UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA Facoltà di Scienze della formazione primaria Corso di laurea in Scienze dell’educazione Bambini e adolescenti con ADHD: il campus come esperienza educativa Relatore: Prof. Ivano Gamelli Tesi di Laurea di: Luca Monetti Matr. N. 784981 Anno Accademico 2015/2016 Indice Introduzione pag. 4 1. Disturbo da Deficit d’Attenzione e Iperattività (ADHD) pag. 5 1.1 Definizione di ADHD pag. 5 1.2 Epidemiologia del disturbo pag. 5 1.3 Comorbilità pag. 6 1.4 Manifestazione pag. 8 1.5 Diagnosi pag. 10 1.6 Strumenti di valutazione per la diagnosi pag. 13 1.6.1 I questionari pag. 14 1.6.2 Le interviste pag. 15 1.6.3 Test cognitivi e neuropsicologici pag. 15 1.7 Modelli d’intervento terapeutico pag. 16 1.7.1 Terapia psico-comportamentale pag. 17 1.7.2 Terapia farmacologica pag. 18 1.7.3 Terapie combinate e alternative pag. 19 2. Il campus estivo “AIFA Onlus” pag. 20 2.1 L’AIFA Onlus pag. 20 2.2 Campus AIFA: nascita e finalità pag. 20 2.3 L’esperienza dei campus pag. 21 2.3.1 Campus Judo e Avventura pag. 23 1 2.3.1.1 La giornata tipo pag. 27 2.3.1.2 Le attività del mattino pag. 28 2.3.1.3 Le attività del pomeriggio pag. 29 2.3.2 Campus Natura e Avventura pag. 30 2.3.2.1 Giornata tipo pag. 32 2.3.2.2 Onoterapia pag. 32 2.4 Approcci e strategie pag. 35 2.4.1 Token Economy pag. 36 2.4.2 Momento delle Letterine pag. 36 2.4.3 Time-out pag. 37 2.4.4 Le regole del campus pag. 38 2.4.5 L’approccio educativo pag. 38 Conclusioni pag. 39 Bibliografia pag. 42 Sitografia pag. 43 Ringraziamenti pag. 45 2 Tutti mi dicono: “ogni volta che sbagli apprendi una lezione”. C’è un problema: è difficile che io conservi memoria degli errori esattamente come non conservo memoria dei successi. L’ADHD NON E’ UNA GIUSTIFICAZIONE E’ UNA REALTA’. Perciò, non rammentarmi i miei fallimenti: invece ricordami e ricordati i miei successi. Forse così riuscirò a ricordarmene anche io. -cit. Anonimo- 3 Introduzione La decisione di scrivere l’elaborato finale sull’argomento ADHD, nasce dalla mia esperienza personale che mi ha portato ad affrontare i problemi legati a questo disturbo, in quanto mi è stato diagnosticato all’età di 12 anni. In quegli anni l’ADHD non era conosciuto in Italia, ci etichettavano come ragazzi “disturbati”, maleducati, con comportamenti inadeguati e infantili; questo ha fatto sì che io abbia avuto tantissime difficoltà a relazionarmi con i miei coetanei sia a scuola sia in altri contesti. In questi ultimi anni le Istituzioni, come la scienza hanno fatto molti progressi, infatti oggi l’ADHD è riconosciuto come disturbo, questo sicuramente anche grazie al lavoro di associazioni di genitori che hanno sensibilizzato le Istituzioni sui disagi e sui problemi che incontrano quotidianamente le persone affette da questo disturbo. Inoltre si è verificata una maggiore consapevolezza da parte di genitori ed insegnanti, i quali hanno capito che si tratta di un disturbo reale e non di mancanze di attenzioni da parte della famiglia. Purtroppo ancora oggi i ragazzi ed i bambini con questo disturbo raramente ricevono le attenzioni e le cure adeguate e spesso sono ancora etichettati come “ragazzi difficili”. Nel 2007 il Ministero della Salute ha pienamente riconosciuto l’ADHD come disturbo neuropsichiatrico dell’età evolutiva e nel 2013 ha esteso il riconoscimento anche all’età adulta, nonostante tali progressi, le informazioni accreditate come scientificamente corrette spesso vengono offuscate dai movimenti ideologici italiani. Tali movimenti non danno importanza alla psichiatria, la ritengono una scienza “appartenente ad un Dio minore”, in particolar modo ritengono l’ADHD frutto di un errata educazione da parte delle famiglie. Poiché questi movimenti sono presenti trasversalmente in molte realtà politiche, culturali e sociali, il lavoro congiunto di associazioni e di professionisti della Sanità Pubblica e privata è reso molto difficile, in quanto incontrano molti ostacoli. Il mio elaborato ha lo scopo di essere una testimonianza della mia esperienza personale, delle difficoltà che ho affrontato e dei successi che sono riuscito ad ottenere. Le esperienze più significative sono stati i campus estivi organizzati dall’AIFA onlus, trattati ampiamente nel presente lavoro. Attraverso queste esperienze ho potuto cogliere l’importanza delle strategie educative utilizzate correttamente con questi ragazzi. Le attività proposte e pensate ad hoc, unite ad attività ludico-sportive, hanno permesso ai ragazzi di trascorrere un periodo sereno, fuori dai soliti contesti di isolamento sociale causato dal loro disturbo, in compagnia di altri ragazzi con problematiche simili ma soprattutto in un contesto protetto e di assoluta accettazione senza pregiudizi. Queste esperienze hanno fatto maturare in me il desiderio di occuparmi di ragazzi che vivono le stesse difficoltà che ho dovuto affrontare io e di aiutarli a diventare più autonomi, riuscire ad integrarsi meglio nella società. Ecco da dove è nata la mia decisione di diventare educatore. 4 1 Disturbo da Deficit d’Attenzione e Iperattività (ADHD) 1.1 Definizione di ADHD L’ADHD (Attention-Deficit and Hyperactivity Disorder) è un disturbo neurocomportamentale più frequente nei bambini, ed è un’etichetta diagnostica che viene utilizzata per descrivere bambini che presentano una serie di problemi, le cui manifestazioni più evidenti sono la difficoltà di mantenere l’attenzione e controllare l’impulsività e il movimento. Questo disturbo colpisce molti bambini in età scolare, ed è uno dei più studiati nell’infanzia. Poiché non si manifesta attraverso specifici tratti fisici, e a livello sociale è scarsamente conosciuto, il bambino con ADHD spesso non viene riconosciuto come tale, anzi, spesso le insegnanti li classificano come “troppo vivaci, difficili da gestire, fannulloni e bambini che hanno grandi potenzialità ma non si applicano abbastanza”. Le manifestazioni comportamentali e le principali caratteristiche di questo disordine neurobiologico sono iperattività, impulsività e disattenzione, che possono essere diversamente combinate tra loro, e possono generare bassa autostima, difficoltà scolastiche e relazionali (Raishevic, 2000). Infatti i bambini con ADHD presentano un’evidente difficoltà a mantenere l’attenzione o a lavorare su uno stesso compito per un periodo di tempo prolungato, non riescono a seguire le istruzioni date, sono disorganizzati e sbadati quando svolgono le loro attività; inoltre, si fanno distrarre facilmente dai compagni o da rumori occasionali e raramente riescono a completare un compito in modo ordinato. 1.2 Epidemiologia del disturbo “Il disturbo dell’ADHD è oggi tra i disturbi comportamentali dell’infanzia e dell’adolescenza più frequentemente diagnosticati; si stima, a livello mondiale, che si attesta attorno al 5-10% in età scolare, 2-6% negli adolescenti, 2% negli adulti, ed è frequente che ci sia una sottodiagnosi. Inoltre si può stimare che circa il 70% dei pazienti con ADHD presenti delle comorbilità, ovvero patologie associate (disturbo dell’umore, disturbo oppositivo-provocatorio, disturbo della condotta, disturbi specifici di apprendimento e linguaggio).”1 Secondo l’Istituto Superiore della Sanità la prevalenza del disturbo è maggiore nei maschi che nelle femmine, con un rapporto M/F che va da 3:1 a 10:1. “In Italia la prevalenza media sembra essere del 4%, inferiore a quella registrata negli USA.”2 Riguardo alle cause di una tale diversità tra maschi e femmine, in passato si riteneva che le femmine esibissero minori sintomi di impulsività e 1 2 A.I.F.A. Onlus Associazione Italiana Famiglie ADHD. Ibidem. 5 di condotta deviante e allo stesso tempo manifestassero maggiori deficit cognitivi e difficoltà di apprendimento; ma in realtà, recenti ricerche hanno consentito di abbandonare questa ipotesi. Maschietto3, uno dei maggiori esperti di ADHD in Italia, ha condotto un recente studio, in Veneto, dove ha esaminato 2503 soggetti (10,8% della popolazione pediatrica) mediante una valutazione clinica per sospetti disturbi dello sviluppo ed è risultato che in 286 soggetti (1,2%) era presente il disturbo ADHD. Solo 20 su 286 pazienti (7,0%) hanno ricevuto il farmaco nell’ambito di un trattamento multimodale e 186 solo un trattamento psico-comportamentale. È stato riscontrato che nel 2010 i soggetti con ADHD erano 263 (1,1%) su una popolazione di età 6-18 anni di 24.650 individui in Itala. 1.3 Comorbilità Come detto in precedenza, almeno il 70% dei soggetti con ADHD ha un disturbo associato. Queste comorbilità individuano dei sottogruppi più omogenei di soggetti che sotto uno sguardo clinico hanno fenomenologia e gravità diverse, per quanto riguarda il punto di vista prognostico sono a diverso rischio di sviluppare psicopatologie più gravi, e dal lato terapeutico probabilmente rispondono in maniera parzialmente diversa ai trattamenti e di conseguenza richiedono specifiche strategie di intervento. Lo studio delle comorbilità è utile per comprendere la storia naturale dell’ADHD dal bambino all’adulto, poiché la tipologia dei disturbi associati è probabilmente diversa nelle diverse fasi della vita. Gli stessi tratti principali (iperattività, impulsività, disturbo dell’attenzione), ad intensività diversa, possono essere parte integrante del quadro clinico dell’ADHD oppure essere presenti in quadri clinici associati all’ADHD, o ancora essere presenti in disturbi che simulano l’ADHD, entrando quindi in diagnosi differenziale con esso. Un disturbo del comportamento può rientrare nel quadro ADHD, ma può essere anche un disturbo autonomo (disturbo oppositivo-provocatorio o disturbo della condotta) ed associato in comorbilità all’ADHD. Anche se teoricamente è possibile tracciare una sorta di confine tra queste tre possibilità, in una realtà clinica questo processo non sempre è agevole. Il processo diagnostico è ancora più complicato quando riguarda i disturbi emotivi quali i disturbi dell’umore (depressione o disturbo bipolare) o d’ansia. Questa situazione è resa complicata dal fatto che gli stessi disturbi che si associano più frequentemente all’ADHD sono anche quelli che più frequentemente entrano in diagnosi differenziale con esso ed esercitano un’azione di “mascheramento” dell’ADHD. Questo spiega una gran parte della sottodiagnosi dell’ADHD. 3 Neuropsichiatra infantile e neurologo, è responsabile dell'Unità operativa di neuropsichiatria infantile ULS n. 10 Regione Veneto, docente del corso di perfezionamento in Psicopatologia dell'apprendimento dell'Università di Padova e del medesimo corso presso l'Università di San Marino. 