seguivano parte di Evagrio pontico estremizzando Origene. • Evagrio Pontico (ca. 345-399), uomo molto saggio ordinato a Costantinopoli che visse poi da eremita nel deserto • Kephalaia Gnostica di Evagrio Pontico Sezione 11: Lo sviluppo della teologia nell’Africa del Nord tra II e III secolo. Tertulliano & Cipriano. Prima Carola usava vedere lo sviluppo dell’oriente, nella scuola di Alessandria, e poi spostarsi a Cartagine. Ora, invece, vogliamo fare tutti i Pre-niceni, e poi, a Dio piacendo, i post-niceni. L’epoca d’oro è il IV secolo, Post-Nicea. Tutta la teologia patristica è teologia biblica, un esegesi. Ma a causa delle limitazioni del tempo, saltiamo la sezione sull’esegesi patristica. 1. TERTULLIANO Quintus Septimius Florens Tertullianus fu il primo scrittore cristiano di lingua latina, e il più interessante accanto ad Agostino. Nato intorno al 160 a Cartagine, si convertì al cristianesimo nel 197 grazie alla testimonianza dei martiri. Sua è la frase: “Il sangue è semente di cristiani!”, (Apologeticum 50.13). La persecuzione dei cristiani “Per contro a quelli si deve attribuire il nome di fazione, i quali, per suscitare l'odio contro persone buone e oneste cospirano, che contro il sangue d'innocenti gridano, a giustificazione del loro odio pretestando, invero, anche quella futile opinione, per cui stimano che per ogni publica calamità, per ogni disgrazia popolare siano in causa i Cristiani. Se il Tevere fino alle mura sale, se il Nilo fino ai campi non cresce, se il cielo si arresta, se la terra si scuote, se c'è la fame, la peste, subito 'I Cristiani al leone!' - si grida. Tanta gente a un solo leone?” (Apologeticum 40.1-2). Di ogni cosa che non va bene, sono colpevoli i cristiani. Agostino segue questa idea. In occasione del sacco di Roma del 410, i cristiani sono accusati dell’evento perché non adoravano le divinità civili, ed Agostino risponde con il De civitate Dei. Così anche nell’età moderna si sente dire che la religione è la colpa di tutti i mali (violenze, guerre…). Scrisse opere di dogmatica contro gli eretici. È interessante che parla degli spettacoli e ne fa una critica (lo stesso farà Agostino). Tertulliano parla anche – come aveva fatto Ireneo – dell’autorità delle chiese apostoliche e del ruolo della chiesa di Roma. L’autorità delle chiese apostoliche “Se dunque, tu che vuoi esercitare meglio la tua curiosità, vale a dire, la vuoi esercitare per metterla al servizio della tua salvezza, percorri le chiese apostoliche, nelle quali i seggi stessi degli apostoli presiedono ancora, al loro posto, nelle quali le stesse loro lettere, lettere autentiche, vengono recitate facendo risuonare la voce e rappresentando il volto di ciascuno apostolo. Vicino a te è l’Acaia: tu trovi Corinto. Se non sei lontano dalla Macedonia, hai Filippi; se puoi recarti in Asia, hai Efeso; se poi sei ai confini dell’Italia, hai Roma, donde giunge anche fino a noi l’autorità degli apostoli. Quanto è felice quella chiesa, alla quale gli apostoli profusero tutta la dottrina con il loro sangue, dove Pietro è pari al Signore nella passione, dove Paolo è incoronato della stessa morte di Giovanni il Battista, dove l’apostolo Giovanni, alcuni anni più tardi, viene gettato in un olio di fuoco: niente patì, viene relegato in un’isola. Guardiamo che cosa ha appreso, che cosa ha insegnato, quella chiesa: insieme alle chiese africane che sono unite a lei, essa conosce un solo Dio Signore, creatore dell’universo, e Gesù Cristo…” (De praescritione haereticorum 36.1-3). Si sente ancora l’eco della predicazione apostolica nelle chiese apostoliche. Nel testo si fa riferimento ad una leggenda su san Giovanni a porta latina dice che è stata fondata accanto ad una cappellina eretta dove Giovanni sarebbe stato immerso nell’olio bollente e vi sarebbe riemerso come da un bagno di acqua fresca. Dal 207, si avvicinò sempre più al rigorismo del montanismo fino a rompere definitivamente con la Chiesa cattolica nel 213. Rimproverava, infatti, alla chiesa un certo lassismo nei confronti della penitenza (la chiesa offriva la riconciliazione anche ad apostati e ad adulteri). Ciò comporta una rottura anche nella continuità del suo pensiero. Montano fu un profeta che si presentò in Frigia tra il 155 e il 160, insistendo di essere il portavoce dello Spirito Santo e che nella sua persona si sarebbe incarnato il Paraclito promesso. Il movimento si chiamava «la nuova profezia». Caratterizzato da un linguaggio spirituale di estasi e di entusiasmo, era un movimento carismatico negava ogni autorità ecclesiastica ed insisteva sull’autorità assoluta a Cristo ed allo Spirito Santo che parla a Montano e a due profetesse, Priscilla e Massimilla. Lo scopo era restaurare la situazione antica della Chiesa (parlare le lingue, una struttura rigorosa…). Tertulliano, entrato in questa setta, si dice avrebbe fondato una sua setta (i tertullianisti). Ma dopo il 220 non abbiamo alcuna sua notizia. Tre grandi questioni vengono dalla sua persona e dalla sua opera. 1) Il rifiuto della società e cultura romana (contro l’educazione romana e contro il servizio militare) 2) Il rifiuto della filosofia (malgrado egli stesso la usi; era un avvocato con una buona formazione) Atene e Gerusalemme “Che hanno in comune, dunque, Atene e Gerusalemme? che hanno in comune l’Accademia e la Chiesa? che hanno in comune gli eretici e i cristiani? La nostra disciplina viene dal portico di Salomone, che pure aveva insegnato doversi cercare Dio in semplicità di cuore. Ci pensino coloro che hanno inventato un cristianesimo stoico e platonico e dialettico. Non abbiamo bisogno della curiosità, dopo Gesù Cristo, né della ricerca dopo il Vangelo. Quando crediamo, non sentiamo il bisogno di credere in altro, giacché noi crediamo prima questo, non esserci motivo di dover credere in altro” (De praescritione haereticorum 7.9-10). Il suo atteggiamento si oppone totalmente alla scuola alessandrina. Dopo il vangelo non c’è più bisogno di filosofia. Si chiude in un fideismo che rifiuta ogni dialettica. 3) Il contributo allo sviluppo del latino cristiano. Fu lui il creatore del latino cristiano teologico (secondo Bosio ed altri studiosi ha coniato 982 neologismi latini). Non fu l’unico a lavorare in questo campo, ma fu il primo. San Cipriano lo apprezza molto, che leggeva molto le sue opere (quando ne voleva una, diceva semplicemente al segretario: «Da magistrum!», portami il maestro). Fa sorridere, perchè Cipriano è il teologo più forte nell’appoggiare il ruolo e l’autorità dei vescovi. 