Serie di interventi sui mercati finanziari Landesbank Hessen-Thüringen – Rappresentanza permanente dell’Assia presso l’Unione europea a Bruxelles 20 novembre 2007, Bruxelles, Belgio Il valore della comunicazione della banca centrale Lorenzo Bini Smaghi Membro del Comitato esecutivo della Banca centrale europea Le opinioni espresse riflettono la posizione dell’autore. Ringrazio Luca Benati per il contributo prestato e Livio Stracca per la collaborazione nella preparazione di questo intervento. È per me un grande piacere intervenire stasera in questa particolare occasione, poiché discuteremo di argomenti legati sia all’economia sia all’architettura, toccando un tema comune: la Banca centrale europea. Dopo il mio intervento, il Professor W. Prix della COOPHIMMELB(L)AU presenterà il progetto della nuova sede della BCE a Francoforte, un’opera affascinante che segnerà una pietra miliare a livello internazionale: la “casa dell’euro”. I valori della BCE Nel bando del concorso di progettazione architettonica, dell’aprile 2003, si afferma che “il progetto deve riflettere i valori che consideriamo essenziali… Ci impegniamo a perseguire trasparenza, integrità, eccellenza ed efficienza”1. Il Professor Prix illustrerà brevemente come il suo progetto traduce i principali “valori della Banca centrale europea”. Tuttavia, come vedrete tra qualche minuto, il Professor Prix si discosta leggermente dal bando del concorso. Dimentica del tutto i valori di integrità ed eccellenza, sostituendoli con altri due non menzionati nel bando, ossia stabilità e comunicazione. Questa discrepanza non è stata evidentemente considerata motivo sufficiente per escluderlo dal concorso. E riesce a farla franca anche dopo essersi classificato vincitore. Personalmente, trovo interessante confrontare i due elenchi di valori. Potrebbero riflettere la differenza tra l’immagine che noi, alla BCE, vorremmo proiettare e quello che le persone all’esterno della BCE considerano i nostri valori più importanti. Passiamo innanzitutto ai due valori, enunciati nel bando del concorso, che il Professor Prix ha voluto tralasciare: integrità ed eccellenza. Vi sono solo due possibili interpretazioni per questa scelta. La prima è che sono semplicemente troppo difficili da rendere in forme architettoniche e la COOPHIMMELB(L)AU non li ha tenuti in considerazione sperando che nessuno lo avrebbe notato. La seconda è che questi valori sono così ovvi per un’istituzione come la BCE da essere scontati: ça va sans dire, come si direbbe in francese. E infatti cosa ci si potrebbe aspettare dalla Banca centrale europea se non eccellenza e 1 I valori della BCE sono stati nel frattempo ulteriormente elaborati. Nel Rapporto annuale 2004 della BCE – competenza, efficacia ed efficienza, integrità, spirito di squadra, trasparenza e responsabilità per il proprio operato, lavorare per l’Europa – sono stati aggiunti due valori, spirito di squadra e lavorare per l’Europa, che riflettono la dimensione dell’Eurosistema. 2 integrità? Penso che su questo punto siamo tutti concordi, per cui possiamo ora passare ai due nuovi valori che il Professor Prix ha aggiunto nell’elenco e che non erano menzionati nel bando: comunicazione e stabilità. Iniziamo con la stabilità. Dal nostro punto di vista la stabilità non è un valore, bensì un obiettivo. Infatti, il nostro compito primario consiste nel conseguire la stabilità dei prezzi. Tuttavia, a pensarci bene, per i cittadini europei la stabilità – e in particolare la stabilità dei prezzi – è un valore. Tutte le indagini condotte indicano senza ombra di dubbio che in ogni paese dell’Unione europea i cittadini tengono fermamente alla stabilità dei prezzi, e quando non viene conseguita giustamente protestano2. La stabilità dei prezzi può pur essere un obiettivo per la BCE, ma per il grande pubblico rappresenta un valore che essa deve esprimere con ogni mezzo, anche attraverso la propria sede. L’altro dei due valori aggiunto nell’elenco è la comunicazione. Più che un valore è uno strumento. La BCE comunica i suoi obiettivi, la sua strategia, le sue decisioni. È un modo per rendere conto del proprio operato, un modo per realizzare la trasparenza. Come può dunque la comunicazione essere considerata un valore? La comunicazione è un “valore” Il grande pubblico indubbiamente desidera che la BCE informi su ciò che fa per assicurare la stabilità. Da una prospettiva esterna, la BCE non deve soltanto comunicare, ma anche assegnare alta priorità alla comunicazione. A mio avviso, questa considerazione ha indotto il Professor Prix a elevare la comunicazione, trasformarla in valore e farne il fulcro del suo progetto architettonico. Ritengo che noi, alla Banca centrale europea, dobbiamo prendere in seria considerazione questo genere di suggerimenti. Vorrei dedicare la parte restante del mio intervento di questa sera al tema della comunicazione della banca centrale, in relazione agli altri valori principali della BCE, per come vengono percepiti dal grande pubblico. Di fatto, la comunicazione è fondamentale per conseguire trasparenza, responsabilità per il proprio operato ed efficienza. 