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FABRIZIO MIGLIACCIO
I rapporti giuridico – patrimoniali tra conviventi more uxorio e la difesa delle parti cc.dd. deboli della
relazione: i contratti di convivenza ed il trust come possibili ed auspicabili modelli di tutela
SOMMARIO: 1. La vexata quaestio dei rapporti giuridico – patrimoniali tra conviventi more uxorio e
l’imprescindibile necessità di tutela delle parti, cc.dd. “parti deboli”. – 2. L’approccio europeo in tema di
unioni di fatto e gli orientamenti giurisprudenziali e delle istituzioni internazionali. – 3. I contratti di
convivenza ed il trust per la famiglia di fatto: una proposta de iure condendo ed una realtà de iure condito per il
superamento della “anomalia italiana”.
1. Il mutato contesto socio-culturale della società italiana negli ultimi quarant’anni1, in particolare dopo
l’approvazione della legge sul divorzio2 e di quella di riforma del diritto di famiglia 3, ha prodotto notevoli
conseguenze, tanto sul piano dei costumi, quanto su quello giuridico, occasionando, in particolare, la
formazione di unioni stabili tra uomo e donna che, pur se non uniti dal vincolo del matrimonio, di quest’ultimo
ricalcano sostalzialmente il modello4.
Si fa riferimento alla c.d. «famiglia di fatto», o more uxorio, che da autorevole dottrina è stata definita come
«una convivenza tra due soggetti, caratterizzata dall’affectio coniugalis dell’uno verso l’altro, tesa a dar vita ad una
stabile comunione di vita e di interessi, la quale travalica l’esistenza di una mera relazione affettiva, sí da
configurare una unione, in cui i conviventi si assistono reciprocamente, similmente a quanto accade in costanza
di matrimonio»5.
Valicato il concetto di concubinato – che segna un (parziale) superamento del giudizio di contrarietà al buon
costume presente nel tessuto sociale del nostro Paese6 – infatti, la rilevanza giuridica del fenomeno della
Cfr., S. ROSSI, La famiglia di fatto nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, in http://www.forumcostituzionale.it.
Ex multis, P. PERLINGIERI, Aspetti civilistici della separazione e del divorzio, in ID. (a cura di), Rapporti personali nella famiglia, pag.
207; L. ROSSI CARLEO, La separazione e il divorzio, in M. BESSONE, Il diritto di famiglia, I, pag. 161 e ss.; G. GIUSTI, Legge 1
dicembre 1970, n. 898, in Commentario al codice civile, a cura di P. Cendon, Milano, 2009, pag. 765 e ss.; A. ANCESCHI, Separazione
personale dei coniugi, in Dig. Civ. Aggiorn., Torino, 2012, pag. 916 e ss..
3 Cfr., sulla legge 19 maggio 1975, n. 151, tra gli altri, G. CIAN, Sui presupposti storici e sui caratteri generali del diritto di famiglia
riformato, in Comm. Rif. Dir. Fam., CARRARO, OPPO, TRABUCCHI, I, Padova, 1977, pag. 24 e ss M. BESSONE e V. ROPPO, Il
diritto di famiglia. Prospettiva storica, disciplina costituzionale, lineamenti della riforma, Torino, 1979; V. SCALISI, La “famiglia” e le
“famiglie”, in La riforma del diritto di famiglia dieci anni dopo. Bilanci e prospettive, Padova, 1986, pag. 273 e ss..
4 P. PERLINGIERI e F. PROSPERI, Famiglia e rapporti parentali, in P. PERLINGIERI e AA.VV., Manuale di diritto civile, Napoli, 2013,
p. 1136 e ss.
5 Così, T. BONAMINI, Sull’arricchimento senza causa tra conviventi more uxorio, in Fam. pers. succ., 2011, 5, p. 361. La bibliografia
sulla c.d. famiglia di fatto, inoltre, è davvero monumentale. Tra i contributi piú significativi: A. TRABUCCHI, Natura, legge,
famiglia, in Riv. dir. civ., 1977, I, p. 1 ss.; F. PROSPERI, La famiglia non “fondata sul matrimonio”, Napoli-Roma, 1980; F.
GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, cit.; P. PERLINGIERI, La famiglia senza matrimonio tra l’irrilevanza giuridica e
l’equiparazione alla famiglia legittima, in Rass. dir. civ., 1988, p. 601 ss.; F. D’ANGELI, La famiglia di fatto, Milano 1989; ID., La
tutela delle convivenze senza matrimonio, Torino 1995; G. OBERTO, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Milano 1991; V.
POCAR e P. RONFANI, Coniugi senza matrimonio. La convivenza nella società contemporanea, Milano 1992, spec. p. 18 ss.; F.D.
BUSNELLI e M. SANTILLI, La famiglia di fatto, in Comm. CIAN, OPPO E TRABUCCHI, Padova, 1993, VI, 1, p. 757 ss.; G. DE
LUCA, La famiglia non coniugale. Gli orientamenti della giurisprudenza, Padova, 1996. Tra le opere piú recenti, A. SPADAFORA,
Rapporto di convivenza more uxorio e autonomia privata, Milano, 2001; E. MOSCATI e A. ZOPPINI (a cura di), I contratti di
convivenza, Torino, 2002; L. BALESTRA, La famiglia di fatto tra autonomia ed eteroregolametazione, in T. AULETTA (a cura di), Bilanci
e prospettive del diritto di famiglia a trent’anni dalla riforma, Milano, 2007, p. 65 ss.; V. ZAMBRANO, La famiglia di fatto. Epifanie
giuridiche di un fenomeno sociale, Milano, 2005; C.S. PASTORE, La famiglia di fatto, Torino, 2007; D. RICCIO, La famiglia di fatto,
Padova, 2007; S. ASPREA, La famiglia di fatto, 2, Milano, 2009; E. FALLETTI, Famiglia di fatto e convivenze, Padova, 2009; R.
TOMMASINI, La famiglia di fatto, in Tratt. dir. priv. Bessone, IV, Torino, 1999, p. 499 ss.; nonché, in prospettiva anche
europea, E. CALÒ, Le convivenze registrate in Europa. Verso un secondo regime patrimoniale della famiglia, Milano, 2000; F. BRUNETTA
D’USSEAUX e A. D’ANGELO (a cura di), Matrimonio, matrimonii, Milano, 2000; G. OBERTO, I diritti dei conviventi. Realtà e
prospettive tra Italia ed Europa, Padova, 2012.
6 P. PERLINGIERI e F. PROSPERI, Famiglia e rapporti parentali, in P. PERLINGIERI e AA.VV., ult. op. cit..
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convivenza more uxorio appare, oggi, a giudizio di chi scrive, del tutto induscutibile. La decisione di non
formalizzare il vincolo nell’orbita matrimoniale rientra pacificamente nell’ambito dell’autonomia privata,
nonché, ritengo, in quello più ampio dei diritti fondamentali della persona7. Il mutamento di orientamento
risulta, a nostro avviso, coerente con le scelte di fondo ispiratrici del nuovo assetto costituzionale che pone la
persona al centro dell’ordinamento. Del resto, anche la giurisprudenza costituzionale 8 ha offerto un notevole
contributo a sostegno di questa interpretazione, in quanto, da un lato, ha riconosciuto, nel tempo, la
meritevolezza9 della convivenza more uxorio – dato che le unioni di fatto vengono ricondotte tra le formazioni
sociali tutelate dall’art. 2 cost., all’interno delle quali l’individuo svolge la propria personalità 10 –; dall’altro,
perché, per espressa previsione costituzionale, di cui all’art. 30, «è dovere e diritto dei genitori mantenere,
istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio»11.
V’è da dire con estrema chiarezza, quindi, che siamo in presenza di tematiche che, nonostante, ormai, siano
sempre piú comuni nel vissuto quotidiano, stanno solo lentamente (anche se progressivamente) avendo un
riconoscimento giuridico sempre più intenso, nella auspicabile direzione, se non di equiparare totalmente la
famiglia di fatto a quella legittima, di offrirle, quantomeno, adeguata tutela giuridica12.
Pertanto, se da un lato i rapporti more uxorio sono diventati, ad oggi, un fenomeno sociale in costante
aumento13, situazioni giuridiche di fatto14 certamente non più trascurabili, dall’altro, viceversa, ad un aumento
Tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrate tra i diritti inviolabili, la Corte ha incluso,
senza dubbio, anche la libertà di contrarre matrimonio. Cfr., Sent. Corte Costituzionale n. 27 del 1969, ove vengano a
giustificarsi quelle misure legislative che «perseguono lo scopo di sollevare la donna dal dilemma di dover sacrificare il posto di lavoro per
salvaguardare la propria libertà di dar vita a una nuova famiglia o, viceversa, di dover rinunziare a questo suo fondamentale diritto per evitare la
disoccupazione». Così, proprio in forza di tale riconoscimento, il giudice costituzionale ha ritenuto che «l’assenza di vincolo
coniugale non possa essere legittimo requisito attitudinale per l‟accesso agli impieghi pubblici, poiché tale imposizione si tradurrebbe
indirettamente in una limitazione all’esercizio di diritti fondamentali quali, nella specie, oltre al diritto a contrarre matrimonio, quello a non
essere sottoposti ad interferenze arbitrarie nella vita privata». Cfr., sent. Cort. cost. n. 445 del 2002, in Consulta on line,
http://www.giurcost.org/decisioni/2002/0445s-02.html.
8 In sintesi si può sostenere che la giurisprudenza della Corte, pur riaffermando la posizione costituzionale di privilegio della
famiglia legittima, per effetto dell’enunciazione del favor matrimonii del primo comma dell’art. 29 Cost., confermato dal terzo
comma dell’art. 30 Cost., riconosce tuttavia che la lettura dell’art. 29 non permette di escludere «il valore di forme naturali
del rapporto di coppia diverse dalla struttura giuridica del matrimonio» quali la famiglia di fatto. Cfr., S. ROSSI, ult. op. cit.
9 Per quanto concerne la famiglia nella Costituzione, si veda C. GRASSETTI, I princípi costituzionali relativi al diritto familiare, in
Comm. sist. cost. it. Calamandrei e Levi, I, Firenze, 1950, p. 285 ss.; P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale
secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, 3ª ed., Napoli, 2006, p. 919 ss.; G. CATTANEO, La famiglia nella Costituzione, in Il
diritto di famiglia, I, p. 16 ss.; G. GIACOBBE, Il modello costituzionale della famiglia nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. civ., 2006, I, p.
481 ss..
10 V’è subito da dire che in diverse occasioni i giudici costituzionali hanno affrontato sia il problema del riconoscimento
giuridico delle convivenze moro uxorio, sia il profilo della possibile estensione a tali rapporti di talune norme dettate per la
famiglia legittima. In particolare, un mutamento radicale nei confronti della rilevanza giuridica di tali rapporti si è avuto con
la sentenza della Corte cost., 13 novembre 1986, n. 237 (in Foro it., 1987, I, c. 2353 ss.), nella quale la Consulta ha chiarito la
rilevanza giuridica della famiglia di fatto se posta in relazione all’art. 2 cost., quale formazione sociale nella quale si realizza e
si sviluppa la personalità dell’individuo. Il mutamento di indirizzo ha quasi dell’«epocale», se solo si considera che,
precedentemente a tale pronuncia, la convivenza more uxorio costituiva soltanto un mero rapporto di fatto, privo del
carattere della stabilità, suscettibile, quindi, di venir meno in qualsiasi momento e, dunque, improduttivo di quei diritti e
doveri reciproci nascenti dal matrimonio e propri della famiglia legittima. Sull’evoluzione della giurisprudenza costituzionale
in merito, si vedano anche le sentenze Corte cost., 7 aprile 1988, n. 404; Corte cost., 26 maggio 1989, n. 310; e Corte cost.,
6 luglio 1994, n. 281, tutte in www. corte costituzionale.it. Piú di recente, cfr. al riguardo, A.G. ANNUNZIATA e R.F. IANNONE,
Dal concubinato alla famiglia di fatto: evoluzione del fenomeno, in Fam. pers. succ., 2010, 2, p. 131.
11 In realtà, a mio avviso, non può essere taciuto che per molti anni – soprattutto nel periodo precedente alla riforma del
diritto di famiglia – era diffuso un atteggiamento di totale «ostilità culturale» e chiusura verso il riconoscimento di una pur
minima tutela della famiglia di fatto. Per un excursus storico-sociale, P. UNGARI, Storia del diritto di famiglia in Italia (1749-1942),
Bologna, 2002.
12 P. PERLINGIERI, Sulla famiglia come formazione sociale, in P. PERLINGIERI (a cura di), Rapporti personali nella famiglia, Napoli,
1982, p. 39; F. GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983, p. 116 ss.
13 Sono ormai 500.000 le unioni libere. E l’incidenza delle nascite all'interno di queste famiglie è del 15%, il doppio rispetto
a 10 anni fa. Cfr., www.istat.it.
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esponenziale del loro numero, non è seguita – vuoi per ragioni di scelta politica, vuoi per una generale
“pigrizia” del Legislatore nel leggere i fermenti ed i cambiamenti della società contemporanea – un’adeguata,
corrispettiva (ed auspicabile) “offerta di tutela”, lasciando cristallizzate (ed insolute) nel tempo alcune
perniciose problematiche.
È innegabile, infatti, ed stato correttamente osservato 15, che nella c.d. famiglia di fatto, non diversamente da
quanto accade in quella fondata sul matrimonio16, la sussistenza di una relazione sentimentale stabile e il
trascorrere della vita in comune hanno necessariamente conseguenze giuridiche, tra le altre, anche di tipo
patrimoniale17.
L’argomento in questione, inutile sottolinearlo, si presta alle più svariate interpretazioni circa la miriade di
problematiche ivi sottese e, tutt’oggi, pressoché irrisolte.
Ritengo, in questo contesto, imprescindibile l’analisi, almeno, delle principali e più spinose questioni,
ovvero, la qualificazione giuridica delle elargizioni tra le parti e la determinazione del regime patrimoniale
applicabile ai beni acquistati durante la convivenza, nonché la tutela delle parti cc.dd. deboli del rapporto
(partner economicamente debole e relativa discendenza).
Per quanto concerne le attribuzioni patrimoniali a titolo gratuito effettuate dal convivente economicamente
«forte» a favore dell’altro, c.d. «debole» ed eventuale prole, bisogna osservare che v’è stata, a riguardo, una
lunga evoluzione che, nel tempo, ha qualificato e giustificato in vario modo tali operazioni. In particolare, esse
sono state considerate a lungo donazioni remuneratorie18; successivamente, a riguardo, s’è parlato di obbligo
morale-sociale, il cui adempimento determinava la rilevanza giuridica, permettendo di utilizzare lo schema
dell’obbligazione naturale19. Ancor più di recente, si è sollevata l’ipotesi secondo cui le elargizioni, effettuate ai
fini della vita comune, sarebbero elementi costitutivo-caratterizzanti della famiglia di fatto e non adempimento
di un dovere preesistente20.
Tuttavia, è solo a partire dal secondo dopoguerra che la giurisprudenza italiana ha incominciato, seppur
lentamente, a cambiare orientamento ed a configurare un vero e proprio dovere morale di assistenza tra i
conviventi, tale da giustificare le elargizioni fatte da un soggetto all’altro o le spese affrontate per la vita
comune, secondo lo schema tipico dell’obbligazione naturale ex art. 2034 c.c.21.
Più di recente, viceversa, si è affermato un ulteriore, nuovo indirizzo, secondo cui, benché nella convivenza
more uxorio non si dovrebbe parlare di doverosità – non sussistendo una fattispecie generatrice di doveri come
nel matrimonio civile – la reciproca assistenza e contribuzione alla vita comune sarebbero elementi costitutivocaratterizzanti della fattispecie famiglia di fatto22. Secondo tale teoria, quindi, la mancanza di un vincolo legale
Da non confondersi, quindi, con i cc.dd. rapporti contrattuali di fatto. Cfr., sullo specifico argomento, F. GAZZONI, Manuale
di diritto civile, XVI ed., p. 865 e ss..
15 L. BALESTRA, La famiglia di fatto, in G. FERRANDO (a cura di), Il nuovo diritto di famiglia, II, Bologna, 2008, p. 1047.