2. LA TEOLOGIA DI TERTULLIANO Trinità Tertulliano usa le parole • substantia, status, potestas per indicare l’unità e • gradus, formae species per indicare la distinzione. Cristologia Per la prima volta parla delle due nature non divise, ma congiunte, in una sola persona: «videmus duplicem statum, non confusum sed coniunctum in una persona, deum et hominem Iesum», ( Adversus Praxean 27.11). Questa sua intuizione viene dimenticata. Agostino, poi la riprenderà e attraverso Leone andrà al concilio di Calcedonia. Cantalamessa, patrologo, ha studiato molto questo argomento. Filosofia Nel suo disprezzo per la filosofia dice che i filosofi i patriarchi degli eretici che hanno rubato anche dall’AT, come diceva Giustino (probabilmente Tertulliano leggeva Giustino; ci deve essere un legame, soprattutto per ciò che riguarda i giudei). Ladroni! La antichissima tradizione sull’aborto. Contro l’aborto “Quanto a noi, essendoci l'omicidio una volta per tutte interdetto, anche la creatura concepita nel grembo, mentre tuttora il sangue le deriva a formare l'uomo, dissolvere non lice. È un omicidio affrettato impedire di nascere, né importa se una vita nata uno strappi, o mentre sta nascendo la dissipi. E' uomo anche chi è per diventarlo; anche ogni frutto già nel seme esiste.” (Apologeticum 9.8) La Seconda Penitenza La chiesa di Roma aveva già incontrato questo problema con le prime persecuzioni: cosa fare con i battezzati che hanno fatto peccati così gravi? È possibile per loro una sola penitenza (come è unico il battesimo). Senza minare il valore del battesimo, è possibile per loro riconciliarsi. De paenitentia (Opera cattolica) εξοµολο,γησις Nel De paenitentia, Tertulliano approva questa penitenza fatta una sola volta. Questa non dà più spazio al peccato (non c’è lassismo). Dopo la penitenza c’è la riconciliazione. Parla della chiesa come Ecclesia Christus. La seconda penitenza “Di questa penitenza seconda ed unica il procedimento è più rigoroso e la prova più laboriosa, perché non si tratti solamente di un fatto interiore della coscienza, ma si esplichi anche in qualche atto esteriore. Questa azione – con parola greca più espressiva e più usata – si chiama εvξοµολο,γησις [confessione]: con essa noi confessiamo il nostro pentimento al Signore, non già per il fatto che egli lo ignori, ma perché con la nostra confessione Egli riceve una soddisfazione; dalla confessione nasce il pentimento, e il pentimento placa Dio. L’esomologèsi è quella disciplina che prescrive all’uomo di umiliarsi e di prosternarsi, imponendo un regime di vita, che attiri la compassione a cominciare dallo stesso vestito e dal vitto: essa impone che il penitente si corichi sul sacco e nella cenere, che abbassi il corpo negli stracci e abbandoni l’anima alla tristezza, che sconti con un trattamento rude i peccati commessi. L’esomologèsi conosce soltanto per cibo e per bevanda cose semplici, in conformità al bene dell’anima, non al piacere del ventre. Impone di alimentare d’ordinario le preghiere con digiuni, di gemere, di piangere, di muggire giorno e notte al Signore Dio tuo, di prosternarsi ai piedi dei sacerdoti, d’inginocchiarsi davanti agli altari di Dio [le vedove], e incarica i fratelli d’intercedere per ottenere il perdono” (De paenitentia 9.1-4). Si tratta di una vita penitenziale severa (non si mangia né si veste bene, e si mangia soli, non si hanno rapporti sessuali con i coniugi), una vita ascetica. Questa umiliazione fa sorgere anche la compassione della Chiesa, che piange per il peccatore. Le sue lacrime ne sono il segno. Tutta la chiesa è chiamata a pregare (sacerdoti, vedove e altri cristiani). La chiesa di Cristo: quando tocchi il ginocchio del fratello davanti a te, tocchi Cristo stesso. Ecclesia Christus “Ecclesia Christus; ergo cum te ad fratrum genua protendis Christum contrectas, Christum exoras; aeque illi cum super te lacrimas agunt Christus patitur, Christus patrem deprecatur” (De paenitentia 10.6) È l’immagine di Cristo che piange davanti alla tomba di Lazzaro: così fa Cristo anche con le nostre morti. La preghiera della Chiesa sarà sempre esaudita perché è la preghiera di Cristo. e Cristo perdona. De pudicitia (Opera montanista) Passato al montanismo e al suo rigorismo, Tertulliano nega qualsiasi possibilità di riconciliazione dopo peccati gravi: adulterio e apostasia non sono perdonabili. Se Pietro ha ricevuto le chiavi per sciogliere e legare, questo era un dono personale, non c’è alcuna trasmissione istituzionale. È un dono carismatico che viene dato ad altri, ma non ai vescovi in sé. Oppure, c’è una possibilità teoretica, ma non dovrebbero utilizzarla. Adesso Tertulliano non parla più di Ecclesia Christus, ma di Ecclesia Spiritus. Riflessioni montaniste contro la remissione ecclesiastica dei peccati “Ed ora, poiché tu la pensi così, ti domando a che titolo tu ti arroghi questo diritto della Chiesa. Se il Signore ha detto a Pietro: Sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, ti darò le chiavi del regno dei cieli; o: tutto quello che avrai legato o sciolto sulla terra sarà legato o sciolto nei cieli, per questo presumi che il potere di sciogliere e di legare sia derivato anche a te, cioè ad ogni Chiesa che si congiunge a Pietro? Ma chi sei tu che capovolgi e falsi l’intenzione così lampante del Signore di conferirlo a Pietro personalmente: Sopra di te, egli dice, edificherò la mia Chiesa; darò a te le chiavi, non alla Chiesa. Tutto ciò che avrai sciolto o legato, non ciò che avranno sciolto o legato. (…) “Che cosa c’è dunque che si riferisca alla Chiesa, alla tua chiesa voglio dire, o psichico? Secondo la persona di Pietro questo potere apparterrà agli spirituali, all’apostolo o al profeta, giacché la Chiesa stessa è propriamente ed essenzialmente lo stesso Spirito nel quale è la Trinità di un’unica Divnità , il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Egli riunisce quella Chiesa che il Signore ha posto su tre. E quindi anche tutto il numero di quelli che partecipano di questa fede è dal Fondatore e Consacratore considerato Chiesa. E per questo appunto la Chiesa rimetterà i peccati; ma la Chiesa-Spirito, per mezzo di un uomo spirituale, non la Chiesa numero dei vescovi. Il potere sovrano infatti è del Signore, non del ministro; è di Dio stesso, non del sacerdote” (De pudicitia 21.9-10, 16-17). Insiste sul fatto che i verbi di Mt 16 sono al singolare: con la morte di Pietro, il dono finisce. Il dono carismatico, poi,viene dato a carismatici come Montano. La chiesa istituzionale, quindi, non può più perdonare. Non c’è più la chiesa di Cristo: È la chiesa dello spirito che perdona. Non ci vuole la gerarchia: la chiesa sono almeno tre persone che si radunano. Il Tertulliano montanista nega ciò che credeva da cattolico. C’è un divorzio totale tra l’elemento spirituale della chiesa e quello gerarchico. Solo con Agostino si arriverà alla riconciliazione dei due elementi: è solo Dio che rimette i peccati, non l’uomo; tuttavia, Dio perdona attraverso il suo ministro che Gesù ha stabilito perché sia strumento del suo perdono. Per Agostino, poi, Pietro è una figura della Chiesa, ne rappresenta l’unità. Le chiavi sono date in lui a tutta la Chiesa. Christus petrus, Petrus Ecclesia (Cristo è la roccia e Pietro – la roccia – è la chiesa). L’Ecclesia Christus realtà incarnata, gerarchica, corporale è ciò che nega con tutte le forze da montanista. L’ecclesia spiritus è molto più ambigua: tutto dipende dai doni carismatici che ricevono gli individui. Accettando la remissione dei peccati, Tertulliano accettava di parlare di Corpus Christi. Rifiutando la misericordia, e chiudendosi nel rigorismo, Tertulliano si estremizza sullo Spiritus. È interessante: Quale realtà umana veramente offre il perdono dei peccati? Solo la chiesa cattolica, quella istituzionale. Tuttavia, in tutto ciò, e con quest’insistenza sullo Spirito Santo Tertulliano ha l’occasione di sviluppare una pneumatologia profonda nell’adversus Praxean. 