Bambini e adolescenti con ADHD: il campus come

UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA
Facoltà di Scienze della formazione primaria
Corso di laurea in Scienze dell’educazione
Bambini e adolescenti con ADHD:
il campus come esperienza educativa
Relatore: Prof. Ivano Gamelli
Tesi di Laurea di:
Luca Monetti
Matr. N. 784981
Anno Accademico 2015/2016
Indice
Introduzione
pag. 4
1. Disturbo da Deficit d’Attenzione e Iperattività (ADHD)
pag. 5
1.1 Definizione di ADHD
pag. 5
1.2 Epidemiologia del disturbo
pag. 5
1.3 Comorbilità
pag. 6
1.4 Manifestazione
pag. 8
1.5 Diagnosi
pag. 10
1.6 Strumenti di valutazione per la diagnosi
pag. 13
1.6.1 I questionari
pag. 14
1.6.2 Le interviste
pag. 15
1.6.3 Test cognitivi e neuropsicologici
pag. 15
1.7 Modelli d’intervento terapeutico
pag. 16
1.7.1 Terapia psico-comportamentale
pag. 17
1.7.2 Terapia farmacologica
pag. 18
1.7.3 Terapie combinate e alternative
pag. 19
2. Il campus estivo “AIFA Onlus”
pag. 20
2.1 L’AIFA Onlus
pag. 20
2.2 Campus AIFA: nascita e finalità
pag. 20
2.3 L’esperienza dei campus
pag. 21
2.3.1 Campus Judo e Avventura
pag. 23
1
2.3.1.1 La giornata tipo
pag. 27
2.3.1.2 Le attività del mattino
pag. 28
2.3.1.3 Le attività del pomeriggio
pag. 29
2.3.2 Campus Natura e Avventura
pag. 30
2.3.2.1 Giornata tipo
pag. 32
2.3.2.2 Onoterapia
pag. 32
2.4 Approcci e strategie
pag. 35
2.4.1 Token Economy
pag. 36
2.4.2 Momento delle Letterine
pag. 36
2.4.3 Time-out
pag. 37
2.4.4 Le regole del campus
pag. 38
2.4.5 L’approccio educativo
pag. 38
Conclusioni
pag. 39
Bibliografia
pag. 42
Sitografia
pag. 43
Ringraziamenti
pag. 45
2
Tutti mi dicono:
“ogni volta che sbagli apprendi una lezione”.
C’è un problema:
è difficile che io conservi memoria degli errori
esattamente come non conservo memoria
dei successi.
L’ADHD NON E’ UNA GIUSTIFICAZIONE
E’
UNA REALTA’.
Perciò,
non rammentarmi i miei fallimenti:
invece ricordami e ricordati
i miei successi.
Forse così riuscirò a ricordarmene anche io.
-cit. Anonimo-
3
Introduzione
La decisione di scrivere l’elaborato finale sull’argomento ADHD, nasce dalla mia esperienza
personale che mi ha portato ad affrontare i problemi legati a questo disturbo, in quanto mi è stato
diagnosticato all’età di 12 anni. In quegli anni l’ADHD non era conosciuto in Italia, ci etichettavano
come ragazzi “disturbati”, maleducati, con comportamenti inadeguati e infantili; questo ha fatto sì
che io abbia avuto tantissime difficoltà a relazionarmi con i miei coetanei sia a scuola sia in altri
contesti.
In questi ultimi anni le Istituzioni, come la scienza hanno fatto molti progressi, infatti oggi l’ADHD
è riconosciuto come disturbo, questo sicuramente anche grazie al lavoro di associazioni di genitori
che hanno sensibilizzato le Istituzioni sui disagi e sui problemi che incontrano quotidianamente le
persone affette da questo disturbo. Inoltre si è verificata una maggiore consapevolezza da parte di
genitori ed insegnanti, i quali hanno capito che si tratta di un disturbo reale e non di mancanze di
attenzioni da parte della famiglia. Purtroppo ancora oggi i ragazzi ed i bambini con questo disturbo
raramente ricevono le attenzioni e le cure adeguate e spesso sono ancora etichettati come “ragazzi
difficili”.
Nel 2007 il Ministero della Salute ha pienamente riconosciuto l’ADHD come disturbo
neuropsichiatrico dell’età evolutiva e nel 2013 ha esteso il riconoscimento anche all’età adulta,
nonostante tali progressi, le informazioni accreditate come scientificamente corrette spesso vengono
offuscate dai movimenti ideologici italiani. Tali movimenti non danno importanza alla psichiatria,
la ritengono una scienza “appartenente ad un Dio minore”, in particolar modo ritengono l’ADHD
frutto di un errata educazione da parte delle famiglie.
Poiché questi movimenti sono presenti trasversalmente in molte realtà politiche, culturali e sociali,
il lavoro congiunto di associazioni e di professionisti della Sanità Pubblica e privata è reso molto
difficile, in quanto incontrano molti ostacoli.
Il mio elaborato ha lo scopo di essere una testimonianza della mia esperienza personale, delle
difficoltà che ho affrontato e dei successi che sono riuscito ad ottenere.
Le esperienze più significative sono stati i campus estivi organizzati dall’AIFA onlus, trattati
ampiamente nel presente lavoro. Attraverso queste esperienze ho potuto cogliere l’importanza delle
strategie educative utilizzate correttamente con questi ragazzi. Le attività proposte e pensate ad hoc,
unite ad attività ludico-sportive, hanno permesso ai ragazzi di trascorrere un periodo sereno, fuori
dai soliti contesti di isolamento sociale causato dal loro disturbo, in compagnia di altri ragazzi con
problematiche simili ma soprattutto in un contesto protetto e di assoluta accettazione senza
pregiudizi.
Queste esperienze hanno fatto maturare in me il desiderio di occuparmi di ragazzi che vivono le
stesse difficoltà che ho dovuto affrontare io e di aiutarli a diventare più autonomi, riuscire ad
integrarsi meglio nella società. Ecco da dove è nata la mia decisione di diventare educatore.
4
1
Disturbo da Deficit d’Attenzione e Iperattività (ADHD)
1.1 Definizione di ADHD
L’ADHD (Attention-Deficit and Hyperactivity Disorder) è un disturbo neurocomportamentale più
frequente nei bambini, ed è un’etichetta diagnostica che viene utilizzata per descrivere bambini che
presentano una serie di problemi, le cui manifestazioni più evidenti sono la difficoltà di mantenere
l’attenzione e controllare l’impulsività e il movimento. Questo disturbo colpisce molti bambini in
età scolare, ed è uno dei più studiati nell’infanzia. Poiché non si manifesta attraverso specifici tratti
fisici, e a livello sociale è scarsamente conosciuto, il bambino con ADHD spesso non viene
riconosciuto come tale, anzi, spesso le insegnanti li classificano come “troppo vivaci, difficili da
gestire, fannulloni e bambini che hanno grandi potenzialità ma non si applicano abbastanza”. Le
manifestazioni comportamentali e le principali caratteristiche di questo disordine neurobiologico
sono iperattività, impulsività e disattenzione, che possono essere diversamente combinate tra loro, e
possono generare bassa autostima, difficoltà scolastiche e relazionali (Raishevic, 2000). Infatti i
bambini con ADHD presentano un’evidente difficoltà a mantenere l’attenzione o a lavorare su uno
stesso compito per un periodo di tempo prolungato, non riescono a seguire le istruzioni date, sono
disorganizzati e sbadati quando svolgono le loro attività; inoltre, si fanno distrarre facilmente dai
compagni o da rumori occasionali e raramente riescono a completare un compito in modo ordinato.
1.2 Epidemiologia del disturbo
“Il disturbo dell’ADHD è oggi tra i disturbi comportamentali dell’infanzia e dell’adolescenza più
frequentemente diagnosticati; si stima, a livello mondiale, che si attesta attorno al 5-10% in età
scolare, 2-6% negli adolescenti, 2% negli adulti, ed è frequente che ci sia una sottodiagnosi. Inoltre
si può stimare che circa il 70% dei pazienti con ADHD presenti delle comorbilità, ovvero patologie
associate (disturbo dell’umore, disturbo oppositivo-provocatorio, disturbo della condotta, disturbi
specifici di apprendimento e linguaggio).”1
Secondo l’Istituto Superiore della Sanità la prevalenza del disturbo è maggiore nei maschi che nelle
femmine, con un rapporto M/F che va da 3:1 a 10:1. “In Italia la prevalenza media sembra essere
del 4%, inferiore a quella registrata negli USA.”2 Riguardo alle cause di una tale diversità tra
maschi e femmine, in passato si riteneva che le femmine esibissero minori sintomi di impulsività e
1
2
A.I.F.A. Onlus Associazione Italiana Famiglie ADHD.
Ibidem.
5
di condotta deviante e allo stesso tempo manifestassero maggiori deficit cognitivi e difficoltà di
apprendimento; ma in realtà, recenti ricerche hanno consentito di abbandonare questa ipotesi.
Maschietto3, uno dei maggiori esperti di ADHD in Italia, ha condotto un recente studio, in Veneto,
dove ha esaminato 2503 soggetti (10,8% della popolazione pediatrica) mediante una valutazione
clinica per sospetti disturbi dello sviluppo ed è risultato che in 286 soggetti (1,2%) era presente il
disturbo ADHD. Solo 20 su 286 pazienti (7,0%) hanno ricevuto il farmaco nell’ambito di un
trattamento multimodale e 186 solo un trattamento psico-comportamentale. È stato riscontrato che
nel 2010 i soggetti con ADHD erano 263 (1,1%) su una popolazione di età 6-18 anni di 24.650
individui in Itala.
1.3 Comorbilità
Come detto in precedenza, almeno il 70% dei soggetti con ADHD ha un disturbo associato. Queste
comorbilità individuano dei sottogruppi più omogenei di soggetti che sotto uno sguardo clinico
hanno fenomenologia e gravità diverse, per quanto riguarda il punto di vista prognostico sono a
diverso rischio di sviluppare psicopatologie più gravi, e dal lato terapeutico probabilmente
rispondono in maniera parzialmente diversa ai trattamenti e di conseguenza richiedono specifiche
strategie di intervento. Lo studio delle comorbilità è utile per comprendere la storia naturale
dell’ADHD dal bambino all’adulto, poiché la tipologia dei disturbi associati è probabilmente
diversa nelle diverse fasi della vita.
Gli stessi tratti principali (iperattività, impulsività, disturbo dell’attenzione), ad intensività diversa,
possono essere parte integrante del quadro clinico dell’ADHD oppure essere presenti in quadri
clinici associati all’ADHD, o ancora essere presenti in disturbi che simulano l’ADHD, entrando
quindi in diagnosi differenziale con esso. Un disturbo del comportamento può rientrare nel quadro
ADHD, ma può essere anche un disturbo autonomo (disturbo oppositivo-provocatorio o disturbo
della condotta) ed associato in comorbilità all’ADHD.
Anche se teoricamente è possibile tracciare una sorta di confine tra queste tre possibilità, in una
realtà clinica questo processo non sempre è agevole. Il processo diagnostico è ancora più
complicato quando riguarda i disturbi emotivi quali i disturbi dell’umore (depressione o disturbo
bipolare) o d’ansia.
Questa situazione è resa complicata dal fatto che gli stessi disturbi che si associano più
frequentemente all’ADHD sono anche quelli che più frequentemente entrano in diagnosi
differenziale con esso ed esercitano un’azione di “mascheramento” dell’ADHD. Questo spiega una
gran parte della sottodiagnosi dell’ADHD.
3
Neuropsichiatra infantile e neurologo, è responsabile dell'Unità operativa di neuropsichiatria infantile ULS n. 10 Regione Veneto, docente del corso di perfezionamento in Psicopatologia dell'apprendimento dell'Università di Padova
e del medesimo corso presso l'Università di San Marino.
6
Di conseguenza i bambini con ADHD, quando non sono considerati “vivaci” o con un disturbo
reattivo a fattori ambientali (familiari o sociali), vengono diagnosticati solamente sulla basa del
disturbo in associazione (ansia, depressione, comportamento, apprendimento, personalità, ecc.).
Una diagnosi più attenta e curata e che metta in evidenza tutte le diverse componenti del quadro
clinico consentirebbe di evitare questo rischio.
