La vertigine di Leonelli Il sapere e la necessità di classificazione sono difficilmente disgiunti. La conoscenza deve attingere le proprie risultanze ma ha poi la necessità di rappresentarle. Di seguito ha il problema di come ordinarle. La pittura, nel suo fare antico, costeggia queste prassi, laddove il quadro o l’insieme polittico di scene, intesi come raffigurazioni di verità divina, sono di per sé contenitori di sapere e, dunque, di classificazioni. I vasti e innumerevoli giudizi universali che l’arte ci ha lasciato, sparsi tra tele, affreschi, bassorilievi, sono esempi di ordinamenti visivi delle virtù e dei vizi e, conseguentemente, tavole morali dei premi e dei castighi. La curiosità e dedizione all’affollata casistica della famiglia umana, dell’ “individuo volgare”, della storia o della natura, riverberate ora dalle religioni, dalle filosofie, ora dalle inedite angolature di personalità franche e radicalmente laiche, possono dirsi i motori di grandi opere dell’arte, includendo tra queste capolavori della letteratura, della poesia, del pensiero. Nell’arte contemporanea la suggestione a fare dell’opera una casistica ammirevole quanto programmaticamente fallimentare, non si esaurisce ma si trasforma in immani e splendidamente inconcludenti regesti formali: le biblioteche di piombo e i palazzi celesti di Anselm Kiefer, i memoriali installativi di Christian Boltanski, i giardini catalografici di divenienti morfologie in pigmento di Anish Kapoor, i plastici di innumerevoli violenze miniaturizzate di Jake e Dinos Chapman e via dicendo. La “vertigine della lista” per citare in flagranza di prospettive un recente saggio di Umberto Eco, continua ad essere il geniale disturbo compulsivo a cui si deve parte di quello che chiamiamo sapere e delle forme in cui questo si palesa. L’opera artistica di Luca Leonelli, coltivata in parallelo all’architettura, va dunque letta sulla falsariga di queste traiettorie culturali ed elettive che fanno di lui da un lato un beato anacronista, isolato nel panorama dell’arte attuale (non: contemporanea) impegnata alla ripetizione non per ricerca ma piuttosto per ragioni di mercato o stanchezza epocale; dall’altro un sardonico e consapevole prosecutore di prassi, teorie e tecniche essenziali alla storia quanto all’auspicabile futuro dell’arte. E tra queste, tre premesse di fondo: l’arte forma la conoscenza; la conoscenza a cui l’arte dà forma è labirinto e vertigine; ogni opera d’arte autentica contiene una leva ironica, la si azioni o meno. Specchio multiplo di queste ragioni tradotte in forme e borgesiano giardino di visioni che si biforcano e triforcano, la mostra che Palazzo Ducale presenta nella galleria d’arte contemporanea è l’esito di un necessario quanto impossibile lavoro di selezione, esemplare ma parziale, che l’artista e il curatore hanno praticato su una mole enorme di disegni, acquerelli, dipinti, libri d’artista, bozzetti, schizzi, lastre, acqueforti, disegni depositati nel tempo da una quieta febbre produttiva, in cui la quantità, diversamente dal solito, è una componente non secondaria della qualità del pensiero reso in opera, essendo quel pensiero e parimenti quell’opera, scrutanti un abisso che, rammentando Nietzsche, finisce col restituire lo sguardo, pervadendoci. La felicità dionisiaca della mano di Luca Leonelli, la dovizia del suo pennello rapsodico e narrante, esibiscono così una antropologia visiva declinata in particolare sullo studio moltiplicato del soma, che incasella la moltitudine della singolarità e la affida poi alla cancellazione sgocciolata della forma. L’attenzione dell’artista si sparge quindi su una carnosa indagine dei corpi esente da prudenza estetica e inoltrata nel recupero anatomico e grottesco della “piega” barocca, e si installa nel rettilineo prodigale dei magnifici rotoli che riprendendo l’impianto narrativo del papiro e poi dell’arazzo – precedente inevitabile quello normanno di Bayeux – si fanno via via deriva di un’immaginazione fluviale, incurante e sorrisiva. La ricerca documentata in mostra prosegue infine nell’approdo al quadro, inteso come composizione perfetta ed enigmatica, dove la pittura, la pura pittura capace di estendere agli occhi l’opera che basta a sé e include scena e metacognizione, ragione critica e formalizzazione, segreto visivo e coordinate di lettura, stabilità dell’immagine e ridente aggressione intellettuale, torna e rivelarsi come il codice d’elezione di questo artista sommerso nella fruttifera catastrofe colorata di una incontenibile visione. Paolo Donini Città di Pavullo nel Frignano Assessorato alle Attività Culturali Gallerie Civiche di Palazzo Ducale Luca Leonelli Uomologia appunti di un antropologo visivo acquerelli, carte, rotoli, oli a cura di Paolo Donini 16 maggio – 28 giugno 2015