Modulo 4 IMP. (170-203) 28-09-2004 12:30 Pagina 184 184 7 La civiltà repubblicana 1 La religione Gli dèi di Roma Poiché l’agricoltura era stata l’attività economica più importante dei Romani al tempo dei re, la religione delle origini aveva avuto un gran numero di divinità di carattere agreste. La semina, per esempio, era sotto la protezione di Saturno; Cerere era la dea del grano e delle messi; Fauno era il tutore delle mandrie e dei boschi; Pale la dea della pastorizia. Queste prime divinità agricole vennero presto affiancate da altre, attinte alla religione greca attraverso la mediazione degli Etruschi: tra queste Giove (per i Greci Zeus), il padre degli dèi, la moglie Giunone (Hera), protettrice delle nascite e dei matrimoni e la figlia Minerva (Atena), dea della sapienza, LE PRINCIPALI DIVINITÀ DEL PANTHEON ROMANO GIOVE (Zeus), re degli dèi e dio del tuono e del fulmine. GIUNONE (Hera), moglie di Giove, protettrice delle donne e del parto. VESTA (Hestia), dea del focolare domestico. PLUTONE (Ades) dio del mondo dei morti. BACCO (Dioniso), dio del vino. NETTUNO (Poseidone), dio del mare. VULCANO (Efesto), dio degli artigiani e dei fabbri. FEBO (Apollo), dio della musica, della poesia e delle profezie. DIANA (Artemide), dea della caccia. CERERE (Demetra), dea del grano e dell’agricoltura. MARTE (Ares), dio della guerra. MINERVA (Athena), dea della guerra e dell’artigianato. MERCURIO (Ermes), dio dei mercanti e dei ladri. Messaggero di Giove. VENERE (Afrodite), moglie di Vulcano, dea dell’amore e della bellezza. Modulo 4 IMP. (170-203) 28-09-2004 12:30 Pagina 185 7 - La civiltà repubblicana 185 delle arti e della guerra. Esse costituirono la cosiddetta “triade capitolina”, cioè il gruppo dei tre dèi venerati in un unico tempio sul colle Capitolino (oggi Campidoglio). Successivamente Roma importò il culto di tutte le divinità olimpiche greche e di molte altre, che formarono il pantheon, cioè il complesso “di tutti gli dèi”. Tra questi furono particolarmente cari ai Romani i Diòscuri (da diòs kouroi, “figli di Zeus”) ovvero i gemelli Càstore e Pollùce che nei miti greci erano stati rispettivamente un “uomo che sussurava ai cavalli” e un pugile. Affrontarono molte battaglie e si amavano tanto che, quando uno dei due fu ferito a morte, l’altro chiese a Zeus di morire anche lui; allora Zeus concesse loro di vivere a giorni alterni. Per i Romani erano i protettori della cavalleria e di tutti gli uomini in pericolo. Un altro dio veneratissimo era Esculapio, protettore della medicina, il cui culto fu introdotto a Roma nel 293 a.C., durante una terribile pestilenza che, secondo la leggenda, il dio fece cessare inviando un serpente che si fermò sull’isola Tiberina; lì fu costruito un tempio ed essa restò sempre un luogo di cura tanto che ancora oggi è sede di un famoso ospedale. LE “FATTURE”. Una collana del VI secolo a.C. trovata a Cuma. Ogni grano è un “occhio”, simbolo magico diffusissimo e considerato capace sia di difendere dalle “fatture”, sia di procurarle. I culti familiari Grande importanza avevano, inoltre, i culti familiari, dato che la famiglia, la quale costituiva l’unità fondamentale della società romana arcaica, era anche un nucleo religioso, in cui il padre svolgeva il ruolo di sacerdote. Giano, per esempio, il cui nome derivava da ianua (in latino, “porta”); era il dio della soglia della casa, che riceve gli amici e scaccia i nemici (oltre che dio della pace e della guerra). La devozione più profonda tuttavia era riservata ai Lari, le divinità che proteggevano l’interno della casa e i confini dei campi, e ai Penati, gli spiriti degli antenati defunti le cui immagini venivano conservate in piccoli altari in una stanza della casa. Mantenere in vita il loro ricordo significava conservare un legame con il proprio passato e garantire l’unità familiare. I PENATI. Il disegno mostra l’“edicola” in cui ogni famiglia conservava le immagini