Questi aspetti sono in parte un rimando della incertezza dei confini della sindrome ADHD, ovvero
del suo “fenotipo”, e che spinge ancora a chiedersi che cos’è da considerare parte integrante
dell’ADHD e cosa no. Infatti se le caratteristiche principali dell’ADHD (disturbo dell’attenzione,
iperattività, impulsività) sono sufficientemente definiti, altri aspetti come il disturbo del
comportamento, la difficoltà di relazionarsi con gli altri, la disregolazione del tono dell’umore, la
fragilità del controllo emotivo, la compromissione del funzionamento scolastico fino a che punto
possono rientrare nel quadro clinico (sotto forma di aggressività, demoralizzazione e/o eccitazione,
stato di tensione soggettiva, difficoltà nel rendimento scolastico)? E da che punto in poi possono
essere considerate condizioni associate in comorbilità o addirittura condizioni che mimano un
ADHD (disturbo oppositivo-provocatorio o della condotta, disturbo depressivo o manicale, disturbo
d’ansia, disturbo dell’apprendimento)?
A tal proposito si posso sottolineare diverse possibilità nel rapporto tra ADHD e disturbi associati,
che non obbligatoriamente si escludono l’una con l’altra:
-
tali quadri clinici non rappresentano condizioni associate, ma espressioni diverse dello
stesso disturbo ADHD, dovute a variabilità del fenotipo;
-
esistono diversi sottotipi nella eterogenea sindrome di ADHD, che giustificano la
multiformità della espressione clinica;
-
i sintomi che osserviamo sono riferibili a disturbi diversi ed indipendenti (ADHD, disturbo
della condotta, disturbo depressivo), tra loro in comorbilità;
-
i disturbi sono tra loro diversi ed indipendenti, ma la loro frequente associazione è legata
alla presenza di una vulnerabilità comune (genetica e/o ambientale);
-
l’ADHD rappresenta una precoce manifestazione del disturbo associato che può comparire
successivamente;
-
l’ADHD rappresenta una condizione preesistente
in grado di aumentare il rischio di
comparsa di altri disturbi in fasi successive.
Lo studio della comorbilità ci permette di identificare dei raggruppamenti più omogenei di soggetti,
con l’obiettivo di precisare meglio le prognosi e gli interventi.
Per esempio il fatto di avere dei soggetti con ADHD associato a disturbi internalizzati (come ansia
o disturbi dell’umore), oppure associato a disturbi esternalizzati (come il disturbo della condotta), o
ancora associato ad entrambi (ADHD + ansia + disturbo della condotta) ci permette di riconoscere
tre diversi percorsi evolutivi e rispondere ai diversi trattamenti.
7
1.4 Manifestazione
La manifestazione di questo disturbo può avvenire in più contesti di vita, da quello scolastico a
quello familiare o dal gruppo dei pari in epoca molto precoce. In età prescolare infatti, è già
possibile distinguere alcune caratteristiche “identificative” del disturbo. E, anche se non è possibile
fare una vera diagnosi prima dell’età scolare (come definito nel DSM-V), ai fini di un trattamento
efficace, è comunque molto importante il ruolo della prevenzione e la necessità di identificare le
caratteristiche del disturbo ADHD fin dalle sue prime manifestazioni.
Durante gli anni della scuola materna il bambino con ADHD rimane molto attivo e dimostra un
comportamento poco maturo rispetto alla sua età, sebbene abbia un’intelligenza uguale o superiore
ai suoi coetanei.
Il DSM-V prevede le seguenti caratteristiche descrittive del disturbo:
1. Disattenzione: si può manifestare con diverse forme come la persistenza alla distrazione,
difficile ripresa dell’attività o di un compito dopo un evento disgregativo, dimenticanze
nelle attività importanti, perdita di oggetti significativi, difficoltà nel concentrarsi e nello
svolgere compiti o attività mentalmente impegnative, distraibilità, difficoltà in: attenzione
sostenuta (ovvero per lunghi periodi), attenzione selettiva (la capacità di “scegliere” lo
stimolo che ci interessa), attenzione divisa (saper controllare attentivamente due o più
situazioni), shift d’attenzione (spostamento rapido del focus attentivo da uno stimolo ad un
altro).
2. Iperattività: è l’incapacità di stare fermi e la continua manipolazione di oggetti, l’uso della
parola in modo frequente e molto spesso in modo inopportuno, il non riuscire a rimanere
seduti quando viene richiesto, difficoltà a giocare in modo adeguato e irrequietezza,
difficoltà nel rispettare regole, tempi e spazi. I sintomi dell’iperattività vengono solitamente
osservati a partire dell’età di quattro anni, e aumentano nei successivi tre-quattro anni, dove
si manifesta il picco dei comportamenti iperattivi, per intensità e ricorrenza. Ma questa
iperattività motoria diminuisce durante l’adolescenza, fino a diventare impercettibile,
sostituita da un’inquietudine più interiorizzata.
3. Impulsività: è caratterizzata da impazienza eccessiva e da difficoltà nel rispettare il proprio
turno, rispondere prima che la domanda sia stata completata (DSM IV-TR, APA, 2009),
comportamento motorio o verbale incongruo e inopportuno, comportamento inadeguato,
incapacità di inibire le risposte, interruzione o intromissione in attività di altri, tendenza a
fare del male senza volerlo. Solitamente i sintomi dell’impulsività sono correlati a quelli
dell’iperattività, ma sono più influenzati dalle situazioni ambientali e sono persistenti nel
tempo. Gli adolescenti con ADHD, che non vengono sottoposti a nessun tipo di trattamento,
e che vivono in un ambiente in cui alcool e stupefacenti sono facilmente reperibili, sono i
casi più a rischio di uso e/o abuso di droga e alcool.
8
Il DSM-IV mette l’ADHD per la prima volta tra i disturbi diagnostici nell’infanzia e
nell’adolescenza, e indica tre sottotipi a seconda della caratteristica sintomatologica predominante
negli ultimi sei mesi.
1. Sottotipo disattento: un soggetto che presenta almeno sei dei nove sintomi appartenenti alla
categoria “disattenzione” e non manifesta impulsività/iperattività;
2. Sottotipo iperattivo-impulsivo: se presenta solo sei dei nove sintomi che appartengono alla
categoria “iperattività – impulsività” ma non manifesta particolari difficoltà di attenzione;
3. Sottotipo combinato: se presenta entrambe le problematiche.
(DSM-IV TR, APA, 2009)
Qui sotto riporto un grafico riferito ad uno studio americano che riguarda la prevalenza dei sottotipi
dell’ADHD.
Figura1: Approximate Prevalence Distribution of the Subtype of ADHD
È stato riscontrato che i soggetti con la diagnosi di sottotipo disattento appaiono più ansiosi e
frequentemente presentano disturbi dell’umore, ovvero sono più timidi e ritirati socialmente. Quelli
con diagnosi sottotipo combinato e sottotipo iperattivo-impulsivo si oppongono più frequentemente
alle richieste che gli vengono poste, a volte presentano aggressività e nel 30% dei casi ricevono una
seconda diagnosi di disturbo oppositivo-provocatorio e/o disturbo della condotta.
9
1.5 Diagnosi
Il primo passo da compiere per diagnosticare l’ADHD è effettuare una valutazione adeguata del
bambino, attraverso la consultazione dei parametri del DSM-IV, tale operazione deve essere svolta
da operatori della salute mentale dell’età evolutiva con specifiche competenze sulla diagnosi, sulla
terapia dell’ADHD e su altri disturbi che possono mimare i sintomi (diagnosi differenziale) o che
possono associarsi ad esso. Tale diagnosi è essenzialmente clinica e si basa sull’osservazione e la
raccolta dei dati da fonti multiple. Coinvolge, oltre al bambino, i genitori, gli insegnanti e le altre
figure educative di riferimento.
I dati raccolti sono informazioni riguardanti il comportamento e la compromissione funzionale del
bambino e deve essere sempre considerato anche l’ambiente di vita: fattori socio-culturali della
famiglia, unità o separazione dei genitori, condizioni di malattia, economiche e/o altri elementi che
possano influire negativamente sullo sviluppo del bambino.
Per la raccolta di tali informazioni vengono utilizzati diversi strumenti diagnostici: questionari
(come Scale Conners per genitori e insegnanti, SDAI e SDAG, ADHD-RS e molti altri), interviste
diagnostiche (esempio le Kiddie-SADS). I diversi strumenti per la raccolta di dati sono integrati in
modo da fornire informazioni sia sulla specifica sintomatologia dell’ADHD sia su aspetti emotivi e
comportamentali diversi che possano condurre a formulare altre diagnosi o diagnosi di disturbi
presenti in comorbilità (es. disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, disturbi della condotta).
La diagnosi dell’ADHD risulta spesso complessa perché la manifestazione dei processi attentivi e
dei comportamenti impulsivi e iperattivi è influenzata da fattori esterni che rendono “variabili” tali
comportamenti. Alcuni fattori, individuati dal Russell A. Barkley4 sono:
-
il momento della giornata o la fatica accumulata durante il giorno;
-
l’aumento della complessità del compito che richiede di attuare strategie più sofisticate;
-
l’aumento di regole e limiti di un determinato ambiente al comportamento del soggetto;
-
il livello di stimolazione nel setting in cui opera il soggetto;
-
le conseguenze immediate, positive o negative (rinforzi o punizioni) associate al compito;
-
la presenza di un supervisore adulto nell’esecuzione dell’attività.
Di conseguenza sono molto significative le procedure diagnostiche di tipo qualitativo e descrittivo
che favoriscono una valutazione dei comportamenti del soggetto con ADHD in diverse situazioni e
contesti di vita. Le difficoltà di diagnosi aumentano quando i soggetti ADHD sono in età
prescolare: in questo periodo, infatti, la distraibilità, la disattenzione, l’impulsività e l’iperattività
sono normali manifestazioni dell’età e non è semplice definire un confine tra la normalità e
l’eccesso di tali manifestazioni. Inoltre, qualsiasi bambino o adolescente può presentare, in specifici
contesti o situazioni, comportamenti citati prima: è fondamentale quindi riferirsi ai criteri definiti
4
Dr. Russell A. Barkley è un professore di psichiatria clinica presso la Medical University of South Carolina a
Charleston.
10
dall’American Psychiatric Association5 del DSM-IV, manuale diagnostico e statistico dei disturbi
mentali, dove si parla di vero disturbo, e quindi si può fare una diagnosi, quando tali
comportamenti:
-
si manifestano in molteplici contesti, sono pervasivi;
-
sono presenti per almeno sei mesi e interferiscono con le attività quotidiane;
-
sorgono in modo precoce, prima dei setti anni;
-
compromettono la carriera scolastica, lavorativa e sociale;
-
si contrappongono al tipico sviluppo del bambino;
-
non vengono spiegati più adeguatamente con un altro disturbo.
L’ADHD è una modalità persistente di disattenzione e/o iperattività che interferisce con il
funzionamento o lo sviluppo. Secondo il DSM-IV per elaborare una diagnosi, i soggetti devono
presentare i sintomi descritti per almeno sei mesi e in almeno in due contesti, ed è necessario che
queste manifestazioni siano comparse prima dei dodici anni e che compromettano il rendimento
scolastico/lavorativo e sociale.
Naturalmente, trattandosi di un disturbo del neurosviluppo, i sintomi sono già presenti dalla prima
infanzia. Il DSM V, però, impone di stabilire una diagnosi solo quando il bambino è già in età
scolare (in modo che emergano con chiarezza i suoi deficit cognitivi nelle prestazioni scolastiche)
ed ha già un’età che consente di escludere che si tratti di manifestazioni di distraibilità/vivacità
infantili. Questo per evitare “falsi positivi”.
Criteri diagnostici per il disturbo da deficit di attenzione e iperattività

Disattenzione:
-
spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazioni
ne compiti scolastici, sul lavoro o in altre attività;
-
spesso ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco;
-
spesso non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente;
-
spesso non esegue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le
incombenze o i doveri sul proprio lavoro (non a causa di comportamento oppositivo
o di incapacità di capire le istruzioni);
-
spesso ha difficoltà nel organizzarsi nei compiti e nelle attività;
-
spesso evita, prova avversione o è riluttante a impegnarsi in compiti che richiedono
sforzo mentale protratto (come compiti a scuola o a casa);
-
spesso perde gli oggetti necessari per i compiti o le attività (es: giocattoli, compiti di
scuola, matite, libri o strumenti);
5
A.P.A. American Psychiatric Association.
11

-
spesso è facilmente distratto da stimoli esterni;
-
spesso è sbadato nelle attività quotidiane.