6 Di conseguenza i bambini con ADHD, quando non sono considerati “vivaci” o con un disturbo reattivo a fattori ambientali (familiari o sociali), vengono diagnosticati solamente sulla basa del disturbo in associazione (ansia, depressione, comportamento, apprendimento, personalità, ecc.). Una diagnosi più attenta e curata e che metta in evidenza tutte le diverse componenti del quadro clinico consentirebbe di evitare questo rischio. Questi aspetti sono in parte un rimando della incertezza dei confini della sindrome ADHD, ovvero del suo “fenotipo”, e che spinge ancora a chiedersi che cos’è da considerare parte integrante dell’ADHD e cosa no. Infatti se le caratteristiche principali dell’ADHD (disturbo dell’attenzione, iperattività, impulsività) sono sufficientemente definiti, altri aspetti come il disturbo del comportamento, la difficoltà di relazionarsi con gli altri, la disregolazione del tono dell’umore, la fragilità del controllo emotivo, la compromissione del funzionamento scolastico fino a che punto possono rientrare nel quadro clinico (sotto forma di aggressività, demoralizzazione e/o eccitazione, stato di tensione soggettiva, difficoltà nel rendimento scolastico)? E da che punto in poi possono essere considerate condizioni associate in comorbilità o addirittura condizioni che mimano un ADHD (disturbo oppositivo-provocatorio o della condotta, disturbo depressivo o manicale, disturbo d’ansia, disturbo dell’apprendimento)? A tal proposito si posso sottolineare diverse possibilità nel rapporto tra ADHD e disturbi associati, che non obbligatoriamente si escludono l’una con l’altra: - tali quadri clinici non rappresentano condizioni associate, ma espressioni diverse dello stesso disturbo ADHD, dovute a variabilità del fenotipo; - esistono diversi sottotipi nella eterogenea sindrome di ADHD, che giustificano la multiformità della espressione clinica; - i sintomi che osserviamo sono riferibili a disturbi diversi ed indipendenti (ADHD, disturbo della condotta, disturbo depressivo), tra loro in comorbilità; - i disturbi sono tra loro diversi ed indipendenti, ma la loro frequente associazione è legata alla presenza di una vulnerabilità comune (genetica e/o ambientale); - l’ADHD rappresenta una precoce manifestazione del disturbo associato che può comparire successivamente; - l’ADHD rappresenta una condizione preesistente in grado di aumentare il rischio di comparsa di altri disturbi in fasi successive. Lo studio della comorbilità ci permette di identificare dei raggruppamenti più omogenei di soggetti, con l’obiettivo di precisare meglio le prognosi e gli interventi. Per esempio il fatto di avere dei soggetti con ADHD associato a disturbi internalizzati (come ansia o disturbi dell’umore), oppure associato a disturbi esternalizzati (come il disturbo della condotta), o ancora associato ad entrambi (ADHD + ansia + disturbo della condotta) ci permette di riconoscere tre diversi percorsi evolutivi e rispondere ai diversi trattamenti. 7 1.4 Manifestazione La manifestazione di questo disturbo può avvenire in più contesti di vita, da quello scolastico a quello familiare o dal gruppo dei pari in epoca molto precoce. In età prescolare infatti, è già possibile distinguere alcune caratteristiche “identificative” del disturbo. E, anche se non è possibile fare una vera diagnosi prima dell’età scolare (come definito nel DSM-V), ai fini di un trattamento efficace, è comunque molto importante il ruolo della prevenzione e la necessità di identificare le caratteristiche del disturbo ADHD fin dalle sue prime manifestazioni. Durante gli anni della scuola materna il bambino con ADHD rimane molto attivo e dimostra un comportamento poco maturo rispetto alla sua età, sebbene abbia un’intelligenza uguale o superiore ai suoi coetanei. Il DSM-V prevede le seguenti caratteristiche descrittive del disturbo: 1. Disattenzione: si può manifestare con diverse forme come la persistenza alla distrazione, difficile ripresa dell’attività o di un compito dopo un evento disgregativo, dimenticanze nelle attività importanti, perdita di oggetti significativi, difficoltà nel concentrarsi e nello svolgere compiti o attività mentalmente impegnative, distraibilità, difficoltà in: attenzione sostenuta (ovvero per lunghi periodi), attenzione selettiva (la capacità di “scegliere” lo stimolo che ci interessa), attenzione divisa (saper controllare attentivamente due o più situazioni), shift d’attenzione (spostamento rapido del focus attentivo da uno stimolo ad un altro). 2. Iperattività: è l’incapacità di stare fermi e la continua manipolazione di oggetti, l’uso della parola in modo frequente e molto spesso in modo inopportuno, il non riuscire a rimanere seduti quando viene richiesto, difficoltà a giocare in modo adeguato e irrequietezza, difficoltà nel rispettare regole, tempi e spazi. I sintomi dell’iperattività vengono solitamente osservati a partire dell’età di quattro anni, e aumentano nei successivi tre-quattro anni, dove si manifesta il picco dei comportamenti iperattivi, per intensità e ricorrenza. Ma questa iperattività motoria diminuisce durante l’adolescenza, fino a diventare impercettibile, sostituita da un’inquietudine più interiorizzata. 3. Impulsività: è caratterizzata da impazienza eccessiva e da difficoltà nel rispettare il proprio turno, rispondere prima che la domanda sia stata completata (DSM IV-TR, APA, 2009), comportamento motorio o verbale incongruo e inopportuno, comportamento inadeguato, incapacità di inibire le risposte, interruzione o intromissione in attività di altri, tendenza a fare del male senza volerlo. Solitamente i sintomi dell’impulsività sono correlati a quelli dell’iperattività, ma sono più influenzati dalle situazioni ambientali e sono persistenti nel tempo. Gli adolescenti con ADHD, che non vengono sottoposti a nessun tipo di trattamento, e che vivono in un ambiente in cui alcool e stupefacenti sono facilmente reperibili, sono i casi più a rischio di uso e/o abuso di droga e alcool. 8 Il DSM-IV mette l’ADHD per la prima volta tra i disturbi diagnostici nell’infanzia e nell’adolescenza, e indica tre sottotipi a seconda della caratteristica sintomatologica predominante negli ultimi sei mesi. 1. Sottotipo disattento: un soggetto che presenta almeno sei dei nove sintomi appartenenti alla categoria “disattenzione” e non manifesta impulsività/iperattività; 2. Sottotipo iperattivo-impulsivo: se presenta solo sei dei nove sintomi che appartengono alla categoria “iperattività – impulsività” ma non manifesta particolari difficoltà di attenzione; 3. Sottotipo combinato: se presenta entrambe le problematiche. (DSM-IV TR, APA, 2009) Qui sotto riporto un grafico riferito ad uno studio americano che riguarda la prevalenza dei sottotipi dell’ADHD. Figura1: Approximate Prevalence Distribution of the Subtype of ADHD È stato riscontrato che i soggetti con la diagnosi di sottotipo disattento appaiono più ansiosi e frequentemente presentano disturbi dell’umore, ovvero sono più timidi e ritirati socialmente. Quelli con diagnosi sottotipo combinato e sottotipo iperattivo-impulsivo si oppongono più frequentemente alle richieste che gli vengono poste, a volte presentano aggressività e nel 30% dei casi ricevono una seconda diagnosi di disturbo oppositivo-provocatorio e/o disturbo della condotta. 9 1.5 Diagnosi Il primo passo da compiere per diagnosticare l’ADHD è effettuare una valutazione adeguata del bambino, attraverso la consultazione dei parametri del DSM-IV, tale operazione deve essere svolta da operatori della salute mentale dell’età evolutiva con specifiche competenze sulla diagnosi, sulla terapia dell’ADHD e su altri disturbi che possono mimare i sintomi (diagnosi differenziale) o che possono associarsi ad esso. Tale diagnosi è essenzialmente clinica e si basa sull’osservazione e la raccolta dei dati da fonti multiple. Coinvolge, oltre al bambino, i genitori, gli insegnanti e le altre figure educative di riferimento. I dati raccolti sono informazioni riguardanti il comportamento e la compromissione funzionale del bambino e deve essere sempre considerato anche l’ambiente di vita: fattori socio-culturali della famiglia, unità o separazione dei genitori, condizioni di malattia, economiche e/o altri elementi che possano influire negativamente sullo sviluppo del bambino. Per la raccolta di tali informazioni vengono utilizzati diversi strumenti diagnostici: questionari (come Scale Conners per genitori e insegnanti, SDAI e SDAG, ADHD-RS e molti altri), interviste diagnostiche (esempio le Kiddie-SADS). I diversi strumenti per la raccolta di dati sono integrati in modo da fornire informazioni sia sulla specifica sintomatologia dell’ADHD sia su aspetti emotivi e comportamentali diversi che possano condurre a formulare altre diagnosi o diagnosi di disturbi presenti in comorbilità (es. disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, disturbi della condotta). La diagnosi dell’ADHD risulta spesso complessa perché la manifestazione dei processi attentivi e dei comportamenti impulsivi e iperattivi è influenzata da fattori esterni che rendono “variabili” tali comportamenti. Alcuni fattori, individuati dal Russell A. Barkley4 sono: - il momento della giornata o la fatica accumulata durante il giorno; - l’aumento della complessità del compito che richiede di attuare strategie più sofisticate; - l’aumento di regole e limiti di un determinato ambiente al comportamento del soggetto; - il livello di stimolazione nel setting in cui opera il soggetto; - le conseguenze immediate, positive o negative (rinforzi o punizioni) associate al compito; - la presenza di un supervisore adulto nell’esecuzione dell’attività. Di conseguenza sono molto significative le procedure diagnostiche di tipo qualitativo e descrittivo che favoriscono una valutazione dei comportamenti del soggetto con ADHD in diverse situazioni e contesti di vita. Le difficoltà di diagnosi aumentano quando i soggetti ADHD sono in età prescolare: in questo periodo, infatti, la distraibilità, la disattenzione, l’impulsività e l’iperattività sono normali manifestazioni dell’età e non è semplice definire un confine tra la normalità e l’eccesso di tali manifestazioni. Inoltre, qualsiasi bambino o adolescente può presentare, in specifici contesti o situazioni, comportamenti citati prima: è fondamentale quindi riferirsi ai criteri definiti 4 Dr. Russell A. Barkley è un professore di psichiatria clinica presso la Medical University of South Carolina a Charleston. 10 dall’American Psychiatric Association5 del DSM-IV, manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, dove si parla di vero disturbo, e quindi si può fare una diagnosi, quando tali comportamenti: - si manifestano in molteplici contesti, sono pervasivi; - sono presenti per almeno sei mesi e interferiscono con le attività quotidiane; - sorgono in modo precoce, prima dei setti anni; - compromettono la carriera scolastica, lavorativa e sociale; - si contrappongono al tipico sviluppo del bambino; - non vengono spiegati più adeguatamente con un altro disturbo. L’ADHD è una modalità persistente di disattenzione e/o iperattività che interferisce con il funzionamento o lo sviluppo. Secondo il DSM-IV per elaborare una diagnosi, i soggetti devono presentare i sintomi descritti per almeno sei mesi e in almeno in due contesti, ed è necessario che queste manifestazioni siano comparse prima dei dodici anni e che compromettano il rendimento scolastico/lavorativo e sociale. Naturalmente, trattandosi di un disturbo del neurosviluppo, i sintomi sono già presenti dalla prima infanzia. Il DSM V, però, impone di stabilire una diagnosi solo quando il bambino è già in età scolare (in modo che emergano con chiarezza i suoi deficit cognitivi nelle prestazioni scolastiche) ed ha già un’età che consente di escludere che si tratti di manifestazioni di distraibilità/vivacità infantili. Questo per evitare “falsi positivi”. Criteri diagnostici per il disturbo da deficit di attenzione e iperattività Disattenzione: - spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazioni ne compiti scolastici, sul lavoro o in altre attività; - spesso ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco; - spesso non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente; - spesso non esegue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze o i doveri sul proprio lavoro (non a causa di comportamento oppositivo o di incapacità di capire le istruzioni); - spesso ha difficoltà nel organizzarsi nei compiti e nelle attività; - spesso evita, prova avversione o è riluttante a impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale protratto (come compiti a scuola o a casa); - spesso perde gli oggetti necessari per i compiti o le attività (es: giocattoli, compiti di scuola, matite, libri o strumenti); 5 A.P.A. American Psychiatric Association. 