3. CIPRIANO San Cipriano vedeva Tertulliano come maestro. È ironico come Cipriano fosse un grande difensore dei vescovi, così avversati dal Magistrum. Caecilius Cyprianus Thascius nacque c. 210 a Cartagine. Si convertì intorno al 245, fu eletto sacerdote e poi vescovo nel 249 (solo quattro anni dopo il battesimo!). niente in paragone con sant’Ambrogio, eletto vescovo prima del suo battesimo. All’inizio soffrì l’opposizione di cinque preti cartaginesi, invidiosi della sua rapida ascesa. Decio nel 250 impose una supplicatio in tutto l’impero, richiedendo i certificati dei sacrifici operati. Iniziò così una persecuzione nel 250 e Cipriano – proscritto e confiscato dei suoi beni – lasciò Cartagine. Fuggi perché “Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un’altra” (Matteo 10:23). Disse di fuggire per la pace della comunità dei fedeli, per non eccitare i tumulti già scoppiati. Tuttavia non voleva lasciare il suo popolo senza pastore: già nel Roma, Gerusalemme ed Antiochia erano morti in carcere. In ogni caso, la sua fuga fu strumentalizzata contro di lui. La questione dei lapsi I cristiani davanti alla persecuzione si distinguevano in diversi livelli: a. Lapsi: sacrificati (che hanno operato sacrifici) o thurificati (che hanno dato incenso). b. Libellatici (per compromessi o amicizie hanno ottenuto un libellus – certificato di sacrificio – senza aver sacrificato). Per Cipriano è uno scandalo: gli altri non sanno che non hai sacrificato (vedi l’anziano di Macc). c. Stantes (fermi nella fede senza compromessi). d. Confessores (in carcere per la fede). e. Martyres (confessori che hanno dato la vita per testimoniare Cristo). La domanda è la solita: cosa facciamo con i lapsi? Chi rispondeva per il perdono. La chiesa d’Africa parlò subito di riconciliazione immediata. All’altro estremo c’era chi proponeva una penitenza senza fine. Cipriano, dall’esilio consigliò di aspettare: la questione si sarebbe risolta insieme in un concilio di vescovi. Intanto i peccatori iniziarono ad andare in carcere dai confessori che offrivano per loro la penitenza. Testimoniavano il tutto con dei Libelli pacis. È l’origine della pratica delle indulgenze: applicare le sofferenze degli innocenti ai peccatori che hanno bisogno di punizioni temporali per peccati già rimessi. Tuttavia la pratica fu subito abusata fino a che si creò uno scisma (guidato dal sacerdote Felicissimo). Cipriano intanto faceva fare una penitenza media con la possibilità di riconciliazione. Dopo questo periodo Cipriano morirà in una nuova persecuzione, ma prima della persecuzione affrettò la riconciliazione per dare l’eucaristia ai lapsi perché avessero forza per sopportare la nuova persecuzione. Fu così che molti lapsi divennero martiri nella seconda persecuzione. Il concilio di Cartagine nel 251 (Cipriano morirà nel 257) permette una riconciliazione dei libellatici. Ai lapsi si proponeva una lunga penitenza, che si poteva terminare subito con la riconciliazione in caso di morte o malattia grave. Testimonianza di questo lassismo è la lettera di Cipriano a un gruppo di lapsi che si dicevano chiesa: I laici e la Chiesa “La chiesa riposa sui vescovi e ogni suo atto è governato dagli stessi capi. Essendo così stabilito per legge divina, mi meraviglia l’audacia e la temerarietà di alcuni che mi hanno scritto a nome della chiesa, mentre la chiesa è fondata sui vescovi, sul clero e su quelli che sono rimasti fedeli (stantes). Dio ci guardi e la misericordia divina e la potenza invincibile del Signore non permetta che si chiami chiesa un gruppo di lapsi, dal momento che sta scritto che ‘Dio non è il Dio dei morti, ma dei viventi’” (Epistula 33.1). La controversia battesimale a. Papa Stefano: l’efficacia santificatrice del sacramento b. Cipriano: la santità soggettiva del ministro A Roma, gli eretici che tornavano in comunione con la Chiesa erano riaccolti con l’imposizione delle mani. La grazia del sacramento è data a prescindere. Stefano I, il papa, sosteneva questa teoria: ex opere operato. A Roma, oltretutto si professava il simbolo apostolico “professo un solo battesimo …”. Cipriano, invece dice che la grazia del sacramento dipende dallo stato di comunione e di grazia di chi lo impartisce. Cipriano segue la corrente nord-africana di Tertulliano. Sua è la frase: extra ecclesiam nulla salus. Gli eretici, quindi, venivano riaccolti con un nuovo battesimo (non un ribattesimo). La controversia battesimale, però, finì con la morte di Stefano e Cipriano, l’una a distanza dall’altra. Durante la persecuzione di Valeriano a. Stefano morì il 2.VIII.257 b. Cipriano morì il 14.IX.258 Parla dei cristiani quando dice: “Habere non potest Deum patrem qui ecclesiam non habet matrem” (De cath. eccl. unit. 6) “Salus extra ecclesiam non est,” (Ep. 73.21). È un affermazione forte anche quella sulla comunione del vescovo con la Chiesa: “Scire debes episcopum in ecclesia esse et ecclesiam in episcopo, et si quis in episcopo non sit in ecclesia non esse” (Ep. 66.8). È interessante anche studiare il De catholicae ecclesiae unitate, che Cipriano modificherà proprio per la controversia che ebbe con Stefano I. Sant’Atanasio 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Nato ad Alessandria nel 295 circa. Diacono di Alessandro a Nicea Consacrato vescovo l’ 8. VI. 328 Difficoltà con lo scisma meliziano e con gli ariani Costantino ed Ario Cinque (5) esili: più di 17 anni in esilio • 1° 7. XI. 335 – 23. XI. 337 a Treviri (dove conosce la chiesa occidentale, molto favorevole con lui). L’imperatore Costantino • 2° 18. III. 339 – 21. X. 346 a Roma (viene sfortunatamente associato a Marcello di Ancira) Al ritorno, l’imp. = Costante • 3° 8. II. 356 – 24. II. 362 dai monaci (condannato con Marcello dai due sinodi). I monaci erano grandi sostenitori di Atanasio. In questo esilio Atanasio conosce sant’Antonio. L’imp. = Costanzo (ariano) con la sua morte e con il fallimento dell’anti-vescovo, ritorna sotto Giuliano l’apostata. • 4° 24. X. 362 – c. 26. VI. 363 L’imp. = Giuliano l’Apostata. Questi pensava che la maniera di distruggere il cristianesimo era quella di far tornare tutti gli esiliati alle loro case (i donatisti tronao in Nord-Africa, Ilario e Atanasio alle loro sedi vescovili).21 Ma quando Giuliano vide che l’effetto del ritorno di Atanasio era contrario a