10 articoli i beni paesaggistici del nuovo codice dei beni culturali e

I beni paesaggistici nel nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio
Sommario: 1. Premessa - 2. L’evoluzione normativa - 3. La Corte costituzionale
- 4. Il giudice amministrativo - 5. La dottrina - 6. Paesaggio, ambiente,
urbanistica - 7. Il senso della “primarietà” del bene interesse paesaggistico - 8.
La risposta del codice
1. Premessa
Il 1° maggio 2004 è entrato in vigore il nuovo codice dei beni culturali e del
paesaggio, introdotto con il D.lgs 22 gennaio 2004 n. 42.
La parte più innovativa del codice è sicuramente la terza, dedicata ai “beni
paesaggistici”.
Mentre la Parte seconda del codice, che riprende, in sostanza, la materia dei
beni di interesse storico artistico, di cui alla L. 1 giugno 1939 n. 1089, appare
più fedele all’impianto tradizionale della normativa di settore (pur con
significative innovazioni, anche di rilievo sistematico), la Parte terza, relativa al
paesaggio, segna un momento di notevole discontinuità rispetto all’assetto
previgente, quale risultante dal Titolo II del testo unico di cui al D.lgs 29
ottobre 1999 n. 490.
La novità di fondo consiste nella fusione, compiuta finalmente dal nuovo
codice, tra i due gruppi di norme, in sé eterogenei, costituiti dalla legge
“Bottai” del 1939 (la L. 29 giugno 1939 n. 1497), da un lato, e dal d.P.R. 24
luglio 1977 n. 616 e dalla legge “Galasso” (8 agosto 1985 n. 431) dall’altro.
Due gruppi di norme che erano espressione di due diverse “filosofie” della
tutela del paesaggio e che il decreto legislativo del 1999 aveva solo messo
fisicamente insieme in un unico testo normativo, ma senza un reale
coordinamento e senza risolvere le tensioni antinomiche correnti tra le due
diverse impostazioni.
Da qui, da questa difficile convivenza-giustapposizione di due “filosofie” della
tutela paesaggistica, è nata e si è consolidata negli anni una cospicua
confusione terminologico-concettuale che ancòra caratterizza molte prese di
posizione, soprattutto della giurisprudenza, nella materia del paesaggio.
Confusione concettuale che ha trovato, forse, la sua più grave manifestazione
nella scrittura, del tutto insoddisfacente, del nuovo Titolo quinto della Parte
seconda della Costituzione, introdotto con legge costituzionale n. 3 del 18
ottobre 2001. Il nuovo art. 117, infatti, non menziona espressamente la tutela
del paesaggio, e la materia deve ricavarsi all’interno dell’enunciato relativo
alla tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali contenuto nella
lettera s) del secondo comma, tra le materie riservate alla potestà legislativa
esclusiva dello Stato, nel mentre il terzo comma del medesimo art. 117 ha
attribuito alla potestà legislativa concorrente la valorizzazione dei beni culturali
e ambientali. Nel testo della Costituzione ancora permane, dunque, la
contaminazione tra la nozione di beni ambientali e la nozione di beni
paesaggisitici.
A questa confusione il nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio ha
tentato di porre rimedio.
Nella Parte prima del codice, dedicata alle Disposizioni generali, viene assunto
a fondamento dell’intera costruzione normativa il basilare precetto dell’art. 9,
secondo comma, della Costituzione, secondo cui La Repubblica . . . Tutela il
paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. La nozione
di Patrimonio culturale diviene l’elemento di sintesi per cui (art. 2, comma 1) Il
patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici. I
beni paesaggistici, dunque, sono una species nel più ampio genus dei beni
culturali in senso lato. E’ riaffermata e consacrata a livello normativo la
collocazione piena della tutela del paesaggio nella materia dei beni culturali. Ne
risulta ridimensionata la visione “panurbanistica” o panterritorialista” che aveva
invece ricevuto la sua più forte espressione nella legislazione di attuazione del
regionalismo (d.P.R. 616 del 1977, soprattutto) e nella legge “Galasso” del
1985.
Risulta dunque corroborata dal codice l’intuizione della pronuncia dell’adunanza
plenaria del Consiglio di Stato 14 dicembre 2001 n. 9[1], che aveva
giustamente ascritto la tutela del paesaggio alla citata lettera s) del secondo
comma dell’art. 117, che riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato
la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Sul punto del riparto delle competenze normative e amministrative nella
materia non mancano tuttavia talune ambiguità anche nel codice. L’art. 5,
infatti, al comma 6, afferma che Le funzioni amministrative di tutela dei beni
paesaggistici sono conferite alle regioni secondo le disposizioni di cui alla Parte
terza del presente codice. Ora, poiché il termine “conferimento” sembra
ricomprendere tanto il trasferimento di funzioni, quanto la delega (cfr. art. 1,
comma 1, della legge n. 59 del 1997), resta dubbio se il codice abbia
confermato l’assetto previgente (trasferimento alle regioni del potere
pianificatorio paesaggistico, già disposto dall’art. 1 del d.P.R. 15 gennaio 1972
n. 8, e delega delle funzioni di individuazione e gestione/controllo, già operata
dall’art. 82 del d.P.R. 616 del 1977), ovvero abbia accentuato il trasferimento
delle funzioni amministrative alla sede regionale.
La sintesi tra le suddette due “anime” della tutela paesaggistica è stata tentata
dal codice attraverso la ridefinizione e il potenziamento della funzione
pianificatoria. E ciò sull’abbrivo della Convenzione europea del paesaggio
aperta alla firma a Firenze il 20 ottobre 2000[2], nonché del cd. accordo
congiunto Stato-regioni sull’esercizio dei poteri in materia di paesaggio,
concluso il 19 aprile 2001 e pubblicato nella G.U. n. 114 del 18 maggio 2001,
finalizzato al coordinamento dell’esercizio delle competenze statali e regionali.
Comunque, il vero nodo concettuale che caratterizza la tutela paesaggistica
attiene alla delimitazione dell’area propria di tale materia, rispetto a quelle,
confinante e variamente interferente, dell’urbanistica/governo del territorio, da
un lato, e della tutela ambientale, dall’altro.
Il rapporto di contiguità/concorrenza tra tutela paesaggistica e corretto assetto
urbanistico-edilizio del territorio (id est: governo del territorio[3]), pone altresì
il problema – di centrale rilevanza – di come e con quale meccanismo di
legittimazione compiere e attuare le scelte di valore e di gerarchizzazione dei
beni-interessi protetti. E’ infatti assiomatico il dato della conformatività/
limitazione (non espropriativa) della proprietà privata e della libera iniziativa
economica privata propria dei provvedimenti di vincolo dichiarativi del notevole
interesse paesaggistico. Il vincolo, come limite d’uso compatibile del bene, che
si attua attraverso lo strumento del controllo autorizzatorio preventivo, pone
un problema di ponderazione/comparazione con gli interessi all’uso
patrimoniale del bene, potenzialmente lesivi dell’interesse protetto. La regola
d’uso del territorio ne riesce composita, poiché si forma nell’intreccio delle
previsioni urbanistico-edilizie, ambientali e paesaggistiche. Ma tale puzzle di
regole non sempre si completa e si coordina in modo coerente, donde il
possibile conflitto tra i diversi livelli di disciplina (espressivo del conflitto
sostanziale “a monte” tra diversi beni-interessi, dotati di diverso grado di
protezione e di rilevanza giuridica). Vedremo come la Corte costituzionale,
nella recente sentenza sul condono edilizio versione 2003 (sentenza n. 196 del
2004) abbia detto delle cose non del tutto condivisibili sul punto.
2. L’evoluzione normativa
Ma vediamo di ricostruire in sintesi l’evoluzione dell’idea di tutela del paesaggio
sottesa ai vari interventi normativi che si sono succeduti nel tempo.