11 - spesso è facilmente distratto da stimoli esterni; - spesso è sbadato nelle attività quotidiane. Iperattività: - Spesso muove con irrequietezza mani o piedi o si dimena sulla sedia; - spesso lascia il proprio posto a sedere in classe o in altre situazioni in cui ci si aspetta che resti seduto; - spesso scorrazza e salta dovunque in modo eccessivo in situazioni in cui ciò è fuori luogo (negli adolescenti o negli adulti, ciò può limitarsi a sentimenti soggettivi di irrequietezza); - spesso ha difficoltà a giocare o a dedicarsi ad attività divertenti in modo tranquillo; - è spesso “sotto pressione” o agisce come se fosse “motorizzato”; - spesso parla troppo. Impulsività: - spesso “spara” le risposte prima che le domande siano state completate; - spesso ha difficoltà ad attendere il proprio turno; - spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (es: si intromette nelle conversazioni o nei giochi). (DSM IV-TR, APA, 2009) In conclusione, la diagnosi viene formulata attraverso un processo costituito in primo luogo da una colloquio clinico con i genitori cui seguono la compilazione di scale di valutazione sul comportamento, un esame obiettivo di tipo neurologico ed eventuali test di neuropsicologici. 1. Colloquio clinico: serve per capire se la presenza dei sintomi soddisfa o meno i criteri diagnostici dell’ADHD definiti dal DSM-IV. 2. Scale di valutazione: fondamentalmente utili per analizzare le informazioni provenienti da altre fonti: bambino, genitori, insegnati e altri caregivers. Servono per comprendere la diffusione e l’entità dei sintomi. 3. Esame obiettivo: consente di individuare problematiche neurologiche (atassia, difetti sensoriali), endocrinologiche (ipertiroidismo) e intossicazioni da metalli pesanti, sono tutti effetti che sono provocati da abuso di sostanze che posso mimare l’ADHD. I questionari fatti compilare ai genitori e agli insegnanti sono estremamente utili per descrivere il comportamento del bambino nel suo ambiente abituale. L’osservazione effettuata solo in un ambiente ambulatoriale, infatti, può essere fuorviante poiché il comportamento del bambino in questo ambiente è molto differente da quello solito. 12 1.6 Strumenti di valutazione per la diagnosi Come precedentemente affermato, il primo passo per effettuare una diagnosi consiste nella raccolta di informazioni provenienti da fonti multiple (insegnanti, genitori, educatori, familiari, ecc...) utilizzando strumenti standardizzati. Presentare questionari ai genitori e agli insegnanti può essere per il professionista un utile supplemento. I questionari consentono di ottenere informazioni sistematiche anche se presentano il limite dell'incertezza sulle modalità di valutazione da parte dei genitori o degli insegnanti, ossia: i compilatori non sempre riescono a differenziare i comportamenti del bambino. Alcuni genitori tendono ad esagerare sintomi minori, altri possono avere timore ad ammettere le difficoltà del bambino per paura di indurre a pensare ad una loro possibile carenza educativa nei confronti dei figli. In conseguenza ai problemi sopraelencati, nonostante l'uso dei questionari sia utile, è comunque indispensabile una comunicazione verbale diretta con i genitori, con gli insegnanti e con il bambino. Oltre ai questionari, i principali strumenti a disposizione del professionista per effettuare diagnosi di ADHD sono interviste, osservazione strutturata e test cognitivi e neuropsicologici. La BIA6 è una raccolta di alcuni tra i principali strumenti utilizzati in Italia con lo scopo di aiutare il professionista nel difficoltoso e delicato processo diagnostico dell'ADHD. Consiste in 7 test e una serie di questionari che sono stati valutati come significativi per individuare e indagare i problemi dell'ADHD. Sono tutti adattamenti di procedure già collaudate e che vengono raccomandate per la loro utilità. Non necessariamente il professionista deve utilizzare tutti gli strumenti con ogni bambino, può anche scegliere solo quelli più appropriati in base alle esigenze. La Batteria include cinque categorie di strumenti: - questionari per la valutazione del comportamento del bambino nei suoi principali contesti di vita, casa e scuola (SDAI, SDAG, SDAB e COM); - test per la valutazione dell’attestazione sostenuta visiva e uditiva (CP e TAU); - test per la valutazione del comportamento impulsivo (MF); - test per la valutazione dei processi di controllo (Test delle Ranette, Test di Stroop e Completamento Alternativo di Frasi); - 6 7 test di Memoria Strategica Verbale (TMSV)7. BIA Batteria Italiana per l’ADHD. G. M. Marzocchi – A. M. Re – C. Cornoldi, Op. cit., pp. 14 – 15. 13 1.6.1 I questionari Le principali scale utilizzate in Italia per l'individuazione dei comportamenti tipici dell'ADHD sono le scale SDA, Scale per l'individuazione di comportamenti di disattenzione e iperattività in età scolare: SDAI per gli insegnanti, SDAG per i genitori, e SDAB per i bambini. Sono state realizzate per essere somministrate a genitori, insegnanti e bambini, con lo scopo di ottenere in poco tempo un quadro del comportamento del bambino nei diversi contesti di vita, principalmente casa e scuola. La somministrazione della scala al bambino stesso ha invece lo scopo di indagare il suo punto di vista. Le scale sono state elaborate nel 1996 da Cornoldi e strandardizzate dallo stesso assieme a Marzocchi nel 2000. Le SDAI e SDAG fanno riferimento alle indicazioni del DSM-IV e contengono 18 item, 9 sulla Disattenzione (item dispari) e 9 sull'Iperattività (item pari), ai quali il genitore o l'insegnante deve rispondere dando una valutazione da 0 a 3, dove 0 = mai; 1 = qualche volta; 2 = abbastanza spesso; 3 = molto spesso.8 La scala SDAB, che fornisce la valutazione del bambino, è formata da 14 item e, a differenza delle precedenti, non segue esattamente la descrizione del DSM in quanto gli item sintomatici presentati sono sia negativi che positivi. Le scale SDA sono di facile somministrazione e molto concise ma non possono essere considerate sufficienti per stabilire la presenza del disturbo, vanno inoltre integrate con ulteriori informazioni in quanto molti bambini, nonostante non ne siano affetti, presentano sintomi dell’ADHD. Per evitare ciò sono state elaborate altre scale. Tra le più utilizzate di sono: - Le scale COM che completano il quadro del bambino in quanto permettono la raccolta di indizi riguardo eventuali comorbilità con l' ADHD.9 - Le Scale di Conners, anch'esse molto utilizzate, anche a livello internazionale, che hanno la caratteristica di essere, significativamente specifiche non solo per la valutazione dei sintomi dell'ADHD ma anche per altre caratteristiche come: labilità emotiva, perfezionismo, ansia, problemi relazionali, disturbi psicosomatici. La versione con 80 item è rivolta ai genitori, mentre quella da 59 agli insegnanti. Nonostante la diversa quantità di item le due scale sono sostanzialmente molto simili.10 Altre scale utilizzate per la raccolta di informazioni sono le ADHD Rating Scale–IV delle quali esiste una versione italiana curata da Marzocchi e Cornoldi, le Snap – IV che consentono di valutare anche il disturbo della condotta, l'ICD-10/DSM-IV Questionnaire.11 8 Ivi p. 92. G. M. Marzocchi – A. M. Re – C. Cornoldi, Op. cit, p.10. 10 C. Cornoldi, Op. cit., pp. 241 – 242. 11 Società Italiana Di Neuropsichiatria Dell'infanzia e Dell'adolescenza (SINPIA), Op. cit., p. 15. 9 14 L'importanza principale data da tutti i questionari non è tanto sul numero dei sintomi ma sulla loro consistenza, difatti nei test oltre a venire chiesto se un dato comportamento è presente o meno, viene anche chiesto di valutarne, con un punteggio che va da 0 a 3 o 4, la frequenza o la gravità.12 Bisogna inoltre sottolineare che queste scale di valutazione compilate dai genitori, dagli insegnanti o dallo stesso bambino, non consentono, da sole, di formulare una diagnosi funzionale, le informazioni ottenute sono utili come complementi diagnostici, per valutarne l'andamento o la risposta ai trattamenti.13 1.6.2 Le interviste Le interviste hanno come fine principale quello di verificare l'attendibilità delle informazioni fornite da genitori e insegnanti riguardo il comportamento del bambino attraverso i questionari, cercando di differenziare le impressioni e le valutazioni soggettive.14 Modelli di interviste utili per la diagnosi di ADHD in lingua originale italiana non esistono ma sono disponibili versioni tradotte. Le più utilizzate in Italia sono: la Schedule of affective disorders and schizophrenia di Joan Kaufman per indagare su problematiche emotive e la Diagnostic interview for children and adolescents (DICA) di Wendy Reich per valutare tutte le psicopatologie infantili e adolescenziali in modo omogeneo.15 La Schedule for affective disorders and schizophrenia (Kiddie-SADS) di Joan Kaufman è l'unica ad essere stata adattata e pubblicata in italiano. La DICA è un'intervista strutturata della quale esistono diverse versioni: una per bambini da 6 a 12 anni, una per adolescenti ed un'altra versione per i genitori. L'intervista ha inizio con una raccolta di informazioni riguardanti il funzionamento del soggetto a scuola, con gli amici e nelle attività extrascolastiche, includendo anche una sezione relativa alle problematiche psicosociali. Il punteggio finale si limita a valutare la gravità dei sintomi. 1.6.3 Test cognitivi e neuropsicologici La valutazione neuropsicologica ha lo scopo di ottenere conferme per la diagnosi, delineare il profilo funzionale, effettuare una diagnosi differenziale e creare le premesse per l'intervento riabilitativo cognitivo nel caso venisse previsto.16 12 C. Cornoldi, Op. cit., pp. 241 - 242. Ivi, p.15. 14 Ibidem. 15 G.M. Marzocchi – A. M. Re - C. Cornoldi, Op. cit., p. 57. 16 G.B. Camerini – U. Sabatello – G. Sartori – G. Sergio, La valutazione del danno psichico nell'infanzia e nell'adolescenza, Giuffrè Editore, Milano, 2011, p. 202. 13 15 Il panorama di test disponibili al professionista è molto vasto, ma non ne esiste uno capace di stabilire con certezza la presenza del disturbo. Le aree indagate tramite i test riguardano: - le abilità cognitive (QI); - l’attenzione; - la pianificazione e l’uso di strategie; - l’inibizione dei comportamenti impulsivi.17 1.7 Modelli d’intervento terapeutico Alla diagnosi di ADHD segue l’intervento terapeutico. L’obiettivo non è quello di eliminare completamente i sintomi, ma di sviluppare un benessere psico-fisico che dipenda anche dalle relazioni con i genitori e con gli insegnanti. Il concetto di benessere qui inteso, non è quello di assenza di malattia, ma un benessere che fa riferimento al modello bio-psico-sociale, ossia un benessere della persona che riguarda la salute fisica, mentale e sociale. A tal proposito esistono tre tipi di intervento terapeutico: - psico-comportamentale; - farmacologico; - combinato (psico-comportamentale e farmacologico). Poiché l’ADHD è un disturbo pervasivo e cronico, è necessario che i trattamenti siano estesi anche ai diversi contesti di vita del bambino, specialmente scuola e famiglia, in modo intensivo e prolungato: un ciclo o due di trattamento non si può considerare sufficiente, me è bene che lo accompagnino durante la sua crescita. Infatti i trattamenti vanno adattati a seconda delle esigenze di ciascun stadio evolutivo del bambino, devono essere quindi individualizzati. Lo scopo principale del trattamento per un bambino ADHD, in primo luogo, è di renderlo consapevole delle sue difficoltà e di aiutarlo per fargli apprendere una maggiore autoregolazione. Il piano terapeutico è altamente personalizzato, cioè bisogna considerare la gravità sia dei sintomi principali del disturbo sia delle comorbilità, se presenti, e delle risorse familiari, sociali e personali del singolo individuo. Il trattamento quindi deve comprendere e combinare gli interventi psicologici, farmacologici e di terapia cognitivo-comportamentale sul bambino, con interventi di supporto psicologico ai genitori, se necessario, e corsi di formazione per insegnanti. Per questo motivo è necessario un coinvolgimento attivo dei genitori, degli insegnanti e soprattutto dei bambini nei programmi d’intervento terapeutico. Gli interventi terapeutici devono mirare a: 17 migliorare le relazioni interpersonali con genitori, fratelli, insegnanti e coetanei; Ibidem. 