ciò che si aspettava, lo rimandò in esilio. dopo, Gioviano • 5° 5. X. 365 – 1. II. 366 L’imp. = Valente Morì (età di 78) il 2. V. 373 1. LE OPERE DI SANT’ATANASIO Una vita sempre in lotta per la difesa della fede di Nicea. I suoi scritti sono incentrati sulla questione nicena. Lettera Pasquale Degna di nota è la Lettera Pasquale # 39 (367AD). In essa troviamo per la prima volta l’elenco completo del canone neotestamentario (solo 167 anni dopo il canone muratoriano, cui mancavano 5 libri). Vita Antonii (357 AD) È un capolavoro. Il più letto prima delle Confessiones di Agostino. È il più importante documento del monachesimo primitivo. Antonio (356) è un modello di vita consacrata al servizio di Dio. 21 Ammiano Marcellino (C. 330 – dopo 390), pagano di Antiochia, l’ultimo grande storico del mondo antico, testimonia il progetto di Giuliano. “Sebbene poi Giuliano fin dalla puerizia fosse inclinato all’idolatria, e col crescere dell’età se ne fosse sempre più acceso, nondimeno, da molte cagioni infrenato, avea sempre tenuto occultassimo quanto egli in questo proposito meditava. Ma quando, tolto di mezzo tutto ciò che gli dava timore, vide ch’era venuto il tempo da poter compiere a suo senno quanto eragli in grado, fece palesi gli arcani del proprio petto, e con chiari ed assoluti decreti ordinò che si aprissero i templi, e si guidassero all’are le vittime pel culto dei Numi. E per invigorire l’effetto di queste sue disposizioni, chiamando nel proprio palazzo i capi dei Cristiani discordi fra loro a la plebe divisa con essi in fazioni, ammonivali tutti, che, lascite le civili discordie, ciascheduno sicuramente servisse alla proprio religione, né altri potesse impedirlo. Nel che si portava tanto più fermamente, affinchè moltiplicandosi colla licenza le dissensioni, non avesse egli poi più da temere la conordia della plebe: conoscendo per esperienza non esservi belve tanto infeste agli uomini, quanto i più de’ Cristiani sono esiziali a sé stessi” (Res Gestae XXII.5.1-4). Rivela la vita monastica come martirio, il monaco come il successore dei martiri, la vita ascetica come la lotta spirituale contro il diavolo. Si deve tenere conto che in questo periodo si registrano conversioni in massa: conveniva allora condividere la fede dell’imperatore. Sant’Antonio, dopo aver sentito il vangelo del giovane ricco, non andò subito nel deserto, ma visse nella periferia del villaggio con un altro. La cosa originale è che poi andò nel deserto, sempre più profondamente (perché attirava molti discepoli). Il Signore lotta in Antonio conto il diavolo 8.52.1 “Lo aiutava il Signore che si rivestì di carne per noi, e che concesse al corpo la vittoria contro il diavolo; sicché ciascuno di quelli che sostennero una simile lotta poteva dire con l’Apostolo: ‘Non io, ma la grazia di Dio che è con me.” (La Vita di Antonio 5.7). 8.52.2“Questa fu la prima lotta di Antonio contro il diavolo; o per meglio dire, la lotta del Salvatore, che compì ciò in Antonio.” (La Vita di Antonio 7.1). Avevamo trovato quasi le stesse parole nei racconti delle lotte dei martiri. Ora non ci sono più i leoni e le fiere. Ma il diavolo è rappresentato dagli stessi simboli: Le bestie diaboliche “E subito il luogo [nelle tombe] si riempì di immagini di leoni e di orsi, di leopardi, serpenti, tori, aspidi, scorpioni e lupi.” (La Vita di Antonio 9.6). La vita monastica fa belli! L’ascetismo e l’umanità ideale 8.54.1 “Passò in tal maniera circa vent’anni, conducendo da solo questa vita ascetica, senza allontanarsi di là e senza essere veduto da alcuno se non raramente. Poi, molti, tormentati da malattie, venivano a farsi curare, altri desideravano di imitare la vita ascetica di Antonio, altri suoi conoscenti si recarono al castello, e forzato l’ingresso, entrarono. Si fece loro innanzi Antonio, come un iniziato ai misteri che esce dal sacro recesso, ispirato da Dio. Allora per la prima volta lo videro fuori dal castello quelli che erano andati da lui. Si meravigliarono al vedere che le sue condizioni fisiche erano sempre le stesse, non impinguato per la mancanza di moto, né dimagrito dai digiuni e dalle lotte con i demoni: era come l’avevano visto prima che si chiudesse nel suo ritiro.” (La Vita di Antonio 14.1-3). Nella vita monastica, il diavolo inganna l’uomo come angelo di luce, ingannandolo con desideri buoni (ad esempio quello di non dormire). L’angelo di luce “ ‘Sono astuti’ e pronti a trasfigurarsi. Talvolta, infatti, salmodiano cantando. Fingono di cantare senza essere visibili e citano i detti delle Scritture. Accade che quando noi leggiamo essi producono quasi un suono, come se leggessero ciò che noi stiamo leggendo; e mentre dormiamo ci spingono a pregare, e fanno ciò continuamente senza quasi permetterci di dormire. Spesso si trasformano in eremiti, e sembrano parlare come persone devote e timorate, per sedurre con un aspetto simile al nostro e trascinare dove vogliono coloro che hanno sedotto. Ma non bisogna prestar loro attenzione, neanche se tentano di persuadervi a non mangiare o se vi rimproverano per cose delle quali furono una volta, con noi, unici testimoni. Non fanno questo per amore della religione e della verità, ma piuttosto mirano a far cadere i semplici e a rendere senza profitto l’ascesi. Essi vogliono produrre negli uomini una nausea, affinché reputino troppo grave la vita solitaria e vengano impediti di vivere combattendo i demoni.” (La Vita di Antonio 25.1-5) Il discernimento degli spiriti “Con l’aiuto del Signore, è possibile imparare a distinguere l’avvicinarsi degli esseri buoni e dei malvagi”, (La Vita di Antonio 35.4). Antonio fu per il luogo dove viveva un sostegno straordinario. Il ministero di consolazione “In una parola, Dio l’aveva dato come medico all’Egitto. Chi andò una volta da lui, e non tornò lieto? Chi andò da lui piangendo i suoi morti, e non dimenticò subito il lutto? Chi andò irato, e non si volse subito all’amicizia? Chi scoraggiato dalla povertà, ascoltandolo e vedendolo, non disprezzò le ricchezze, e non ricevette consolazione dalla povertà? Quale eremita titubante andò da lui senza essere fortificato contro le difficoltà? Quale giovane andò sul monte da lui, e vedendo Antonio non si inaridirono subito nel suo cuore i piaceri lascivi, e non amò subito la pudicizia? Chi, tormentato dal demonio, andò da lui, e non riacquistò la speranza? Chi andò da lui soffrendo la inquietudine dei pensieri, e non tornò con la menta serena?” (La Vita di Antonio 87.3-6). 