Roberto Nava – FILOSOFIA III – Ottocento e Novecento: KARL MARX KARL MARX (1818-1883) Cenni biografici e formazione culturale. K. Mani nasce a Treviri nel 1818. Studia a Bonn e a Berlino dove si laurea in filosofia con la tesi Differenza tra la fìlosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro (1843). Conosce e frequenta l’ambiente dei giovani della sinistra hegeliana. Collabora alla Gazzetta renana e agli Annali franco tedeschi. Tra il 1843 e il 1845 è a Parigi dove conosce Engels con il quale pubblica nel 1848 il Manifesto del partito comunista e sulla cui amicizia e collaborazione potrà contare fino alla morte. Marx intanto matura il distacco dalla sinistra hegeliana e dalla filosofia tedesca in generale. Costretto, dopo i moti del 1848, all’esilio si trasferisce in Inghilterra, diventa un punto di riferimento delle lotte sociali ed esercita la sua influenza sugli orientamenti del movimento operaio in Europa. Muore nel 1883. Le sue opere più importanti sono: La sacra famiglia (1844), L'ideologia tedesca (1845-46), La miseria della filosoƒìa (1847), Il capitale (in tre libri, il primo pubblicato nel 1867, il secondo e il terzo pubblicati postumi da Engels nel 1885 e nel 1895). La critica ad Hegel. Hegel considera lo Stato come la più completa realizzazione dello spirito e 1'istituzione più alta dove si risolvono i conflitti della società civile. Marx, al contrario, considera lo Stato hegeliano uno strumento che protegge e difende interessi particolari. Lo Stato tutela l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, ma questa tutela non elimina la loro ineguaglianza reale, al contrario, la legittima e consente che si mantenga. Marx contrappone a quella di Hegel, una concezione dello Stato radical-democratica: è l'uomo che dà origine allo Stato e non viceversa. Solo una rivoluzione che liberi dalle disuguaglianze reali (economiche) può gettare le basi per un recupero dell'essenza sociale umana e per la realizzazione della vera democrazia che consiste nel comunismo. Critica della religione. Contemporaneamente Marx critica la religione che considera oppio dei popoli. L'eliminazione della religione come aspirazione a una felicità falsa e illusoria è la condizione per promuovere la felicità reale degli uomini. Si devono quindi rimuovere le condizioni materiali che provocano l’infelicità dell’uomo e lo costringono a crearsi aspettative e illusioni religiose. Per risolvere l'alienazione religiosa non è sufficiente, come aveva proposto Feuerbach, ricondurre la teologia alla antropologia cioè dimostrare l'origine umana di Dio, è necessaria la azione o «prassi rivoluzionaria» che trasformi radicalmente la struttura economica e sociale esistente che causa l'infelicità e rende necessaria l'alienazione religiosa stessa. Nella nuova società «umanizzata» realizzata attraverso la rivoluzione, la religione scomparirà naturalmente, perché non esisteranno più le condizioni che determinano l'infelicità degli uomini. Il lavoro alienato. Il tema dell’alienazione era già stato affrontato da Hegel che vedeva la natura come alienazione dell'idea e da Feuerbach che aveva considerato la religione una produzione dell’uomo e, in quanto tale, una estraniazione dell’uomo da se stesso (Dio è la coscienza dell’uomo trasferita fuori e lontana da lui e quindi alla fine estranea all'uomo stesso). Per Marx 1’alienazione si verifica all'interno del processo stesso di produzione del sistema capitalistico. Infatti il lavoro è l`essenza dell'uomo, ma nella società capitalista, l”operaio è costretto a «vendere la sua essenza» in cambio del salario, pertanto nel lavoro salariato l'operaio non realizza se stesso, ma si nega, si aliena. 1 Roberto Nava – FILOSOFIA III – Ottocento e Novecento: KARL MARX I caratteri di questa alienazione sono i seguenti: 1. Il prodotto finale del lavoro non appartiene al lavoratore. 2. Il lavoro nella produzione capitalistica è ripetitivo e forzato, ed esclude ogni forma di libertà e di creatività (aspetti essenziali del lavoro umano). 