John William Waterhouse (1849 – 1917) – Eco e Narciso - 1903
Il Narcisismo: “Sopravvivenza o Patologia”?
Psicoanalisi e dintorni
“E ora parliamo un po’ di te. Mi ami? (Maria Luisa Spaziani)
Dal mito alla clinica
Il mito di Narciso non è solo un “mito”, ma ha rappresentato il punto di partenza (e di unione) per individuare un concetto teorico e clinico in
Psicoanalisi. E, in questa sede, non si può omettere l’analisi di uno specifico disturbo della personalità, che configura uno stato di “narcisismo
patologico”.
Secondo il mito greco, ripreso da Ovidio, Narciso, figlio bellissimo della ninfa Liriope, aveva ricevuto dall’indovino Tiresia il vaticinio: “Narciso
vivrà fino a tarda età, purché non conosca mai se stesso”. La sua bellezza era tale che tutti finivano con l’innamorarsi di lui, che, però, talmente
geloso di sé, non concedeva il suo amore a nessuno. Si narra che di Narciso si innamorò la ninfa Eco, condannata da Era a ripetere all’infinito
l’ultima parte delle parole altrui e a non poter più fare uso della sua voce. Narciso rifiutò le sue attenzioni, così come rifiutò quelle di Aminio, tra i
suoi più infuocati spasimanti. Allora Artemide, lo punì facendo sì che egli si innamorasse, senza però poter soddisfare la propria passione,
quando, per la prima volta vide la propria immagine riflessa sull’acqua di una fonte. Ne rimase talmente colpito che, dapprima tentò di baciare il
bellissimo giovane che vedeva nell’acqua; poi, quando comprese che si trattava della propria immagine, struggendosi per il dolore, comunque
non si diede per vinto, perché pensò che non avrebbe comunque tradito se stesso.
Decise, dunque, di togliersi la vita, non vedendo altra strada per il suo amore, mentre Eco ripeteva al vento le sue parole di dolore. Morì
trafiggendosi con la spada e dal suo sangue, sparso al suolo, si generò il narciso, fiore bianco dalla corolla rubra. Nella tradizione classica, il
narciso ha anche potere narcotico ed è assimilato al fiordaliso, intrecciato in ghirlande e collane durante le cerimonie sacre.
Narciso aveva, dunque, conosciuto se stesso e, nell’impossibilità di stabilire una relazione con l’altro (come vedremo accade in alcuni esseri
umani), cioè con un elemento diverso da sé, decise di morire.
Laddove, in senso clinico, l’idea di una trasformazione, di un mutamento, si associa ad un senso di morte interiore.
Il termine “Narcisismo” venne utilizzato per la prima volta nel 1898 dall’americano Havelock Ellis, che, con “narcissus-like”, aveva indicato
l’atteggiamento psicologico da parte di queste persone del ripiego su se stesse. Successivamente, Nacke introduceva il termine “Narcismus”,
come espressione di una “perversione” sessuale. S. Freud utilizzò il termine per la prima volta nel 1909: l’assunzione della propria persona
come oggetto d’amore, stadio intermedio necessario fra l’autoerotismo infantile e l’amore oggettuale (1).
Nel 1914 Freud scrisse l’“Introduzione al narcisismo” (1), che tratta del diverso modo di investire la libido e del diverso termine con cui
“nevrotico” e “psicotico” compiono il distacco dalla realtà esterna. Il nevrotico distoglie la libido dagli oggetti reali e la rivolge agli oggetti della
fantasia; in lui la libido resta “oggettuale”. Nello psicotico la libido è ritirata sull’Io, che non potremmo neppure definire Io in senso evoluto,
proprio perché non “maturo”, a ripristinare uno stato primitivo infantile e l’onnipotenza del pensiero.
La libido narcisistica viene investita anche nella scelta dell’oggetto d’amore (scelta oggettuale “narcisistica”), mentre nell’amore d’oggetto (scelta
dell’amore “per appoggio” delle pulsioni sull’oggetto d’amore) la libido verrebbe investita completamente sull’altro. Processi di idealizzazione
dell’oggetto e di formazione dell’Ideale dell’Io (precursore del Super-Io, la cui nascita e tripartizione si avrà nel 1922 con L’Io e l’Es) Nevrosi
narcisistica era termine ( ormai desueto), col quale Freud indicava un disturbo psichico caratterizzato dal ritiro della libido interamente sull’Io,
stato che si oppone alla Nevrosi di transfert, ossia investimento emotivo sull’analista da parte del paziente durante il trattamento.