2. LA TEOLOGIA DI SANT’ATANASIO Cristianesimo tradizionale contro l’ellenizzazione Trinità • οµοιος κατ vvουvσι,αν =/= εϖκ τη/ς ουϖσι,ας • Lo Spirito Santo = οµοου,σιος Soteriologia Soteriologia come divinizzazione (θεοποιηθωµεν): Il Figlio dev’essere Dio! Cristologia: • • • λογος − σαρξ Ario ed Apollinare Atanasio Origene Il problema con Atanasio è la mancanza di un riferimento esplicito all’anima umana (non la negazione, fatta dagli apollinaristi). Mariologia Maria = θεοτοκος Colonna della Chiesa nella sua difesa della dottrina nicena. Sezione 10 La riflessione dei Cappadoci nelle controversie trinitarie e cristologiche del IV secolo: Basilio, Gregorio di Nazianzo, Gregorio di Nissa Gregorio di Nazianzo, suo fratello minore Basilio e il compagno di studi di quest’ultimo, Gregorio di Nissa. Vengono da famiglie cristiane (con santi: Gregorio taumaturgo, discepolo di Origene, fu il padre spirituale della nonna materna dei fratelli Basilio e Gregorio; santi erano anche il padre e la madre, una sorella, un altro fratello vescovo; anche i partenti di Gregorio di Nissa). Nessuno dei tre aveva ambizioni ecclesiastiche (né tantomeno civili): desideravano una vita solitaria invece furono chiamati ad essere vescovi. Furono grandi organizzatori, teologi e retori e mistici. 1. BASILIO IL GRANDE 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. nato nel 329/ 330 AD studiò a Costantinopoli ed Atene si ritirò a vita monastica ad Annisi, sulle rive del fiume Iris, nella provincia del Ponto Scrisse Due Regole (monastiche) in cui cerca un delicato equilibrio (si legge una valutazione meno negativa del corpo) La Philokalia (antologia delle opere di Origene, influenza attraverso la santa nonna) Ordinato sacerdote nel 364, abbandonò la vita monastica. Tra i monaci del deserto l’ordinazione era visto come un tradimento della vita monastica: voleva dire un lavoro apostolico che non lasciava tempo per la vita contemplativa. Come sacerdote cercò di riconciliare le chiese neo-ariane con Roma. Le chiese orientali erano divise tra loro e con Roma. Scrisse al papa chiedendo aiuto e una visita in Asia minore. Vescovo di Cesarea e metropolita della provincia ecclesiastica di Cappadocia (nel 370) Difficoltà con l’Imperatore Valente (ariano), che, irritato dai successi di Basilio, tentò di deporlo dalla sua sede episcopale. Conseguenza: nel 372 Valente divise della provincia di Cappadocia diminuì la giurisdizione e l’influsso di Basilio in quella regione. In risposta Basilio aumentò le sedi episcopali nella sua provincia e ad ordinare vescovi i suoi parenti e amici cosicché aumentassero i vescovi di fede nicena nel territorio. Alla fine, Basilio non poté vedere la vittoria sugli ariani: i suoi sforzi ebbero frutto dopo la sua morte, con l’ascesa al trono di Teodosio, imperatore cristiano di fede ortodossa. Morto il 1 gennaio, 379. (Valente era morto nell’agosto del 378, a lui era successo il 19 gennaio del 379 l’imperatore Teodosio, cristiano). Amicizia con Sant’Atanasio µια ουϖσια, τρεις υποστασεις Lo Spirito Santo =/= esplicitamente Dio. Una certa oikonomia Nel De spirito sancto 29.71-75, Argumentum Patristicum (La prova dei Padri) Le sue opere dogmatiche sono anti-ariane. Lavora per la riconciliazione dei semi-ariani e riesce a formulare un linguaggio chiaro e comune per la Trinità: Ousia è la parola per l’unità, upostaseis per la distinzione. Nella teologia dello Spirito Santo non dice mai esplicitamente e direttamente che è Dio. Ne parla con tutti titoli divini (creatore, adorato…). Nozioni sullo Spirito Santo “Esaminiano ora le nozioni correnti che abbiamo intorno allo Spirito Santo, sia quelle raccolte dalle Scritture, sia quelle che ci furono trasmesse dalla tradizione non scritta dei Padri. E prima di tutto, chi, udendo i nomi dati allo Spirito Santo, non si sente l’anima sollevata e non innalza il suo pensiero verso la natura suprema? Lo Spirito Santo è chiamato Spirito di Dio, Spirito di verità che procede dal Padre, Spirito retto, Spirito che giuda. Il suo nome più appropriato è Spirito Santo, perché questo nome indica l’essere più incorporale, più immateriale e più esente da composizione. Perciò il Signore, alla Samaritana persuasa che si dovesse adorare Dio in un luogo, insegnò che l’incorporeo non può essere chiuso da limiti, e disse: Dio è spirito (Gv. 4,24). Quindi chi sente dire ‘Spirito’ non può figurarsi una natura limitata, sottoposta a mutamenti e variazioni, oppure simile in tutto a cosa creata. Colui che si spinge col pensiero fino a ciò che vi è di più sublime, necessariamente dovrà figurarsi un Essere intelligente, infinito in potenza, illimitato in grandezza, non misurabile con i tempi e con i secoli, generoso dei suoi beni. “A lui si rivolgono tutti quelli che hanno bisogno di santificazione; lui desiderano coloro che vivono secondo virtù, perché irrorati dal suo effluvio, sono aiutati a giungere al loro proprio fine naturale. Egli perfeziona gli altri e di nulla ha bisogno: non vive perché riceve da altri, ma distribuisce lui stesso la vita. Non riceve accrescimento, perché è perfetto già dal principio, stabile in se stesso, presente dappertutto. Sorgente di santificazione, luce intelligibile, egli fornisce da se stesso ad ogni facoltà razionale l’illuminazione necessaria per la ricerca della verità. Inaccessibile per natura, si lascia comprendere per sua bontà. Riempie tutto con la sua potenza, ma si comunica soltanto a coloro che ne sono degni, e non nella stessa misura, ma proporzionando la sua azione alla fede di ciascuno. Semplice nella sostanza, vario nelle sue potenze, tutto intero in ciascuno e tutto intero dappertutto: si divide e non subisce diminuzione, si partecipa a tutti e rimane integro, come accade alla luce del sole: ne gode ciascuno, come se fosse solo; e tuttavia essa illumina la terra e il mare e si mescola all’aria. Così fa lo Spirito con coloro che sono in grado di riceverlo; è presente a ciascuno come se fosse solo, e infonde in tutti la grazia sufficiente. Di lui ciascuno gode quanto ne è capace, non quanto lo Spirito può donare,” (De Spiritu Sancto 9.22). In un certo senso cerca di evitare tutte le controversie intorno al Figlio (Dio da Dio, omousios con il Padre). Gregorio di Nazianzo, infatti, ci testimonia la prudenza di Basilio e insieme la rettitudine della fede spiegando l’arcano: La riservatezza ortodossa di Basilio per quanto concerne lo Spirito Santo “Che poi egli conoscesse meglio d’ogni altro la divinità dello Spirito, risulta chiaro dalle frequenti dichiarazioni ch’egli fece in pubblico al riguardo, quando lo consentiva l’opportunità, e dall’esplicito riconoscimento che ne faceva in privato a coloro che lo interrogavano; più chiaro ancora l’ha reso nei suoi colloqui con me, col quale non aveva segreti nelle conversazioni sull’argomento, senza limitarsi ad una dichiarazione pura e semplice, ma—ciò che prima non gli era accaduto di fare frequentemente—imprecando su di sé la cosa più tremenda, d’essere, cioè, respinto dallo Spirito, s’egli non venerava lo Spirito insieme col Padre e col Figlio, come dotati della stessa sostanza e dello stesso onore. E se si vuol consentirmi di mettermi insieme con lui anche in cose di questa natura, rivelerò un particolare finora ignorato dai più: che allora, cioè, che il momento ci poneva in una situazione difficile, egli assegnò a se stesso la parte del prudente