Lesioni capsulo legamentose acute della caviglia: trattamento

Agosto2012;38(suppl.2):57-62
LESIONI CAPSULO LEGAMENTOSE
ACUTE DELLA CAVIGLIA:
TRATTAMENTO CHIRURGICO
Acute ankle sprain: surgical treatment
Riassunto
Nell’ambito dei traumi distorsivi della caviglia, evento traumatico tra i più frequenti non solo nella pratica sportiva ma anche
nella vita quotidiana, solitamente il trattamento funzionale è da
preferirsi a quello ortopedico per la più rapida ripresa funzionale tuttavia, in casi selezionati, può trovare indicazione anche
il trattamento chirurgico. L’indicazione chirurgica, riservata comunque esclusivamente alle distorsioni di III grado ovvero quelle
con una lesione completa del complesso legamentose laterale,
viene posta sulla base della valutazione clinica ma anche delle
indagini diagnostiche tra le quali riveste un ruolo di primo piano
la radiografia dinamica o sotto stress, l’unica in grado di fornire
un’indicazione sulla reale lassità articolare. I parametri aggiuntivi da valutare per porre indicazione al trattamento chirurgico di una distorsione di III grado sono la richiesta funzionale,
la presenza di una lassità costituzionale, l’età ed il sesso del
paziente/atleta ed infine la storia clinica pregressa ovvero un
eventuale trauma distorsivo grave nei dodici mesi precedenti.
Nel presente lavoro viene inoltre descritta la tecnica chirurgica
che è sicuramente affidabile, ripetibile e mini-invasiva e può
essere eseguita sia in anestesia generale o periferica che in
anestesia locale.
Parole chiave: distorsione acuta caviglia, legamento peroneoastragalico anteriore, chirurgia, indicazioni
Summary
Among ankle sprain, the most frequent traumatic event not only
in sports but also in everyday life, usually the functional treatment is to prefer to the orthopedic treatment because of a faster
functional recovery however, in selected cases, the surgical
treatment can be indicated. The indication for surgery, exclusively reserved to the III degreed sprains, those with a complete
lesion of the lateral ligament complex, is based not only on
A. FERRETTI, F. MORELLI
Cattedra e UOC Ortopedia e Traumatologia, Centro
di Traumatologia dello Sport “Kirk Kilgour”, Facoltà di
Medicina e Psicologia, Università di Roma “Sapienza”,
Policlinico Sant’Andrea
Indirizzo per la corrispondenza:
Andrea Ferretti
UOC Ortopedia e Traumatologia
Ospede Sant’Andrea
II Facoltà di Medicina e Chirurgia
Università di Roma “Sapienza”
via di Grottarossa 1035, 00189 Roma
E-mail: [email protected]
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the clinical evaluation but also on diagnostic investigations.
Among this the dynamic x-ray plays a major role because it is
the only diagnostic examination that can reveal the real joint
laxity. Additional parameters to be evaluated before deciding
to perform surgery on a third-degree ankle sprain are the sport
level of the athlete, the presence of a constitutional laxity, age
and sex and the medical history or any severe ankle sprain in
the previous twelve months. Moreover we describe the surgical
technique that is certainly reliable, repeatable and minimally
invasive and can be performed under general, peripheral or
local anesthesia.
Key words: acute ankle sprain, anterior talofibular ligament, surgery, indications
INTRODUZIONE
I traumi distorsivi della caviglia rappresentano una delle
evenienze traumatologiche più frequenti sia nell’ambito della vita di tutti i giorni che in quello sportivo. A
causa della conformazione dell’articolazione e del gioco delle forze esercitate dai muscoli periarticolari, la
maggior parte dei traumi si verifica con sollecitazioni in
inversione, un movimento che risulta da una combinazione di varismo, adduzione e supinazione, con danno
delle strutture capsulo legamentose del compartimento
esterno; il grado di flessione plantare del piede in cui
si verifica il trauma condiziona poi la sede più o meno
anteriore della lesione. Il complesso di lesioni che ne
risulta è generalmente considerato benigno per la sua
tendenza, anche nei casi più gravi, alla guarigione,
qualunque sia il trattamento eseguito. Per questo motivo
le distorsioni della caviglia con interessamento del compatimento esterno vengono oggi comunemente trattate,
a prescindere dalla gravità, in modo conservativo, molto
spesso in modo esclusivamente sintomatico, con ritorno
alle abituali attività, incluse quelle sportive, nel più breve
tempo possibile. Tuttavia non è infrequente che, dopo un
primo episodio di distorsione, ne seguano altri, a più o
meno lunga distanza di tempo, spesso associati ad una
costante sensazione di instabilità, che finiscono con il
configurare dei quadri di lassità cronica. In questi casi
possono associarsi nel tempo lesioni cartilaginee fino ad
una vera e propria artrosi tibio-tarsica. Sarebbe quindi
estremamente utile poter individuare, al momento del
primo episodio distorsivo, quelle lesioni che non sono
destinate a guarire col semplice trattamento funzionale
per poter eventualmente procedere ad un trattamento
chirurgico in grado di garantire una migliore guarigione, prevenendo quindi la lassità cronica articolare e
l’eventuale artrosi.