2 In altre occasioni ho approfondito la questione del perché la stabilità dei prezzi favorisca la massimizzazione del benessere economico dei cittadini, cfr. L. Bini Smaghi, “With or without prejudice to price stability?”, intervento al Convegno annuale della Barclays, tenutosi a Londra il 24 maggio 2007. 3 Il perché la comunicazione sia essenziale ad assicurare trasparenza e responsabilità per il proprio operato dovrebbe essere abbastanza ovvio. Riguardo all’efficienza, vorrei soltanto osservare che, nel mondo di oggi, la comunicazione della banca centrale può essere altrettanto importante ed efficace del tradizionale strumento di politica monetaria, ossia il tasso di interesse3. Perché? Perché le aspettative di inflazione sono una determinante di rilievo del comportamento degli operatori economici nei mercati del lavoro, dei beni e servizi e dei capitali. Influenzando le attese degli operatori, la comunicazione della banca centrale, se adeguata, può rafforzare, o perfino sostituire, l’azione di politica monetaria condotta attraverso il tasso di interesse. La comunicazione è efficace se influisce sulle aspettative degli operatori economici nella maniera desiderata. Per essere efficace la comunicazione deve caratterizzarsi per chiarezza e credibilità. Essa è tuttavia uno strumento difficile da usare, forse più difficile che modificare il tasso di interesse. Questa affermazione è giustificata da diverse ragioni che tratterò ulteriormente sulla base dell’esperienza della BCE. La banca centrale comunica con almeno tre diverse categorie di interlocutori: 1) gli operatori dei mercati finanziari; 2) altri esponenti istituzionali, in particolare della sfera politica, e 3) il grande pubblico. Il tipo di comunicazione differisce notevolmente a seconda dei destinatari. Ma questa semplice distinzione non è sempre possibile. È una sfida costante per i responsabili a livello politico, specialmente nel caso dell’area dell’euro, formata da 13 paesi – che presto saranno 15 – con culture, lingue e tradizioni diverse, in cui perfino le parole, se tradotte letteralmente possono avere significati diversi e provocare reazioni differenti. Vorrei analizzare ciascuna delle sfide che si trova ad affrontare la BCE nell’attività di comunicazione con le diverse controparti. La comunicazione con i mercati finanziari La comunicazione della banca centrale è importante per gli operatori dei mercati finanziari perché forma la base delle loro estrapolazioni sui futuri interventi di politica monetaria, 3 Questa tematica è stata ampiamente esaminata nella letteratura economica. Cfr. in particolare A. Blinder et al., (2001) “How do Central Banks Talk?”, ICMB/CEPR Geneva Report on International Economy. Per un’analisi più recente degli aspetti sia concettuali sia pratici della comunicazione della banca centrale, cfr. ad esempio Geerats, P. (2006), “Transparency of Monetary Policy: Theory and Practice”, CESifo Economic Studies, vol. 52. 4 interventi che potrebbero ripercuotersi sul valore delle attività finanziarie. L’obiettivo della comunicazione a questa categoria di interlocutori è conseguire nel contempo efficienza e trasparenza. La comunicazione della banca centrale è efficiente se consente agli operatori economici di comprendere la politica monetaria che la banca centrale intende attuare. Se questi allineano le loro aspettative a quello che la banca centrale intende effettuare, qualsiasi cambiamento di politica monetaria sarà molto meno destabilizzante. Trasparenza significa che la comunicazione è rivolta a tutti gli operatori economici; nessuno di essi gode di accesso privilegiato alle informazioni, per evitare che si verifichino distorsioni dei mercati. La comunicazione della banca centrale con i mercati finanziari si basa su una componente fissa e una componente variabile. La componente fissa è rappresentata dalla definizione dell’obiettivo della stabilità dei prezzi – ossia un tasso di inflazione inferiore ma prossimo al 2 per cento nel medio periodo – e dal quadro analitico che caratterizza la funzione di reazione della banca centrale al contesto in costante evoluzione al fine di raggiungere il suo obiettivo – la cosiddetta strategia basata su due pilastri della BCE. La componente variabile riguarda la valutazione del contesto economico in continua evoluzione. Questa rappresenta la parte più delicata perché, come ho ricordato prima, interessa l’insieme di informazioni che gli operatori economici utilizzano per estrapolare i tassi di interesse e quindi un’intera serie di prezzi delle attività finanziarie. Tale comunicazione pone due sfide. Da un lato, non è sempre facile per gli operatori economici distinguere fra comunicazione della banca centrale e ciò che definirei fenomeni di “disturbo”. Dall’altro lato, le banche centrali devono rendersi conto che se la loro comunicazione viene male interpretata, gli operatori di mercato potrebbero essere indotti a prendere decisioni sbagliate, con perdite economiche potenzialmente rilevanti. Infine, se i partecipanti al mercato