riserbo, ed a noi, invece, quella di parlare con piena franchezza, poiché noi nessuno pensava di processare o di scacciar dalla patria, rispettati come eravamo per il fatto stesso d’essere oscuri, così che per mezzo d’entrambi s’afforzasse il nostro evangelo. “Ho ricordato queste cose, non per difendere il suo nome—chè superiore ai detrattori, se pure ve ne sono, è quest’uomo—ma perché non accada che qualcuno, predendo come regola di pietà certe espressioni isolate che si trovano negli scritti di lui, ne derivi un indebolimento della sua fede, e porti a sostegno della sua malvagità quella teologia che a Basilio consigliavano il particolare momento e lo Spirito: ma piuttosto, indagando il vero significato degli altri scritti e lo scopo con cui scriveva queste cose, sia tratto di più verso la verità a chiuda agli empi la bocca. Quanto a me, possa io avere, e così chiunque m’è caro, la teologia di Basilio! E sono tanto sicuro della purezza della sua fede in questa cose, che non esito a farla mia con tutte le altre: s’ascrivano a lui le mie cose, ed a me le sue, innanzi a Dio ed ai più saggi fra gli uomini! Certo noi non diremo che gli Evangelisti si contraddicono tra loro, per il fatto che alcuni si sono di più intrattenuti sull’umanità di Cristo, altri si sono innalzati alla considerazione della sua divinità; gli uni hanno cominciato da ciò ch’è a nostro livello, gli altri da ciò ch’è al di sopra di noi: gli è che così essi s’erano divisa la predicazione, secondo l’utile—credo—di quelli che la ricevevano, e così li aveva improntati lo Spirito ch’era in loro” (Elogio funebre di Basilio, 69). Un’altra testimonianza di ciò è l’Argumentum Patristicum (il riferimento al comune insegnamento dei Padri riguardo ad una cosa per dimostrarla). Si indicava la divinità dello Spirito santo usando la parola “con” nelle dossologie: lo Spirito è adorato con il Padre e il Figlio. L’idea del consensus patrum, da Cirillo e Basilio arriverà al concilio di Trento che dichiarerà: «non si può leggere la scrittura contro il consensum patrum». Basilio e la parola con nelle dossologie: Testimonianze dei Padri “A coloro che dicono che la dossologia con lo Spirito non è attestata nella Scrittura, diciamo questo: se non si accetta nessun’altra cosa non attestata nella Scrittura, non si accetti neppure questa: se però la maggior parte delle celebrazioni dei misteri hanno per noi diritto di cittadinanza insieme a molte altre cose che pur non sono nella Scrittura, allora ammettiamo anche questa. Io credo che sia un criterio apostolico attenersi anche alle tradizioni non scritte: ‘Vi lodo—dice infatti l’Apostolo—perché in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse’; e ancora: ‘Mantenete le tradizioni che avete apprese sia dalla nostra parola sia dalla nostra lettera’. “Una di queste tradizioni è anche questa dossologia che è stata trasmessa ai successori da coloro che l’hanno inizialmente istituita: si ne è diffuso l’uso sempre più nel tempo, e per lunga consuetudine si è radicata nelle Chiese. E allora, se come nel tribunale, mancando di prove scritte, vi presentassimo una folla di testimoni, non otterremmo da voi un voto di remissione? “Io credo che ‘ogni parola sarà stabilita sulla bocca di due o tre testimoni’; e se vi dimostriamo chiaramente che abbiamo dalla nostra parte un lungo tempo, non vi sembra naturale che diciamo che questo processo non è imputabile a noi? Le dottrine antiche infatti ingenerano emozione, come quelle che hanno la venerabilità di un’altra antichità. Vi enumererò dunque i difensori di questa parola con e si potrà misurare bene il tempo anche da ciò che passeremo sotto silenzio. Non siamo stati noi a lanciare per primi quell’espressione: e come avremmo potuto? Noi siamo solo di ieri, secondo la parola di Giobbe, di fronte a tanto tempo quale è quello che accompagna quest’usanza. “Io stesso, se devo dire la mia testimonianza, custodisco questa parola come una sorta di eredità paterna, avendola ricevuta da un uomo che è vissuto a lungo nel servizio di Dio, dal quale sono stato anche battezzato e introdotto al servizio della Chiesa [Basilio accenna a Dianio, vescovo di Cesarea]. “Cercando, da parte mia, se qualcuno degli antichi santi uomini ha usato queste parole ora controverse, ne trovai molti degni di fede anche per la loro antichità e che, per la profondità della loro scienza, non sono come quelli di ora. Alcuni di loro per unire i termini della dossologia hanno usato la preposizione, altri la congiunzione, e hanno giudicato che ciò non facesse differenza alcuna nei confronti di una retta nozione della pietà” (Basilio, De Spiritu Sancto 29.71). Anche Vincenzo di Lerino insiste sull’importanza del consensum patrum: senza la guida dei padri, nascono molto più facilmente eresie. La fede della Chiesa è attestata in ciò che è insegnato da tutti, da per tutto e da sempre. Vincenzo di Lerino: Legittimità del Ricorso ai Padri “A questo punto penso sia giunto il momento di ricapitolare, alla fine di questo secondo Commonitorio, tutto ciò che è stato trattato nei due Commonitori. Nel primo ho detto che i cattolici hanno avuto sempre la consuetudine, come l’hanno tuttora, di determinare la vera fede in due modi: con l’autorità della Scrittura divina e con la tradizione della Chiesa Cattolica. Non che la Scrittura da sola non sia sufficiente in ogni caso, ma perché molti, interpretando a loro piacere le parole divine, finiscono con l’inventare una quantità incredibile di dottrine erronee. Per questo motivo è necessario che l’esegesi della Scrittura divina sia guidata dall’unica regola del senso ecclesiastico, specialmente in quelle questioni che toccano le fondamenta di tutto il dogma cattolico. “Ho parimenti affermato che nella stessa Chiesa bisogna tener conto dell’universalità e dell’antichità, affinché non ci accada di staccarci dall’unità del tutto e di finire, disgregati, nel frammentarismo particolaristico dello scisma, o di precipitare dalla fede antica in novtià eretiche. “Ho detto, inoltre, riguardo all’antichità, che bisogna a tutti i costi tener presente due cose e a esse aderire profondamente se non si vuole diventare eretici: primo, vedere se anticamente c’è stato qualche decreto da parte di tutti i vescovi della Chiesa Cattolica, emanato sotto l’autorità di un concilio universale; quindi, nel caso che sorga una questione nuova intorno alla quale nulla si trovi che sia stato definito, ricorrere alle sentenze dei Padri, a quelli soli però che, per aver dimorato nei loro tempi e nei loro luoghi nell’unità della comunione della fede, sono divenuti maestri approvati. Tutto ciò che si trova che essi hanno ritenuto senza timore alcuno come espressione della vera fede cattolica” (Vincenzo di Lerino, Commonitorio 29). 