La distinzione freudiana tra Narcisismo primario e Narcisismo secondario è ancora oggi fondamentale. Il Narcisismo primario costituisce uno
stadio precoce in cui il bambino investe tutta la sua libido su se stesso. Il Narcisismo secondario designa, invece, un ripiegamento sull’Io della
libido, che verrebbe sottratta agli investimenti oggettuali. Va osservato, comunque, che in nessun caso l’investimento della libido sugli oggetti
sostituisce quello sull’Io.
Nella Introduzione alla psicoanalisi (1916-17) (1) Freud sostenne la localizzazione del Narcisismo primario ad un primo stadio della vita,
antecedente la formazione dell’Io, il cui modello sarebbe quello della vita intrauterina. In tal modo, il Narcisismo primario, secondo una visione
valida ancora ai nostri giorni, indica una posizione indifferenziata nei confronti dell’oggetto, senza distinzione fra soggetto e mondo esterno. La
definizione di Es è tesa ad individuare un’istanza, il primo costituente psichico del bambino, dalla quale poi si differenziano le altre. Dall’Es,
serbatoio della libido che viene emanata sugli oggetti, si differenzia l’Io.
In “Al di là del principio di piacere”, Freud formulava la seconda teoria, che vede le pulsioni articolate in Eros e Thanatos o “di vita e di morte”.
Eros è pulsione di vita (autoconservativa) rivolta agli oggetti, col compito di “unire e legare”, “Thanatos” è pulsione di morte e distruttiva. Nel
1922, con “L’Io e l’Es”, Freud rivedrà la struttura dell’apparato psichico, creando la “seconda topica” (Es, Io, Super-Io). In tal modo, il Narcisismo
primario perde la sua funzione di tappa specifica dello sviluppo, mentre l’Io dà inizio a una sorta di incorporazione dell’oggetto, attraverso
l’investimento oggettuale, che costituisce la più precoce forma di identificazione.
Le personalità narcisistiche
Secondo il DSM 5, l’ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (2), il Disturbo Narcisistico di Personalità è rimasto
classificato come disturbo di personalità, mentre alcuni altri sono stati eliminati.
Caratteristica, in ogni caso, è la compromissione del “funzionamento” personale, lavorativo, relazionale del soggetto. Nel caso specifico,
l’elemento dominante risulta “un quadro pervasivo di grandiosità, necessità di ammirazione e mancanza di empatia, che ha inizio nella prima età
adulta” (2).
Il “Narcisista” mostrerà un senso grandioso d’importanza, sarà assorbito da fantasie illimitate di successo, di potere, e di amore ideale; crederà
di essere speciale e unico, richiedendo eccessiva e continua ammirazione. Con una soverchia aspettativa di ricevere trattamenti di favore o di
avere soddisfazione immediata per le proprie fantasie e attese, proprio perché ritiene gli siano dovute, mostrerà di sfruttare gli altri e le loro
qualità per i propri scopi. Ciò che nella relazione con lui si pone facilmente in rilievo è la mancanza di empatia, cioè di immedesimazione nei
sentimenti e nelle necessità dell’altro, l’incapacità di stabilire relazioni caratterizzate da una buona comprensione dell’altro, sentimento che,
peraltro, il narcisista pretende di continuo per sé. In definitiva, non può esservi una condivisione profonda di “intenti”.
Otto Kernberg (1984) (3), descrisse le personalità narcisistiche, come quelle che “hanno introiettato in chiave onnipotente un oggetto parziale
primitivo totalmente buono” oppure “hanno proiettato… il proprio Sé in tale oggetto, negando così ogni differenza o separazione fra il Sé e
l’oggetto”. La minaccia di provare un senso di dipendenza è talmente temuta che il narcisista deve negare ogni bisogno di dipendenza, che
implicherebbe “il bisogno di un oggetto amato e potenzialmente frustrante”.
Ciò solleciterebbe l’odio, destinato a mutarsi in invidia estrema.