3. L’attività lavorativa è di natura costrittiva. Essa si svolge in funzione degli interessi del capitale ed è accettata dall'operaio in cambio del salario indispensabile per far fronte alle necessità materiali del lavoratore stesso. Il comunismo come compiuto umanesimo. Il lavoro nella società capitalista non è una realizzazione dell'uomo, una sua oggettivazione, ma al contrario è alienazione. L'abolizione della società capitalistica e quindi della proprietà privata che ne costituisce la base diventa la condizione indispensabile per il recupero della vera natura dell’uomo. Il comunismo come negazione della proprietà privata, del capitalismo e del lavoro salariato, rende possibile il riappropriarsi da parte dell'uomo del suo lavoro, cioè della sua essenza. La polemica contro la sinistra hegeliana. Marx partecipa inizialmente alla sinistra hegeliana e si entusiasma per le teorie di Feuerbach. Successivamente, mentre va maturando l'approdo al comunismo si pone criticamente nei confronti della sinistra ritenendola incapace di comprendere che le vere «catene» che imprigionano gli uomini non sono le loro idee o concezioni ma le condizioni materiali di vita, cioè i concreti rapporti di produzione in cui essi vivono. La sinistra ritiene di poter trasformare il mondo trasformando le idee degli uomini. In realtà le idee non si modificano sostituendole con altre idee, poiché le concezioni degli uomini sono il prodotto delle loro condizioni materiali di vita e possono essere modificate solo cambiando radicalmente le situazioni materiali che le determinano. La coscienza dell'uomo pertanto non è un dato assoluto, ma si determina storicamente in funzione dei modi di produzione e della divisione del lavoro tra manuale e intellettuale esistente all’interno della società: «non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza». La critica che fa la sinistra hegeliana alla società è puramente intellettuale, rimane sul piano delle idee e quindi è destinata a. non far presa sulla società. Solo l'azione rivoluzionaria o «prassi» che agisce sulle condizioni materiali di vita può modificare la realtà e quindi anche il modo di pensare degli uomini. Non la critica, ma la rivoluzione costituisce il movimento della storia. La concezione materialistica della storia. Secondo Marx, l'inizio della storia coincide con la produzione, da parte degli uomini, dei mezzi di sussistenza; questa produzione implica una divisione del lavoro, determinati rapporti sociali e varie forme di proprietà. La prima forma di proprietà è quella tribale cui segue quella della comunità antica. Terza forma è quella della proprietà feudale. Da questa si è sviluppata la proprietà privata dei mezzi di produzione ad opera della classe borghese e la formazione dell'industria e del capitalismo. All'interno di ciascuna di queste forme di produzione c`è sempre stata lotta di classe tra la classe al potere e quella dominata (patrizi e plebei, signori feudali e servi della gleba) che si è conclusa con la presa del potere da parte della classe dominata, destinata a trasformarsi nell’epoca successiva in dominante, perpetuando così il movimento della storia. L'età capitalistica produce la lotta di classe tra borghesia e proletariato. Questa lotta è destinata a far maturare le contraddizioni esistenti tra capitale e lavoro, tra rapporti di produzione e forze produttive e a operare una rivoluzione che darà origine a una nuova società senza più classi sociali. La struttura della storia è quindi l’economia e anche le idee sono un prodotto dell’attività pratica, sono riflessi, conseguenze della vita materiale. La morale, la filosofia, la religione, la politica sono definite da Marx sovrastrutture, in quanto non hanno autonomia o storia, ma dipendono dalla struttura economica e 2 Roberto Nava – FILOSOFIA III – Ottocento e Novecento: KARL MARX dalla classe sociale da cui sono prodotte e sono destinate a finire quando cade la classe sociale che le ha teorizzate. Marx definisce con il termine «ideologia» l'insieme delle idee prodotte dalla classe dominante e funzionali al mantenimento di se stessa al potere. In ogni epoca storica le idee dominanti sono quelle della classe dominante e ne costituiscono in un certo senso la giustificazione ideologica. Rapporto tra struttura e sovrastruttura. Il rapporto tra struttura e sovrastruttura costituisce uno dei punti più dibattuti all'interno del pensiero marxiano. Secondo