La Talidomide e i suoi derivati.
Nel 1956 la talidomide fu introdotta in commercio in 46 paesi dalla Grünenthal, compagnia chimica
tedesca, per il trattamento di nausea e vomito durante la gravidanza, mostrando una rimarchevole
assenza di tossicità [1]. Nel 1957, la talidomide fu anche prescritta come sedativo grazie alla sua
sicurezza rispetto ai barbiturici. Nei primi anni ’60, tuttavia, fu chiaro che l’uso della talidomide
durante la gravidanza era associato alle principali anomalie congenite, essendo responsabile di oltre
15.000 casi di difetti alla nascita in tutto il mondo [2-5]. Nonostante il largo uso della talidomide in
numerosi paesi, grazie alla Dr. ssa Frances Kelsey della FDA, che ritardò l’approvazione della
talidomide, poiché determinava neuropatia periferica, solo un limitato numero di americani patì le
conseguenze dovute all’uso di questo farmaco [6-7]. Nel 1962, la talidomide fu ritirata dal
commercio in tutto il mondo ad eccezione del Brasile. Va detto che la talidomide fu messa in
commercio in un momento in cui gli studi sulla tossicità, così come sulla teratogenicità non erano
inclusi nel protocollo standard di sicurezza del farmaco. Le serie conseguenze di questa negligenza
sono tristemente note, e questo incidente ha avuto un grande impatto sulla regolamentazione dei
farmaci stereoisomeri
e nell’adozione di linee guida più restrittive per la sperimentazione e
l’approvazione dei medicamenti. Molti anni dopo si scoprì cosa era successo: tutte le specie di
mammiferi su cui era allora obbligatorio verificare eventuali effetti malformativi dei farmaci, non
sono sensibili alla talidomide; così i test sulla teratogenicità risultarono negativi e ne fu autorizzato
l’uso alle donne in gravidanza. Dopo le ondate di focomelia, furono fatte le opportune ricerche e si
scoprì che i feti di coniglio presentano la stessa vulnerabilità umana. E da allora il coniglio figura tra
gli animali su cui si testano i possibili effetti malformativi per l’autorizzazione all’immissione in
commercio di un nuovo farmaco. Dopo la tragedia della Talidomide ci fu una maggiore
1
consapevolezza riguardo alla potenziale pericolosità associata all’uso di farmaci talidomidici, e si è
pensato alla verifica della chiralità del farmaco come obiettivo essenziale per progettare, scoprire e
sviluppare, lanciare e commercializzare nuovi farmaci [8–9]. Il controllo regolamentato dei farmaci
chirali è iniziato negli Stati Uniti con la pubblicazione nel 1992 di chiare linee guida sullo sviluppo
di farmaci chirali nel documento intitolato “Policy Statement for the Development of New
Stereoisomeric Drugs”, seguito nel 1994 da quello pubblicato nell’Unione Europea, “Investigation of
Chiral Active Molecules”. I ricercatori hanno dovuto riconoscere la presenza di chiralità nei nuovi
farmaci, cercare di separare gli stereoisomeri, valutare il contributo dei diversi stereoisomeri
all’attività di interesse, definire “ l’integrità stereochimica degli enantiomeri”, verificare la potenziale
interconversione dei singoli isomeri, e selezionare razionalmente lo stereoisomero da immettere in
commercio [5–10]. In realtà queste linee guida hanno avuto un notevole impatto nella categoria dei
farmaci chirali, determinando un drammatico declino nello sviluppo di racemi [10].
Nel 1965, nonostante gli effetti teratogenici osservati durante l’uso della talidomide, Jacob Sheskin
ha usato il farmaco come sedativo nei pazienti affetti da eritema nodoso leproso (ENL) [11]. L’ENL
è caratterizzato da una dolorosa infiammazione dei vasi periferici che può manifestarsi con sintomi
di tipo sistemico quali febbre, dolore muscolare e articolare, senso di malessere, insonnia,
linfoadenopatia, perdita di peso e neuropatia periferica. Sheskin fortunatamente ha scoperto che la
talidomide usata nei pazienti lepromatosi con ENL era capace di determinare un rapido e notevole
miglioramento nei sintomi della reazione di tipo II [11].
Seguirono nuovi studi e finalmente la talidomide fu autorizzata per il trattamento dell’ENL in
Messico e in Brasile, diventando il farmaco di scelta nel trattamento sintomatico di questa malattia.
Sebbene le proprietà antinfiammatorie della talidomide siano state identificate negli anni ’60, solo
nel 1980 fu proposto un meccanismo d’azione attraverso il quale il farmaco poteva essere di
giovamento nel trattamento dell’ENL. Da quando la talidomide ha avuto un così radicale effetto sui
sintomi di ENL, Kaplan e collaboratori, hanno ipotizzato che il farmaco avesse un effetto su
2
mediatori solubili dell’immunità cellulare coinvolti nello sviluppo dell’ENL [12]. Partendo da tali
presupposti, Sampaio e collaboratori, lavorando nei laboratori della FIOCRUZ, (in Rio de Janeiro,
Brasile) hanno descritto la capacità della talidomide di inibire la produzione del fattore di necrosi
tumorale alfa (TNF-α) dei monociti umani stimolati in vitro con lipopolisaccaride (LPS), costituente
immunogeno e proinfiammatorio della parete di batteri Gram negativi o di micobatteri [13].
Questi ricercatori hanno dimostrato una ridotta espressione dell’mRNA del TNF-α nelle cellule
coltivate in presenza di talidomide, a causa di una induzione della degradazione dell’mRNA che
porta ad una diminuzione dell’ emivita della molecola da 30' a 17' [13]. Queste scoperte hanno
rivelato le proprietà antinfiammatorie e immunondulatorie della talidomide, portando ad un
rinnovato interesse verso questo vecchio farmaco. Come conseguenza di queste osservazioni, nel
luglio del 1998 la FDA ha approvato per la prima volta negli USA la commercializzazione della
talidomide per il trattamento delle manifestazioni cutanee da quelle lievi alla lebbra lepromatosa
severa e per prevenire o sopprimere le recidive della malattia. Ancora oggi la talidomide viene usata
come farmaco antinfiammatorio ed immunodepressivo, in aggiunta al suo effetto sedativo. Per
ridurre al minimo il rischio di teratogenicità correlato alla talidomide, la Celgene Corporation
(Waren, New Jersey) ha sviluppato un programma generale per regolamentare e controllare la
prescrizione, la dispensazione e l‘uso della talidomide [14]. Questo programma conosciuto come
“System for Thalidomide and Prescribing Safety“ (STEPS TM) utilizza un triplice approccio:
1.
controlla l’accesso al farmaco;
2.
informa medici, farmacisti e pazienti;
3.
controlla la compliance.
3
Chimica
Figura 1. Rappresentazione bidimensionale della talidomide.
La talidomide [α-(N-ftalimil)glutarimmide o (S,R)-(±)-N-(2,6-diosso-3-piperidil)ftalimmide] è una
molecola diimmidica con una porzione ftalimmidica attaccata ad una porzione glutarimmidica
chirale. Nell’anello glutarimmidico c’è un unico carbonio asimmetrico, perciò la talidomide
rappresenta una miscela racemica di forme destrorotatorie (R) e levorotatorie (S) [15–26].
La presenza di un centro chirale nella molecola può risultare nel possesso degli stereoisomeri di
differenti profili farmacodinamici e farmacocinetici. In una miscela racemica, per esempio, un
enantiomero può essere responsabile dell’attività, o essere un antagonista dell’enantiomero attivo e
può avere un’azione distinta desiderabile o poco desiderabile [15–16]. Per predire il profilo
farmacodinamico di una coppia di enantiomeri, Seri–Levi e Richards hanno dimostrato che i metodi
di design molecolare computerizzato (CAMD) tramite la relazione struttura attività quantitativa
(QSAR) possono essere usati come un importante strumento per determinare l’efficacia
proporzionale dei due enantiomeri (rapporto eudismico, ER) ed il coefficiente chirale della coppia di
enantiomeri [17]. L’ER è esso stesso il rapporto tra l’efficacia in vivo dell’enantiomero più potente
chiamato eutomero, e di quello meno potente, chiamato distomero. Il coefficiente chirale è un indice
quantitativo della diversità tra gli enantiomeri [17].