Le relazioni “oggettuali” del narcisista, sono comunque non relazioni con un oggetto d’amore esterno al Sé, ma relazioni con il proprio Sé, che
gli consentono di evitare i sentimenti di frustrazione e di invidia e, in definitiva, un senso di profonda aggressività, che può scatenarsi
allorquando la situazione sembra sfuggirgli di mano. In questo senso il narcisista si avvicina all’erotismo, creando una perversione sadomasochistica, entro la quale il dolore e il senso di potere che deriva dall’annientamento dell’altro e la soggezione all’altro del proprio Sé
“indifeso” possono diventare distruttive.
Sono frequenti le “reazioni terapeutiche negative”, cioè la difficoltà ad accettare l’analista come “oggetto separato”, portatore di elementi libidici e
nutritivi (intanto è necessario puntualizzare che è difficile di per sé che il narcisista faccia ricorso ad una terapia, perché mettersi in discussione
comporterebbe per lui uno sforzo immane, a meno che, a causa di eventi vissuti come negativi, vada incontro ad uno stato depressivo e si
rivolga per quello ad un terapeuta), che in ambito psicoanalitico dovrebbero configurarsi come aventi una valenza positiva, ma che, nel caso del
narcisista, assumono una valenza negativa, in seguito alla formulazione di una interpretazione, che è intesa come un possibile “oggetto buono”,
capace di suscitare invidia e dipendenza.
Il crollo della “struttura narcisistica” può suscitare esperienze deliranti a impronta paranoide o, come si diceva, un grave stato di angoscia
depressiva.
Il Sé grandioso è, certo, di difficile accesso al trattamento.
Kernberg osserva come vada tenuta ben distinta la negazione che il narcisista compie da quella operata dallo psicotico. Il primo, infatti, nega le
differenze fra il Sé e l’oggetto, non la loro separazione, ossia l’oggetto è un’appendice del Sé; lo psicotico nega la differenziazione fra il Sé e
l’oggetto, che egli intende come “confusamente” fusi, cioè in una continua confusione di limiti, non essendo percepita la barriera che separa il
Sé dagli altri. Un certo grado di separazione tra il Sé e l’oggetto è ammesso dal narcisista, a patto che le differenze non risultino evidenti, e
l’oggetto resti sottomesso, ossia sotto il suo controllo onnipotente.
La posizione espressa da Kernberg differisce da quella tradizionale di Freud. Secondo Kernberg, “lo sviluppo del narcisismo normale e
patologico” coinvolgerebbe costantemente “il rapporto fra le rappresentazioni del Sé e dell’oggetto e gli oggetti esterni, oltre che conflitti istintuali
che investono sia la libido sia l’aggressività”.
Il Sé risulterebbe dalla “somma delle rappresentazioni integrate del Sé provenienti da tutte le fasi evolutive”, configurando“una struttura integrata
che ha componenti affettive e cognitive, una struttura incorporata nell’Io, ma derivata da precursori dell’Io”.
Il Sé grandioso del narcisista contiene, secondo le osservazioni di Kernberg “il Sé reale, il Sé ideale e le rappresentazioni oggettuali ideali”.
L’origine della sofferenza del narcisista non avverrebbe secondo Kernberg, come nella Psicoanalisi tradizionale, nel non sviluppare l’amore
oggettuale, ma “uno sviluppo anormale dell’amore per il Sé coesiste con uno sviluppo anormale dell’amore per gli altri”. La risposta del
narcisista è, come abbiamo visto, lo sviluppo di un Sé grandioso, che contrasta, invece, col Sé normale, nel quale si armonizzano gli elementi
intrapsichici con gli aspetti della relazione d’oggetto.
Sul piano clinico vengono descritte due forme principali di personalità narcisistiche. La prima corrisponderebbe al modello freudiano del 1914
(“Introduzione al narcisismo”), dotata di un Sé patologicamente identificato con un oggetto che riceve anche la proiezione della
rappresentazione del Sé infantile del soggetto. Qui la capacità di relazioni d’oggetto interiorizzate è sufficiente.