degli antenati. IL SERPENTE DI ESCULAPIO. Compare ancora oggi nel distintivo dei farmacisti. storia delle mentalità Le Vergini Vestali Vesta era originariamente una dea del focolare domestico, poi divenne una delle più importanti divinità dello Stato romano. Aveva un tempio nel Foro con al centro un fuoco che doveva restare sempre acceso. Esso era custodito da sei donne, chiamate Vergini Vestali, mostrate in questo rilievo. LA MAGIA. Disegno della formula dell’abracadabra in lettere ebraiche. Era usato dai maghi per evocare le forze occulte. Le sei Vestali venivano scelte nelle famiglie patrizie più importanti di Roma e avevano grande peso nella vita dello Stato. Essere scelte era quindi un grande onore, però dovevano servire Vesta per trent’anni e non sposarsi mai. Un fuoco che non deve mai spengersi. Questo rilievo mostra due Vestali che sorvegliano il fuoco sacro che si intravede sulla destra. Modulo 4 IMP. (170-203) 28-09-2004 12:30 Pagina 186 186 MODULO 4 - Roma nell’età della Repubblica 2 La famiglia Il potere assoluto del paterfamilias PADRI ROMANI. Questi due ritratti mostrano volti duri, poco inclini alla tenerezza. (Roma, Museo di Villa Giulia e Museo Torlonia.) La società romana, sebbene fosse spesso travagliata da lotte interne e da ingiustizie, era saldamente unita dalla ferma convinzione che la sua forza fosse fondata sulla famiglia. La famiglia della Roma arcaica era molto diversa dalla nostra. Per prima cosa tutti i suoi membri e tutti i suoi beni dipendevano da un’unica persona, il paterfamilias, cioè il “padre della famiglia”, che oggi potremmo definire senza timore di esagerare un “padre-padrone”. Il suo potere infatti era enorme ed era ciò che i Romani chiamavano “patria potestà”. La ferrea disciplina che egli esercitava sui suoi figli giungeva fino al diritto di rinnegarli, di diseredarli, di venderli schiavi e persino, di fronte a reati ritenuti gravissimi, di condannarli a morte. Inoltre il padre aveva il diritto di non accettare il proprio figlio neonato. Se era maschio, ma non in buona salute, o, spesso, se era femmina, bastava che, quando le donne glielo presentavano posandolo ai suoi piedi, non lo raccogliesse da terra. In questo caso il bambino o la bambina venivano “esposti”, cioè abbandonati sulla porta di casa. Un apposito gruppo di schiavi pubblici girava per le strade all’alba proprio per portarli via, spesso già senza vita. Figli adottati preferiti ai figli naturali Al contrario, era diffusissima l’adozione. Molti ragazzi venivano adottati quando erano già adolescenti, per simpatia, per interesse o perché figli di qualche amico defunto. In una società che sentiva tanto poco i vincoli di sangue, i figli adottivi erano spesso molto più amati di quelli naturali. I difficili rapporti tra padri e figli Per questi motivi un figlio aspirava per tutta la vita a diventare a sua volta paterfamilias, ma – anche se intanto si sposava, militava nell’esercito e rivestiva cariche pubbliche – ciò accadeva solo con la morte del padre. Prima non poteva firmare un contratto, fare testamento e neppure comparire di persona in tribunale. I padri comprensivi “affrancavano” i propri figli e li dichiaravano adulti, liberandoli da questa “schiavitù”. Ma in altri casi la situazione diventava talmente pesante da indurre addirittura il figlio a uccidere il proprio padre: il parricidio era infatti un delitto abbastanza frequente nella società romana. L’AMULETO D’ORO. Lo si appendeva al collo del neonato per proteggerlo e per indicare che era nato libero e non schiavo. IL MOMENTO DELL’ANSIA. Le donne preparano il neonato per presentarlo al padre. Lo raccoglierà da terra per riconoscerlo? Modulo 4 IMP. (170-203) 28-09-2004 12:30 Pagina 187 7 - La civiltà repubblicana 187 Il divorzio GIOCHI DI BIMBI. Come da noi, e come in tutte le società antiche, le leggi romane concedevano il divorzio, anche perché raramente le unioni erano matrimoni