Questi rapporti, entrambi per l’attività terapeutica o per altri effetti, permettono di prevedere, in una
serie omologa l’ER di nuove coppie di enantiomeri. La capacità di spiegare le correlazioni esistenti
4
aiuta i chimici farmaceutici nel prendere decisioni razionali. La conclusione principale a questo
punto è che l’ER di farmaci potenti, appartenendo a una serie omologa, può essere correlato con il
loro coefficiente di chiralità; tale correlazione può aiutare a prevedere il più importante ER per lo
sviluppo degli esperimenti [17].
Studi in vitro ed in vivo hanno indicato che l’effetto sedativo della talidomide è strettamente
associato all’enantiomero R, mentre l’effetto immunologico è più strettamente associato all’
enantiomero S [18]. Anche questo ha suggerito che l’enantiomero S è responsabile dell’attività
teratogenica della talidomide, e l’instabilità chirale del farmaco in vitro e in vivo. Infatti quando un
enantiomero specifico viene somministrato oralmente o per e.v. esso subisce l’inversione chirale
nell’altro enantiomero, diventando impossibile la totale separazione dei loro effetti [19].
La talidomide sia in vitro che in vivo è incline alla interconversione enantiomerica [20–21], l’uso di
un singolo enantiomero di talidomide chiaramente non è garanzia di sicurezza, e di conseguenza,
nell’uso clinico il farmaco è ancora somministrato come racemato.
Recentemente, Trapp e collaboratori hanno determinato la barriera di epimerizzazione della
talidomide (fig. 2) utilizzando la “dynamic gas chromatography” (DGC) e la “stopped-flow gas
chromatography” (sfGC) [22].
(S)-(-)-N-(2,6-diossi-3-piperidil)ftalimmide
(R)-(+)-N-(2,6-diossi-3-piperidil)ftalimmide
o (S)-talidomide
o (R)-talidomide
Figura 2. Rappresentazione degli enantiomeri della talidomide.
In questo studio, i ricercatori sono stati capaci di trovare una barriera di epimerizzazione di 159±2
Kj·mol-1, determinata a 220°C in un mezzo liquido semipolare abiotico di ciclodestrine modificate e
5
dissolte in dimetildifenilpolisilossano e usando lo straordinario programma di simulazione Chrom
Win [22].
Studi realizzati in vitro hanno dimostrato che l’inversione chirale della talidomide è catalizzata
dall’albumina sierica umana (HSA) e che questa catalisi può essere inibita da vari ligandi
dell’albumina così come gli acidi grassi a lunga e media catena e l’acido acetilsalicilico (ASA) [23].
Nel tentativo di spiegare il meccanismo dell’inversione chirale della talidomide e della sua catalisi
mediata da HSA, Reist e collaboratori hanno analizzato l’influenza del pH, della concentrazione di
fosfato e il ruolo di diversi aminoacidi acidi, basici e neutri, utilizzando come tecnica l’HPLC
stereoselettiva [24]. I risultati hanno dimostrato che l’inversione chirale della talidomide era pHdipendente. Ad un pH acido, la velocità d’inversione era circa zero, e aumentava con l’incremento
del pH, suggerendo che l’inversione chirale della talidomide è un processo catalizzato dalle basi [24].
Si dimostrò anche che a pH 7,4 la velocità di inversione chirale era linearmente dipendente dalla
concentrazione del fosfato. D’altronde, i risultati ottenuti hanno indicato che gli aminoacidi basici
Arg e Lys, presenti nell’albumina plasmatica, possono avere una forza maggiore rispetto agli
aminoacidi neutri nel catalizzare l’inversione chirale della talidomide. Considerando che l’albumina
ha principalmente gruppi reattivi ε-amminici e che quasi tutti i suoi siti di legame per il ligando
coinvolgono residui aminoacidici basici, questo ha suggerito che la capacità dell’albumina di
catalizzare l’inversione chirale della talidomide è dovuta alla presenza di questi aminoacidi [24].
Questa osservazione è anche coerente con il fatto che i ligandi endogeni dell’albumina così come gli
acidi grassi e la bilirubina possono bloccare i residui aminoacidici basici catalitici della HSA
riducendo l’entità della catalisi dell’inversione chirale. Lo stesso risultato si è osservato con l’uso di
ASA, che acetila la Lys-199 dell’albumina. Dal punto di vista stereochimico, la velocità
dell’inversione chirale degli enantiomeri (R) ed (S) della talidomide ha mostrato una lieve
stereoselettività dipendente dalla concentrazione sierica dell’albumina [24]. Ad una bassa
concentrazione di albumina non è stato possibile osservare una differenza significativa tra le velocità
6
di inversione dei due enantiomeri, mentre a concentrazioni fisiologiche l’inversione della forma (S)
in quella (R) della talidomide è circa 1,4 volte più veloce di quella dell’enantiomero (R) in quello (S)
[24]. Comunque, si è visto che anche nell’uomo la (R)-talidomide inverte la sua configurazione più
velocemente della (S)-talidomide [25]. Riassumendo, l’inversione chirale della talidomide avviene
mediante sostituzione elettrofila con protoni come gruppi entranti e uscenti. Una comune e specifica
catalisi basica accelera la reazione facilitando l’uscita dell’idrogeno dal centro chirale [24].
Metabolismo
La talidomide non è un buon substrato per gli isoenzimi del citocromo P450 (CYP), e non inibisce il
metabolismo di substrati specifici del CYP, quindi è poco probabile che presenti qualche interazione
con altri farmaci che sono metabolizzati dallo stesso sistema enzimatico [27]. Tuttavia la formazione
della 5’-idrossitalidomide è stata identificata nei pazienti che hanno assunto talidomide, come
risultato della biotrasformazione da parte del CYP450 e più specificamente dell’isoenzima CYP2C19
[28–29]. Nell’uomo e negli animali la degradazione della talidomide avviene soprattutto tramite una
idrolisi non enzimatica con successiva eliminazione nelle urine [30]. Studi precedenti circa il
destino metabolico della talidomide hanno messo in evidenza la sua instabilità in soluzione acquosa
a differenti valori di pH. Ad un pH pari a 6,0, è stata osservata l’idrolisi spontanea dell’anello
glutarimidico con la formazione, come principali metaboliti, dei composti (2) e (3) riportati in figura
(fig. 3) [30].
7
Figura 3. La talidomide (1) e i suoi principali metaboliti (2; 3; 4; 5;) in vivo.
Tuttavia al pH fisiologico (pH pari a 7,4), la talidomide viene metabolizzata per circa il 28% nella
prima ora producendo come principali metaboliti i composti (4) e (5) riportati in figura, derivati
dall’idrolisi degli anelli ftalimmidico e glutarimmidico (fig. 3) [30]. D’altra parte, a pH pari a 8,0, la
velocità di metabolizzazione viene considerevolmente aumentata di circa il 66% nella prima ora
evidenziando che in vivo il metabolismo della talidomide è strettamente dipendente dal pH della
biofase [30].
Ipotesi di teratogenicità
Nell’uomo i giorni critici per gli effetti teratogenici della talidomide vanno dal 20° al 36° giorno
dopo la fecondazione. Le più frequenti malformazioni colpiscono i pollici (81%) e gli arti superiori
(69%). I difetti a frequenza intermedia colpiscono le orecchie e l’udito (38%), gli arti inferiori (26%),
il nervo facciale (20%) e il rene (14%) [31-33]. Più recentemente è stato riconosciuto che due tipi di
anomalie a carico del SNC sono state associate all’embriopatia della talidomide: ritardo (6%) e
autismo (5%) [34].
8
La suscettibilità degli effetti teratogenici della talidomide è strettamente dipendente dalle specie
studiate. I ratti, per esempio, sono refrattari alla teratogenesi indotta dalla talidomide, mentre i
conigli sono sensibili [33].