In questo lavoro cercheremo di individuare i criteri utili
proprio per individuare i casi di distorsione del compartimento esterno della caviglia in cui potrebbe trovare indicazione un trattamento chirurgico.
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CLASSIFICAZIONE
Le lesioni legamentose vengono abitualmente classificate
in tre gradi a seconda della gravità del danno. Nelle lesioni di primo grado il legamento è semplicemente stirato;
macroscopicamente il legamento è intatto e presenta solo
microscopici focolai emorragici; mantiene la sua continuità e resistenza alla trazione. In questi casi il trattamento è
esclusivamente sintomatico e focalizzato sulla risoluzione
del dolore che normalmente scompare in pochi giorni.
Nelle lesioni di secondo grado il legamento è parzialmente rotto, talora a più livelli; mantiene la sua continuità ma
è funzionalmente indebolito; il quadro clinico è di solito
più serio con versamento ematico e tumefazione articolare: l’articolazione rimane, come nelle lesioni di I grado,
stabile. Il trattamento è conservativo ma può richiedere
l’applicazione di un tutore di protezione che garantisca
quella quiete meccanica utile, soprattutto nelle fasi iniziali, a garantire un processo di cicatrizzazione più efficace.
Nelle lesioni di III grado invece il legamento è completamente rotto; perde interamente la sua continuità e la
sua funzione generando una mobilità preternaturale della
caviglia, la lassità articolare appunto. Ed è in questi, e
solo in questi, casi che può trovare talora indicazione un
trattamento chirurgico del danno legamentoso 1 2.
Oltre a questa classificazione, comune peraltro a tutte
le lesioni legamentose, ne esiste un’altra, più specifica
per la caviglia che distingue le lesioni in singole, se interessano solo il legamento peroneo-astragalico anteriore
(LPAA), il primo normalmente coinvolto dalla sollecitazione distorsiva, e doppie, se cioè interessano anche il legamento peroneo-calcaneare (LPC); è noto infatti che il terzo
legamento dell caviglia, il peroneo-astragalico posteriore
(LPAP) può rompersi quasi esclusivamente per traumi di
particolare gravità come fratture e lussazioni.
DIAGNOSI
L’inquadramento diagnostico di una distorsione di caviglia non può limitarsi, a livello specialistico, al semplice
termine, clinicamente corretto ma insufficiente, di distorsione, concetto questo alla portata dello stesso paziente, ma deve cercare di individuare la sede e l’entità del
danno e cioè se trattasi di lesione di I, II o III grado ed in
questo caso se sia coinvolto uno solo o entrambi i legamenti del compartimento esterno. Non vi è dubbio che
l’aspetto più delicato sia il riconoscimento delle distorsioni instabili (III grado) che producono una lassità articolare
e che potrebbero richiedere una particolare attenzione
terapeutica.
Dopo l’anamnesi, nella quale devono essere individuati il
meccanismo traumatico, la sensazione soggettiva al momento del trauma (il “crack”, talora avvertito dal paziente
può essere suggestivo per una lesione importante oltre
che per una frattura) ed il grado dell’impotenza funziona-
A. FERRETTI, F. MORELLI
le, di solito marcata nei casi più gravi, si deve procedere
con l’esame obiettivo, sempre tenendo bene in mente la
possibilità della presenza di una frattura (malleoli!). La
sede del dolore può essere un buon indicatore della sede
reale del danno: nelle lesioni legamentose questa si situa
preferibilmente subito al davanti del malleolo peroneale
(LPAA). Quando il quadro clinico non consente di escludere una frattura è doveroso eseguire un esame rx standard
prima di procedere ulteriormente alla valutazione della
lassità articolare che, come abbiamo detto, è l’elemento
caratteristico delle lesioni di III grado. Una volta escluse
delle fratture si può tranquillamente procedere all’esecuzione dei test di lassità legamentosa: il test del cassetto
astragalico anteriore ed il test dell’inversione, eseguiti in
comparativa procedendo inizialmente dal alto sano.