d’amore. Anzi per un uomo era considerato disdicevole dimostrare tenerezza per la propria moglie. Un’unione ben riuscita si fondava sulla concordia, sulla solidarietà e sul rispetto reciproco; quasi mai sulla passione. Questi bambini giocano a dadi, fatti con gli ossi dell’articolazione delle zampe di pecora. Le donne, depositarie della tenerezza familiare Le donne si sposavano bambine, tra i dodici e i quattordici anni, facevano una vita austera e riservata, ma erano più rispettate che in Grecia, probabilmente perché i Romani erano stati influenzati in questo dagli Etruschi; esse conservavano il loro patrimonio ed erano molto amate dai figli. Per questa ragione erano frequenti nell’antica Roma le immagini che rappresentano in una tenera intimità madre e bambino. Ancora per questa ragione, madre e neonato godevano della protezione di un gran numero di divinità, alcune delle quali ave- vano nomi affettuosi, tipici del linguaggio infantile: Numeria proteggeva il parto, Cunina la culla, Rumina l’allattamento, Edùca le pappe, Potina l’acqua, Statinus e Statirius il reggersi ritti e il barcollare, Fabulinus e Farinus i primi balbettii. L’educazione materna durava sei anni, l’età dei primi giochi, che consistevano nel costruire casette, attaccare topini a un carretto, galoppare a cavallo di una canna, far girare la trottola o il cerchio oppure nel gioco delle noci, tanto diffuso che “abbandonare le noci” significava uscire dall’infanzia. BIGLIE. I bambini giocavano spesso con le biglie (che potevano essere di terracotta o di vetro) e anche con le noci. GIORNI DI SCUOLA Le scuole consistono per lo più in una sola stanza al pianterreno di una casa o nel retrobottega di un negozio. In genere hanno una sola classe di 12 alunni. I maestri sono spesso schiavi provenienti dalla Grecia (i Romani sono grandi ammiratori della cultura greca). I bambini più piccoli recitano l’alfabeto e imparano a leggere e a scrivere. Le famiglie ricche impiegano uno schiavo, il “pedagogo” che accompagna i bambini a scuola e li sorveglia mentre sono in classe. Gli alunni più grandi devono leggere e recitare le opere di autori famosi. Alcuni scrivono su tavolette di legno spalmate di cera. Altri incidono i segni su pezzi di coccio. Modulo 4 IMP. (170-203) 28-09-2004 12:30 Pagina 188 188 MODULO 4 - Roma nell’età della Repubblica 3 L’esercito IL LEGIONARIO. Statua in bronzo di un legionario romano, risalente al II secolo a.C. Nei primi secoli della Repubblica la forza di Roma era fondata soprattutto sull’organizzazione del suo esercito, formato dalle legioni, costituite ciascuna da circa 4200 uomini e comandate da un console. Mentre Cartagine e i regni ellenistici non disponevano altro che di mercenari, cioè di soldati di professione provenienti da varie parti del mondo, che venivano ingaggiati per denaro, a Roma tutti i cittadini tra i 17 e i 60 anni potevano essere mobilitati e arruolati quando l’Assemblea dei Comizi centuriati, formata dai cittadini stessi, decideva una guerra. Erano esentati dal servizio militare, ed erano quindi privi anche dei diritti politici, coloro che non possedevano nulla, cioè i proletari, per un duplice motivo: a) non potevano pagarsi l’armatura, che era a carico non dello Stato ma del legionario; b) erano ritenuti inaffidabili perché non avevano un campo o una casa da difendere. Quando Roma divenne proprietaria di un impero, tuttavia, il console Mario effettuò una riforma dell’esercito e nel 107 a.C. creò un’armata di professionisti la IL TRIONFO DI UN GENERALE ROMANO. Il generale vittorioso, di solito uno dei consoli, ha diritto a sfilare in trionfo su un carro per le vie di Roma. È seguito dai suoi soldati, che ricevono una parte del bottino di guerra. cui unica ambizione divenne quella di appropriarsi di una parte del bottino dei Paesi vinti e, una volta diventati veterani alla fine della carriera, di ricevere come “liquidazione” un pezzo di terra da coltivare. Poiché per ottenere questi vantaggi bisognava vincere, i legionari di professione divennero più fedeli ai bravi generali che non alla Repubblica e spesso questi generali, che lo storico Ronald Syme definì “i Signori della guerra”, li usarono non per la grandezza di Roma, bensì per combattere i loro nemici personali. 