Alla visione vedutistico panoramica ed “estetico-crociana” del paesaggio come
bellezza naturale, propria della L. 29 giugno 1939 n. 1497, si è via via
sovrapposta e giustapposta un’idea più ambientale e territorialisticopianificatoria della materia. L’idea originaria era quella della tutela, con vincoli
individui, puntualmente circoscritti su immobili ed aree di particolare pregio,
del cd. “bello di natura”, secondo uno stilema giuridico “gemello” a quello
proprio del vincolo sulle cose d’arte (L. n. 1089 del 1939). Più tardi, soprattutto
a partire dagli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, cominciò invece ad affermarsi
l’idea che il vincolo sul singolo bene non bastasse più, e che occorresse
“pianificare”, fare dei piani regolatori dell’uso compatibile del territorio, e che,
quindi, la tutela del paesaggio riguardasse la sede della pianificazione
territoriale[4]. Cominciava d’altra parte ad esercitare la sua influenza anche
nella nostra cultura giuridica la cd. Landscape ecology, scuola di pensiero
ecologista proveniente dai paesi anglofoni, che tendeva a ridurre la tutela del
paesaggio alla tutela dell’ambiente ecologia. Ma questa linea di pensiero
apparve per altro verso del tutto insufficiente a rispondere alle esigenze di
tutela del paesaggio proprie di una realtà speciale come quella italiana: l’idea
di un paesaggio che si identifica con i boschi, i laghi, le montagne può andar
bene per Paesi come gli Usa o il Canada; ma è certo inadeguata per una realtà
come la nostra, caratterizzata dalla stretta compenetrazione tra paesaggio
naturale e paesaggio antropizzato, tra valori morfologico-naturali e valori
culturali derivanti dall’opera modificatrice dell’uomo. Insomma, è evidente a
tutti che il nostro paesaggio non è quasi mai solo “ambiente” inteso in senso
fisico, ma è quasi sempre ambiente fisico più testimonianze storico-artistiche e
architettoniche dell’operare dell’uomo[5].
Non a caso, la commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del
patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, istituita con la legge
26 aprile 1964 n. 310 (cd. commissione Franceschini, dal nome del
presidente), operò una riconsiderazione in chiave culturale del bene
paesaggistico, elaborando un nuovo concetto di bene culturale ambientale,
risultante dalla fusione dei profili estetico naturalistici con quelli storico-artistici
dell’interazione della cultura dell’uomo sul territorio, nel quadro della più ampia
nozione di testimonianza avente valore di civiltà[6]. La commissione
Franceschini, nella dichiarazione XXXIX della relazione finale, definiva i beni
culturali ambientali come “le zone corografiche costituenti paesaggi, naturali o
trasformati dall’opera dell’uomo, e le zone delimitabili costituenti strutture
insediative, urbane e non urbane, che, presentando particolare pregio per i loro
valori di civiltà, devono essere conservate al godimento della collettività”.
Il termine bene ambientale riferito, in sostanza, alle bellezze naturali di cui alla
L. del 1939, è stato quindi adoperato per la prima volta normativamente dal
D.L. 14 dicembre 1974 n. 657, di istituzione del Ministero per i beni culturali e
l’ambiente, poi divenuto, nella legge di conversione 29 gennaio 1975 n. 5,
Ministero per i beni culturali e ambientali.
Il d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, attuativo della delega di cui alla L. n. 382 del
1975 sull’ordinamento regionale, come già anticipato sopra, rappresenta uno
dei luoghi normativi di massima emersione della linea di pensiero territorialista
o urbanistico/pianificatoria, ed ha introdotto da questo punto di vista notevoli
elementi di confusione concettuale. Esso ha infatti preteso di risolvere la
nozione di paesaggio nel vasto orizzonte dell’ambiente e del governo del
territorio/urbanistica. Ha fatto dunque uso del termine “beni ambientali”
nell’art. 82 ed ha inserito le funzioni amministrative in materia paesaggistica
nell’”assetto ed utilizzazione del territorio” (cfr. la rubrica del titolo V del d.P.R.
616)[7].
Negli anni ’70 del secolo scorso, dunque, complice anche la mancata
maturazione culturale e istituzionale dell’autonoma materia del diritto
ambientale (il Ministero dell’ambiente è stato istituito solo nel 1986), si stava
operando una non perspicua contaminazione tra tutela del paesaggio, tutela
dell’ambiente e urbanistica, intesa come pianificazione del territorio.
Una spinta ulteriore in questa direzione è venuta dal D.L. 27 giugno 1985 n.
312, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1985 n. 431 (cd. “legge
Galasso”), recante disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare
interesse ambientale. Questo testo normativo, introducendo il vincolo ex
lege esteso a intere aree individuate secondo un criterio morfologico
ubicazionale astratto, e non mediante puntuale attività provvedimentale di
perimetrazione in concreto, ha vincolato intere classi di aree ambientali
(boschi, ghiacciai, luoghi montuosi oltre una certa altezza etc.). In tal modo
esso ha rappresentato una spinta ulteriore all’idea che la tutela del paesaggio
fosse la stessa cosa della tutela dell’ambiente. Inoltre, con l’art. 1 bis, in base
al quale le regioni sottopongono a specifica normativa d’uso e di valorizzazione
ambientale il relativo territorio mediante la redazione di piani paesistici o di
piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed
ambientali, la legge “Galasso” ha dato la stura all’idea che la pianificazione
paesaggistica (fino ad allora prevista come meramente facoltativa e limitata ai
soli immobili fatti oggetto di vincolo individua, dall’art. 5 della legge 1497 del
1939) fosse, in sostanza, non molto dissimile, se non convergente, con quella
urbanistico-territoriale.
La seconda normazione attuativa del sistema regionalista (D.lgs. 31 marzo
1998 n. 112, concernente il conferimento di funzioni e compiti amministrativi
dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15
marzo 1997 n. 59) non ha risolto i dubbi interpretativi.
Il testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e
ambientali del 1999 dimostra visivamente il permanere dell’ambiguità
concettuale lì dove intesta il titolo II ai Beni paesaggistici e ambientali, sicché
può condividersi la considerazione che “neanche il testo unico sembrerebbe
aver risolto la rilevante confusione, terminologica e concettuale, esistente in
materia”[8].
3. La Corte costituzionale
La Corte costituzionale per parte sua ha prodotto una cospicua elaborazione sui
termini in esame, poiché spesso è stata chiamata a dirimere conflitti di
attribuzione o ricorsi in via d’azione avverso leggi statali o regionali ree di
invasione di campo delle rispettive aree di potestà normativa. Con la recente
sentenza n. 478 del 26 novembre 2002[9] la Corte - richiamando in particolare
la precedente sentenza 27 luglio 2000 n. 378 [10], ha riaffermato il principio
per cui “la tutela del bene culturale è nel testo costituzionale contemplata
insieme a quella del paesaggio e dell’ambiente come espressione di principio
fondamentale unitario dell’ambito territoriale in cui si svolge la vita dell’uomo
(sentenza n. 85 del 1998) e tali forme di tutela costituiscono una endiadi
unitaria”, ed ha altresì aggiunto che “rispetto a dette materie non può
configurarsi né un assorbimento nei compiti di autogestione del territorio,
come espressione dell’autonomia comunale, né tanto meno una esclusività
delle funzioni comunali in forza della stessa autonomia in campo urbanistico.
Invece, attraverso i piani urbanistici il Comune può, nella sua autonomia, in
relazione ad esigenze particolari e locali, imporre limiti e vincoli più rigorosi o
aggiuntivi anche con riguardo a beni vincolati a tutela di interessi culturali ed
ambientali”.
Concetti ancor più di recente ribaditi dalla Corte con la sentenza n. 196 del
2004[11] sul condono edilizio versione 2003. Qui la Corte ha richiamato la
nozione di tutela del paesaggio come “forma del territorio e dell’ambiente”,
come “valore costituzionale primario” (cfr., tra le molte, le sentenze 27 giugno
1986 n. 151 [12], 21 dicembre 1985 n. 359 [13] e 1 aprile 1985 n. 94[14]).
Primarietà – ha soggiunto al Corte - che la stessa giurisprudenza costituzionale
ha esplicitamente definito come “insuscettibilità di subordinazione ad ogni altro
valore costituzionalmente tutelato, ivi compresi quelli economici” (in questi
termini, v. sentenza n. 151 del 1986).
Ma la stessa Corte, nondimeno, non sempre ha mostrato di avere le idee chiare
in merito alla distinzione tra paesaggio e ambiente. Essa, infatti, è pronta a
rivendicare la caratteristica di culturalità del paesaggio, nell’alveo dell’art. 9
della Costituzione, quando si tratta di definirne l’autonomia rispetto alla
materia urbanistica. Non è invece altrettanto univoca nel segnare la differenza
della tutela del paesaggio rispetto alla tutela ambientale, anche perché, come è
ovvio, entrambe tali materie spettano alla potestà legislativa esclusiva statale e
meno avvertita è dunque, in questi casi, l’esigenza di nettamente delimitare i
rispettivi ambiti di applicazione (così, ad es., la sentenza 3 marzo 1986 n.