16 Tuttavia, è innegabile il principio di favor cui è ispirato il nostro ordinamento nei confronti della famiglia fondata sul
matrimonio, improntato, dopo la riforma del diritto di famiglia, all’uguaglianza formale e sostanziale dei coniugi. A
proposito, si veda, tra gli altri, L.V. MOSCARINI, Parità coniugale e governo della famiglia, Milano, 1975; P. PERLINGIERI,
Sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, in ID. (a cura di), Rapporti personali nella famiglia, cit., p. 13 ss.; F. RUSCELLO,
«Appartenenza» e «amore». La fedeltà coniugale tra sacre scritture e codice civile, in Dir. fam., 2011, p. 286 ss.; M. PARADISO, I rapporti
personali tra coniugi, 2ª ed., Milano, 2012.
17 Tra gli altri, M. BIN, Rapporti patrimoniali tra coniugi e principio di uguaglianza, Torino, 1971; R. PERCHINUNNO, Le obbligazioni
nell’«interesse familiare», Napoli, 1982; E. QUADRI, Profili attuali del dovere di contribuzione, in Familia, 2004, p. 475 ss.; A. TESTA,
Rapporti patrimoniali tra coniugi e famiglia nell’evoluzioneinterpretativa della riforma del diritto di famiglia, Milano, 2010; G.A. PARINI,
Violazione dei doveri coniugali e responsabilità da break down coniugale, in Rass. dir. civ., 2011, p. 487 ss..
18 Ex multis, A. MAZZOCCA, Rapporti patrimoniali tra coniugi e tra conviventi, Milano, 1994.
19 Tra gli altri, L. BALESTRA, La famiglia di fatto , in G. FERRANDO, op. cit..
20 Cosí, A.G. ANNUNZIATA e R.F. IANNONE, Dal concubinato alla famiglia di fatto: evoluzione del fenomeno, in Fam. pers. succ., 2010,
p. 131 ss..
21 In dottrina, in questi termini, F. GAZZONI, Manuale cit., p. 129; P. PERLINGIERI, Le vicende dell’obbligazione naturale, in Riv.
dir. civ., I, 1969, p. 357; Sull’obbligazione naturale in particolare, si veda, M.A. CIOCIA, L’obbligazione naturale. Evoluzione
normativa e prassi giurisprudenziale, Milano, 2000, spec. p. 23 ss..
22 Cfr., L. BALESTRA, La famiglia di fatto, in I grandi orientamenti della giurisprudenza civile e commerciale, 2004, pag. 66 e ss..
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tra la coppia impedirebbe la nascita di veri e propri obblighi giuridici, in quanto per poter parlare di famiglia in
senso stretto, sarebbe necessario che i doveri contenuti nel codice civile si concretizzino costantemente in
comportamenti conformi23.
Circa, invece, la determinazione del regime patrimoniale applicabile ai beni acquistati durante la convivenza,
occorre evidenziare quanto segue. L’esigenza di tutelare il convivente debole – nonché la relativa ed eventuale
discendenza –, la circostanza, affatto trascurabile, che la convivenza more uxorio abbia gli stessi contenuti del
matrimonio (nonché, aggiungerei, il probabile apporto di entrambi i conviventi ai fini degli acquisti effettuati
nel corso della vita in comune), ha indotto, sin dagli anni ottanta del secolo scorso, una certa dottrina e
giurisprudenza24, a ritenere che tra i medesimi potesse applicarsi il regime la comunione legale dei beni, in
maniera non dissimile da quanto avviene nel matrimonio civile.
Secondo il citato indirizzo, dunque, si riteneva dovessero applicarsi, in via analogica, gli artt. 177 e ss. c.c.,
onde evitare il vizio di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost.25.
Tale orientamento può ritenersi, tuttavia, ormai ampiamente superato ed il problema principale su cui ci
pare opportuno soffermare maggiormente la nostra attenzione appare quello relativo alla (presunta) efficacia
esterna della (ipotetica) comunione dei beni tra conviventi26.
In questa circostanza, la giurisprudenza27 ha concorso a fugare ogni dubbio, affermando che, per quanto la
convivenza more uxorio sia un fenomeno giuridicamente rilevante, non è assimilabile alla famiglia legittima e che
il regime di comunione legale può riferirsi soltanto a un nucleo familiare organizzato, stabile e non suscettibile
di scioglimento meramente consensuale, mediante recesso ad nutum, e, per l’effetto, non è possibile
l’applicazione analogica degli artt. 177 ss. c.c.28.
Successivamente, viceversa, a seguito di una nuova interpretazione giurisprudenziale, si è iniziato a ritenere
possibile che l’acquisto compiuto da uno solo dei conviventi possa estendersi all’altro per effetto di altri, singoli
istituti, quali, ad esempio, la donazione indiretta o la simulazione, con o senza interposizione di persona29.
Cfr., A.G. ANNUNZIATA e R.F. IANNONE, Dal concubinato alla famiglia di fatto: evoluzione del fenomeno, in Fam. pers. succ., 2010,
p. 134 e ss..
24 F. PROSPERI, La famiglia non fondata sul matrimonio, Napoli, 1980 e Trib. Bari 21.1.1997 in Giur. it. 1999, 254 o Pret. Torino
17.3.1988, in Dir. fam. pers., 1990, II, pag. 1314, secondo cui «in caso di convivenza more uxorio, in prospettiva di matrimonio,
ciascun bene mobile apportato dai partners per lo svolgimento della vita comune debba considerarsi conferito in comunione
pro indiviso».
25 A sostegno della tesi dell'applicazione analogica degli artt. 177 e ss. si aggiungeva che la comunione legale è uno dei più
importanti elementi di novità della riforma del diritto di famiglia del 1975 e fa parte degli strumenti utilizzati per perseguire
la parificazione tra uomo e donna all'interno della comunità familiare. Cfr., App. Firenze 12.2.1991, in Dir. fam. 1992, 633:
«l'assenza nella disciplina della comunione legale, dello scopo di protezione di esigenze fondamentali e irrinunciabili del
coniuge, e l'assegnazione della stessa al settore individualistico dei rapporti coniugali sono confermate dal rilievo che il
legislatore, se ha manifestato una preferenza di ordine generale nei confronti della comunione, tuttavia ha lasciato ai coniugi
la possibilità di derogare ad essa e di optare per il regime di separazione dei beni con una convenzione matrimoniale (...), o
con una scelta del regime di separazione (...), oppure, infine con un mutamento convenzionale del regime patrimoniale,
senza bisogno di un'autorizzazione giudiziale ad hoc».
26 Tuttavia, mancando un vincolo formalizzato, ma soprattutto pubblicizzato, il regime legale - ribadiamolo - non è
opponibile ai terzi, venendo così meno una delle caratteristiche fondamentali della comunione tra coniugi.
27 Per la precisione, la giurisprudenza ha in un primo momento escluso l'operare del regime legale ipotizzando però che
l'acquisto compiuto durante la convivenza potesse assumere le caratteristiche di un affare familiare. Si riteneva infatti
ragionevole presumere che i mezzi utilizzati per il negozio fossero di ambito familiare, anche nei casi in cui risultasse un
unico acquirente. Cfr., Trib. Bari 31.1.1977 in Giur. it. 1977, I, pag. 254, in cui si legge «l'acquisto di bene immobile
compiuto durante la convivenza finisce con l'assumere tutte le connotazioni sociali e psicologiche di un affare familiare,
fatto con mezzi appartenenti a entrambi i soggetti».
28 I conviventi more uxorio potrebbero, dunque, “imitare” con un contratto la comunione legale, ma si tratterebbe di un
vincolo meramente obbligatorio. Si veda, infra, paragrafo 3.
29 Per dare atto di tale evoluzione, possiamo, per esempio, citare la sentenza del Tribunale di Pisa 20.1.1988 in Dir. fam.
1988, pag. 1039: nella fattispecie il convenuto, in precedenza convivente con l'attrice, aveva investito una cifra consistente
nell'acquisto a proprio nome di un appezzamento di terreno e nella costruzione in tale luogo di un immobile; la donna
chiedeva al giudice di riconoscere che in quell'acquisto era compreso il suo contributo di lavoro domestico e retribuito,
nonché la sua assistenza morale e materiale, e che di conseguenza il bene acquisito apparteneva a entrambi. Il Tribunale,
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Cionondimeno, ad oggi, preferiamo ritenere non strettamente applicabile il regime legale di comunione alle
situazione more uxorio, ed i beni acquistati durante la convivenza, valutando più corretto considerarli di proprietà
esclusiva del soggetto acquirente - anche e soprattutto per un generale principio di affidamento del terzo in
buona fede -, salvo che i conviventi, nell’esercizio della propria autonomia privata, abbiano acquisito
congiuntamente il medesimo bene30.
Detto ciò, non di rado, inoltre, potrebbe porsi l’esigenza di tutelare il convivente non intestatario, nel caso
in cui l’acquisto determini un suo impoverimento e, più in generale, rendendo necessario tutelare il partner che
abbia subito un sacrificio patrimoniale non sorretto o non più sorretto da giusta causa 31.
Parte della dottrina32, cui sentiamo di concordare, ha sostenuto che sarebbe possibile far ricorso all’istituto
dell’arricchimento senza causa, laddove si verificassero vantaggi economici ingiustificati in favore di un
convivente, mediante la collaborazione dell’altro33.
Infine, la vexata quaestio della tutela giuridico-patrimoniale del convivente debole more uxorio e della relativa
prole nata fuori dal matrimonio, situazione che, inutile tacerlo, non può più considerarsi di residuale
importanza. A differenza, infatti, di quanto accade nel matrimonio civile - la cui causa concreta, ovvero la
«funzione economico-individuale» del negozio 34, risulta essere adeguatamente tutelata attraverso la previsione
tuttavia, escludeva la possibilità di applicare le norme in materia di comunione legale tra i coniugi, così argomentando: «ove
si estendesse il regime della comunione legale alla famiglia di fatto, proprio la mancanza del dato formale – matrimonio –
che solo può renderne certa e pubblica l'esistenza, impedirebbe la possibilità di opporre ai terzi tale regime». Prosegue
superando anche i dubbi di illegittimità costituzionale, sempre sostenuti da quell'orientamento minoritario a cui facevamo
riferimento all'inizio del paragrafo: «seppure è indubbia la valorizzazione dell'art. 2 Cost., e la conseguente rilettura della
disciplina codicistica della famiglia alla luce dei principi ivi contenuti (...) non sembra giustificabile l'affermata pretesa
incostituzionalità di certe norme del codice (...): innanzitutto, perché trattasi di due posizioni non del tutto omogenee (...) e
poi perché un processo di assimilazione della famiglia di fatto alla famiglia legittima si risolverebbe in un inammissibile
appiattimento di quest'ultima (...), in un'innaturale tipizzazione di un fenomeno caratterizzato da un'estrema variegatezza di
figure e da un'assoluta atipicità dei contenuti», in conclusione quindi «la convivenza more uxorio, fenomeno sine ullo dubio
giuridicamente rilevante, non legittima, tuttavia (...) un'assimilazione alla famiglia legittima, né tantomeno l'applicazione
analogica del regime patrimoniale legale per questa dettato, con particolare riferimento alla disciplina degli acquisti (artt.
177-194 c.c.)». Quanto, poi, alla possibilità di utilizzare schemi diversi da quello della comunione legale per giustificare la
comproprietà, il Tribunale escludeva chiaramente la configurazione di un affare familiare, richiamando la precedente
sentenza Trib. Bari 21.1.1977, in cui tale teoria era stata elaborata; escludeva, inoltre, anche la figura della donazione
indiretta, ammettendo, invece, la possibilità di far riferimento a schemi simulatori. Alle medesime conclusioni giungeva il
successivo grado di giudizio. Anche la Corte d'Appello di Firenze escludeva, infatti, la possibilità di applicare gli artt. 177 e
ss. c.c. e quella di configurare un affare familiare o una donazione indiretta: «il regime di comunione legale non può essere
applicato in via di interpretazione analogica alla famiglia non fondata sul matrimonio, per la quale potrà, invece, parlarsi di
comunione ordinaria sui singoli beni ove i conviventi more uxorio, in sede di regolamento dei loro rapporti patrimoniali,
abbiano, nel pieno esercizio dell'autonomia privata, stabilito di far risultare formalmente, al momento della stipulazione,
l'acquisto congiunto» Corte App. Firenze 12.2.1991 in Dir. fam. 1992, pag. 633.
30 Perché ciò avvenga sarà certamente necessaria la cointestazione degli immobili, mentre, per i beni mobili, alcuni autori
ipotizzano la presunzione di comproprietà o comunque la possibilità di desumere la proprietà condivisa dalle circostanze in
cui è stato effettuato l’acquisto. Cfr., F. GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983.
31 Cfr., Trib. Milano 5.10.1988, in Lavoro80, 1989, pag. 206. Secondo la giurisprudenza la semplice decisione di vivere
insieme non può essere “giusta causa” delle attribuzioni fatte da un convivente all’altro. Per stabilire quale possa essere la
tutela del soggetto impoveritosi sarà necessaria una valutazione ex post delle motivazioni della prestazione effettuata: infatti,
l’attività del soggetto poteva essere sorretta da giusta causa al momento del compimento, sul presupposto della sussistenza
di un rapporto affettivo destinato a durare per l'intero corso della vita, ma perdere giustificazione nel momento in cui la
famiglia di fatto si dissolve.
32 F.D. BUSNELLI, M. SANTILLI, La famiglia di fatto, in Comm. dir. it. fam. CIAN, OPPO E TRABUCCHI, VI, 1, Padova, 1993, p.
757; G. OBERTO, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Milano, 1991, p. 106 ss.
33 Cosicché, in questi casi, non sarebbe sufficiente – al fine di garantire tutela al partner economicamente debole e l’eventuale
prole nata fuori dal matrimonio – la disciplina relativa alle obbligazioni naturali e alle donazioni, rimuneratorie e semplici.
34 Sulla nozione di causa in concreto, in dottrina, P. PERLINGIERI e A. FEDERICO, Causa, in P. PERLINGIERI e AA.VV.,
Manuale di diritto civile, Napoli, 2013, p. 488 ss.; S. PUGLIATTI, Nuovi aspetti del problema della causa nei negozi giuridici, in ID.,
Diritto civile, Metodo-teoria-pratica, Milano, 1951, p. 75 ss; C. SCOGNAMIGLIO, Problemi della causa e del tipo, in G. VETTORI (a cura
di), Tratt. contratto V. ROPPO, II, Milano, 2006, p. 88 ss.; G. ALPA, La causa e il tipo, in E. GABRIELLI (a cura di), I contratti in
generale, I, in Tratt. RESCIGNO E GABRIELLI, 2ª ed., Torino 2006, p. 550 ss.; di recente M. GIROLAMI, L’artificio della causa
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di una disciplina ad hoc -, i rapporti more uxorio, privi di qualsivoglia tutela tipica, ma, nondimeno, da un lato,
legámi dall’indubbio valore esistenziale35 e, dall’altro, (potenzialmente) fonti di obbligazioni ai sensi ed agli
effetti dell’art. 1173 c.c., sono suscettibili di dar luogo – specie, mutatis mutandis, nel momento conclusivo del
rapporto di coppia – a situazioni di notevole debolezza, che possono recare forte pregiudizio, se non
nocumento, ai soggetti deboli del rapporto ed alla relativa discendenza36.
Rebus sic stantibus, il nostro ordinamento – ricco, a riguardo, anche di ulteriori problematiche (si pensi, solo
per fare qualche esempio, alla questione della reversibilità delle pensioni37, alla trasmissibilità del diritto di
abitazione38, ovvero, più in generale, alle vicende successorie in casi di convivenza more uxorio)39 –,
tendenzialmente privo di una disciplina generale della famiglia di fatto, risulta particolarmente esposto a
situazioni, per così dire, di estrema criticità.