30 manipoli (fanteria pesante) Porta decumana fanteria leggera 1 Ranghi dei veterani Palizzata Tenda del console Tende degli ufficiali Alleati 2 Ranghi delle giovani reclute 1 Altare 2 Via d ecum ana le ina rd a c Posto di Via guardia s Fo Terrapieno rinforzato sa to Porta cardinale RICOSTRUZIONE DI UN ACCAMPAMENTO ROMANO (CONTIENE UNA LEGIONE). Cavalleria ESERCITO NEMICO UNA LEGIONE ROMANA IN ORDINE DI COMBATTIMENTO. Modulo 4 IMP. (170-203) 28-09-2004 12:30 Pagina 189 7 - La civiltà repubblicana 189 Qual era il bagaglio di un legionario ● Un tascapane di cuoio contenente: pane per quattro pasti, una borraccia d’acqua, carne affumicata, formaggio, dadi da gioco, amuleti. ● Un telo da tenda in cuoio impermeabilizzato con del grasso. ● I picchetti per montare la tenda. ● Una vanga. ● Una zappa. ● Una falce per tagliare il grano sottraendolo ai contadini dei territori invasi. Il tascapane era appeso a una spalla con una cinghia. Il resto poteva essere portato a spalla appeso a un paletto o dentro un grosso zaino di tela di sacco. I picchetti venivano tenuti in mano. Le insegne Avevano la funzione delle nostre bandiere e variavano da reggimento a reggimento. Tutte però erano sormontate dall’aquila, simbolo di Roma. Il saluto Nel XX secolo il regime fascista credette, sbagliando, che il “saluto romano” fosse fatto alzando il braccio destro. Invece questo era un segno di preghiera. Ufficiali e soldati si salutavano portando la mano all’elmo, come i militari di oggi. I “MULI DI MARIO”. I legionari venivano così chiamati perché durante la marcia portavano sulle spalle un carico di circa 30 chili. il documento A. Il reclutamento delle legioni nel V secolo a.C. Cincinnato, nominato dittatore per sei mesi nel 458 a.C., ordina la leva delle truppe. Cincinnato si recò davanti all’Assemblea del popolo, proclamò la sospensione di tutti i processi giudiziari e ordinò che si chiudessero le botteghe in tutta la città. Inoltre tutti coloro che fossero in età adatta a servire nell’esercito dovevano trovarsi prima del tramonto nel Campo di Marte, armati, con viveri cotti per cinque giorni e con dodici pali ciascuno [ per fortificare l’accampamento, una volta giunti in vista dei nemici]. A quelli che erano in età troppo avanzata per il servizio militare, ordinò di cuocere i cibi per i soldati mentre questi preparavano le armi e cercavano i pali. I giovani corsero qua e là a cercare i pali; li presero ciascuno nel luogo più vicino, senza che nessuno glielo impedisse, e tutti si trovarono pronti all’appuntamento fissato dal dittatore. TITO LIVIO, Storia di Roma, III, 27 Dopo aver letto il brano A, completa le seguenti frasi con parole tue. Il dittatore Cincinnato si recò davanti alla ...................... ...................................................................................... . Proclamò ........................................................................ e ordinò ........................................................................ . Tutti coloro che .............................................................. dovevano ....................................................................... con ................................................................................. e con ............................................................................. . A quelli che .................................................................... ordinò di ......................................................................... mentre questi ............................................................... . I giovani corsero qua e là ............................................... e li presero senza che .................................................. . B. Il reclutamento delle legioni alla fine del II secolo a.C. Tutti si trovarono pronti ................................................ . Nel 107 a.C. il console Mario, decide di arruolare nuove truppe, facendo appello ai volontari. È il primo passo verso la riforma. Dopo aver letto il brano B, rispondi alle domande. “Voi che avete l’età giusta per combattere, venite al servizio della Repubblica... La cosa è certa: con l’aiuto degli dèi, tutti i frutti della guerra sono maturi: la vittoria, il bottino, la gloria”. Dopo questo discorso, il console Mario, volendo approfittare dell’entusiasmo della plebe, fa la leva delle reclute non più secondo l’antica usanza, cioè controllando il loro reddito, ma accettando tutti i volontari, per lo più proletari che erano sempre stati esclusi dall’esercito. ........................................................................................ SALLUSTIO (86-35 a.C.), La guerra contro Giugurta, 85-86 1. Che cosa promette Mario quando parla dei “frutti della guerra”? 2. Come sceglie le reclute Mario? ■ in base al loro reddito ■ accettando anche i proletari Confrontando i due brani, prova a scrivere sul tuo quaderno un breve testo di circa 100 parole indicando come da essi emergano due diversi tipi di società. Modulo 4 IMP. (170-203) 28-09-2004 12:30 Pagina 190 190 MODULO 4 - Roma nell’età della Repubblica 4 Gli schiavi Gli schiavi romani, come quelli greci, erano lavoratori privi di diritti civili, di proprietà di cittadini privati o dello Stato. Venivano prevalentemente catturati durante le guerre di conquista e venduti all’asta negli appositi mercati di schiavi. Potevano unirsi e avere figli, ma non potevano sposarsi e dipendevano totalmente dal loro padrone, che decideva in piena autonomia se trattarli umanamente o in modo bestiale. Durante un processo in cui dovevano comparire come testimoni, la loro deposizione veniva accettata solo dopo tortura, perché si riteneva che essi mentissero per principio. Se avevano servito fedelmente per gran parte della vita potevano avere la fortuna di venire liberati e di assumere il nome del loro padrone. Da quel momento diventavano liberti e i loro figli acquistavano la cittadinanza romana. Lavori da schiavi La vita di uno schiavo o di una schiava dipendeva da due fattori: a quale tipo di lavoro veniva destinato e sotto quale tipo di padrone capitava. Nelle illustrazioni qui sotto vedi alcuni dei lavori in cui più frequentemente erano usati gli schiavi. COME ROMA SFRUTTA GLI SCHIAVI Gli schiavi greci sono ritenuti i più intelligenti e perciò sono anche i più costosi. Lavorano nelle grandi famiglie romane come dottori, tutori, musicisti, orafi, artisti e bibliotecari. Altri schiavi casalinghi fungono da parrucchieri, macellai, camerieri e cuochi. Alcuni aiutano i loro padroni nei negozi o nelle botteghe artigiane. Altri insegnano nelle scuole. Gli schiavi dello Stato eseguono la manutenzione degli edifici pubblici, dei ponti e degli acquedotti. I più colti lavorano negli uffici e negli archivi assicurando la continuità dell’amministrazione; tra questi alcuni diventano molto potenti. Le condizioni peggiori sono quelle degli schiavi delle miniere. L’aria malsana, le fatiche e i maltrattamenti li condannano a una morte precoce. Alcuni non resistono più di sei mesi. Le ribellioni sono abbastanza frequenti. Tra le più gravi ne ricordiamo due: una, violentissima, degli schiavi-pastori siciliani; l’altra, diventata leggendaria, guidata dal gladiatore Spartaco nel I secolo a.C. Tra gli schiavi agricoli, i più intelligenti dirigono le ville dei latifondi e comandano centinaia di altri schiavi; questi ultimi faticano tutto il giorno. I più ribelli lavorano in catene. Gli schiavi più atletici vengono addestrati accuratamente e impiegati nei combattimenti