Purtroppo l’esecuzione di questi test in fase acuta è reso
difficile dalla tumefazione, dal dolore e dalla contrattura
di difesa del paziente per cui è necessario spesso avere
una grande pazienza, cercare di ottenere il dovuto rilasciamento del paziente, ripetendo più volte con dolcezza
le manovre fino a raggiungere l’obiettivo di una attendibile valutazione della lassità. Dobbiamo sempre considerare che, in entrambi i test, la mano dell’esaminatore afferra
il calcagno e quindi muove simultaneamente due articolazioni (tibio-tarsica e sottoastragalica): nella realtà dei
fatti quindi la valutazione clinica della lassità articolare
della tibio-tarsica, e quindi il riconoscimento in fase acuta
di una lesione di III grado, può risultare estremamente
difficile anche in mani esperte.
A causa del’obbiettiva difficoltà di una diagnosi clinica
attendibile si può far ricorso alle indagini strumentali, grazie alle quali siamo oggi in grado di quantificare esattamente l’entità del danno e di poter quindi formulare una
diagnosi completa.
Detto delle radiografie standard, necessarie praticamente
sempre per escludere fratture, le tecniche oggi disponibili
comprendono l’ecografia, la RM e le radiografie dinamiche, essendo la TC destinata solo ad un ulteriore approfondimento diagnostico sullo scheletro e non sulla componente legamentosa articolare oggetto del presente lavoro.
L’ecografia permette di evidenziare soprattutto l’edema
ed il versamento che accompagna la lesione legamentosa; talora evidenzia l’interruzione dei fasci legamentosi
anche se non può distinguere sempre una lesione completa (III grado) da una estesa ma incompleta (II grado) ed è
quindi spesso inconclusiva per i nostri scopi.
La Risonanza Magnetica è sicuramente più precisa ed
attendibile fornendo spesso quadri anatomici di rara evidenza. Potendo talora sfruttare l’effetto contrastografico
dell’emartro i legamenti risultano ancora più evidenti e le
lesioni facilmente interpretabili. Tuttavia anche in questo
caso non sempre un danno esteso ma incompleto può
essere distinto da uno completo. Inoltre un elemento fon-
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TRATTAMENTO CHIRURGICO
damentale non può essere fornito neppure dalle apparecchiature più sofisticate: l’effetto del danno legamentoso sulla stabilità articolare e cioè l’entità della lassità
articolare, elemento questo fondamentale per un giudizio
diagnostico completo. Inoltre la scarsa disponibilità delle
apparecchiature, ed i relativi costi, rendono talora difficile ottenere i radiogrammi in tempo utile per le decisioni
terapeutiche opportune.
Un sistema di valutazione indiretta della lesione legamentosa molto preciso ed affidabile è rappresentato dalle radiografie dinamiche con stress in inversione ed in cassetto
astragalico anteriore. Attraverso l’esecuzione delle radiografie dinamiche misurando comparativamente rispetto al
lato sano l’inclinazione dell’astragalo e la distanza fra la
cupola astragalica ed il margine posteriore della superficie articolare tibiale, si ottiene una quantificazione esatta
della lassità articolare, che rappresenta il principale criterio di valutazione della gravità della lesione legamentosa.
In base all’inclinazione (tilt) dell’astragalo, per esempio,
un valore compreso fra 4° (limite normale) e 10° indica
un danno isolato del legamento peroneo-astragalico anteriore mentre un valore superiore a 20° indica un coinvolgimento esteso anche al legamento peroneo-calcaneare.
Il limite delle radiografie dinamiche è la necessità di ricorrere talora a ben quattro radiogrammi (anche se talora
due possono già essere sufficienti ad indirizzare decisamente il trattamento) ed il dolore (talora intenso anche
se di breve durata) che ne condizionano l’utilizzazione
nei casi acuti. Tuttavia crediamo che la scarsa diffusione di questa semplice ed affidabile metodica nel nostro
Paese sia più legata a problemi organizzativi e pratici
che ad altro. Infatti le radiografie dinamiche dovrebbero
essere eseguite alla presenza di un medico (radiologo od
ortopedico) in grado di posizionare correttamente l’articolazione ed eseguire correttamente il test con l’ausilio
delle apparecchiature dedicate (Telos). Ebbene è a tutti
nota invece l’abitudine delle nostre sezioni di radiologia
di lasciare ai tecnici l’esecuzione dei radiogrammi che
vengono poi esaminati e refertati in un secondo tempo
a seconda della disponibilità del medico radiologo. Nonostante questi limiti, tuttavia, le radiografie dinamiche
rappresentano ancora oggi il migliore, se non l’unico,
sistema per una valutazione completa di una lesione dei
legamenti del compartimento esterno della caviglia.
