Presentazione di - Aracne editrice

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A08
284
Rosario Di Petta
LOUIS ISIDORE KAHN
LA MISURA DELL’ETERNO
Presentazione di
Franco Purini
Copyright © MMX
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133/A-B
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN
978–88–548–3307–4
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: maggio 2010
Indice
Presentazione di Franco Purini
Il luogo dell’origine
pag.7
Premessa
pag.12
La misura dell’eterno
pag.15
Bibliografia essenziale
pag.95
5
Il luogo dell’origine
L’opera di Louis Kahn, nonostante l’interesse che
continua a suscitare in tutto il mondo,
materializzato da un numero crescente di articoli,
di saggi e di monografie, presenta aspetti che
attendono ancora di essere indagati. Quella che
sembra una straordinaria avventura creativa ormai
conosciuta in tutti i suoi particolari richiede in
realtà interpretazioni nuove, che possono
scaturire solo da modelli critici capaci di
coglierne gli aspetti rimasti finora in ombra,
stabilendo nello stesso tempo inedite relazioni tra
contenuti e fatti già ampiamente indagati. Il fatto
che siano trascorsi trentasei anni dalla morte del
progettista di Dacca fa inoltre sì che il significato
della sua vicenda architettonica abbia oltrepassato
tre svolte fondamentali quali l’avvento del
postmodernismo, la successiva affermazione del
decostruttivismo e la nascita dell’architettura
dell’immagine. Senza dimenticare che questi tre
passaggi epocali si sono svolti all’interno della
rivoluzione digitale, una trasformazione profonda
e irreversibile dei processi conoscitivi e delle
modalità di classificazione e di utilizzazione delle
informazioni che ha in qualche modo rifondato
l’insieme dei saperi e delle tecniche da essi
generate, producendo oltre a tutto ciò ulteriori
orizzonti culturali. In architettura tale rivoluzione
ha dato vita, tra l’altro, a una nuova visualità del
paesaggio, della città e degli edifici. Determinato
7
dell’universo dei pixel, questo tipo più acuto e
selettivo di osservazione del mondo si è
configurato come un potente filtro tematico. Esso
ha consentito non solo che alcune architetture
continuassero a imporre la propria presenza, ma
soprattutto che le esaltassero in una sorta di
iperrealismo dell’apparire. Al contempo questa
nuova visualità dell’architettura ha causato il
declino di molte esperienze linguistiche le quali, a
causa di una loro intrinseca fragilità tematicoespressiva e della loro inconsistenza strutturale,
non sono riuscite ad accordarsi con i requisiti
iconici richiesti dallo sguardo digitale. Le opere
di Louis Kahn appartengono senza dubbio a
quelle che hanno superato lo sbarramento
costruito della nuova visualità, rivelando oggi
ambiti tematici prima del tutto nascosti o
fortemente attenuati.
Per questi motivi – l’esistenza di nuovi contenuti
da fare emergere da un corpus di progetti, di
disegni, di relazioni e di scritti che assume via via
una crescente completezza, la variazione nel
tempo dei valori centrali di un’esperienza
creativa, per molti versi unica e la positiva
reazione a nuove modalità di lettura
dell’architettura – il libro di Rosario Di Petta
acquista una particolare rilevanza storico-critica.
Leggendolo viene da pensare che la capacità,
ampiamente dimostrata dell’opera Kahniana di
contrastare il tempo proponendosi sempre come
attuale derivi dal fatto che essa si è posta
programmaticamente
contro
l’attitudine
8
dell’architettura moderna a interpretare la propria
contemporaneità, quasi trascrivendo tutto ciò che
di transitorio e di accidentale questa può
esprimere. Rosario Di Petta dimostra come
l’architettura di Louis Kahn, attraverso una
tendenziosa interpretazione delle tematiche
linguistiche e strutturali moderne, approdi a una
visione che non può definirsi propriamente
storicista anche se contiene molti motivi tratti
dall’antico, come ricorda a questo proposito il
celebre slogan “Il passato come amico”. In effetti
la visione di Louis Kahn, più che guardare alla
tradizione, intesa come un sedime di lessici ai
quali attingere, è più esattamente rivolta alla
rivalutazione di un’idea ancestrale del costruire,
basata sulla ricorrenza di enigmatici nessi
tettonico-spaziali, sospesi in una sorta di immota
e metafisica atemporalità. Ciò che sembra
interessare il maestro lituano-americano è
l’intercettazione
di
uno
strato
segreto
dell’architettura, un livello implicito nel quale il
tempo, e con esso la storia, non scorre,
configurandosi come qualcosa di assolutamente
fermo, che nella sua stabilità trova la ragione
della propria esistenza. Louis Kahn è pervenuto a
tale visione attraverso un itinerario piuttosto
complesso e in qualche punto contraddittorio. Un
itinerario, ripercorso con esattezza da Rosario Di
Petta, nel quale si incontrano la riflessione sulla
lezione di Rudolf Wittkower, una ispirata analisi
dell’architettura
miesiana,
una
attenta
comprensione dei luoghi unita a una adesione
critica a ipotesi tecnologiche come quelle di
9
Richard Buckminster Fuller, un lavoro teorico
sugli elementi architettonici e sulle loro
connessioni primarie, che anticipa la minimal art,
un lavoro assiduo e a suo modo ossessivo
associato alla messa a punto del concetto di
istituzione come esito di un trascendimento di
quanto c’è di contingente in ogni occasione
architettonica, ovvero come raggiungimento, da
parte dell’edificio, di ciò che esso vuole e deve
essere.
