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CUMENISMO
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- Il papa e i luterani
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I
micizia e incontro
l 14 marzo il papa si è recato alla Chiesa evangelica luterana di
Roma per il culto. Lo hanno ricevuto il pastore e i membri della comunità, la presidente, il decano e alcuni rappresentanti
della Chiesa evangelica tedesca. Una cordiale visita, come quella
di Giovanni Paolo nel 1983, in occasione del 500° anniversario della nascita di Martin Lutero, con qualcosa di diverso sotto tre
aspetti.
Il primo attiene alla storia personale di Benedetto: l’attenzione verso la Chiesa luterana ma anche il rispetto che nutre per
quella teologia sono note da tempo. La sua nascita tedesca lo ha
posto nella condizione di chi sperimenta con la vita lo scandalo e
il fermento di una Chiesa tanto divisa quanto alla ricerca di una
nuova unità. «Il mio vicino di banco del liceo – ha più volte raccontato il pontefice – era protestante. Ci volevamo molto bene, ma
non parlavamo, ancora, di teologia». Il vicino protestante, l’affetto
che li legava, la spontanea relazione non ancora «minata» dalla discussione teologica ci narrano di un uomo che si è formato sperimentando la naturale sintonia con chi gli era accanto e che avrebbe scoperto essere parzialmente diverso. Poi il giovane Ratzinger
ha scoperto la propria vocazione ed è divenuto un insigne teologo cattolico: ha insegnato nelle università del suo paese (ancora
una volta in dialogo con i colleghi luterani) ed è giunto sulla cattedra del custode dell’integrità della dottrina. Era prefetto della
Congregazione per la dottrina della fede nel 1999 quando cattolici e luterani firmarono la storica Dichiarazione congiunta sulla
dottrina della giustificazione, un testo che il papa stesso ha definito «una pietra miliare nel comune cammino verso la piena unità
visibile».
Il secondo tratto attiene al piano liturgico-teologico. Liturgia,
in greco, significa «atto pubblico»: è, dunque, l’atto pubblico per
eccellenza, quello con cui si esprime la propria fede e il proprio
culto e li si comunica senza riserbo. Non a caso le grandi riforme
della Chiesa sono sempre passate attraverso riforme liturgiche. Il
Vaticano II ha potuto definire la liturgia «fonte e culmine della vita cristiana», perché è dal culto che trae forza ogni azione della
Chiesa ed è in esso che tutto è raccolto dallo Spirito, per essere
offerto al Padre, per mezzo del Figlio. Ogni azione liturgica, dunque, è anche azione teologica che, allo stesso tempo, scopre, annuncia e celebra il grande sacramento della Chiesa.
In quest’ottica, quella di Benedetto XVI è stata la prima partecipazione del pontefice romano a una liturgia protestante. Diversamente da altre occasioni questa volta il papa ha pregato con i
protestanti nell’ambito di un loro culto; anzi l’ha presieduto insieme al pastore di quella comunità. Non ciascuno dal proprio pulpito, né l’uno dal pulpito dell’altro (come talvolta avviene durante la
Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani), ma entrambi dal
medesimo pulpito, per esortare l’unico popolo di Dio, animandolo alla voce dell’unica Parola. La predicazione, espressione tipica
del munus docendi sacerdotale nella Chiesa cattolica e cuore della liturgia luterana, è diventata un colloquio tra fratelli.
Il terzo aspetto è quello che ha riguardato le coordinate di
spazio e di tempo di questo incontro. Le dichiarazioni stampa con
cui l’evento era stato annunciato tendevano a specificare la qualifica di vescovo di Roma con cui il papa è stato invitato e accolto
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IL REGNO -
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dalla comunità luterana romana. Tale specificazione avrebbe potuto circoscrivere la portata dell’evento; in realtà vi si può leggere
una dimensione profetica o di realismo politico. Nell’ordinamento
canonico il papa è capo della Chiesa cattolica in quanto vescovo
di Roma. La successione sulla cattedra di Pietro è, dunque, il cuore e la radice del suo ministero di servizio per l’intera Chiesa. Benedetto XVI ha più volte ribadito il radicamento del (suo) pontificato nella dignità episcopale.
Il papa è vescovo e pastore della sua città e, come tale, partecipa con la sua Chiesa alla ricerca di un’unità più profonda con tutti i cristiani. Benedetto XVI ha scelto questo profilo apparentemente più dimesso, ma in realtà più concreto e funzionale, già nel
dialogo con le Chiese bizantine. Gesti semplici, ma che esprimono
in modo autentico quella funzione di primus inter pares che gli è
propria. Ed è in questa prospettiva, in bilico tra un’unità mistica
che i cristiani spiritualmente celebrano e una visibile riunificazione
che attivamente ricercano, che si è collocato, anche temporalmente, questo episodio di storia della Chiesa.
L’11 dicembre 1983, quando Giovanni Paolo II visitò la Christuskirche di via Sicilia, era la III domenica di Avvento; Benedetto XVI
lo ha fatto nella IV domenica di Quaresima: due tempi forti della
vita della Chiesa, contraddistinti da una particolare austerità. Entrambe le domeniche però esprimono un profondo senso di gioia
(sono, rispettivamente le domeniche Gaudete! e Laetare!). Come
la liturgia celebra questi due giorni nei tempi penitenziali per rammentare che la precarietà che il cristiano vive non è mai definitiva
perché tutto è già rischiarato dal sole della Pasqua, la collocazione
in questa domenica dell’incontro tra il papa e la Chiesa luterana ci
rende consapevoli delle reali difficoltà che il cammino ecumenico
incontra, ma forti nella speranza che un giorno la Chiesa tornerà a
essere una, santa, apostolica e cattolica.
Alla fine della celebrazione il papa si è intrattenuto nella casa
del rev. Kruse. Al posto del «compagno di banco», oggi c’era la famiglia di un giovane pastore. Presenze umane cordiali per ricordarci quanto ampio sia l’orizzonte della Chiesa di Cristo, quanto
profonda la luce che si irradia dal suo Vangelo e quanto indegno il
nostro servizio. Benedetto XVI ha ricordato le colpe che portiamo
per la divisione della Chiesa. A ogni cristiano spetta, dunque, il dovere di lavorare per restaurare l’unità del popolo di Dio: con la propria vita, con la propria preghiera, con le proprie scelte. Quando il
Signore ci chiederà cosa abbiamo fatto per l’unità della Chiesa,
non basterà dare le colpe alla storia e meno che mai ci gioverà accusarci gli uni gli altri. La Chiesa è affidata alle nostre mani ed è a
ciascuno di noi che compete la responsabilità di custodirla e di
rinnovarla «unita e perfetta nell’amore».
Una meta ancora lontana, ma certo, oggi, assai più vicina. Sarebbe bello, allora, se fossero proprio il vescovo di Roma nato in
Germania e la Chiesa luterana che vive a Roma a inaugurare una
nuova tappa del cammino ecumenico. Dopo l’ecumenismo della
conversione, figlio della controriforma, e quello del dialogo, che si
espresse nel Vaticano II, nell’epoca dell’Europa potrebbe essere
giunto il momento perché i cristiani si facessero ministri di un ecumenismo dell’incontro.
Francesco Spano
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