Iperattività:
-
Spesso muove con irrequietezza mani o piedi o si dimena sulla sedia;
-
spesso lascia il proprio posto a sedere in classe o in altre situazioni in cui ci si
aspetta che resti seduto;
-
spesso scorrazza e salta dovunque in modo eccessivo in situazioni in cui ciò è fuori
luogo (negli adolescenti o negli adulti, ciò può limitarsi a sentimenti soggettivi di
irrequietezza);

-
spesso ha difficoltà a giocare o a dedicarsi ad attività divertenti in modo tranquillo;
-
è spesso “sotto pressione” o agisce come se fosse “motorizzato”;
-
spesso parla troppo.
Impulsività:
-
spesso “spara” le risposte prima che le domande siano state completate;
-
spesso ha difficoltà ad attendere il proprio turno;
-
spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (es: si intromette nelle
conversazioni o nei giochi).
(DSM IV-TR, APA, 2009)
In conclusione, la diagnosi viene formulata attraverso un processo costituito in primo luogo da una
colloquio clinico con i genitori cui seguono la compilazione di scale di valutazione sul
comportamento, un esame obiettivo di tipo neurologico ed eventuali test di neuropsicologici.
1. Colloquio clinico: serve per capire se la presenza dei sintomi soddisfa o meno i criteri
diagnostici dell’ADHD definiti dal DSM-IV.
2. Scale di valutazione: fondamentalmente utili per analizzare le informazioni provenienti da
altre fonti: bambino, genitori, insegnati e altri caregivers. Servono per comprendere la
diffusione e l’entità dei sintomi.
3. Esame obiettivo: consente di individuare problematiche neurologiche (atassia, difetti
sensoriali), endocrinologiche (ipertiroidismo) e intossicazioni da metalli pesanti, sono tutti
effetti che sono provocati da abuso di sostanze che posso mimare l’ADHD. I questionari
fatti compilare ai genitori e agli insegnanti sono estremamente utili per descrivere il
comportamento del bambino nel suo ambiente abituale. L’osservazione effettuata solo in un
ambiente ambulatoriale, infatti, può essere fuorviante poiché il comportamento del bambino
in questo ambiente è molto differente da quello solito.
12
1.6 Strumenti di valutazione per la diagnosi
Come precedentemente affermato, il primo passo per effettuare una diagnosi consiste nella raccolta
di informazioni provenienti da fonti multiple (insegnanti, genitori, educatori, familiari, ecc...)
utilizzando strumenti standardizzati.
Presentare questionari ai genitori e agli insegnanti può essere per il professionista un utile
supplemento. I questionari consentono di ottenere informazioni sistematiche anche se presentano il
limite dell'incertezza sulle modalità di valutazione da parte dei genitori o degli insegnanti, ossia: i
compilatori non sempre riescono a differenziare i comportamenti del bambino. Alcuni genitori
tendono ad esagerare sintomi minori, altri possono avere timore ad ammettere le difficoltà del
bambino per paura di indurre a pensare ad una loro possibile carenza educativa nei confronti dei
figli.
In conseguenza ai problemi sopraelencati, nonostante l'uso dei questionari sia utile, è comunque
indispensabile una comunicazione verbale diretta con i genitori, con gli insegnanti e con il bambino.
Oltre ai questionari, i principali strumenti a disposizione del professionista per effettuare diagnosi di
ADHD sono interviste, osservazione strutturata e test cognitivi e neuropsicologici.
La BIA6 è una raccolta di alcuni tra i principali strumenti utilizzati in Italia con lo scopo di aiutare il
professionista nel difficoltoso e delicato processo diagnostico dell'ADHD. Consiste in 7 test e una
serie di questionari che sono stati valutati come significativi per individuare e indagare i problemi
dell'ADHD. Sono tutti adattamenti di procedure già collaudate e che vengono raccomandate per la
loro utilità.
Non necessariamente il professionista deve utilizzare tutti gli strumenti con ogni bambino, può
anche scegliere solo quelli più appropriati in base alle esigenze. La Batteria include cinque
categorie di strumenti:
-
questionari per la valutazione del comportamento del bambino nei suoi principali contesti di
vita, casa e scuola (SDAI, SDAG, SDAB e COM);
-
test per la valutazione dell’attestazione sostenuta visiva e uditiva (CP e TAU);
-
test per la valutazione del comportamento impulsivo (MF);
-
test per la valutazione dei processi di controllo (Test delle Ranette, Test di Stroop e
Completamento Alternativo di Frasi);
-
6
7
test di Memoria Strategica Verbale (TMSV)7.
BIA Batteria Italiana per l’ADHD.
G. M. Marzocchi – A. M. Re – C. Cornoldi, Op. cit., pp. 14 – 15.
13
1.6.1 I questionari
Le principali scale utilizzate in Italia per l'individuazione dei comportamenti tipici dell'ADHD sono
le scale SDA, Scale per l'individuazione di comportamenti di disattenzione e iperattività in età
scolare: SDAI per gli insegnanti, SDAG per i genitori, e SDAB per i bambini. Sono state realizzate
per essere somministrate a genitori, insegnanti e bambini, con lo scopo di ottenere in poco tempo un
quadro del comportamento del bambino nei diversi contesti di vita, principalmente casa e scuola. La
somministrazione della scala al bambino stesso ha invece lo scopo di indagare il suo punto di vista.
Le scale sono state elaborate nel 1996 da Cornoldi e strandardizzate dallo stesso assieme a
Marzocchi nel 2000. Le SDAI e SDAG fanno riferimento alle indicazioni del DSM-IV e
contengono 18 item, 9 sulla Disattenzione (item dispari) e 9 sull'Iperattività (item pari), ai quali il
genitore o l'insegnante deve rispondere dando una valutazione da 0 a 3, dove 0 = mai; 1 = qualche
volta; 2 = abbastanza spesso; 3 = molto spesso.8
La scala SDAB, che fornisce la valutazione del bambino, è formata da 14 item e, a differenza delle
precedenti, non segue esattamente la descrizione del DSM in quanto gli item sintomatici presentati
sono sia negativi che positivi.
Le scale SDA sono di facile somministrazione e molto concise ma non possono essere considerate
sufficienti per stabilire la presenza del disturbo, vanno inoltre integrate con ulteriori informazioni in
quanto molti bambini, nonostante non ne siano affetti, presentano sintomi dell’ADHD. Per evitare
ciò sono state elaborate altre scale.
Tra le più utilizzate di sono:
-
Le scale COM che completano il quadro del bambino in quanto permettono la raccolta di
indizi riguardo eventuali comorbilità con l' ADHD.9
-
Le Scale di Conners, anch'esse molto utilizzate, anche a livello internazionale, che hanno la
caratteristica di essere, significativamente specifiche non solo per la valutazione dei sintomi
dell'ADHD ma anche per altre caratteristiche come: labilità emotiva, perfezionismo, ansia,
problemi relazionali, disturbi psicosomatici. La versione con 80 item è rivolta ai genitori,
mentre quella da 59 agli insegnanti. Nonostante la diversa quantità di item le due scale sono
sostanzialmente molto simili.10
Altre scale utilizzate per la raccolta di informazioni sono le ADHD Rating Scale–IV delle quali
esiste una versione italiana curata da Marzocchi e Cornoldi, le Snap – IV che consentono di valutare
anche il disturbo della condotta, l'ICD-10/DSM-IV Questionnaire.11
8
Ivi p. 92.
G. M. Marzocchi – A. M. Re – C. Cornoldi, Op. cit, p.10.
10
C. Cornoldi, Op. cit., pp. 241 – 242.
11
Società Italiana Di Neuropsichiatria Dell'infanzia e Dell'adolescenza (SINPIA), Op. cit., p. 15.
9
14
L'importanza principale data da tutti i questionari non è tanto sul numero dei sintomi ma sulla loro
consistenza, difatti nei test oltre a venire chiesto se un dato comportamento è presente o meno,
viene anche chiesto di valutarne, con un punteggio che va da 0 a 3 o 4, la frequenza o la gravità.12
Bisogna inoltre sottolineare che queste scale di valutazione compilate dai genitori, dagli insegnanti
o dallo stesso bambino, non consentono, da sole, di formulare una diagnosi funzionale, le
informazioni ottenute sono utili come complementi diagnostici, per valutarne l'andamento o la
risposta ai trattamenti.13
1.6.2 Le interviste
Le interviste hanno come fine principale quello di verificare l'attendibilità delle informazioni fornite
da genitori e insegnanti riguardo il comportamento del bambino attraverso i questionari, cercando di
differenziare le impressioni e le valutazioni soggettive.14
Modelli di interviste utili per la diagnosi di ADHD in lingua originale italiana non esistono ma sono
disponibili versioni tradotte.
Le più utilizzate in Italia sono: la Schedule of affective disorders and schizophrenia di Joan
Kaufman per indagare su problematiche emotive e la Diagnostic interview for children and
adolescents (DICA) di Wendy Reich per valutare tutte le psicopatologie infantili e adolescenziali in
modo omogeneo.15 La Schedule for affective disorders and schizophrenia (Kiddie-SADS) di Joan
Kaufman è l'unica ad essere stata adattata e pubblicata in italiano.
La DICA è un'intervista strutturata della quale esistono diverse versioni: una per bambini da 6 a 12
anni, una per adolescenti ed un'altra versione per i genitori. L'intervista ha inizio con una raccolta di
informazioni riguardanti il funzionamento del soggetto a scuola, con gli amici e nelle attività
extrascolastiche, includendo anche una sezione relativa alle problematiche psicosociali. Il punteggio
finale si limita a valutare la gravità dei sintomi.
1.6.3 Test cognitivi e neuropsicologici
La valutazione neuropsicologica ha lo scopo di ottenere conferme per la diagnosi, delineare il
profilo funzionale, effettuare una diagnosi differenziale e creare le premesse per l'intervento
riabilitativo cognitivo nel caso venisse previsto.16
12
C. Cornoldi, Op. cit., pp. 241 - 242.
Ivi, p.15.
14
Ibidem.
15
G.M. Marzocchi – A. M. Re - C. Cornoldi, Op. cit., p. 57.
16
G.B. Camerini – U. Sabatello – G. Sartori – G. Sergio, La valutazione del danno psichico nell'infanzia e
nell'adolescenza, Giuffrè Editore, Milano, 2011, p. 202.
13
15
Il panorama di test disponibili al professionista è molto vasto, ma non ne esiste uno capace di
stabilire con certezza la presenza del disturbo. Le aree indagate tramite i test riguardano:
-
le abilità cognitive (QI);
-
l’attenzione;
-
la pianificazione e l’uso di strategie;
-
l’inibizione dei comportamenti impulsivi.17
1.7 Modelli d’intervento terapeutico
Alla diagnosi di ADHD segue l’intervento terapeutico. L’obiettivo non è quello di eliminare
completamente i sintomi, ma di sviluppare un benessere psico-fisico che dipenda anche dalle
relazioni con i genitori e con gli insegnanti. Il concetto di benessere qui inteso, non è quello di
assenza di malattia, ma un benessere che fa riferimento al modello bio-psico-sociale, ossia un
benessere della persona che riguarda la salute fisica, mentale e sociale.
A tal proposito esistono tre tipi di intervento terapeutico:
-
psico-comportamentale;
-
farmacologico;
-
combinato (psico-comportamentale e farmacologico).
Poiché l’ADHD è un disturbo pervasivo e cronico, è necessario che i trattamenti siano estesi anche
ai diversi contesti di vita del bambino, specialmente scuola e famiglia, in modo intensivo e
prolungato: un ciclo o due di trattamento non si può considerare sufficiente, me è bene che lo
accompagnino durante la sua crescita. Infatti i trattamenti vanno adattati a seconda delle esigenze di
ciascun stadio evolutivo del bambino, devono essere quindi individualizzati. Lo scopo principale
del trattamento per un bambino ADHD, in primo luogo, è di renderlo consapevole delle sue
difficoltà e di aiutarlo per fargli apprendere una maggiore autoregolazione.
Il piano terapeutico è altamente personalizzato, cioè bisogna considerare la gravità sia dei sintomi
principali del disturbo sia delle comorbilità, se presenti, e delle risorse familiari, sociali e personali
del singolo individuo. Il trattamento quindi deve comprendere e combinare gli interventi
psicologici, farmacologici e di terapia cognitivo-comportamentale sul bambino, con interventi di
supporto psicologico ai genitori, se necessario, e corsi di formazione per insegnanti. Per questo
motivo è necessario un coinvolgimento attivo dei genitori, degli insegnanti e soprattutto dei
bambini nei programmi d’intervento terapeutico.