degli anfiteatri. La cerimonia di liberazione di uno schiavo si chiama “manomissione”, perché il padrone lo tocca con una mano. Da quell’istante egli diventa un liberto. Molti schiavi devono pagare la propria liberazione usando i risparmi che mettono da parte attraverso mille espedienti. Modulo 4 IMP. (170-203) 28-09-2004 12:30 Pagina 191 7 - La civiltà repubblicana 191 Gli schiavi delle “ville” Dopo la costituzione dei latifondi, la maggioranza degli schiavi romani era impiegata nelle grandi aziende agricole patrizie che i romani chiamavano “ville”. Ogni villa era interamente affidata a un “sovrintendente”, anch’egli schiavo, scelto tra i migliori e chiamato “villico”, che viveva nella fattoria con la sua compagna, la “villica”. Era lei che dirigeva le cucine, l’infermeria, la tessitura, la mungitura e provvedeva agli approvvigionamenti alimentari. Gli altri schiavi si dividevano in sorveglianti, “schiavi sciolti” e “schiavi incatenati”. Questi ultimi erano quelli inclini alla fuga e alla violenza e, sul mercato, erano quotati a prezzi molto bassi. La giornata lavorativa era di dodici ore e a sera gli “schiavi incatenati” venivano chiusi negli ergastoli (o “locali per lavoratori”: dal greco érga, “lavori”), che erano ambienti spesso sotterranei e soffocanti, con piccole finestre poste troppo in alto per essere raggiunte. Gli altri alloggiavano in stanzette più comode. Insieme agli schiavi delle grandi famiglie e ai gladiatori, gli schiavi delle “ville” avevano la fortuna di essere nutriti a sufficienza, grazie alla quantità di prodotti alimentari di cui era rifornita la “villa”. il documento Sono schiavi, sì, ma anche uomini La stragrande maggioranza degli abitanti dell’Impero romano considerava la schiavitù una condizione sociale del tutto naturale e gli schiavi una parte del proprio patrimonio, al pari di un oggetto o di un animale. Nel I secolo d.C., tuttavia, i saggi cominciarono a considerare il problema in un’altra luce. Qui sotto puoi leggere le considerazioni in proposito rivolte dal filosofo Seneca al suo allievo Lucilio. Con piacere ho appreso dalle persone che vengono dalla tua casa che tratti familiarmente i tuoi schiavi; ciò si addice alla tua saggezza e alla tua cultura. “Sono schiavi”. Sì, ma anche uomini. “Sono schiavi”. Sì, ma anche compagni di abitazione. “Sono schiavi”. Sì, ma anche umili amici. “Sono schiavi”. Sì, ma anche compagni di schiavitù, se rifletterai che gli uni e gli altri sono soggetti ai capricci della fortuna. Pertanto rido di costoro che giudicano disonorevole pranzare col proprio schiavo: per quale ragione, se non perché una consuetudine, prodotta dalla più superba arroganza, mette attorno al padrone, durante il pranzo, un moltitudine di schiavi che stanno in piedi? SENECA (4 ca a.C.-65 ca d.C.), Lettere a Lucilio, II, 2 LA “VILLA” SCHIAVILE cucina bagni ergastoli panificio stanze del villico sala da pranzo stalla locali per la pigiatura dell’uva granaio cortile aia per la trebbiatura cortile con le anfore per il vino e l’olio locali per la spremitura delle olive «Se fuggo tu mi riporterai al mio padrone che ti darà un solidum (moneta d’oro)». Modulo 4 IMP. (170-203) 28-09-2004 12:30 Pagina 192 192 MODULO 4 - Roma nell’età della Repubblica 5 Le strade Curvatura “a dorso d’asino”. Strade per l’esercito Per vincere una guerra occorre spostare rapidamente le proprie truppe allo scopo di sorprendere il nemico e di attaccarlo quando non se lo aspetta. I Romani, diventati i più grandi geni militari del mondo antico, divennero quindi anche i più abili e attivi costruttori di strade. I primi tracciati fra Roma e i centri laziali, come la via Salaria (la “via del sale”) o le vie Ardeatina e Laurentina, erano tortuosi, pieni di variazioni di quota e il loro fondo era in terra battuta. Ma nel IV secolo a.C. i Romani impararono a costruire strade rettilinee e, primi nel mondo antico, a lastricarle rendendole durevoli