Pertanto, come vedremo di seguito nel presente contributo40, a tutela di questi contesti, sarebbe auspicabile,
a parere di chi scrive, un duplice ordine di strumenti di tutela, non necessariamente alternativi: da un lato,
l’utilizzo, de iure condito, di istituti che, seppur non espressamente tipizzati, sono già presenti nel nostro
ordinamento ed intensamente utilizzati nella prassi professionale 41; dall’altro, l’intervento del legislatore, che
superi le numerose ritrosie politiche a riguardo e tenga conto di chi, in dottrina, de iure condendo, propugna
l’introduzione (stabile) degli accordi tra conviventi42, anche in considerazione di una nuova e condivisibile
concezione «funzionale» della famiglia, espressa a livello internazionale, essenzialmente centrata sul c.d. primato
del rapporto43, che ha influenzato, ed ancora adesso sta ispirando, il diritto degli altri ordinamenti europei44.
contractus, Padova 2012, p. 62 ss.; in giurisprudenza: Cass., 8 maggio 2006, n. 10490, in Rep. Foro it., 2006, voce Contratto in
genere, n. 438; nonché in Corr. giur., 2006, p. 1718, con nota di F. ROLFI, La causa come funzione “economico-sociale”: tramonto di un
idolum tribus?; in Contratti, 2007, p. 621 ss., con nota di F. RIMOLDI, La causa quale ragione in concreto del singolo contratto; in
Rass. dir. civ., 2008, p. 564 ss., con nota di F. ROSSI, La teoria della causa concreta e il suoi esplicito riconoscimento da parte della
Suprema Corte. Sottolinea la massiccia presenza della causa concreta nelle motivazioni di sentenze, di merito e di legittimità,
di àmbiti più disparati, V. ROPPO, Causa concreta: una storia di successo? Dialogo non reticente, né compiacente con la giurisprudenza di
legittimità e di merito, in Riv. dir. civ., 2013, 4, p. 957; S. PAGLIANTINI, La c.d. risoluzione per causa concreta irrealizzabile, in Riv. not.,
2010, p. 1211 ss.; R. ROLLI, Causa in astratto e causa in concreto, Padova, 2008; M. MARTINO, L’expressio causae. Contributo allo
studio dell’astrazione negoziale, Torino, 2012; V. ROPPO, Causa concreta: una storia di successo? Dialogo (non reticente, né compiacente)
con la giurisprudenza di legittimità e di merito, in Rivista di diritto civile , 4/2013, pag. 957 e ss..
35 Cfr., A. TRABUCCCHI, Istituzioni di diritto civile, Cedam edizioni, pag. 250.
36 Per i genitori sussiste, pertanto, la medesima responsabilità genitoriale per la prole nata fuori ed all’interno della famiglia
legittima. Cfr., P. STANZIONE, Diritti fondamentali dei minori e potestà dei genitori, in Rass. dir. civ., 1980, p. 446 ss.; G. L ISELLA,
Usufrutto legale e contribuzione filiale al mantenimento della famiglia, Napoli, 2003.
37 Sullo specifico tema, uniforme la giurisprudenza costituzionale. Cfr., ex multis, ordinanza del 3 novembre 2000, n. 461;
ordinanza della Corte costituzionale 14 novembre 2000 n. 491.
38 Cfr., ex plurimis, Corte Cost. 13 maggio 1998, n. 166, in Consulta on line, Periodico telematico ISSN 1971-9892; ancora,
sentenza Corte Costituzionale 21 ottobre 2005 n. 394, in Iurisdata 2013.
39 Sul punto, sulla c.d. «centralità della persona», si veda, V. BARBA, Recensione a V. VERDICCHIO, La circolazione dei beni di
provenienza donativa, Napoli, 2012, pp. 1-158, in Foro nap., 2014, 2, p. 717 s.
40 Infra, paragrafo 3.
41 Vale a dire, in ambito soprattutto notarile, il trust. Infra, paragrafo 3.
42 In tal senso, infra. Cfr., A. ZOPPINI, L’autonomia privata nel diritto di famiglia, sessant’anni dopo, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 213
ss.; G. AUTORINO STANZIONE, Autonomia negoziale e rapporti coniugali, in Rass. dir. civ., 2004, p. 1 ss.; L. BALESTRA, I contratti di
convivenza, in Fam. pers. succ., 2006, p. 43 ss.; M. COLELLA, Rapporti patrimoniali tra conviventi e uso dello strumento contrattuale, ivi,
2012, 11, p. 749; B. MARUCCI, Famiglia leegittima e famiglia «naturale»: un percorso verso la parificazione, Napoli, 2012. Su tale
argomento, si veda infra.
43 Cfr., V. SCALISI, Le stagioni della famiglia nel diritto dall’Unità d’Italia ad oggi, in Riv. dir. civ., 2013, 6, p. 1287, ove si legge,
tuttavia, che «le Corti europee hanno, tuttavia, lasciato sino ad ora irrisolta una delle questioni di fondo, la questione cioè
del che cosa (è famiglia), «che poi si identifica con il problema stesso della rigorosa individuazione del “contenuto
essenziale” del proclamato diritto di fondare una famiglia, senza di che riesce difficile non solo comprendere il da dove e il
verso dove (del correlativo principio), ma persino determinare i necessari strumenti e rimedi atti a garantirne la concreta ed
effettiva – come si dice – “messa in azione”». Per una risposta a tale ultimo quesito, si veda infra.
44 Infra, paragrafo 2.
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2. L’appena accennata impostazione pluralista e funzionale della “famiglia”, fondata sulla centralità del
“rapporto”, alla base delle più recenti prese di posizioni delle Corti di Strasburgo e Lussemburgo 45 - ovvero le
istituzioni che, mosse principalmente dall’esigenza di garantire una sempre maggiore effettività di tutela ai diritti
fondamentali, riteniamo più fortemente abbiano contribuito, sino a oggi, all’evoluzione del diritto di famiglia in
Europa46 - non è che il traguardo di un lungo tragitto giurisprudenziale 47 che ha influito non poco, vedremo,
dapprima sulle politiche europee, di poi sulle scelte di alcuni Stati continentali.
A livello internazionale, invero, è proprio grazie alla lunga marcia solcata dalle pronunzie giurisprudenziali48
dei giudici continentali – nonché attraverso l’attività degli organi legislativi europei con l’emanazione di atti
anche non giuridicamente vincolanti come raccomandazioni e risoluzioni – che i diritti, soprattutto
patrimoniali, di individui non uniti in matrimonio, hanno ricevuto riconoscimento e adeguata tutela a dispetto
del fatto che la legislazione dello Stato di appartenenza (o di residenza) non prevedesse alcuna disciplina in
materia.
In particolare, mi sia consentito evidenziare quanto segue. Risulta incontrovertibile che l’Unione europea
abbia, da sempre, manifestato una posizione favorevole e di decisa apertura verso le unioni di fatto, cercando di
Cfr., Sentenza Cedu 24/06/10, Shalk e Kopf c. Austria; nonché, sentenza CGCE 07/01/04, C-117/01.
Cfr., V. SCALISI, ult. op. cit..
47 L’orientamento dei Giudici internazionali, infatti, è mutato nel tempo. Di seguito, alcune pronunzie difformi rispetto
all’orientamento attuale. Con la sentenza 17 giugno 1993, causa T-65/92, Arauxo-Dumay, il Tribunale ha deciso del ricorso
presentato dalla signora Monique Arauxo-Dumay, vedova di Louis Dumay, ex dipendente della Commissione delle
Comunità europee, contro la Commissione delle Comunità europee, ed avente ad oggetto la domanda di annullamento
della decisione con cui la Commissione negava la concessione di una pensione di reversibilità. Ad avviso del Tribunale, i
termini “coniuge”, “vedova” e “moglie”, sia nella loro definizione giuridica che nella loro accezione comune, sono riferiti a
soggetti che abbiano formalmente contratto un “matrimonio” civile riconosciuto dall’ordinamento, con tutti i diritti e gli
obblighi che ne derivano. Ciò precisato con riferimento al caso concreto, il Tribunale, pur consapevole del contesto sociale
nel quale il ricorso è stato proposto, non si è ritenuto competente ad estendere l’interpretazione giuridica dei termini precisi
utilizzati nello Statuto, al fine di far rientrare nella nozione di “matrimonio” situazioni di convivenza o di unioni di fatto,
ovvero nella nozione di “coniuge” o di “moglie” la situazione di un(a) “convivente”. Questa lettura restrittiva della nozione
di coniuge, strettamente ancorata al tenore letterale della disposizione, è stata confermata nella sentenza 17 aprile 1996,
causa C-59/85, Reed, in cui la Corte di giustizia ha affrontato una serie di questioni vertenti sull’interpretazione degli artt. 7
e 48 del Trattato CEE, e dell’art. 10 del Regolamento n. 1612 del 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori
nell’ambito della Comunità, questioni sorte in occasione di una lite avente ad oggetto il rigetto, da parte del Segretario di
stato alla giustizia, della domanda di permesso di soggiorno presentata dalla signora Reed in quanto compagna di un
lavoratore cittadino di un altro Stato membro.
Con l’ultima delle tre questioni sollevate, il giudice olandese chiedeva, poi, alla Corte se l’art. 10, n. 1, prima frase e lett. a),
del regolamento n. 1612/68 dovesse essere interpretato nel senso che, a determinate condizioni, il compagno che abbia una
stabile relazione col lavoratore di cui a tale disposizione viene equiparato al “coniuge”. La Corte ha risposto che, avendo il
regolamento portata generale, essendo esso obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente efficace in ciascuno degli
Stati membri, ed avendo quindi la sua interpretazione conseguenze in tutti gli Stati membri, l‟interpretazione di nozioni
giuridiche basata sull’evoluzione della società deve essere effettuata esaminando la situazione nel complesso della
Comunità, non già quella di un solo Stato membro. L’art. 10, n. 1, del Regolamento n. 1612/68 attribuisce a determinati
membri della “famiglia” del lavoratore, ivi compreso il “coniuge”, qualunque sia la loro cittadinanza, “il diritto di stabilirsi
con il lavoratore cittadino di uno Stato membro occupato sul territorio di un altro Stato membro”: la Corte ha, dunque,
ritenuto che in mancanza di qualsiasi indizio di un’evoluzione sociale di carattere generale atta a giustificare
l’interpretazione estensiva, e in mancanza di qualsiasi indizio in senso contrario nel Regolamento, usando la parola
“coniuge”, l’art. 10 del Regolamento si riferiva unicamente al rapporto basato sul matrimonio e non poteva essere
interpretato nel senso che il compagno che abbia una relazione stabile col lavoratore cittadino di uno Stato membro
occupato nel territorio di un altro Stato membro deve essere equiparato, a determinate condizioni, al “coniuge” di cui a
detta disposizione.
48 Si pensi, ad esempio, alla sentenza della Corte di giustizia del 7 gennaio 2004 (causa c – 117/1), in Iurisdata, 2009, in virtù
della quale quel che maggiormente è stato tenuto in considerazione nella valutazione della Corte di giustizia è stato l’art.
1213 della Convenzione europea del 1950 sulla salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali della persona umana.
45
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garantire alle famiglie more uxorio gli stessi diritti che l’ordinamento giuridico riconosce alla famiglia fondata sul
matrimonio49.
Ciò nondimeno, occorre precisare che, nonostante le istanze giurisprudenziali a riguardo, i legislatori degli
Stati membri dell’Unione europea, se da un lato, pur avendo equiparato, per certi aspetti, lo status dei conviventi
e lo status dei coniugi (e pur avendo riconnesso alle unioni civili registrate taluni effetti tipici del diritto di
famiglia), dall’altro – vuoi in virtù della circostanza che l’Unione europea non ha una specifica competenza in
materia di famiglia50, di matrimonio o di unioni civili ed agisce esclusivamente in base al principio delle
competenze di attribuzione per realizzare gli obiettivi stabiliti nei Trattati 51 -, i medesimi si sono ben guardati
dall’utilizzare il termine “famiglia” in riferimento al regime di convivenza.
Questo, con ogni probabilità, anche in considerazione del fatto che, a livello europeo, la nozione di
famiglia52 non necessariamente coincide con quella legittima, potendo ricomprendersi in essa, in quanto stabile,
anche quella naturale, come quella che si crea in una unione di fatto dovuta alla mancanza, nella disciplina dello
Stato, del divorzio e che si sia concretata nella stabile coabitazione tra i partners53.
Ciò premesso, dunque, è altresì innegabile che, quanto agli Stati membri dell’Unione europea, una netta
distinzione, in ordine al recepimento delle sollecitazioni di natura legislativa e giurisprudenziale, deve esser fatta
fra i Paesi del nord Europa e i Paesi mediterranei o, quantomeno, dei quali, gli uni, hanno puntualmente dato
seguito alle esortazioni delle Istituzioni europee, mentre gli altri registrano, ancor’oggi, un pesante ritardo
nell’attuazione di quanto auspicato dalla accennata “sensibilità” europea54.
49
Cfr., A. L. VALVO, Il contributo della normativa europea in materia di unioni di fatto, in Rivista della Cooperazione Giuridica
Internazionale, 44, 2013, p. 9 e ss.. Si vedano, in tal senso, la Risoluzione del Parlamento europeo (A3 0028/94) dell’8 febbraio
1994 sulla parità dei diritti per gli omosessuali nella Comunità o la Risoluzione del Parlamento europeo del 16 marzo 2000
C5-0058/1999 - 1999/2064 (COS) sul rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali nell’Unione europea, con la quale il
Parlamento riconfermava la necessità di garantire pari diritti alle famiglie monoparentali, alle coppie di fatto e alle coppie
omosessuali in modo particolare per quel che riguarda la legislazione fiscale, il regime patrimoniale e i diritti sociali. Ed
ancora, specificamente per quanto riguarda le unioni fra persone dello stesso sesso, la Risoluzione del Parlamento europeo
del 4 settembre 2003 sul riconoscimento dei matrimoni fra omosessuali e sul riconoscimento della facoltà di adottare figli
da parte delle coppie omosessuali e, sempre sullo stesso tema, la Risoluzione del Parlamento europeo dell’8 febbraio 2008.
50 «Eccezion fatta, ma entro certi limiti e a certe condizioni, per la cooperazione giudiziaria in materia civile nell’ambito della
quale il Consiglio può adottare atti normativi in materia di diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali e facendo
ricorso alla procedura legislativa speciale». Così, A. L. VALVO, ult. op. cit..
51 «In ragione di tale principio, e a parte la possibilità per l’Unione di agire in via sussidiaria, determinate competenze (la più
gran parte), come quelle in materia di matrimonio e diritto di famiglia, rimangono in capo agli Stati membri. Sotto tale
specifico profilo, appare emblematica la sentenza Maruko c. Versorgunsanstalt der deutschen Bühnne (Caso C-267/06) con la
quale la Corte di Giustizia, pur ribadendo la necessità di rispettare il principio di non discriminazione, rinvia allo Stato
nazionale la decisione sulla concessione di diritti sociali a persone dello stesso sesso legate da una unione registrata,
rispettando in tal modo la competenza degli Stati membri in materia di stato civile e i diritti e le prestazioni da esso
derivanti. La decisione in oggetto, dunque, rileva esclusivamente rispetto agli Stati che in qualche misura prevedono una
qualsivoglia forma di riconoscimento delle coppie formate da persone dello stesso sesso mentre non esplica alcun effetto
rispetto agli Stati le cui legislazioni nulla dispongono in materia. Conclusivamente sul punto, occorre ribadire che in tema di
unioni non fondate sul matrimonio, la Corte ha continuato a distinguere la posizione del coniuge e la posizione del
convivente negando una equiparazione dei due status sia sotto il profilo formale che sotto il profilo sostanziale, e ha basato
le sue pronunce sul principio di non discriminazione in base al quale, com’è noto, situazioni simili devono essere trattate in
modo uguale e le situazioni diverse in modo differente; in difetto, e in mancanza di adeguate giustificazioni, il trattamento
deve essere considerato discriminatorio». A. L. VALVO, ult. op. cit..
52 Pur mancando una definizione esplicita, riteniamo che per famiglia debba intendersi un organismo che presuppone una
coabitazione stabile e lecita di due persone legate da un matrimonio, che necessita, in quanto tale, della protezione garantita
dall’art. 8 Conv. eur., anche nell’ipotesi in cui tale vincolo non abbia ricevuto un riconoscimento giuridico, perché uno dei
coniugi non è cittadino dello Stato.