16 - diminuire i comportamenti dirompenti e inadeguati; - migliorare le capacità di apprendimento scolastico; - aumentare le autonomie e l’autostima; - migliorare l’accettabilità sociale del disturbo e la qualità di vita dei bambini affetti. (Conferenza Nazionale di Consenso, 2003) 1.7.1 Terapia psico-comportamentale La terapia psico-comportamentale interviene, oltre che sul paziente, anche sui genitori con una serie di incontri di “Parent Training” e sugli insegnanti con consulenza sistematica o “Teacher Training”. Il Parent Training si basa sulla teoria dell’apprendimento sociale elaborato per i genitori di bambini non cooperativi, oppositivi ed aggressivi. Nel nostro caso viene esteso anche ai genitori di bambini ADHD: è suddiviso in dieci sedute semi strutturate secondo il manuale di Vio, Marzocchi e Offredi (1999). L’obbiettivo è la formazione dei genitori, l’intervento di personale specializzato consente di dare indicazioni alle famiglie per quanto riguarda la gestione dei comportamenti problematici dei figli. Infatti, di fronte ai comportamenti non adattivi le risposte del contesto di appartenenza possono definire il confine entro il quale il disturbo può essere contenuto o oltre il quale si riducono le possibilità di recupero. Il corso dà la possibilità di vivere e affrontare con consapevolezza la complessa realtà umana, sociale, affettiva e psicologica del figlio con ADHD, e permette di imparare a interagire proficuamente. L’operare in modo attento e sistematico, coinvolgendo anche i genitori, deriva inizialmente dalla considerazione della famiglia come risorsa essenziale per favorire i comportamenti positivi del bambino. Il Parent Training si può suddividere in tre fasi: - la prima consiste nella comprensione e definizione del problema, insieme alla definizione delle prospettive di cambiamento; - la seconda serve ad introdurre alcune tecniche educative per la gestione del comportamento del bambino. Attraverso i Parent Training, i genitori imparano ad utilizzare una serie di tecniche comportamentali come: dare chiare istruzioni, rinforzare positivamente comportamenti accettabili, estinguere alcuni comportamenti problematici, utilizzare in modo adeguato eventuali punizioni. - Nel corso della terza fase, i genitori si focalizzano sull'utilizzo flessibile di ciò che è stato appreso durante gli incontri precedenti: essi imparano a riconoscere anche gli eventi premonitori di comportamenti problematici del bambino per prevenire ed evitare possibili inconvenienti. 17 La procedura di Parent Training di Barkley prevede una serie di incontri con i genitori durante i quali prefiggere determinati obiettivi: - fornire informazioni sul Parent Training e sull’ADHD; - favorire la compressione della modalità di interazione tra genitori e bambini ed illustrare i principi di gestione comportamentale; - insegnare al genitore come stare con il bambino in modo non diretto; - insegnare al genitore a prestare attenzione ai comportamenti positivi del bambino; - concordare con il bambino una sistema di rinforzo a punti; - utilizzare il costo della risposta (sanzione) ed il time-out; - generalizzare l’uso del time-out ad altri comportamenti negativi; - gestire il comportamento del bambino nei luoghi pubblici; - richiamo e ripasso delle tecniche apprese. All’interno dei trattamenti terapeutici, si utilizza l’approccio cognitivo-comportamentale: tale approccio si basa sull’insegnamento diretto al bambino delle abilità di autocontrollo e delle abilità di risoluzione dei problemi principalmente con la tecnica del “rinforzo positivo”. I trattamenti cognitivo-comportamentali con il bambino e l’adolescente propongono l’insegnamento di tecniche tra cui: - le autoistruzioni verbali; - il problem solving; - la stress inoculation training (consapevolezza e controllo delle emozioni in situazioni stressanti). 1.7.2 Terapia farmacologica Affinché la terapia farmacologica sia somministrata in modo adeguato occorre una diagnosi multifunzionale e condotta secondo le “Linee Guida per la diagnosi e la terapia farmacologica”18. I farmaci registrati in Italia per la terapia farmacologica dell'ADHD sono il metilfenidato (psicostimolante) e l'atomoxetina. Il loro utilizzo determina notevoli miglioramenti nel comportamento dei pazienti. Tali farmaci agiscono ovviando alla disregolazione dei neurotrasmettitori dopamina e noradrenalina, riducendo l’iperattività e migliorando la capacità di concentrazione, sia nel lavoro che nell’apprendimento, la coordinazione fisica e il controllo di comportamenti impulsivi. L’esposizione precoce al trattamento farmacologico di bambini con ADHD, piuttosto che favorire, previene l’abuso di sostanze psicotrope in adolescenza o in giovane età adulta. Possibili meccanismi di tale effetto protettivo includono: riduzione dei sintomi dell’ADHD, soprattutto dell’impulsività, 18 SIMPIA, 2006. 18 miglioramento del rendimento scolastico e delle relazioni con coetanei e adulti di riferimento, possibile riduzione della evoluzione verso il disturbo di condotta e successivamente verso il disturbo antisociale di personalità. La terapia farmacologica è in grado di aumentare l’efficacia degli interventi psicoeducativi e comportamentali: ad esempio, gli psicostimolanti producono effetti positivi sull’attenzione, dando la possibilità anche ai bambini con sintomatologia più grave di poter seguire anche una terapia di altro tipo. Nel grafico sottostante sono riportati i principali effetti collaterali provocati dall'assunzione di psicofarmaci. Figura 2: Top 10 Adverse Reactions 1.7.3 Terapie combinate e alternative La N.I.H19, attraverso uno studio, ha dimostrato che i migliori risultati nella terapia dell’ADHD si ottengono con la terapia combinata (psico-comportamentale e farmacologica). Ciò significa che: nel caso in cui la terapia psico-comportamentale non risultasse sufficiente per il trattamento delle sindrome, sarebbe opportuno attuare la terapia combinata, farmacologica e non farmacologica. Il farmaco non è da considerarsi una sostituzione degli interventi psico-comportamentali, della riabilitazione neuro-cognitiva e degli interventi riguardanti il contesto socio-familiare, ma può solo interagire con essi. La decisione di intraprendere una terapia farmacologica deve basarsi sulla attenta valutazione dei rischi sia della prescrizione farmacologica (eventi avversi) che della non prescrizione: aggravamento progressivo della psicopatologia in atto con diminuzione significativa delle capacità di inserimento scolastico, lavorativo, familiare e di “funzionamento globale”, aggravamento delle eventuali comorbidità, evoluzione sfavorevole verso altra psicopatologia quale disturbo antisociale di personalità o disturbo da abuso di sostanza. 19 National Istitutes of Health 19 2 Il campus estivo “AIFA Onlus” 2.1 L’AIFA Onlus L’AIFA Onlus20 è un’associazione con finalità di solidarietà sociale, informazione e divulgazione scientifica sull’ADHD. È nata dalla collaborazione di un gruppo di genitori con figli ADHD; l’associazione “si prefigge di creare una rete di genitori disponibili all'ascolto e all'aiuto di genitori in difficoltà; di coordinare e favorire i contatti tra famiglie con problemi di ADHD; di difendere i diritti dei bambini ADHD e delle loro famiglie per migliorare l'accettabilità sociale del disturbo e la loro qualità di vita”21. 2.2 Campus AIFA: nascita e finalità Come è nata l’idea del campus? Da anni altri Paesi, ad esempio Stati Uniti e Canada, portano avanti esperienze di campus estivi per ragazzi ADHD mirate all’incremento delle competenze sociali e dell’autostima. Queste esperienze sono diverse per modalità organizzative e attività proposte, in quanto esperienze educative pensate ad hoc in base ai soggetti ai quali è rivolta, ma sono tutte accomunate da un obiettivo comune: il raggiungimento dell’autonomia dei ragazzi e una loro integrazione nella società. Ritengo molto importante citare i campi estivi terapeutici ( Pelham e Hoza, 1996; Pelham, Greiner e Gnagy, 1997), nei quali sono stati messi in atto diverse strategie e strumenti comportamentali come la token economy, il costo della risposta, il rinforzo sociale, il time-out, il training nelle competenze sociali. I campi hanno una durata di otto settimane e sono indirizzati ad una quindicina di ragazzi preadolescenti o adolescenti. L’intervento globale che comprende campi estivi, Parent Training e Teacher Training è stato utilizzato nel “Multimodal Treatment Study per l’ADHD”22, e i risultati sono stati interessanti: si sono verificati cambiamenti positivi e significativi nei comportamenti dei ragazzi, e a distanza di un anno dal trattamento globale, questi comportamenti positivi continuavano a presentarsi. “Il campo estivo è un esempio di trattamento sul bambino con ADHD che si focalizza sulle relazioni con i pari”23. Data l’importanza del campus per questi ragazzi, nel 2009 è stato progettata un’esperienza educativa di questo tipo: “Campus Judo e Avventura”, grazie alla collaborazione tra l’AIFA e 20 Associazione Italiana Famiglie ADHD. www.aifaonlus.it 22 MTA Cooperative Group,1999. 23 Graham, 2011, p. 241. 21 20 l’Associazione sportiva Il Cerchio24. Personalmente ho partecipato dal 2010 al 2013, quando il campus si è svolto presso il Centro Educazione Ambientale di Prim’Alpe (Como), e all’edizione “Natura e Avventura” del 2014 che si è svolta al rifugio “Colle Le Cese” nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini. La finalità consiste nel dare una risposta concreta alle famiglie che riportano una grave situazione di isolamento sociale25. L’esperienza del campus può rappresentare un’opportunità, in quanto la condivisione delle difficoltà di autoregolazione con altre persone e la sperimentazione di comportamenti alternativi socialmente accettabili possono favorire l’integrazione e aumentare le capacità di socializzazione e di adattamento di questi bambini26. Ciò significa che l’obiettivo di provare e vivere un’esperienza gratificante fuori casa diventa un mezzo per sperimentare, in una microsocietà provvisoria27, delle modalità di relazione che si possono riprodurre in un contesto casalingo; quindi è la quotidianità che rappresenta “lo sfondo principale di ogni intervento educativo pedagogicamente valido”28. Al campus viene proposto un approccio alla prosocialità29, e che passa attraverso il fare in un contesto di vita di comunità: significa che i ragazzi si mettono in gioco in attività che richiedono attenzione, considerazione positiva e interesse per l’altro. 2.3 L’esperienza dei campus “Non tutti i viaggi, non la frequentazione di tutti i gruppi educano, cosi come non è detto che educhi ogni esperienza scolastica: quando però un viaggio, un gruppo, una situazione scolastica vengono riconosciute, a posteriori, come educative, si vedono in esse caratteristiche importanti, che altre esperienze non hanno. Si riconosce cioè il fatto che esse abbiano consentito di vivere un’esperienza differente da quelle passate; che abbiano in qualche modo messo in moto non solo intense dinamiche affettive, ma anche pensieri, riflessioni nuove e che abbiano sollecitato l’esigenza non solo di esprimere verbalmente, ma anche attraverso nuovi comportamenti, nuove disposizioni interiori quanto sperimentato, visto, interiorizzato, elaborato (…) : in altre parole, quanto appreso” (Massa, Demetrio, 1991; Massa, 2000; Antonacci, Cappa, 2011). Riccardo Massa, come appena esplicitato, definiva l’educazione e quindi l’esperienza educativa come l’istituzione di un campo di esperienza connotato da una sua materialità, contiguo ma separato dal mondo della vita reale. L’educando quando vive l’esperienza educativa, in questo caso il campus, entra in una dimensione “finzionale”, dove però finzionale non è sinonimo di finto, Massa 24 Judoka, “praticanti di judo in libertà” un gruppo di amici che condividono il postulato del judo, Jita Kyoei – Sei Ryoku Zenyo, tutti insieme per crescere e progredire col migliore impiego dell’energia. (www.ilcerchiojudo.it). 