Si ritiene che la teratogenicità della talidomide sia dipendente dalla stereochimica del carbonio
chirale e che l’enantiomero (S) sia responsabile degli effetti embriotossici. Comunque la semplice
racemizzazione, sia in vitro che in vivo ostacola una chiara comprensione di quale isomero sia
responsabile degli effetti teratogenici [18-19].
Poiché la talidomide subisce una rapida idrolisi spontanea in numerosi prodotti differenti, che
possono essere idrolizzati in ulteriori prodotti, si tenta di indagare sulla possibilità che la teratogenesi
della talidomide possa essere mediata dalla formazione di metaboliti. Infatti una delle prime ipotesi
per spiegare la teratogenesi della talidomide fu descritta da Gordon e collaboratori, i quali misero in
evidenza che un metabolita arene ossido della talidomide rende i linfociti umani permeabili al trypan
blue, suggerendo la partecipazione di questo metabolita alla attività teratogenica della talidomide
[34].
Allo scopo di indagare il profilo teratogenico dei farmaci, Braun e Weinreb hanno utilizzato la
tecnica di inibizione dell’attacco delle cellule alle superfici di plastica ricoperte da concanavalina A,
ed hanno esaminato la capacità della talidomide e dei diversi analoghi di inibire l’attacco delle
cellule con e senza attivazione microsomiale [35]. I ricercatori scoprirono che il farmaco non inibiva
l’attacco delle cellule tumorali alle superfici ricoperte di concanavalina A. Tuttavia, fu trovato un
metabolita con profilo inibitorio, generato dai microsomi epatici di topo C57B16. D’altronde, tutti i
farmaci contenenti una struttura ftalimidica o simile furono metabolizzati in prodotti con proprietà
inibitorie. La porzione glutarimmidica
e il suo prodotto di idrolisi, l’acido glutammico, non
contribuiscono alla formazione di prodotti inibitori [35]. Alo contrario la ftalimmide risultava attiva
ed il suo prodotto di idrolisi, l’acido ftalico, era inattivo. Visto che la coincubazione con l’epossido
idrolasi non ha alterato significativamente la produzione di un metabolita inibitorio, gli autori hanno
9
suggerito che il metabolita probabilmente non era un arene ossido, e che i prodotti inibitori si erano
formati da composti contenenti o la struttura ftalimmidica o quella isoindolica [35].
Una seconda ipotesi postulata si basa sul fatto che durante l’ossidazione dell’acido arachidonico
(AA) da parte di perossidasi, prostaglandino idrogeno sintasi (PGHS) o la lipossigenasi ( LOXs),
alcune molecole possono agire come cofattori nel processo di riduzione, essendo ossidati in radicali
liberi reattivi che danno inizio allo stress ossidativo, o legando covalentemente le macromolecole
cellulari e causando danni ossidativi del DNA nei tessuti materni e dell’embrione, i quali possono
essere rilevanti nel determinare i difetti alla nascita indotti dal farmaco [36]. La rilevanza teratogena
della formazione dei radicali attivi catalizzata dalla perossidasi è supportata dall’osservazione che
l’uso di inibitori della PGHS e l’uso di antiossidanti ha ridotto significativamente l’embriopatia nelle
colture embrionali. Infatti la teratogenicità fu valutata in conigli bianchi gravidi neozelandesi trattati
con talidomide (7,5mg/kg e.v. ) tra l’8° e l’11° giorno di gestazione, indicando come giorno zero il
tempo e il momento in cui lo sperma fu osservato nel fluido vaginale. I risultati dimostrarono che il
trattamento con la talidomide ha prodotto principalmente anomalie fetali delle zampe analoghe a
quelle osservate nell’uomo. Tuttavia il trattamento con un inibitore irreversibile della PGHS, (ASA,
75mg/kg, intraperitoneale, i.p.) fu notevolmente embrioprotettivo riducendo del 61,4% le anomalie
delle braccia indotte dalla talidomide nei feti. Questi risultati hanno dimostrato che l’ASA può
proteggere l’embrione dalla teratogenicità della talidomide suggerendo che questi farmaci possono
essere bioattivati dalla PGHS in intermedi reattivi teratogenici [37]. D’altronde, la rivelazione
mediante ESRS
(electron spin resonance spectroscopy) dei radicali liberi intermedi avvalora
l’ipotesi della formazione catalizzata da perossidi di specie radicaliche libere attive con potenziali
profili embriotossici [38-39].
Riassumendo, si è pensato che la teratogenicità dei principali xenobiotici dipenda, almeno in parte,
da una loro bioattivazione da parte del citocromo P450 embrionale, della PGHS, della lipossigenasi
(LOXs), in intermedi elettrofili e/o radicalici liberi attivi che legano covalentemente le
10
macromolecole cellulari come DNA, proteine e lipidi, determinando la morte uterina o la
teratogenesi [40].
Alcuni esempi di farmaci teratogenici includono fenitoina e diverse molecole ad azione
anticonvulsivante, talidomide e alcuni analoghi, ciclofosfamide, idrossiurea e doxorubicina, tra gli
altri [41]. Perciò, la suscettibilità teratologica sembra essere determinata in parte da un bilancio tra le
materne vie di eliminazione degli xenobiotici, la bioattivazione xenobiotica embrionale e
detossificazione degli intermedi reattivi degli xenobiotici [41].
Una terza ipotesi sulla teratogenesi della talidomide ha suggerito che questi effetti possono essere
causati dall’interferenza sulle essenziali interazioni cellula-cellula e cellula-matrice extracellulare le
quali possono anche dipendere in modo cruciale dalla funzione di specifici recettori di adesione nei
periodi critici dello sviluppo. In questo caso una dissociazione del profilo teratogenico dagli effetti
sulle infiammazioni e sulle reazioni immuni potrebbe non essere facilmente raggiungibile [42-45].
Usi nella ricerca e nella terapia
Il vasto interesse sulla talidomide è rinato con la scoperta della sua attività immuno-modulatoria nel
trattamento dell’ENL, uno stato infiammatorio che si manifesta nella lebbra. La scoperta che la
talidomide è un inibitore selettivo della produzione del TNF–α da parte dei monociti umani stimolati
con LPS fornì la base razionale per i suoi effetti antinfiammatori [12-13,46]. Elevati livelli di TNF–α
sono stati correlati con diverse patologie infiammatorie e auto-immuni. Quindi, le patologie associate
con sovrapproduzione di TNF–α, così come l’artrite reumatoide, il morbo di Crohn, le ulcere
aftosiche, la cachessia, l’asma, l’AIDS potrebbero essere trattati con talidomide [47-48]. Infatti, il
ruolo essenziale del TNF–α nei processi infiammatori è risultato in un ampio sforzo della ricerca
farmaceutica per scoprire inibitori TNF–α-specifici[49]. L’efficacia clinica degli agenti anti TNF–α
quali infliximab (Remicade®) ed etarnercept (Embrel®) nel trattare l’artrite reumatoide e il morbo di
Crohn, ha confermato il trattamento anti TNF–α come terapia attuabile [49-50].
11
Esperimenti clinici hanno dimostrato l’utilità della talidomide nel trattamento di diversi tumori
ematologici [51] e solidi [51]. La talidomide è ora comunemente utilizzata come trattamento di
seconda e terza linea nel mieloma multiplo. Questi studi hanno convalidato la talidomide come
agente terapeutico clinicamente efficace in diverse patologie, recentemente reintrodotto per uso
umano nel trattare la lebbra, il cancro, le infezioni da HIV e alcune malattie cutanee.
Meccanismo d’Azione
Come precedentemente menzionato, la talidomide è un inibitore selettivo dell’espressione del TNF-α
[13], ma il suo meccanismo d’azione in questo contesto non è stato completamente compreso. C’è
un’evidenza che suggerisce che la talidomide eserciti la sua attività inibitoria attraverso il selettivo
incremento della velocità di degradazione dell’mRNA del TNF–α [12-13, 46].