53 Invero, la nozione di famiglia, secondo l’art. 8 Conv. eur. non si limita, quindi, alle sole relazioni basate sul matrimonio e
può includere altri legami «familiari» de facto, quando gli individui convivano al di fuori del matrimonio. Ne consegue, tra
l’altro, che un bambino, nato da una relazione, si inserisce di pieno diritto in tale nucleo «familiare» dalla sua nascita, per il
solo fatto di essere nato. Esiste, quindi, tra il bambino e i suoi genitori un legame costitutivo di una vita familiare anche se,
all'epoca della sua nascita, i genitori non vivevano più insieme o se la loro relazione era finita.
54 Cfr., A. L. VALVO, ult. op. cit..
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Tra questi ultimi, un discorso a parte merita, purtroppo, l’Italia, per la quale mi sia consentita una breve,
quanto amara digressione. Nel Belpaese (?), infatti, una soluzione organica (ovvero, una legge sulle unioni civili,
ad esempio) alle tematiche sin qui esposte, ancora, non è stata (scientemente?) trovata55. Tale anomalia – non
credo vi sia nulla di nuovo nella miei affermazioni a riguardo – ritengo sussista per ragioni squisitamente di
(lotta?) politica. Sono trent’anni e forse più, infatti, che nel nostro Paese si lambisce il problema e si parla di
unioni civili, sotto le più svariate (e spesso infelici) sigle ed acronimi, con dibattiti (sterili) che non vedono mai
una sintesi e non portano, soprattutto, ad una benché minima soluzione a riguardo56.
Autorevole dottrina57, viceversa, ha osservato come alcuni Paesi del nord Europa – Finlandia, la Svezia, la
Norvegia e la Danimarca, per citarne alcuni – hanno adottato idonee misure che tengono in considerazione le
unioni di fatto anche per il tramite della istituzione di appositi registri in cui vengono trascritti dette relazioni.
La legislazione svedese, ad esempio, ha cancellato la differenza fra famiglia di fatto e famiglia fondata sul
matrimonio prevedendo un regime di tutela dei membri della coppia di fatto anche in materia ereditaria.
Non solo. In Germania, sin dal 2001 58, è stato introdotto l’istituto della convivenza registrata – la
ehegattensplitting, ovvero, «frazionamento della coppia matrimoniale» – alla quale si applica, sia pur solo in parte,
il regime giuridico previsto per le coppie unite in matrimonio dal punto di vista fiscale, contributivo,
assistenziale ed ereditario, nella misura in cui, sotto il profilo successorio, al convivente sono attribuiti gli stessi
diritti che per il “coniuge” discendono dal matrimonio 59.
In Belgio60, viceversa, per le unioni civili (senza alcun distinguo tra etero ed omosessuali) vale il principio
dell’autonomia privata61, a norma del quale le parti regolano i loro rapporti con atto notarile, sempre che le
Un “primato” che vede l’Italia in compagnia di Albania, Bielorussia, Bulgaria, Cipro, Lettonia, Lituania, Moldavia, Russia,
Polonia, Romania, Ucraina, Slovacchia, Serbia e Turchia.
56 Mi riferisco ai Pacs, i Dico e persino i Didore, ovvero a tutti quei tentativi di disciplinare la materia che, nelle varie
legislature, si sono susseguiti con un nulla di fatto. In realtà, prescindendo da qualsiasi giudizio politico, appare più che
lampante la mancanza di una volontà politica di risolvere la questione. Questo, in quanto, è altresì innegabile che una
maggioranza trasversale, da sinistra a destra, è – direi – alquanto ostile ad una soluzione legislativa che possa scontentare un
l’elettorato cattolico.
57 A. L. VALVO, ult. op. cit..
58 Cfr., Gesetz zur Beendigung der Diskriminierung gleichgeshlechtlicher Gemeinschaften: Lebenspartnerschaften, 21 febbraio 2001, in
Bundesgesetzblatt, 2001, I, p. 266. Questa normativa, in vigore dal 1 agosto 2001, “nacque” sotto la spinta della Corte
costituzionale tedesca, che pur avendo stabilito che non fosse configurabile un obbligo costituzionale volto a consentire il
matrimonio omosessuale, aggiunse che la presenza di situazioni di disparità fra coppie etero ed omosessuali avrebbe potuto
integrare una violazione del principio di uguaglianza. A riguardo, amplius, M. B. BARALDI, Le nuove convivenze tra discipline
straniere e diritto interno, in Nuovi percorsi di diritto di famiglia, a cura di M. SESTA, pag. 72 e ss..
59 Cfr., A. L. VALVO, ult. op. cit., nonché, C. CARICATO, La legge tedesca sulle convivenze registrate, in Familia, 2002, p. 501 ss. La
legge in questione consente alle persone dello stesso sesso il riconoscimento della loro unione, fondata sull’aiuto e
l’assistenza reciproca. In proposito, la Corte di Giustizia con sentenza (grande sezione) del 10 maggio 2011 Jürgen Römer
contro Freie und Hansestadt Hamburg, ha riconosciuto ad un cittadino di Amburgo che aveva regolarmente convissuto con un
altro uomo, i benefici previsti dal sistema pensionistico per le persone sposate.
60 Nel 1998 è stata approvata la legge sulla cohabitation légale (Loi du 23 novembre 1998 instaurant la cohabitation légale), entrata in
vigore il 1 gennaio 2000, di modifica del codice civile, art. 1476 bis, che ha regolarizzato la convivenza legale di coppie
indipendentemente dal sesso dei conviventi. Cfr., G.A.M. TRIMARCHI, La famiglia di fatto e le altre convivenze, in N. LIPARI E P.
RESCIGNO, Diritto civile, Fonti, soggetti, famiglia, II, pag. 380.
61 Sul concetto di autonomia privata, P. RESCIGNO, Contratto in genere, in Enc. Gir. Treccani, Roma, 1988, IX, p. 10 ss.; D.
SERRANI, Brevi note in tema di libertà contrattuale e principi costituzionali, in Giur. cost., 1965, p. 290 ss.; A. PACE, Problematica delle
libertà costituzionali – Parte speciale, Padova, 1990, p. 496. Ancora, nel vasto panorama sul tema sono dovuti, quantomeno, i
richiami a P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 2006; ID., Norme costituzionali e rapporti di diritto civile,
in Rass. dir. civ., 1983, 95 ss.,; F. GALGANO, Il diritto privato tra codice e Costituzione, Bologna, 1978, p. 126; ID., Il negozio giuridico,
in Tratt. dir. civ. comm. Cicu e Messineo, Milano, 1988; N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, Bari, 1998, p. 72; A. BALDASSARRE,
Iniziativa economica privata, in Enc. Dir., 1971, p. 608; ID., Fonti, diritto internazionale, autonomia privata, classificazione, Torino,
2000, pp. 336 ss.; M. NUZZO, Utilità sociale e autonomia privata, Milano, 1975; G. ALPA, Libertà contrattuale e tutela costituzionale,
in Riv. crit. dir. priv., 1995, pp. 35-54; L. FERRI, L’autonomia privata, Milano, 1959, p. 5 ss.; S. PUGLIATTI, Autonomia privata
(voce), in Enc. Dir., IV, Milano, 1959, p. 366 ss.; A. LISERRE, Tutele costituzionali dell’autonomia contrattuale. Profili preliminari,
Milano, 1971; A. PACE, Libertà “del” mercato o “nel” mercato, Intervento al Convegno organizzato dall’Associazione italiana dei
costituzionalisti (Ferrara, 11-12 ottobre 1991), Padova, 1997, nonché in Pol. dir., 1993; M. ESPOSITO, Profili costituzionali
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clausole inserite nell’atto non siano contrarie all’ordine pubblico e al buon costume62. Il regime patrimoniale
applicabile, salvo talune piccole differenze, è del tutto assimilabile a quello che regola i rapporti tra i coniugi 63.
Nella vasta gamma delle legislazioni interne agli Stati membri dell’Unione europea, una menzione
particolare merita – a parere di chi scrive – la legislazione francese ed il Pacte Civil de Solidarieté che rappresenta
la più nota forma di riconoscimento delle unioni non matrimoniali 64.
Caratterizzato dalla massima flessibilità e adattabilità alla pluralità di situazioni che si possono verificare,
non esclusivamente previsto per i rapporti more uxorio65, l’obiettivo del pacs è quello di promuovere la solidarietà
economica fra persone che hanno una vita in comune e, per limitare l’analisi all’oggetto dell’indagine, alle
unioni di fatto, occorre sottolineare che esso conferisce alle coppie non sposate una certa legittimazione sotto il
profilo giuridico, sociale e fiscale66.
D’altra parte, autorevole dottrina ha sottolineato come le norme di cui al Patto civile e di solidarietà, non a
caso, siano state inserite dal legislatore francese nel Codice civile nel Libro I “Delle persone”, a conferma del fatto
che il Patto non è solamente un “contratto” che regola i rapporti economici fra due persone, ma è anche un atto
che assume rilevanza pubblica se pur fondamentalmente diretto a regolare la vita in comune fra i due
contraenti67. Tuttavia, fermo restando che il pacs è diretto a creare fra i due contraenti obblighi di assistenza
dell’autonomia privata, Padova, 2003. P. SCHLESINGER, L’autonomia privata e i suoi limiti, in Giur. it., 1999, c. 229 ss.; R.
SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale, Milano, 1980; ID., Negozio giuridico e autonomia privata, in La civilistica italiana dagli anni ’50
ad oggi, Atti del congresso dei civilisti italiani tenuto a Venezia, 23-26 giugno 1989, Padova, 1991, p. 289 ss.; A. DI MAJO, Libertà
contrattuale e dintorni, in Riv. crit. dir. priv., 1995, p. 9 ss.; N. LIPARI, Fonti del diritto e autonomia privata, in Riv. dir. civ., 6, 2007, p.
728; R. SACCO, Autonomia nel diritto privato, in. Dig. disc. priv., Sez. civ., I, Torino, p. 517 ss.; ID., Contratto, autonomia, mercato in
R. SACCO E G. DE NOVA, Il Contratto, in Trattato dir. civ. diretto da R. Sacco, Torino, 2005, p. 16 ss..
62 La dichiarazione di convivenza, che come per i pacs in Francia, può anche essere relativa a convivenze diverse da quelle
more uxorio (ad esempio fra fratelli, genitore e figlio, ecc.), deve essere sottoscritta dalle “parti” e dopo la consegna
all’Ufficiale di stato civile viene debitamente annotata nel registro della popolazione.
63 Numerose sono le esperienze europee a rigurado. In Olanda, con la legge 5 luglio 1997 (Wet van 17 december 1997, tot
aanpassing van wetgeving aan de invoering van het geregistreerd partnerschap in Boek 1 van het Burgerlijk Wetboek (Aanpassingswet
geregistreerd partnerschap) si è riconosciuta, alle coppie dello stesso sesso o di sesso diverso, la possibilità di registrarsi nei
registri comunali delle unioni civili. Con la registrazione è previsto che le coppie di fatto acquistino, tranne che per alcuni
aspetti, gli stessi diritti e doveri delle coppie sposate tra i quali: dovere di fedeltà, aiuto e reciproca assistenza, mantenimento
e cura della prole (resta escluso l'esercizio congiunto della potestà genitoriale), responsabilità solidale per i debiti contratti in
comune, diritti successori. Per quanto riguarda il regime patrimoniale, con la registrazione della convivenza si instaura una
comunione dei beni, a meno che i conviventi non decidano diversamente. La convivenza registrata si scioglie: per assenza
o morte di uno dei due conviventi; per provvedimento di scioglimento del giudice. Se di comune accordo è sufficiente un
documento pubblico da trasmettere al registro dello stato civile. In caso di dissenso si procede con le stesse procedure del
divorzio. In caso di separazione è previsto un diritto al mantenimento del partner con mezzi economici insufficienti.
Non è richiesta la nazionalità olandese dei partners. Anche la legislazione spagnola (legge 1 luglio 2005 n. 13) – pur con le
dovute differenze riferibili al suo particolare sistema di autonomie locali – prevede, entro certi limiti, talune forme di
protezione delle cosiddette “unioni registrate” e la giurisprudenza spagnola – pur ribadendo la sostanziale differenza fra
famiglia fondata sul matrimonio e quella fondata sulla sola convivenza – in molti casi ha esteso le norme previste a
protezione dei rapporti coniugali anche ai rapporti non fondati sul matrimonio. Cfr., S. ASPREA, La famiglia di fatto, in (a cura
di) P. CENDON, Il diritto privato oggi, Giuffrè editore, pagg. 40 e ss..
64 Cfr., legge numero 944 del 15 novembre del 1999. Un paio di anni or sono, inoltre, l’ordinamento francese ha approvato
anche una (contestata) legge che consente il matrimonio fra persone dello stesso sesso: legge n. 2013-404 del 17 maggio
2013. Cfr., S. ASPREA, ult. op. cit., pagg. 39 e ss..
65 Ad esempio, le unioni di studenti universitari o di anziani, relazioni di coppia fra persone dello stesso o convivenze fra
genitore e figlio.
66 Riconducibile nella sua generalità all’istituto del matrimonio, il Patto disciplina e legittima qualsivoglia progetto di vita a
due a prescindere dal sesso o, eventualmente (e come detto), dal rapporto di parentela intercorrente fra i due conviventi. Si
tratta di un atto essenzialmente assimilabile ad un contratto fra persone maggiori d’età e capaci di agire; un atto di
autonomia privata dal quale derivano, da un canto, diritti e correlativi doveri in capo ai due contraenti e, dall’altro, un vero e
proprio status familiare; circostanza che si ricava, sia pur in via indiretta, dall’art. 1 della legge istitutiva del pacs a norma del
quale è da considerare nullo il Patto allorché uno dei due contraenti (o entrambi) sia legato ad altra persona da vincolo
coniugale o abbia contratto obblighi con altro e precedente pacs. Così, A. L. VALVO, ult. op. cit..
67 Cfr. artt. 515-1 ss., del Code civil, Livre I, Titre XII, Du pacte civil de solidarieté et du concubinage.
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reciproca (in funzione della concreta capacità economica di ciascuno), del tutto evidenti sono le differenze fra il
Patto e l’istituto del matrimonio tanto è vero che il primo è soggetto a registrazione per ragioni di ordine
pubblico e per la sua eventuale opponibilità ai terzi, ma, a differenza del matrimonio, seppur strumento da
considerarsi all’avanguardia rispetto alle problematiche qui affrontate, non attribuisce diritti di carattere
successorio, non crea vincoli di parentela o affinità, non legittima all’adozione di minori e né da esso
discendono effetti in ordine ai rapporti di filiazione68.
Dalla breve esposizione della congerie di discipline presenti in ambito internazionale, appare, icto oculi,
evidente come tale quadro normativo europeo in materia sia piuttosto frammentato e tutt’altro che uniforme.
Pertanto, al di là di qualsivoglia previsione – più o meno ottimistica – sul futuro dell’Unione europea, non si
può non riconoscere che la strada solcata dalla giurisprudenza europea, con i suoi provvedimenti, sia riuscita a
garantire un innalzamento degli standards di tutela, molto più di quanto non riescano (o non vogliano) fare i
giudici degli ordinamenti nazionali. Pertanto, è augurabile che questi ultimi, attraverso il prosieguo di
un’auspicabile leale collaborazione delle corti69, nazionali ed internazionali - ferma restando l’insuperabilità dei
concetti di famiglia e matrimonio di cui all’art. 29 Cost. -, contribuiscano ad offrire moderne forme di tutele,
nonché il riconoscimento giuridico di moderni profili di unioni sociali anche tra persone dello stesso sesso,
non solo in conformità con la più recente giurisprudenza costituzionale 70, ma anche, e soprattutto, in
corrispondenza con i più recenti orientamenti della Corte di Strasburgo71 che, a seguito della lettura sistematica
degli artt. 9 e 12 CEDU, ha offerto, non infrequentemente, un’interpretazione evolutiva del concetto di
matrimonio, includente anche il rapporto tra due persone del medesimo sesso e che interpreta, altresì, l’art. 8
CEDU (tutela della vita privata e familiare), nel senso di includervi anche la coppia omosessuale, purché di
stabile relazione72.