TRATTAMENTO
Tre sono i trattamenti attualmente utilizzati nelle lesioni
legamentose del compartimento esterno della caviglia: il
trattamento funzionale, il trattamento ortopedico classico
ed il trattamento chirurgico, oggetto del presente lavoro.
Il trattamento funzionale consiste nell’applicazione di un
tutore articolato o di un bendaggio funzionale che consenta un ampio movimento articolare ed è prevalentemen-
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te finalizzato al recupero più rapido possibile di tutte le
attività, incluse quelle sportive. Il trattamento ortopedico
consiste nella immobilizzazione della caviglia in posizione ortomorfica per circa un mese ed è finalizzato a mantenere i normali rapporti articolari in modo da garantire
una efficace cicatrizzazione dei legamenti evitando rischi
di sollecitazioni incongrue durante la fase di guarigione.
Il trattamento chirurgico consiste nella sutura termino-terminale con eventuale ritensionamento dei legamenti lesionati in modo da renderne possibile una guarigione “per
prima intenzione”. Esiste un consenso pressoché unanime
nell’adottare il trattamento funzionale in tutte le lesioni di
I e II grado (stabili). Nelle lesioni di III grado invece si
riscontra una maggiore diversità di vedute ed ognuno dei
tre trattamenti può trovare indicazione a seconda delle
diverse tradizioni, delle scuole di pensiero e delle mode.
Storicamente ognuno di questi trattamenti ha vissuto periodi di maggiore auge: negli anni sessanta per esempio
si suggeriva di applicare un gambaletto gessato in ogni
distorsione grave di caviglia. Nel decennio successivo,
grazie soprattutto alle idee di Freeman ed ai concetti di
propiocettività, si evidenziarono i “danni da gesso” per
cui l’immobilizzazione era vista come una sciagura, soprattutto per gli atleti, che evitavano scrupolosamente i PS
degli ospedali nei quali persisteva l’abitudine di ingessare
le caviglie. Nel decennio successivo, gli anni ottanta quelli nei quali, grazie alle radiografie dinamiche, era stata
introdotta una classificazione delle distorsioni in base alla
conseguente lassità articolare, si fece strada il trattamento
chirurgico, propugnato prevalentemente dalle scuole ortopediche del nord Europa, che vantavano casistiche di
centinaia di casi trattati chirurgicamente in pochi anni 3 4.
Dagli anni novanta poi sono stati pubblicati i primi studi
comparativi 5 e si è cercato di mettere un po’ di ordine
alla problematica, fermo restando l’esame radiografico
dinamico come base per l’individuazione delle lesioni di
III grado, uniche possibili destinatarie di un trattamento
diverso da quello funzionale.
Alla luce dell’analisi della letteratura 6-8 e della nostra
esperienza non vi è dubbio che la gran parte delle lesioni di III grado del compartimento esterno della caviglia
possono essere trattate in maniera funzionale, senza bisogno di immobilizzazione, se non per pochissimi giorni
nei casi particolarmente dolorosi. Il trattamento ortopedico classico rimane un ottimo trattamento “di massa” in
quanto in grado di garantire ottimi risultati a prescindere dalla compliance del paziente, necessaria invece per
l’ottimizzazione del trattamento funzionale. Tuttavia né il
trattamento ortopedico né quello funzionale si sono dimostrati in grado di prevenire del tutto l’insorgenza di
instabilità croniche caratterizzate, dal punto di vista soggettivo, da cedimenti e distorsioni recidivanti e, dal punto
di vista obiettivo e radiografico, da una persistente lassità
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A. FERRETTI, F. MORELLI
Fig. 1. Radiografia sotto stress in proiezione anteroposteriore (tilt astragalico).
Fig. 2. Radiografia sotto stress in proiezione latero-laterale
(cassetto anteriore).
Fig. 3. Lesione completa del legamento peroneo-astragalico
anteriore.
Fig. 4. Sutura del legamento.
LESIONI CAPSULO LEGAMENTOSE ACUTE DELLA CAVIGLIA:
TRATTAMENTO CHIRURGICO
legamentosa con test dell’inversione e cassetto astragalico positivi. Il problema più attuale sembra quindi essere
quello di individuare precocemente i casi nei quali un
trattamento conservativo (funzionale od ortopedico) non
sia in grado di assicurare un’adeguata guarigione dei legamenti con ripristino della necessaria stabilità articolare
e quindi quelle che potrebbero essere le indicazioni al
trattamento chirurgico.
