Financial Market Speech Series

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Serie di interventi sui mercati finanziari
Landesbank Hessen-Thüringen – Rappresentanza permanente dell’Assia presso l’Unione
europea a Bruxelles
20 novembre 2007, Bruxelles, Belgio
Il valore della comunicazione della banca centrale
Lorenzo Bini Smaghi 
Membro del Comitato esecutivo
della Banca centrale europea

Le opinioni espresse riflettono la posizione dell’autore. Ringrazio Luca Benati per il contributo prestato e
Livio Stracca per la collaborazione nella preparazione di questo intervento.
È per me un grande piacere intervenire stasera in questa particolare occasione,
poiché discuteremo di argomenti legati sia all’economia sia all’architettura, toccando un
tema comune: la Banca centrale europea. Dopo il mio intervento, il Professor W. Prix della
COOPHIMMELB(L)AU presenterà il progetto della nuova sede della BCE a Francoforte,
un’opera affascinante che segnerà una pietra miliare a livello internazionale: la “casa
dell’euro”.
I valori della BCE
Nel bando del concorso di progettazione architettonica, dell’aprile 2003, si afferma che “il
progetto deve riflettere i valori che consideriamo essenziali… Ci impegniamo a perseguire
trasparenza, integrità, eccellenza ed efficienza”1. Il Professor Prix illustrerà brevemente
come il suo progetto traduce i principali “valori della Banca centrale europea”.
Tuttavia, come vedrete tra qualche minuto, il Professor Prix si discosta leggermente dal
bando del concorso. Dimentica del tutto i valori di integrità ed eccellenza, sostituendoli con
altri due non menzionati nel bando, ossia stabilità e comunicazione. Questa discrepanza
non è stata evidentemente considerata motivo sufficiente per escluderlo dal concorso. E
riesce a farla franca anche dopo essersi classificato vincitore.
Personalmente, trovo interessante confrontare i due elenchi di valori. Potrebbero riflettere
la differenza tra l’immagine che noi, alla BCE, vorremmo proiettare e quello che le persone
all’esterno della BCE considerano i nostri valori più importanti.
Passiamo innanzitutto ai due valori, enunciati nel bando del concorso, che il Professor Prix
ha voluto tralasciare: integrità ed eccellenza. Vi sono solo due possibili interpretazioni per
questa scelta. La prima è che sono semplicemente troppo difficili da rendere in forme
architettoniche e la COOPHIMMELB(L)AU non li ha tenuti in considerazione sperando
che nessuno lo avrebbe notato. La seconda è che questi valori sono così ovvi per
un’istituzione come la BCE da essere scontati: ça va sans dire, come si direbbe in francese.
E infatti cosa ci si potrebbe aspettare dalla Banca centrale europea se non eccellenza e
1
I valori della BCE sono stati nel frattempo ulteriormente elaborati. Nel Rapporto annuale 2004 della BCE –
competenza, efficacia ed efficienza, integrità, spirito di squadra, trasparenza e responsabilità per il proprio
operato, lavorare per l’Europa – sono stati aggiunti due valori, spirito di squadra e lavorare per l’Europa,
che riflettono la dimensione dell’Eurosistema.
2
integrità? Penso che su questo punto siamo tutti concordi, per cui possiamo ora passare ai
due nuovi valori che il Professor Prix ha aggiunto nell’elenco e che non erano menzionati
nel bando: comunicazione e stabilità.
Iniziamo con la stabilità. Dal nostro punto di vista la stabilità non è un valore, bensì un
obiettivo. Infatti, il nostro compito primario consiste nel conseguire la stabilità dei prezzi.
Tuttavia, a pensarci bene, per i cittadini europei la stabilità – e in particolare la stabilità dei
prezzi – è un valore. Tutte le indagini condotte indicano senza ombra di dubbio che in ogni
paese dell’Unione europea i cittadini tengono fermamente alla stabilità dei prezzi, e quando
non viene conseguita giustamente protestano2. La stabilità dei prezzi può pur essere un
obiettivo per la BCE, ma per il grande pubblico rappresenta un valore che essa deve
esprimere con ogni mezzo, anche attraverso la propria sede.
L’altro dei due valori aggiunto nell’elenco è la comunicazione. Più che un valore è uno
strumento. La BCE comunica i suoi obiettivi, la sua strategia, le sue decisioni. È un modo
per rendere conto del proprio operato, un modo per realizzare la trasparenza. Come può
dunque la comunicazione essere considerata un valore?
La comunicazione è un “valore”
Il grande pubblico indubbiamente desidera che la BCE informi su ciò che fa per assicurare
la stabilità. Da una prospettiva esterna, la BCE non deve soltanto comunicare, ma anche
assegnare alta priorità alla comunicazione. A mio avviso, questa considerazione ha indotto
il Professor Prix a elevare la comunicazione, trasformarla in valore e farne il fulcro del suo
progetto architettonico.
Ritengo che noi, alla Banca centrale europea, dobbiamo prendere in seria considerazione
questo genere di suggerimenti. Vorrei dedicare la parte restante del mio intervento di
questa sera al tema della comunicazione della banca centrale, in relazione agli altri valori
principali della BCE, per come vengono percepiti dal grande pubblico. Di fatto, la
comunicazione è fondamentale per conseguire trasparenza, responsabilità per il proprio
operato ed efficienza.