3. Questi orientamenti giurisprudenziali e il breve excursus, sin qui effettuato, sulle differenti scelte europee
in materia, ci consentono, in ultimo, di provare ad avanzare qualche considerazione finale, nonché di offrire al
lettore delle proposte – sia de iure condendo che de iure condito – in merito all’oggetto del nostro scrivere per
provare ad porgere un contributo finalizzato all’auspicabile risoluzione di quella che – non bisogna aver timore
nell’affermarlo – risulta essere una vera e propria falla del sistema a livello sociale.
In primis, occorre sottolineare un aspetto non certo trascurabile della questione. In merito alle convenzioni
patrimoniali tra conviventi more uxorio – non solo all’esclusivo fine di tutelare le parti deboli del rapporto –,
occorre dire, con estrema franchezza, che siamo di fronte ad un tema rimasto a lungo inesplorato nel nostro
ordinamento, tanto che la stessa giurisprudenza non si è pronunciata fino agli anni Novanta del secolo scorso 73.
68
Il patto, in definitiva, rappresenta, né più e né meno, che un contratto sinallagmatico che vincola i contraenti a
prestazioni di carattere economico e che, in una certa misura, richiama i presupposti e i profili di una convivenza per certi
aspetti assimilabile ad una unione di tipo matrimoniale.
69 Cfr., A. L. VALVO, ult. op. cit. «È ampiamente noto il ruolo svolto dalla Corte di giustizia in merito all’ingresso dei diritti
umani nei Trattati UE. Si deve, infatti, alla sua elaborazione giurisprudenziale e al, sia pur indiretto, costante riferimento ai
diritti contenuti nella Convenzione di Roma del 4 novembre 1950, la codificazione dei diritti e delle libertà fondamentali
nell’ambito dell’Unione europea».
70 Cfr., sentenza Corte costituzionale n. 138/2010 del 15/04/2010, pubblicata in G. U. 21/04/2010 n. 16.
71 Cfr., Sentenza Cedu 24/06/10, Shalk e Kopf c. Austria; nonché, sentenza CGCE 07/01/04 C-117/01 in cui è stato
espresso il favor nei confronti dell’inclusione del concetto di vita familiare del rapporto di convivenza tra persone dello stesso
sesso.
72 Cfr., P. PERLINGIERI e F. PROSPERI, ult. op. cit., p. 1138. Pur tuttavia, il citato art. 9 specifica che «tali diritti sono garantiti
secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio», con ciò implicitamente stabilendo che gli Stati non hanno alcun
obbligo giuridicamente vincolante di riconoscere e disciplinare al proprio interno modelli di convivenza alternativi a quelli
fondati sul matrimonio. Così, A. L. VALVO, ult. op. cit..
73 Sent. Corte di Cass. 8.6.1993, n. 6381, in Corr. Giur., 1993, 947, con nota V. CARBONE, Casa in comodato vita natural durante
per una breve convivenza more uxorio o in Vita not., 1994, 225. Nel caso di specie il ricorrente Gr., che aveva convissuto con la
convenuta Ga. e le aveva concesso in comodato vita natural durante un appartamento, di cui voleva ottenere il rilascio,
sostenendo che il patto era da considerarsi illecito per contrarietà all'ordine pubblico e al buon costume, poiché basato sulla
convivenza more uxorio e penalizzante nel caso di cessazione della convivenza, chiede la censura della sentenza della Corte
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Il cambiamento di approccio, che ha avuto luogo a cavallo tra i due secoli, si può presumere sia stato
occasionato da un lato, dall’evoluzione dell’opinione pubblica, che ha abbandonato la tradizionale posizione
fortemente critica nei confronti della convivenza more uxorio; dall’altro, dall’influenza della legislazione degli altri
paesi europei e dell’Unione Europea74.
Alla dottrina, che da tempo si pronunciava in senso favorevole all’uso dello strumento negoziale, si sono,
invero, nel tempo affiancate una giurisprudenza di più ampie vedute, che ha ammesso la validità degli accordi
stipulati ed una prassi che «registra un certo ricorso allo strumento convenzionale e si incarica di fissare in
schemi tipo le clausole più frequenti e più opportune»75.
d'Appello di Roma che non aveva dichiarato la risoluzione del contratto oggetto della controversia. La Cassazione però
conferma la sentenza d'appello, richiamando come precedenti le sentenze C. Cost. n. 404 del 7.4.1988 e n. 559 del
20.12.1989 e la propria sentenza n. 4489 del 29.11.1976, rigettava, ritenendo la convivenza tra uomo e donna in stato libero
non costituisce causa di illiceità e quindi di nullità di un contratto attributivo di diritti patrimoniali dall'uno a favore dell'altra
o viceversa solo perché il contratto sia collegato a detta relazione, in quanto tale convivenza, ancorché non disciplinata dalla
legge, non è illecita non potendo considerarsi di per sé contraria né a norme imperative, non esistendo norme di tale natura
che la vietino, né all'ordine pubblico, che comprende i principi fondamentali informatori dell'ordinamento, né a buon
costume inteso – naturalmente a norma delle disposizioni del codice civile (v. artt. 1343 e 1354 di tale codice) – come il
complesso dei principi etici costituenti la morale sociale in un determinato tempo e in un determinato luogo.
74 Per l’Europa così come per l’Italia, infatti, si osserva un fenomeno di continua oscillazione tra status e contratto e già da
tempo il profilo consensuale, in questo ambito, va a occupare uno spazio crescente. È il fenomeno della c.d.
«contrattualizzazione» del diritto di famiglia: se tradizionalmente gli accordi negoziali si consideravano estranei alla materia e
alla logica familiare, poiché la famiglia perseguiva un interesse “superiore” a quello dei singoli componenti e l’elemento
patrimoniale doveva rimanere subordinato a quello personale con il tempo la situazione è mutata portando alla ribalta –
nella famiglia legittima prima ancora che in quella di fatto – lo strumento negoziale quale istituto idoneo a garantire la tutela
del soggetto debole, sia esso un minore o uno dei coniugi. Cfr., G. OBERTO, I contratti di convivenza tra autonomia privata e
modelli legislativi, relazione presentata all'incontro di studio sul tema «I rapporti familiari non fondati sul matrimonio»,
organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura – Nona Commissione, Tirocinio e Formazione Professionale,
svoltosi a Roma dal 26 al 28 gennaio 2004
75 G. FERRANDO, Convivenze e modelli di disciplina, ult. op. cit., 316; F. D'ANGELI, La tutela delle convivenze senza matrimonio,
Torino, 2001, 86; M. FRANZONI, I contratti tra conviventi «more uxorio», in Riv. trim. dir. proc. civ. 1994, 737; G. FERRANDO,
Convivere senza matrimonio: rapporti personali e patrimoniali nella famiglia di fatto , in Fam. dir. 1998, 183: «Lo stesso mutare della
coscienza sociale e del costume hanno contribuito a rendere socialmente accettati situazioni e rapporti in passato
considerati “devianti”. Si tratta, d'altra parte, di una fase storica segnata da una nuova considerazione dello stesso
matrimonio, che pone l'accento più sul profilo del “matrimonio rapporto” che non su quello del “matrimonio atto”. Il
tramonto di una concezione “istituzionale” della famiglia e l'approdo ad una sua ridefinizione in termini di “formazione
sociale” apre la strada al riconoscimento di quelle altre formazioni sociali, ed in primo luogo perciò della famiglia di fatto ,
che ne condividono la funzione di luogo in cui si realizza la solidarietà di coppia e si attua la funzione educativa.
Trasformazione della famiglia legittima e riconoscimento della famiglia di fatto sembrano così andare di pari passo»; G.
FERRANDO, Le contribuzioni tra conviventi fra obbligazione naturale e contratto, in Fam. dir. 2003, 598: «Un accordo, quando vi sia,
costituisce certo lo strumento a disposizione dei privati per dare ai propri interessi un assetto coerente con il proprio
personale progetto di vita»; quanto alla giurisprudenza vanno citate Cass. 8.6.1993, n. 6381, in Vita not. 1994, 225 o in Corr.
giur. 1993, 947 con nota V. CARBONE, Casa in comodato vita natural durante per una breve convivenza more uxorio; Trib. min. Reggio
Calabria 17.10.1994, in Dir. fam. pers. 1995, 611: «Allorché i "partners" di una famiglia di fatto cessino dal convivere e,
nell'interesse della prole da essi concepita e generata, raggiungano un accordo extragiudiziale sull'affidamento della prole
stessa, sui rapporti parentali con essa (ivi compreso il cd. diritto di visita e permanenza del genitore non affidatario), nonché
sul contributo economico di entrambi al mantenimento, all'allevamento ed all'educazione dei minori, è ammissibile e
legittimo l'intervento, a richiesta dei genitori, del Tribunale per i minorenni che, constatata la conformità dell'accordo agli
interessi della prole, ne omologhi il contenuto», con nota F. GIGLIOTTI, Rottura della convivenza more uxorio e
affidamento del figlio naturale: rilevanza dell'accordo parentale sulle condizioni della «separazione»; App. min. Milano
4.12.1995, in Fam. dir. 1996, 247: «Nel momento in cui cessa la convivenza "more uxorio", sussiste l'interesse dei genitori
naturali a ottenere un provvedimento giudiziale che regoli l'affidamento della prole e i rapporti con l'altro genitore
attraverso la conferma degli accordi raggiunti in modo che il loro comportamento venga fissato in modo autoritativo anche
al fine di prevenire future conflittualità»; Trib. Savona 7.3.2001, in Fam. dir. 2001, V, 529, con nota M. DOGLIOTTI, La forza
della famiglia di fatto e la forza del contratto - Convivenza more uxorio e presupposizione; Trib. Savona 29.6.2002, in Fam. dir. 2003,
596 con nota G. FERRANDO, Le contribuzioni tra conviventi fra obbligazione naturale e contratto, op. cit.
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Tuttavia, è stato giustamente osservato76, che nell’ambito della convivenza more uxorio, lo strumento
negoziale si è presentato come una sorta di «regola del caso concreto77» e viene ancora normalmente designato
come accordo o contratto di convivenza78.
De iure condendo, quindi, se da un lato - riteniamo sia innegabile -, la via della valorizzazione degli accordi tra
conviventi sembrerebbe essere la strada maestra e potrebbe costituire una soluzione giuridicamente
appropriata, nonché socialmente opportuna, dall’altro, a parere dello scriba, sembra essere, ancor’oggi, la scelta
più problematica viste le sopra accennate “difficoltà politiche” a riguardo79.
Da un punto di vista più strettamente sistematico, la dottrina80 inquadra la possibilità per i partners di
stipulare un “contratto di convivenza” nell’ambito dell’art. 1322 c.c., secondo cui «le parti possono liberamente
determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge» e anche «concludere contratti che non
appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di
tutela secondo l’ordinamento giuridico81».
Inoltre, gli accordi di convivenza, laddove emerga chiaramente l’intento dei conviventi more uxorio di
garantire reciprocamente il proprio futuro, fissando le basi economiche di una comunità familiare, non
contrasteranno, certo, con il buon costume82.
Quanto, invece, ai princîpi di ordine pubblico, si potrebbe averne una violazione qualora i conviventi
tentassero di disciplinare nel contratto, non solo gli aspetti patrimoniali della loro vita comune, ma anche profili
strettamente personali, insuscettibili di costituire prestazione ai sensi dell’art. 1174 c.c. 83, o allorquando le parti
rinunciassero al diritto di recesso ad nutum, caratteristica tipica e fondamentale della convivenza more uxorio: in
altre parole, ogni ogniqualvolta si tentasse una compressione della reciproca libertà delle parti84. Questo perché
- appare evidente - il contratto di convivenza non è, e non può essere, l’accordo con cui due soggetti si
obbligano alla convivenza; quanto, piuttosto, il contratto che contiene le intese di contenuto patrimoniale che
tali soggetti possono stipulare al fine di maggior chiarezza e certezza dei rapporti economici tra loro
intercorrenti, durante e al termine della relazione, anche e soprattutto al fine di tutelare le parti deboli del
rapporto more uxorio85.
76
M. COLELLA, Rapporti patrimoniali tra conviventi e uso dello strumento contrattuale, in Fam. Pers. Succ., 2012, 11, p. 749
Con l’espressione «regola del caso concreto» intendiamo, invece, chiarire che i partners fissano una serie di regole che
saranno però valide per il caso singolo, senza ovviamente potersi imporre a livello generale.
78 Il termine “accordo” è spesso utilizzato per la sua portata generica, ma in realtà si tratta di un vero e proprio contratto.
79 Retro, paragrafo 2. Contra, G. FERRANDO, Convivenze e modelli di disciplina, in F. BRUNETTA D'USSEAUX E A. D'ANGELO, a
cura di, Matrimonio, matrimonii, Milano, 2000, p. 316 «In un contesto culturale e politico che vede la ferma opposizione
cattolica a qualsiasi disciplina della famiglia di fatto fondata, vuoi sul riconoscimento della convivenza in sé, vuoi sulla
registrazione dell'unione – come dimostrano le polemiche suscitate dai tentativi di alcuni Comuni di istituire elenchi di
unioni civili –, la via che ad alcuni appare meno irta di ostacoli è proprio quella della valorizzazione degli accordi»;
G. FERRANDO, Le contribuzioni tra conviventi fra obbligazione naturale e contratto, in Fam. dir. 2003, 596, «Le difficoltà che
s'incontrano nell'individuare rimedi di natura legale, attingendo al diritto comune delle obbligazioni o a specifiche regole
giusfamiliari, per garantire una tutela degli affidamenti che la situazione di fatto ha generato suggerisce di guardare al
contratto come alla via maestra per regolare i rapporti di natura patrimoniale tra i conviventi durante lo svolgimento della
vita comune ed in seguito al suo venir meno»; V. ZAMBRANO, La famiglia di fatto epifanie giuridiche di un fenomeno sociale, Milano,
2005, 63.
80 M. COLELLA, ult. op. cit..
81 È ormai venuta meno l’identificazione tra relazione extraconiugale e negozio contra bones mores, il che fuga i dubbi circa la
liceità della causa del patto di convivenza, consistente appunto nella libera unione. Per quanto invece riguarda la liceità del
contratto in quanto tale e cioè del suo contenuto, bisogna richiamarsi all'art. 1418 c.c., secondo cui il contratto è nullo
quando contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente
82 Si avrebbe, invece, illiceità del contratto laddove l'onere di uno dei partners consista solo ed esclusivamente in una
prestazione sessuale.
83 D. RICCIO, La famiglia di fatto, Padova, 2007, pag. 451.
84 Ex plurimis, A. MASCIA, ult. op. cit., pagg. 274-275: «Per quanto concerne il profilo personale, si deve richiamare un
atteggiamento di chiusura, volto a negare la sua rapportabilità al contenuto concreto del contratto di volta in volta da
stipulare basandosi tale chiusura su una mancanza del requisito della patrimonialità (sia della prestazione che del rapporto)»
85 A. MASCIA, Famiglia di fatto: riconoscimento e tutela, Matelica, 2006, p. 270 «Ci si trova di fronte, in altri termini, a uno
strumento che i conviventi possono azionare per gestire i propri rapporti, studiarli, concordarli, modificarli, ma soprattutto
77
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Per quanto concerne, viceversa, il più importante, a nostro modo di vedere, requisito della meritevolezza,
richiesto dal comma 2 dell’art. 1322 c.c. per i contratti atipici, le opinioni non sono del tutto concordi. In tal
senso, si ritiene condivisibile la prospettazione fatta da alcuni autori86, la cui opinione appare preferibile, i quali
reputano necessaria un’indagine positiva sulla serietà dell’intento o la verifica in concreto dell’attuazione dei valori
costituzionali del personalismo, del solidarismo e dell’associazionismo.
Questa interpretazione, inoltre, sembra anche essere seguita da una certa giurisprudenza che – sebbene
tradizionalmente cauta sulla via del riconoscimento della rilevanza della famiglia di fatto – tuttavia,
sembrerebbe incoraggiare l’utilizzo dell’autonomia contrattuale proprio al fine di garantire maggior tutela al
partner più debole (e della relativa prole)87.