incontrano difficoltà a comprendere la banca centrale, è in gioco la credibilità della banca centrale stessa. Di conseguenza, la comunicazione della banca centrale con i mercati finanziari deve basarsi su due presupposti. Innanzitutto, gli operatori economici devono essere in grado di distinguere tra informazioni e fenomeni di “disturbo”. Secondariamente, i banchieri centrali devono inviare informazioni ai mercati, evitando i fenomeni di “disturbo”. Come si può conseguire questo fine? Vorrei illustrare quattro semplici principi, che dovrebbero essere applicati in maniera generalizzata, ma soprattutto in fasi di turbolenza finanziaria come quelle osservata attualmente: 5 - In primo luogo, i banchieri centrali devono essere consapevoli che la loro comunicazione può, che piaccia o no, “far muovere i mercati”. - In secondo luogo, i banchieri centrali devono comunicare in modo tale da far muovere i mercati solo in rare occasioni, ossia in presenza di un chiaro disallineamento tra prezzi di mercato e interventi attesi della banca centrale. - In terzo luogo, in caso di anomalia nella fissazione dei prezzi, è necessario che l’azione di comunicazione sia coordinata e veicolata attraverso un unico canale, ossia il massimo organo decisionale dell’istituzione. - In quarto luogo, se i mercati sono indotti accidentalmente a muoversi, è probabile che sia stato commesso un errore di comunicazione. In base a questi quattro principi, i mercati devono imparare a non muoversi in risposta a interventi di comunicazione che non siano esplicitamente intesi a produrre questo effetto, in particolare se tali interventi non sono veicolati attraverso il canale indicato nel terzo principio. Tuttavia, se i mercati si muovono in queste circostanze, lo fanno a proprio rischio. Non sempre è facile per gli operatori economici distinguere tra comunicazione per loro rilevante e altri tipi di comunicazione che le banche centrali forniscono regolarmente, ad esempio rivolgendosi a un pubblico nazionale, e che potrebbe essere caratterizzata da toni ed enfasi diversi, come spiegherò brevemente. Nel complesso, la comunicazione tra la BCE e i mercati finanziari ha funzionato piuttosto bene. I mercati hanno imparato col tempo a distinguere tra comunicazione rilevante e fenomeni di “disturbo”. La fonte principale di informazioni è la dichiarazione resa dal Presidente della BCE all’inizio della conferenza stampa mensile, poco dopo la riunione del Consiglio direttivo. Questo tipo di comunicazione offre chiaramente l’opportunità di spiegare le decisioni di politica monetaria, la valutazione alla base della situazione economica e il quadro di riferimento elaborato a sostegno della valutazione. L’analisi empirica mette in luce che la conferenza stampa aiuta gli operatori economici a comprendere il messaggio inviato4. 4 Cfr. in particolare M. Fratzscher e M. Ehrmann (2007), Explaining monetary policy in press conferences, Working paper della BCE, n. 767, giugno 2007. Gli autori concludono che “le conferenze stampa della BCE forniscono considerevoli informazioni aggiuntive ai mercati finanziari rispetto a quelle contenute nelle decisioni di politica monetaria. Di fatto, le conferenze stampa hanno avuto in media maggiori effetti sui mercati finanziari che le corrispondenti decisioni di politica monetaria, e minori effetti sulla volatilità. 6 Tuttavia, si è talvolta verificato che i mercati sono stati indotti a muoversi da fenomeni di “disturbo” o da una comunicazione che non era intesa – o non doveva essere intesa – a raggiungere questo fine. In questi casi, per ovviare al problema dell’errata percezione si è tempestivamente provveduto a correggere la comunicazione. A titolo di esempio, a metà novembre 2005 il Presidente della BCE ha precisato in un discorso che la BCE era pronta a innalzare i tassi di interesse da lì a due settimane, allineando in tal modo le aspettative ed evitando di cogliere di sorpresa gli operatori economici. Nel maggio 2006 questi si attendevano un’accelerazione del ritmo di incremento dei tassi di interesse, sulla base di voci diffuse (e non qualificate) e fenomeni di “disturbo”. Il Presidente della BCE ha esortato gli operatori a non attribuire importanza a voci provenienti da fonti anonime, né a dichiarazioni rese da singoli, spesso fuori contesto, ai fini della loro valutazione sul futuro orientamento della politica monetaria della BCE. Durante la fase di turbolenza dei mercati della scorsa estate la comunicazione è servita affinché gli operatori economici distinguessero tra misure direttamente connesse all’attuazione della politica monetaria e misure volte a ripristinare l’ordinato funzionamento del mercato monetario. In particolare, la BCE ha segnalato l’intenzione di intervenire sul mercato monetario per ridurre la variabilità del tasso overnight fintantoché lo si ritenga necessario, oltre che verso fine anno, periodo per il quale gli operatori si attendono un assottigliamento della domanda di liquidità. Queste informazioni hanno contribuito a ridurre le tensioni sul mercato monetario. Una questione dibattuta