2
In altre occasioni ho approfondito la questione del perché la stabilità dei prezzi favorisca la
massimizzazione del benessere economico dei cittadini, cfr. L. Bini Smaghi, “With or without prejudice to
price stability?”, intervento al Convegno annuale della Barclays, tenutosi a Londra il 24 maggio 2007.
3
Il perché la comunicazione sia essenziale ad assicurare trasparenza e responsabilità per il
proprio operato dovrebbe essere abbastanza ovvio. Riguardo all’efficienza, vorrei soltanto
osservare che, nel mondo di oggi, la comunicazione della banca centrale può essere
altrettanto importante ed efficace del tradizionale strumento di politica monetaria, ossia il
tasso di interesse3. Perché? Perché le aspettative di inflazione sono una determinante di
rilievo del comportamento degli operatori economici nei mercati del lavoro, dei beni e
servizi e dei capitali. Influenzando le attese degli operatori, la comunicazione della banca
centrale, se adeguata, può rafforzare, o perfino sostituire, l’azione di politica monetaria
condotta attraverso il tasso di interesse. La comunicazione è efficace se influisce sulle
aspettative degli operatori economici nella maniera desiderata.
Per essere efficace la comunicazione deve caratterizzarsi per chiarezza e credibilità. Essa è
tuttavia uno strumento difficile da usare, forse più difficile che modificare il tasso di
interesse. Questa affermazione è giustificata da diverse ragioni che tratterò ulteriormente
sulla base dell’esperienza della BCE.
La banca centrale comunica con almeno tre diverse categorie di interlocutori: 1) gli
operatori dei mercati finanziari; 2) altri esponenti istituzionali, in particolare della sfera
politica, e 3) il grande pubblico. Il tipo di comunicazione differisce notevolmente a seconda
dei destinatari. Ma questa semplice distinzione non è sempre possibile. È una sfida costante
per i responsabili a livello politico, specialmente nel caso dell’area dell’euro, formata da 13
paesi – che presto saranno 15 – con culture, lingue e tradizioni diverse, in cui perfino le
parole, se tradotte letteralmente possono avere significati diversi e provocare reazioni
differenti.
Vorrei analizzare ciascuna delle sfide che si trova ad affrontare la BCE nell’attività di
comunicazione con le diverse controparti.
La comunicazione con i mercati finanziari
La comunicazione della banca centrale è importante per gli operatori dei mercati finanziari
perché forma la base delle loro estrapolazioni sui futuri interventi di politica monetaria,
3
Questa tematica è stata ampiamente esaminata nella letteratura economica. Cfr. in particolare A. Blinder et
al., (2001) “How do Central Banks Talk?”, ICMB/CEPR Geneva Report on International Economy. Per
un’analisi più recente degli aspetti sia concettuali sia pratici della comunicazione della banca centrale, cfr.
ad esempio Geerats, P. (2006), “Transparency of Monetary Policy: Theory and Practice”, CESifo Economic
Studies, vol. 52.
4
interventi che potrebbero ripercuotersi sul valore delle attività finanziarie. L’obiettivo della
comunicazione a questa categoria di interlocutori è conseguire nel contempo efficienza e
trasparenza.
La comunicazione della banca centrale è efficiente se consente agli operatori economici di
comprendere la politica monetaria che la banca centrale intende attuare. Se questi allineano
le loro aspettative a quello che la banca centrale intende effettuare, qualsiasi cambiamento
di politica monetaria sarà molto meno destabilizzante. Trasparenza significa che la
comunicazione è rivolta a tutti gli operatori economici; nessuno di essi gode di accesso
privilegiato alle informazioni, per evitare che si verifichino distorsioni dei mercati.
La comunicazione della banca centrale con i mercati finanziari si basa su una componente
fissa e una componente variabile. La componente fissa è rappresentata dalla definizione
dell’obiettivo della stabilità dei prezzi – ossia un tasso di inflazione inferiore ma prossimo
al 2 per cento nel medio periodo – e dal quadro analitico che caratterizza la funzione di
reazione della banca centrale al contesto in costante evoluzione al fine di raggiungere il suo
obiettivo – la cosiddetta strategia basata su due pilastri della BCE. La componente variabile
riguarda la valutazione del contesto economico in continua evoluzione. Questa rappresenta
la parte più delicata perché, come ho ricordato prima, interessa l’insieme di informazioni
che gli operatori economici utilizzano per estrapolare i tassi di interesse e quindi un’intera
serie di prezzi delle attività finanziarie. Tale comunicazione pone due sfide. Da un lato, non
è sempre facile per gli operatori economici distinguere fra comunicazione della banca
centrale e ciò che definirei fenomeni di “disturbo”. Dall’altro lato, le banche centrali
devono rendersi conto che se la loro comunicazione viene male interpretata, gli operatori di
mercato potrebbero essere indotti a prendere decisioni sbagliate, con perdite economiche
potenzialmente rilevanti. Infine, se i partecipanti al mercato incontrano difficoltà a
comprendere la banca centrale, è in gioco la credibilità della banca centrale stessa.