Circa la forma, inoltre, atteso che il contratto di convivenza va ricondotto nel novero dei contratti atipici,
siamo propensi a ritenere che non debba prevedere necessariamente una forma specifica per il riconoscimento
della sua efficacia88. Tuttavia, la forma scritta appare consigliabile, sia per ragioni di utilità probatoria e di
opportunità causale, sia per maggior chiarezza e certezza dell’effettivo contenuto dell’accordo stesso89.
Passando, viceversa, al contenuto dei contratti di convivenza, quello tipico sarà, senz’altro, quello
patrimoniale, con la puntuale disciplina di singoli specifici profili90.
Tra questi, ovviamente, sono senz’altro ammissibili impegni unilaterali di mantenimento a favore del partner
più debole e/o della relativa discendenza, laddove sia ravvisabile la meritevolezza della loro causa concreta91.
per realizzare quella cautela che non può che definirsi prodromica alla reale e concreta tutela, perché scelta e voluta da
loro».
86 P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 1991, 489 e ss..
87 Trib. Savona 7.3.2001, in Fam. dir. 2001, 529, con nota M. DOGLIOTTI, La forza della famiglia di fatto e la forza del contratto Convivenza more uxorio e presupposizione; Trib. Savona 29.6.2002, in Fam. dir. 2003, 598, con nota G. FERRANDO, Le
contribuzioni tra conviventi fra obbligazione naturale e contratto. Una certa dottrina, poi, ha osservato che un qualunque evento può
non solo esser preso in considerazione come oggetto di obbligazione, ma anche essere dedotto in condizione. Ne deriva,
secondo la comune opinione, la radicale nullità delle condizioni penali, mentre possono essere valide le c.d. clausole
premiali, che stabiliscono la corresponsione di una somma di denaro o di altro bene nell’ipotesi in cui si verifichi un certo
evento, futuro e incerto (di fatto stabilendo l'insorgere di un obbligazione a carico di un convivente e a favore dell'altro in
conseguenza di quell'evento futuro). Rispetto a queste clausole premiali sarà necessaria un’accurata valutazione caso per
caso: che porterà a un giudizio di nullità, per contrarietà all'ordine pubblico, nei casi in cui risulterà limitata la libertà
personale del partner obbligato e a un giudizio di ammissibilità in tutti gli altri casi. Cfr., M. FRANZONI, Le convenzioni
patrimoniali tra conviventi more uxorio, op. cit., pag. 541.
88 Dunque l'eventuale richiesta di una forma redazionale determinata dipenderà esclusivamente dagli specifici patti o negozi
che ne costituiscono il contenuto: per esempio, ritengo sarà indispensabile la forma solenne dell'atto pubblico quando il
contratto avrà natura di donazione, con prestazioni rese effettivamente per spirito di liberalità, ma anche nel caso di
rilevante sproporzione degli oneri gravanti sui due conviventi. Così, M. COLELLA, ult. op. cit..
89 Altro aspetto da considerare con attenzione è quello delle modifiche che i conviventi possono legittimamente apportare
al contenuto originario dei loro contratti: si ritiene in generale necessario utilizzare la medesima forma scelta al momento
della stipula dell'accordo.
90 Come, per esempio, l’obbligo di contribuzione, mediante attività lavorativa casalinga o professionale, o l’obbligo di
corresponsione di determinate somme o il regime dei beni o della casa familiare o profili di tipo successorio o i casi di
scioglimento del contratto stesso o ancora le conseguenze, sul contratto, della cessazione del rapporto affettivo. I
conviventi, insomma, possono inserire nel proprio contratto l'indicazione del reciproco impegno di contribuzione al
ménage, con la corresponsione di somme di denaro o la prestazione di attività lavorative o ancora con la messa a
disposizione di beni. Poiché l'art. 160 c.c. non è riferibile alla famiglia di fatto (ma solo a quella legittima), i partners potranno
derogare al criterio di contribuzione «in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o
casalingo», previsto per i coniugi all'art. 143 c.c. Con il contratto di mantenimento la coppia può prevenire ogni questione
relativa alla ripetizione di quanto prestato, periodicamente o una tantum, perché le attribuzioni fatte risulteranno sorrette
dalla causa contrattuale.
91 Nei casi in cui il contratto determina la corresponsione di somme da parte del partner più abbiente a favore dell'altro,
l'accordo può configurarsi come contratto di mantenimento vitalizio: si esclude, comunque, la totale coincidenza di questa
figura negoziale con quella della rendita vitalizia. Di regola, infatti, l'obbligo del vitaliziante consiste in prestazioni di fare,
prestazioni in natura di vitto, alloggio, vestiario e assistenza medica, in ciò distinguendosi appunto dalla rendita vitalizia. A
riguardo, cfr., D. RICCIO, ult. op. cit., pagg. 457 e ss..
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Inoltre, appare condivisibile quell’orientamento dottrinale92 che ritiene che nel contratto di convivenza
possano trovare collocazione clausole volte a produrre effetti dopo la morte (o termine della relazione) di uno
dei partners, determinando il trasferimento di somme di denaro o il trasferimento della proprietà di immobili,
allo scopo di garantire al superstite ed all’eventuale discendenza una certa tranquillità economica che altrimenti
potrebbe mancare del tutto93.
Quanto appena detto, ovviamente, ritengo non escluda che sia, comunque, auspicabile, se non preferibile,
giungere a un organico progetto di tutela normativa delle unioni non formalizzate, mutuato sull’esperienza di
altri ordinamenti giuridici, soprattutto laddove si tratti, non di coppie che volontariamente scelgono di non
contrarre matrimonio, bensì di rapporti “coattivamente di fatto” per mancanza di libertà di status o per identità
di sesso dei componenti della coppia94.
Se queste riteniamo siano, de iure condendo, le prospettive migliori per il superamento dell’impasse in Italia, de
iure condito, viceversa, mi siano consentite le seguenti, ulteriori osservazioni per provare, se non a risolvere la
problematica in questione, quantomeno ad offrire qualche spunto di riflessione in merito.
Dicevamo, all’inizio di questo breve contributo, che l’ordinamento giuridico esistente configura, nel proprio
tessuto connettivo, istituti giuridici che, seppur non possono ancóra definirsi tipici in senso stretto – in quanto
carenti di un complesso normativo di legislazione interna che li disciplini puntualmente – certamente non
possono piú essere considerati del tutto estranei e sconosciuti nel nostro sistema giuridico e che bene possono,
nel caso di specie, offrire una possibile soluzione evitando, rectius scavalcando anche le querelles di carattere
(pseudo)politico a riguardo95.
È, questo, il caso del trust, istituto tipico degli ordinamenti di common law, in cui un soggetto (c.d. settlor)
trasferisce uno o più beni ad un altro soggetto (il c.d. trustee) affinché questi ne disponga conformemente ad
M. COLELLA, Rapporti patrimoniali tra conviventi e uso dello strumento contrattuale, in Fam. Pers. Succ., 2012, 11, p. 749.
Cfr., M. FRANZONI, ult. op. cit., p. 555. Molti, d'altra parte, sono gli strumenti che a oggi si considerano utilizzabili, come il
contratto a favore di terzo, o, vedremo in seguito, il trust, da eseguirsi dopo la morte dello stipulante e la donazione indiretta
o simulata. Si tratta di strumenti complessivamente riconducibili alla categoria dei “contratti successori di convivenza”.
94 F. DE SCRILLI, I patti di convivenza, in AA.VV., Convivenza e situazioni di fatto , in G. FERRANDO, M. FORTINO, F. RUSCELLO,
a cura di, Famiglia e matrimonio, in P. ZATTI, a cura di, Trattato di diritto di famiglia , I, Milano, 2002, 850 e ss.; D. RICCIO, ult.
op. cit., pag. 434, ove si legge: «l'accordo, nato in base al potere riconosciuto ai privati dall'art. 1322 c.c., non ha certo la
capacità di surrogarsi ad un riconoscimento che l’ordinamento giuridico non ha operato». Ad oggi, i disegni di legge di
iniziativa parlamentare sul tavolo sono tanti, in particolare uno, quello di Monica Cirinnà è stato approvato in commissione
Giustizia al Senato, depurato da ogni riferimento al matrimonio per mantenere la pax di governo, prevede diciannove
articoli divisi in due parti: unioni civili e disciplina della convivenza tra persone dello stesso sesso. Si prevede di estendere
tutti i benefici riservati alle coppie sposate (assistenza sanitaria, subentro nel contratto d’affitto, pensione di reversibilità, etc.)
alle coppie di fatto, anche omosessuali, riproponendo il modello della legge approvata in Germania nel 2011. Al momento
non sono stati coniati acronimi. Tuttavia, anche questo disegno di legge non avrà vita facile. Ad aspettarlo in Senato, infatti,
ci sono oltre quattromila emendamenti, molti dei quali destinati solo a fare solo ostruzionismo. Non solo. A “complicare”
la situazione, anche la recente dichiarazione del Cardinal Bagnasco, il quale in una intervista al Corriere della Sera, ha
ribadito la posizione della Chiesa, riferendosi al disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili che sarà discusso in Parlamento
dopo la pausa estiva.
95 Vale la pena di ricordare che, in Parlamento, v’è un disegno di legge che include unitamente la disciplina del negozio
fiduciario e del contratto autonomo di garanzia (garantievertrag). Cfr., tra gli altri, A. BERTOLINI, Il contratto autonomo di garanzia
nell’evoluzione giurisprudenziale, in NGCC, 2010, pag. 435 e ss. Ciò a dimostrazione della circolazione dei modelli stranieri e di
come la tipicità sociale conduca alla tipizzazione giurisprudenziale e, nella maggior parte dei casi, anche alla
regolamentazione dell’istituto ad opera del legislatore. Sul punto, si veda, con diverse interpretazioni, A. LUMINOSO,
Contratto fiduciario, trust e atti di destinazione ex art. 2645 ter c.c., in Riv. not., 2008, p. 993, per cui non è predicabile
l’assimilazione del trust allo schema del negozio fiduciario, mancando in questo l’effetto segregativo, tipico del trust; G.
BROGGINI, “Trust” e fiducia nel diritto internazionale privato, in Eur. dir. priv., 1998, p. 299; V. MARICONDA, Contrastanti decisioni
sul “trust” interno: nuovi interventi a favore ma sono nettamente prevalenti gli argomenti contro l’ammissibilità, in Corriere giur., 2004, p. 7.
Contra, M. LUPOI, Introduzione ai trusts. Diritto inglese, Convenzione dell’Aja, diritto italiano, Milano, 1994, passim; F. DI
CIOMMO, Ammissibilità del “trust” interno e giustificazione causale dell’effetto traslativo, in Foro it., 2004, I, c. 1295. Per ulteriori
approfondimenti, vedi M. BIANCA, Trustee e figure affini nel diritto italiano, in Riv. not., 2009, p. 557, nonché M. LUPOI,
Istituzioni del diritto dei trusts e degli affidamenti fiduciari, Istituzioni del diritto dei trust e degli affidamenti fiduciari, Cedam, Padova
2008, passim; R. QUADRI, L’attribuzione in funzione di destinazione, in G. VETTORI (a cura di), Atti di destinazione e trust (Art. 2645
ter del codice civile), Padova, 2008, pp. 315-328.
92
93
15
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istruzioni variamente determinate nell’interesse di un (eventualmente) ulteriore soggetto beneficiario (beneficiary)
o per un determinato fine96.
Circa la forma, v’è da dire che non ne è richiesta una particolare per costituire un trust, salvo che questa non
sia richiesta, per relationem, dalla natura dei beni trasferiti.
È necessario, inoltre, che i beni trasferiti ai trustees siano esattamente determinati così come i soggetti a
favore dei quali si istituisce il trust97.
96
La bibliografia, a riguardo, è vastissima. Si rinvia, ex multis, a A. GAMBARO, voce Trust, in Dig. disc. priv., sez. civ., XIX,
Torino, 1999, p. 449 ss.; M. LUPOI, voce Trusts, I) Profili generali e di diritto straniero; II) Convenzione dell’Aja e diritto italiano, in
Enc. giur. Treccani, XXXI, Roma, 1995; ID., Istituzioni del diritto dei trust e degli affidamenti fiduciari, II ed., Padova, 2014. G.
PONZANELLI, Le annotazioni del comparatista, in Convenzione relativa alla legge sui trusts ed al loro riconoscimento, in Nuova giur. civ.
comm., 1993, p. 1224. M. LUPOI, Introduzione ai trusts. Diritto inglese, Convenzione dell’Aja, diritto italiano, Milano, 1994. A.
GAMBARO, Property, in A. CANDIAN-A. GAMBARO-B. POZZO, Property, Proprieté, Eigentum, Padova, 1992, p. 55 ss. M. LUPOI, Il
trust nell’ordinamento giuridico italiano dopo la Convenzione dell’Aja del 10 luglio 1985, in Vita not., 1992, pp. 975-976. M.
GRAZIADEI-B. RUDDEN, Il diritto inglese dei beni ed il trust: dalle res al fund, in Quadrimestre, 1992, p. 458. C. CASTRONOVO - S.
MAZZAMUTO, Manuale di diritto privato europeo, vol. 2, Milano, 2007, p. 623. F. DI CIOMMO, La Convenzione dell’Aja del 1° luglio
1985 ed il c.d. trust interno, in Temi rom., 1999, I, p. 779 ss. F. DI CIOMMO, Il trust nello scenario internazionale e la sua operatività in
Italia, alla luce dell’art. 2645 ter c.c., in www.Treccani.it, del 29 novembre 2009. R. FRANCESCHELLI, La garanzia reale delle
obbligazioni nel diritto romano classico e nel diritto inglese (fiducia cum creditore e mortgage), in Studi in memoria di Aldo Albertoni, III,
Padova, 1938, p. 517. P.C. JAEGER, La separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento, Milano, 1968, p. 392. F. SBORDONE, La
«scelta» della legge applicabile al contratto, Napoli, 2003. S. CASSESE, La crisi dello Stato, Roma-Bari, 2002, p. 116. L. BGLIAZZI
GERI, voce Patrimonio autonomo e separato, in Enc. giur., XXXII, Milano, 1982, p. 280. C. GRASSETTI, Il negozio fiduciario nel
diritto privato, in AA.VV., Fiducia, trust, mandato ed agency, Milano, 1991, p. 8. A. LUMINOSO, Contratto fiduciario, trust e atti di
destinazione ex art. 2645 ter c.c., in Riv. not., 2008, p. 993. G. BROGGINI, Trust e fiducia nel diritto internazionale privato, in Europa
dir. priv., 1998, p. 399. A. GIARDINA, La convenzione dell’Aja sulla legge applicabile ai trusts ed al loro riconoscimento, in Convenzione
relativa alla legge, cit., p. 1213. A. GAMBARO, Il trust in Italia, in A. GAMBARO-A. GIARDINA-G. PONZANELLI, Convenzione
relativa alla legge sui trusts ed al loro riconoscimento, in Leggi civ. comm., 1993, p. 1215. M. LUPOI, Il trust nell’ordinamento giuridico
italiano dopo la Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, in Vita not., 1992, p. 973. L. MOCCIA, Riflessioni sull’idea di proprietà, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 2008, p. 21. F. DI CIOMMO, Il trust e la sua modificabilità: riflessioni sulla proprietà del trustee, in Trusts Attività
fiduciarie, 2001, p. 394. R. LUZZATTO, «Legge applicabile» e «riconoscimento» di trusts secondo la Convenzione de l’Aja del 1 luglio 1985,
in Riv. dir. int. priv. proc., 1999, p. 4. E. CORSO, Trust e diritto italiano: un primo approccio, in Quaderni, 1990, p. 449. M. LUPOI, Il
trust nell’ordinamento giuridico italiano dopo la Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, in Vita not., 1992, p. 966 ss. P. PICCOLI,
Possibilità operative del trustee nell’ordinamento italiano. L’operatività del trustee dopo la Convenzione de L’Aja, in Riv. not., 1995, p. 49. M.