25 Micco e Sarti, 2015, p. 4. 26 Luccherino e Pezzica, 2009, p.96. 27 Vitale e Caneda Airaudo, 2006, p.79. 28 Bertolini, 1988, p. 248. 29 Monteduro, 2013. 21 la definisce una membrana che separa la vita quotidiana dall’esperienza educativa, uno spazio delimitato da confini non visibili, all’interno del quale il soggetto vive l’esperienza in sicurezza e dove l’errore non è bandito. Prima di entrare nel merito della descrizione effettiva del campus, ritengo opportuno esplicitare cosa si intende per cura dell’esperienza educativa e a quali dimensioni pragmatiche e materiali si concretizza. La cura educativa si concretizza nella cura dei contesti, delle persone, delle relazioni e nella cura di sé, quindi la troviamo nella progettazione degli spazi, dei tempi, delle attività, e nella scelta dei materiali da utilizzare per ricercare l’approccio educativo di volta in volta più adeguato al soggetto, alla situazione specifica e al contesto. Gli spazi danno ai soggetti la cornice entro cui sperimentarsi, riconoscere i propri limiti e valorizzare le potenzialità. Agli spazi corrispondono i tempi, e la dimensione della cura emerge attraverso la loro progettazione. Il tempo segna i passaggi da un’attività all’altra e da uno spazio all’altro. L’attenzione che deve porre l’educatore consiste nello studio di tutti questi particolari quando “apparecchia la scena educativa”, poiché deve creare le condizioni ottimali per un’esperienza diversa da ogni altra, che possa lasciare un segno, un tracciato nella vita chi la vive e che possa quindi uscire da quell’esperienza trasformato. L’altra attenzione pedagogica che deve avere l’educatore, è la cura delle persone. Quando si entra nel merito della cura delle persone, è inevitabile dover trattare l’importanza del corpo, in quanto esso è il primo luogo di interazione, di scambio e di comunicazione. Il corpo ci mette in relazione con il mondo, con esso si provano sensazioni, l’esperienza educativa avviene quindi attraverso il corpo30. I corpi degli educandi e degli educatori si incontrano ed entrano in relazione a partire dal momento del primo incontro, è proprio per questo motivo che non si può considerare relazione solo quella che avviene tra due persone, attraverso uno scambio comunicativo verbale. La relazione esiste anche quando i soggetti non comunicano verbalmente, si tratta appunto di relazione tra corpi. L’ultimo aspetto, ma non per importanza, al quale l’educatore deve porre attenzione è la cura di sé. Con questo concetto ci si riferisce ad una serie di pratiche che mostrano il rapporto che l’educatore può avere con se stesso. Sono pratiche di conoscenza di sé, che dovrebbero prevedere una riflessione costante sul proprio agire, e sulla messa in atto di strategie educative che spesso diamo per scontato siano “buone” o forse sarebbe meglio definirle autentiche. Credo che l’educatore svolgendo una professione di aiuto debba sempre chiedersi se il suo agire e quindi la cura che ha delle persone sia una cura autentica o meno. La cura autentica si mette in atto quando l’operatore non si sostituisce al soggetto, ma lo aiuta a riflettere e a prendere decisioni, lo accompagna appunto in un processo di crescita e cambiamento. Nella cura inautentica invece, l’educatore tende ad imporsi sull’altro, dominandolo, offuscando cosi qualsiasi possibilità di crescita ed emancipazione. 30 I. Gamelli, Pedagogia del corpo, 2011. 22 Tutti questi aspetti sopra citati della cura sono stati considerati durante la progettazione dei campus estivi. Infatti in tutte le edizione i ragazzi coinvolti, tutti di sesso maschile e provenienti da diverse regioni italiane, avevano un’età compresa tra gli otto e i quattordici anni31; le poche richieste di adesione di partecipanti femminili non sono state accettate perché un numero estremamente limitato di esse non sarebbe risultato funzionale né all’omogeneità del gruppo né alla crescita e al benessere delle stesse. Alcuni di loro, dopo aver partecipato alla prima edizione del campus, hanno chiesto di poter tornare nelle successive. L’équipe ha deciso di accogliere la richiesta assegnando ai ragazzi “veterani” (come venivano chiamati al campo) compiti di responsabilità e di tutoraggio dei più piccoli, con lo scopo di responsabilizzarli maggiormente, e per consentire ai più piccoli di avere un modello di riferimento dal quale poter prendere esempio che non fossero i genitori. In questo modo il gruppo è variato negli anni: da un minimo di undici ad un massimo di sedici ragazzi. Per quanto riguarda il numero degli operatori, invece, è stato sempre mantenuto con un rapporto operatoriragazzi di uno a due; l’équipe era di tipo multidisciplinare ed era composta da personale medico, educativo e sportivo. La costante partecipazione, in tutte le edizioni, dello stesso gruppo educativo ha favorito il nascere di saperi pratici condivisi e di una modalità di lavoro che ha preso corpo dalle finalità comuni, dal confronto intersoggettivo continuo, dalla riflessione e dalla riprogettazione contestuale di attività e interventi, strettamente legata alle specificità dei ragazzi. 2.3.1 Campus Judo e Avventura Le edizioni a cui ho partecipato sono quella del 2010 (dal 3 al 10 luglio), come aiuto educatore essendo la mia prima volta, del 2011 (dal 9 al 16 luglio), del 2012 (dal 30 giugno al 7 luglio) e del 2013 (dal 29 giugno al 6 luglio), come educatore; si sono svolte a Canzo, una località montana in provincia di Como, presso il Centro di Educazione Ambientale di Prim’alpe. La struttura residenziale scelta dall’équipe, dopo un’attenta valutazione di una serie di location e preoccupandosi di scegliere la più idonea a seconda delle caratteristiche specifiche dei ragazzi ADHD, si presentava come un piccolo borgo, cinto da mura, facilmente raggiungibile a piedi in circa trenta minuti dal paese e composta da due grandi camerate, docce esterne, toilettes, refettorio, cortile interno, da un salone per svolgere attività ludiche e di svago e da un museo di scienze naturali. Essendo raccolto e contenitivo, è l’ideale per evitare l’allontanamento e la dispersione nel corso dello svolgimento delle attività di gruppo; inoltre, la location, offre grandi spazi aperti dove poter giocare, fare passeggiate e percorsi nella natura, imparare ad orientarsi. Alcuni di questi spazi sono stati adibiti e settati per lo svolgimento di attività specifiche quali judo, tiro con l’arco e arrampicata, attuate grazie alla collaborazione dei volontari AIFA con l’Associazione Il Cerchio. Il 31 Nelle edizioni del 2009 e del 2010, il 54% dei partecipanti assumeva una terapia farmacologica, nel 2011 il 64%, nel 2012 il 75% e nel 2013 il 56%. 23 principio dell’associazione è “perseguire un’idea di judo che vuole essere sport, educazione e cultura. Perseguire questo obiettivo non è facile, occorre partire dalla condizione umana, dal proposito di non fermarsi su se stessi, distinguere le proprie aspettative con l’obiettivo comune della associazione che si concretizza con il principio formulato dal fondatore del judo: insieme per crescere e progredire col miglior impiego dell’energia.”32 Per i ragazzi con ADHD è molto importante riuscire ad incanalare la propria energia verso qualcosa di costruttivo, ed è per questo motivo che il principio di questa associazione risulta perfettamente in linea con l’intera esperienza. Figura 3: Centro di Educazione Ambientale di Prim’alpe Di seguito, come esempio, ho voluto riportare alcune tabelle contenenti le caratteristiche anagrafiche e cliniche dei partecipanti di qualche edizione del campus. 32 www.ilcerchiojudo.it 24 Anno 2012 Età Diagnosi (anni) principale M 13 ADHD DSA 2 M 12 ADHD Disturbo oppositivo provocatorio-Disturbo dell'umore 3 M 13 ADHD DSA-Ritardo mentale- Epilessia- Disturbo dell'umore 4 M 10 ADHD / 5 M 13 ADHD DSA 6 M 10 ADHD Disturbo oppositivo provocatorio 7 M 13 ADHD Disturbo oppositivo provocatorio 8 M 12 ADHD Disturbo della condotta ID Sesso 1 Comorbilità Ritardo cognitivo 9 M 17 con sintomi / ADHD 10 M 17 ADHD DSA- Ritardo mentale- Disturbo dell'umore 11 M 17 ADHD Ritardo mentale- Disturbo ossessivo compulsivo 12 M 22 ADHD Ritardo mentale 25 Anno 2013 ID Sesso 1 M Età Diagnosi (anni) principale 19 ADHD Comorbilità DSA- Ritardo mentale Ritardo cognitivo 2 M 17 con sintomi / ADHD 3 M 13 ADHD Disturbo oppositivo provocatorio 4 M 22 ADHD Ritardo mentale 5 M 13 ADHD DSA- Disturbo oppositivo provocatorio 6 M 17 ADHD DSA- Ritardo mentale- Disturbo dell'umore 7 M 14 ADHD DSA-Ritardo mentale- Epilessia- Disturbo dell'umore 8 M 14 ADHD Disturbo oppositivo provocatorio 9 M 11 ADHD / 10 M 10 ADHD DSA 11 M 10 ADHD DSA- Disturbo dell'umore 12 M 9 ADHD Disturbo oppositivo provocatorio- Enuresi notturna 13 M 8 ADHD Disturbo oppositivo provocatorio 14 M 11 ADHD / 15 M 18 ADHD Ritardo mentale- Disturbo ossessivo compulsivo Esaminando queste due tabelle, si può affermare che in entrambi i casi la ricorrenza di comorbilità è stata dello 80% e perfettamente in linea con i dati riportati dalla lettura scientifica. Grazie ad una media statistica della presenza di comorbilità si è riuscito ad estrarre alcuni dati in percentuale sui partecipanti: 26 - il 45% DSA; - il 40% ritardo mentale; - il 30% disturbo dell’umore; - il 45% disturbo oppositivo provocatorio o della condotta. Inoltre, all’ADHD erano associati in casi singolari a epilessia, enuresi notturna33 e disturbo ossessivo-compulsivo. 2.3.1.1 La giornata tipo La scansione degli orari e lo svolgimento delle attività, durante una giornata tipo, erano così impostate: - 7:45 sveglia - 8:00 – 8:30 colazione - 8:45 – 10:15 judo - 10:30 – 11:30 tiro con l’arco - 11:45 – 12:45 arrampicata in palestra esterna - 13:00 – 14:00 pranzo - 15:00 – 18:30 uscita di trekking nel territorio circostante - 19:00 – 19:45 attività ludiche, riunione di gruppo, quaderno - 20:00 – 21:00 cena - 21:15 – 21:30 daily postcards - 21:45 rientro in camera - 22:30 raduno staff per valutazione giornata con i ragazzi La giornata era caratterizzata da una scansione di tempi molto precisa e dalla transizione tra spazi ben strutturati e regolati. Ciò per garantire prevedibilità e strutturazione ai ragazzi. Tutti i giorni, subito dopo il momento della sveglia c’era il momento dedicato all’igiene personale e al riordino del proprio guardaroba; inoltre ogni ragazzo doveva fare il proprio letto e ritirare la propria biancheria. Assegnando questi piccoli compiti di responsabilità, lo staff ha potuto osservare il livello di sviluppo delle autonomie; dopo i primi giorni, hanno potuto porre alcuni obiettivi a breve termine per incrementare il livello di autonomia di ciascuno. Il primo momento della giornata di condivisione era la colazione: qui, ogni giorno, lo staff si occupava di assegnare i posti a ciascun tavolo al fine di favorire la socializzazione e la creazione di un buon gruppo di amici; anche il pranzo e la cena si sono dimostrati dei momenti favorevoli per la 33 Consiste nella perdita involontaria e completa di urina durante il sonno in un’età (5-6 anni) in cui la maggior parte dei bambini ha ormai acquisito il controllo degli sfinteri. E’ un problema frequente che interessa il 10-15% dei bambini a 6 anni e che tende il più delle volte a risolversi spontaneamente (incidenza solo dell’1% negli adulti). 27 condivisione, conoscenza reciproca ed esperienza. Gli educatori hanno sfruttato questi momenti per capire le dinamiche del gruppo e individuare quali potevano essere gli obiettivi su cui lavorare di giorno in giorno. 