Di conseguenza, la comunicazione della banca centrale con i mercati finanziari deve
basarsi su due presupposti. Innanzitutto, gli operatori economici devono essere in grado di
distinguere tra informazioni e fenomeni di “disturbo”. Secondariamente, i banchieri centrali
devono inviare informazioni ai mercati, evitando i fenomeni di “disturbo”.
Come si può conseguire questo fine? Vorrei illustrare quattro semplici principi, che
dovrebbero essere applicati in maniera generalizzata, ma soprattutto in fasi di turbolenza
finanziaria come quelle osservata attualmente:
5
-
In primo luogo, i banchieri centrali devono essere consapevoli che la loro
comunicazione può, che piaccia o no, “far muovere i mercati”.
-
In secondo luogo, i banchieri centrali devono comunicare in modo tale da far
muovere i mercati solo in rare occasioni, ossia in presenza di un chiaro
disallineamento tra prezzi di mercato e interventi attesi della banca centrale.
-
In terzo luogo, in caso di anomalia nella fissazione dei prezzi, è necessario che
l’azione di comunicazione sia coordinata e veicolata attraverso un unico canale,
ossia il massimo organo decisionale dell’istituzione.
-
In quarto luogo, se i mercati sono indotti accidentalmente a muoversi, è probabile
che sia stato commesso un errore di comunicazione.
In base a questi quattro principi, i mercati devono imparare a non muoversi in risposta a
interventi di comunicazione che non siano esplicitamente intesi a produrre questo effetto, in
particolare se tali interventi non sono veicolati attraverso il canale indicato nel terzo
principio. Tuttavia, se i mercati si muovono in queste circostanze, lo fanno a proprio
rischio.
Non sempre è facile per gli operatori economici distinguere tra comunicazione per loro
rilevante e altri tipi di comunicazione che le banche centrali forniscono regolarmente, ad
esempio rivolgendosi a un pubblico nazionale, e che potrebbe essere caratterizzata da toni
ed enfasi diversi, come spiegherò brevemente.
Nel complesso, la comunicazione tra la BCE e i mercati finanziari ha funzionato piuttosto
bene. I mercati hanno imparato col tempo a distinguere tra comunicazione rilevante e
fenomeni di “disturbo”. La fonte principale di informazioni è la dichiarazione resa dal
Presidente della BCE all’inizio della conferenza stampa mensile, poco dopo la riunione del
Consiglio direttivo. Questo tipo di comunicazione offre chiaramente l’opportunità di
spiegare le decisioni di politica monetaria, la valutazione alla base della situazione
economica e il quadro di riferimento elaborato a sostegno della valutazione. L’analisi
empirica mette in luce che la conferenza stampa aiuta gli operatori economici a
comprendere il messaggio inviato4.
4
Cfr. in particolare M. Fratzscher e M. Ehrmann (2007), Explaining monetary policy in press conferences,
Working paper della BCE, n. 767, giugno 2007. Gli autori concludono che “le conferenze stampa della
BCE forniscono considerevoli informazioni aggiuntive ai mercati finanziari rispetto a quelle contenute
nelle decisioni di politica monetaria. Di fatto, le conferenze stampa hanno avuto in media maggiori effetti
sui mercati finanziari che le corrispondenti decisioni di politica monetaria, e minori effetti sulla volatilità.
6
Tuttavia, si è talvolta verificato che i mercati sono stati indotti a muoversi da fenomeni di
“disturbo” o da una comunicazione che non era intesa – o non doveva essere intesa – a
raggiungere questo fine. In questi casi, per ovviare al problema dell’errata percezione si è
tempestivamente provveduto a correggere la comunicazione. A titolo di esempio, a metà
novembre 2005 il Presidente della BCE ha precisato in un discorso che la BCE era pronta a
innalzare i tassi di interesse da lì a due settimane, allineando in tal modo le aspettative ed
evitando di cogliere di sorpresa gli operatori economici. Nel maggio 2006 questi si
attendevano un’accelerazione del ritmo di incremento dei tassi di interesse, sulla base di
voci diffuse (e non qualificate) e fenomeni di “disturbo”. Il Presidente della BCE ha
esortato gli operatori a non attribuire importanza a voci provenienti da fonti anonime, né a
dichiarazioni rese da singoli, spesso fuori contesto, ai fini della loro valutazione sul futuro
orientamento della politica monetaria della BCE.
Durante la fase di turbolenza dei mercati della scorsa estate la comunicazione è servita
affinché gli operatori economici distinguessero tra misure direttamente connesse
all’attuazione della politica monetaria e misure volte a ripristinare l’ordinato
funzionamento del mercato monetario. In particolare, la BCE ha segnalato l’intenzione di
intervenire sul mercato monetario per ridurre la variabilità del tasso overnight fintantoché
lo si ritenga necessario, oltre che verso fine anno, periodo per il quale gli operatori si
attendono un assottigliamento della domanda di liquidità. Queste informazioni hanno
contribuito a ridurre le tensioni sul mercato monetario.