FOCOSI, Analisi delle iniziative per introdurre il trust o istituti analoghi nella legislazioneitaliana, in A. BARBA-D. ZANCHI (a cura di),
Autonomia privata e affidamenti fiduciari, Torino, 2012, p. 102 ss. A. BUSATO, La figura del trust negli ordinamenti di common law e diritto
continentale, in Riv. dir. civ., 1992, p. 334. R. LENZI, Operatività del trust in Italia, in Riv. not. 1995, p. 1382. L. RAGAZZINI, Trust
“interno” e ordinamento giuridico italiano, in Riv. not., 1999, p. 295. P. PICCOLI, Possibilità operative del trust nell’ordinamento italiano.
L’operatività del trustee dopo la Convenzione dell’Aja, in Riv. not., 1995, p. M. LUPOI, Introduzione ai trust. Diritto inglese, Convenzione
dell’Aia, Diritto italiano, Milano, 1994, p. 141. G. BROGGINI, voce Trust e fiducia nel diritto internazionale privato, in Europa dir. priv.,
1998, p. 412 ss.; M. LUPOI, Riflessioni comparatistiche sui trusts, in Europa dir. priv., 1998, p. 425, spec. p. 437. C. CASTRONOVO,
Trust e diritto civile italiano, in Vita not., 1998, p. 1324. G. BROGGINI, Il trust nel diritto internazionale privato italiano, in I.
BENVENUTI (a cura di), I trusts in Italia oggi, Milano, 1996, p. 21; V. SALVATORE, Il trust. Profili di diritto internazionale comparato,
Padova, 1996, p. 91, nota 14. A. GAMBARO, Il “trust " in Italia e Francia, in AA.VV., Scritti in onore di Rodolfo Sacco, Milano, 1994,
I, p. 502. A. GAMBARO, Notarella in tema di trascrizione degli acquisti immobiliari del trustee ai sensi della XV Convenzione dell’Aja, in
Riv. dir. civ., 2002, p. 5. L. GATT, Il trust. La nullità della clausola di rinvio alla legge straniera nei trust interni, in Nuova giur. civ. comm.,
2013, p. 624. S.M. CARBONE, Trust interno e legge straniera, in Trusts, 2003, p. 333. L. GATT, Il trust italiano. La nullità della clausola
di rinvio alla legge straniera nei trusts interni, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 622 ss. F. GAZZONI, Tentativo dell’impossibile
(osservazioni di un giurista «non vivente» su trust e trascrizione), in Riv. not., 2001, pp. 18-20. P. RESCIGNO, Notazioni a chiusura di un
seminario sul trust, in Europa dir. priv., 1998, p. 456. M. LUPOI, Lettera a un notaio conoscitore dei trust, in Riv. not., 2001, p. 1159 ss.
A. DI LANDRO, L’art. 2645 ter c.c. e il trust. Spunti per una comparazione, in Riv. not., 2009, p. 598. F. DI CIOMMO, Ammissibilità del
trust interno e giustificazione causale dell’effetto traslativo, in Foro it., 2004, I, c. 1296. P. PICCOLI, Possibilità operative del Trust
nell’ordinamento italiano. L’operatività del trust dopo la Convenzione dell’Aja, in Riv. not., 1995, p. 38. C. LICINI, Una proposta per
strutturare in termini monistici l’appartenenza nel rapporto di “fiducia anglosassone” (trust), in Riv. not., 1996, p. 125. M. LUPOI, Il trust
nell’ordinamento giuridico italiano dopo la Convenzione dell’Aja del 10 luglio 1985, in Vita not., 1992, p. 973. AA.VV., Fondazione, trust
ed asset protection trust: prospettive applicative per i soggetti residenti in Italia, in Italia Oggi, parte V, 16 luglio 1993, p. 68. R. GROSSO, La
Convenzione sulla legge applicabile ai trust: brevi spunti di riflessione, in Riv. not., 1991, p. 995. A. SALVATI, Profili fiscali del trust, Milano,
2004, p. 13. E. MATTEI, Il modello di Common Law, Bologna, 2000. M. LUPOI, Il Trust, Milano, 2000. M. GRAZIADEI-B. RUDDEN,
Il diritto inglese dei beni in trust dalla RES al Fund, in Quadrimestre, 1992, p. 458 ss..
16
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La caratteristica principale del trust è la divisione tra legal and equitable ownership98e nella divaricazione tra il
controllo che deriva dall’attribuzione della proprietà e i benefici della stessa che determina il suo effetto tipico,
ovvero la segregazione patrimoniale dei beni ivi conferiti.
Orbene, seppur autorevole dottrina99 neghi, ancora del tutto, riconoscimento giuridico al trust nel nostro
ordinamento – in quanto presumibilmente contrastante con i princípi generali in materia di proprietà, di
successioni e tutela dei terzi –, a séguito dell’approvazione della legge 16 ottobre 1989, n. 364, secondo la
giurisprudenza maggioritaria, è da ritenersi ammessa e riconosciuta la possibile convivenza del trust con i
princípi del nostro ordinamento e con istituti giuridici preesistenti 100, sempreché l’atto istitutivo del trust sia
portatore di interessi meritevoli per l’ordinamento giuridico, senza limitarsi alla semplice definizione dello
scopo, ma estendendo l’analisi al programma101 che si è prefissato il disponente nel momento nel quale ha dato
vita al trust.
Come si vedrà in segutio, proprio in ossequio a questa prospettiva di “meritevolezza della causa
concreta”102, rectius, del programma negoziale 103 – che, come detto, nel caso oggetto del presente contributo,
ovvero la tutela giuridico-patrimoniale delle parti deboli nel rapporto more uxorio, crediamo sia indiscutibile –
potrebbero superarsi le perplessità di quanti in dottrina, nonostante la pressione esercitata dai fenomeni di
internazionalizzazione e globalizzazione, tendono ad escludere il riconoscimento nel nostro ordinamento
dell’operatività del trust, sulle principali considerazioni che afferiscono ora dell’inammissibilità di trasferimenti
di proprietà astratti da una giustificazione patrimoniale, ora al dogma del c.d. numerus clausus dei diritti reali,
nonché ai problemi di trascrivibilità del vincolo in trust.
Nonostante, infatti, il trust sia stato riconosciuto come istituto giuridico anglosassone legalmente valido alla
fine del sedicesimo secolo – come evoluzione dell’istituto dello use104 – la sua maggiore diffusione si è avuta,
viceversa, nel XIX secolo quando è stato utilizzato come strumento per la gestione e la fruizione delle
proprietà, nonchè per la preservazioni dei patrimoni familiari.
Tuttavia, in Italia, è innegabile che la sua completa affermazione – per così dire – tardi ancora ad arrivare105.
Questo, in quanto, a parere di chi scrive, per due distinti ordini di ragioni: da un lato, infatti, v’è una
questione di carattere “culturale”, propria degli ordinamenti giuridici di civil law, cui il nostro Paese, purtroppo,
non sfugge, che hanno guardato (e guardano), generalmente, con diffidenza istituti proprî di altri ordinamenti
giuridici, rivendicando sic et simpliciter, per il proprio, una sorta di superiorità ab Urbe condita; dall’altro, vi sarebbe
una specie di “miopia gattopardesca” del Legislatore che, in numerose circostanze, pur promettendo
97
A differenza di quanto previsto in alcune legislazioni off shore e negli Stati Uniti, la legislazione inglese, eccetto per le
ipotesi di charitable trusts e in alcuni casi eccezionali, richiede inoltre la presenza di almeno un beneficiario.
98
Cfr., G. SCOGNAMIGLIO, Il trust in equity: storia della nascita e sviluppo dell’istituto in Inghilterra, in C.
BUCCICO (a cura di), Gli aspetti civilistici e fiscali del trust, Torino, 2015, pagg. 17 e ss..
99
Ex multis, F. GAZZONI, In Italia tutto è permesso, anche quel che è vietato (lettera aperta a Maurizio Lupoi sul trust e su altre
bagattelle), in Riv. not., 2001, p. 1254 ss.; F. GAZZONI, Osservazioni sull’art. 2645 ter c.c., in Giust.civ., 2006, p. 166.
100 Il trust, che, come detto, si sviluppato nei Paesi di common law, si differenzia profondamente dall’istituto di origine
romanistica, il negozio fiduciario, adottato dagli operatori economici nei Paesi di civil law. L’istituto della “fiducia”, consente,
infatti, di trasferire la proprietà di beni per determinati scopi fiduciari (fidi fiduciae causa), da cui si originava un’obbligazione
sanzionata con l’actio fiduciae, nelle due forme di fiducia cum amico e cum creditore. Nella prima fattispecie il fiduciario
diveniva proprietario del bene del fiduciante, ne godeva dei benefici e lo trasferiva al termine del periodo stabilito con l’atto
istitutivo, nella seconda invece il bene viene trasferito al fiduciario per garantire un credito, l’istituto conobbe in epoca
postclassica un declino che prosegui inesorabile in epoca giustinianea.
101 M. LUPOI, Trusts, Milano, 1997, p. 300, sin dai primi suoi scritti, enunciò il concetto di “programma” del trust, oggi
divenuto punto focale del trust. Sullo specifico aspetto, si veda infra.
102 Retro, pag. 3.
103 Cfr., A. TONELLI, Prassi applicativa e trust interni, in C. BUCCICO (a cura di), Gli aspetti civilistici e fiscali del trust, Torino, 2015,
pagg. 101 e ss..
104 Sulla storia dell’evoluzione dell’istituto, ex multis, G. SCOGNAMIGLIO, Il trust in equity: storia della nascita e sviluppo dell’istituto
in Inghilterra, in C. BUCCICO (a cura di), ult. op. cit, pagg. 3 e ss..
105 A tal proposito, autorevole dottrina, ha parlato di «trust quale modello in divenire». Cosí, G. D’ALFONSO e A. MIGNOZZI,
ult.op.cit., p. 33 e ss..
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“rivoluzioni epocali”, non ha mai perso occasione per essere refrattario, spesso con grave e colpevole
nocumento per l’economia italiana, all’ingresso nel nostro ordinamento di strumenti contrattuali figli
dell’esperienza giuridica di altri paesi106.
Questa generale diffidenza, poi, è stata, ed è ancora, per molti aspetti, evidente e, se possibile,
particolarmente più intensa per il trust.
Non solo a lungo considerato da alcuni un istituto, ça va sans dire, pleonastico – in virtù della sopra
richiamata presenza nel nostro ordinamento della fiducia –, da altri incompatibile con i principî del nostro
ordinamento giuridico, il trust ha pagato, nel corso degli anni, anche dopo la legge 16 ottobre 1989, n. 364, con
cui l’Italia ha ratificato la Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, una sorta di (s)favor in quanto atto tacciato,
generalmente, di avere esclusivamente finalità elusive 107.
Non v’è dubbio, infatti, che, soprattutto in periodi di crisi economica (come quello attuale), sia forte la
tentazione di preservare il proprio patrimonio sia dalla crisi economica generale, sia dall’aggressione dei
eventuali creditori insoddisfatti.
D’altro canto, però, nei medesimi periodi, è più che legittimo, ad esempio, esporre il proprio patrimonio
alla minore tassazione tributaria, (ottenendo, così, un risparmio di spesa e/o di costi), anche ponendo in essere
degli atti di trasferimento destinati solo al raggiungimento di tal scopo, al fine di ridurre qualsiasi “uscita” 108.
Orbene, riteniamo che il trust – anche alla luce di una, oramai, consolidata giurisprudenza a riguardo 109 –
possa rappresentare, nel mutato contesto storico – politico – giuridico, nazionale e non, uno strumento di
tutela dinamico, finalizzato, non solo alla circolazione ed alla fruizione dei beni (intesi, questi ultimi, nella loro
più ampia accezione del termine), ma anche, e soprattutto, alla risoluzione di quelle vexatae quaestiones, non
ultima quella della tutela giuridico – economica delle parti cc.dd. deboli del rapporto more uxorio.
Da un attento esame della giurisprudenza italiana in materia di trust, infatti, emerge chiaramente come, ad
una prima fase in cui i giudicanti si sono soffermati su questioni relative alla legittimità dell’ingresso del trust
106
Si pensi, solo per fare qualche esempio, a leasing, factoring, franchising, contratti atipici non espressamente disciplinati dal
diritto civile ma creati ad hoc dalle parti, in base alle loro specifiche esigenze di negoziazione (autonomia contrattuale).
Anche se non previsti né disciplinati dalla legge, essi sono ammessi purché leciti e diretti a realizzare interessi meritevoli di
tutela secondo l’ordinamento giuridico.
107 D. CASALE, Profili elusivi del trust, in C. BUCCICO (a cura di), ult. op. cit, pagg. 331 e ss..
108 Con riguardo alla tassazione del trust, si veda, tra gli altri, A. PARENTE, La tassazione diretta dei trust in Italia, in C. BUCCICO
(a cura di), ult. op. cit, pagg. 231 e ss.; C. BUCCICO, La tassazione indiretta del trust in Italia, in ID., (a cura di), ult. op. cit, pagg.
263 e ss..
109 Di seguito, una breve sintesi della più recente giurisprudenza a riguardo. Revocatoria di atti di conferimento in trust e
scientia damni. Tribunale Palmi 14 novembre 2014. (30.07.2015). Per individuare la corretta tassazione del conferimento dei
beni nel trust è necessario ricostruire ogni trust secondo gli effetti giuridici propri del caso concreto. Commissione tributaria
provinciale Latina 14 maggio 2015. (29.07.2015). Trust liquidatorio dei debiti della società e domanda di revoca del trustee per
omessa rendicontazione. Tribunale Milano 15 luglio 2015. (29.07.2015). L'azione revocatoria ordinaria non ha funzione
recuperatoria e di tutela del diritto alla restituzione di un determinato bene. Tribunale Roma 23 maggio 2014. (27.07.2015).
Revocatoria ordinaria del conferimento in trust posto in essere dal fideiussore. Tribunale Modena 16 giugno 2015.
(22.07.2015). Revocatoria ordinaria di conferimento in trust effettuato poco dopo aver prestato fideiussione per apertura di
credito in conto corrente. Tribunale Torino 29 maggio 2015. (16.07.2015). Non tutti i trust attuano vincoli di destinazione:
occorre di volta in volta verificare quale sia la funzione assolta in concreto dal negozio posto in essere dal disponente e gli
effetti che il trust produce. Commissione tributaria provinciale Milano 11 marzo 2015. (15.07.2015). Conferimento di beni
in trust, applicazione delle imposte ipotecaria e catastale e requisiti del motivo di impugnazione della decisione
d'appello.Cassazione civile, sez. VI 23 giugno 2015. (08.07.2015). Revocatoria ex articolo 2901 c.c.: non è necessaria la
valutazione del danno. Natura gratuita del trust con lo scopo del soddisfacimento dei propri bisogni. Tribunale Napoli 16
giugno 2015. (06.07.2015). Non è riconoscibile il trust diretto a ledere la garanzia patrimoniale dei creditori nel quale il
disponente non perde il controllo dei beni in esso conferiti. Tribunale Monza 13 maggio 2015. (18.06.2015). Il trust con lo
scopo di proteggere e tutelare le esigenze dei familiari ed il fondo patrimoniale hanno in comune la segregazione dei beni e
la natura gratuita degli atti dispositivi. Tribunale Siena 22 maggio 2015. (18.06.2015). Nullità del trust liquidatorio istituito dal
liquidatore con funzione di trustee. Tribunale Forlì 20 febbraio 2015. (17.06.2015). Revocatoria dell'atto di dotazione di beni
in trust e litisconsorzio necessario nei confronti del trustee. Tribunale Milano 20 maggio 2015. (15.06.2015).
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interno nel nostro ordinamento110, ne sia seguita una seconda, più complessa, sulla valutazione della
meritevolezza del fine perseguito alla luce dei princîpi fondanti dell’ordinamento italiano.
Esemplificativa, a riguardo, la decisione del giudice felsineo, che circoscrive il fenomeno trust nei giusti
ambiti e ne focalizza i passaggi evolutivi salienti «a più di dieci anni dall’entrata in vigore della Convenzione
dell’Aja può ritenersi ampiamente superata la tesi che prospetta la contrarietà all’ordinamento italiano del trust
e la sua conseguente irriconoscibilità»111.