Un altro tipo di personalità narcisistica è quella fornita di un Sé grandioso patologico. Si colgono in questi pazienti i segni di un senso di elevata
autostima, che contrasta con sporadici sentimenti di estrema inferiorità. Provvisti di scarsa empatia verso gli altri, bisognosi di continue
conferme del proprio valore, questi pazienti mostrano un senso di consapevolezza integrato nella loro esperienza di Sé e un deficit nel
possedere un concetto maturo degli altri.
Gli aspetti clinicamente più gravi del narcisismo patologico comportano similitudini con altre strutturazioni patologiche, come quelle borderline e
paranoidi, il che comporta da un lato il mancato controllo sugli impulsi e la tendenza al passaggio all’atto ed alla aggressività, mentre dall’altro,
la contaminazione paranoide produce sentimenti di invidia distruttiva e di senso persecutorio nelle relazioni con gli altri.
Questo, il “Narcisismo maligno”, caratterizzato da una regressione paranoide, dalla possibilità di comportamenti autodistruttivi o di suicidio.
Un altro studioso del narcisismo fu Kohut (1913-1981) (4), che stabilisce una metapsicologia per il paziente narcisista, che colloca o nello
spazio fra la psicosi e la condizione borderline oppure, in situazioni di minore gravità, fra le psiconevrosi e i disturbi minori del carattere. La
conoscenza dell’assetto interno e delle relazioni d’oggetto di questo paziente si rende nota attraverso l’analisi del transfert, che si verifica
durante il trattamento psicoanalitico.
Sarebbero possibili due tipi di traslazione secondo Kohut, per il paziente narcisista: quella “idealizzante” e quella “speculare”.
La traslazione idealizzante deriva da un “oggetto-Sé” arcaico e rudimentale. La separazione da questo oggetto idealizzato fa sentire il paziente
vuoto e impotente, tanto è importante per il paziente utilizzarlo a compensazione e complemento di una parte mancante della propria struttura
psichica, legato alla carenza di sufficienti apporti libidici da parte di “oggetti-Sé” primitivi.
Lo sviluppo nella traslazione analitica di un “Sé grandioso” induce la formazione di transfert speculari, altamente regressivi.
Se, nel transfert “gemellare” il paziente sperimenta l’analista come uguale o molto simile a se stesso, nella traslazione “speculare in senso
stretto” l’analista viene percepito come una persona separata e importante solo nella misura in cui è necessario agli scopi del Sé grandioso.
Le ragioni di queste traslazioni sono da ricondurre a precoci arresti nello sviluppo dell’“oggetto-Sé” materno, che hanno determinato la fragilità
del Sé primitivo, senza i successivi sviluppi evolutivi in forme mature.
I fallimenti della funzione empatica materna, i disturbi del processo primitivo di idealizzazione, con susseguenti effetti traumatici, sono alla base
della psicopatologia narcisistica, che comporta originariamente una fissazione al livello del Sé grandioso arcaico e infantile, cui fa seguito la
ricerca interminabile dell’”oggetto-Sé” idealizzato, che al soggetto risulterebbe necessario per completare il suo sviluppo psichico. La libido
oggettuale, dunque, investe “oggetti veri”, quella narcisistica “oggetti-Sé”.
L’aggressività nelle personalità narcisistiche sarebbe il risultato delle loro “lesioni”, con una frammentazione traumatica del Sé grandioso
arcaico, per cui il Sé non deriverebbe dalle pulsioni, ma le pulsioni nascerebbero dal Sé, attraverso la sua lesione. Il Sé si sviluppa, dunque,
nello scambio con le figure parentali, che non avrebbero la semplice funzione di fornire gratificazione pulsionale, ma di costituire la fonte di
interazioni.
Finalità del trattamento psicoanalitico per Kohut è la formazione di un Sé più coeso al posto di un Sé frammentato. Quanto mai sarebbe
importante come in questi casi, l’ascolto empatico, da riservarsi proprio a quei pazienti la cui struttura fragile del Sé ha indotto una carenza
dell’autostima e della coesione, mascherata da una corazza dura ed apparentemente inattaccabile, con la possibilità di funzioni riparative,
ottenute soprattutto attraverso lo sviluppo di un assetto mentale nell’analista, che si dispone ad accogliere dentro di sé il vissuto emozionale del
suo paziente, gravemente disgregato e che comunque comporta la difficoltà di “mettersi nei suoi panni”, con la pazienza, condizione attraverso
la quale si propone di poter attendere e favorire la risoluzione dei processi compiuti dall’Io difensivo dello stesso paziente.