da esponenti del mondo accademico e partecipanti al mercato è se vi siano limiti alla quantità di informazioni che una banca centrale deve comunicare ai mercati. In tale contesto, la BCE ha rifiutato di dare indicazioni esplicite sul futuro profilo dei tassi di interesse su un orizzonte di oltre un mese. La ragione risiede nel fatto che, a nostro avviso, non è opportuno assumere fermi impegni in un mondo caratterizzato da incertezza5. Naturalmente si possono formulare previsioni condizionate, basate sulle informazioni disponibili in un dato momento. Alcune banche centrali hanno iniziato a elaborare previsioni di questo genere, annunciando il futuro andamento dei tassi di interesse su un orizzonte di due anni o più. Tuttavia, va detto che queste informazioni beneficiano sicuramente gli operatori in modo coerente. Poiché questo tipo di annuncio 5 Inoltre, la sessione dedicata alle domande e risposte fa chiarezza sulle prospettive economiche, in particolare in periodi caratterizzati da elevata incertezza macroeconomica.” Ho trattato approfonditamente tale questione in un intervento dal titolo “Three Questions on Monetary Tightening”, al Convegno della Nomura, tenutosi il 26-27 ottobre 2006. 7 dipende dalle informazioni disponibili in un dato momento, è valido solo in quel momento ed è destinato a cambiare poco dopo. I partecipanti al mercato quindi chiederanno regolarmente alla banca centrale se le previsioni pubblicate saranno ancora valide o no, e in quest’ultimo caso in che direzione si muovono. In queste circostanze non è facile per una banca centrale evitare questo dibattito. Perché sarebbe opportuno pubblicare l’andamento dei tassi di interesse solo tre o quattro volte l’anno invece che sei o otto, o perfino ogni mese, oppure ogni volta che un responsabile di politica monetaria si rivolge al pubblico? Ciò che più conta per la buona conduzione della politica monetaria è che gli operatori di mercato comprendano bene il quadro analitico appositamente adottato dalla banca centrale. Questo consente agli operatori economici di elaborare le loro previsioni sul profilo dei tassi di interesse, in base alla loro comprensione della situazione economica sottostante. Se la banca centrale rendesse note le sue previsioni sui tassi di interesse, gli operatori potrebbero divenire meno propensi a formulare previsioni proprie, il che renderebbe difficile per loro valutare la futura conduzione della politica monetaria, soprattutto quando questa si discosta dalle previsioni a causa di andamenti inattesi. La banca centrale non sarebbe nella posizione di giudicare se le aspettative di inflazione siano adeguatamente ancorate a un livello coerente con il suo obiettivo di stabilità dei prezzi. La comunicazione con il potere politico Il principale obiettivo della comunicazione di una banca centrale con le altre autorità è di assicurare un’adeguata responsabilità per il proprio operato, presupposto fondamentale per l’indipendenza, e migliorare l’efficacia della politica economica in generale. La comunicazione fra la BCE e il potere politico avviene nell’ambito di un preciso quadro di riferimento, stabilito dal Trattato. La BCE interagisce con il Parlamento europeo attraverso audizioni periodiche del Presidente della BCE e di altri membri del Comitato esecutivo su un’ampia gamma di questioni. Ogni anno il Parlamento europeo adotta, su propria iniziativa, una risoluzione sui provvedimenti attuati dalla BCE, in cui valuta apertamente la politica monetaria e altri compiti svolti dalla BCE. Questo rapporto non è contemplato dal Trattato e non è prassi abituale in gran parte degli altri paesi avanzati. La BCE e l’Eurogruppo hanno contatti frequenti: il Presidente della BCE prende parte alle riunioni mensili dell’Eurogruppo e il Presidente di quest’ultimo consesso partecipa alle 8 riunioni del Consiglio direttivo della BCE laddove possibile. Le discussioni coprono un’ampia gamma di tematiche, nel pieno rispetto dell’indipendenza delle istituzioni. Una questione appurata fin dall’inizio è che la politica monetaria e la politica di bilancio vanno condotte autonomamente, pur tenendo in considerazione tutte le informazioni rese disponibili dall’altro organo decisionale. Il coordinamento delle politiche economiche e monetaria, concetto spesso studiato in letteratura, implica nella pratica uno scambio di informazioni sulla situazione economica alla base delle rispettive decisioni. Non si tratta di uno scambio di impegni a priori, un do ut des finalizzato all’auspicato perseguimento di un obiettivo comune. In effetti, lo scopo primario della BCE è la stabilità dei prezzi, mentre alle autorità politiche competono altri obiettivi di politica economica, quali crescita e occupazione. Questa interpretazione si applica anche alle banche centrali che formalmente si prefiggono più di un obiettivo, come la Federal Reserve statunitense. Alan Greenspan, nel suo recente libro The Age of Turbulence, scrive che la Fed non si è mai impegnata a variare i tassi di interesse in cambio di sostegno nell’ambito delle politiche di bilancio