Gli interventi terapeutici devono mirare a:
17
migliorare le relazioni interpersonali con genitori, fratelli, insegnanti e coetanei;
Ibidem.
16
-
diminuire i comportamenti dirompenti e inadeguati;
-
migliorare le capacità di apprendimento scolastico;
-
aumentare le autonomie e l’autostima;
-
migliorare l’accettabilità sociale del disturbo e la qualità di vita dei bambini affetti.
(Conferenza Nazionale di Consenso, 2003)
1.7.1 Terapia psico-comportamentale
La terapia psico-comportamentale interviene, oltre che sul paziente, anche sui genitori con una serie
di incontri di “Parent Training” e sugli insegnanti con consulenza sistematica o “Teacher Training”.
Il Parent Training si basa sulla teoria dell’apprendimento sociale elaborato per i genitori di bambini
non cooperativi, oppositivi ed aggressivi. Nel nostro caso viene esteso anche ai genitori di bambini
ADHD: è suddiviso in dieci sedute semi strutturate secondo il manuale di Vio, Marzocchi e Offredi
(1999). L’obbiettivo è la formazione dei genitori, l’intervento di personale specializzato consente di
dare indicazioni alle famiglie per quanto riguarda la gestione dei comportamenti problematici dei
figli. Infatti, di fronte ai comportamenti non adattivi le risposte del contesto di appartenenza
possono definire il confine entro il quale il disturbo può essere contenuto o oltre il quale si riducono
le possibilità di recupero. Il corso dà la possibilità di vivere e affrontare con consapevolezza la
complessa realtà umana, sociale, affettiva e psicologica del figlio con ADHD, e permette di
imparare a interagire proficuamente.
L’operare in modo attento e sistematico, coinvolgendo anche i genitori, deriva inizialmente dalla
considerazione della famiglia come risorsa essenziale per favorire i comportamenti positivi del
bambino.
Il Parent Training si può suddividere in tre fasi:
-
la prima consiste nella comprensione e definizione del problema, insieme alla definizione
delle prospettive di cambiamento;
-
la seconda serve ad introdurre alcune tecniche educative per la gestione del comportamento
del bambino. Attraverso i Parent Training, i genitori imparano ad utilizzare una serie di
tecniche comportamentali come: dare chiare istruzioni, rinforzare positivamente
comportamenti accettabili, estinguere alcuni comportamenti problematici, utilizzare in modo
adeguato eventuali punizioni.
-
Nel corso della terza fase, i genitori si focalizzano sull'utilizzo flessibile di ciò che è stato
appreso durante gli incontri precedenti: essi imparano a riconoscere anche gli eventi
premonitori di comportamenti problematici del bambino per prevenire ed evitare possibili
inconvenienti.
17
La procedura di Parent Training di Barkley prevede una serie di incontri con i genitori durante i
quali prefiggere determinati obiettivi:
-
fornire informazioni sul Parent Training e sull’ADHD;
-
favorire la compressione della modalità di interazione tra genitori e bambini ed illustrare i
principi di gestione comportamentale;
-
insegnare al genitore come stare con il bambino in modo non diretto;
-
insegnare al genitore a prestare attenzione ai comportamenti positivi del bambino;
-
concordare con il bambino una sistema di rinforzo a punti;
-
utilizzare il costo della risposta (sanzione) ed il time-out;
-
generalizzare l’uso del time-out ad altri comportamenti negativi;
-
gestire il comportamento del bambino nei luoghi pubblici;
-
richiamo e ripasso delle tecniche apprese.
All’interno dei trattamenti terapeutici, si utilizza l’approccio cognitivo-comportamentale: tale
approccio si basa sull’insegnamento diretto al bambino delle abilità di autocontrollo e delle abilità
di risoluzione dei problemi principalmente con la tecnica del “rinforzo positivo”.
I trattamenti cognitivo-comportamentali con il bambino e l’adolescente propongono l’insegnamento
di tecniche tra cui:
-
le autoistruzioni verbali;
-
il problem solving;
-
la stress inoculation training (consapevolezza e controllo delle emozioni in situazioni
stressanti).
1.7.2 Terapia farmacologica
Affinché la terapia farmacologica sia somministrata in modo adeguato occorre una diagnosi
multifunzionale e condotta secondo le “Linee Guida per la diagnosi e la terapia farmacologica”18. I
farmaci registrati in Italia per la terapia farmacologica dell'ADHD sono il metilfenidato
(psicostimolante) e l'atomoxetina. Il loro utilizzo determina notevoli miglioramenti nel
comportamento dei pazienti. Tali farmaci agiscono ovviando alla disregolazione dei
neurotrasmettitori dopamina e noradrenalina, riducendo l’iperattività e migliorando la capacità di
concentrazione, sia nel lavoro che nell’apprendimento, la coordinazione fisica e il controllo di
comportamenti impulsivi.
L’esposizione precoce al trattamento farmacologico di bambini con ADHD, piuttosto che favorire,
previene l’abuso di sostanze psicotrope in adolescenza o in giovane età adulta. Possibili meccanismi
di tale effetto protettivo includono: riduzione dei sintomi dell’ADHD, soprattutto dell’impulsività,
18
SIMPIA, 2006.
18
miglioramento del rendimento scolastico e delle relazioni con coetanei e adulti di riferimento,
possibile riduzione della evoluzione verso il disturbo di condotta e successivamente verso il
disturbo antisociale di personalità.
La terapia farmacologica è in grado di aumentare l’efficacia degli interventi psicoeducativi e
comportamentali: ad esempio, gli psicostimolanti producono effetti positivi sull’attenzione, dando
la possibilità anche ai bambini con sintomatologia più grave di poter seguire anche una terapia di
altro tipo.
Nel grafico sottostante sono riportati i principali effetti collaterali provocati dall'assunzione di
psicofarmaci.
Figura 2: Top 10 Adverse Reactions
1.7.3 Terapie combinate e alternative
La N.I.H19, attraverso uno studio, ha dimostrato che i migliori risultati nella terapia dell’ADHD si
ottengono con la terapia combinata (psico-comportamentale e farmacologica). Ciò significa che: nel
caso in cui la terapia psico-comportamentale non risultasse sufficiente per il trattamento delle
sindrome, sarebbe opportuno attuare la terapia combinata, farmacologica e non farmacologica. Il
farmaco non è da considerarsi una sostituzione degli interventi psico-comportamentali, della
riabilitazione neuro-cognitiva e degli interventi riguardanti il contesto socio-familiare, ma può solo
interagire con essi.
La decisione di intraprendere una terapia farmacologica deve basarsi sulla attenta valutazione dei
rischi sia della prescrizione farmacologica (eventi avversi) che della non prescrizione:
aggravamento progressivo della psicopatologia in atto con diminuzione significativa delle capacità
di inserimento scolastico, lavorativo, familiare e di “funzionamento globale”, aggravamento delle
eventuali comorbidità, evoluzione sfavorevole verso altra psicopatologia quale disturbo antisociale
di personalità o disturbo da abuso di sostanza.
19
National Istitutes of Health
19
2
Il campus estivo “AIFA Onlus”
2.1 L’AIFA Onlus
L’AIFA Onlus20 è un’associazione con finalità di solidarietà sociale, informazione e divulgazione
scientifica sull’ADHD. È nata dalla collaborazione di un gruppo di genitori con figli ADHD;
l’associazione “si prefigge di creare una rete di genitori disponibili all'ascolto e all'aiuto di
genitori in difficoltà; di coordinare e favorire i contatti tra famiglie con problemi di ADHD; di
difendere i diritti dei bambini ADHD e delle loro famiglie per migliorare l'accettabilità sociale del
disturbo e la loro qualità di vita”21.
2.2 Campus AIFA: nascita e finalità
Come è nata l’idea del campus? Da anni altri Paesi, ad esempio Stati Uniti e Canada, portano avanti
esperienze di campus estivi per ragazzi ADHD mirate all’incremento delle competenze sociali e
dell’autostima. Queste esperienze sono diverse per modalità organizzative e attività proposte, in
quanto esperienze educative pensate ad hoc in base ai soggetti ai quali è rivolta, ma sono tutte
accomunate da un obiettivo comune: il raggiungimento dell’autonomia dei ragazzi e una loro
integrazione nella società. Ritengo molto importante citare i campi estivi terapeutici ( Pelham e
Hoza, 1996; Pelham, Greiner e Gnagy, 1997), nei quali sono stati messi in atto diverse strategie e
strumenti comportamentali come la token economy, il costo della risposta, il rinforzo sociale, il
time-out, il training nelle competenze sociali. I campi hanno una durata di otto settimane e sono
indirizzati ad una quindicina di ragazzi preadolescenti o adolescenti. L’intervento globale che
comprende campi estivi, Parent Training e Teacher Training è stato utilizzato nel “Multimodal
Treatment Study per l’ADHD”22, e i risultati sono stati interessanti: si sono verificati cambiamenti
positivi e significativi nei comportamenti dei ragazzi, e a distanza di un anno dal trattamento
globale, questi comportamenti positivi continuavano a presentarsi. “Il campo estivo è un esempio di
trattamento sul bambino con ADHD che si focalizza sulle relazioni con i pari”23.
Data l’importanza del campus per questi ragazzi, nel 2009 è stato progettata un’esperienza
educativa di questo tipo: “Campus Judo e Avventura”, grazie alla collaborazione tra l’AIFA e
20
Associazione Italiana Famiglie ADHD.
www.aifaonlus.it
22
MTA Cooperative Group,1999.
23
Graham, 2011, p. 241.
21
20
l’Associazione sportiva Il Cerchio24. Personalmente ho partecipato dal 2010 al 2013, quando il
campus si è svolto presso il Centro Educazione Ambientale di Prim’Alpe (Como), e all’edizione
“Natura e Avventura” del 2014 che si è svolta al rifugio “Colle Le Cese” nel Parco Nazionale dei
Monti Sibillini.
La finalità consiste nel dare una risposta concreta alle famiglie che riportano una grave situazione di
isolamento sociale25. L’esperienza del campus può rappresentare un’opportunità, in quanto la
condivisione delle difficoltà di autoregolazione con altre persone e la sperimentazione di
comportamenti alternativi socialmente accettabili possono favorire l’integrazione e aumentare le
capacità di socializzazione e di adattamento di questi bambini26. Ciò significa che l’obiettivo di
provare e vivere un’esperienza gratificante fuori casa diventa un mezzo per sperimentare, in una
microsocietà provvisoria27, delle modalità di relazione che si possono riprodurre in un contesto
casalingo; quindi è la quotidianità che rappresenta “lo sfondo principale di ogni intervento
educativo pedagogicamente valido”28. Al campus viene proposto un approccio alla prosocialità29, e
che passa attraverso il fare in un contesto di vita di comunità: significa che i ragazzi si mettono in
gioco in attività che richiedono attenzione, considerazione positiva e interesse per l’altro.
2.3 L’esperienza dei campus
“Non tutti i viaggi, non la frequentazione di tutti i gruppi educano, cosi come non è detto che
educhi ogni esperienza scolastica: quando però un viaggio, un gruppo, una situazione scolastica
vengono riconosciute, a posteriori, come educative, si vedono in esse caratteristiche importanti,
che altre esperienze non hanno. Si riconosce cioè il fatto che esse abbiano consentito di vivere
un’esperienza differente da quelle passate; che abbiano in qualche modo messo in moto non solo
intense dinamiche affettive, ma anche pensieri, riflessioni nuove e che abbiano sollecitato
l’esigenza non solo di esprimere verbalmente, ma anche attraverso nuovi comportamenti, nuove
disposizioni interiori quanto sperimentato, visto, interiorizzato, elaborato (…) : in altre parole,
quanto appreso” (Massa, Demetrio, 1991; Massa, 2000; Antonacci, Cappa, 2011).
Riccardo Massa, come appena esplicitato, definiva l’educazione e quindi l’esperienza educativa
come l’istituzione di un campo di esperienza connotato da una sua materialità, contiguo ma separato
dal mondo della vita reale. L’educando quando vive l’esperienza educativa, in questo caso il
campus, entra in una dimensione “finzionale”, dove però finzionale non è sinonimo di finto, Massa
24
Judoka, “praticanti di judo in libertà” un gruppo di amici che condividono il postulato del judo, Jita Kyoei – Sei Ryoku
Zenyo, tutti insieme per crescere e progredire col migliore impiego dell’energia. (www.ilcerchiojudo.it).