Una questione dibattuta da esponenti del mondo accademico e partecipanti al mercato è se
vi siano limiti alla quantità di informazioni che una banca centrale deve comunicare ai
mercati. In tale contesto, la BCE ha rifiutato di dare indicazioni esplicite sul futuro profilo
dei tassi di interesse su un orizzonte di oltre un mese. La ragione risiede nel fatto che, a
nostro avviso, non è opportuno assumere fermi impegni in un mondo caratterizzato da
incertezza5. Naturalmente si possono formulare previsioni condizionate, basate sulle
informazioni disponibili in un dato momento. Alcune banche centrali hanno iniziato a
elaborare previsioni di questo genere, annunciando il futuro andamento dei tassi di
interesse su un orizzonte di due anni o più. Tuttavia, va detto che queste informazioni
beneficiano sicuramente gli operatori in modo coerente. Poiché questo tipo di annuncio
5
Inoltre, la sessione dedicata alle domande e risposte fa chiarezza sulle prospettive economiche, in
particolare in periodi caratterizzati da elevata incertezza macroeconomica.”
Ho trattato approfonditamente tale questione in un intervento dal titolo “Three Questions on Monetary
Tightening”, al Convegno della Nomura, tenutosi il 26-27 ottobre 2006.
7
dipende dalle informazioni disponibili in un dato momento, è valido solo in quel momento
ed è destinato a cambiare poco dopo. I partecipanti al mercato quindi chiederanno
regolarmente alla banca centrale se le previsioni pubblicate saranno ancora valide o no, e in
quest’ultimo caso in che direzione si muovono. In queste circostanze non è facile per una
banca centrale evitare questo dibattito. Perché sarebbe opportuno pubblicare l’andamento
dei tassi di interesse solo tre o quattro volte l’anno invece che sei o otto, o perfino ogni
mese, oppure ogni volta che un responsabile di politica monetaria si rivolge al pubblico?
Ciò che più conta per la buona conduzione della politica monetaria è che gli operatori di
mercato comprendano bene il quadro analitico appositamente adottato dalla banca centrale.
Questo consente agli operatori economici di elaborare le loro previsioni sul profilo dei tassi
di interesse, in base alla loro comprensione della situazione economica sottostante. Se la
banca centrale rendesse note le sue previsioni sui tassi di interesse, gli operatori potrebbero
divenire meno propensi a formulare previsioni proprie, il che renderebbe difficile per loro
valutare la futura conduzione della politica monetaria, soprattutto quando questa si discosta
dalle previsioni a causa di andamenti inattesi. La banca centrale non sarebbe nella
posizione di giudicare se le aspettative di inflazione siano adeguatamente ancorate a un
livello coerente con il suo obiettivo di stabilità dei prezzi.
La comunicazione con il potere politico
Il principale obiettivo della comunicazione di una banca centrale con le altre autorità è di
assicurare un’adeguata responsabilità per il proprio operato, presupposto fondamentale per
l’indipendenza, e migliorare l’efficacia della politica economica in generale.
La comunicazione fra la BCE e il potere politico avviene nell’ambito di un preciso quadro
di riferimento, stabilito dal Trattato. La BCE interagisce con il Parlamento europeo
attraverso audizioni periodiche del Presidente della BCE e di altri membri del Comitato
esecutivo su un’ampia gamma di questioni. Ogni anno il Parlamento europeo adotta, su
propria iniziativa, una risoluzione sui provvedimenti attuati dalla BCE, in cui valuta
apertamente la politica monetaria e altri compiti svolti dalla BCE. Questo rapporto non è
contemplato dal Trattato e non è prassi abituale in gran parte degli altri paesi avanzati.
La BCE e l’Eurogruppo hanno contatti frequenti: il Presidente della BCE prende parte alle
riunioni mensili dell’Eurogruppo e il Presidente di quest’ultimo consesso partecipa alle
8
riunioni del Consiglio direttivo della BCE laddove possibile. Le discussioni coprono
un’ampia gamma di tematiche, nel pieno rispetto dell’indipendenza delle istituzioni.
Una questione appurata fin dall’inizio è che la politica monetaria e la politica di bilancio
vanno condotte autonomamente, pur tenendo in considerazione tutte le informazioni rese
disponibili dall’altro organo decisionale. Il coordinamento delle politiche economiche e
monetaria, concetto spesso studiato in letteratura, implica nella pratica uno scambio di
informazioni sulla situazione economica alla base delle rispettive decisioni. Non si tratta di
uno scambio di impegni a priori, un do ut des finalizzato all’auspicato perseguimento di un
obiettivo comune. In effetti, lo scopo primario della BCE è la stabilità dei prezzi, mentre
alle autorità politiche competono altri obiettivi di politica economica, quali crescita e
occupazione.
Questa interpretazione si applica anche alle banche centrali che formalmente si prefiggono
più di un obiettivo, come la Federal Reserve statunitense. Alan Greenspan, nel suo recente
libro The Age of Turbulence, scrive che la Fed non si è mai impegnata a variare i tassi di
interesse in cambio di sostegno nell’ambito delle politiche di bilancio o di altra natura, con
grande disappunto di alcuni segretari del tesoro, soprattutto Brady dell’amministrazione
Bush (senior)6.