39 [15],, ove per paesaggio si intende “ogni elemento naturale ed umano
attinente alla forma esteriore del territorio”[16]; oppure la sentenza 3 ottobre
1990 n. 430 [17], ove è scritto che la tutela del paesaggio va intesa nel senso
lato della tutela ecologica, oppure, ancora, la sentenza 11 luglio 1989 n.
391 [18], ove si afferma che la tutela del paesaggio si identifica con la
conservazione dell’ambiente). Un elemento di non perspicua sovrapposizione di
concetti appare anche nel ricorrente principio della “endiadi unitaria” della
tutela del bene culturale contemplata nel testo costituzionale insieme a quella
del paesaggio e dell’ambiente come espressione di principio fondamentale
unitario dell’ambito territoriale in cui si svolge la vita dell’uomo (principio
ripetuto da ultimo con la citata sentenza n. 478 del 26 novembre 2002).
4. Il giudice amministrativo
Analogo il percorso seguito dal giudice amministrativo, che si è pronunciato sul
tema soprattutto sotto il profilo della legittimità dell’esercizio dei poteri di
controllo ministeriali sulla gestione dei vincoli[19]. Anche il giudice
amministrativo si è dovuto sforzare soprattutto di chiarire che la tutela
paesaggistica postula un minimum incomprimibile di funzioni di controllo
statali, perché non è risolvibile nell’ambito dell’urbanistica/edilizia. Ma nel fare
quest’opera di delimitazione ha perso di vista l’altra linea di confine,
concettualmente non meno importante, tra tutela del paesaggio e tutela
dell’ambiente esosfera. Linea di confine spesso sottovalutata e confusa in nome
dell’unitaria appartenenza allo Stato di questi due ambiti di materia. In
particolare la già richiamata pronuncia dell’adunanza plenaria del Consiglio di
Stato n. 9 del 14 dicembre 2001 [20], nel fatto il punto di sintesi sulla
tematica, riaffermando la titolarità statale del potere di annullamento
dell’autorizzazione paesistica (secondo il sistema della “concorrenza di poteri”)
“ad estrema difesa del vincolo”, quale esercizio non di un controllo, ma di un
riesame di amministrazione attiva, di “cogestione” attiva del vincolo, ha
poggiato questa ricostruzione (come quella della riconduzione della tutela del
paesaggio nell’ambito del secondo comma del nuovo art. 117 Cost.) sulla base
(non perspicua) dell’endiadi unitaria paesaggio-ambiente.
Per il Consiglio di Stato la tutela del “paesaggio-ambiente” sarebbe unitaria,
sicché nessuna meraviglia dovrebbe suscitare la formulazione (ellittica) della
ripetuta lettera s) del secondo comma del nuovo art. 117 della Costituzione,
che non menziona il paesaggio, ma parla solo di “tutela dei beni culturali,
dell’ambiente e dell’ecosistema”. Formulazione nella quale, evidentemente, il
termine “ambiente” sta per “paesaggio-ambiente”, posto che non avrebbe
altrimenti senso la duplicazione del concetto di “ambiente” (se inteso in senso
stretto) con la nozione di “ecosistema” (che riguarderebbe appunto il profilo
più strettamente naturalistico della conservazione e della integrità delle matrici
ambientali). Nella lettera s) del secondo comma dell’art. 117 vi sarebbero,
dunque, due nozioni di “ambiente”, una prima nozione di “ambiente/paesaggio”
e una seconda nozione di “ambiente/ecologia”[21].
5. La dottrina
Diamo adesso uno sguardo alle elaborazioni della dottrina (va da sé che il
percorso evolutivo va letto nella sintesi e nell’interrelazione reciproca continua
dei tre “formanti” ordinamentali: jus positum, giurisprudenza, dottrina).
La dottrina è stata segnata soprattutto dal noto contributo di A. Predieri[22],
cui si deve l’idea guida del paesaggio come “la forma del territorio, o
dell’ambiente, creata dalla comunità umana che vi si è insediata, con una
continua interazione della natura e dell’uomo”[23], tesi che ha determinato il
superamento della visione tradizionale del paesaggio come bellezza
naturale[24].
Fondamentale ed ancor oggi assai attuale è però l’intuizione di M. S.
Giannini[25], il quale aveva capito la convivenza, all’interno della nozione di
ambiente, di una pluralità di aspetti giuridici, ciascuno però caratterizzato da
un’autonoma fisionomia, ed aveva per primo distinto chiaramente tre accezioni
diverse della nozione di ambiente: la prima relativa al paesaggio e alla
conservazione dei beni ambientali, la seconda relativa alla tutela del suolo,
dell’acqua e dell’aria, cioè dell’ambiente in senso fisico oggettivo, la terza
relativa all’urbanistica.
I successivi contributi paiono soprattutto variazioni sul tema e affinamenti delle
idee guida ora indicate. Si parla, così, da taluni[26] di ambiente/paesaggio e
ambiente/ecosistema, ovvero di beni ambientali paesaggistici (bellezze naturali
e zone di pregio naturalistico) e beni ambientali urbanistici (i centri storici, il
paesaggio più antropizzato).
E’ peraltro molto condivisa l’idea – derivata dalla visione del Predieri,
del paesaggio integrale, articolato nella salvaguardia contestuale della forma
visibile del territorio e dei beni ambientali che ne costituiscono le componenti
strutturali[27]. Vi sono poi tesi più estreme, riduzioniste che tendono a
identificare il paesaggio con l’ecologia[28]. Non mancano infine posizioni volte
invece a riaffermare la distinzione tra ambiente e paesaggio, in ragione del
valore estetico-culturale del primo[29] e che pongono in risalto l’inclusione del
paesaggio nell’area dei beni culturali, come una specie di bene culturale in
senso ampio[30].
Pare tuttavia chiaro, nella più recente riflessione sul tema, che il tratto
distintivo del paesaggio debba rinvenirsi nella dialettica indefettibile tra
elemento fisico-naturalistico ed elemento linguistico-culturale, per cui nella
“bipolarizzazione natura/cultura (physis/logos) . . . l’ecosfera è inseparabile
dalla semiosfera”, in un nesso indissolubile di “oggettività e soggettività (res
extensa eres cogitans”)[31].
La nozione di paesaggio non appartiene, come è ovvio, solo alla riflessione
giuridica, ma deriva da altre aree del sapere umano (la geografia, l’urbanistica
e la pianificazione del territorio, l’architettura, la storia, la semiotica, la
sociologia e le altre scienze sociali)[32]. Dalla visione geografico-romantica di
Von Humboldt (1860)[33] si è pervenuti infine ai più recenti approcci
economico sociale ed ermeneutico-semiotico[34].
Molto accreditata appare oggi un visione per così dire sincretistica del
paesaggio, inteso come patrimonio di risorse identitarie storico-culturali, fisiconaturalistiche e sociali-simboliche, che assomma in sé, sempre e
contestualmente, i caratteri identificativi storico-culturali, morfologiconaturalistici ed estetico-percettivi[35].
La ricerca di una nozione unitaria di paesaggio, che ne preservi e ne esprima la
complessità, se merita piena adesione sul piano conoscitivo e storicoricostruttivo dei concetti, non deve però condurre, sul piano giuridico, ad
offuscare la soluzione del problema centrale della tutela: come conciliare il
vincolo – che è conservazione e protezione del bene – con la pressione degli
usi antropici (proprietà, iniziativa economica) che conducono al suo consumo.
Qui c’è un problema ineludibile di gerarchia di valori giuridici e di regole
d’azione (divieti, permessi) limitatrici di libertà.
Su questo punto centrale si confrontano due scuole di pensiero (o fondamentali
indirizzi di politica del diritto). Un primo indirizzo pone al centro lo strumento
vincolistico, afferma la preminenza assoluta del bene paesaggistico protetto e
la subordinazione ad esso di ogni interesse contrapposto. Questo indirizzo, sul
piano ordinamentale, ritiene “adeguato” il livello di governo statale, poiché
paventa il “conflitto d’interessi” del livello locale: solo un livello di governo più
distante dal territorio garantisce la giusta terzietà per assicurare lungimiranza
nelle scelte di conservazione dei beni paesaggistici. Il livello locale (specie
quello comunale: è da notare che tutte, o quasi, le regioni hanno subdelegato i
poteri di autorizzazione paesaggistica ai comuni) sarebbe troppo esposto agli
interessi locali di consumo del territorio, forti della “leva” elettorale. In deroga
alla sussidiarietà verticale, dunque, la competenza dovrebbe essere sempre
statale.