E’ probabile che l’effetto della talidomide sulla funzione cellulare dipenda da molteplici fattori, tra
cui lo stimolo, le cellule utilizzate e il trattamento impiegato in alcune condizioni cliniche. Nei
pazienti con il morbo di Crohn che hanno risposto alla terapia con talidomide, è stata riscontrata una
riduzione della produzione di TNF–α e di IL-12 nelle cellule mononucleate di sangue periferico
(PBMCs) e nelle cellule intestinali mononucleate della lamina propria, mentre le concentrazioni di
IL-1 e di IL-6 non sono cambiate significativamente [53]. Haslett e collaboratori hanno riportato un
incremento nei livelli dell’IL-12, del recettore solubile di IL-12 e dell’antigene solubile CD8 nei
pazienti infettati da HIV e trattati con talidomide [54]. D’altra parte, studi realizzati in vitro
utilizzando PBMCs trattate con talidomide hanno dimostrato una riduzione dei livelli di IL-2 e di
IFN-γ prodotti dalla cellule T-helper 1 ed un incremento nella produzione di IL-4 e IL-5 delle
cellule T-helper 2 [55]. Comunque, studi più recenti hanno riportato la capacità della talidomide di
aumentare la produzione di IFN-γ e di IL-12p40 nelle PBMCs stimolate di adulti sani, ed una
riduzione della produzione di IL-5, senza cambiamenti nella produzione di IL-2 e di IL-4 [56]. La
12
talidomide inibisce la fagocitosi dei monociti e dei leucociti polimorfonucleati senza alcun effetto
citotossico [57] e blocca la chemiotassi dei neutrofili indotta da TNF–α e IL-1 [58].
Analoghi bioattivi della talidomide
Potenziali inibitori del TNF–α
Il TNF–α è una citochina prodotta da molti tipi cellulari, inclusi monociti e macrofagi, linfociti T e
B, neutrofili, mastociti, cellule tumorali e fibroblasti. È una molecola con effetti pleiotropici,
prodotta in risposta a diversi stimoli ed esercitante la sua azione su più tipi di cellule. La produzione
del TNF–α inizia con l’interazione di un ligando (che è comunemente uno dei diversi prodotti
microbici) con il suo recettore sulla superficie cellulare, così come il TLR, stimolando in tal modo
una via di trasduzione del segnale che porta all’attivazione del fattore nucleare KB (NFkB) [59].
NFkB è una proteina presente nel citoplasma in forma dimerica ed è associata alla molecola
inibitoria KB (IkB). L’attivazione cellulare porta alla fosforilazione di IkB che sarà degradata. Una
volta rilasciato, l’NFkB entra nel nucleo inducendo la trascrizione dei geni associati alla reazione
infiammatoria, inclusi quelli che codificano per il TNF–α. La sintesi ed il rilascio del TNF–α porta
alla produzione di altre citochine, determinando il reclutamento cellulare nel sito del danno ed
amplificando la risposta infiammatoria.
Il TNF–α umano viene sintetizzato come precursore polipeptidico legato alla membrana (26kDa), il
quale viene processato e trasformato in una forma solubile (17kDa) dopo taglio proteolitico [60].
Questa forma solubile trimerizza per dare la molecola matura del TNF–α che è un polipeptide
omotrimerico (52kDa). Il TNF–α esercita i suoi molteplici effetti tramite l’interazione con due
recettori ad elevata affinità strutturalmente e funzionalmente distinti: TNFR 1 (55-60 kDa) espresso
in tutte le cellule ad eccezione dei linfociti T non attivi e degli eritrociti; e TNFR 2 (75-80 kDa)
espresso dalle cellule emopoietiche e dalle cellule endoteliali [61-62]. Il TNF–α è una citochina
13
versatile che modifica il rimodellamento tissutale, la permeabilità di membrana della cellula
epiteliale, l’attivazione dei macrofagi e il reclutamento delle cellule infiammatorie upregolando le
molecole di adesione [63-64]. Gioca anche un ruolo fondamentale nello sviluppo, nell’omeostasi e
nella risposta adattattiva del sistema immunitario
La maggiore produzione di TNF–α è presente in numerose condizioni patologiche e fisiologiche,
quali
il morbo di Crohn, la sclerosi multipla, la psoriasi, il LES, il diabete mellito insulino-
dipendente, la cachessia, l’ENL, l’angiogenesi, il linfoma, il cancro ovarico, la pancreatite, l’asma, lo
shock settico, la TBC e molte altre [65]. Quindi i farmaci che modulano l’attività del TNF–α possono
essere efficaci nel trattamento di malattie autoimmuni, infiammatorie ed infettive.
Gli agenti immunosoppressivi, così come la ciclosporina A ed il desametasone possono inibire la
sintesi di TNF–α, ma gli effetti collaterali osservati dopo trattamento con questi farmaci erano
associati ad una tossicità considerevole [66]. La talidomide fu il primo farmaco capace di inibire
selettivamente la produzione di TNF–α, e per questa ragione, fu indicato per il trattamento di diverse
condizioni patologiche, come precedentemente menzionato. Tuttavia, date le sue proprietà
teratogenica e neurotossica associate alla sua scarsa biodisponibilità sistemica, c’è un crescente
interesse nello scoprire analoghi della talidomide che abbiano attività anti TNF–α, stabilità e che
siano privi di tossicità.
L’inibizione della sintesi del TNF–α può anche essere ottenuta tramite farmaci che possono
incrementare i livelli intracellulari del cAMP, o stimolando la sua formazione o evitando la sua
degradazione [67]. Si è ben stabilito che un incremento dei livelli di cAMP determina l’inibizione
delle citochine proinfiammatorie, così come TNF–α ed IL-1β, ed anche delle citochine prodotte da
Th-1, quali IFN-γ e IL-12, portando ad effetti immunomodulatori ed antinfiammatori. Così, i
composti che inibiscono selettivamente o non selettivamente la fosfodisesterasi di tipo 4 (PDE-4), la
principale isoforma responsabile della degradazione del cAMP nelle cellule infiammatorie, così
14
come rolipram e pentossifillina, rispettivamente, sono capaci di inibire la produzione del TNF–α a
livello trascrizionale [67-69].
Analoghi Sintetici
Gǘtschow e collaboratori hanno descritto la sintesi e la valutazione dei derivati delle 5-ftalimmidopirimidine e del 5-ftalimmidouracile, sintetizzati come nuovi analoghi della talidomide [70]. In una
fase di ottimizzazione, il gruppo uracilico del derivato del 5–ftalimmidouracile fu sostituito con un
sostituente 2,4–difluorofenilico portando così alla sintesi di un isostero non polare. Il potenziale
inibitorio di tutti questi composti fu accertato determinando la produzione di TNF–α nei monociti
stimolati con LPS [70]. I risultati ottenuti hanno indicato che, ad eccezione di alcuni composti (16 e
12, riportati in figura), la maggior parte dei derivati ha mostrato solo una debole attività inibitoria
(fig. 4).
Figura 4. 5-ftalimmidopirimidine (6-10), 5-ftalimmidouracili (11-14), 2,4-difluorofenilftalimmidi (15-17). In parentesi
sono indicate le percentuali di inibizione della produzione di TNF-α LPS-indotta nei monociti umani ad una
concentrazione di 50 μM.
Comunque, la sostituzione della porzione uracilica con un difluorofenile (confronto tra il composto 7
e il composto 16, riportati in figura) si basa sul notevolissimo incremento della capacità inibitoria. Il
derivato difluorofenilico 16 è un isostero del derivato uracilico 7. Così, l’aumentata attività del
composto 16 risultante dalla sostituzione isosterica
potrebbe essere attribuita alla accresciuta
lipofilia e alla perdita della capacità di donare legami a idrogeno rispettivamente [70]. Muller e
15
collaboratori, cercando di migliorare l’attività TNF–α-inibitoria della talidomide, hanno descritto la
SAR dell’amminosostituzione nell’anello ftalico e nell’anello isoindolinonico di EM-12, un analogo
che ha presentato un’attività teratogena molto più potente della talidomide nei conigli, nei ratti e
nelle scimmie [71], con un’attività inibitoria sul TNF–α nelle PBMC/S umane stimolate con LPS alla
concentrazione di 100 µM [72]. I risultati ottenuti hanno indicato che l’introduzione di un gruppo
NH2 nella posizione 4' dell’anello ftalimmidico determinava un aumento dell’attività inibitoria sul
TNF–α (fig. 5).