Kohut, suggeriva la necessità di un attivo processo di empatia da parte dell’analista, dato che le carenze empatiche della relazione terapeutica,
peraltro inevitabili, giungono a sollecitare frustrazioni gravi nel paziente narcisista, con l’attivazione di collera, regressioni ipocondriache,
scompensi paranoidi, senso di angoscia diffusa, delirio di onnipotenza con attivazione massiccia del Sé grandioso.
Sempre Kohut sosteneva che l’atteggiamento di ascolto empatico rivolto dall’analista anche ai pazienti affetti da quello stato che Rosenfeld (5)
chiamava “narcisismo distruttivo” fungeva da strumento terapeutico verso un Sé afflitto da intense sofferenze. Apparve comunque chiaro allo
stesso Kohut che la sua tecnica dell’ascolto empatico non era affatto praticabile, né utile a modificare le strutture “perverse” di quei pazienti che,
da questa attitudine terapeutica e da un’analisi condotta prevalentemente col Sé, avrebbero tratto elementi di rinforzo per la propria perversione.
Utile questa metafora citata da Bolognini (6), che indica la necessità di una variabilità dell’assetto mentale dell’analista, capace di un rapporto
ben integrato con le sue parti profonde e di una consistente adattabilità al lavoro col paziente: “è essenziale che ogni navigatore salpi con la sua
imbarcazione portando con sé il bagaglio… necessario per affrontare il mare trovandosi nelle condizioni migliori; ma il navigatore
sufficientemente esperto sa che dovrà adattare le proprie tecniche al mare e al tempo, e che ogni viaggio sarà in qualche misura imprevedibile e
comunque diverso dai precedenti”.
Ogni esperienza di terapia del profondo è un rapporto; anzi, più di un rapporto. Ogni rapporto è paragonabile a un viaggio per mare; ogni viaggio
per mare richiede una conoscenza e un’adattabilità tecnica precisa, che l’esperienza e la sensibilità consentono di attuare, per rendere la
traversata un momento della propria vita certamente necessario, ma soprattutto affascinante e utile, possibilmente piacevole e capace di portare
effettive trasformazioni.
Strumento cardine del lavoro analitico di Ferenczi (7) risultava, la comprensione empatica, cioè, “mettersi nei panni dell’altro senza
confondervisi e senza perdere perciò di obiettività”. Ma l’empatia, per poter essere attuata, richiede una “simpatia” di base e reciproca, che è la
condizione indispensabile per poter dare inizio al rapporto psicoterapeutico.
L’ipotesi di narcisismo di Grumberger (8) è quella di una relazione quasi simbiotica con la vita prenatale e col soddisfacimento che l’individuo
trova in questo ambito.
La definizione che Grumberger dà di questo periodo dello sviluppo è quella di “stato elazionale”, quando la relazione con l’ambiente possa
fornire al bambino una soddisfazione adeguata, come la base su cui si fondano i successivi passaggi emotivi per lo sviluppo di forme
d’autonomia, di un senso del proprio valore non fondato su necessità esterne, ma su un sentimento pieno del Sé. “Il feto vive in una situazione
elazionale che costituisce una perfetta omeostasi, in cui i bisogni… non possono neppure considerarsi come tali… La nostra ipotesi poggia sul
postulato di uno stato elazionale prenatale, origine di tutte le varianti del narcisismo…”.
Così, Grumberger parla di un “nucleo narcisistico”, di una “unione narcisistica” tra la madre e il bambino, e la sua percezione del mondo degli
oggetti, che risultano “frustranti e dunque altri”. Si prospetta, dunque, una grave scissione nell’Io infantile, teso da un lato a conservare
l’equilibrio narcisistico, dall’altro a cercare di seguire le sollecitazioni pulsionali.
Nel lungo processo maturativo il bambino “si trova in un conflitto permanente tra le pulsioni da una parte e il punto di vista narcisistico dall’altra e
finirà… col proiettare una parte del suo narcisismo sull’Ideale dell’Io”.
Il narcisismo diviene in Grumberger una vera e propria “istanza psichica”, che si aggiunge all’Io, all’Es, al Super-Io. Questa istanza viene
denominata “Sé”e risulta inglobata nell’”Io”.
