de amore, 8 e 15

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Letteratura delle origini – lezione 3 testi
Il fondamento teorico dell’ amor cortese: il de amore di Andrea Cappellano
Dell’autore del De Amore, attestato nei manoscritti col nome di Andrea, cappellano del re di
Francia, non si conosce con sicurezza nulla. Non è certo che il Gualtieri, a cui l’opera è dedicata, sia
Gautier il giovane, ciambellano del re Filippo Augusto. Né è definibile con sicurezza la relazione
esistente fra l’autore e Maria di Champagne, che pure ha tanta parte nel trattato. L’opera fu scritta in
latino, forse a Parigi, negli anni a cavallo tra il XII e il XIII secolo. Si tratta del testo fondamentale
dell’erotismo medievale. Movendo dall’Ars amandi di Ovidio, ma con l’apporto di altri autori
antichi e medievali, Andrea mette a punto una vera e propria summa dell’amor cortese,
riferimento imprescindibile per tutti i successivi poeti e prosatori romanzi che si cimentarono nella
materia amorosa. Il De Amore (conosciuto anche col titolo di Gualtieri, dal nome del suo
dedicatario) fu condannato pubblicamente dal vescovo di Parigi nel 1277, ma ebbe nonostante ciò
una fortuna straordinaria in Europa fino a tutto il Trecento. In Italia ne furono fatte almeno due
traduzioni in volgare. Una di queste (la cosiddetta "traduzione romana", perché tramandata
unicamente dal ms. Barberiniano-Latino 4086 della Biblioteca Apostolica Vaticana) è a fondamento
del testo qui riprodotto.
Cap. 8
Dell’effetto dell’amore.
Questo è l’effetto dell’amore, che quelli ch’è diritto amante non può essere avaro, e quelli ch’è
aspro e no adorno e quelli ch’è di vil gente, sì ’l fa ben costumato; e superbi fa umili e l’amoroso
molti servigi fae con umilitade ad altrui. Molto è gran cosa l’amore, che fa l’uomo così vertudioso e
ben costumato. Anche ne l’amar è una cosa molto da laudare, che fa l’amante quasi casto, perciò
che quelli ch’è inamorato a pena potrebe pensarse a un’altra, e a pena può sofferire lo suo animo di
guatare un’altra. E questo voglio che tti sia a mente, Gualtieri amico, che se l’amore fosse sì iguale,
che li suoi nochieri dopo la molta tempesta menase a buon porto, io sempre starei legato di sue
catene. Ma perché non fa iguaglianza, sì ò sospetto in lui e rifiuto piatire sotto lui, perciò che spesse
volte lascia i suoi nocchieri in tempestate. Ma perché ciò adivegna, forse altrove il ti mostrerò.
Cap. 15
(…)
17. (…) e quando io vi fu’ più presso, guardando com’era bella ed adorna, sì vidi un uomo dinanzi
a tutti, che cavalcava sovra un cavallo di molto grande affare e molto ben fatto, e in capo avea una
corona d’oro. E dopo lui, in prima venìa una grande compagnia di donne molto belle, delle quali
ciascheduna avea sotto uno palafreno bello e ben ambiante ed era vestita di preziose vestimenta e
divisate e amantata di drappi indorati e acompagnata da dui cavalieri, un da l’un lato e l’altro da
l’altro, e uno cavaliere andava a pie’ che l’adestrava; e cotale era la prima compagnia delle donne e
così andava aconcia. Poi, dopo costoro, venia una bella e una grande compagnia di cavalieri, i quali
difendeano loro da ogni lesione e calca di coloro che veniano di dietro. Nel secondo luogo venia
gran moltitudine di femmine, al servigio delle quali varie generazioni di cavalieri e di pedoni erano;
ma ttanto era la calca e la moltitudine di coloro che voleano servire, che quelle non poteano ricevere
il servigio né coloro servire bonamente, e così l’abondanza del servire tornava loro in povertà e in
dolore e per gran sollazzo si l’[av]rebbono, s’elle sole si potessero servire. Poi, nel terzo luogo,
venia una vile e despettevole compagnia di femmine; ma per ciò erano molte belle, ma erano vestite
di sozzissimi drappi e per contrario, perché, quand’iera così forte ’state, si andavano vestite di
vestimenta di volpe. Anche cavalcavano cavalli sozzi troppo e sconci, e isconciamente, cioè cavalli
ch’erano molto magrissimi e con grave trotto, né non aveano né sella né freno e anche zoppicavano.
Al costoro servigio nonn era persona e anche era tanto il polverio di cavalieri e di pedoni
c’andavano inanzi, ch’a pena poteva vedere sé medesimo, perciò che gli occhi e la bocca avean
pieni di polvere.
(…)
Ma elli così mi rispuose: "Le nostre gran cose ti son concedute di vedere, acciò che la nostra gloria
tu lla dichi a coloro [c]he no·lla sanno e perché quel ch’ài veduto sia salute a molte dame. Dunque,
sì comandiamo strettamente e diciamo che dove troverrai donna di pregio che sia fuori di nostra via
recusando amore, questa visione ti pena di dire per ordine e di revocarla dell’errore, acciò ch’ella
possa schifare le grave pene e aver la nostra gloria. E sappie che sono XIII i principali
comandamenti de l’amore:
21.
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
Fugire come tempesta l’avarizia ed eser largo.
Schifare al postutto di dire bugia.
Non dir mal d’altrui.
Non mettere in boce gli amanti.
Non manifestare il tuo amore a più d’uno.
Servare castitade al tuo amante.
Non turbare con tua saputa l’amore altrui ch’è compiuto.
Non volere amar femina che sia tua parente.
Ubidire in tutto li comandamenti delle donne.
Sempre ti pena di volere amare.
Sie cortese e gentile in tutte cose.
Non ti storre di fare sollazzi d’amore secondo che vuole lo tuo amante.
E non ti vergognare di dare e di ricevere sollazzi d’amore.
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