Figura 5. Analoghi ammino-ftalil sostituiti della talidomide (19-20) e suoi analoghi isoindolinonici (21a-d). Tra
parentesi sono indicati i valori di IC50 e le percentuali di inibizione della produzione di TNF-α LPS-indotta nelle PBMC/S
umane ad una concentrazione di 100 μM.
Per esempio, in vitro il racemato 19 riportato in figura 5 (IC50 = 15 nM) è risultato
approssimativamente 15.000 volte più potente della talidomide (IC50 = 100 µM) come inibitore del
TNF–α. Da questo studio si comprese l’importanza della stereochimica, poiché l’isomero R del
composto 19 (IC50 = 94 nM) era 20 volte meno attivo dell’isomero S (IC50 = 3,9 nM). D’altra parte,
fu realizzata la sostituzione della porzione ftalimmidica con un nucleo isoindolinonico, progettata per
aumentare la stabilità e la biodisponibilità della molecola, ed i 4 possibili amminoregioisomeri (21ad) furono preparati e testati. Solo l’analogo con il gruppo amminico in posizione 4' (21a) ha inibito
16
fortemente la produzione di TNF–α (IC50 = 100 nM) indicando che per un’attività ottimale il gruppo
amminico deve essere dalla parte opposta rispetto al gruppo carbonilico dell’isoindolinone [72].
Infine, l’analogo 4'-amino-α-metilico (20)della talidomide, è risultato un potente inibitore del TNF–α
con una IC50 pari a 44nM.
L’attività modulatoria della talidomide sulla produzione di TNF–α è specifica e bidirezionale; infatti
la 1 inibisce la produzione di TNF–α nelle cellule leucemiche HL-60, quando queste sono attivate
con acido okadaico (OA), mentre incrementa la produzione di TNF–α quando la stessa linea cellulare
viene stimolata con 12-O-tetradecanoilforbolo-13-acetato (TPA) [73]. Perciò, si potrebbe ottenere un
enorme beneficio se si riuscisse a separare l’attività modulatoria bidirezionale della talidomide sulla
produzione di TNF–α, poiché l’inibizione, ma non l’incremento, della produzione di TNF–α è
considerata essere l’attività benefica della talidomide. Con questa idea, Myachi e collaboratori hanno
descritto la sintesi e la determinazione dell’attività modulatoria dei derivati ftalimidici [74-75].
Questi derivati, furono progettati modificando la struttura della talidomide e furono progettati
introducendo atomi di fluoro nella porzione ftalimmidica e un gruppo metilico in posizione α,
mirando ad un aumento dell’attività e della selettività. Inoltre, i ricercatori hanno sostituito la
porzione glutarimmidica della talidomide con un metilfenile (22) un metilnaftile (23) e un
metilcicloesile(24), nella struttura dei nuovi derivati ftalimmidici (fig. 6).
Figura 6. Derivati ftalimmidici (22-24). a Quantità di TNF–α prodotto dalle cellule HL-60 in presenza di TPA (10 nM). Convenzionalmente il solo
stimolo con TPA fu definito come 100%. b Quantità di TNF–α prodotto dalle cellule HL-60 in presenza di OA (50nM). Convenzionalmente il solo
stimolo con OA fu definito come 100%. La talidomide fu testata ad una concentrazione 30 μM ed i suoi derivati ftalimmidici (22-24) ad una
concentrazione 0.3 μM.
17
Questi derivati furono preparati otticamente puri e testati alla concentrazione di 93 µM come
specifici induttori bidirezionali nella regolazione della produzione di TNF–α da parte delle cellule
HL-60 [74-75].
I risultati ottenuti hanno dimostrato che l’attività modulatoria dei derivati ftalimmidici (2224),riportati in figura, sulla produzione di TNF–α dipendeva dalla stereochimica dei centri chirali,
poiché solo l’enantiomero S dei derivati 22, 23 e 24 ha mostrato un aumento della produzione di
TNF–α indotta da TPA. Comunque, entrambi gli enantiomeri S ed R dei derivati naftilici erano
inattivi, indicando che la subunità glutarimmidica non può essere sostituita con successo dal gruppo
naftile (fig. 6). Per contro, gli stereoisomeri R di 22, 23, e 24 hanno mostrato un’attività inibitoria
molto più potente dei corrispondenti enantiomeri sulla produzione di TNF–α indotta da OA. Nel
caso del composto 23, del quale entrambi gli isomeri S ed R erano inattivi sull’incremento della
produzione di TNF–α TPA-indotta, l’isomero S era inattivo e quello R era un inibitore molto potente
della produzione di TNF–α OA-indotta. Tali risultati hanno indicato che l’attività modulatoria
bidirezionale sulla produzione di TNF–α può essere separata utilizzando analoghi ftalimmidici
otticamente attivi [74-75].
Considerando che una delle diverse ipotesi sulla teratogenicità della talidomide si è basata sulla
formazione di un metabolita arene-ossido, e che la formazione dell’epossido potrebbe essere evitata
se gli atomi di idrogeno dell’anello ftalimmidico fossero sostituiti con accettori di elettroni o con
alogeni, alcuni autori hanno proposto la sintesi e la valutazione farmacologica degli analoghi
tetraalotalidomidici. In questo contesto, Niwayama e collaboratori sintetizzarono i derivati della
(R,S)- tetrafluorotalidomide (25) e ne hanno esaminato l’effetto sulla produzione di TNF-α indotta
da LPS nei promonociti THP-1 [76]. In questo studio hanno scoperto che 25 inibisce notevolmente
la produzione di TNF–α con una IC50 = 400 nM, che rappresenta un incremento di 500 volte più
efficace rispetto alla talidomide (IC50 > 200 μM). Per valutare se altri alogeni hanno lo stesso effetto
del fluoro, hanno sintetizzato e valutato la (R, S)–tetraclorotalidomide (26) e la (R,S)-tetrabromota18
-lidomide (27). I risultati ottenuti hanno dimostrato che entrambi gli analoghi (26 e 27) erano molto
meno attivi di 25 nell’inibire la secrezione di TNF–α (fig. 7), suggerendo che l’aumento di efficacia
inibitoria del TNF–α è notevole solo nel caso della sostituzione con il fluoro [75].
Figura 7. Derivati tetraalotalidomidici.
Cercando di evitare la racemizzazione, Man e collaboratori [77] hanno proposto la sostituzione
isosterica dell’idrogeno acido del carbonio chirale con un atomo di fluoro. La α-fluorotalidomide
(28) fu sintetizzata e valutata per l’inibizione del TNF-α nelle cellule PBMCS umane stimolate con
LPS e ad una concentrazione di 10 µM non inibiva la secrezione di TNF-α [77]. Comunque in
seguito all’introduzione di un gruppo NH2 in posizione 4' dell’anello ftalimmidico di 28, si è ottenuto
il composto chiamato Actimid (29) che è un potente inibitore con una IC50 = 230 nM, che è 830 volte
più attivo della talidomide (fig. 8) [77].
Figura 8. Analoghi della α-fluorotalidomide.
19
Basandosi su studi che dimostrarono l’importanza dell’integrità dell’anello ftalico per l’attività TNF–
α inibitoria, Muller e collaboratoti hanno descritto la sintesi e la valutazione farmacologica dei
derivati N-ftaloil-β-amino-β-arilamidici, preparati come analoghi della talidomide attraverso
l’idrolisi dell’anello glutarimmidico [78]. La ftalimmidilammide dell’acido 3-fenilpropionico (30) fu
preparata e risultò quasi equipotente alla talidomide come inibitore di TNF- α. L’attività del
composto 30, riportato in figura, fu ottimizzata analizzando le sostituzioni a carico dell’anello 3fenilico. Per esempio, l’analogo 3,4-dimetossi 31 era 15 volte più potente della talidomide (fig. 9).