o di altra natura, con grande disappunto di alcuni segretari del tesoro, soprattutto Brady dell’amministrazione Bush (senior)6. Sebbene vi sia un preciso quadro di riferimento per la comunicazione fra BCE e organi politici europei, si verificano talvolta inopportuni sconfinamenti in pubblico. Si tratta di una caratteristica unica nel suo genere. Nella maggior parte degli altri paesi, le autorità politiche non intervengono mai pubblicamente su questioni relative alla politica monetaria, tanto meno sui tassi di interesse. L’indipendenza della banca centrale è considerata un valore e non viene mai messa in discussione. Sempre nel suo libro, Greenspan spiega perché il Presidente degli Stati Uniti o il Segretario del tesoro evitino commenti sui tassi di interesse, consentendo così alla Federal Reserve di fronteggiare l’inflazione con efficacia7. Oltre alle motivazioni fornite da Greenspan, occorre menzionarne altre due. In primo luogo, un carosello di dichiarazioni sugli interventi e/o sulla strategia di politica monetaria generato da diversi soggetti istituzionali aggiunge inutili fenomeni di “disturbo” al sistema, potenzialmente a scapito dell’efficacia complessiva della politica monetaria. 6 7 Cfr. A. Greenspan (2007), The Age of Turbulence: Adventures in a New World, Penguin Press, pagg. 118120 in particolare. Cfr. Greenspan, op. cit., pag. 491. 9 In secondo luogo, le dichiarazioni rilasciate dai politici possono ritorcersi contro di loro. Mi spiego meglio. La storia ha dimostrato in maniera inequivocabile che le dichiarazioni provenienti da soggetti diversi dalla banca centrale invocano quasi immancabilmente un allentamento della politica monetaria. In tali circostanze, il rischio è che la banca centrale sia propensa, per motivi di reputazione, ad adottare un orientamento marginalmente più antinflazionistico di quanto farebbe altrimenti. Tale eventualità è stata colta in un’efficace battuta di spirito dell’ex Presidente della BCE Duisenberg che parlando dei banchieri centrali ha affemato:“ Noi siamo come la panna montata: più ci battete, più diventiamo duri”. ("We are like whipped cream, the more you whip, the stronger we become.") Alan Greenspan descrive i contrasti avuti con vari presidenti impegnatisi a rispettare l’indipendenza della Fed. Robert Rubin, ex Segretario del tesoro, scrive nel suo libro, In An Uncertain World, di aver consigliato al Presidente Clinton di non parlare mai di tassi di interesse8. Racconta inoltre che, negli incontri settimanali con il Presidente della Fed, i due non parlavano mai di politica monetaria. Lo stesso approccio è adottato nella maggior parte degli altri paesi avanzati. Nell’area dell’euro, invece, c’è chi assume un atteggiamento completamente diverso. Alcuni politici, a qualunque schieramento appartengano, non esitano a elargire consigli, esprimere critiche o addirittura chiedere apertamente alla BCE di andare in una direzione o nell’altra (una soprattutto!). Talvolta vengono messi in discussione addirittura l’indipendenza della BCE e l’obiettivo primario di mantenere la stabilità dei prezzi, come se il Trattato potesse essere rettificato periodicamente. Come devono rispondere i banchieri centrali a tali osservazioni? Athanasios Orphanides, Governatore della Banca centrale di Cipro e, dal prossimo gennaio, anch’egli membro del Consiglio direttivo della BCE, ha fatto di recente un’osservazione emblematica sul Financial Times a tale riguardo: “Ciò che i fondatori della BCE hanno incorporato nel mandato è l’essenza di quanto abbiamo appreso dalla storia monetaria degli ultimi 100 anni. La chiarezza del mandato, a mio parere, rende più semplice adottare decisioni di politica monetaria corrette con molta più sicurezza, consentendo alla politica monetaria di contribuire al meglio alla prosperità delle nazioni”. In altre parole, meno diplomatiche, direi che oltre un secolo di storia monetaria dimostra che, quando la politica monetaria è lasciata ai politici, l’esito per la popolazione è peggiore, sia in termini di inflazione che di 8 R. Rubin e J. Weisberg (2003), In An Uncertain World, Texere Publishing. 10 crescita. Ecco perché in tutti i paesi avanzati le banche centrali sono indipendenti e hanno dichiarato esplicitamente che la stabilità dei prezzi è il loro obiettivo prioritario. Fortunatamente, questo principio è stato riaffermato nel Trattato di riforma dell’UE e le discussioni (speriamo) si placheranno, almeno per qualche tempo. Ma allora perché i politici dell’area dell’euro si esprimono sui tassi di interesse e di cambio, anche se sanno che la loro possibilità di influenzare la BCE è praticamente nulla? Ampliando il ragionamento di Greenspan, i politici che invitano la BCE ad agire, o non agire, naturalmente vogliono farsi ascoltare prima di tutto dai propri concittadini ed essere considerati influenti. Il fatto di non esercitare un condizionamento effettivo potrebbe tuttavia pregiudicare la loro credibilità agli occhi dell’elettorato. Allora perché insistono? Vi possono essere tre spiegazioni. Sottolineo: spiegazioni, non giustificazioni. La