Sebbene vi sia un preciso quadro di riferimento per la comunicazione fra BCE e organi
politici europei, si verificano talvolta inopportuni sconfinamenti in pubblico. Si tratta di
una caratteristica unica nel suo genere. Nella maggior parte degli altri paesi, le autorità
politiche non intervengono mai pubblicamente su questioni relative alla politica monetaria,
tanto meno sui tassi di interesse. L’indipendenza della banca centrale è considerata un
valore e non viene mai messa in discussione. Sempre nel suo libro, Greenspan spiega
perché il Presidente degli Stati Uniti o il Segretario del tesoro evitino commenti sui tassi di
interesse, consentendo così alla Federal Reserve di fronteggiare l’inflazione con efficacia7.
Oltre alle motivazioni fornite da Greenspan, occorre menzionarne altre due.
In primo luogo, un carosello di dichiarazioni sugli interventi e/o sulla strategia di politica
monetaria generato da diversi soggetti istituzionali aggiunge inutili fenomeni di “disturbo”
al sistema, potenzialmente a scapito dell’efficacia complessiva della politica monetaria.
6
7
Cfr. A. Greenspan (2007), The Age of Turbulence: Adventures in a New World, Penguin Press, pagg. 118120 in particolare.
Cfr. Greenspan, op. cit., pag. 491.
9
In secondo luogo, le dichiarazioni rilasciate dai politici possono ritorcersi contro di loro. Mi
spiego meglio. La storia ha dimostrato in maniera inequivocabile che le dichiarazioni
provenienti da soggetti diversi dalla banca centrale invocano quasi immancabilmente un
allentamento della politica monetaria. In tali circostanze, il rischio è che la banca centrale
sia propensa, per motivi di reputazione, ad adottare un orientamento marginalmente più
antinflazionistico di quanto farebbe altrimenti. Tale eventualità è stata colta in un’efficace
battuta di spirito dell’ex Presidente della BCE Duisenberg che parlando dei banchieri
centrali ha affemato:“ Noi siamo come la panna montata: più ci battete, più diventiamo
duri”. ("We are like whipped cream, the more you whip, the stronger we become.")
Alan Greenspan descrive i contrasti avuti con vari presidenti impegnatisi a rispettare
l’indipendenza della Fed. Robert Rubin, ex Segretario del tesoro, scrive nel suo libro, In An
Uncertain World, di aver consigliato al Presidente Clinton di non parlare mai di tassi di
interesse8. Racconta inoltre che, negli incontri settimanali con il Presidente della Fed, i due
non parlavano mai di politica monetaria.
Lo stesso approccio è adottato nella maggior parte degli altri paesi avanzati.
Nell’area dell’euro, invece, c’è chi assume un atteggiamento completamente diverso.
Alcuni politici, a qualunque schieramento appartengano, non esitano a elargire consigli,
esprimere critiche o addirittura chiedere apertamente alla BCE di andare in una direzione o
nell’altra (una soprattutto!). Talvolta vengono messi in discussione addirittura
l’indipendenza della BCE e l’obiettivo primario di mantenere la stabilità dei prezzi, come
se il Trattato potesse essere rettificato periodicamente.
Come devono rispondere i banchieri centrali a tali osservazioni? Athanasios Orphanides,
Governatore della Banca centrale di Cipro e, dal prossimo gennaio, anch’egli membro del
Consiglio direttivo della BCE, ha fatto di recente un’osservazione emblematica sul
Financial Times a tale riguardo: “Ciò che i fondatori della BCE hanno incorporato nel
mandato è l’essenza di quanto abbiamo appreso dalla storia monetaria degli ultimi 100
anni. La chiarezza del mandato, a mio parere, rende più semplice adottare decisioni di
politica monetaria corrette con molta più sicurezza, consentendo alla politica monetaria di
contribuire al meglio alla prosperità delle nazioni”. In altre parole, meno diplomatiche,
direi che oltre un secolo di storia monetaria dimostra che, quando la politica monetaria è
lasciata ai politici, l’esito per la popolazione è peggiore, sia in termini di inflazione che di
8
R. Rubin e J. Weisberg (2003), In An Uncertain World, Texere Publishing.
10
crescita. Ecco perché in tutti i paesi avanzati le banche centrali sono indipendenti e hanno
dichiarato esplicitamente che la stabilità dei prezzi è il loro obiettivo prioritario.
Fortunatamente, questo principio è stato riaffermato nel Trattato di riforma dell’UE e le
discussioni (speriamo) si placheranno, almeno per qualche tempo.
Ma allora perché i politici dell’area dell’euro si esprimono sui tassi di interesse e di
cambio, anche se sanno che la loro possibilità di influenzare la BCE è praticamente nulla?
Ampliando il ragionamento di Greenspan, i politici che invitano la BCE ad agire, o non
agire, naturalmente vogliono farsi ascoltare prima di tutto dai propri concittadini ed essere
considerati influenti. Il fatto di non esercitare un condizionamento effettivo potrebbe
tuttavia pregiudicare la loro credibilità agli occhi dell’elettorato. Allora perché insistono?
Vi possono essere tre spiegazioni. Sottolineo: spiegazioni, non giustificazioni.