2.3.1.2 Le attività del mattino Nella mattinata sono state programmate le attività sportive di judo, tiro con l’arco e arrampicata; gli operatori esperti di queste attività hanno spiegato ai ragazzi le tecniche e i regolamenti di esse, soprattutto il significato educativo di determinate relazioni che si creavano nel corso delle attività ludico-sportive. Queste attività si sono dimostrate indispensabili a perseguire le finalità generali del campus, ovvero “riconoscere di avere delle abilità e di saper stare con i pari all’interno di una cornice definita di regole”34. Volevo soffermarmi, in particolare, sull’attività del judo35, la prima attività della mattina, con lo scopo di “promuovere nei ragazzi la capacità di autocontrollo e la gestione dell’aggressività, il rispetto delle regole, l’accettazione della frustrazione, il riconoscimento del limite, la tensione verso il miglioramento personale, il rispetto dell’altro”36. La presenza costante e non intrusiva degli educatori, attorno al tatami durante l’attività del judo, è particolarmente interessante in quanto le azioni professionali svolte sono: a) l’osservazione dei ragazzi, nel modo in cui si muovono, di prestare attenzione, di mettersi in gioco e relazionarsi agli altri; b) il contenimento, tramite lo sguardo e la presenza, questo perché si è verificato costantemente che il sentirsi guardati con interesse e positività descrive un contenimento affettivo rilevante; c) supporto nelle situazioni di fuga dall’attività: questo intervento ha il fine, in primis, di accogliere una manifestazione di disagio espressa dal ragazzo, e, in secondo luogo, di ricondurlo nel gruppo, se vi sono le condizioni, e di incoraggiarlo – mai obbligandolo – a partecipare, sempre rispettando i tempi e i modi che ognuno richiede per affrontare le proprie difficoltà. Dopo il judo, i ragazzi venivano divisi in due gruppi-squadre per le attività del tiro con l’arco; la divisione in squadre è stata decisa per incrementare: – l’interdipendenza positiva: creare un rapporto di impegno reciproco tra i membri della squadra, che così accettano di essere responsabili di quello che fanno e come agiscono tanto quanto i compagni. In questo modo tutti i compagni capiscono che l’impegno di uno è a favore di tutta la squadra e non del singolo; – la responsabilità individuale: focalizza il fatto che ogni ragazzo è responsabile della propria parte di lavoro, senza che il lavoro di squadra risulti compromesso; 34 Micco e Sarti, 2015, p. 5. Lo studio di Zivin et al. (2001) evidenzia, a seguito di un ciclo di lezioni di judo, una riduzione dell’impulsività in un gruppo di ragazzi che presentavano problemi comportamentali. 36 Luccherino e Pezzica, 2012, p. 470. 35 28 – l’interazione costruttiva diretta: i ragazzi devono aiutarsi e sostenersi nelle difficoltà in maniera reciproca e non conseguente a una suddivisione di ruoli37. In contemporanea all’attività dell’arrampicata è stato necessario inserire un’attività ludica, attività di giocoleria da me svolta, per fare in modo che i ragazzi rimanessero impegnati durante l’attesa del proprio turno. L’attività del tiro con l’arco, invece, era regolata da un sistema a punti che permetteva di vedere i progressi compiuti da ogni ragazzo nel corso della settimana: non era una competizione tra compagni, ma con se stessi. Inoltre, i singoli punti di ogni ragazzo vengono sommati per fare un totale della squadra, questo per fa si che i ragazzi si sostengano a vicenda e ognuno ha un ruolo importante all’interno del gruppo. 2.3.1.3 Le attività del pomeriggio Il pomeriggio, invece, era dedicato alle passeggiate, ai giochi e al relax. Le passeggiate erano strutturate in modo da far sì che, durante la settimana, ci fosse uno sforzo e un impegno gradualmente crescente da parte dei ragazzi. Le passeggiate dei primi giorni si svolgevano attorno la struttura e avevano come obiettivo quello di far conoscere ai ragazzi le regole del camminare in montagna, di abituarli alla fatica, a tenere il passo del gruppo e a gestire le difficoltà che si incontrano. Anche durante le passeggiate i ragazzi erano divisi in due squadre, e procedevano a distanza l’una dall’altra: ognuna era guidata da un educatore sportivo che scandiva il tempo di camminata e indirizzava l’attenzione dei ragazzi al contesto circostante usando una modalità narrativa. Lo staff educativo affiancava i ragazzi e aveva una funzione di supporto della motivazione; l’educatore, oltre a camminare, parlare e cantare coi ragazzi, aveva il compito di rafforzare positivamente gli sforzi compiuti, di motivarli costantemente e lavorare sui comportamentiproblema nell’istante in cui si fossero verificati. Un metodo efficace per aiutarli a mantenere attivi l’interesse e l’attenzione è quello di dar loro dei piccoli impegni durante la camminata. Alla partenza venivano illustrati ai ragazzi gli obiettivi dell’escursione, per esempio svolgere il ruolo di reporter affidandogli una macchina fotografica o raggiungere un luogo particolarmente desiderabile; in alcuni casi si è dovuto coinvolgere i ragazzi in una dimensione narrativa: giochi d’immaginazione, ad esempio camminare velocemente per non farsi vedere da un nemico immaginario, o nascondersi dietro gli alberi, far finta di colpire con un ramo o un bastone il nemico. Questi metodi supportano il ragazzo durante le camminate facendo sì che diventi il protagonista di ciò che compie, predisponendo insieme l’attività e realizzandola. È cosi possibile lavorare sulla consapevolezza dell’esistenza di modalità alternative, positive e divertenti per raggiungere la meta. 37 Cornoldi et al., 2001. 29 Nel tardo pomeriggio essendo un momento delicato per i ragazzi perché a questo punto della giornata non sempre sono ancora in grado di stare in un gioco di squadra strutturato, è stato opportuno organizzare angoli di attività diverse nate dall’interesse e richieste dei ragazzi: giochi da tavolo, partite di calcio in cortile, chiacchere e scherzi. Sono attività nelle quali non viene richiesto uno sforzo mentale considerevole, in questo modo ogni ragazzo può scegliere il ritmo e la modalità per stare nel gioco38. Qui l’educatore segue le regole del gioco che sono state costruite assieme ai ragazzi e fa da mediatore relazionale comunicativo. Durante queste piccole attività di svago, si mandano i ragazzi a piccoli gruppi a fare la doccia accompagnati da alcuni degli educatori; così facendo si formano dei gruppi contenuti che favoriscono la dimensione relazionale e permettono all’educatore di stare con loro in modo più rilassato. Nel dopocena si prevedeva un momento comune nel salone, strutturato da un primo frangente ludico, in cui veniva realizzata un’attività proposta dai ragazzi stessi durante la giornata (discoteca, giochi di gruppo, ecc.), e poi ad ognuno veniva consegnata la letterina, che serviva per valorizzare i comportamenti positivi del singolo. L’organizzazione delle attività del tardo pomeriggio e del dopocena si basano sull’osservazione del gruppo e su un’attenta riflessione, da parte dell’équipe, su come è trascorsa la giornata; nel caso del dopocena, laddove le dinamiche di gruppo fossero tese, si prendeva la decisione di terminare prima le attività serali e dare priorità al momento della cura personale e delle autonomie per l’andare a letto. 2.3.2 Campus Natura e Avventura Questo campus è stato l’ultima edizione del campus estivo per bambini e ragazzi ADHD. Si è svolto dal 12 al 19 luglio 2014 al rifugio “Colle Le Cese” nei Monti Sibillini. Il Rifugio degli Alpini è stato uno dei primi rifugi aperti nei Monti Sibillini, ed è ormai un punto di riferimento per escursionistici in genere. La struttura organizza trekking con asini e muli ed attività escursionistiche in genere. Il rifugio è situato lontano dai centri abitati e totalmente avvolto nel verde, ed è una confortevole residenza di montagna, con camere a più posti, servizi igienici e docce per ogni camera, salone per pranzo e giochi. Le escursioni si svolgevano sotto la guida del gestore, guida alpina e allevatore di asini e muli. Figura 4: Rifugio ‘Colle Le Cese’ 38 Vitale, 2006b, p.78. 30 Anche qui, come esempio, ho voluto riportare una tabella con i dati anagrafici e cliniche dei partecipanti al questa edizione. ID Sesso Età Diagnosi principale Comorbilità 1 M 11,5 ADHD Disturbo oppositivo provocatorio 2 M 11 ADHD / Disturbo oppositivo provocatorio e disturbo 3 M 9 ADHD misto d’ansia, livello cognitivo limite, difficoltà dell’apprendimento 4 M 12,5 ADHD Discalculia Disturbo specifico di apprendimento 5 M 12 ADHD generalizzato, disturbo oppositivo provocatorio, epilessia idiopatica generalizzata tipo assenza 6 M 13 7 M 12,5 ADHD DSA con tratti ADHD Dislessia Probabile disturbo oppositivo provocatorio Emiplegia, disturbo borderline cognitivo, 8 M 11 ADHD disturbo della sfera emozionale di tipo fobicoossessivo e conseguenti difficoltà linguistiche, comportamentali e neuropsicologiche 9 M 13 ADHD Disturbo oppositivo provocatorio 10 M 12 ADHD Disturbo del comportamento 11 M 10 ADHD DSA 12 M 10 ADHD Comportamenti oppositivo provocatori 13 M 11 ADHD / 14 M 9 ADHD / Anche in questo campus i casi di ragazzi con comorbilità erano superiori del 50%. 31 Per quanto riguarda la strutturazione della giornata e le attività proposte in questa edizione sono state più o meno le stesse di quelle precedenti e con gli stessi obiettivi; l’unica differenza è che si è voluto introdurre la onoterapia: la cura degli asini ed escursioni con gli stessi. 2.3.2.1 Giornata tipo La scansione del tempo e la strutturazione delle varie attività di una giornata tipo era: 7:45 sveglia 8:00 – 8:30 colazione 8:30 – 12:30 e 15:00 – 18:30 varie attività: tiro con l’arco, percorso avventura, approccio con gli asini (dove e come vivono, cosa mangiano, come si comportano, come capirli, preparazione per l’escursione) 13:00 – 14:00 pranzo (erano previste escursioni a giornata con gli asini con pranzo al sacco) 19:00 – 19:45 attività di gioco, doccia 20:00 – 21:00 cena 21:00 – 22:00 giochi, riflessioni sulla giornata, attività di brainstorming 22:30 a dormire 2.3.2.2 Onoterapia La onoterapia è una tipologia di pet-therapy praticata utilizzando gli asini. È un metodo di coterapia, basato sulla collaborazione con l’asino, essa utilizza le caratteristiche proprie dell’animale grazie alle quali si rivela essere un ottimo partner per le terapie. Gli IAA39 sono attività di interazione tra uomo e animale, guidate con competenza professionale, e hanno lo scopo di migliorare o mantenere lo stato di salute e benessere fisico, sociale e psichico della persona, nel rispetto anche del benessere dell’animale stesso. In genere questi tipi di interventi vengono definiti con il termine pet-therapy, ma è poco preciso. Di fatto gli interventi con gli animali possono avere, oltre alla valenza terapeutica, anche quella educativa, ludico-ricreativa o di semplice socializzazione. Nel contesto degli interventi assistiti con gli animali, gli asini hanno tutti i requisiti per essere tra gli animali più adatti ad un lavoro terapeutico-relazionale. Infatti è un animale che da subito regala accoglienza, calda protezione, sicurezza e affidabilità; in oltre le sue caratteristiche fisiche (tagli ridotta, pazienza, morbidezza al tatto, lentezza di movimento e tendenza ad andature monotone) permettono di entrare in ‘comunicazione’ con l’utente tramite il sistema asino-utente-operatore. Quest’ultimo ha il compito di facilitare la comunicazione e la conduzione dell’animale. 39 Interventi assistiti con gli animali. 