L’opposta linea di pensiero pone invece al centro lo strumento pianificatorio,
contrasta l’idea del vincolo come impedimento e limite alla libertà, ritiene che
l’unica soluzione sia offerta dalla pianificazione, purché resa capace di offrire
una disciplina reale dell’uso compatibile del territorio, in un’ottica di sviluppo
sostenibile. Sul piano ordinamentale, questa linea di pensiero tende
naturalmente a privilegiare la sede regionale, come sede naturale della
pianificazione.
Vedremo dove il codice ha ritenuto di collocare il punto di equilibrio tra queste
due opposte visioni della tutela del paesaggio.
Ma prima di passare all’illustrazione di questi aspetti, occorre concludere il
discorso ricostruttivo di un’esatta definizione giuridica che sappia bene
distinguere, per genere e differenza, la tutela del paesaggio dalla tutela
dell’ambiente e dall’urbanistica edilizia.
6. Paesaggio, ambiente, urbanistica
La nascita e il progressivo irrobustimento di un autonomo diritto
dell’ambiente[36], negli anni ’80 del XX secolo, aiuta non poco in questo sforzo
definitorio.
Alla luce della evoluzione del generale contesto giuridico di riferimento,
particolarmente fecondo appare oggi il richiamo alla citata tradizionale
tripartizione gianniniana, volta a distinguere tre accezioni diverse della nozione
di “ambiente”: paesaggio e conservazione dei beni ambientali; tutela del suolo,
dell’acqua e dell’aria (ambiente in senso fisico oggettivo); urbanistica-governo
del territorio.
La tutela del paesaggio riguarda un insieme di interessi e di valori che, pur
appuntandosi sul territorio naturalisticamente inteso e da esso traendo vita,
appartengono alla sfera della cultura intesa in senso ampio. Essa mira, dunque,
alla protezione e allo sviluppo di un genere di interessi che orbitano nell’area
delle attività spirituali dell’uomo.
La tutela dell’ambiente riguarda, invece, la conservazione della biosfera,
naturalisticamente intesa, conosciuta e misurata. Attiene dunque al
mantenimento di caratteri fisici, chimici e biologici tali per cui la matrici
ambientali – terra, aria, acqua – siano idonee e capaci di sorreggere la vita
dell’uomo e, più in generale, di comunità animali e vegetali ampie e ben
diversificate. Essa previene e pone rimedio a fatti di inquinamento, inteso come
introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze,
vibrazioni, calore, energie o rumore nell’aria, nell’acqua o nel suolo, che
potrebbero nuocere alla salute umana o alla qualità dell’ambiente, causare il
deterioramento di beni materiali, oppure danni o perturbazioni a valori
ricreativi dell’ambiente o ad altri suoi usi legittimi.[37]
Il governo del territorio assume una valenza residuale (ma non per questo
meno ampia) rispetto alle due precedenti nozioni di “ambiente” in senso
generico. Esso comprende tutto ciò che attiene alla pianificazione e alla
gestione del territorio, in specie di tutte le attività antropiche o comunque
rilevanti per l’uomo incidenti sul territorio, che non siano quelle appartenenti ai
fini propri delle due accezioni specifiche di “ambiente” sopra tratteggiate, che
non siano cioè strumentali alla tutela e salvaguardia del paesaggio o alla tutela
dell’ambiente/ecologia. Il governo del territorio riguarda le trasformazioni
antropiche del territorio provocate dalle esigenze economiche e sociali.
Riguarda altresì l’impatto delle trasformazioni naturali sul corretto assetto e
sviluppo delle dinamiche antropiche sul territorio. Il governo del territorio
racchiude dunque, essenzialmente, i campi di materia dell’urbanistica-edilizia,
della gestione del ciclo idrico di bacino e della difesa del suolo dal rischio
idrogeologico[38].
In conclusione, la differenza specifica che distingue e definisce la nozione
giuridica di “paesaggio” rispetto a quelle di “ambiente”, di “governo del
territorio” e di “urbanistica”, risiede nella considerazione che la nozione di
paesaggio appartiene alla sfera della cultura. Il paesaggio – come risulta chiaro
dai proficui apporti degli studi di geografia, urbanistica, architettura, storia,
antropologia, semiotica etc., sopra citati – appartiene alle “scienze dello spirito”
di storicistica memoria e non all’area delle scienze descrittive (o empiricoanalitiche), che operano sul versante dello “spiegare”[39]. Il paesaggio attiene
alla sfera della percezione umana e della elaborazione concettuale, ed è questo
l’oggetto proprio (ancorché indiretto) della tutela, non le matrici fisiche e
naturalistiche oggetto di percezione. Le matrici fisiche e naturalistiche
costituiscono l’oggetto degli studi sull’ambiente, dove la nozione di “ambiente”
in senso stretto e proprio definisce le conoscenze empirico-descrittive dei
fattori naturali, secondo i moduli dello “spiegare” delle scienze esatte, nella
loro consistenza fisica, chimica, biologica[40].
Questo concetto richiede una precisazione. Resta invero fermo che,
naturalmente, il diritto in quanto tale costituisce dì per sé un prodotto culturale
e va perciò collocato, nella sua interezza, nell’ambito delle scienze sociali. Non
v’è dubbio, in altri termini, che anche il diritto dell’ambiente è una scienza
sociale e non una scienza esatta. Ma questo non esclude il rilievo per cui il
diritto dell’ambiente si raccorda, sul piano del rinvio a concetti metagiuridici
esterni, alle risultanze di scienze empiriche (fisica, biologia, chimica), mentre il
diritto del paesaggio si raccorda, sul piano dell’oggetto della regolazione, a
nozioni e fenomeni propri delle scienze umane o sociali (si pensi, ad esempio,
al rinvio alla nozione di “notevole interesse paesaggistico”). E questa
considerazione non è priva di importanti implicazioni pratiche, in particolare
sulla natura del potere discrezionale esercitato dall’amministrazione nell’una e
nell’altra materia e, conseguentemente, sulla natura e sui limiti del sindacato
giurisdizionale esercitatile su tale potere amministrativo[41]. Mentre l’atto
autorizzatorio ambientale (ad es., l’autorizzazione regionale alle emissioni in
atmosfera di cui al d.P.R. 203 del 1988) si basa su acquisizioni provenienti da
scienze esatte (la chimica e la fisica, nonché le tecniche costruttive e di
gestione degli impianti di depurazione dei fumi), l’autorizzazione paesaggistica
si basa su acquisizioni provenienti da un sapere non scientifico o, comunque,
caratterizzato da risultati opinabili, che appartiene a quella forma del conoscere
che è la comprensione, e non la descrizione o la spiegazione in termini di
scienze esatte. Con la conseguenza, di non poco momento, che la disciplina
normativa del potere precettivo dell’amministrazione assume una ben diversa
connotazione nei due casi esaminati. Nel caso del diritto ambientale
(autorizzazione all’emissione in atmosfera, nell’esempio sopra proposto) il
potere precettivo della p.a. è disciplinato dalla norma in modo puntuale e
dettagliato, mediante il rinvio alle risultanze di un sapere metagiuridico
propriamente tecnico-scientifico; donde il carattere vincolato del potere
autorizzatorio e la sua connessa più penetrante sindacabilità giurisdizionale.
Nel caso della tutela paesaggistica, il potere precettivo della p.a. (da esprimersi
attraverso l’atto autorizzatorio) è disciplinato dalla norma in modo generico,
mediante un rinvio a concetti indeterminati (“notevole interesse
paesaggistico”) che conducono a un’area del sapere non scientifico, dai risultati
in sé opinabili; donde il carattere propriamente discrezionale di tale atto
autorizzatorio[42].
Un altro esempio può meglio chiarire il senso delle conclusioni sopra raggiunte.