La prima è che, a differenza degli operatori dei mercati finanziari, i politici e le altre parti
sociali hanno difficoltà a cogliere la natura lungimirante della politica monetaria. In
particolare, non sempre comprendono perché le condizioni monetarie vadano inasprite in
taluni frangenti in assenza di crescita dell’inflazione. “Perché aumentate i tassi di interesse
se non c’è inflazione?” è una domanda che mi sento rivolgere spesso. È chiaro che, se si
aspetta l’incremento dell’inflazione, allora sarà troppo tardi e sarà molto oneroso riportarla
su livelli più bassi. I tassi di interesse vengono innalzati per impedire all’inflazione di
salire. C’è forse stato un prezzo da pagare per il successo degli anni recenti nel mantenere
bassa l’inflazione nell’area dell’euro: gli operatori economici, soprattutto i politici,
potrebbero aver dimenticato o sottovalutato le azioni che hanno portato al conseguimento
di questo risultato, fra cui anche l’aumento dei tassi di interesse laddove necessario.
L’assenza di un soggetto finanziario significativo nell’Europa continentale potrebbe essere
la ragione per cui, a differenza di altri paesi come Stati Uniti e Regno Unito, i politici
continuano a fare dichiarazioni su politica monetaria e tassi di interesse senza subire
particolari conseguenze.
La seconda spiegazione possibile è la frustrazione dei politici, i quali dovrebbero astenersi
dal parlare di politica monetaria mentre la BCE e le banche centrali nazionali possono
esprimere il proprio parere su un’ampia gamma di questioni, fra cui le politiche di bilancio
e strutturali. Devo ammettere che io stesso ho provato questa frustrazione all’epoca in cui
sedevo dall’altra parte del tavolo, quando lavoravo per il Ministero delle finanze italiano.
Esiste un rimedio a questa asimmetria? Come ho già detto, lasciare che gli organi politici
11
parlino di politica monetaria creerebbe solo confusione. Genererebbe incertezza
sull’impianto istituzionale dell’Unione. È una prassi inesistente in altri paesi. Dovrebbe
allora la BCE smettere di intervenire su questioni di finanza pubblica e strutturali? La
pongo come domanda. Chi trarrebbe vantaggio da questa censura?
Nei paesi dell’Europa continentale, tradizionalmente viene chiesto alle banche centrali di
esprimere un parere sulle politiche di bilancio del proprio paese, talvolta anche in un
intervento formale al parlamento. Ciò viene considerato, da alcune autorità politiche stesse
(specie il parlamento) e dal grande pubblico, come un modo per ottenere una valutazione
indipendente. In Italia, ad esempio, il governatore della banca centrale esercita il ruolo di
“consulente economico di alto livello” per il governo e il parlamento. È quanto avviene
anche negli Stati Uniti, dove il Presidente della Federal Reserve è invitato dal Congresso a
esprimere la propria opinione su questioni specifiche di finanza pubblica. Mi sembra che
vari gruppi della popolazione siano interessati a chiedere il parere della BCE e delle banche
centrali nazionali su questioni di bilancio o di altra natura. Ritengo, pertanto, che i politici
europei debbano accettare questa asimmetria, come hanno fatto altri al mondo nella loro
posizione.
La terza spiegazione è che il gioco “incolpa l’Europa” (BCE compresa) ha goduto di una
certa popolarità per qualche di tempo. Esso in realtà ha avuto effetti devastanti.
Innanzitutto, ha minato la fiducia della popolazione nelle istituzioni europee, come ha
dimostrato il rifiuto della Costituzione in Francia e Paesi Bassi. Poi, ha inasprito le
relazioni fra le istituzioni stesse. Spesso si chiede alla BCE perché non pubblica i verbali
delle riunioni, al pari di altre banche centrali. È vero in effetti che altre banche centrali,
come la Federal Reserve statunitense o la Bank of England, pubblicano i verbali delle
riunioni e i registri delle votazioni. Queste banche centrali, tuttavia, vivono in contesti
istituzionali diversi da quello della BCE. Come ho già ricordato, in questi paesi i
responsabili politici non provano costantemente a influenzare né esprimono giudizi sulle
autorità monetarie; essi, capi di Stato compresi, non criticano la banca centrale (per non
parlare dei singoli membri del Consiglio direttivo) in interventi pubblici, ad esempio in
parlamento. I rispettivi parlamenti non votano sulle politiche delle banche centrali. Sarebbe
un evento assolutamente inaudito.
Nell’area dell’euro è diverso. Qui, il rispetto per il mandato e le decisioni della BCE non è
ancora un principio del tutto consolidato. La pubblicazione dei verbali delle riunioni del
Consiglio direttivo sarebbe prematura, in quanto ciò esporrebbe i singoli membri al
12
dibattito pubblico nei paesi di origine, mentre la responsabilità del loro operato è nei
confronti dell’intera Unione.
L’assetto istituzionale che l’Europa si è conferita ha bisogno di fiducia e rispetto. Esso
stabilisce non solo che la BCE è indipendente, ma anche che le istituzioni politiche e gli
organi dell’Unione europea e degli Stati membri “si impegnano a rispettare questo
principio [di indipendenza] e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali
della BCE” (articolo 108 del Trattato). Spetta alle autorità politiche dare l’esempio e
mostrare la fiducia e il rispetto appropriati.