Figura 9. N-ftaloil β-ammino β-aril ammidi (30-35). Tra parentesi sono indicate le IC50 per l’inibizione del TNF-α nelle
PBMC umane stimolate con LPS.
Inoltre, la sostituzione isosterica della porzione ammidica rivelò che il gruppo ammidico non era
ottimale, mentre l’alcol-derivato (33) e l’estere-derivato (34) rispettivamente, risultarono
leggermente più attivi (fig. 9). Sorprendentemente, si trovò che gli isomeri R ed S di 34 presentavano
20
un’attività inibitoria sulla sintesi del TNF-α simile a quella del racemato. Infine, i ricercatori
proposero l’introduzione di un gruppo NH2 sull’anello ftalimmidico, preparando il derivato 35 che
era 500 volte più potente della talidomide [78]. Recentemente, Zhu e collaboratori, hanno descritto la
sintesi e l’attività TNF-α-inibitoria degli analoghi della talidomide [79]. Questi derivati furono
preparati mediante una sostituzione isosterica del gruppo carbonilico con un gruppo tiocarbonilico,
cercando di spiegare il contributo alla sua attività biologica dei 4 gruppi carbossammidici della
molecola. La capacità della tiotalidomide (36-40) ed analoghi (41-46), riportati in figura, di inibire la
secrezione del TNF-α fu accertata nelle cellule ematiche mononucleate periferiche (PBMC/S), e i
risultati ottenuti indicarono che la monotiotalidomide (36) e la 3-tiotalidomide (37) avevano solo una
attività marginale alla concentrazione di 30 µM con un’inibizione del 31%e del 23% . Al contrario, i
derivati ditiotalidomidici 38 e 39 esibivano un’attività inibitoria più potente con valori di IC50 20µM
e 11 µM, rispettivamente. (Fig. 10). Inoltre, la tritiotalidomide (40) inibiva la sintesi del TNF- α con
una IC50 di 6 µM essendo 30 volte più attivo della 1. Sorprendentemente, i ditio-analoghi 41 e 43,
disegnati come sub strutture semplificate della 1 erano attivi come inibitori TNF-α (fig. 10). Infatti,
si scoprì che la ditioglutarimide 43 e la ditioftalimide 41 possedevano una potente attività con IC50 di
8µM e di 3 µM (fig. 10).
Figura 10. Tiotalidomide e suoi analoghi (36-46). Tra parentesi sono indicate le IC50 per l’inibizione del TNF-α nelle
PBMCs umane stimolate con LPS.
21
I tioanaloghi 45 e 46, con un anello glutarimmidico semplificato risultarono attivi con valori di IC50
di 15µM e 16µM, rispettivamente, sebbene meno potenti del derivato 41 (fig. 10) [79]. Sono stati
condotti diversi studi relativi alla progettazione e alla sintesi degli analoghi della talidomide
ottimizzati per ridurre la biosintesi del TNF-α. Questi hanno posto principalmente la loro attenzione
sulla ricerca di modifiche strutturali dell’anello ftalico e dell’anello glutarimmidico, come descritto
in un recente articolo di Hashimoto (2002) [80]. Più recentemente, una serie di analoghi della
talidomide furono sintetizzati in serie per spiegare i gruppi funzionali necessari per l’inibizione
del’angiogenesi e furono utilizzati nella costruzione della relazione struttura-attività quantitativa
tridimensionale (3D- QSAR), usando modelli di analisi comparativa in ambito molecolare (CoMFA)
e di analisi comparativa dell’indice di similitudine molecolare (CoMSIA) e fornendo una guida per la
progettazione di analoghi più attivi e più potenti [81]. Questi modelli furono costruiti usando
trentanove analoghi della talidomide con grandi differenze molecolari (fig. 11).
Figura 11. Analoghi inattivi, nel saggio dell’anello aortico, della talidomide modificati alla porzione glutarimmidica (4754).
22
Questi analoghi furono analizzati tramite il saggio su un anello aortico di ratto, e i risultati ottenuti
dimostrarono che solo nove dei trentanove composti inizialmente testati mostravano un’inibizione
dell’angiogenesi statisticamente significativa. D’altre parte, l’idrolisi dell’anello glutarimmidico
produsse composti con una capacità inibitrice dell’angiogenesi statisticamente non significativa
(fig.11) [81]. La sostituzione della porzione glutarimmidica con un gruppo pirimidinico porta ad una
scarsa attività inibitoria. Perfino la sostituzione dell’anello glutarimmidico con i gruppi 2,4difluorobenzenici (50), tetraidro-1H-2,5-pirrolindindionici (51), tetraidro-2H-2,6-pirandionici (52),
1,2,3,4tetraidro-2,4-pirimidindionici (53) oppure con esaidro-2,4,6pirimidintrione (54) risulta in
composti senza attività inibitoria sull’angiogenesi (fig. 11).
Comunque, quando il composto inattivo 50, riportato in figura 12, fu funzionalizzato sulla porzione
ftalimmidica mediante tetrafluorurazione, diventò un eccellente antiangiongenico (fig. 12) [81]. Lo
stesso risultato fu osservato per la fluorurazione dell’anello ftalimmidico del composto inattivo 54
(fig.12). La sola tetrafluorurazione non sembra essere sufficiente per l’attività, giacché il composto
57, che è anche tetrafluorurato, ha una scarsa attività inibitoria nel saggio su anello aortico di ratto
(fig. 12) [81].
Figura 12. Analoghi della talidomide ,modificati nella porzione ftalimmidica, inattivi (50, 54, 53 e 57) ed attivi (55, 56)
nel saggio dell’anello aortico di ratto.
23
Inibitori della PDE-4 e del TNF–α
I livelli intracellulari di cAMP sono regolati dall’attivazione delle fosfodiesterasi (PDE), una
famiglia di enzimi con almeno undici membri differenti, che catalizzano l’idrolisi del cAMP e/o del
cGMP [82]. La PDE-4 cAMP specifica è una sottofamiglia di PDE espressa soprattutto nelle cellule
infiammatori, inclusi i mastociti, macrofagi, monociti, eosinofili e neutrofili. E’ ben documentato che
la specifica inibizione dell’attività della PDE-4 porta ad un aumento dei livelli intracellulari di
cAMP, determinando una ridotta espressione ed il rilascio di diversi mediatori proinfiammatori. Per
esempio, elevati livelli di cAMP riducono la produzione di citochine da parte dei monociti attivati e
dalle PBMCs, più in particolare TNF–α, IL-1β, IL-6 e IL-8 [83-84]. Poiché la trasduzione del
segnale cAMP-dipendente è coinvolta nelle principali condizioni fisiopatologiche, inclusa la
soppressione del TNF–α, Muller e collaboratori proposero l’ottimizzazione dei derivati βamminoammidici della talidomide, precedentemente descritti come potenti inibitori del TNF–α [78],
basata sulla sostituzione nella porzione dialcossifenilica, cercando di ottenere l’attività inibitoria
della PDE-4 [85]. Questi analoghi della talidomide (31, 34, 58-61), riportati in figura 13, sono stati
selezionati per la loro capacità di inibire il TNF–α nelle PMBCs umane LPS-stimolate, e per la loro
capacità di inibire la PDE-4 isolata dalle cellule U937, una linea cellulare promonocitica. Una buona
correlazione tra l’inibizione del TNF–α e l’inibizione della PDE-4 fu osservata per la maggior parte
dei composti (fig. 13). In modo interessante, il meccanismo d’azione di questi analoghi (31, 34, 5861) rispetto alla talidomide risultò differente, in quanto quei derivati inibiscono il TNF–α tramite
l’aumento dei livelli di cAMP cellulare, mentre la talidomide è inattiva come inibitore della PDE-4
(IC50 >500µM) [85]. Con l’idea di scoprire l’inibitore del PDE-4 con ridotti effetti collaterali, He e
collaboratori descrissero l’identificazione del composto guida 1,3-dione (62), che mostrò una buona
attività PDE-4 inibitoria (fig. 14) [86]. La funzionalizzazione dell’anello aromatico dell’indan-1,3dione con l’introduzione di un gruppo ossidrilico ha portato al composto 63, che è circa 3 volte meno
potente del 62. Comunque, l’introduzione del gruppo fenossile ha determinato un aumento della
24
potenza inibitoria del PDE-4, essendo il derivato 64 il più potente inibitore di PDE-4 tra le serie
studiate. Sebbene questi composti non siano stati progettati usando la talidomide come leadcompound, essi hanno una similitudine strutturale con gli analoghi dialcossifenilftalimmidici, come
si è visto nelle strutture dei composti 62 e 61 (fig. 13 e 14).