32 Perché l’asino è adatto a tutti gli interventi assistiti? Per via delle sue dimensioni fisiche e per il suo comportamento. Per quanto riguarda la sua dimensione fisica gli permette di offrire accoglienza e protezione, e il contatto diretto può avvenire attraverso o l’abbraccio da terra o mediante la cavalcata, in diversi modi (di pancia, di fianco). Per esempio appoggiando il corpo sulla schiena dell’asino fino ad avvolgere il suo collo40, in questo modo si può ottenere un contatto fisico particolarmente stretto, attraverso il quale il paziente può sentire il calore dell’animale e il ritmo del suo respiro. Il comportamento dell’asino è poco irruente nei confronti dell’uomo, si avvicina a lui con curiosità, con prudenza e delicatezza, senza invadere il suo spazio. Un altro fattore è che non scappa e questo è molto importante perché aiuta l’utente ad avvicinarsi a lui con sicurezza e tranquillità. Gli obbiettivi di questi interventi hanno lo scopo di creare uno stato di benessere per la persona coinvolta nelle seguenti aree: - psichica: autostima, autocontrollo, percezione sensoriale, gestione delle emozioni, affettività; - cognitivo-intellettiva: apprendimento, controllo delle risposte riflessive, capacità di previsione, adeguamento all’ambiente, concentrazione sul compito attribuito, attenzione, comprensione, memoria; - socializzazione: condivisione delle esperienze, partecipazione al gruppo, cooperazione; - psicomotoria: equilibrio, sviluppo muscolare, coordinazione, riflessi, controllo delle stereotipie, orientamento spazio-temporale; - comunicazione: comunicazione verbale e non verbale, linguaggio assertivo, intenzionalità. Vi sono anche altri obiettivi: - sviluppare capacità relazionali con l’animale tramite il linguaggio non verbale; - accedere al proprio mondo emotivo mediante il repporto con l’animale; - sviluppare consapevolezza di sé e dell’Altro; - sviluppare l’autonomia nelle scelte personali e nelle attività con l’animale; - sviluppare capacità empatiche e di aiuto reciproco; - migliorare le condizioni fisiche, psicologiche ed emotive degli assistiti; - ritrovare la dimensione affettiva tramite la relazione con l’asino. Nello specifico del Campus AIFA Onlus, l’attività con gli asini si è dimostrata particolarmente adatta per aver avuto un influenza positiva sui ragazzi iperattivi. Già al momento iniziale della giornata, in cui dovevano prendersi cura in coppia dell’animale, spazzolandolo, accarezzandolo, pulire lui e il suo ambiente, non si creavano i consueti momenti di conflitto tra i ragazzi perché 40 Catiello P., L’asino che cura, Prospettive di onoterapia, Roma, Carocci Faber, 2014 33 ognuno si rendeva conto di essere responsabile di un essere vivente a loro affidato. Anche se tutte queste azioni si svolgevano sotto la supervisione della responsabile del centro, si notava che giorno per giorno spariva l’iniziale timore ed aumentava la confidenza con l’animale. Lo scopo principale era quella di creare responsabilità e rispetto del bambino verso un altro. In questo caso in primo luogo si trattava del animale, ma di conseguenza anche del compagno. Per quanto riguarda le gite, invece, si svolgevano in questo modo: ad una coppia di ragazzi veniva affidato un asino. In escursione i ragazzi si alternavano nella conduzione e nel cavalcare l’asino, rispettando i tempi imposti dalla guida. Il bambino che conduceva l’asino ha imparato in fretta a dare ordini semplici ma precisi e autorevoli. Hanno dovuto imparare subito che l’animale risponde solo ad una comunicazione chiara e semplice. Nel contempo, il bambino seduto in sella, ha imparato a fidarsi del compagno che lo conduceva, ma anche dell’animale che lo portava, rispettando i ritmi ed i tempi di ambedue e del gruppo. Generalmente le escursioni classiche, quelle in montagna dove si percorre un cammino a piedi, perdono facilmente il fascino per un bambino con ADHD in quanto sono fini a se stesse senza un obiettivo particolarmente stimolante per loro. Invece durante le escursioni al campus, che erano di mezza giornata o di una giornata intera, sono state ben sopportate, episodi di conflitto tra i compagni si sono ridotti, l’attenzione è concentrata soprattutto sul rapporto con l’animale. I ragazzi hanno inoltre imparato ad alternarsi alla cavalcatura senza arrivare a liti o atteggiamenti aggressivi, rispettando sia il desiderio di riposarsi del compagno sia le precise istruzioni della guida. Era stato spiegato loro che i tempi e l’andatura del gruppo vanno rispettati rigorosamente, per non affaticare l’animale e per garantire il raggiungimento dell’obiettivo. Tutte le escursioni si sono concluse senza imprevisti o abbandoni, i ragazzi hanno ben sopportato anche la lunghezza delle camminate che potevano durare parecchie ore dando prova del fatto che è possibile lavorare sull’incremento di resistenza ed applicazione mediante una modalità che coinvolge il rapporto con un altro essere vivente. Inoltre il carattere mite, il movimento lento e la docilità degli asini aveva un’influenza calmante sui ragazzi durante i momenti di convivenza. Anche queste attività, come tutte le altre attività ludiche e sportive proposte durante il campus, venivano commentate a fine giornata ed ogni ragazzo riceveva un feedback scritto o verbale sui suoi comportamenti, sul raggiungimento di un obiettivo prestabilito. Nel rispetto della Token Economy, i commenti erano espressi dagli educatori di comune accordo puntualizzando l’aspetto positivo che il singolo ragazzo aveva dimostrato in quella giornata. La scelta di affiancare ad ogni asino due ragazzi nasceva dalle seguenti considerazioni : - lavorare sulla condivisione dell'obiettivo tra i due ragazzi (condurre l'asino alla meta avendone la responsabilità); 34 - allenare all 'attesa per il cambio turno, che veniva scandito dalla guida. I turni, inizialmente scanditi più frequentemente , aumentavano gradualmente di durata; - i ruoli dei ragazzi sono interdipendenti, sia all'interno della coppia (un ragazzo conduce da terra l'asino, tenendo la briglia; l'altro cavalca l'asino), sia nel gruppo intero, in quanto la buona tenuta della fila era dipendente dalla capacità di ognuno di condurre il proprio asino, in direzione e velocità: ogni ragazzo é dunque responsabile del raggiungimento dell'obiettivo e al tempo stesso é coinvolto attivamente per tutta la durata del percorso; - costruzione di un rapporto con l'animale ed il compagno: il rapporto con l'asino era rafforzato anche dal fatto che ogni asino veniva presentato dalla guida con le sue caratteristiche specifiche (fisiche e caratteriali) e con il proprio nome. I ragazzi sapevano quindi di doversi rapportare al proprio asino in modo particolare e specifico; - ogni coppia di ragazzi con ogni asino erano affiancati da un educatore, pronto a supportare i ragazzi nei momenti di difficoltà promuovendo la loro autonomia e la loro capacità di risolvere i problemi e gli eventuali conflitti. Un aspetto fondamentale dell'attività con gli asini stava nella ricaduta sul senso di autoefficacia dei ragazzi. Prendersi cura di un animale di grande taglia, saperlo nutrire, ma soprattutto saperlo condurre, indicandogli con i movimenti la direzione da seguire, rappresentano azioni e competenze che i ragazzi non avevano mai avuto occasione di sperimentare. La responsabilità loro affidata dalla guida aveva proprio come obiettivo quello di stimolare il senso di efficacia e l'autostima dei ragazzi. E’ nota infatti la grande importanza di esperienze positive e gratificanti di questo tipo nel vissuto dei ragazzi con ADHD. 2.4 Approcci e strategie Per via dei problemi di autocontrollo e autoregolazione, i ragazzi con ADHD sono spesso soggetti ad attenzioni negative: cioè che vengono rimproverati più volte piuttosto che essere incoraggiati o gratificati. Adottare una strategia di gratificazione di azioni corrette, anche se nel naturale patrimonio del ragazzo sono poco presenti, è una valida all’alternativa nell’utilizzo di punizioni o di sistemi che prevedono l’eliminazione dei comportamenti inadeguati; gli educatori devono individuare e valorizzare i comportamenti e i momenti positivi ignorando, se è possibile, quelli negativi. Questo tipo di tecnica è un metodo d’intervento efficace per modificare il comportamento, anche se individuare e gratificare un comportamento non è facile, e non è altrettanto facile l’utilizzo di questa tecnica in un modo adeguato. Per un corretto utilizzo di questo metodo occorre conoscere gli elementi essenziali: - l’individuazione di azioni e atteggiamenti positivi da gratificare; 35 - definire operativamente l’azione oggetto di gratificazione sistematica; può essere presente nel patrimonio comportamentale del bambino, oppure essere nuova e quindi necessita di un apprendimento. Nel primo caso, i comportamenti da gratificare sono quelli a cui di solito si da poco peso e c’è il rischio di dimenticarne la valorizzazione; mentre nel secondo caso, l’educatore pone degli obiettivi comportamentali che posso entrare nel suo patrimonio. - utilizzare eventi, oggetti, comportamenti che siano effettivamente delle gratificazioni; ovvero individuare forme di gratificazione che permettono l’aumento di comportamenti positivi. Il rischio è quello che possano diventare delle abitudini e perdere efficacia: è necessario prevederne una vasta gamma ed accompagnarle con parole di incoraggiamento; - gratificare in modo coerente sempre la stessa azione ogni volta che si manifesta; - gratificare immediatamente dopo il comportamento positivo; - non usare forme di falsa gratificazione.41 Di seguito ho voluto riportare le principali strategie attuate durante i campus. 2.4.1. Token Economy La Token Economy è un esempio di gratificazione sistematica ed è determinata dalle regole elencate sopra. Durante i primi giorni del campus l’équipe, tramite l’attenta osservazione dei ragazzi, ha potuto stabilire degli obiettivi comportamentali individuali su cui focalizzarsi nel corso della settimana. Ogni educatore era affiancato ad uno o più ragazzi e, di giorno in giorno, doveva stabilire con loro dei comportamenti alternativi adeguati da mettere in pratica. Se risultava che ci fosse un caso particolarmente problematico, l’educatore definiva con il ragazzo degli obiettivi a breve termine, della durata di una singola attività o di un momento specifico della giornata. La Token Economy consiste nella gratificazione tramite la consegna di un gettone, in questo modo ogni ragazzo poteva guadagnare punti che alla fine dell’esperienza venivano convertiti in premi. Durante la progettazione del campus l’équipe ha scelto i premi in base all’età e agli interessi dei ragazzi. Questo tipo di strategia, assieme ad un progetto educativo puntale e coerente, si è dimostrata di grande utilità. 2.4.2. Momento delle Letterine Il Momento delle Letterine è un altro metodo di gratificazione. Lo staff educativo ha pensato di introdurre alla fine di ogni giornata, prima di andare a dormire, un momento di condivisione e di riflessione: gli educatori consegnavano una letterina personale ad ogni ragazzo mettendo in risalto il 41 Cornoldi, Capodieci, 2013. 36 buon comportamento tenuto durante la giornata. Abbiamo reputato molto importante il fatto di accompagnare la descrizione del comportamento con delle parole che fossero di gratificazione ed incoraggiamento con lo scopo di permettere a ciascuno di interiorizzare un buona immagine di sé. Questo momento è stato pensato con la finalità di sottolineare ed evidenziare le potenzialità di ogni singolo ragazzo, emerse durante la giornata. Anche in questo momento, come in altri metodi di gratificazione, si sono messi in risalto i comportamenti positivi in modo da sviluppare l’autostima e la fiducia in sé stessi, riflettere per quanto riguarda le proprie possibilità e risorse. 