alcuni interpreti questo rapporto è da considerare in termini rigidamente meccanicistici per cui la cultura sarebbe riconducibile in modo immediato e univoco alle condizioni materiali che l'hanno prodotta, secondo altri il rapporto tra struttura economica e sovrastruttura è storico e dialettico in quanto la stessa sovrastruttura toma a incidere in rapporto circolare sulla struttura economica, pertanto si può determinare una reciproca influenza tra fattori economici e del pensiero. Marx e il socialismo utopistico. Nei confronti del socialismo del suo tempo Marx esprime una valutazione nel complesso negativa definendolo «socialismo critico utopistico». Sono accomunati in questo giudizio intellettuali di diversa provenienza e ideologia, quali Saint-Simon (1760-1825), Fourier (17721835), Owen (1771-1858), Proudhon (1809-1865). Questi socialisti, pur avendo individuato gli aspetti negativi dello sviluppo dell”industrializzazione, denunciando all’opinione pubblica lo sfruttamento del mondo operaio e i mali della società, non hanno prodotto un’analisi scientifica del sistema di produzione capitalistico, non hanno rintracciato le leggi che regolano lo sviluppo del capitalismo e che determinano la necessità del suo superamento. Pertanto le loro proposte pretendono di eliminare gli inconvenienti della società borghese ponendosi al di sopra della lotta di classe e facendo appello ai buoni sentimenti o a ideali di solidarietà e umanità presenti in tutte le classi sociali. Il socialismo scientifico. Nella critica al socialismo utopistico Mani matura la sua concezione del socialismo che definisce in contrapposizione a quello precedente «scientifico» in quanto la fine del sistema capitalistico è la conseguenza inevitabile delle leggi che ne regolano lo sviluppo. Il materialismo dialettico. Nell'analisi scientifica della società capitalistica Marx usa il metodo del materialismo dialettico, che rappresenta per certi aspetti una rivalutazione della dialettica hegeliana. Marx riconosce a Hegel il merito di aver scoperto la dialettica e di aver trovato nella contraddizione, nella negazione la molla del divenire delle cose (però per Hegel la dialettica si muove partendo dall’idea, per Marx, invece, è l”elemento materiale che dà inizio al movimento). Il metodo dialettico viene usato per analizzare problemi economici e per dimostrare che lo sviluppo delle contraddizioni della società capitalistica e borghese, porteranno, attraverso la rivoluzione, ad una società del tutto nuova. Si prospetta una concezione delle vicende umane in cui ogni epoca ha in sé i germi del suo superamento. La società capitalistica, portatrice delle maggiori contraddizioni, è destinata a produrre il passaggio al socialismo, in cui l'uomo sarà libero e compiutamente realizzato, non più alienato ma padrone del proprio destino sociale. Pertanto il materialismo dialettico non è in contrapposizione al materialismo storico, ma è un suo completamento. L'economia politica. Nel Capitale Marx, analizzando le caratteristiche fondamentali del sistema capitalistico svolge una critica dell”economia politica classica. Marx riconosce agli economisti precedenti alcuni meriti: Adam Smith (1723-1790) ha per primo riconosciuto il lavoro come fonte di valore e David Ricardo (1772-1823) ha individuato il plus-valore e alcune contraddizioni del sistema capitalistico. Ma tutte e due riconoscono nel capitalismo una forma di produzione naturale e immutabile, quindi lo giustificano. 3 Roberto Nava – FILOSOFIA III – Ottocento e Novecento: KARL MARX Al contrario, per Marx i rapporti di produzione capitalistici non sono la forma naturale ed eterna dei rapporti economici tra gli uomini, ma solo una forma che si è determinata storicamente e quindi è spiegabile e modificabile. I punti fondamentali della dottrina economica marxista sono la teoria del valore e la legge di sviluppo dell’economia capitalistica. Teoria del valore. Il capitalismo è produzione di merci le quali possiedono un valore di uso (l'utilità del prodotto) e un valore di scambio (capacità di essere scambiate con altre merci). Ogni merce deve presentare un comun denominatore tra questi due valori e pertanto si prende in considerazione la quantità