25
Micco e Sarti, 2015, p. 4.
26
Luccherino e Pezzica, 2009, p.96.
27
Vitale e Caneda Airaudo, 2006, p.79.
28
Bertolini, 1988, p. 248.
29
Monteduro, 2013.
21
la definisce una membrana che separa la vita quotidiana dall’esperienza educativa, uno spazio
delimitato da confini non visibili, all’interno del quale il soggetto vive l’esperienza in sicurezza e
dove l’errore non è bandito.
Prima di entrare nel merito della descrizione effettiva del campus, ritengo opportuno esplicitare
cosa si intende per cura dell’esperienza educativa e a quali dimensioni pragmatiche e materiali si
concretizza.
La cura educativa si concretizza nella cura dei contesti, delle persone, delle relazioni e nella cura di
sé, quindi la troviamo nella progettazione degli spazi, dei tempi, delle attività, e nella scelta dei
materiali da utilizzare per ricercare l’approccio educativo di volta in volta più adeguato al soggetto,
alla situazione specifica e al contesto. Gli spazi danno ai soggetti la cornice entro cui sperimentarsi,
riconoscere i propri limiti e valorizzare le potenzialità. Agli spazi corrispondono i tempi, e la
dimensione della cura emerge attraverso la loro progettazione. Il tempo segna i passaggi da
un’attività all’altra e da uno spazio all’altro. L’attenzione che deve porre l’educatore consiste nello
studio di tutti questi particolari quando “apparecchia la scena educativa”, poiché deve creare le
condizioni ottimali per un’esperienza diversa da ogni altra, che possa lasciare un segno, un tracciato
nella vita chi la vive e che possa quindi uscire da quell’esperienza trasformato.
L’altra attenzione pedagogica che deve avere l’educatore, è la cura delle persone. Quando si entra
nel merito della cura delle persone, è inevitabile dover trattare l’importanza del corpo, in quanto
esso è il primo luogo di interazione, di scambio e di comunicazione. Il corpo ci mette in relazione
con il mondo, con esso si provano sensazioni, l’esperienza educativa avviene quindi attraverso il
corpo30. I corpi degli educandi e degli educatori si incontrano ed entrano in relazione a partire dal
momento del primo incontro, è proprio per questo motivo che non si può considerare relazione solo
quella che avviene tra due persone, attraverso uno scambio comunicativo verbale. La relazione
esiste anche quando i soggetti non comunicano verbalmente, si tratta appunto di relazione tra corpi.
L’ultimo aspetto, ma non per importanza, al quale l’educatore deve porre attenzione è la cura di sé.
Con questo concetto ci si riferisce ad una serie di pratiche che mostrano il rapporto che l’educatore
può avere con se stesso. Sono pratiche di conoscenza di sé, che dovrebbero prevedere una
riflessione costante sul proprio agire, e sulla messa in atto di strategie educative che spesso diamo
per scontato siano “buone” o forse sarebbe meglio definirle autentiche. Credo che l’educatore
svolgendo una professione di aiuto debba sempre chiedersi se il suo agire e quindi la cura che ha
delle persone sia una cura autentica o meno. La cura autentica si mette in atto quando l’operatore
non si sostituisce al soggetto, ma lo aiuta a riflettere e a prendere decisioni, lo accompagna appunto
in un processo di crescita e cambiamento. Nella cura inautentica invece, l’educatore tende ad
imporsi sull’altro, dominandolo, offuscando cosi qualsiasi possibilità di crescita ed emancipazione.
30
I. Gamelli, Pedagogia del corpo, 2011.
22
Tutti questi aspetti sopra citati della cura sono stati considerati durante la progettazione dei campus
estivi. Infatti in tutte le edizione i ragazzi coinvolti, tutti di sesso maschile e provenienti da diverse
regioni italiane, avevano un’età compresa tra gli otto e i quattordici anni31; le poche richieste di
adesione di partecipanti femminili non sono state accettate perché un numero estremamente limitato
di esse non sarebbe risultato funzionale né all’omogeneità del gruppo né alla crescita e al benessere
delle stesse. Alcuni di loro, dopo aver partecipato alla prima edizione del campus, hanno chiesto di
poter tornare nelle successive. L’équipe ha deciso di accogliere la richiesta assegnando ai ragazzi
“veterani” (come venivano chiamati al campo) compiti di responsabilità e di tutoraggio dei più
piccoli, con lo scopo di responsabilizzarli maggiormente, e per consentire ai più piccoli di avere un
modello di riferimento dal quale poter prendere esempio che non fossero i genitori. In questo modo
il gruppo è variato negli anni: da un minimo di undici ad un massimo di sedici ragazzi. Per quanto
riguarda il numero degli operatori, invece, è stato sempre mantenuto con un rapporto operatoriragazzi di uno a due; l’équipe era di tipo multidisciplinare ed era composta da personale medico,
educativo e sportivo. La costante partecipazione, in tutte le edizioni, dello stesso gruppo educativo
ha favorito il nascere di saperi pratici condivisi e di una modalità di lavoro che ha preso corpo dalle
finalità comuni, dal confronto intersoggettivo continuo, dalla riflessione e dalla riprogettazione
contestuale di attività e interventi, strettamente legata alle specificità dei ragazzi.
2.3.1 Campus Judo e Avventura
Le edizioni a cui ho partecipato sono quella del 2010 (dal 3 al 10 luglio), come aiuto educatore
essendo la mia prima volta, del 2011 (dal 9 al 16 luglio), del 2012 (dal 30 giugno al 7 luglio) e del
2013 (dal 29 giugno al 6 luglio), come educatore; si sono svolte a Canzo, una località montana in
provincia di Como, presso il Centro di Educazione Ambientale di Prim’alpe. La struttura
residenziale scelta dall’équipe, dopo un’attenta valutazione di una serie di location e
preoccupandosi di scegliere la più idonea a seconda delle caratteristiche specifiche dei ragazzi
ADHD, si presentava come un piccolo borgo, cinto da mura, facilmente raggiungibile a piedi in
circa trenta minuti dal paese e composta da due grandi camerate, docce esterne, toilettes, refettorio,
cortile interno, da un salone per svolgere attività ludiche e di svago e da un museo di scienze
naturali. Essendo raccolto e contenitivo, è l’ideale per evitare l’allontanamento e la dispersione nel
corso dello svolgimento delle attività di gruppo; inoltre, la location, offre grandi spazi aperti dove
poter giocare, fare passeggiate e percorsi nella natura, imparare ad orientarsi. Alcuni di questi spazi
sono stati adibiti e settati per lo svolgimento di attività specifiche quali judo, tiro con l’arco e
arrampicata, attuate grazie alla collaborazione dei volontari AIFA con l’Associazione Il Cerchio. Il
31
Nelle edizioni del 2009 e del 2010, il 54% dei partecipanti assumeva una terapia farmacologica, nel 2011 il 64%, nel
2012 il 75% e nel 2013 il 56%.
23
principio dell’associazione è “perseguire un’idea di judo che vuole essere sport, educazione e
cultura. Perseguire questo obiettivo non è facile, occorre partire dalla condizione umana, dal
proposito di non fermarsi su se stessi, distinguere le proprie aspettative con l’obiettivo comune della
associazione che si concretizza con il principio formulato dal fondatore del judo: insieme per
crescere e progredire col miglior impiego dell’energia.”32 Per i ragazzi con ADHD è molto
importante riuscire ad incanalare la propria energia verso qualcosa di costruttivo, ed è per questo
motivo che il principio di questa associazione risulta perfettamente in linea con l’intera esperienza.
Figura 3: Centro di Educazione Ambientale di Prim’alpe
Di seguito, come esempio, ho voluto riportare alcune tabelle contenenti le caratteristiche
anagrafiche e cliniche dei partecipanti di qualche edizione del campus.
32
www.ilcerchiojudo.it
24
Anno 2012
Età
Diagnosi
(anni)
principale
M
13
ADHD
DSA
2
M
12
ADHD
Disturbo oppositivo provocatorio-Disturbo dell'umore
3
M
13
ADHD
DSA-Ritardo mentale- Epilessia- Disturbo dell'umore
4
M
10
ADHD
/
5
M
13
ADHD
DSA
6
M
10
ADHD
Disturbo oppositivo provocatorio
7
M
13
ADHD
Disturbo oppositivo provocatorio
8
M
12
ADHD
Disturbo della condotta
ID
Sesso
1
Comorbilità
Ritardo cognitivo
9
M
17
con sintomi
/
ADHD
10
M
17
ADHD
DSA- Ritardo mentale- Disturbo dell'umore
11
M
17
ADHD
Ritardo mentale- Disturbo ossessivo compulsivo
12
M
22
ADHD
Ritardo mentale
25
Anno 2013
ID
Sesso
1
M
Età
Diagnosi
(anni)
principale
19
ADHD
Comorbilità
DSA- Ritardo mentale
Ritardo cognitivo
2
M
17
con sintomi
/
ADHD
3
M
13
ADHD
Disturbo oppositivo provocatorio
4
M
22
ADHD
Ritardo mentale
5
M
13
ADHD
DSA- Disturbo oppositivo provocatorio
6
M
17
ADHD
DSA- Ritardo mentale- Disturbo dell'umore
7
M
14
ADHD
DSA-Ritardo mentale- Epilessia- Disturbo dell'umore
8
M
14
ADHD
Disturbo oppositivo provocatorio
9
M
11
ADHD
/
10
M
10
ADHD
DSA
11
M
10
ADHD
DSA- Disturbo dell'umore
12
M
9
ADHD
Disturbo oppositivo provocatorio- Enuresi notturna
13
M
8
ADHD
Disturbo oppositivo provocatorio
14
M
11
ADHD
/
15
M
18
ADHD
Ritardo mentale- Disturbo ossessivo compulsivo
Esaminando queste due tabelle, si può affermare che in entrambi i casi la ricorrenza di comorbilità è
stata dello 80% e perfettamente in linea con i dati riportati dalla lettura scientifica. Grazie ad una
media statistica della presenza di comorbilità si è riuscito ad estrarre alcuni dati in percentuale sui
partecipanti:
26
-
il 45% DSA;
-
il 40% ritardo mentale;
-
il 30% disturbo dell’umore;
-
il 45% disturbo oppositivo provocatorio o della condotta.
Inoltre, all’ADHD erano associati in casi singolari a epilessia, enuresi notturna33 e disturbo
ossessivo-compulsivo.
2.3.1.1 La giornata tipo
La scansione degli orari e lo svolgimento delle attività, durante una giornata tipo, erano così
impostate:
-
7:45 sveglia
-
8:00 – 8:30 colazione
-
8:45 – 10:15 judo
-
10:30 – 11:30 tiro con l’arco
-
11:45 – 12:45 arrampicata in palestra esterna
-
13:00 – 14:00 pranzo
-
15:00 – 18:30 uscita di trekking nel territorio circostante
-
19:00 – 19:45 attività ludiche, riunione di gruppo, quaderno
-
20:00 – 21:00 cena
-
21:15 – 21:30 daily postcards
-
21:45 rientro in camera
-
22:30 raduno staff per valutazione giornata con i ragazzi
La giornata era caratterizzata da una scansione di tempi molto precisa e dalla transizione tra spazi
ben strutturati e regolati. Ciò per garantire prevedibilità e strutturazione ai ragazzi. Tutti i giorni,
subito dopo il momento della sveglia c’era il momento dedicato all’igiene personale e al riordino
del proprio guardaroba; inoltre ogni ragazzo doveva fare il proprio letto e ritirare la propria
biancheria. Assegnando questi piccoli compiti di responsabilità, lo staff ha potuto osservare il
livello di sviluppo delle autonomie; dopo i primi giorni, hanno potuto porre alcuni obiettivi a breve
termine per incrementare il livello di autonomia di ciascuno.
Il primo momento della giornata di condivisione era la colazione: qui, ogni giorno, lo staff si
occupava di assegnare i posti a ciascun tavolo al fine di favorire la socializzazione e la creazione di
un buon gruppo di amici; anche il pranzo e la cena si sono dimostrati dei momenti favorevoli per la
33
Consiste nella perdita involontaria e completa di urina durante il sonno in un’età (5-6 anni) in cui la maggior parte
dei bambini ha ormai acquisito il controllo degli sfinteri. E’ un problema frequente che interessa il 10-15% dei
bambini a 6 anni e che tende il più delle volte a risolversi spontaneamente (incidenza solo dell’1% negli adulti).