Rosario Di Petta ha ricostruito con precisione e
chiarezza i passaggi attraverso i quali Louis Kahn
è pervenuto alla sua idea di monumentalità come
spazio semantico dell’istituzione, rifiutando
contestualmente gli argomenti relativi alla utilità
sociale dell’architettura cari alla maggioranza
degli architetti moderni. Una maggioranza che ha
preferito in prima istanza considerare gli edifici
come erogatori di servizi per la collettività,
trascurando così il loro significato più autentico,
quello meno dipendente dalle contingenze.
Secondo Louis Kahn, all’architettura non spetta
solo il compito di rispondere nel migliore dei
modi a una serie di esigenze funzionali. Il suo
ruolo più vero e duraturo è infatti quello di
rappresentare attraverso la forma, intesa come
l’esito della necessità di esistere che le parti
dell’edificio e il loro insieme devono esprimere, il
senso ultimo, per così dire, dello spazio che rende
tale una comunità.
10
Sintetico e al contempo capace di affrontare in
modo completo i nodi teorici che caratterizzano
l’opera kahniana, il libro di Rosario Di Petta è
molto più di un’utile introduzione al mondo
architettonico di uno dei massimi protagonisti
dell’architettura del Novecento. L’autore ha
articolato su più piani il suo discorso. Nella sua
esposizione le questioni compositive, gli
argomenti di natura tecnico-costruttiva, la finalità
stessa dell’architettura si ordinano secondo un
disegno storico-critico complesso e rigoroso, che
mette in evidenza con ammirevole efficacia
comunicativa
la
natura
intrinsecamente
trattatistica della ricerca kahniana. In questo
senso il volume si configura come una mappa
circostanziata dei luoghi principali di una
scrittura architettonica la quale, opponendosi
coraggiosamente al progressivo consumo dei
linguaggi architettonici moderni, è stata in grado
di rifondarsi a partire dal suo nucleo più interno,
quel luogo dell’origine nel quale e dal quale
nasce l’esigenza spirituale e concreta del
costruire.
Franco Purini
11
Premessa
“Come Piranesi, Kahn aveva riconfigurato la
realtà. Ma, a differenza di Piranesi, avrebbe
traslato negli anni successivi queste monumentali
immagini urbane in altri progetti, più realistici”.1
Questa è la lucida analisi effettuata da David
Brownlee e David De Long nel loro volume –
pubblicato con la collaborazione del Museum of
Contemporary Art di Los Angeles e con la
partecipazione della Louis I. Kahn Collection –
che costituisce un racconto dettagliato ed
estremamente suggestivo dell’architettura e della
filosofia del maestro lettone-americano.
E’ oramai noto come la pianta del Campo Marzio,
nella visionaria ricostruzione di Piranesi, fosse
appesa dinanzi al tavolo di lavoro di Louis Kahn,
a suggerire il ricordo della grandezza
dell’architettura antica, e ad imprimere, al
contempo, la direzione di ricerca per la
prefigurazione di nuove grandiose immagini
progettuali.
I tre mesi trascorsi da Kahn a Roma, dove
l’architettura si mostrava nella purezza
geometrica dei volumi scolpiti da muri grandiosi
e dalle immense volte in calcestruzzo,
influenzarono tutto il suo lavoro successivo,
costituendo la necessaria premessa a quella
1
B. Brownlee, G. De Long, Louis I. Kahn : nel regno
dell’architettura, Milano, 2000, pp. 100-102.