Il paziente in analisi vive inizialmente, secondo Grumberger, una “regressione narcisistica”, che lo riporta allo “stato elazionale” e attraverso
questo passaggio, la prima fase del trattamento analitico consentirebbe al paziente di sperimentare quello stato di assoluta beatitudine che si
verifica nei primissimi tempi della sua vita. L’analista non viene ancora individuato come oggetto distinto e verrà investito narcisisticamente,
come a ripercorrere le tappe del rapporto con l’antico genitore, destinato a essere il destinatario dell’onnipotenza infantile perduta e in tal modo
recuperata.
La condizione frustrante della sofferenza, la stessa situazione analitica, di per sé fonte di frustrazione come accade in tutte le relazioni della vita
adulta, viene accompagnata in analisi, secondo Grumberger, da una quota di soddisfazione narcisistica, che, soprattutto con i pazienti più gravi,
deve condurre l’analista a offrire loro qualche “gratificazione” in forma il più possibile simbolizzata, per costituire, con un apporto narcisistico
esterno, una forma di “unità narcisistica”, che lo aiuta a sopportare la frustrazione. In tal modo, si rende possibile l’incontro con l’oggetto e l’avvio
del transfert vero e proprio.
A questo punto, l’angoscia della comparsa dell’analista come figura autonoma sulla scena del rapporto terapeutico, dove questi è individuato e
visto in una luce meno onnipotente e non più del tutto fusionale, consente al paziente di collocarsi nella dimensione della relazione d’oggetto,
certamente temuta, ma più accessibile, data la consistenza di un minor grado di disgregazione narcisistica che egli ha potuto raggiungere. Così,
la relazione d’analisi sollecita l’integrazione fra investimento narcisistico e oggettuale, unico motore della cura, che può consentire la
maturazione dell’Ideale dell’Io, l’arricchimento della libido narcisistica con la presenza della libido oggettuale, il passaggio dalla situazione
fusionale a quella della relazione dialettica interpersonale.
Il “Narciso” e le Donne
Da professionista, ma anche da donna, provo a considerare la relazione dell’uomo narciso con l’universo femminile, anche se, come già
accennato, specularmente, essa vale, con qualche variante, che potrebbe essere interessante considerare in un altro lavoro, anche per un
uomo che si relazioni con una donna “Narcisa”.
Quale è l’atteggiamento dell’uomo narciso verso le donne?
E’ facile innamorarsi di un narciso. Gli uomini che appartengono a questa categoria psicologica sono spesso brillanti, simpatici, maestri nell’arte
del corteggiamento e sanno far sentire una donna unica e speciale. All’inizio preparano sorprese e sono capaci di attenzioni. Ma non appena il
rapporto sembra consolidarsi, all’ improvviso e senza una motivazione, si raffreddano. Diradano gli incontri, adducendo pretesti e non fornendo
motivazioni valide, diventano scontrosi, ed iniziano le critiche, gratuite e spesso molto pungenti. Purtroppo, molte donne, ormai cadute nella
“trappola”, si sentono già troppo coinvolte per tirarsi indietro e accettano una relazione discontinua , fatta di fughe e ritorni.
Ma i ritorni non sono per “amore”, anche se l’idillio iniziale sembrerebbe essere tornato. Sono, più semplicemente, dettate dalla necessità per
l’uomo di avere un porto sicuro che sa che accoglie e “comprende” la sua fragilità.
Ecco perché è difficile che la relazione con un narcisista termini per il volere di lui: avere più porti in cui approdare sembra dargli la garanzia che
qualcuno dovrà riaccoglierlo. Nelle relazioni di lunga data, la partner viene spesso percepita come una ” base sicura”, come una madre che
accoglie e consola. Insomma, il narcisista è capace di provare emozioni ma non sentimenti. Il suo ” ti amo” significa ” ora ti amo “. Ma se la
dolcezza non funziona, il narciso giocherà la carta della debolezza. Cercherà di impietosire la partner mostrandosi debole e smarrito, le parlerà
dei suoi problemi, si mostrerà fragile e bisognoso di una guida. Dunque si tratta di uomini che affascinano e insieme feriscono, a volte anche
con il preciso intento di farlo, solitamente più intelligenti della media, sensibili, seduttivi, grandiosi, ma, anche, improvvisamente depressi e
inadeguati. E ai quali, spesso, bastano futili motivi per deprimersi. Futili per la gente comune, per loro assolutamente importanti, anzi quasi
elementi fondamentali di vita.