27
condivisione, conoscenza reciproca ed esperienza. Gli educatori hanno sfruttato questi momenti per
capire le dinamiche del gruppo e individuare quali potevano essere gli obiettivi su cui lavorare di
giorno in giorno.
2.3.1.2 Le attività del mattino
Nella mattinata sono state programmate le attività sportive di judo, tiro con l’arco e arrampicata; gli
operatori esperti di queste attività hanno spiegato ai ragazzi le tecniche e i regolamenti di esse,
soprattutto il significato educativo di determinate relazioni che si creavano nel corso delle attività
ludico-sportive. Queste attività si sono dimostrate indispensabili a perseguire le finalità generali del
campus, ovvero “riconoscere di avere delle abilità e di saper stare con i pari all’interno di una
cornice definita di regole”34. Volevo soffermarmi, in particolare, sull’attività del judo35, la prima
attività della mattina, con lo scopo di “promuovere nei ragazzi la capacità di autocontrollo e la
gestione dell’aggressività, il rispetto delle regole, l’accettazione della frustrazione, il
riconoscimento del limite, la tensione verso il miglioramento personale, il rispetto dell’altro”36. La
presenza costante e non intrusiva degli educatori, attorno al tatami durante l’attività del judo, è
particolarmente interessante in quanto le azioni professionali svolte sono: a) l’osservazione dei
ragazzi, nel modo in cui si muovono, di prestare attenzione, di mettersi in gioco e relazionarsi agli
altri; b) il contenimento, tramite lo sguardo e la presenza, questo perché si è verificato
costantemente che il sentirsi guardati con interesse e positività descrive un contenimento affettivo
rilevante; c) supporto nelle situazioni di fuga dall’attività: questo intervento ha il fine, in primis, di
accogliere una manifestazione di disagio espressa dal ragazzo, e, in secondo luogo, di ricondurlo nel
gruppo, se vi sono le condizioni, e di incoraggiarlo – mai obbligandolo – a partecipare, sempre
rispettando i tempi e i modi che ognuno richiede per affrontare le proprie difficoltà.
Dopo il judo, i ragazzi venivano divisi in due gruppi-squadre per le attività del tiro con l’arco; la
divisione in squadre è stata decisa per incrementare:
– l’interdipendenza positiva: creare un rapporto di impegno reciproco tra i membri della
squadra, che così accettano di essere responsabili di quello che fanno e come agiscono tanto
quanto i compagni. In questo modo tutti i compagni capiscono che l’impegno di uno è a
favore di tutta la squadra e non del singolo;
– la responsabilità individuale: focalizza il fatto che ogni ragazzo è responsabile della propria
parte di lavoro, senza che il lavoro di squadra risulti compromesso;
34
Micco e Sarti, 2015, p. 5.
Lo studio di Zivin et al. (2001) evidenzia, a seguito di un ciclo di lezioni di judo, una riduzione dell’impulsività in un
gruppo di ragazzi che presentavano problemi comportamentali.
36
Luccherino e Pezzica, 2012, p. 470.
35
28
– l’interazione costruttiva diretta: i ragazzi devono aiutarsi e sostenersi nelle difficoltà in
maniera reciproca e non conseguente a una suddivisione di ruoli37.
In contemporanea all’attività dell’arrampicata è stato necessario inserire un’attività ludica, attività
di giocoleria da me svolta, per fare in modo che i ragazzi rimanessero impegnati durante l’attesa del
proprio turno. L’attività del tiro con l’arco, invece, era regolata da un sistema a punti che
permetteva di vedere i progressi compiuti da ogni ragazzo nel corso della settimana: non era una
competizione tra compagni, ma con se stessi. Inoltre, i singoli punti di ogni ragazzo vengono
sommati per fare un totale della squadra, questo per fa si che i ragazzi si sostengano a vicenda e
ognuno ha un ruolo importante all’interno del gruppo.
2.3.1.3 Le attività del pomeriggio
Il pomeriggio, invece, era dedicato alle passeggiate, ai giochi e al relax. Le passeggiate erano
strutturate in modo da far sì che, durante la settimana, ci fosse uno sforzo e un impegno
gradualmente crescente da parte dei ragazzi. Le passeggiate dei primi giorni si svolgevano attorno
la struttura e avevano come obiettivo quello di far conoscere ai ragazzi le regole del camminare in
montagna, di abituarli alla fatica, a tenere il passo del gruppo e a gestire le difficoltà che si
incontrano. Anche durante le passeggiate i ragazzi erano divisi in due squadre, e procedevano a
distanza l’una dall’altra: ognuna era guidata da un educatore sportivo che scandiva il tempo di
camminata e indirizzava l’attenzione dei ragazzi al contesto circostante usando una modalità
narrativa.
Lo staff educativo affiancava i ragazzi e aveva una funzione di supporto della motivazione;
l’educatore, oltre a camminare, parlare e cantare coi ragazzi, aveva il compito di rafforzare
positivamente gli sforzi compiuti, di motivarli costantemente e lavorare sui comportamentiproblema nell’istante in cui si fossero verificati. Un metodo efficace per aiutarli a mantenere attivi
l’interesse e l’attenzione è quello di dar loro dei piccoli impegni durante la camminata. Alla
partenza venivano illustrati ai ragazzi gli obiettivi dell’escursione, per esempio svolgere il ruolo di
reporter affidandogli una macchina fotografica o raggiungere un luogo particolarmente desiderabile;
in alcuni casi si è dovuto coinvolgere i ragazzi in una dimensione narrativa: giochi
d’immaginazione, ad esempio camminare velocemente per non farsi vedere da un nemico
immaginario, o nascondersi dietro gli alberi, far finta di colpire con un ramo o un bastone il nemico.
Questi metodi supportano il ragazzo durante le camminate facendo sì che diventi il protagonista di
ciò che compie, predisponendo insieme l’attività e realizzandola. È cosi possibile lavorare sulla
consapevolezza dell’esistenza di modalità alternative, positive e divertenti per raggiungere la meta.
37
Cornoldi et al., 2001.
29
Nel tardo pomeriggio essendo un momento delicato per i ragazzi perché a questo punto della
giornata non sempre sono ancora in grado di stare in un gioco di squadra strutturato, è stato
opportuno organizzare angoli di attività diverse nate dall’interesse e richieste dei ragazzi: giochi da
tavolo, partite di calcio in cortile, chiacchere e scherzi. Sono attività nelle quali non viene richiesto
uno sforzo mentale considerevole, in questo modo ogni ragazzo può scegliere il ritmo e la modalità
per stare nel gioco38. Qui l’educatore segue le regole del gioco che sono state costruite assieme ai
ragazzi e fa da mediatore relazionale comunicativo. Durante queste piccole attività di svago, si
mandano i ragazzi a piccoli gruppi a fare la doccia accompagnati da alcuni degli educatori; così
facendo si formano dei gruppi contenuti che favoriscono la dimensione relazionale e permettono
all’educatore di stare con loro in modo più rilassato.
Nel dopocena si prevedeva un momento comune nel salone, strutturato da un primo frangente
ludico, in cui veniva realizzata un’attività proposta dai ragazzi stessi durante la giornata (discoteca,
giochi di gruppo, ecc.), e poi ad ognuno veniva consegnata la letterina, che serviva per valorizzare i
comportamenti positivi del singolo.
L’organizzazione delle attività del tardo pomeriggio e del dopocena si basano sull’osservazione del
gruppo e su un’attenta riflessione, da parte dell’équipe, su come è trascorsa la giornata; nel caso del
dopocena, laddove le dinamiche di gruppo fossero tese, si prendeva la decisione di terminare prima
le attività serali e dare priorità al momento della cura personale e delle autonomie per l’andare a
letto.
2.3.2 Campus Natura e Avventura
Questo campus è stato l’ultima edizione del campus estivo per bambini e ragazzi ADHD. Si è
svolto dal 12 al 19 luglio 2014 al rifugio “Colle Le Cese” nei Monti Sibillini.
Il Rifugio degli Alpini è stato uno dei primi rifugi aperti nei Monti Sibillini, ed è ormai un punto di
riferimento per escursionistici in genere. La struttura organizza trekking con asini e muli ed attività
escursionistiche in genere. Il rifugio è situato lontano dai centri abitati e totalmente avvolto nel
verde, ed è una confortevole residenza di montagna, con camere a più posti, servizi igienici e docce
per ogni camera, salone per pranzo e giochi.
Le escursioni si svolgevano sotto la guida del gestore, guida alpina e allevatore di asini e muli.
Figura 4: Rifugio ‘Colle Le Cese’
38
Vitale, 2006b, p.78.
30
Anche qui, come esempio, ho voluto riportare una tabella con i dati anagrafici e cliniche dei
partecipanti al questa edizione.
ID
Sesso
Età
Diagnosi principale
Comorbilità
1
M
11,5
ADHD
Disturbo oppositivo provocatorio
2
M
11
ADHD
/
Disturbo oppositivo provocatorio e disturbo
3
M
9
ADHD
misto d’ansia, livello cognitivo limite, difficoltà
dell’apprendimento
4
M
12,5
ADHD
Discalculia
Disturbo specifico di apprendimento
5
M
12
ADHD
generalizzato, disturbo oppositivo provocatorio,
epilessia idiopatica generalizzata tipo assenza
6
M
13
7
M
12,5
ADHD
DSA con tratti
ADHD
Dislessia
Probabile disturbo oppositivo provocatorio
Emiplegia, disturbo borderline cognitivo,
8
M
11
ADHD
disturbo della sfera emozionale di tipo fobicoossessivo e conseguenti difficoltà linguistiche,
comportamentali e neuropsicologiche
9
M
13
ADHD
Disturbo oppositivo provocatorio
10
M
12
ADHD
Disturbo del comportamento
11
M
10
ADHD
DSA
12
M
10
ADHD
Comportamenti oppositivo provocatori
13
M
11
ADHD
/
14
M
9
ADHD
/
Anche in questo campus i casi di ragazzi con comorbilità erano superiori del 50%.
31
Per quanto riguarda la strutturazione della giornata e le attività proposte in questa edizione sono
state più o meno le stesse di quelle precedenti e con gli stessi obiettivi; l’unica differenza è che si è
voluto introdurre la onoterapia: la cura degli asini ed escursioni con gli stessi.
2.3.2.1 Giornata tipo
La scansione del tempo e la strutturazione delle varie attività di una giornata tipo era:

7:45 sveglia

8:00 – 8:30 colazione

8:30 – 12:30 e 15:00 – 18:30 varie attività: tiro con l’arco, percorso avventura, approccio
con gli asini (dove e come vivono, cosa mangiano, come si comportano, come capirli,
preparazione per l’escursione)

13:00 – 14:00 pranzo (erano previste escursioni a giornata con gli asini con pranzo al sacco)

19:00 – 19:45 attività di gioco, doccia

20:00 – 21:00 cena

21:00 – 22:00 giochi, riflessioni sulla giornata, attività di brainstorming

22:30 a dormire
2.3.2.2 Onoterapia
La onoterapia è una tipologia di pet-therapy praticata utilizzando gli asini. È un metodo di coterapia, basato sulla collaborazione con l’asino, essa utilizza le caratteristiche proprie dell’animale
grazie alle quali si rivela essere un ottimo partner per le terapie.
Gli IAA39 sono attività di interazione tra uomo e animale, guidate con competenza professionale, e
hanno lo scopo di migliorare o mantenere lo stato di salute e benessere fisico, sociale e psichico
della persona,
nel rispetto anche del benessere dell’animale stesso. In genere questi tipi di
interventi vengono definiti con il termine pet-therapy, ma è poco preciso. Di fatto gli interventi con
gli animali possono avere, oltre alla valenza terapeutica, anche quella educativa, ludico-ricreativa o
di semplice socializzazione.
Nel contesto degli interventi assistiti con gli animali, gli asini hanno tutti i requisiti per essere tra gli
animali più adatti ad un lavoro terapeutico-relazionale. Infatti è un animale che da subito regala
accoglienza, calda protezione, sicurezza e affidabilità; in oltre le sue caratteristiche fisiche (tagli
ridotta, pazienza, morbidezza al tatto, lentezza di movimento e tendenza ad andature monotone)
permettono di entrare in ‘comunicazione’ con l’utente tramite il sistema asino-utente-operatore.