Si pensi all’attività volta alla realizzazione di una stazione radio base di
telefonia mobile montata su un traliccio infisso al suolo in area sottoposta a
vincolo paesaggistico. Un unico intervento che implica tre distinti profili di
valutazione di compatibilità con interessi pubblici potenzialmente configgenti:
un primo profilo – urbanistico – relativo alla compatibilità con la
strumentazione urbanistica[43]; un secondo profilo – ambientale – relativo al
rispetto dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana come
misurabili ai sensi del d.m. 381 del 1998 (oggi d.P.C.M. 8 luglio 2003); un
terzo profilo (del tutto autonomo e diverso dai primi due) – quello
paesaggistico – concernente invece la compatibilità dell’installazione con la
tutela del paesaggio come forma del territorio meritevole di conservazione
nelle sue linee visive essenziali e nei suoi caratteri identitari.
Ora: mentre il controllo urbanistico edilizio e quello ambientale sono vincolati
(il primo alle risultanze della strumentazione urbanistica e, se adottato, del
regolamento comunale ex art. 8, comma 6, legge quadro sulla tutela
dall’inquinamento elettromagnetico n. 36 del 2001; il secondo alla misurazione
delle grandezze fisiche costituenti i predetti tetti di radiofrequenza compatibili
con la salute umana), il terzo (il controllo paesaggistico) è rimesso alla
valutazione sostanzialmente discrezionale dell’amministrazione competente,
che dovrà stabilire se il progetto è compatibile con il “notevole interesse
paesaggistico” dell’area, e ciò farà usando di standard valutativi non predefiniti
in alcun modo dalla norma, per integrare in concreto il precetto normativo
astratto, che è generico nel suo rinvio a concetti giuridici indeterminati. Con la
conseguenza che mentre il giudice amministrativo potrà sindacare l’esattezza
del dato tecnico assunto dall’amministrazione a base della decisione
urbanistico-edilizia ed ambientale, non altrettanto potrà fare nella sede del
sindacato sull’uso del potere autorizzatorio paesaggistico, per il quale dovrà
limitarsi, in sostanza, a un controllo estrinseco di non manifesta illogicità o
irragionevolezza della scelta amministrativa[44].
7. Il senso della “primarietà” del bene interesse paesaggistico
Chiarita la differenza specifica tra tutela paesaggistica, urbanistica/governo del
territorio e tutela dell’ambiente, occorre adesso affrontare il nodo di come
graduare i diversi valori giuridici espressi da questi connessi campi di materia,
di come regolare i reciproci rapporti di interferenza e sovrapposizione tra essi
possibili.
Non appare risolutiva al riguardo la linea seguita dalla Corte costituzionale che,
come è noto, in diverse recenti sentenze[45] successive alla riforma del Titolo
quinto del 2001, ha affermato che la tutela ambientale non è una materia in
senso proprio e oggettivo, ma un valore trasversale che interseca molti altri
campi di materia che hanno a che fare con le matrici ambientali. Indicazione
esatta e utile sul piano della soluzione dei conflitti di competenza e di
attribuzione, ma non risolutiva sul piano della definizione, nel concreto operare
dell’amministrazione, dei rapporti tra il valore paesaggistico e gli altri valori
coinvolti.
In alternativa al modello tradizionale, della preminenza del vincolo statale
paesaggistico, emergono modelli regolativi più complessi, che si fanno carico
anche del connesso problema della sussidiarietà verticale e dei rapporti tra
amministrazioni dotate di competenze interferenti.
Questo modello nega la praticabilità di una predefinizione astratta, a livello
legislativo, della scala gerarchica dei valori, con la sistematica assegnazione
alla tutela paesaggistica di un valore preminente assoluto, e favorisce la ricerca
in concreto dell’assetto opportuno degli interessi in conflitto nella sede
regionale/locale (possibilmente la più vicina ai cittadini e al luogo in cui si
devono esplicare gli effetti della regolazione), attraverso la disciplina dell’uso
sostenibile della risorsa territoriale. Esso ricerca un metodo razionale condiviso,
più che l’affermazione di valori assoluti dati per intrinsecamente veri; punta
soprattutto all’accordo tra i fruitori del territorio, piuttosto che ricercare la
definizione generale e astratta di valori e obiettivi di qualità validi in sé.
Sembra sostituire a un modello di valori (per così dire) “ontologicamente”
fondati, un modello di valori imperniato su un’idea di validità come
giustificabilità razionale della scelta pragmatica[46].
Questa linea di pensiero per così dire “debole” pare sia stata di recente
abbracciata anche dalla Corte costituzionale, con la già richiamata sentenza n.
196 del 2004[47]. Qui la Corte, per “salvare” il condono edilizio 2003, ha detto
che, in definitiva, è vero che il paesaggio è un valore primario e preminente
(sotto l’usbergo dell’art. 9 Cost.), ma questo non significa che esso debba in
realtà veramente e sempre prevalere, poiché basta a soddisfare la sua
primarietà il fatto che questo suo valore sia stato adeguatamente preso in
considerazione nel procedimento (vale a dire basta che l’amministrazione, o il
legislatore, spieghino e motivino perché, in quel dato caso, hanno ritenuto che
dovesse prevalere l’interesse patrimoniale economico di oggi sull’interesse
culturale paesaggistico di sempre e di domani). Il che può voler dire che le
scelte di valore (lo stabilire, cioè, cosa prevale e cosa va scarificato)
potrebbero (o dovrebbero) essere assunte dall’amministrazione di volta in
volta, nel caso concreto, con la sola condizione e il solo limite che sia stato
esperito un serio tentativo di accordo e di mediazione e che non si sortiscano
effetti palesemente irrazionali. Il che può voler dire, però, abdicare al fine
legale e rimettere le sorti della tutela alla valutazione non irrazionale
dell’amministrazione nello specifico caso concreto. Dalla garanzia di
lungimiranza derivante dalla scelta tecnica lontana dalla mediazione politica (è
questo il significato vero della pretesa natura “dichiarativa” del vincolo come
atto di “discrezionalità tecnica”) si rischia di passare alla scelta di convenienza
politica imposta dalla ricerca del consenso più ampio possibile. Il paesaggio
meritevole di tutela non è più quello indicato da criteri validi perché
oggettivamente “veri”, ma è quello che la maggioranza della comunità
localmente stanziata nelle aree interessate giudicherà di volta in volta
conveniente tutelare. Da un eccesso di rigidità dirigistica e verticistica (assoluta
preminenza del vincolo statale inteso come un assioma dato e non discutibile)
si rischia di cadere nell’eccesso opposto del relativismo giuridico come forma di
pragmatismo culturale, per cuitrue is good in the way of belief[48]. C’è dunque
il rischio di “sfocare” nella ricerca del consenso a livello locale la specificità
della tutela, che esce sicuramente indebolita da questo approccio
metodologico.
8. La risposta del codice
Il nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio ricerca un punto di
mediazione e di equilibrio tra queste due opposte istanze, prendendo atto,
peraltro, delle indicazioni territorialiste provenienti anche dalla citata
Convenzione europea di Firenze del 2000, che fa riferimento a uno sviluppo
sostenibile del territorio e ha come obiettivo la salvaguardia, la gestione e la
pianificazione del paesaggio.
Ma non rinuncia per questo alla difesa del principio del concorso statale
indefettibile nella gestione del paesaggio e rimarca la posizione di gerarchia e
di prevalenza dell’interesse paesaggistico.