La comunicazione con il grande pubblico
La comunicazione con il grande pubblico si prefigge due principali obiettivi: essere efficaci
e render conto del proprio operato. Si tratta, a mio parere, di uno dei compiti più ardui, per
una serie di motivi. In primo luogo vi è la questione linguistica. A differenza di altre
banche centrali, la BCE deve utilizzare 11 lingue diverse per parlare ai 317 milioni di
cittadini che vivono nei 13 paesi dell’area dell’euro, ciascuno dei quali ha cultura e
tradizioni proprie. Al di là della mera quantità degli idiomi, sussiste il problema dei
cosiddetti “faux amis” (letteralmente “falsi amici”): parole apparentemente simili possono
avere connotazioni diverse a seconda della lingua. Ad esempio, la parola “rischio” nelle
lingue anglosassoni risulta molto più neutra che in quelle romanze, per le quali tende ad
avere un’accezione negativa. Pertanto, l’espressione “rischi al rialzo per la crescita”, che è
solo un concetto statistico riguardante la distribuzione delle probabilità, suona
contraddittoria nelle lingue romanze in quanto racchiude una connotazione sia positiva che
negativa.
All’interno dell’Eurosistema, le banche centrali nazionali svolgono un ruolo cruciale nella
comunicazione con i cittadini. I governatori, quali membri del Consiglio direttivo della
BCE, trasmettono il messaggio comune ai rispettivi concittadini e spiegano la politica
monetaria della BCE, nonché il modo in cui essa concorre a conseguire la stabilità dei
prezzi.
La comunicazione con il grande pubblico può avere un impatto sulle scelte degli operatori
economici, accrescendo quindi l’efficacia della politica monetaria. Essa deve trovare
l’equilibrio fra due obiettivi, diciamo, inconciliabili. Da un lato, la banca centrale deve
aumentare il livello di consapevolezza relativa ai potenziali rischi inflazionistici e mettere
13
in guardia da qualunque comportamento che potrebbe compromettere la stabilità dei prezzi.
Dall’altro, dovrebbe anche rassicurare i cittadini sul fatto che saranno adottate tutte le
misure necessarie ad assicurare il mantenimento della stabilità dei prezzi. Ciò comporta una
delicata operazione di bilanciamento fra allarmare la popolazione per i rischi di inflazione
ed essere condiscendenti. Qualsiasi marcato spostamento in una direzione o nell’altra può
minare la credibilità della banca centrale.
Anche in questo caso, il congruo equilibrio può variare fra paesi e culture. Ad esempio, la
popolazione tedesca sembra essersi abituata a essere messa costantemente in guardia sui
rischi di inflazione e interpreterebbe un linguaggio più morbido come una debolezza della
banca centrale9. In altri paesi, invece, le medesime parole possono indurre a pensare che la
banca centrale abbia una certa “ossessione” dell’inflazione.
La comunicazione a fronte di shock inattesi dei prezzi, quali i rincari in atto del petrolio e
dei prodotti alimentari, è una di queste operazioni “da equilibrista”. Questo tipo di shock si
ripercuote sui livelli dei prezzi, e quindi sull’inflazione, senza che la banca centrale sia in
grado di contrastarlo nell’immediato. In effetti, se un incremento dei corsi petroliferi o dei
prodotti agricoli primari innalza i prezzi finali al consumo nell’arco di qualche settimana,
l’arma della banca centrale per combattere le pressioni inflazionistiche, ovvero il tasso di
interesse, impiega almeno un anno prima di produrre effetti sull’inflazione. Un aumento dei
tassi di interesse oggi agisce sull’inflazione di qui a un anno. Non ha nessuna ripercussione
sul tasso di inflazione odierno.
Cosa deve fare quindi una banca centrale se confrontata, per dire, a uno shock dei prezzi
petroliferi e dei prodotti alimentari? La risposta è: dipende. Se lo shock è occasionale e
temporaneo, incide solo sui prezzi relativi e non si rende necessario, quindi, alcun
intervento di politica monetaria. L’inflazione aumenterebbe solo in modo meccanico, a
causa della variazione dei prezzi relativi, per poi normalizzarsi al concludersi
dell’adeguamento. Se invece lo shock innesca ulteriori reazioni da parte di lavoratori e
imprese, in quanto intenzionati a trasmettere questo aumento ad altri costi e prezzi,
l’inflazione potrebbe aumentare in maniera più duratura. La politica monetaria deve allora
inasprirsi per riportare l’inflazione su un livello più basso. Questa soluzione è meno
efficace e più costosa in termini di minor prodotto e occupazione. La soluzione ottimale è
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T. Padoa-Schioppa, The Euro and its Central Bank, MIT Press, Cambridge, 2004, pag. 94.
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che gli operatori economici considerino gli aumenti dei prezzi petroliferi e dei prodotti
alimentari come una “tassa” una tantum non compensabile.
Come si può conseguire questa soluzione ottimale? La comunicazione è fondamentale.