Figura 13. Derivati dialcossifenilftalimmidici della talidomide (31, 34, 58-61). Tra parentesi i valori di aIC50 misurati
nella secrezione di TNF-α nelle PBMC umane stimolate con LPS; bIC50 valori ottenuti dalla PDE-4 estratta dalle cellule
U937.
25
Figura 14. Derivati indanil-1,3-dione. Tra parentesi i valori di aIC50 valore misurato dal rilascio di TNF-α nelle cellule
mononucleate umane stimolate con LPS; bIC50 valore determinato negli omogenati di macrofago mediante il metodo
radio-isotopico a due stadi (two-step radio-isotopic method).
Infatti, la sostituzione dell’atomo di azoto nell’anello ftalimmidico, presente in 61, con un gruppo
CH in 62, così come la sostituzione del gruppo nitrile tramite un anello piridinico, è risultato in un
miglioramento delle attività PDE-4- e TNF–α-inibitorie [86].
La talidomide come profarmaco
A causa della scarsa solubilità e stabilità acquosa della talidomide, non sono disponibili forme
endovenose, e la sua biodisponibilità non è nota. Nel tentativo di migliorare la solubilità acquosa
della talidomide è stata effettuata la complessazione con ciclodestrine, sebbene ciò non ha condotto
ad applicazioni terapeutiche [87-88]. Più recentemente, Hes e collaboratori hanno descritto lo
sviluppo di un profarmaco della talidomide solubile in acqua, come un’alternativa per migliorare il
suo profilo farmacocinetico [89]. In questo lavoro, l’incremento della solubilità acquosa della
talidomide fu raggiunto tramite l’introduzione di gruppi acidi e basici di derivazione fisiologica così
come amminoacidi o nicotinamide legati all’azoto dell’anello glutarimidico. I migliori composti
solubili 65, 66 e 67, riportati in figura 15, presentano una solubilità aumentata più di 15.000 volte
quando comparata con la talidomide [89]. Comunque, quando questi composti sono stati testati come
inibitori del TNF–α, determinato nel sovranatante delle PBMCs trattate con LPS, hanno mostrato
un’attività inibitoria significativa, mettendo in conto la denominazione di profarmaco. Infatti, il
26
derivato 66, estere stabile della valina ha mostrato un’inibizione superiore a quella della talidomide
con un valore di IC50 di 4,7 μM (fig. 15) [89].
Figura 15. Profarmaci della talidomide.
Inibitori della Cicloossigenasi
Sebbene la capacità della talidomide di sopprimere l’espressione della cicloossigenasi-2 (COX-2)
LPS-indotta sia ben nota [90-91], l’effetto diretto della talidomide sulla COX non era stato ancora
stabilito fino alla scoperta di Noguchi e collaboratori (2002). Questi ricercatori hanno descritto
l’attività COX-inibitoria della talidomide e gli studi di sviluppo strutturale hanno mirato all’attività
COX-inibitoria [92]. L’attività inibitoria della talidomide e dei suoi analoghi su COX-1 e COX-2 è
stata testata utilizzando il Colorimetric COX (ovine) Inhibitor Screening Assay Kit. L’attività dei
composti è stata presentata come attività relativa [valori RA (RA1 e RA2, per le attività inibitorie di
COX-1 e COX-2, rispettivamente)] definita come IC50 (aspirina) /IC50 (composto) e l’indice di selettività
(IS) definito come IC50(COX-1)/IC50(COX-2) [92] (fig. 16). Nel sistema del saggio, i valori di IC50
dell’aspirina determinati furono 90-100 e 100-110 μM. Brevemente, i risultati ottenuti hanno
indicato che la talidomide possiede una moderata attività inibitoria sulle COX con un debole profilo
27
selettivo per la COX-2, suggerendo che, almeno in parte, qualche attività farmacologia espressa dalla
talidomide, inclusa l’attività anti-infiammatoria e sul cancro del colon, potrebbe essere dovuta
all’attività inibitoria sulla COX [92]. Inoltre, l’analisi strutturale della talidomide ha reso possibile la
progettazione e l’identificazione della m,m' –dimetilfenilftalimide (70) come potente inibitore non
selettivo delle COX (fig. 16) [92].
Figura 16. Talidomide (1) ed alcuni analoghi (53, 69-70) ad attività COX-inibitoria.
Derivati ftalimmidici della talidomide
Mirando all’aumento delle proprietà TNF–α-inibitorie della talidomide mediante modifiche
strutturali, Lima e collaboratori hanno descritto il progetto, la sintesi e la valutazione farmacologica,
in vivo, dei nuovi derivati bioattivi ftalimidici (71a-e, 72a-e) riportati in figura 17 [93]. Il derivato
sulfonil-ftalimidico (71a-e) fu disegnato mediante un metodo di ibridazione molecolare a partire dai
lead-compounds talidomide (1, subunità A), arilsulfonamide (74, subunità B) e sildenafil (75,
subunità B e C), puntando all’identificazione di nuovi analoghi della talidomide con entrambe le
attività inibitorie su TNF–α e sulla PDE-4 (fig. 17) [93]. Più tardi, la sostituzione della porzione
28
sulfonilica con un suo isostero, il gruppo carbonilico, è risultata nella sintesi dei derivati amidoftalimmidici (72a-e).
Figura 17. Design di nuovi analoghi della talidomide (71a-e, 72a-e, 73a-e).
D’altronde, con l’intenzione di chiarire il ruolo della porzione ftalimidica per esplicare l’attività
inibitoria sulla secrezione del TNF–α, i ricercatori hanno realizzato l’apertura dell’anello
ftalimmidico sintetizzando i derivati carbossiammidici (73a-e) riportati in figura 17. Tutti questi
composti sono stati valutati in vivo utilizzando un modello di polmone con infiammazione acuta
indotta con un aerosol di LPS [93-94]. I risultati ottenuti hanno rivelato che il trattamento con 10
mg·kg-1, i.p., ha determinato l’inibizione e della produzione di TNF–α e del reclutamento dei
29
neutrofili dal tessuto polmonare, valutazione effettuata utilizzando il fluido di lavaggio
broncoalveoalre (BALF) delle cellule murine (BALB)/C esposte ad
LPS. Il composto 71e
(LASSBio-468), ha inibito la produzione di TNF–α e la migrazione dei neutrofili in modo molto più
efficace rispetto ai lead-compounds 1 o 75 [93]. Con questi risultati in mano, il composto LASSBio468 (71e) è stato selezionato per un’ulteriore valutazione farmacologia in vivo. Così, il profilo
immunomodulatorio di 71e è stato valutato, in diversi modelli di produzione di citochine e di
patologia infiammatoria, come produzione di TNF–α, mediante l’iniezione in acuto di una dose letale
di endotossina nei ratti con artrite indotta con adiuvanti [93]. In questo contesto, Alexandre-Moreira
ha descritto la capacità di 71e di inibire sia il TNF–α LPS-indotto (soppressione del 60%) sia il
rilascio di NO nelle cellule BALB/C di topo. In aggiunta, LASSBio-468 è stato capace di proteggere
il topo da morte LPS-indotta trattandolo un’ora prima dell’iniezione di LPS [90]. L’attività antiartritica è stata anche osservata nei modelli di artrite indotta con adiuvanti quando 71e è stato
somministrato p.o. (per os) alla dose di 50 mg/kg ai ratti Wistar [95]. In questi modelli l’evidenza
dell’effetto modulatorio sulla patologia si è manifestato dopo 2 settimane con riduzione della
progressione del granuloma epatico. Nei topi trattati con 71e (50 mg/kg i.p. o p.o., per 2 settimane) si
è osservata la soppressione della risposta anticorpale verso l’ovoalbumina, laddove la risposta
immune delle cellule era stata misurata ex vivo in topi sani [95]. Inoltre esperimenti in vitro
mediante RT-PCR hanno dimostrato che 71e è in grado di inibire completamente l’espressione
dell’mRNA del TNF-α nei macrofagi stimolati con LPS, confermando la capacità di modulare
l’espressione del TNF-α a livello dell’RNA. In definitiva, LASSBio-468 (71e) , un derivato
ftalimmidico achirale, progettato mediante modifiche sulla struttura molecolare della talidomide, ha
protetto significativamente i topi da shock letale, ha ridotto la produzione di TNF- α, di NO ed è
capace di interferire con la formazione di granuloma nel fegato in modelli con artrite. LASSBio-468
modula l’espressione del TNF-α a livello dell’mRNA, senza un’apparente correlazione tra
30
l’inibizione di TNF-α e della PDE, suggerendo che l’effetto inibitorio di 71e sulla sintesi di TNF-α
non è associata all’aumento intracellulare dei livelli di cAMP.