nel tempo e inattaccabili dalla pioggia e dal gelo. Queste grandi strade si chiamarono “vie consolari”, perché la loro costruzione veniva decisa dai consoli, dai quali poi prendevano il nome. Lastre di pietra. Groma. Strato composto da ghiaia e pietrisco. Canale di scolo. Pietre più piccole, a volte unite da cemento. Grosse pietre incastrate strettamente l’una con l’altra. Le strade secondarie erano larghe da 3 a 4,5 metri, le principali fino a 7,7 metri. LE STRADE ROMANE. Quando progettavano una strada, gli ingegneri romani esaminavano la zona per trovare il modo di costruire un tracciato il più possibile breve, pianeggiante e rettilineo. Per ottenere questo scopo si posizionavano all’inizio e alla fine di un certo tratto, accendevano una serie di fuochi per controllarne l’allineamento, lanciavano piccioni viaggiatori di cui seguivano il volo e infine controllavano tutto con la groma (uno strumento che serviva a misurare il terreno). Quindi abbattevano gli alberi collocati sul percorso e costruivano la strada come mostra il disegno. La superficie veniva realizzata lievemente curva (“a dorso d’asino”) per far defluire l’acqua e impedire che d’inverno, gelando, spaccasse le pietre. Ai lati scorrevano canaletti di scolo. I PONTI. Quando la strada incontrava un fiume o una valle che avrebbe richiesto attraversamenti faticosi o lunghi percorsi per aggirarla, i Romani costruivano un ponte o un viadotto. Molti di essi sono ancora in piedi, come questo ad Alcantara, in Spagna. ANTICHI “BINARI”. Nei veicoli romani la distanza tra le ruote era di 143 centimetri. In molte strade vennero praticati due solchi a questa distanza che funzionavano da binari impedendo ai carri di rovesciarsi. Modulo 4 IMP. (170-203) 28-09-2004 12:30 Pagina 193 7 - La civiltà repubblicana 193 La via Appia, regina viarum, “regina delle strade” Nel 312 a.C. fu iniziata la prima via consolare e fu chiamata via Appia. Andava da Roma a Capua, in Campania. Era lunga 200 chilometri, una distanza che a piedi veniva percorsa in cinque o sei giorni. Su di essa passarono le legioni che andavano a combattere contro Pirro, il re dell’Epiro, ma in tempo di pace vi transitavano anche centinaia di mercanti e di viaggiatori. I 28 chilometri perfettamente rettilinei che ne precedevano l’arrivo a Terracina erano fiancheggiati da un canale artificiale, in modo che i viaggiatori più ricchi potessero percorrerli comodamente in barca, provando un po’ di sollievo dopo le tante scosse subite nei carri. Nei decenni successivi la via Appia fu estesa fino a Brindisi, da dove salpavano le navi dirette verso la Grecia. Poi altre ne furono costruite, finché la penisola fu ricoperta da una rete stradale che collegava tutte le città più importanti. LA VIA APPIA, COME ERA... con i sepolcri delle grandi famiglie che la fiancheggiavano. ... E COME È OGGI alle porte di Roma dove fa parte di uno splendido parco archeologico. IL VIAGGIATORE LA RETE STRADALE ROMANA. Quando l’Impero ebbe raggiunto la sua massima estensione, la rete stradale romana era lunga 120 000 chilometri. L’equipaggiamento da viaggio L’abbigliamento da viaggio, completato da calzature chiuse allacciate con stringhe doveva lasciare ampia libertà di movimento. Per ripararsi dalla pioggia e dai rigori del freddo veniva impiegato un mantello di lana con cappuccio, sostituito d’estate da un cappello a larghe tese in grado di proteggere dal sole. Il bagaglio veniva riposto in bisacce di pelle o di stoffa, oppure in reticelle appese alla sella della cavalcatura; più raramente, in una cassa di legno sul tipo dell’odierno baule. Gli effetti personali, con il denaro e gli altri oggetti preziosi, stavano in una borsa ( marsupium), assicurata alla cintura. Infine, quand’era necessario muoversi armati, una corta daga o un bastone servivano, oltre che alla difesa personale, anche da appoggio lungo i sentieri più impervi o nell’attraversamento dei torrenti.