I parametri che a nostro parere dovrebbero essere valutati
allo scopo di selezionare i casi da operare sono i seguenti 5:
1) Gravità della lesione. È il primo elemento da considerare. In questo senso il tilt astragalico, così come evidenziato dalla radiografia dinamica in antero-posteriore con stress in massima inversione, rappresenta il
test più significativo in quanto riproduce dinamicamente il meccanismo traumatico della distorsione del compartimento esterno. Solo lesioni particolarmente serie
con tilt superiore a 20° dovrebbero essere considerate
meritevoli di un eventuale trattamento chirurgico.
2) Richiesta funzionale del paziente. Il trattamento chirurgico dovrebbe essere riservato solo ad atleti di alto
livello impegnati in attività sportive a rischio di recidiva di lesione legamentosa.
3) Presenza di una lassità costituzionale. Una lassità costituzionale, evidenziata da un tilt astragalico patologico
controlaterale, offre meno garanzie di una valida cicatrizzazione spontanea. Un primo episodio distorsivo
grave in un paziente con lassità costituzionale rappresenta spesso un momento di scompenso con comparsa
di sensazioni recidivanti di cedimento ed instabilità.
4) Età e sesso del paziente. La giovane età ed il sesso
femminile possono rappresentare elementi di maggior
rischio per la comparsa di lassità croniche.
5) Trauma su precedente (distorsione grave a breve distanza di tempo da un precedente episodio analogo
– entro 12 mesi). Si può ipotizzare, con ragionevole
certezza, che una lesione grave su una cicatrice ancora in fase evolutiva possa guarire meglio se riparata chirurgicamente con una buona sutura con ritensionamento legamentoso.
Sulla base di questi parametri ognuno può costruirsi un
algoritmo terapeutico che normalmente porta a sottoporre al trattamento chirurgico comunque un numero molto
limitato di pazienti, ai quali può essere ragionevolmente
garantito il ripristino di una buona stabilità articolare.
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Tecnica chirurgica. La tecnica da noi adottata nei casi
di distorsione di III grado del compartimento esterno
della caviglia è molto semplice e può essere eseguita
in anestesia generale, epidurale e locale. Si esegue
un’incisione curvilinea premalleolare esterna di circa 5
cm dalla quale, previa dieresi del sottocutaneo e della fascia superficiale, si espone direttamente la lesione
legamentosa e l’articolazione sottostante. Dopo aver
evacuato l’emartro e aver abbondantemente lavato
l’articolazione per eliminare eventuali piccoli frammenti cartilaginei, si procede alla sutura termino-terminale
della capsula e del solo legamento peroneo-astragalico
anteriore 9. Si saggia clinicamente la stabilità ottenuta
e si sutura il sottocute e la cute. Si tratta di una tecnica
che non prevede, se non in casi eccezionali, la riparazione del legamento peroneo-calcaneare in quanto
la semplice sutura della capsula e dei legamenti anteriori è già di per se stessa in grado di stabilizzare
perfettamente l’articolazione, senza rischi di eccessivo tensionamento e di una dannosissima rigidità postoperatoria. Solo nei rari casi di avulsione completa del
legamento peroneo-astragalico anteriore dall’apice del
malleolo peroneale può essere necessario l’utilizzo di
un’ancorina per reinserirlo.
Trattamento post-operatorio. Inizialmente il trattamento
post-operatorio prevedeva l’immobilizzazione in gesso
per 30 giorni seguito dalla rieducazione funzionale. Già
da molti anni invece viene applicato un tutore a staffa con
carico inizialmente protetto e poi libero come consentito
dal dolore. In pratica viene ricalcato il trattamento funzionale, solo che esso viene applicato dopo una sutura
chirurgica dei legamenti lesionati e quindi in una situazione teoricamente ottimale per la cicatrizzazione ed il
rimodellamento legamentoso 10.
Nel complesso riteniamo che l’approccio qui esposto e
da noi seguito oramai da anni del trattamento delle distorsioni della caviglia possa costituire un utile punto di
riferimento nel quale trova spazio, in casi selezionati di
atleti di alto livello 11, anche la terapia chirurgica che non
crediamo sia giusto abbandonare del tutto ma, anzi, debba essere presa in considerazione tenendo anche presenti altri fattori, oltre quelli da noi elencati precedentemente,
quali il momento della stagione agonistica ed il tipo e
l’importanza degli impegni agonistici futuri programmati
dall’atleta.
A. FERRETTI, F. MORELLI
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