Considerando l’instabilità dell’anello ftalimmidico per i processi idrolitici nella biofase, si è deciso di
studiare l’attività biologica di LASSBio-596 (73e), riportato in figura 17, il possibile principale
metabolita di LASSBio-468 (71e). Questo derivato carbossammidico (73e) fu sintetizzato con buona
resa mediante un’idrolisi catalizzata da base della porzione ftalimmidica [93]. Il trattamento con 10
mg/kg di LASSBio-596, i.p., un’ora prima dell’inalazione di LPS tramite aerosol, ha inibito la
produzione di TNF-α e la migrazione di neutrofili nel BALF delle BALB/c di topo, essendo
equipotente con la talidomide. Fu deciso di analizzare l’effetto di 73e sia prima sia dopo
l’infiammazione LPS indotta [96]. Il trattamento con 10 mg/kg del composto 73e, i.p., un’ora prima
o 6 ore dopo la somministrazione intratracheale di LPS, ha attenuato i cambiamenti istologici,
includendo la riduzione di edema interstiziale ed alveolare, atelectasia, membrana ialina, infiltrazione
di neutrofili delle vie respiratorie ed edema infiammatorio provocato dall’LPS [96]. Il composto 73e
ha attenuato il collasso alveolare osservato nel gruppo trattato con LPS suggerendo che potrebbe
ridurre l’indebolimento del sistema surfactante usualmente osservato nei polmoni danneggiati. In
modo interessante, l’inibizione dei parametri meccanici dell’infiammazione respiratoria dovuta al
trattamento con 73e è stata anche osservata 24 ore dopo l’iniezione di LPS. Parallelamente, il
trattamento con 73e ha ridotto la produzione di TNF- α ed ha inibito il reclutamento dei neutrofili nei
polmoni[96].
Riassumendo, il composto 73e, è un probabile metabolita di 71e, effettivamente ha prevenuto i
cambiamenti respiratori e meccanici tissutali, minimizzando le alterazioni morfometriche dei
polmoni e bloccando la fibroproliferazione nei polmoni dei topi, suggerendo che può essere utile
come terapia adiuvante per le patologie polmonari acute.
Nel tentativo di identificare dei nuovi analoghi della talidomide ad attività anti-infiammatoria, furono
descritti dei nuovi derivati N-fenilftalimmidici (74-81), riportati in figura 18 [97]. Questi derivati
31
sono stati progettati modificando la struttura dei composti LASSBio-468 (71e) e LASSBio-595
(72e). Come mostrato in (fig. 18) i composti 74-77 rappresentano la terza generazione dei derivati Nfenilftalimmidici, sintetizzati introducendo un gruppo orto-fenossi-estereo, essendo il composto 77
un analogo interfenilenico di 74-76. D’altra parte, i composti 78-79 sono stati progettati come
regioisomeri del composto di partenza 72e, cercando di comprendere il contributo della porzione
diossimetilenica nell’aumento dell’attività antinfiammatoria. Infine, il composto 80 è stato disegnato
come ibrido dei derivati 75 e 78, mentre il composto 81 era anche un ibrido dei prodotti di origine
71e e di 80. Tutti i composti sono stati testati per la loro capacità di inibire sia la produzione di TNFα sia il reclutamento dei neutrofili attivati da LPS “aerosolizzato” negli spazi alveolari nei polmoni di
topo [97]. Nella serie dei derivati 2-fenossiftalimmidici (74-77), il racemato 75 (LASSBio-542) è
risultato il più attivo, inibendo del 50% la produzione di TNF-α e l’afflusso di neutrofili, similmente
all’effetto della talidomide.
Figura 18. Design dei nuovi derivati N-fenil ftalimmidici (74-81) a partire dalla talidomide.
32
Questi risultati indicano che la funzionalizzazione in posizione orto dell’anello fenolico della
porzione N-fenilftalimmidica ha portato allo stesso profilo inibitorio come la funzionalizzazione in
para ad esempio per il composto 72e. I dati ottenuti dai prodotti 78 e 79 hanno mostrato che questi
composti avevano un effetto anti-infiammatorio simile a quello del composto di origine 72e
[LASSBio-595]. Gli ibridi 80 e 81 erano equipotenti nell’inibizione della migrazione dei neutrofili
nel BALF del BALB/c murine trattate con LPS, sebbene il composto 81 abbia mostrato una migliore
attività TNF-α inibitoria [97]. Presi insieme, questi dati indicano che il profilo anti-infiammatorio è
strettamente associato al sistema di sostituzione dell’anello fenolico, considerando che non è stata
trovata attività per la N-fenilftalimmide. Inoltre, questi dati indicano che le sostituzioni dell’anello
fenolico nelle posizioni orto e para con solfonammidi (71e), ammidi (72e, 78, 79), esteri (74, 75, 77),
o con acido carbossilico (76) sono essenziali per l’attività anti-infiammatoria attraverso la
modulazione della produzione di TNF-α. L’introduzione di una doppia funzionalizzazione nello
scheletro fenilftalimmidico (81), ha determinato un aumento dell’attività anti-TNF-α quando
comparata con il derivato ammidico 80.
33
CONCLUSIONI
La talidomide rappresenta un importante esempio della rinascita di un farmaco; dopo il ritiro dal
mercato negli anni ’60 per i suoi effetti teratogenici, è stata riconsiderata negli anni ’90 per il
trattamento dell’ENL, una condizione infiammatoria presente nella lebbra. La talidomide è un
farmaco con molteplici meccanismi d’azione che includono l’inibizione selettiva del TNF-α e
l’inibizione del processo angiogenetico. D’altra parte la talidomide può inibire la overespressione di
citochine, le quali contribuiscono all’incremento della crescita e della sopravvivenza delle cellule
tumorali, e aiuta la formazione di cellule T attive per incrementare l’immunità anti-tumorale. Inoltre,
la talidomide è capace di indurre apoptosi e di regolare negativamente l’espressione delle molecole
di adesione che legano le cellule tumorali alle cellule del midollo osseo. Ancora oggi si è lontani
dalla completa comprensione delle sue molteplici attività biologiche e delle sua applicazione
terapeutica, tuttavia la talidomide rappresenta uno strumento importante per il trattamento delle
principali malattie come cancro, lebbra, tubercolosi, trapianto del midollo osseo, sindrome da
immuno-deficienza ed altre patologie dermatologiche. Per ridurre il rischio degli effetti teratogenici
della talidomide, è stato sviluppato un programma generale per controllare e monitorare la
prescrizione, la dispensazione e l’uso del farmaco. Comunque, il meccanismo teratogenico della
talidomide resta ancora poco chiaro, lo sviluppo di nuovi analoghi talidomidici progettati tramite
modificazioni molecolari nel backbone della talidomide potrebbe essere una promettente e sicura
alternativa per evitare gli effetti indesiderati della talidomide.
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