prima è che, a differenza degli operatori dei mercati finanziari, i politici e le altre parti sociali hanno difficoltà a cogliere la natura lungimirante della politica monetaria. In particolare, non sempre comprendono perché le condizioni monetarie vadano inasprite in taluni frangenti in assenza di crescita dell’inflazione. “Perché aumentate i tassi di interesse se non c’è inflazione?” è una domanda che mi sento rivolgere spesso. È chiaro che, se si aspetta l’incremento dell’inflazione, allora sarà troppo tardi e sarà molto oneroso riportarla su livelli più bassi. I tassi di interesse vengono innalzati per impedire all’inflazione di salire. C’è forse stato un prezzo da pagare per il successo degli anni recenti nel mantenere bassa l’inflazione nell’area dell’euro: gli operatori economici, soprattutto i politici, potrebbero aver dimenticato o sottovalutato le azioni che hanno portato al conseguimento di questo risultato, fra cui anche l’aumento dei tassi di interesse laddove necessario. L’assenza di un soggetto finanziario significativo nell’Europa continentale potrebbe essere la ragione per cui, a differenza di altri paesi come Stati Uniti e Regno Unito, i politici continuano a fare dichiarazioni su politica monetaria e tassi di interesse senza subire particolari conseguenze. La seconda spiegazione possibile è la frustrazione dei politici, i quali dovrebbero astenersi dal parlare di politica monetaria mentre la BCE e le banche centrali nazionali possono esprimere il proprio parere su un’ampia gamma di questioni, fra cui le politiche di bilancio e strutturali. Devo ammettere che io stesso ho provato questa frustrazione all’epoca in cui sedevo dall’altra parte del tavolo, quando lavoravo per il Ministero delle finanze italiano. Esiste un rimedio a questa asimmetria? Come ho già detto, lasciare che gli organi politici 11 parlino di politica monetaria creerebbe solo confusione. Genererebbe incertezza sull’impianto istituzionale dell’Unione. È una prassi inesistente in altri paesi. Dovrebbe allora la BCE smettere di intervenire su questioni di finanza pubblica e strutturali? La pongo come domanda. Chi trarrebbe vantaggio da questa censura? Nei paesi dell’Europa continentale, tradizionalmente viene chiesto alle banche centrali di esprimere un parere sulle politiche di bilancio del proprio paese, talvolta anche in un intervento formale al parlamento. Ciò viene considerato, da alcune autorità politiche stesse (specie il parlamento) e dal grande pubblico, come un modo per ottenere una valutazione indipendente. In Italia, ad esempio, il governatore della banca centrale esercita il ruolo di “consulente economico di alto livello” per il governo e il parlamento. È quanto avviene anche negli Stati Uniti, dove il Presidente della Federal Reserve è invitato dal Congresso a esprimere la propria opinione su questioni specifiche di finanza pubblica. Mi sembra che vari gruppi della popolazione siano interessati a chiedere il parere della BCE e delle banche centrali nazionali su questioni di bilancio o di altra natura. Ritengo, pertanto, che i politici europei debbano accettare questa asimmetria, come hanno fatto altri al mondo nella loro posizione. La terza spiegazione è che il gioco “incolpa l’Europa” (BCE compresa) ha goduto di una certa popolarità per qualche di tempo. Esso in realtà ha avuto effetti devastanti. Innanzitutto, ha minato la fiducia della popolazione nelle istituzioni europee, come ha dimostrato il rifiuto della Costituzione in Francia e Paesi Bassi. Poi, ha inasprito le relazioni fra le istituzioni stesse. Spesso si chiede alla BCE perché non pubblica i verbali delle riunioni, al pari di altre banche centrali. È vero in effetti che altre banche centrali, come la Federal Reserve statunitense o la Bank of England, pubblicano i verbali delle riunioni e i registri delle votazioni. Queste banche centrali, tuttavia, vivono in contesti istituzionali diversi da quello della BCE. Come ho già ricordato, in questi paesi i responsabili politici non provano costantemente a influenzare né esprimono giudizi sulle autorità monetarie; essi, capi di Stato compresi, non criticano la banca centrale (per non parlare dei singoli membri del Consiglio direttivo) in interventi pubblici, ad esempio in parlamento. I rispettivi parlamenti non votano sulle politiche delle banche centrali. Sarebbe un evento assolutamente inaudito. Nell’area dell’euro è diverso. Qui, il rispetto per il mandato e le decisioni della BCE non è ancora un principio del tutto consolidato. La pubblicazione dei verbali delle riunioni del Consiglio direttivo sarebbe prematura, in quanto ciò esporrebbe i singoli membri al 12 dibattito pubblico nei paesi di origine, mentre la responsabilità del loro operato è nei confronti dell’intera Unione. L’assetto istituzionale che l’Europa si è conferita ha bisogno di fiducia e rispetto. Esso stabilisce non solo che la BCE è indipendente, ma anche che le istituzioni politiche e gli organi dell’Unione europea e degli Stati membri “si impegnano a rispettare questo principio [di