12
rivoluzione silenziosa e solitaria che egli ebbe la
forza di compiere, consegnando una preziosa nota
dissonante e dubitativa ai fin troppo collaudati
territori della modernità.
Muovendo da tale presupposto, il presente studio
costituisce un tentativo di rilettura sintetica del
percorso kahniano, senza pretese di sistematicità
o di completezza, mirato soprattutto a far
emergere il senso profondo di quella
monumentalità trascendentale che egli è riuscito
ad infondere nelle sue opere, aprendo scenari
inediti che, ancora oggi, rappresentano un
territorio concettuale e formale denso di possibili
spunti e suggestioni per le ricerche delle nuove
generazioni di architetti. La misura classica del
suo comporre è riuscita, infatti, a tradursi in opere
dotate di un senso profondo dell’ordine, quasi a
dispetto di una condizione esistenziale difficile ed
a tratti disordinata.
Il racconto qui tracciato si avvale di numerose
citazioni tratte dagli scritti del maestro, che si
intrecciano
inevitabilmente
con
l’analisi
descrittiva dei progetti e con il resoconto di
qualche frammento particolarmente significativo
della sua vicenda umana, provando a chiarire così
il senso complessivo di un suggestivo percorso
compiuto nei territori dell’architettura; e, più in
generale, il significato profondo del suo
messaggio di fede assoluta nella spiritualità
intrinseca ad ogni opera di architettura.
La sola in grado di trasmettere il sentimento della
sua eternità.
13
Mura Aureliane, Roma.
14
La misura dell’eterno
Questa è un’architettura che restituisce
qualcosa a coloro che non hanno eredità,
che trovano in essa un’immagine della
propria dignità, e che, in mancanza di meglio,
vi leggono una visione di una vita diversa.
Darah Diba
Quando George Howe scomparve Louis Kahn
trascorse un’intera giornata a camminare da solo
sulla spiaggia di Atlantic City, nel vano tentativo
di smaltire il grande dolore per la perdita di un
amico con cui aveva instaurato un legame
indissolubile e verso il quale nutriva profonda
adorazione. I due si erano conosciuti nei primi
anni trenta, unendosi poi in uno studio associato
nel 1940, ma il consolidamento di tale amicizia
avviene di fatto a Yale, dove il professore Kahn
propone con successo l’amico come direttore
della scuola di architettura; e Howe, a sua volta,
indicherà nel maestro lettone il progettista per la
Yale Art Gallery.
15
Howe è un architetto dotato di straordinaria
cultura, impostosi all’attenzione con la
realizzazione di un edificio per la Philadelphia
Saving Fund Society che unisce il rigore
strutturale con un’attenzione del tutto nuova per
la “funzione”, tradotta in una “separazione tra il
blocco uffici e la torre dei servizi, la quale rivela
lo sforzo compiuto per stabilire una forte
interdipendenza tra struttura, funzione e forma”.2
Il suo impegno teorico, evidenziato dagli scritti
giovanili su numerose riviste specializzate, lo
condurrà alla creazione della rivista “Perspecta”,
centro ideale del dibattito teorico e del confronto
architettonico della Scuola di Yale.
Howe si interroga sul significato del fare
architettonico, trovando la sua personale risposta
nel momento in cui si imbatte nella lettura del
libro di Oswald Spengler, il Tramonto
dell’Occidente. Lo scrittore tedesco è influenzato
da Goethe, da Nietzsche (in particolare dalla sua
teoria dell’eterno ritorno) e dal pensiero greco,
intendendo la storia come un costante processo di
decadimento
anziché
come
evoluzione
progressiva. Howe intravede così una linea
alternativa a certe derive dell'architettura
contemporanea, nella possibilità del ritorno ad
una architettura intesa quale espressione di
un'epoca fondata su un valore centrale. Tale
riflessione intorno alla ‘significant form’
elaborata da Howe, sulla scorta delle suggestioni
derivanti da Spengler, produce una forte influenza
2
M. Bonaiti, Architettura è. Louis I. Kahn, gli scritti,
Verona, 2002, p. 23.
16
su Louis Kahn, determinando inequivocabilmente
il particolare carattere funzionalista della sua
architettura.