2. GREGORIO DI NISSA 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. Nato tra 335-340 Sposato: moglie = Teosebeia? Nel 371 fu creato vescovo di Nissa (dal fratello – vedi sopra – che rimase deluso dalla sua incapacità di amministrare: era un uomo contemplativo) In esilio dal concilio ariano (che aveva presieduto) nel 375/376 al 378 (morte dell’Imperatore Valente). Nel 380, eletto vescovo di Sebaste Partecipò al Concilio di Costantinopoli (381AD) Teodosio, Pulcheria e Flaccilla. Morto dopo 394. Oratio catechetica magna De vita Moysis (primo libro pubblicato da Source Chretienne, dove Danielou ha sottolineato la sua vicinanza alla filosofia moderna). La filosofia e la rivelazione “Per esempio, anche la filosofia profana afferma che l’anima è immortale, e questo è un figlio buono; ma farla passare da un corpo all’altro e trasformarla da natura razionale in irrazionale, questa è in circoncisione, carnale e straniera. E si possono addurre molti esempi di tal genere. La filosofia profana afferma che c’è Dio, ma lo crede anche materiale; ammette ch’è creatore, ma bisognoso della materia per poter creare; concede ch’è buono e potente, ma lo fa cedere in molti casi alla necessità del fato.” (La Vita di Mosè II.40). Escatologia: αϖποκαταστασις. Riguardo all'apocatastasi, Gregorio riprende la dottrina origeniana: 11. “Ora, appunto, come coloro che subiscono la terapia del bisturi e del cauterio se la prendono con i medici per il dolore acuto provato nell’intervento operativo, ma se tutto questo procura loro la guarigione e la sofferenza della cauterizzazione scompare, allora avranno riconoscenza per chi li ha curati; allo stesso modo, una volta resa libera la natura nel lungo scorrere dei tempi dal male che ora è in essa intruso e congiunto, quando si sarà compiuto il ritorno alla condizione originaria di coloro che attualmente sono soggetti al male, da tutta quanta la creazione si leverà un canto unanime di ringraziamento, sia da parte di coloro che saranno puniti con questa purificazione e sia da parte di chi non avrà alcun bisogno di purificazione. “Questi e di tal genere sono gli insegnamenti che ci offre il grande mistero dell’incarnazione divina. Mediante il suo congiungimento con l’umanità, assumendo tutti i caratteri propri della natura umana, la nascita, il nutrimento e la crescita, fino alla prova della morte, Dio ha effettuato tutti quei benefici sopra menzionati, liberando l’uomo dalla malvagità e procurando guarigione allo stesso padre del vizio. E salvezza da una infermità la liberazione da una malattia, sia pur a costo di sofferenza” (Oratio catechetica magna 26.8-9). “Quanto poi al fatto che dopo aver sofferto tre giorni nell’oscurità anche gli Egiziani tornano a godere della luce, forse uno, prendendo spunto da qui, spingerà il pensiero all’apocatastasi che dopo queste vicende attende nel regno dei cieli quanti sono stati condannati all’inferno. Infatti, come dice il racconto, quelle tenebre palpabili hanno stretta affinità, nell’espressione e nel concetto, con le tenebre esteriori. E l’una e l’altra si dissolvono quando Mosè, così come noi l’abbiamo sopra interpretato, distende le mani per color che sono nelle tenebre.” (La Vita di Mosè II.82.) Un altro tema di quelli già visti è quello della verginità perpetua di Maria: La verginità perpetua di Maria: in partu “Da ciò apprendiamo anche il mistero che riguarda la vergine, perché la luce della divinità, che da lei risplendette alla vita umana grazie al suo parto, ha custodito incorrotto il cespuglio ardente, in quanto il fiore della verginità non si è appassito per il parto.” (La Vita di Mosè II.21). 3. GREGORIO DI NAZIANZO Nato 329/330, suo padre era il vescovo di Nazianzo. Ha studiato a Cesarea di Palestina (dove aveva insegnato Origene), Alessandria ed Atene Battezzato c. 358 Con Basilio ad Annisi sull’Iris nella provincia di Ponto: la sua vita sarà un continuo fuggire a vita monastica dai molti incarichi che gli verranno dati. Nel 361/362, ordinato sacerdote (dal padre). Parlerà della sua vita come una seri di violenze fatte contro la sua volontà. In quell’epoca non c’era il discorso della nullità bastava l’imposizione delle mani. Non voleva essere prete perché lo distoglieva dalla contemplazione. Subito dopo l’ordinazione scappò di nuovo da Basilio e vi stette un’anno. Tornato, pronunciò un oratio (il cosiddetto de Fuga) in cui spiegava i motivi della sua fuga. È un testo fondamentale della patristica che ha ispirato alla base l’opera di san Giovanni crisostomo sul sacerdozio (organizza i suoi pensieri sul modello del de Fuga) e il termine di paragone di Gregorio Magno per quello che sarà il manuale di formazione presbiterale per tutto il medioevo. Nel 371, fu consacrato vescovo di Sasima (un villaggio miserabile) da Basilio, che voleva aumentare il numero dei vescovi cattolici (vedi sopra). Non vi andò mai e restò ad aiutare il padre fino alla morte. Fuggì a Seleucia in Isauria. Dopo la morte dell’imperatore ariano, andò con la comunità nicena a Costantinopoli; la cappella Αναστασι. Predicò cinque discorsi teologici fondamentali per la cristologia (gli meritarono il titolo di “Teologo” tra gli orientali). Tra gli ascoltatori c’era Girolamo.Vescovo di Costantinopoli che non è ancora un patriarcato (lo sarà con Giovanni Crisostomo), ma è la pur sempre la capitale dell’impero. Al concilio di Costantinopoli diventa il presidente dopo la morte del predecessore e porta avanti nel concilio la teologia dello Spirito santo. Verrà tuttavia rimproverato dai Padri conciliari per lo spostamento irregolare da Sasima a Costantinopoli. Per questo si dimise e tornò a casa a Nazianzo. La morte di Melezio di Antiochia (?) Morto ad Ariano – in un possedimento della famiglia – nel 390. Una parte delle reliquie stanno nella basilica di san Pietro. La teologia di Gregorio Nazianzeno I Cinque Discorsi Teologici contengono una polemica antiariana, in particolare anti-eunomiana. Si trova nei discorsi per la prima volta l’idea di ekporeusis. Gregorio dice chiaramente che lo spirito santo è Dio e procede dal Padre. • ϖ Εκπορευσις −− γεννησις • το πνευµα αγιον και θεος “Cosa manca, dunque, allo Spirito---tu obietti---perché sia Figlio? Ché, se non ci fosse qualcosa che gli manca, sarebbe il Figlio. Ma noi non diciamo che gli manchi qualcosa, perché Dio non è manchevole; ci riferiamo alla differenza della manifestazione, per così dire, o del rapporto reciproco, che produce anche la differenza del loro nome. Del resto, nemmeno al Figlio manca qualcosa per essere il Padre---ché la condizione di figlio non implica una mancanza---e non per questo è il Padre; altrimenti, mancherebbe qualcosa anche al Padre per essere il Figlio---ché il padre non è il figlio. Ma queste parole non indicano una mancanza di alcun genere, né una diminuzione secondo la sostanza, mentre i termini di non essere stato generato e di essere stato generato e di procedere indicano l'uno il Padre, l'altro il Figlio, il terzo quello che si chiama, appunto, Spirito Santo, in modo che si conservi non confusa la distinzione delle tre ipostasi nell'unica