L’art. 141 mantiene i poteri ministeriali di individuazione e vincolo di beni
paesaggistici, in sostituzione dell’amministrazione regionale, nel caso di
mancato avvio o di esito comunque negativo del relativo procedimento
delineato negli artt. da 137 a 140 del codice. L’art. 145,
rubricatoCoordinamento della pianificazione paesaggistica con altri strumenti di
pianificazione, riserva, al comma 1, al Ministero, l’individuazione, ai sensi
dell’art. 52 d D.lgs. 31 marzo 1998 n. 112, delle linee fondamentali dell’assetto
del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio, con finalità
di indirizzo della pianificazione. Stabilisce, al comma 2, che i piani paesaggistici
prevedono misure di coordinamento con gli strumenti di pianificazione
territoriale e di settore, nonché con gli strumenti nazionali e regionali di
sviluppo economico. Al fondamentale comma 3 detta la regola di preminenza
del valore paesaggistico, nei seguenti termini: <<Le previsioni dei piani
paesaggistici di cui agli artt. 143 e 156 sono cogenti per gli strumenti
urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono
immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute
negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in
attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici e sono altresì vincolanti per
gli interventi settoriali. Per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le
disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni
contenute negli atti di pianificazione>>. Il comma 4 risponde al problema di
come assicurare la conformazione della strumentazione urbanistica a quella
paesaggistica sovraordinata, con la seguente previsione: <<Entro il termine
stabilito nel piano paesaggistico e comunque non oltre due anni dalla sua
approvazione, i comuni, le città metropolitane, le province e gli enti gestori
delle aree naturali protette conformano e adeguano gli strumenti di
pianificazione territoriale e urbanistica alle previsioni dei piani paesaggistici,
introducendo, ove necessario, le ulteriori previsioni conformative che, alla luce
delle caratteristiche specifiche del territorio, risultino utili ad assicurare
l’ottimale salvaguardia dei valori paesaggistici individuati dai piani>>. Come si
può rilevare dalla lettura del testo, con il nuovo codice del 2004 si è affermato
l’innovativo principio per cui anche i piani dei parchi devono obbedire e
coordinarsi ai piani paesaggistici. Il secondo periodo del comma 4 dell’art. 145,
inoltre, chiarisce opportunamente che i limiti alla proprietà derivanti da tali
previsioni (ulteriori previsioni conformative poste dai piani regolatori urbanistici
ove necessarie per l’adeguamento ai piani paesaggistici) non sono oggetto di
indennizzo, poiché mutuano dal fine paesaggistico la natura non ablatoria, ma
conformativa della proprietà privata. Infine, il comma 5 rimette alla
legislazione regionale la disciplina del procedimento di conformazione ed
adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione
paesaggistica, con l’importante precisazione, sempre a salvaguardia del ruolo
statale nella materia, che la normazione regionale deve però assicurare (ed è
questo un principio fondamentale della materia) la partecipazione degli organi
ministeriali al procedimento medesimo.
Il codice rilancia la pianificazione e mira a riempire, attraverso piani
paesaggistici ricchi di contenuti regolativi, i vuoti di disciplina dell’uso antropico
del territorio paesaggisticamente compatibile. Mira con ciò a porre rimedio a
quella che era indubbiamente una delle maggiori lacune del sistema anteriore,
riguardo al quale si era giustamente posto in rilievo[49] che “poco o nulla di
regola si dice, negli uni e negli altri (nei provvedimenti di vincolo e nei piani
paesistici, n.d.r.), se non attraverso formulazioni genericamente descrittive o
addirittura di stile, delle ragioni che hanno suggerito l’imposizione del vincolo;
né, conseguentemente, sulle caratteristiche distintive in concreto delle
modificazioni del territorio che potrebbero essere compatibili con la tutela del
paesaggio”, sicché “in tal modo, il vincolo, secondo un’espressione cruda ma
significativa, è spesso sostanzialmente <<nudo>>” . . . e “consiste in una
perimetrazione priva di criteri di gestione del vincolo (che in sostanza
indichino, a seconda delle caratteristiche dei paesaggi e dei valori da tutelare,
quali trasformazioni edilizie e con quali limiti quantitativi o tipologici siano
consentite, e quali invece vietate)”, di modo che “è l’Amministrazione che
rilascia l’autorizzazione che crea essa stessa, di volta in volta, un parametro
ideale, al quale raffrontare il progetto sottopostole”.
Il codice quindi supera la concezione statica della tutela come mero divieto di
modificazione, come pura conservazione, concezione che, nella realtà concreta,
aveva dato una pessima prova sul piano dell’efficacia, per assecondare una
visione dinamica, aperta ad un uso sostenibile del territorio, purché
previamente regolato mediante piani paesaggistici adeguati.
Ferma la preminenza della tutela paesaggistica sulle altre istanze di
regolazione dell’uso del territorio (art. 145 cit.), il codice dunque asseconda
pragmaticamente la ricerca di livelli di concertazione e di condivisione,
elevando la pianificazione territoriale a momento strategico di attuazione della
tutela, per riempire di contenuti e dare effettività alla tutela e alla
valorizzazione del paesaggio.
Paolo Carpentieri
Magistrato T.A.R.
[1] Consultabile nel sito http://giustizia-amministrativa.it. La tesi opposta,
fortemente sostenuta dalle regioni, afferma invece che il paesaggio appartenga
al governo del territorio, di cui al comma terzo dell’art. 117. Cfr, in tal senso,
G. Ciaglia, Prudenza e giurisprudenza nella tutela del paesaggio, in Giornale di
diritto amministrativo, 2003, n. 2, p. 163; S. Civitarese Matteucci, Ambiente e
paesaggio nel nuovo titolo V della Costituzione, in Aedon, Rivista di arti e
diritto on line, 2002 n. 1, http://www.aedon.mulino.it/archivio/2002/1. La tesi
dell’adunanza plenaria n. 9 del 2001 è condivisa da M. Occhiena - nota di
commento a Cons. St, sez. VI, ord. 4 settembre 2001 n. 4439, in Urbanistica e
Appalti, 2001 n. 12, p. 322.
[2] La Convenzione contiene una innovativa definizione di “Paesaggio”(art. 1, comma 1, lettera a):
“paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il
cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. “Tale
definizione – è scritto al punto 38 della relazione esplicativa – tiene conto dell’idea che i paesaggi
evolvono col tempo, per l’effetto di forze naturali e per l’azione degli esseri umani. Sottolinea
ugualmente l’idea che il paesaggio forma un tutto, i cui elementi naturali e culturali vengono
considerati simultaneamente”.
[3] Il Governo, in attuazione della delega di cui alla legge cd. “La Loggia” (dal nome del Ministro
p.t. per gli affari regionali) 5 giugno 2003 n. 131, sta varando un testo di decreto legislativo
ricognitivo dei principi fondamentali della materia “governo del territorio” che sembra voler
ampliare l’area di tale materia oltre l’urbanistica e l’edilizia, per ricomprendervi anche la difesa del
suolo (L. 18 maggio 1989 n. 183 e successive sui piani di prevenzione del rischio idrogeologico).
Taluni primi schemi di questo testo di decreto delegato, non operando un adeguato coordinamento
con il codice dei beni culturali e del paesaggio, rischiavano di perpetuare la contaminazione tra
paesaggio e urbanistica che pure il codice si è sforzato di rimuovere e di risolvere. Si auspica che
nelle stesure finali del testo si possa raggiungere una formulazione più soddisfacente, capace di
aggiungere chiarezza, non di alimentare nuova confusione.
[4] E’ significativo sotto questo profilo che l’art. 1 L. 19 novembre 1968 n. 1187 – nel riformulare
l’art. 7 della legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150 – abbia introdotto, tra i contenuti del piano
regolatore generale, l’indicazione dei “vincoli da osservare nelle zone a carattere storico,
ambientale, paesistico”, mentre il successivo art. 3 L. 6 agosto 1967 n. 765 ha poi introdotto un
secondo comma all’art. 10 della stessa legge urbanistica del 1942 nel quale, alla lettera c), viene
contemplata la “tutela del paesaggio” quale finalità idonea a consentire l’introduzione di modifiche
al piano regolatore generale comunale da parte dell’autorità approvante. Si tratta di vincoli di
matrice ed effetto propriamente urbanistici, che non vanno confusi con quelli statali preordinati alla
tutela paesaggistica in senso proprio. Ma queste novità normative sono comunque sintomatiche del
progredire dell’idea che la tutela del paesaggio dovesse essere ricondotta nell’alveo della
pianificazione territoriale.
[5] Significativamente il codice definisce il paesaggio, all’art. 131, comma 1, riprendendo in larga
parte la definizione fornita dalla citata Convenzione europea sul paesaggio (cfr. nt. 2, che precede)
come una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o
dalle reciproche interrelazioni (dove per “o” deve intendersi vel, in funzione più congiuntiva che
alternativa), mentre, del tutto coerentemente, l’art. 2, comma 3, definisce come beni
paesaggistici “gli immobili e le aree indicati nell’art. 134, costituenti espressione dei valori storici,
culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio”. Le due definizioni, come è evidente, si
completano a vicenda, poiché la definizione dei beni paesaggistici, intesi come immobili e aree
individui, pone l’accento sui valori che tali immobili o aree esprimono (valori storici, culturali,
naturali, morfologici ed estetici del territorio), mentre la definizione di paesaggio, di cui all’art.