Cosa vuole un narciso da una donna? In molti casi vuole solo essere aiutato a piacersi, ovviamente nel senso più ampio del termine, anzi
desidera molto spesso che quella che sia apprezzata sia la sua intelligenza e non il suo aspetto fisico. Intelligenza che, proiettivamente,
attribuisce all’inizio alla donna, perché, come davanti ad uno specchio, ritorni su di sé. Non a caso, a meno che non si tratti di narcisi che
puntano tutto il loro essere sull’aspetto fisico, scelgono come “preda” donne intelligenti, proprio a conferma delle loro “capacità” cognitiva, salvo,
successivamente, svalutarle, quando potrebbero rendersi conto che esse sono più intelligenti di loro e allora lo specchio non rimanda più loro
l’immagine che vorrebbero.
L’uomo narciso è un eterno insicuro, in ogni donna cerca di specchiarsi per ritrovare un’immagine integra, forse quella della madre che non ha
(od ha il vissuto di non aver) mai avuto, forse in lui esiste la consapevolezza interiore che la madre non è stata, in molti casi, quello specchio
“sano” che gli avrebbe permesso di costruirsi un’immagine integra di sé, un Sé coeso, insomma, ma gli ha consentito solo di sviluppare un “falso
Sé”, frammentato, con il quale, secondo la teoria di Kohut (4), egli si propone al mondo.
Secondo quest’ottica, non è possibile relazionarsi con una sola donna, ma deve esistere una donna per ogni frammento di sé, come se ogni
parte avesse un occhio per guardare da diverse prospettive.
Ogni donna, dunque, può essergli funzionale per cercare quella madre che lo accudisca in modo profondo, ma con la quale relazionarsi solo
superficialmente.
E’ anche la ricerca di una “madre giovane”, non consunta : solitamente soprattutto quando avanzano gli anni, questi uomini vanno alla ricerca di
donne più giovani, anche molto più giovani di loro, forse per avere l’illusione di rivisitare, sin dall’inizio, il loro percorso di crescita e allo stesso
tempo per avere l’illusione di non invecchiare specchiandosi in una immagine giovane.
Relazionarsi con tante donne non significa che l’uomo narciso non decida di intessere relazioni significative, si tratta di uomini che si sposano,
nel tentativo di mettere dei punti fermi nella loro vita, una moglie, dei figli), una relazione duratura. Ma comunque rimangono eternamente alla
ricerca di “altro” per completare l’immagine di sé.
E i figli? Difficile che il narciso voglia concepirne con l’idea di farne degli individui separati da sé, si tratta per lo più dell’idea di concepire delle
“propaggini” di sé, un modo, cioè, per lasciare al mondo, quando lui non ci sarà più, una traccia tangibile e significativa della sua presenza.
Si tratta, insomma, di un uomo eternamente bambino “dentro” ma con un atteggiamento esteriore da gran seduttore. Anche il rapporto sessuale
in sé, estremamente coinvolgente e ricco di sensualità come se solo lui fosse l’uomo capace di far provare ad una donna un piacere unico ed
assoluto, viene vissuto, in realtà, come un ritorno nel grembo materno. Ricordo un caso di un uomo che si rivolse a me per problemi eiaculatori.
Professionista affermato, non poteva concepire il “fallimento” nell’atto sessuale, che lo aveva portato, poco alla volta, ad iniziare solo il
corteggiamento delle donne ma ad evitare una conclusione sessuale.
Il suo problema consisteva nella impossibilità ad eiaculare nel corpo della donna, ma di riuscire a raggiungere l’orgasmo solo con la
masturbazione.
Ecco: egli in qualche modo non riusciva neppure in quel caso a fare “dono” di sé, così come non faceva regali alle donne, che non fossero
viaggi insieme, cene in ristoranti di lusso, ma “regali” unicamente destinati e che rimanessero alla donna non ne faceva. Non riusciva a farne.