Essa deve sollevare il problema dell’inflazione ma senza allarmismi perché lo shock, con
un adeguato comportamento da parte degli operatori, può rimanere temporaneo ed essere
riassorbito. Se il messaggio della banca centrale non riesce a dissuadere gli operatori dal
provocare effetti di secondo impatto, le pressioni inflazionistiche temporanee posso
diventare permanenti. Alla banca centrale, allora, non rimane altra scelta che inasprire la
politica monetaria per contrastare tali pressioni.
Non è facile convincere gli operatori ad accettare la “tassa” di prezzi petroliferi e dei
prodotti alimentari più elevati senza compensazione; tanto meno lo è, comprensibilmente,
per le fasce più vulnerabili della popolazione, che sono maggiormente penalizzate da questi
rincari. D’altro canto, è molto peggio l’alternativa di lasciare che l’inflazione si affermi, in
quanto essa colpisce proprio i redditi meno tutelati e il costo di un suo contenimento è più
elevato quando si è radicata nel comportamento e nelle aspettative degli operatori
economici. L’esperienza nell’area dell’euro suggerisce che l’inflazione può essere tenuta a
freno, anche a fronte di questi shock. Negli ultimi anni, il prezzo del petrolio è più che
quadruplicato, ma l’impatto sull’inflazione è stato temporaneo. Non si sono avuti effetti di
secondo impatto rilevanti e l’inflazione è rimasta sotto controllo. Questo dimostra che
l’economia dell’Europa è diventata più flessibile e che le famiglie e le società europee sono
state capaci di distinguere fra pressioni da costi temporanee e permanenti. È importante che
continuino a farlo.
Occorre spiegare chiaramente ai cittadini che la politica monetaria può solo influire sul
livello generale dei prezzi, non sui prezzi relativi. Sono altre le politiche che dovrebbero
mirare a compensare gli effetti sulla distribuzione dei redditi delle variazioni dei prezzi
relativi. Ad esempio, andrebbero rimossi i vincoli sulla produzione agricola previsti dalla
Politica agricola comune, andrebbe incoraggiato l’uso di fonti energetiche alternative, e
così via.
Un’altra questione che ha posto notevoli sfide alla comunicazione delle banche centrali con
i cittadini in genere è stata la discrepanza fra l’inflazione misurata e quella percepita. Si
tratta, fra l’altro, di un fenomeno che non si limita all’area dell’euro ma interessa molti altri
paesi, a riprova del fatto che l’euro non è causa di inflazione. Nei mesi recenti abbiamo
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assistito a un nuovo picco dell’inflazione percepita, che ha toccato livelli osservati da
ultimo nel gennaio 2004, in concomitanza con il rincaro dei prodotti alimentari.
Sono stati condotti numerosi studi sul divario fra inflazione percepita e misurata10. Una
spiegazione è che, in un mondo caratterizzato dall’incertezza, la gente attribuisce più
importanza alle variazioni di prezzo che interessano beni acquistati con maggiore frequenza
(articoli dal prezzo contenuto come il pane, il latte e altri prodotti caseari, o anche la
benzina), rispetto a beni come abbigliamento e apparecchi elettronici che, seppur diminuiti
di prezzo, sono acquistati con minor frequenza. La percezione di prezzi più elevati, spesso
alimentata dai mezzi di comunicazione, desta preoccupazione perché si ripercuote
sull’inflazione attesa e aumenta la probabilità di effetti di secondo impatto. Essa può anche
pregiudicare la credibilità della banca centrale e il suo obiettivo primario, il conseguimento
della stabilità dei prezzi. È fondamentale quindi che i cittadini abbiano una percezione
corretta dell’andamento di fondo dell’inflazione.
Osservazioni conclusive
In un mondo caratterizzato dall’incertezza, dove i cittadini hanno sperimentato una serie di
shock e cambiamenti del contesto in cui vivono, la comunicazione non è solo uno
strumento. È anche un valore apprezzato dal pubblico.
I banchieri centrali devono comunicare con grande cautela, consapevoli del danno che può
arrecare un malinteso o un fenomeno di “disturbo” agli operatori dei mercati finanziari, alle
famiglie e alle imprese. Questo vale ancora di più nel caso dell’area dell’euro. Non tanto
perché l’economia è diversa o soggetta ad altri tipi di shock. Il motivo è che la
comunicazione presenta maggiori difficoltà in un territorio con notevoli differenze
culturali, storiche e linguistiche e in un contesto politico molto più complesso rispetto ad
altri paesi. Il rischio che all’Europa e all’euro sia imputato qualsiasi andamento economico
negativo è sempre presente. È un comodo capro espiatorio, per distogliere l’attenzione
della popolazione da problemi interni.
Tutti noi, non solo rappresentanti delle banche centrali, ma anche esponenti del mondo
accademico, politici, funzionari governativi, giornalisti, a livello nazionale ed europeo,
abbiamo la responsabilità di spiegare gli andamenti economici che coinvolgono i milioni di
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Per un compendio dei principali risultati, cfr. l’articolo nel Bollettino mensile della BCE Inflazione
misurata e percepita nell’area dell’euro, maggio 2007.
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cittadini nei nostri paesi. Solo così essi possono riacquisire fiducia sia in se stessi sia nelle
istituzioni che governano il loro paese e l’Europa.
Vi ringrazio dell’attenzione.
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