natura e nell'unica dignità dell'essenza divina. Il Figlio non è il Padre, ché il Padre è uno solo, ma è la stessa cosa che è il Padre; né lo Spirito è il Figlio per il fatto che proviene da Dio, perché uno solo è l’Unigenito, ma è la stessa cosa del Figlio. I Tre sono un solo essere quanto alla natura divina, e il solo essere è tre quanto alle proprietà: l’uno non deve essere inteso alla maniera di Sabellio, né i Tre sono quelli della sciagurata divisione che è in voga oggidì. Ebbene? Lo Spirito è Dio? Certamente! E allora? E’ homousion? Sì, se è vero che è Dio,” (Oratio 31.9-10). Nella cristologia segue la forma: λογος − ανθρωπος “Se uno pretende che la sua carne sia discesa dal cielo, che non sia di quaggiù, non di noi ma superiore a noi, sia anatema. (…) Se uno confida in lui come in un uomo che fosse sprovvisto di spirito umano, è in verità sfornito egli stesso di spirito e del tutto indegno di salvezza, giacché ciò che (il Cristo) non ha assunto, non ha eppure guarito, ma ciò che ha unito alla sua divinità è pure salvato,” (Ep. a Cledonio 101.30,32.) È importante anche per il linguaggio trinitario: “E se bisogna esprimersi concisamente, le sostanze da cui è composto il Salvatore sono una e un’altra (αλλο µεν και αλλο), dal momento che l’invisibile non è la stessa cosa del visibile e ciò che è al di fuori del tempo non si identifica con quello che è soggetto al tempo, ma non vi sono uno e un altro (ου ϖκ αλλος δε και αλλος): non sia mai! Ché le due sostanze diventano un essere solo per mezzo della loro mescolanza (Τα γαρ αϖµϕοτερα εν τη συγκρασει), dato che Dio si incarna e l’uomo diventa divino--o comunque lo si voglia definire. Io dico una sostanza e un’altra ( αλλο και αλλο) nel significato opposto a quello che si applica alla Trinità. Nell’ambito della Trinità, infatti, vi è uno e un altro, perché noi non dobbiamo confondere le ipostasi, ma non una e un’altra sostanza: una cosa sola, infatti, sono i Tre, e la medesima, quanto alla natura divina ( Εκει µεν γαρ αλλος και αλλος, ινα µη τας υποστασεις συγχεωµεν ου vκ αλλο δε και αλλο εν γαρ τα τρια και ταυvτον τη θεοτητι),” (Ep. a Cledonio 101.20-21.) Mariologia: θεοτοκος Sezione 12 Agostino: l’elaborazione teologica connessa al servizio di pastore 1. AGOSTINO D’IPPONA 1. Nato il 13 novembre, 354, a Tagaste nella provincia nordafricana di Numidia 2. Padre = Patrizio; madre = Santa Monica La madre seppe conquistare tutta la famiglia. Si diceva cristiano ovunque: cristiano perché cercava Cristo (i catecumeni si dicevano già cristiani). Ma abbandonò la fede cattolica, non seguendo sua madre (per questo la preghiera di santa Monica è perché sia cristiano cattolico). 3. Ha studiato a Madaura e Cartagine (buona educazione). 4. Il Hortensius di Cicerone: a 19 anni ebbe il suo risveglio filosofico. 5. Manicheismo: cristianesimo gnostico e dualista (due principi: bene e male). Rimane manicheo per 9 anni a l livello più basso (quello degli auditores). Spiegerà il manicheismo in tre temi. • Razionalità che esclude la fede • Cristianesimo puro che esclude Antico Testamento • Soluzione radicale al problema del male: il male non viene da Dio, la soluzione è un dualismo materialistico. • Per Agostino in questa fase il male esiste ed è materiale. il problema del male è che non possono stare insieme tutte e tre queste proposizioni (una deve essere falsa): o Dio è buono o Dio è onnipotente o Il male esiste. 6. Suo figlio = Adeodato (372) lo ebbe da una donna con cui convisse 10 anni, ma che non poté sposare per la differenza sociale. Quando la madre lo andò a trovare, rifiuta di stare sotto lo stesso tetto perché era manicheo (non tanto per la sua convivenza, perché il matrimonio non era possibile e c’erano di queste unioni). Il gesto di Monica è una scomunica: nella chiesa antica, infatti, la scomunica era non solo dall’altare, ma anche dalla mensa famigliare. 7.Il grande manicheo Fausto. Agostino, di fatto, viveva da manicheo, ma era pieno di domande. Aspetto Fausto per esporgliele, ma vedendo che non sapeva rispondere, chiuse la questione (pur mantenendo i rapporti). 8. A Roma nel 383. È una fuga con la moglie e il figlio dalla madre (l’aveva mandata a pregare in una cappella tutta la notte). Monica prese la barca successiva per raggiungere il figlio e non ebbe paura della tempesta che incontrò. Arrivato a Roma, Agostino rimase deluso, perché aveva tanti studenti, ma non pagavano. 9. Nel 384 Mandato da Simmaco – prefetto di Roma – a Milano, dove Agostino diverrà il Magister retoricae. Incontra i libri platonici e dice che la filosofia platonica lo ha aiutato molto a superare il dualismo dei manichei: il male non è una cosa sostanziale, è semplicemente l’assenza del bene. I platonici sono stati importanti per la conversione. Eppure riconoscerà che gli mancava una cosa: l’incarnazione. I platonici lo avevano portato su una collina che domina una valle e che stava di fronte ad un’altra collina dove si vedeva il Verbo, ma da lontano. L’incarnazione del verbo è come la valle: i platonici erano orgogliosi e non potevano vedere l’incarnazione del Verbo. Ma a questo punto mancava un passo ad Agostino: da manicheo non poteva ancora capire l’At e il Dio che vi si legge. 10. Incontro con Sant’Ambrogio. La sua predica fu la chiave per la conversione perché era un esegesi allegorica. dalla lettera non accettabile allo spirito vero della scrittura. oltretutto non accettava la banalità del linguaggio scritturistico, ma Ambrogio sciolse anche quella riserva. Il passo successivo è quello nel giardino di milano dove legge il passo di san Paolo che lo porta a comprendere la circolarità di fede e ragione. 11. Platonismo 12. Tolle, lege; tolle, lege! 13. Ritiro a Cassiciaco 14. Battesimo a Milano con Adeodato e Alipio alla vigilia della Pasqua (24. IV. 387). 15. Monica morì nel 387 ad Ostia 16. Comunità monastica a Tagaste 17. Nel 391, sacerdote 18. Nel 396, vescovo coadiutore. 19. Nel 397, vescovo di Ippona 20. Le controverise a. Manicheismo b. Donatismo c. Pelagianismo d. Arianesimo e. Leporino: un caso di ‘pre-nestorianesimo’ 21. Agostino morì il 28 agosto del 430. 22. Sepolto nella Basilica Pacis; dopo Sardegna; dopo Pavia San Pietro in Ciel d’Oro. LE OPERE DI AGOSTINO 1. Confessiones (397-400) 2. De civitate Dei (dopo 410) LA TEOLOGIA DI AGOSTINO 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. Cristologia: Christus una persona in utraque natura L’uomo a. Capax Dei b. Indigens Deo Il Male =/= una sostanza Mariologia a. Verginità perpetua b. La Concezione Immacolata Il peccato originale e la giustificazione a. Ignorantia et infirmitas b. Libertas minor (posse non peccare) c. Libertas maior (non posse peccare) La Chiesa a. Societas permixta b. Communio sacramentorum c. Communio sanctorum d. Numerus praedestinatorum e. Christus totus f. Sine macula et ruga La preghiera ecclesiale = Cristocentrica Contemplazione (caritas veritatis) Azione (necessitas caritatis)