Quest’ultimo ha il compito di facilitare la comunicazione e la conduzione dell’animale.
39
Interventi assistiti con gli animali.
32
Perché l’asino è adatto a tutti gli interventi assistiti? Per via delle sue dimensioni fisiche e per il suo
comportamento. Per quanto riguarda la sua dimensione fisica gli permette di offrire accoglienza e
protezione, e il contatto diretto può avvenire attraverso o l’abbraccio da terra o mediante la
cavalcata, in diversi modi (di pancia, di fianco). Per esempio appoggiando il corpo sulla schiena
dell’asino fino ad avvolgere il suo collo40, in questo modo si può ottenere un contatto fisico
particolarmente stretto, attraverso il quale il paziente può sentire il calore dell’animale e il ritmo del
suo respiro.
Il comportamento dell’asino è poco irruente nei confronti dell’uomo, si avvicina a lui con curiosità,
con prudenza e delicatezza, senza invadere il suo spazio. Un altro fattore è che non scappa e questo
è molto importante perché aiuta l’utente ad avvicinarsi a lui con sicurezza e tranquillità.
Gli obbiettivi di questi interventi hanno lo scopo di creare uno stato di benessere per la persona
coinvolta nelle seguenti aree:
-
psichica: autostima, autocontrollo, percezione sensoriale, gestione delle emozioni,
affettività;
-
cognitivo-intellettiva: apprendimento, controllo delle risposte riflessive, capacità di
previsione, adeguamento all’ambiente, concentrazione sul compito attribuito, attenzione,
comprensione, memoria;
-
socializzazione: condivisione delle esperienze, partecipazione al gruppo, cooperazione;
-
psicomotoria: equilibrio, sviluppo muscolare, coordinazione, riflessi, controllo delle
stereotipie, orientamento spazio-temporale;
-
comunicazione: comunicazione verbale e non verbale, linguaggio assertivo, intenzionalità.
Vi sono anche altri obiettivi:
-
sviluppare capacità relazionali con l’animale tramite il linguaggio non verbale;
-
accedere al proprio mondo emotivo mediante il repporto con l’animale;
-
sviluppare consapevolezza di sé e dell’Altro;
-
sviluppare l’autonomia nelle scelte personali e nelle attività con l’animale;
-
sviluppare capacità empatiche e di aiuto reciproco;
-
migliorare le condizioni fisiche, psicologiche ed emotive degli assistiti;
-
ritrovare la dimensione affettiva tramite la relazione con l’asino.
Nello specifico del Campus AIFA Onlus, l’attività con gli asini si è dimostrata particolarmente
adatta per aver avuto un influenza positiva sui ragazzi iperattivi. Già al momento iniziale della
giornata, in cui dovevano prendersi cura in coppia dell’animale, spazzolandolo, accarezzandolo,
pulire lui e il suo ambiente, non si creavano i consueti momenti di conflitto tra i ragazzi perché
40
Catiello P., L’asino che cura, Prospettive di onoterapia, Roma, Carocci Faber, 2014
33
ognuno si rendeva conto di essere responsabile di un essere vivente a loro affidato. Anche se tutte
queste azioni si svolgevano sotto la supervisione della responsabile del centro, si notava che giorno
per giorno spariva l’iniziale timore ed aumentava la confidenza con l’animale.
Lo scopo principale era quella di creare responsabilità e rispetto del bambino verso un altro. In
questo caso in primo luogo si trattava del animale, ma di conseguenza anche del compagno.
Per quanto riguarda le gite, invece, si svolgevano in questo modo: ad una coppia di ragazzi veniva
affidato un asino. In escursione i ragazzi si alternavano nella conduzione e nel cavalcare l’asino,
rispettando i tempi imposti dalla guida. Il bambino che conduceva l’asino ha imparato in fretta a
dare ordini semplici ma precisi e autorevoli. Hanno dovuto imparare subito che l’animale risponde
solo ad una comunicazione chiara e semplice. Nel contempo, il bambino seduto in sella, ha
imparato a fidarsi del compagno che lo conduceva, ma anche dell’animale che lo portava,
rispettando i ritmi ed i tempi di ambedue e del gruppo.
Generalmente le escursioni classiche, quelle in montagna dove si percorre un cammino a piedi,
perdono facilmente il fascino per un bambino con ADHD in quanto sono fini a se stesse senza un
obiettivo particolarmente stimolante per loro. Invece durante le escursioni al campus, che erano di
mezza giornata o di una giornata intera, sono state ben sopportate, episodi di conflitto tra i
compagni si sono ridotti, l’attenzione è concentrata soprattutto sul rapporto con l’animale. I ragazzi
hanno inoltre imparato ad alternarsi alla cavalcatura senza arrivare a liti o atteggiamenti aggressivi,
rispettando sia il desiderio di riposarsi del compagno sia le precise istruzioni della guida. Era stato
spiegato loro che i tempi e l’andatura del gruppo vanno rispettati rigorosamente, per non affaticare
l’animale e per garantire il raggiungimento dell’obiettivo.
Tutte le escursioni si sono concluse senza imprevisti o abbandoni, i ragazzi hanno ben sopportato
anche la lunghezza delle camminate che potevano durare parecchie ore dando prova del fatto che è
possibile lavorare sull’incremento di resistenza ed applicazione
mediante una modalità che
coinvolge il rapporto con un altro essere vivente. Inoltre il carattere mite, il movimento lento e la
docilità degli asini aveva un’influenza calmante sui ragazzi durante i momenti di convivenza.
Anche queste attività, come tutte le altre attività ludiche e sportive proposte durante il campus,
venivano commentate a fine giornata ed ogni ragazzo riceveva un feedback scritto o verbale sui
suoi comportamenti, sul raggiungimento di un obiettivo prestabilito. Nel rispetto della Token
Economy, i commenti erano espressi dagli educatori di comune accordo puntualizzando l’aspetto
positivo che il singolo ragazzo aveva dimostrato in quella giornata.
La scelta di affiancare ad ogni asino due ragazzi nasceva dalle seguenti considerazioni :
- lavorare sulla condivisione dell'obiettivo tra i due ragazzi (condurre l'asino alla meta avendone la
responsabilità);
34
- allenare all 'attesa per il cambio turno, che veniva scandito dalla guida. I turni, inizialmente
scanditi più frequentemente , aumentavano gradualmente di durata;
- i ruoli dei ragazzi sono interdipendenti, sia all'interno della coppia (un ragazzo conduce da terra
l'asino, tenendo la briglia; l'altro cavalca l'asino), sia nel gruppo intero, in quanto la buona tenuta
della fila era dipendente dalla capacità di ognuno di condurre il proprio asino, in direzione e
velocità: ogni ragazzo é dunque responsabile del raggiungimento dell'obiettivo e al tempo stesso é
coinvolto attivamente per tutta la durata del percorso;
- costruzione di un rapporto con l'animale ed il compagno: il rapporto con l'asino era rafforzato
anche dal fatto che ogni asino veniva presentato dalla guida con le sue caratteristiche specifiche
(fisiche e caratteriali) e con il proprio nome. I ragazzi sapevano quindi di doversi rapportare al
proprio asino in modo particolare e specifico;
- ogni coppia di ragazzi con ogni asino erano affiancati da un educatore, pronto a supportare i
ragazzi nei momenti di difficoltà promuovendo la loro autonomia e la loro capacità di risolvere i
problemi e gli eventuali conflitti.
Un aspetto fondamentale dell'attività con gli asini stava nella ricaduta sul senso di autoefficacia dei
ragazzi. Prendersi cura di un animale di grande taglia, saperlo nutrire, ma soprattutto saperlo
condurre, indicandogli con i movimenti la direzione da seguire, rappresentano azioni e competenze
che i ragazzi non avevano mai avuto occasione di sperimentare. La responsabilità loro affidata dalla
guida aveva proprio come obiettivo quello di stimolare il senso di efficacia e l'autostima dei ragazzi.
E’ nota infatti la grande importanza di esperienze positive e gratificanti di questo tipo nel vissuto
dei ragazzi con ADHD.
2.4 Approcci e strategie
Per via dei problemi di autocontrollo e autoregolazione, i ragazzi con ADHD sono spesso soggetti
ad attenzioni negative: cioè che vengono rimproverati più volte piuttosto che essere incoraggiati o
gratificati. Adottare una strategia di gratificazione di azioni corrette, anche se nel naturale
patrimonio del ragazzo sono poco presenti, è una valida all’alternativa nell’utilizzo di punizioni o di
sistemi che prevedono l’eliminazione dei comportamenti inadeguati; gli educatori devono
individuare e valorizzare i comportamenti e i momenti positivi ignorando, se è possibile, quelli
negativi. Questo tipo di tecnica è un metodo d’intervento efficace per modificare il comportamento,
anche se individuare e gratificare un comportamento non è facile, e non è altrettanto facile l’utilizzo
di questa tecnica in un modo adeguato. Per un corretto utilizzo di questo metodo occorre conoscere
gli elementi essenziali:
-
l’individuazione di azioni e atteggiamenti positivi da gratificare;
35
-
definire operativamente l’azione oggetto di gratificazione sistematica; può essere presente
nel patrimonio comportamentale del bambino, oppure essere nuova e quindi necessita di un
apprendimento. Nel primo caso, i comportamenti da gratificare sono quelli a cui di solito si
da poco peso e c’è il rischio di dimenticarne la valorizzazione; mentre nel secondo caso,
l’educatore pone degli obiettivi comportamentali che posso entrare nel suo patrimonio.
-
utilizzare eventi, oggetti, comportamenti che siano effettivamente delle gratificazioni;
ovvero individuare forme di gratificazione che permettono l’aumento di comportamenti
positivi. Il rischio è quello che possano diventare delle abitudini e perdere efficacia: è
necessario prevederne una vasta gamma ed accompagnarle con parole di incoraggiamento;
-
gratificare in modo coerente sempre la stessa azione ogni volta che si manifesta;
-
gratificare immediatamente dopo il comportamento positivo;
-
non usare forme di falsa gratificazione.41
Di seguito ho voluto riportare le principali strategie attuate durante i campus.
2.4.1. Token Economy
La Token Economy è un esempio di gratificazione sistematica ed è determinata dalle regole elencate
sopra. Durante i primi giorni del campus l’équipe, tramite l’attenta osservazione dei ragazzi, ha
potuto stabilire degli obiettivi comportamentali individuali su cui focalizzarsi nel corso della
settimana. Ogni educatore era affiancato ad uno o più ragazzi e, di giorno in giorno, doveva stabilire
con loro dei comportamenti alternativi adeguati da mettere in pratica. Se risultava che ci fosse un
caso particolarmente problematico, l’educatore definiva con il ragazzo degli obiettivi a breve
termine, della durata di una singola attività o di un momento specifico della giornata.
La Token Economy consiste nella gratificazione tramite la consegna di un gettone, in questo modo
ogni ragazzo poteva guadagnare punti che alla fine dell’esperienza venivano convertiti in premi.
Durante la progettazione del campus l’équipe ha scelto i premi in base all’età e agli interessi dei
ragazzi. Questo tipo di strategia, assieme ad un progetto educativo puntale e coerente, si è
dimostrata di grande utilità.
2.4.2. Momento delle Letterine
Il Momento delle Letterine è un altro metodo di gratificazione. Lo staff educativo ha pensato di
introdurre alla fine di ogni giornata, prima di andare a dormire, un momento di condivisione e di
riflessione: gli educatori consegnavano una letterina personale ad ogni ragazzo mettendo in risalto il
41
Cornoldi, Capodieci, 2013.
36
buon comportamento tenuto durante la giornata. Abbiamo reputato molto importante il fatto di
accompagnare la descrizione del comportamento con delle parole che fossero di gratificazione ed
incoraggiamento con lo scopo di permettere a ciascuno di interiorizzare un buona immagine di sé.
Questo momento è stato pensato con la finalità di sottolineare ed evidenziare le potenzialità di ogni
singolo ragazzo, emerse durante la giornata. Anche in questo momento, come in altri metodi di
gratificazione, si sono messi in risalto i comportamenti positivi in modo da sviluppare l’autostima e
la fiducia in sé stessi, riflettere per quanto riguarda le proprie possibilità e risorse.
2.4.3. Time-out
Durante i campus spesso si sono verificati episodi e situazioni di conflitto e di tensione tra i ragazzi;
queste situazioni non sempre sono facili da prevedere e mediare. Per questo motivo si è deciso di
utilizzare la strategia del Time-out (sospensione).