2.4.3. Time-out Durante i campus spesso si sono verificati episodi e situazioni di conflitto e di tensione tra i ragazzi; queste situazioni non sempre sono facili da prevedere e mediare. Per questo motivo si è deciso di utilizzare la strategia del Time-out (sospensione). Questo intervento prevede: - il costo della risposta: i ragazzi perdono un privilegio o la possibilità di svolgere un’attività gradevole dopo aver tenuto un comportamento inadeguato; - ignorare comportamenti inadeguati non gravi. Affinché la strategia sia efficace, tali comportamenti vanno sempre ignorati anche quando raggiungono il proprio apice; - punire comportamenti inadeguati gravi: la punizione deve fare diminuire la probabilità che un comportamento si ripeta e deve essere proporzionata alla gravità dell’azione, immediata, facilmente applicabile e, se possibili, legata al comportamento inadeguato.42 L’allontanamento del ragazzo da un contesto in cui è inserito, utilizzando il time-out, consente di interrompere i comportamenti negativi, aggressivi e distruttivi , ad esempio minacce, insulti, aggressioni, danneggiamenti di oggetti. Per mettere in atto questa strategia durante il campus, gli educatori hanno dovuto individuare dei luoghi adatti dove poter accompagnare i ragazzi in timeout: qui veniva chiesto loro di stare seduti e in silenzio per alcuni minuti43, allo scadere del tempo era possibile riflette sul comportamento negativo messo in atto e sulle possibili alternative. Al termine del time-out il ragazzo deve aver accettato la regola datagli dall’educatore e ammettere la responsabilità del comportamento negativo tenuto. Se questo non avveniva il time-out deve essere prolungato. Affinché questa “sospensione” abbia l’effetto desiderato, è fondamentale che l’educatore sia paziente, coerente e deciso; può essere messo in atto in modalità diverse a seconda del caso specifico e dell’età dei ragazzi. 42 Cornoldi, Capodieci, 2013. Di solito è circa un minuto per ogni anno di età, quindi se un ragazzo ha 13 anni deve stare 13 minuti seduto e in silenzio 43 37 Per quanto riguarda l’esperienza del time-out durante il campus, spesso ha creato dei momenti di incontro, di intesa, in cui poter fondare delle relazioni di fiducia. Quindi, riassumendo, perché l’attuazione di questa tecnica sia efficace è necessario: – definire i comportamenti gravi su cui applicare il time-out; – trovare un luogo che sia idoneo dove accompagnare i ragazzi in time-out; – spiegare le regole: quindi ad ogni interruzione, violazione delle regole, il tempo riparte da zero; – riflettere sul comportamento tenuto. 2.4.4. Le regole del campus Si è ritenuto che fin da subito, dal primo giorno, fosse importante stabilire un insieme di regole, semplici, facili da capire e concrete, che potessero favorire lo sviluppo delle autonomie e il rispetto degli altri; i ragazzi hanno avuto anche la possibilità di proporre e motivarne delle nuove. Dopo di che tutti i ragazzi le hanno firmate e di conseguenza hanno accettato questo “contratto educativo”. Uno dei ruoli fondamentali degli educatori è stato anche quello di supporto e di motivazione per i ragazzi nel rispettare le regole. Il regolamento è stato esposto in tutti i luoghi della struttura in modo da poter essere facilmente ricordato, e prevedeva che: 1. nessuno offende gli altri, nessuno picchia le persone, nessuno rompe le cose; 2. al mattino mi lavo, alla sera faccio la doccia, lavo i denti mattina e sera; 3. metto in ordine le mie cose; 4. rimango sempre nel mio gruppo; 5. durante i pasti resto a tavola; 6. obbedisco agli adulti. 2.4.5. L’approccio educativo Tutte le strategie e le tecniche riportate sopra non sono sufficienti, senza un approccio educativo specifico. In questo modo l’educatore diventa una figura di riferimento autorevole, un mediatore in grado di accogliere e contenere, ma allo stesso tempo consentire al soggetto di crescere ed emanciparsi. Instaurare un rapporto di fiducia è la “chiave di volta” per entrare nella vita dei ragazzi. E allora sorge una domanda spontanea: come è stato possibile riuscire a fare tutto questo in un tempo così limitato? Grazie al mantenimento di un atteggiamento di positività e ottimismo nei confronti dei ragazzi, delle loro potenzialità e delle loro motivazioni. È per questo che gli educatori forniscono in continuazione feedback relativi a quello che succede: in questo modo si possono 38 riorientare e, oltre a sostenere i ragazzi prima che si verifichino i problemi, anche a reindirizzarli e facilitare il raggiungimento dell’obbiettivo. Durante il campus, gli educatori non tengo conto dei comportamenti negativi, dove è possibile, e con il rinforzo positivo, invece, gratificano quello più adeguato. Ma, nel contesto del campus, per gli educatori mantenere la calma non è facile perché le tensioni e la preoccupazioni posso condurre perdere la pazienza, cosa che rende gli interventi poco efficaci. E’ estremamente importante coerenza tra quello che si dice e quello che si fa, e mostrare le conseguenze di determinati atteggiamenti con messaggi chiari e diretti. In sostanza gli educatori devono favorire l’organizzazione dei ragazzi che spesso hanno difficolta con l’organizzazione delle attività, nel seguire le istruzioni, svolgere compiti che richiedono di mantenere l’attenzione che si protrae nel tempo. Quindi ad un educatore che lavora con bambini e adolescenti con ADHD sono richieste delle caratteristiche come la perseveranza, la capacità di accoglienza e di contenimento. E ancora, l’educatore deve conoscere le difficoltà e i punti di forza e saper coinvolgere i ragazzi nell’individuare i propri obiettivi. Riuscire a costruire una relazione di fiducia significa: – da un lato, per l’educatore, la consapevolezza di essere ascoltato e quindi di poter dare incarichi e responsabilità; – dall’altro, per i ragazzi, di ricevere una grande considerazione e quindi la possibilità di rivalutarsi e di guardarsi diversamente. Riassumendo si può dire che il ragazzo con ADHD, per poter cambiare, ha necessità che l’adulto stesso cambi il suo modo di relazionarsi, e quindi il cambiamento che l’educatore deve mettere in atto è in primis nel proprio approccio nei confronti del ragazzo con ADHD. Conclusioni I campus estivi organizzati dall’AIFA sono stati i primi e gli unici campus per ragazzi con ADHD ad essere stati organizzati in Italia. Vivere l’esperienza del campus in tutte le sue fasi, dalla progettazione all’attuazione, permette di conoscere le realtà quotidiane che vivono bambini e adolescenti con ADHD e le difficoltà delle loro famiglie. Il campus è nato dall’idea di dare un’opportunità sia ai ragazzi che alle famiglie. I primi hanno l’occasione di vivere una settimana di vacanza, ovviamente strutturata in base alle loro caratteristiche psicologiche e comportamentali; per le famiglie è un momento, un’opportunità, per interrompere, distrarsi e staccarsi dalla routine quotidiana e riappropriarsi degli spazi personali. I feedback ricevuti dai ragazzi e dai genitori alla fine del campus, hanno permesso di affermare come questa esperienza sia alquanto positiva; oltre al fatto che i ragazzi si divertono, lo sguardo 39 educativo degli educatori ha reso i ragazzi consapevoli di quello che sono, delle loro possibilità, delle capacità, risorse e potenzialità che possono mettere in atto. In questa esperienza la gratificazione e il sentirsi considerati, fattori fondamentale, permettono al ragazzo di migliorarsi in continuazione, avendo sempre più fiducia in se stesso, stima e autoconsapevolezza. Questo fa si che possa vivere situazioni e relazioni quotidiane, con adulti e coetanei, in modo più autentico e qualitativamente migliore: ovvero sentirsi maggiormente integrato e accettato. Il campus è un modello funzionale volto a favorire l’integrazione sociale, la socializzazione e l’adattamento ad ambienti e contesti diversi ed è per questo che dovrebbe essere riportato nella vita quotidiana dei ragazzi. Purtroppo l’emarginazione è molto più influente sui ragazzi ADHD e può provocare effetti che spesso sono irreversibili ad esempio fare uso di sostanze o anche entrare nel circolo vizioso della microcriminalità. L’esperienza del campus, per chi vi partecipa, non si dovrebbe limitare solo a quella settimana, ma dovrebbe essere una tappa di un progetto, un percorso continuo, della durata di un anno, che abbia le stesse caratteristiche specifiche e coerenti; mentre, per chi non vi partecipa o non ha l’opportunità di parteciparvi, bisognerebbe strutturare un progetto estraendo le procedure, le strategie e gli approcci con il fine di garantire un miglioramento nella vita personale, sociale e scolastica dei ragazzi. Un intervento strutturato secondo questa modalità, che sia continuo e che sia supportato da un’équipe multidisciplinare, e che permetta di individuare nell’educatore quell’anello di congiunzione tra ragazzi e professionisti, può letteralmente favorire l’integrazione sociale dei ragazzi con ADHD e prevenire dei comportamenti devianti in età adulta, caratteristici di chi ha un vissuto di inadeguatezza. 40 Bibliografia American Psychiatric Association, DSA-IV-TR, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Masson, Milano, 2009. Bertolini P., L’esistere Pedagogico. Ragione e limite di una pedagogia come scienza fenomenologicamente fondata, La Nuova Italia, Firenze, 1988. Catiello P., L’asino che cura. Prospettive di onoterapia, Carocci Faber, Roma, 2014. Camerini G. B., Sabatello U., Sartori G., Sergio G., La valutazione del danno psichico nell'infanzia e nell'adolescenza, Giuffrè Editore, Milano, 2011. 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Anonimo- 44 Ringraziamenti Ne approfitto per ringraziare le persone che mi sono state vicine in questi anni di studi e riuscire a portarli a termine. Non è stato facile arrivare alla fine, per via delle mie difficoltà nello studio; molte volte ho pensato di abbandonare l’università quando mi si parava davanti un ostacolo difficile da superare, ma grazie alle persone che mi sono state accanto, al loro supporto e incoraggiamento e al loro affetto mi hanno spronato ad affrontare gli ostacoli ed andare avanti. Ringrazio il mio relatore Ivano Gamelli, perché mi ha permesso di sviluppare questo elaborato su questo argomento vasto, accompagnandomi con interesse e disponibilità, risultando sempre tempestivo sul darmi consigli nello sviluppo della tesi. Grazie mille Ringrazio la mia famiglia che mi dimostra sempre il suo affetto e su cui posso e potrò sempre contare e anche sul loro aiuto. Ringrazio… I miei genitori Antonio e Astrid che mi hanno permesso di affrontare questa esperienza standomi accanto e spronandomi a dare il massimo, senza abbattermi e ricordandomi che se ho superato alcuni difficili ostacoli, posso superare anche questo. Mia sorella Erica perché mi è stata accanto nei momenti più critici, che è stata sempre il mio esempio e mi ha spinto ad l’università. Giordana, da tre al mio fianco, la quale mi ha aiutato a preparare e a superare gli esami durante questo difficile percorso, inoltre mi ha sostenuto con la sua positività ad affrontare gli ostacoli con grinta. Magda per la sua amicizia e il suo sostegno morale. Nicola, Stefania, Iolanda e Elisabetta che sono stati miei esempi durante le mie esperienze nei campus dell’AIFA Onlus. L’AIFA Onlus che mi ha dato la possibilità di sperimentarmi come figura educativa durante i campus con bambini ADHD. Tutti i bambini, ragazzi e adolescenti che ho incontrato durante le mie esperienze come volontario, perché da loro ho imparato. 45 Ringrazio anche Mattia, Silvia e Stefano, i miei amici più cari, con cui ho potuto confrontarmi e hanno saputo confortarmi. Ringrazio tutti gli amici che ho incontrato e conosciuto durante questi tre anni di università, con cui ho passato dei bei momenti, che resteranno nei miei ricordi. Infine ringrazio tutte le persone che hanno creduto in me, e anche chi non ha creduto in me perché mi ha reso più forte e motivato ad andare avanti nonostante i difficili ostacoli che ho incontrato. GRAZIE DI CUORE A TUTTI 46