indipendenza] e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della BCE” (articolo 108 del Trattato). Spetta alle autorità politiche dare l’esempio e mostrare la fiducia e il rispetto appropriati. La comunicazione con il grande pubblico La comunicazione con il grande pubblico si prefigge due principali obiettivi: essere efficaci e render conto del proprio operato. Si tratta, a mio parere, di uno dei compiti più ardui, per una serie di motivi. In primo luogo vi è la questione linguistica. A differenza di altre banche centrali, la BCE deve utilizzare 11 lingue diverse per parlare ai 317 milioni di cittadini che vivono nei 13 paesi dell’area dell’euro, ciascuno dei quali ha cultura e tradizioni proprie. Al di là della mera quantità degli idiomi, sussiste il problema dei cosiddetti “faux amis” (letteralmente “falsi amici”): parole apparentemente simili possono avere connotazioni diverse a seconda della lingua. Ad esempio, la parola “rischio” nelle lingue anglosassoni risulta molto più neutra che in quelle romanze, per le quali tende ad avere un’accezione negativa. Pertanto, l’espressione “rischi al rialzo per la crescita”, che è solo un concetto statistico riguardante la distribuzione delle probabilità, suona contraddittoria nelle lingue romanze in quanto racchiude una connotazione sia positiva che negativa. All’interno dell’Eurosistema, le banche centrali nazionali svolgono un ruolo cruciale nella comunicazione con i cittadini. I governatori, quali membri del Consiglio direttivo della BCE, trasmettono il messaggio comune ai rispettivi concittadini e spiegano la politica monetaria della BCE, nonché il modo in cui essa concorre a conseguire la stabilità dei prezzi. La comunicazione con il grande pubblico può avere un impatto sulle scelte degli operatori economici, accrescendo quindi l’efficacia della politica monetaria. Essa deve trovare l’equilibrio fra due obiettivi, diciamo, inconciliabili. Da un lato, la banca centrale deve aumentare il livello di consapevolezza relativa ai potenziali rischi inflazionistici e mettere 13 in guardia da qualunque comportamento che potrebbe compromettere la stabilità dei prezzi. Dall’altro, dovrebbe anche rassicurare i cittadini sul fatto che saranno adottate tutte le misure necessarie ad assicurare il mantenimento della stabilità dei prezzi. Ciò comporta una delicata operazione di bilanciamento fra allarmare la popolazione per i rischi di inflazione ed essere condiscendenti. Qualsiasi marcato spostamento in una direzione o nell’altra può minare la credibilità della banca centrale. Anche in questo caso, il congruo equilibrio può variare fra paesi e culture. Ad esempio, la popolazione tedesca sembra essersi abituata a essere messa costantemente in guardia sui rischi di inflazione e interpreterebbe un linguaggio più morbido come una debolezza della banca centrale9. In altri paesi, invece, le medesime parole possono indurre a pensare che la banca centrale abbia una certa “ossessione” dell’inflazione. La comunicazione a fronte di shock inattesi dei prezzi, quali i rincari in atto del petrolio e dei prodotti alimentari, è una di queste operazioni “da equilibrista”. Questo tipo di shock si ripercuote sui livelli dei prezzi, e quindi sull’inflazione, senza che la banca centrale sia in grado di contrastarlo nell’immediato. In effetti, se un incremento dei corsi petroliferi o dei prodotti agricoli primari innalza i prezzi finali al consumo nell’arco di qualche settimana, l’arma della banca centrale per combattere le pressioni inflazionistiche, ovvero il tasso di interesse, impiega almeno un anno prima di produrre effetti sull’inflazione. Un aumento dei tassi di interesse oggi agisce sull’inflazione di qui a un anno. Non ha nessuna ripercussione sul tasso di inflazione odierno. Cosa deve fare quindi una banca centrale se confrontata, per dire, a uno shock dei prezzi petroliferi e dei prodotti alimentari? La risposta è: dipende. Se lo shock è occasionale e temporaneo, incide solo sui prezzi relativi e non si rende necessario, quindi, alcun intervento di politica monetaria. L’inflazione aumenterebbe solo in modo meccanico, a causa della variazione dei prezzi relativi, per poi normalizzarsi al concludersi dell’adeguamento. Se invece lo shock innesca ulteriori reazioni da parte di lavoratori e imprese, in quanto intenzionati a trasmettere questo aumento ad altri costi e prezzi, l’inflazione potrebbe aumentare in maniera più duratura. La politica monetaria deve allora inasprirsi per riportare l’inflazione su un livello più basso. Questa soluzione è meno efficace e più costosa in termini di minor prodotto e occupazione. La soluzione ottimale è 9 T. Padoa-Schioppa, The Euro and its Central Bank, MIT Press, Cambridge, 2004, pag. 94. 