Salvo qualche rara eccezione, di doni costosissimi che assumevano una valenza ostentatoria e non certo un valore affettivo.
E se un giorno fosse la donna ad avere bisogno di lui? Un narciso punta sempre all'assoluto, non tollera debolezze, non ama le lacrime,
tendendo a sminuire il dolore altrui per timore che in qualche modo, quello specchio sfaccettato di sofferenza possa riflettere il proprio
dolore.Non sarebbe ammissibile.
Innamorarsi di uomini narcisi, insomma, è spesso un’avventura faticosa e dolorosa.
Più che chiedersi, però, cosa voglia lui, la donna dovrebbe iniziare a chiedersi cosa vuole lei da lui.
Ovvero, chiedersi a quale bisogno della donna risponde la relazione con un narciso.
Se la donna, invece di cristallizzarsi nelle colpe o mancanze o responsabilità dell’altro, si concentrasse sulle ragioni che la portano ad accettare
certe condizioni, a rimanere invischiata in relazioni che le causano sofferenza, ovvero se cercasse di conoscersi meglio, potrebbe trovare il
modo per uscirne, oppure per individuare soluzioni concrete e costruttive per aiutare se stessa e forse ( improbabile), anche il proprio
compagno.
Analizzare il proprio comportamento e non solo quello del partner sarebbe un modo per crescere e non rischiare di cadere ogni volta nella rete
di narcisi o di altre tipologie maschili distruttive.
Analizzare la sensazione di essere immersa nella nebbia, fare chiarezza e cominciare a vedere soprattutto le proprie responsabilità.
Per capire quali strategie è lei stessa a mettere in atto per attirare questa tipologia di uomini, per sentirsi soggetto del proprio destino, e non più
oggetto di una sfortunata sorte. Protagonista e non più vittima.
Di fatto gli incontri sono casuali ma la prosecuzione di un incontro è voluta.
A questo punto una donna potrebbe anche decidere di rimanere con il suo uomo narciso, come scelta di vita consapevole.
Se una donna è abbastanza forte e sicura per accettare (e non subire), questo tipo di compagno, la vita può essere anche molto divertente.
E’ necessario, indubbiamente, raggiungere un grosso equilibrio interiore per avere a che fare con un narciso, un uomo straordinariamente
simpatico e brillante, affascinante e molto divertente che prima ti esalta e poi, subito dopo, ti svaluta.
È bello lasciarsi sedurre un po’ da lui, farsi corteggiare, stare al suo gioco senza però crederci troppo, non perché egli finga, tutt’altro, egli è il
primo a crederci, il problema è che si tratta di un atteggiamento del tutto temporaneo e non duraturo, è il senso della continuità che a lui manca,
perché nel momento stesso in cui egli sta corteggiando una donna, facendola sentire protagonista di una favola, probabilmente si sta già
guardando intorno per cercarne altre.
Per sopravvivere, insomma, con questa tipologia d’uomo, è necessario farlo entrare dalla “porta”, tenendo le “finestre” ben aperte (!), non
evitarlo perché i momenti con lui hanno del magnifico, quindi “vivere” sì le situazioni che si creano, ma cercare di non credere e soprattutto non
cedere alle sue lusinghe e … lasciarlo possibilmente solo sulla soglia del cuore …
Riferimenti bibliografici
1. Sigmund Freud (1909-1924): Opere voll. 6, 7, 8, 9, 10 – Edizione italiana - Torino 1989
2. A.P.A., Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Raffaello Cortina, Milano 2013
3. Otto Kernberg (1984): Disturbi gravi della personalità – Torino 1987
4. Heinz Kohut (1971): Narcisismo e analisi del Sé – Torino 1976
5. Herbert Rosenfeld (1971): L’accostamento clinico alla teoria psicoanalitica egli istinti di vita e di Morte: una ricerca sugli aspetti aggressivi
del narcisismo in Rivista di Psicoanalisi, 18, 47-67, 1972
6. Stefano Bolognini: L’empatia psicoanalitica – Torino 2002
7. Sandor Ferenczi (1909, 1931): Fondamenti di psicoanalisi, voll. 1 e 4 – Rimini 1974
8. Béla Grumberger (1971): Il narcisismo. Saggio di psicoanalisi – Torino 1998