Tuttavia, benché non possano – a nostro giudizio – esservi più dubbi in merito all’operatività del trust
interno nel nostro Paese112, occorre sottolineare come a lungo, con particolare riferimento alla “disputa”
sull’ammissibilità dell’istituto in tema di famiglia (e famiglia di fatto), se ne sia dubitato.
È stato sottolineato in dottrina113 che i primi tentativi di ricorrere al trust interno ebbero inizio alla fine degli
anni novanta del secolo scorso, segnando l’ambito familiare per due diversi aspetti.
Il primo vide il ricorso al trust quale strumento nuovo per arginare gli effetti (negativi) di separazioni non
consensuali; il secondo trattò, invece, il trust quale strumento nuovo ed alternativo rispetto agli (scarni) istituti
civilistici previsti dal nostro ordinamento. Sto alludendo, in particolare, al fondo patrimoniale, disciplinato
dall’art. 167 c.c.114. Esso può essere costituito da uno o da entrambi i coniugi con atto pubblico, ovvero da un
terzo, anche per testamento e consiste nella destinazione di determinati beni, immobili o mobili iscritti in
pubblici registri o titoli di credito, per far fronte ai bisogni della famiglia. Si tratta, in buona sostanza, di un
vincolo di indisponibilità relativamente ai cespiti specificamente identificati, in relazione ai quali viene impresso
un peculiare vincolo: la finalizzazione al soddisfacimento delle esigenze familiari. In questo modo i terzi (rispetto
ai nubendi o a coloro che sono già tra loro coniugati: solitamente i genitori o altri parenti degli sposi) possono
effettuare a beneficio della famiglia attribuzioni patrimoniali115.
Orbene, è indubbio che l’istituto tipico risultava sempre più inadeguato a soddisfare le esigenze in continua
evoluzione di una società dalla quale stava nascendo un nuovo concetto di famiglia, del tutto nuovo rispetto a
quello previsto dal codice civile.
Saremmo propensi a credere, quindi, che proprio questa incapacità degli strumenti civilistici tradizionali di
assicurare adeguata tutela e protezione alla famiglia di fatto (nonché alle parti deboli del rapporto) – non potendo
ricorrere al fondo patrimoniale che presuppone l’esistenza del rapporto di coniugio – abbia occasionato un primo
ricorso al trust familiare in Italia, che avrebbe perseguito i medesimi fini raggiungibili dai coniugi con il fondo
patrimoniale116.
Tuttavia, la giurisprudenza, nel corso degli anni e sino ad oggi117, ha delimitato i contorni per l’applicabilità,
rectius, legittimità del trust quale strumento di tutela nell’ambito, non solo della famiglia di fatto, ma anche di
110
In cui la valutazione del giudice si estendeva, generalmente, alla verifica della compatibilità del trust regolato da legge
straniera alle norme imperative ex art. 15 della Convenzione.
111 Cfr., Trib. Bologna, 1 ottobre 2003, in Trusts Attività fiduciarie, 2004, p. 67. La citata sentenza è ritenuta, non a caso,
pietra miliare su cui, negli anni, è venuto a fondarsi il riconoscimento giurisprudenziale del trust nel nostro ordinamento,
non solo per le argomentazioni in essa sviluppate, ma anche da un punto di vista processuale, trattandosi della prima
sentenza emanata al termine di un processo di ordinaria cognizione in contraddittorio tra le parti.
112 A tal proposito, pregevole il lavoro di ricostruzione dell’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale sul tema, M. CIOCIA, Il
trust interno: processo di tipizzazione tra dispute dottrinali e prassi giurisprudenziale, in C. BUCCICO, (a cura di), ult. op. cit., p. 79 ss., al
quale si rinvia.
113 A. TONELLI, Prassi applicativa e trust interni, in C. BUCCICO, (a cura di), ult. op. cit., pag. 101 e ss..
114 Per un approfondimento a riguardo, tra i tanti, si veda, F. CARRESI, voce Fondo patrimoniale, in Enc. giur. Treccani, pp. 1 e ss.;
T. AULETTA, Il fondo patrimoniale, Milano, 1992; V. DE PAOLA, Il diritto patrimoniale della famiglia nel sistema del diritto privato:
nozioni introduttive, convenzioni matrimoniali, comunione legale dei beni, comunione convenzionale, in Il diritto patrimoniale della famiglia
coniugale, t.3, Milano, 1995; G. GABRIELLI, voce Patrimonio familiare e fondo patrimoniale, in Enc.dir., pp. 293 e ss..
115 In esito alla costituzione del fondo si verifica una divaricazione tra titolarità dei beni, spettanza dei frutti che i medesimi
sono idonei a produrre, regime di amministrazione e poteri di disposizione dei cespiti investiti dal vincolo.
116 Ciò portava ad un’immediata conclusione: evidenti profili di incostituzionalità sarebbero emersi laddove si fosse vietato
alla famiglia di fatto, solo perché non unita in matrimonio, quello che veniva consentito alla coppia coniugata. Così, A.
TONELLI, Prassi applicativa e trust interni, in C. BUCCICO, (a cura di), ult. op. cit., pag. 101 e ss..
117 Cfr., Trib. Bologna, 9 gennaio 2014 e Trib. Trieste, 22 gennaio 2014, in www.ilcaso.it.
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quella legittima. In primis, questo deve rispondere a criteri di residualità, che come pregevole dottrina ha
spiegato, è da «intendersi, dunque, [...] come unica soluzione possibile per soddisfare esigenze lecite che,
tuttavia, non trovano adeguata protezione nel diritto positivo interno»118. Dall’altro, v’è l’(altrettanto)
importante requisito dei trust interni, ovvero il programma negoziale, il cui profondo significato deve essere
inteso in modo molto più ampio rispetto a quello di causa del negozio giuridico espresso dal codice civile 119.
Infatti, il programma che si prefigge l’autore nel momento in cui istituisce il trust comprende, senza dubbio,
anche i motivi che, come ben noto, sono generalmente irrilevanti per l'ordinamento e, soprattutto, estranei al
concetto di causa, comunque la si voglia prospettare120.
La funzione economica individuale del trust, ovvero la sua causa, pertanto, si può ritenere che possa
intendersi nella formulazione di un programma, espresso dall’autore dell’atto istitutivo del trust, composto da
motivazioni proteiformi e, nondimeno, squisitamente personali, fra le quali ampio spazio trovano i veri e
proprio motivi personali che lo hanno indotto a ricorrere al trust121.
Orbene, tutto ciò risulta funzionale a evidenziare come i due concetti appena esplicitati – ovvero, la
residualità del trust e l’importanza del relativo programma – ruotino, indubbiamente, intorno al vero core della
quaestio che, ad onor del vero, la dottrina più attenta122 aveva già da tempo individuato, vale a dire la
meritevolezza della tutela (del programma negoziale).
In buona sostanza, come è stato correttamente individuato dagli studiosi del fenomeno - cui sentiamo di
poter, senz’altro, aderire -, «il trust deve essere portatore di interessi meritevoli di tutela da parte
dell’ordinamento giuridico italiano e ciò si evince, caso per caso, dalla struttura del programma enunciato dal
disponente che altro non è che la funzione economica individuale di quello specifico negozio giuridico che
deve risultare lecita ed apprezzabile da parte del giudice deputato al riconoscimento»123.
Inoltre, ed in omaggio alla già citata centralità dell’autonomia privata nel nostro ordinamento 124, sarebbe
auspicabile prescindere anche dal criterio della residualità, augurandosi, in questi casi, che la giurisprudenza si
118
A. TONELLI, Prassi applicativa e trust interni, in C. BUCCICO, (a cura di), ult. op. cit., pag. 103 e ss.. L’autore prosegue:
«Assodato questo presupposto, la prassi intraprese un pregevole percorso nell’ambito dei trust di famiglia che toccò sia la
famiglia di fatto sia quelle legata dal vincolo matrimoniale. Mentre infatti per la prima alcuno dubitò sulla legittimità per i
componenti la famiglia di fatto di ricorrere al trust, per la seconda, proprio grazie al trust interno, vennero via via superati
tutti i veti arcaici del fondo patrimoniale. [...] Venne infatti consentito alla famiglia legata dal vincolo matrimoniale di
ricorrere al trust quando i limiti fisiologici del fondo patrimoniale avrebbero impedito di perseguire lo scopo che la coppia
si prefiggeva, ossia creare un vincolo che potesse durare anche dopo il divorzio dei coniugi o la morte di uno fra questi
(sapendo infatti che in tali casi il fondo patrimoniale cessa ex lege) sino a legittimarne l’impiego anche nei casi in cui, a
prescindere dalla prospettazione di una durata che andasse oltre questi eventi, i coniugi manifestavano il desiderio di
mettere in trust anche beni di specie diversa dalle ristrette categorie alle quali è limitato il fondo patrimoniale».
119 In giurisprudenza, fra i primi che enucleò il concetto di “programma” quale pilastro portante per la legittimazione dei
trust interni vi fu il Giudice Tavolare Trib. Trieste nel noto decreto 23 settembre 2005. Cfr., Trib. Trieste decreto 23
settembre 2005, in Trusts Attività fiduciarie, 2006, p. 83.
120 V’è chi, pertanto, in dottrina, ha avanzato, senza alcun timore, che proprio il trust interno anticipò quella lettura moderna
della causa del negozio giuridico che ha portato la più recente giurisprudenza di legittimità a spostare l’asse di valutazione
della causa del negozio giuridico, dall’originaria funzione economico sociale, alla più pregnante e soggettiva funzione
economico individuale. Ex pluris si rinvia a Cass., sez. III, 20 marzo 2012, n. 4372, in Danno e Resp., 2012, p. 846, con nota
di L. CAPUTI.
121 Una concezione del programma intesa in termini così ampi ha permesso, agevolmente, di giungere ad impieghi del trust
in casi ancora più estremi, ossia per le persone sole che in ragione di esigenze strettamente personali, legittimamente
possono avere le medesime esigenze di protezione e autotutela che esprime la famiglia di fatto o la coppia unita in
matrimonio. Così, A. TONELLI, Prassi applicativa e trust interni, in C. BUCCICO, (a cura di), ult. op. cit..
122 M. LUPOI, Trust, cit., p. 356.
123 Cfr., A. TONELLI, Prassi applicativa e trust interni, in C. BUCCICO, (a cura di), ult. op. cit., nonchè, in giurisprudenza, Trib.
Bologna, 1 ottobre 2003, cit. e Trib. Bologna, 16 giugno 2003, in Trusts Attività fiduciarie, 2003, p. 580 ed ancora Trib.
Bologna, 18 aprile 2000, in Trusts Attività fiduciarie, 2000, p. 372.
124 Cfr., retro, pag. 6 e ss..
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conformi ad alcune pronunzie precedenti che si sono già dimostrate di questo avviso 125. Questo, in quanto,
profili di illegittimità costituzionale potrebbero adombrarsi atteso che la facoltà di ricorrere al trust per la
famiglia di fatto e per quella fondata sul matrimonio non sarebbe analoga; mentre la prima, infatti, potrebbe
liberamente istituire un trust, la seconda, viceversa, rimarrebbe (ingiustamente) ancora legata all’onere di
enunciare un programma con presupposti che vadano oltre i limiti del fondo patrimoniale, con una palese
violazione dell’art. 3 Cost. nella sua accezione sostanziale 126.
In ultimo, poi, occorre sottolineare che la meritevolezza della causa, rectius, del programma concreto del trust
interno come soluzione per la tutela delle parti cc.dd. deboli del rapporto more uxorio, partner economicamente
debole e/o relativa discendenza, non può essere, ex se, meritevole di tutela solo perché ad accedere al rimedio
sarebbero i componenti della famiglia di fatto, i quali non possono accostarsi alle tutele previste ex lege per la
famiglia legittima127.
È fondamentale, infatti, che il trust derivante dai “rapporti di adfectio” – a prescindere dall’esistenza di un
vincolo di coniugio dei suoi disponenti – sia portatore di interessi meritevoli di tutela da parte del nostro
ordinamento giuridico, e che questi siano enunciati in un programma che evidenzi un percorso volto ad
assicurare ai beneficiari quelle garanzie, tutele e rispetto di quei diritti, propri del rapporto coniugale.
Ne consegue, in definitiva, che, qualora i disponenti siano una famiglia more uxorio, questi non saranno
esonerati dall’enunciare un programma ben definito, non meramente segregativo dei beni al fine di eludere
eventuali pretese creditorie.
Non solo. Esaminare ed adattare la coerenza del programma enunciato con la «causa famiglia»128 sarà onere
del trustee. Egli dovrà considerarsi vero e proprio garante del sistema e non potrà, certo, tutelare un programma
absolutus dai fini ed interessi non in sintonia con i bisogni della famiglia di fatto e/o, in particolare, con quelli
delle parti deboli del rapporto more uxorio, tenendo, altresì, ben presente il percorso tracciato dalla nostra
giurisprudenza per la validità dei trust interni – ormai da considerarsi dei veri e propri modelli de iure condito di
risoluzione delle questioni in esame – nell’auspicabile prospettiva che il nostro ordinamento, al fine di risolvere
le problematiche evidenziate nel presente lavoro, possa passare da una sorta di damnatio, ad un definitivo,
quanto auspicabile, favor trust.
AVV. FABRIZIO MIGLIACCIO
125
Cfr., Trib. Urbino, 11 novembre 2011, in Trusts Attività fiduciarie, 2012, p. 401. Nonostante ciò, rimane indubbio un
perdurante favor del criterio della residualità. Rimangono di questo avviso, infatti, il Giudice Tavolare Trib. Belluno, 24
febbraio 2014, in www.ilcaso.it, con nota di A. TONELLI e Trib. Udine, 28 febbraio 2015, in www.il-trustinitalia.it.
126 Provocatoriamente, in dottrina, si è affermato che «si assisterebbe, pertanto, alla rivincita, almeno in questo campo, della
famiglia di fatto sulla coppia coniugata, in quanto la prima uscirebbe dal confronto collocata ad un livello superiore, posto
che alcuno potrebbe eccepire l’illegittimità del trust istituito dalla famiglia di fatto che si presenti come un vero e proprio
fondo patrimoniale, ossia limitato solo a certi beni e destinato a cessare alla separazione della coppia o alla morte di uno dei
due». Così, A. TONELLI, Prassi applicativa e trust interni, in C. BUCCICO, (a cura di), ult. op. cit..
127 Così come, analogamente, non sarebbe illegittimo, di per sé, il trust istituito dalla famiglia legittima che vada oltre i limiti
del fondo patrimoniale.
128 L’espressione è di A. TONELLI, Prassi applicativa e trust interni, in C. BUCCICO, (a cura di), ult. op. cit.. Continua l’Autore:
«proprio l’esperienza maturata con il fondo patrimoniale rivelerà tutta la sua utilità. Se, infatti, è vero, com’è indubbiamente
vero, che il fondo può venire ad esistenza se ed in quanto attraverso ad esso si soddisfano i bisogni della famiglia, con i noti
effetti per quei creditori che hanno titoli di natura diversa, allo stesso modo il trust, sia esso della famiglia di fatto, sia quello
istituito dalla coppia unita in matrimonio, dovrà enunciare un programma parimenti coerente». Ibidem.
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Abstract
Il presente lavoro si propone, tra gli altri, l’obiettivo di affrontare la vexata questio dei rapporti giuridico –
patrimoniali tra conviventi more uxorio e la conseguente tutela delle parti cc.dd. “parti deboli” (figli minori
e partner economicamente più svantaggiato), proponendo, come possibile rimedii, gli accordi di convivenza,
nonché lo strumento giuridico, proprio degli ordinamenti di common law, del trust.
Lo scritto in esame analizzerà la qualificazione giuridica dei rapporti more uxorio e la loro evoluzione storico
giuridica alla luce dell’entrata in vigore della costituzione repubblicana.
Di poi, si esaminerà l’attuale (e scarna) tutela giuridica delle parti cc.dd. “deboli” del rapporto more uxorio, partner
economicamente svantaggiato e relativa discendenza.
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In ultimo, si proporrà, attraverso l’analisi dei più recenti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, sia nazionali
che internazionali, gli accordi di convivenza, nonché, de iure condito, l’istituto giuridico del trust come possibile ed
auspicabile soluzione al problema oggetto del contributo.
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