131, si riferisce invece ai caratteri che definiscono una porzione di territorio (comprensiva di
immobili ed aree paesaggistici) e che derivano dalla natura e dalla storia umana e dalle reciproche
interrelazioni. La natura e la storia umana, da cui nascono i caratteri del paesaggio, sono anche
esattamente le matrici dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio di
cui sono espressione i beni paesaggistici, come definiti all’art. 2. Viene abolita e superata l’ambigua
dizione “beni ambientali”, ancora in uso nel D.lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, atta a ingenerare
confusione con la contigua (ma diversa) materia della tutela dell’ambiente biosfera.
[6] archeologico, artistico e del paesaggio, in Riv. Trim. dir. Pubbl., 1966, p. 119, nonché Per la
salvezza dei beni culturali, Roma, 1967. Cfr. sul punto C. Zaza, Bellezze naturali, diritto pubblico,
inEnc. Giur. Treccani, pp. 1-2. La nozione, come è noto, è stata ripresa nell’art. 148, comma 1,
lettera b), D.lgs. 31 marzo 1998 n. 112, ove si intendono per «beni ambientali», quelli individuati in
base alla legge quale testimonianza significativa dell'ambiente nei suoi valori naturali o culturali.
[7] Non riveste un utile valore definitorio la “ripresa” fatta dall’art. 34 D.lgs. 31 marzo 1998 n. 80
(e successive modificazioni) di questa vastissima nozione di urbanistica, compiuta al solo fine di
ampliare l’area della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il comma 2 di tale art. 34,
come è noto, specifica che “agli effetti del presente decreto, la materia urbanistica concerne tutti
gli aspetti dell’uso del territorio”.
[8] S. Amorosino, commento agli artt. 138-165 del d.lg. 29 ottobre 1999 n. 490, in AA.VV., La
nuova disciplina dei beni culturali e ambientali, a cura di M. Cammelli, Bologna, 2000, p. 433.
[9] Consultabile, tra l’altro, in Cons.Stato 2002, II, p. 1724 e ss., nonché in Urbanistica e
Appalti 2003, n.3, pp. 289 e ss., con commento di L. De Pauli.
[10] In Cons.Stato 2000, II, p. 1316.
[11] Consultabile sul sito http://www.giurcost.org.
[12] In Cons.Stato 1986, II, p. 818.
[13] In Cons.Stato 1985, II, p. 1750.
[14] In Cons.Stato 1985, II, p. 505.
[15] In Cons.Stato 1986, II, p. 325.
[16] Su tale filone ricostruttivo cfr. P. Nicoletti, La tutela ambientale nell’interpretazione
giurisprudenziale, in Giust. Civ., 2001, II, 471 e ss..
[17] In Cons.Stato 1990, II, p. 1372.
[18] In Cons.Stato 1989, II, p. 989.
[19] La materia è stata scandagliata dal Consiglio di Stato, di recente, anche dal diverso – ma
convergente – punto di vista dell’analisi e della ricostruzione del procedimento volto
all’annullamento del nulla osta paesistico, sotto il profilo, in particolare, della necessità o meno
della comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della legge 241 del 1990 nei confronti del
soggetto che ha fatto domanda di trasformazione del territorio e che ha beneficiato del nulla osta
regionale o comunale oggetto di annullamento ministeriale.
[20] Cit. a nt. 1, che precede.
[21] Distinzione che sembra richiamare quella tra ambiente/paesaggio e ambiente/ecosistema
proposta da T. Alibrandi, P. Ferri, I beni culturali e ambientali, IV ed., Milano, 2001, e condivisa da
G. Ciaglia, Prudenza e giurisprudenza nella tutela del paesaggio cit., p. 163.
[22] A. Predieri, Urbanistica, tutela del paesaggio, espropriazione, Milano, 1969, nonché nella
voce Paesaggio in Enc. Dir. vol. XXXI, Milano, 1981, p. 504 e passim.
[23] A. Predieri, op. cit., p. 506.
[24] M. Grisolia, voce Bellezze naturali in Enc. Dir. vol. V, Milano, 1959, pp. 80 e ss., ed ivi
riferimenti bibliografici. A.M. Sandulli, La tutela del paesaggio nella Costituzione, in Riv. Giur. Ed.
1967, I, pp. 70 e ss.
[25] M.S. Giannini, I beni pubblici, Roma, 1963; Ambiente: saggio sui diversi suoi aspetti, in Riv.
Trim. Dir. Pubbl., 1973, p. 15.
[26] T. Alibrandi, P. Ferri, I beni culturali e ambientali, cit.. Tale distinzione è contenuta anche in C.
Zaza, Bellezze naturali, diritto pubblico, in Enc. Giur. Treccani, cit..
[27] F. Merusi , Commento all’art. 9, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, I,
Bologna, 1975; S. Amorosino, op. cit. p. 435; C. Malinconico, I beni ambientali, in Trattato di
diritto amministrativo, a cura di G. Santaniello, V, Padova, 1991.
[28] F. Modugno I <<nuovi diritti>> nella Giurisprudenza Costituzionale, Torino, 1995, par. 7.1,
“Il superamento della distinzione tra competenze statali e regionali: la tutela del paesaggio come
ecologia”, p. 51.
[29] M. Immordino, Paesaggio (tutela del), voce in Dig. Disc. Pubbl., Torino, 1999.
[30] G. Severini, Il concetto di <<bene ambientale>> nel Testo Unico, in La nuova tutela dei beni
culturali e ambientali, a cura di P.G. Ferri e M. Pacini, Milano, 2001, p. 237. Sottolinea il nesso
inscindibile tra paesaggio e cultura la nozione di beni “culturali ambientali” adoperata da
P.Mantini, op. cit. p. 429 e ss.., nonché da W. Cortese, I beni culturali e ambientali, Profili
normativi, Padova, 1999, pp. 329 e ss.. Per una sintesi aggiornata delle varie posizioni dottrinarie
cfr. G.F. Cartei, Il paesaggio, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, Diritto
amministrativo speciale, Milano, 2003, tomo II, p. 2123.
[31] R. Gambino, Maniere di intendere il paesaggio, in Interpretazioni di paesaggio, a cura di A.
Clementi, Roma, 2002, p. 65.
[32] Al riguardo cfr. il volume Interpretazioni di paesaggio cit. – che contiene gli studi
metodologici per l’applicazione della Convenzione Europea del Paesaggio elaborati dal gruppo di
ricerca previsto dall’accordo tra Società Italiana Urbanisti (SIU) e il Ministero per i beni e le attività
culturali..
[33] A. von Humboldt, L’invenzione del Nuovo Mondo. Critica della conoscenza geografica,
Firenze, La Nuova Italia, 1992 (la citazione è tratta da R. Gambino, op. cit., p. 72).
[34] U. Eco, La struttura assente, Milano, 1968; Trattato di semiotica generale, Milano, 1975; I
Limiti dell’interpretazione, Milano, 1990. R. Barthes, L’avventura semiologica, Torino, 1991. R.
Bodei, Le forme del bello, Bologna, 1995. Turri, Antropologia del paesaggio, Milano,
1974; id., Semiologia del paesaggio italiano, Milano, 1979, citato da A. Predieri, op. cit., p. 506, nt.
12.
[35] A. Clementi, Introduzione – Revisione di paesaggio, in Interpretazioni di paesaggio cit., pp. 15
e ss..
[36] Cfr. F. Fonderico, La tutela dell’ambiente, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S.
Cassese, Diritto amministrativo speciale, II, parte V, pp. 2015 e ss., Milano, 2003, e ivi ampia
bibliografia; R. Chieppa, L’ambiente nel nuovo ordinamento costituzionale, in Urbanistica e
Appalti2002, n. 11, pp. 1245 e ss.; P. Dell’Anno, La politica nazionale di tutela dell’ambiente,
in Ambiente 2003, n. 7, pp. 642 e ss.. Per la linea di pensiero che ha valorizzato soprattutto il
raccordo con l’art. 32 della Costituzione, cfr. Corasaniti, La tutela degli interessi diffusi davanti al
giudice ordinario, in Riv. Dir. Civ., 1978, I, p. 180. Sulla evoluzione della nozione di ambiente come
un bene giuridico unitario cfr. A. Postiglione, Ambiente: suo significato giuridico unitario, in Riv.
Trim. dir. pubbl. 1985, p. 32.