14 che gli operatori economici considerino gli aumenti dei prezzi petroliferi e dei prodotti alimentari come una “tassa” una tantum non compensabile. Come si può conseguire questa soluzione ottimale? La comunicazione è fondamentale. Essa deve sollevare il problema dell’inflazione ma senza allarmismi perché lo shock, con un adeguato comportamento da parte degli operatori, può rimanere temporaneo ed essere riassorbito. Se il messaggio della banca centrale non riesce a dissuadere gli operatori dal provocare effetti di secondo impatto, le pressioni inflazionistiche temporanee posso diventare permanenti. Alla banca centrale, allora, non rimane altra scelta che inasprire la politica monetaria per contrastare tali pressioni. Non è facile convincere gli operatori ad accettare la “tassa” di prezzi petroliferi e dei prodotti alimentari più elevati senza compensazione; tanto meno lo è, comprensibilmente, per le fasce più vulnerabili della popolazione, che sono maggiormente penalizzate da questi rincari. D’altro canto, è molto peggio l’alternativa di lasciare che l’inflazione si affermi, in quanto essa colpisce proprio i redditi meno tutelati e il costo di un suo contenimento è più elevato quando si è radicata nel comportamento e nelle aspettative degli operatori economici. L’esperienza nell’area dell’euro suggerisce che l’inflazione può essere tenuta a freno, anche a fronte di questi shock. Negli ultimi anni, il prezzo del petrolio è più che quadruplicato, ma l’impatto sull’inflazione è stato temporaneo. Non si sono avuti effetti di secondo impatto rilevanti e l’inflazione è rimasta sotto controllo. Questo dimostra che l’economia dell’Europa è diventata più flessibile e che le famiglie e le società europee sono state capaci di distinguere fra pressioni da costi temporanee e permanenti. È importante che continuino a farlo. Occorre spiegare chiaramente ai cittadini che la politica monetaria può solo influire sul livello generale dei prezzi, non sui prezzi relativi. Sono altre le politiche che dovrebbero mirare a compensare gli effetti sulla distribuzione dei redditi delle variazioni dei prezzi relativi. Ad esempio, andrebbero rimossi i vincoli sulla produzione agricola previsti dalla Politica agricola comune, andrebbe incoraggiato l’uso di fonti energetiche alternative, e così via. Un’altra questione che ha posto notevoli sfide alla comunicazione delle banche centrali con i cittadini in genere è stata la discrepanza fra l’inflazione misurata e quella percepita. Si tratta, fra l’altro, di un fenomeno che non si limita all’area dell’euro ma interessa molti altri paesi, a riprova del fatto che l’euro non è causa di inflazione. Nei mesi recenti abbiamo 15 assistito a un nuovo picco dell’inflazione percepita, che ha toccato livelli osservati da ultimo nel gennaio 2004, in concomitanza con il rincaro dei prodotti alimentari. Sono stati condotti numerosi studi sul divario fra inflazione percepita e misurata10. Una spiegazione è che, in un mondo caratterizzato dall’incertezza, la gente attribuisce più importanza alle variazioni di prezzo che interessano beni acquistati con maggiore frequenza (articoli dal prezzo contenuto come il pane, il latte e altri prodotti caseari, o anche la benzina), rispetto a beni come abbigliamento e apparecchi elettronici che, seppur diminuiti di prezzo, sono acquistati con minor frequenza. La percezione di prezzi più elevati, spesso alimentata dai mezzi di comunicazione, desta preoccupazione perché si ripercuote sull’inflazione attesa e aumenta la probabilità di effetti di secondo impatto. Essa può anche pregiudicare la credibilità della banca centrale e il suo obiettivo primario, il conseguimento della stabilità dei prezzi. È fondamentale quindi che i cittadini abbiano una percezione corretta dell’andamento di fondo dell’inflazione. Osservazioni conclusive In un mondo caratterizzato dall’incertezza, dove i cittadini hanno sperimentato una serie di shock e cambiamenti del contesto in cui vivono, la comunicazione non è solo uno strumento. È anche un valore apprezzato dal pubblico. I banchieri centrali devono comunicare con grande cautela, consapevoli del danno che può arrecare un malinteso o un fenomeno di “disturbo” agli operatori dei mercati finanziari, alle famiglie e alle imprese. Questo vale ancora di più nel caso dell’area dell’euro. Non tanto perché l’economia è diversa o soggetta ad altri tipi di shock. Il motivo è che la comunicazione presenta maggiori difficoltà in un territorio con notevoli differenze culturali, storiche e linguistiche e in un contesto politico molto più complesso rispetto ad altri paesi. Il rischio che all’Europa e all’euro sia imputato qualsiasi andamento economico negativo è sempre presente. È un comodo capro espiatorio, per distogliere l’attenzione della popolazione da problemi interni. Tutti noi, non solo rappresentanti delle banche centrali, ma anche esponenti del mondo accademico, politici, funzionari governativi, giornalisti, a livello nazionale ed europeo, abbiamo la responsabilità di spiegare gli andamenti economici che coinvolgono i milioni di 10 Per un compendio dei principali risultati, cfr. l’articolo nel Bollettino mensile della BCE Inflazione misurata e percepita nell’area dell’euro, maggio 2007. 16 cittadini nei nostri paesi. Solo così essi possono riacquisire fiducia sia in se stessi sia nelle istituzioni che governano il loro paese e l’Europa. Vi ringrazio dell’attenzione. 17