di lavoro sociale (inteso come energia umana disponibile al lavoro e non un lavoro specifico) occorrente a produrla. Si parla di lavoro sociale e non lavoro del singolo, perché il lavoro di un inesperto, essendo maggiore di quello di un esperto, farebbe aumentare il valore della merce, il che sarebbe assurdo. La consapevolezza che il lavoro è alla base di tutto porta Marx a contestare il feticismo delle merci che è tipico del capitalismo che considera la merce avente valore in sé, dimenticando, non vedendo che nelle merci è incorporato lavoro umano. Plus-valore. Anche il lavoro dell'operaio, diventa, dal punto di vista economico una merce (Marx la definisce forza lavoro), una merce che l'operaio vende, in cambio del salario, al capitalista. Ma la forza lavoro è una merce particolare, nel senso che non soltanto è un valore, ma produce altri valori. Il capitalista paga l'operaio come se questi fosse una merce qualsiasi, retribuendolo con un salario che permette all'operaio di 'mantenersi in vita (soddisfacendo le esigenze primarie dell’esistenza: mangiare, bere, dormire). Ma il lavoro dell'operaio, incorporato nel prodotto, produce valore in più rispetto al salario, questo plus-valore (lavoro elargito non retribuito dal capitalista) viene intascato dal capitalista e rende possibile l’accumulazione e l’accrescimento del capitale. Immaginando che la giornata lavorativa di un operaio sia di dieci ore, e che il valore del salario corrisponda a sei ore lavorative, possiamo affermare che il capitalista intasca da quel lavoratore un plusvalore corrispondente a quattro ore di lavoro. Legge di sviluppo dell'economia capitalistica. Il fine ultimo del capitalismo è il profitto. Marx, dopo aver chiarito la natura fraudolenta del profitto e del capitale e quindi la necessaria «espropriazione degli espropriatori», rileva che anche sul piano economico la struttura capitalistica è destinata al crollo definitivo a causa delle seguenti contraddizioni interne: l. L’irrazionalità del sistema di mercato, che non essendo coordinato, tende a diffondere le crisi dei vari settori di produzione. 2. Le frequenti crisi di sovrapproduzione (l'industria produce più di quanto assorbe il mercato), dovute all`avidità dei capitalisti. La compressione dei salari, impedisce che i salariati acquistino beni di consumo, contribuendo all’allargamento del mercato. 3. L’aumento dell’uso delle macchine nell’industria per accrescere la produzione e ridurre le spese relative alla retribuzione dei salari. Ciò comporta una diminuzione del profitto da parte del capitalista (solo il capitale investito in forza lavoro produce plus-valore), producendo una spietata concorrenza, poiché solo i capitalisti più ricchi possono investire in macchinari e tecnologie avanzate, trascinando gli altri nel fallimento. Man; individua una tendenziale caduta del «saggio di profitto» del capitalismo per questi fattori e l'esplosione di conflitti e concorrenza spietata tra gli stessi capitalisti. Quelli economicamente più deboli sono destinati a soccombere a vantaggio dei più ricchi. La crescente concentrazione del capitale nelle mani di pochi produrrà la sempre maggiore estensione e presa di coscienza della classe operaia, destinata ad abbattere il capitalismo. Lo schema dialettico è il seguente: il capitalismo (tesi) sviluppandosi produce la classe sociale, il proletariato (antitesi), destinata a rovesciarlo attraverso una rivoluzione (sintesi), che darà origine ad una nuova società senza più classi sociali. La società senza classi. Marx prospetta due fasi di realizzazione della società comunista. La prima è caratterizzata sotto il profilo politico dalla dittatura del proletariato, e sotto il profilo economico dalla 4 Roberto Nava – FILOSOFIA III – Ottocento e Novecento: KARL MARX proprietà collettiva dei mezzi di produzione e dalla distribuzione della ricchezza in proporzione al lavoro prestato da ciascuno. La seconda fase, quando la dittatura del proletariato avrà assolto alla sua funzione, realizzerà una nuova società il cui motto potrà essere: «ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni». In tale società Marx concepisce la realizzazione della libertà come sviluppo di tutte le facoltà umane. 5