[37] La definizione è tratta dall’art. 2 D.lgs. 4 agosto 1999 n. 372 di attuazione della direttiva
96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento. Già la L. 29 maggio
1974 n. 256, relativa alla “classificazione e disciplina dell'imballaggio e dell'etichettatura delle
sostanze e dei preparati pericolosi”, prevedeva, all’art. 2, che per ambiente dovesse intendersi
“acqua, aria e suolo nonché i rapporti di tali elementi tra loro e con qualsiasi organismo vivente”.
Condivisibilmente osserva al riguardo F. Fonderico, La tutela dell’ambiente, op. cit., p. 2018: “il
nucleo comune della nozione legislativa è costituito dai seguenti elementi: l’aria, l’acqua, il suolo,
la flora, la fauna, la salute umana e l’interazione tra questi fattori”.
[38] La Corte Costituzionale (dec. 6 luglio 1972 n. 141 e prec., ivi richiamata, n. 50 del 1958) ha
dato una nozione “ristretta” di urbanistica, intesa come “attività che concerne l’assetto e
l’incremento edilizio dei centri abitati”, desumendo tale nozione soprattutto dalla legge 1150 del
1942. La legge urbanistica del 1942, infatti, all’art. 1, rubricato “Disciplina dell'attività urbanistica e
suoi scopi”, stabilisce che “L'assetto e l'incremento edilizio dei centri abitati e lo sviluppo
urbanistico in genere nel territorio del Regno sono disciplinati dalla presente legge”. Ragionando
sui limiti della nuova attribuzione di giurisdizione esclusiva di cui al menzionato art. 34 D.lgs. n. 80
del 1998, Cons. St., sez. V, 22 settembre 2001 n. 4980, in Cons.Stato 2001,I, p. 2121, propone,
ancora una volta, una lettura della nozione mutuata in sostanza dalla menzionata definizione data
dall’art. 1 della legge urbanistica n. 1150 del 1942.
[39] K.O. Apel, Die Erklaren/Verstehen Controverse, Francoforte, 1979. H. J. Habermas, Teoria
dell’agire comunicativo, Bologna, 1997, I, p. 187. G. H. Von Wright, Spiegazione e comprensione,
trad. it. di G. Di Bernardo, Bologna, 1977.
[40] E’ in tal senso efficace l’indicazione di G. Severini, Il concetto di <<bene ambientale>> nel
Testo Unico, in La nuova tutela dei beni culturali e ambientali, a cura di P.G. Ferri e M. Pacini,
Milano, 2001, che distingue tra un ambiente/qualità (il paesaggio) e un ambiente/quantità
(l’ecologia).
[41] Sul punto cfr., di recente, Cons. St., sez. VI, 10 marzo 2004, n. 1213, in in Cons.Stato 2004, I,
p. 547.
[42] La discrezionalità amministrativa non consiste solo nella scelta tra diversi mezzi giuridici
legittimi per il conseguimento del fine pubblico assegnato dalla legge all’amministrazione; e
neppure soltanto nella comparazione e nella ponderazione tra diversi interessi pubblici configgenti;
ma è anche esercizio di un potere dell’amministrazione di integrazione, mediante il ricorso a
standard valutativi, del precetto normativo solo genericamente definito dalla norma mediante l’uso
di concetti giuridici indeterminati. In tema cfr. i classici contributi di M. S. Giannini, Atto
amministrativo, in Enc. Dir. Milano, 1959, pp. 161 e ss; A. Piras, Discrezionalità
amministrativa, ibidem, Milano, 1964, pp. 69 e ss. Per un riferimento di sintesi cfr. B.G. Mattarella,
DirittoAmministrativo Generale, L’attività, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S.
Cassese, Tomo I, Milano, 2003, pp. 758 ss., ed ivi ampi richiami. Per una più ampia trattazione del
profilo specifico della discrezionalità negli atti inerenti la tutela dei beni paesaggistici sia consentito
il rinvio a P. Carpentieri, L’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, in Urbanistica e appalti
2004, n. 4, p. 390. Importanti spunti in tal senso anche in E. Boscolo, Nozione comunitaria di
autorizzazione e VIA, nota di commento a Corte CE, 7 gennaio 2004, C-201/2002, ibidem pp. 415
ss..
[43] La procedura semplificata, sempre a fini urbanistico-edilizi, è dettata dall’art. 87 del codice
delle comunicazioni elettroniche, di cui al D.lgs 1 agosto 2003 n. 259, che ha sostituito il D.lgs. 4
settembre 2002 n. 198, annullato per eccesso di delega dalla Corte costituzionale con la pronuncia 1
ottobre 2003 n. 303, in Cons.Stato 2003,II, p. 1703.
[44] Con l’ulteriore conseguenza, che si è indagata in altra sede, della inammissibilità, nella
materia della tutela paesaggistica, connotata da elementi di discrezionalità, del trapianto dell’istituto
dell’accertamento di conformità introdotto nella materia edilizia dall’art. 13 L. 28 febbraio 1985 n.
47 proprio sull’assunto del carattere interamente vincolato del titolo edilizio al mero riscontro di
conformità al piano (sul tema sia consentito il rinvio a P. Carpentieri, L’autorizzazione
paesaggistica in sanatoria, op. cit., pp. 384 ss.).
[45] Corte cost. 26 luglio 2002 n. 407, 20 dicembre 2002 n. 536; 28 marzo 2003 n. 96, 7 ottobre
2003 n. 307 e 7 novembre 2003 n. 331, tutte consultabili sul sito http://www.giurcost.org..
[46] Osserva Clementi, op. cit. p. 28: “In altri termini, piuttosto che imporre autoritativamente un
valore assoluto, si dovrà prendere atto della diversità delle rappresentazioni, cercando di costruire in
modo dialogico e attraverso argomentazioni pertinenti una interpretazione che costituisce
l’affermazione di un bene comune, sapendo al tempo stesso discernere con chiarezza i limiti
invalicabili entro cui iscrivere l’interazione tra soggetti portatori di visioni inevitabilmente in
contrasto”. Una metodologia per cui “il posto del giudizio è preso dalla giustificazione”, che
richiama la teoria pragmatico-trascendentale della verità come consenso di K. O. Apel – Discorso,
verità, responsabilità, Napoli-Milano, 1997 - o la teoria consensual-discorsiva della verità di J.
Habermas. Enfatizza la procedimentalizzazione e il consensualismo (in luogo del ricorso
all’autorità) nella definizione della concreta regola operativa paesaggistica G. F. Cartei, La
disciplina del paesaggio tra conservazione e fruizione programmata, Torino, 1995, pp. 219 e ss.. Il
metodo consensuale di formazione dei precetti amministrativi poggia su un criterio di
legittimazione politica delle decisioni “di tipo formale-procedimentale: la decisione pretende
riconoscimento non perché ne sia dimostrabile l’intrinseca rispondenza alle esigenze sociali, ma
perché promana da un procedimento correttamente svolto” (A. Romano Tassone, Situazioni
giuridiche soggettive e decisioni della amministrazioni indipendenti, in Dir. Amm. n. 3 del 2002, p.
465).
[47] “Tale affermazione – scrive la Corte nella citata sentenza - rende evidente che questa
“primarietà” non legittima un primato assoluto in una ipotetica scala gerarchica dei valori
costituzionali, ma origina la necessità che essi debbano sempre essere presi in considerazione nei
concreti bilanciamenti operati dal legislatore ordinario e dalle pubbliche amministrazioni; in altri
termini, la “primarietà” degli interessi che assurgono alla qualifica di “valori costituzionali” non
può che implicare l’esigenza di una compiuta ed esplicita rappresentazione di tali interessi nei
processi decisionali all’interno dei quali si esprime la discrezionalità delle scelte politiche o
amministrative. . . . la primarietà dei valori sanciti nell’art. 9 Cost. . . . sarà tanto più effettiva quanto
più risulti garantito che tutti i soggetti istituzionali cui la Costituzione affida poteri legislativi ed
amministrativi siano chiamati a contribuire al bilanciamento dei diversi valori in gioco”.
[48] “Vero è ciò che conviene credere”: William James, Pragmatism and the Meaning of Truth,
richiamato da R. Rorty in Verità e progresso, Scritti filosofici, trad. it. di G. Rigamonti, Milano,
2003, p. 4.
[49]P. Ungari, Spunti per un intervento su “Quadro conoscitivo critico della legislazione italiana
sul paesaggio” nell’ambito del Convegno “Il Paesaggio nelle Politiche Europee” (Roma, 10-11
novembre 2003), pubblicato sul sito http://www.giustizia-amministrativa.it