Questo intervento prevede:
-
il costo della risposta: i ragazzi perdono un privilegio o la possibilità di svolgere un’attività
gradevole dopo aver tenuto un comportamento inadeguato;
-
ignorare comportamenti inadeguati non gravi. Affinché la strategia sia efficace, tali
comportamenti vanno sempre ignorati anche quando raggiungono il proprio apice;
-
punire comportamenti inadeguati gravi: la punizione deve fare diminuire la probabilità che
un comportamento si ripeta e deve essere proporzionata alla gravità dell’azione, immediata,
facilmente applicabile e, se possibili, legata al comportamento inadeguato.42
L’allontanamento del ragazzo da un contesto in cui è inserito, utilizzando il time-out, consente di
interrompere i comportamenti negativi, aggressivi e distruttivi , ad esempio minacce, insulti,
aggressioni, danneggiamenti di oggetti. Per mettere in atto questa strategia durante il campus, gli
educatori hanno dovuto individuare dei luoghi adatti dove poter accompagnare i ragazzi in timeout: qui veniva chiesto loro di stare seduti e in silenzio per alcuni minuti43, allo scadere del tempo
era possibile riflette sul comportamento negativo messo in atto e sulle possibili alternative. Al
termine del time-out il ragazzo deve aver accettato la regola datagli dall’educatore e ammettere la
responsabilità del comportamento negativo tenuto. Se questo non avveniva il time-out deve essere
prolungato. Affinché questa “sospensione” abbia l’effetto desiderato, è fondamentale che
l’educatore sia paziente, coerente e deciso; può essere messo in atto in modalità diverse a seconda
del caso specifico e dell’età dei ragazzi.
42
Cornoldi, Capodieci, 2013.
Di solito è circa un minuto per ogni anno di età, quindi se un ragazzo ha 13 anni deve stare 13 minuti seduto e in
silenzio
43
37
Per quanto riguarda l’esperienza del time-out durante il campus, spesso ha creato dei momenti di
incontro, di intesa, in cui poter fondare delle relazioni di fiducia.
Quindi, riassumendo, perché l’attuazione di questa tecnica sia efficace è necessario:
– definire i comportamenti gravi su cui applicare il time-out;
– trovare un luogo che sia idoneo dove accompagnare i ragazzi in time-out;
– spiegare le regole: quindi ad ogni interruzione, violazione delle regole, il tempo riparte da
zero;
– riflettere sul comportamento tenuto.
2.4.4. Le regole del campus
Si è ritenuto che fin da subito, dal primo giorno, fosse importante stabilire un insieme di regole,
semplici, facili da capire e concrete, che potessero favorire lo sviluppo delle autonomie e il rispetto
degli altri; i ragazzi hanno avuto anche la possibilità di proporre e motivarne delle nuove. Dopo di
che tutti i ragazzi le hanno firmate e di conseguenza hanno accettato questo “contratto educativo”.
Uno dei ruoli fondamentali degli educatori è stato anche quello di supporto e di motivazione per i
ragazzi nel rispettare le regole. Il regolamento è stato esposto in tutti i luoghi della struttura in modo
da poter essere facilmente ricordato, e prevedeva che:
1. nessuno offende gli altri, nessuno picchia le persone, nessuno rompe le cose;
2. al mattino mi lavo, alla sera faccio la doccia, lavo i denti mattina e sera;
3. metto in ordine le mie cose;
4. rimango sempre nel mio gruppo;
5. durante i pasti resto a tavola;
6. obbedisco agli adulti.
2.4.5. L’approccio educativo
Tutte le strategie e le tecniche riportate sopra non sono sufficienti, senza un approccio educativo
specifico. In questo modo l’educatore diventa una figura di riferimento autorevole, un mediatore in
grado di accogliere e contenere, ma allo stesso tempo consentire al soggetto di crescere ed
emanciparsi. Instaurare un rapporto di fiducia è la “chiave di volta” per entrare nella vita dei
ragazzi. E allora sorge una domanda spontanea: come è stato possibile riuscire a fare tutto questo in
un tempo così limitato? Grazie al mantenimento di un atteggiamento di positività e ottimismo nei
confronti dei ragazzi, delle loro potenzialità e delle loro motivazioni. È per questo che gli educatori
forniscono in continuazione feedback relativi a quello che succede: in questo modo si possono
38
riorientare e, oltre a sostenere i ragazzi prima che si verifichino i problemi, anche a reindirizzarli e
facilitare il raggiungimento dell’obbiettivo.
Durante il campus, gli educatori non tengo conto dei comportamenti negativi, dove è possibile, e
con il rinforzo positivo, invece, gratificano quello più adeguato. Ma, nel contesto del campus, per
gli educatori mantenere la calma non è facile perché le tensioni e la preoccupazioni posso condurre
perdere la pazienza, cosa che rende gli interventi poco efficaci.
E’ estremamente importante coerenza tra quello che si dice e quello che si fa, e mostrare le
conseguenze di determinati atteggiamenti con messaggi chiari e diretti. In sostanza gli educatori
devono favorire l’organizzazione dei ragazzi che spesso hanno difficolta con l’organizzazione delle
attività, nel seguire le istruzioni, svolgere compiti che richiedono di mantenere l’attenzione che si
protrae nel tempo. Quindi ad un educatore che lavora con bambini e adolescenti con ADHD sono
richieste delle caratteristiche come la perseveranza, la capacità di accoglienza e di contenimento. E
ancora, l’educatore deve conoscere le difficoltà e i punti di forza e saper coinvolgere i ragazzi
nell’individuare i propri obiettivi.
Riuscire a costruire una relazione di fiducia significa:
– da un lato, per l’educatore, la consapevolezza di essere ascoltato e quindi di poter dare
incarichi e responsabilità;
– dall’altro, per i ragazzi, di ricevere una grande considerazione e quindi la possibilità di
rivalutarsi e di guardarsi diversamente.
Riassumendo si può dire che il ragazzo con ADHD, per poter cambiare, ha necessità che l’adulto
stesso cambi il suo modo di relazionarsi, e quindi il cambiamento che l’educatore deve mettere in
atto è in primis nel proprio approccio nei confronti del ragazzo con ADHD.
Conclusioni
I campus estivi organizzati dall’AIFA sono stati i primi e gli unici campus per ragazzi con ADHD
ad essere stati organizzati in Italia. Vivere l’esperienza del campus in tutte le sue fasi, dalla
progettazione all’attuazione, permette di conoscere le realtà quotidiane che vivono bambini e
adolescenti con ADHD e le difficoltà delle loro famiglie. Il campus è nato dall’idea di dare
un’opportunità sia ai ragazzi che alle famiglie. I primi hanno l’occasione di vivere una settimana di
vacanza, ovviamente strutturata in base alle loro caratteristiche psicologiche e comportamentali; per
le famiglie è un momento, un’opportunità, per interrompere, distrarsi e staccarsi dalla routine
quotidiana e riappropriarsi degli spazi personali.
I feedback ricevuti dai ragazzi e dai genitori alla fine del campus, hanno permesso di affermare
come questa esperienza sia alquanto positiva; oltre al fatto che i ragazzi si divertono, lo sguardo
39
educativo degli educatori ha reso i ragazzi consapevoli di quello che sono, delle loro possibilità,
delle capacità, risorse e potenzialità che possono mettere in atto. In questa esperienza la
gratificazione e il sentirsi considerati, fattori fondamentale, permettono al ragazzo di migliorarsi in
continuazione, avendo sempre più fiducia in se stesso, stima e autoconsapevolezza. Questo fa si che
possa vivere situazioni e relazioni quotidiane, con adulti e coetanei, in modo più autentico e
qualitativamente migliore: ovvero sentirsi maggiormente integrato e accettato.
Il campus è un modello funzionale volto a favorire l’integrazione sociale, la socializzazione e
l’adattamento ad ambienti e contesti diversi ed è per questo che dovrebbe essere riportato nella vita
quotidiana dei ragazzi. Purtroppo l’emarginazione è molto più influente sui ragazzi ADHD e può
provocare effetti che spesso sono irreversibili ad esempio fare uso di sostanze o anche entrare nel
circolo vizioso della microcriminalità.
L’esperienza del campus, per chi vi partecipa, non si dovrebbe limitare solo a quella settimana, ma
dovrebbe essere una tappa di un progetto, un percorso continuo, della durata di un anno, che abbia
le stesse caratteristiche specifiche e coerenti; mentre, per chi non vi partecipa o non ha l’opportunità
di parteciparvi, bisognerebbe strutturare un progetto estraendo le procedure, le strategie e gli
approcci con il fine di garantire un miglioramento nella vita personale, sociale e scolastica dei
ragazzi. Un intervento strutturato secondo questa modalità, che sia continuo e che sia supportato da
un’équipe multidisciplinare, e che permetta di individuare nell’educatore quell’anello di
congiunzione tra ragazzi e professionisti, può letteralmente favorire l’integrazione sociale dei
ragazzi con ADHD e prevenire dei comportamenti devianti in età adulta, caratteristici di chi ha un
vissuto di inadeguatezza.
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42
Sitografia
www.aifaonlus.it
www.ilcerchiojudo.it
www.iss.it
www.rifugiocollelecese.it
www.wikipedia.org/wiki/onoterapia
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E quando sento qualcuno che dice
“l’adhd è un dono”
mi verrebbe da dirgli:
“Stai tranquillo
per il prossimo Natale
ti regalo
la mia distrazione,
la mia disistima,
la mia incapacità a ricordare i momenti più belli,
la mia impossibilità a programmare la mia giornata,
i miei momenti di rabbia,
la mia impulsività,
la mia ansia e anche la mia tristezza,
il mio sentirmi perennemente in difetto…….”
Forse così ti accorgerai
che un disturbo non è un “dono”.
-cit. Anonimo-
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Ringraziamenti
Ne approfitto per ringraziare le persone che mi sono state vicine in questi anni di studi e riuscire a
portarli a termine.
Non è stato facile arrivare alla fine, per via delle mie difficoltà nello studio; molte volte ho pensato
di abbandonare l’università quando mi si parava davanti un ostacolo difficile da superare, ma grazie
alle persone che mi sono state accanto, al loro supporto e incoraggiamento e al loro affetto mi hanno
spronato ad affrontare gli ostacoli ed andare avanti.
Ringrazio il mio relatore Ivano Gamelli, perché mi ha permesso di sviluppare questo elaborato su
questo argomento vasto, accompagnandomi con interesse e disponibilità, risultando sempre
tempestivo sul darmi consigli nello sviluppo della tesi.
Grazie mille
Ringrazio la mia famiglia che mi dimostra sempre il suo affetto e su cui posso e potrò sempre
contare e anche sul loro aiuto.
Ringrazio…
I miei genitori Antonio e Astrid che mi hanno permesso di affrontare questa esperienza standomi
accanto e spronandomi a dare il massimo, senza abbattermi e ricordandomi che se ho superato
alcuni difficili ostacoli, posso superare anche questo.
Mia sorella Erica perché mi è stata accanto nei momenti più critici, che è stata sempre il mio
esempio e mi ha spinto ad l’università.
Giordana, da tre al mio fianco, la quale mi ha aiutato a preparare e a superare gli esami durante
questo difficile percorso, inoltre mi ha sostenuto con la sua positività ad affrontare gli ostacoli con
grinta.
Magda per la sua amicizia e il suo sostegno morale.
Nicola, Stefania, Iolanda e Elisabetta che sono stati miei esempi durante le mie esperienze nei
campus dell’AIFA Onlus.
L’AIFA Onlus che mi ha dato la possibilità di sperimentarmi come figura educativa durante i
campus con bambini ADHD.
Tutti i bambini, ragazzi e adolescenti che ho incontrato durante le mie esperienze come volontario,
perché da loro ho imparato.
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Ringrazio anche Mattia, Silvia e Stefano, i miei amici più cari, con cui ho potuto confrontarmi e
hanno saputo confortarmi.
Ringrazio tutti gli amici che ho incontrato e conosciuto durante questi tre anni di università, con cui
ho passato dei bei momenti, che resteranno nei miei ricordi.
Infine ringrazio tutte le persone che hanno creduto in me, e anche chi non ha creduto in me perché
mi ha reso più forte e motivato ad andare avanti nonostante i difficili ostacoli che ho incontrato.
GRAZIE DI CUORE A TUTTI
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