Per Kahn “la forma comprende un'armonia di
sistemi, un senso di Ordine e quanto caratterizza
un'esistenza rispetto a un'altra...La forma non ha
nulla a che vedere con le circostanze. In
architettura, la forma caratterizza un'armonia di
spazi adatti a una certa attività dell'uomo”.3 Pur
non avendo letto molti libri, Lou ha elaborato una
propria teoria, ed è riuscito a trasmetterla con
forza e coerenza attraverso l’insegnamento, gli
scritti e le architetture realizzate. Tutto il lavoro
teorico è quindi strumentale al lavoro pratico,
portando così la propria visione del mondo negli
spazi realizzati per le attività degli uomini. Kahn
non ha mai dimenticato le fasi iniziali della sua
formazione, in particolar modo quelle lezioni
fondamentali tenute dal professore Paul Cret ed il
metodo Beaux-Arts adottato alla University of
Pennsylvania, secondo cui lo schizzo iniziale
costituiva la base essenziale per ogni successiva
elaborazione del progetto. E’ proprio qui che si
chiarisce il problema della ‘forma’, ovvero quella
essenza intorno alla quale ogni architetto
definisce il proprio programma compositivo, al di
là delle questioni funzionali.
Ciò si palesa con estrema chiarezza in tutte le sue
opere, ma sembra trovare il suo nucleo genetico
nel progetto di una Chiesa Unitariana a Rochester
che Kahn elabora in una prima versione sin dal
3
L. Kahn, Form and Design, in V. Scully, Louis I. Kahn,
New York, 1962.
17
1959, partendo proprio da una riflessione sulla
natura della ‘forma’: “Da quanto avevo sentito
dire dal sacerdote mentre parlava ai fedeli, mi resi
conto che l’aspetto della forma, la presa di
coscienza della forma che la fede unitariana
comporta, discende dalla Domanda, dall’eterno
interrogarsi del perché di tutto. Quindi, dovevo
arrivare a prendere coscienza della volontà di
essere e dell’ordine di spazi in grado di esprimere
questa Domanda”.4
In sostanza, Kahn mette al centro della riflessione
i contenuti dell’architettura, e ragiona sul
‘simbolismo’. Egli introduce il tono profetico, ma
lo traduce in una forma familiare.5 Il progetto di
Rochester è certamente uno schema compositivo
dotato di grande chiarezza evocativa e di indubbia
efficacia distributiva, che prevede nel suo cuore
centrale il grande quadrato della Chiesa e, attorno
ad esso, un anello di deambulazione da cui è
possibile accedere anche alle aule scolastiche. Il
deambulatorio diviene così necessario, a detta di
Kahn, “per rispettare l’esigenza per cui a ciò che
viene detto o provato in un santuario non si è
necessariamente obbligati a partecipare. E così si
può camminare e sentirsi liberi di andare via.
Allora ho disposto intorno un corridoio di
servizio alla scuola, che di fatto costituiva il
perimetro dell’intera area”.6
4
Ibidem.
Cfr. in P. Portoghesi, I grandi architetti del Novecento,
Roma, 1998, p. 323.
6
Cfr. in R.Krautheimer, Early Christian and Byzantine
Architecture, Baltimore and Harmondsworth, 1960, pp.
30-32
5
18
First Unitarian Church and School, Rochester, New York,
1959-69, schemi concettuali, 1961.
19
Di questo schema egli conserva nella versione
finale del progetto il suo nucleo centrale,
realizzando dei muri perimetrali dotati di uno
spessore notevole, tesi a trasferire nell’edificio
una inedita qualità massiva. Tale spessore però è
solamente percepito, ma non reale, e si avvale di
un abile stratagemma compositivo consistente in
un sistema di ripiegamento della parete che è
composta da semplici muri da trenta centimetri.
Una simile modalità progettuale era già stata
sperimentata nel progetto per la casa di Margaret
Esherick a Chestnut Hill, dove lo spessore in
eccesso veniva riempito da elementi di arredo
fissi, quali librerie. Riguardo alle differenze tra la
versione iniziale e quella finale della Chiesa di
Rochester, Kahn riflette anche sulla diversa
incidenza della luce, evidenziando come “prima
la finestra è a filo dei muri…Questo rappresenta
l’inizio di una comprensione della necessità
dell’uso di spessori murari tra il piano del vetro e
quello del muro esterno. Questo problema venne
sollecitato anche dal desiderio di avere sedili
sotto alle finestre…Questo sedile è denso di
significati e si è sviluppato nella mia mente in
relazione con le finestre”.7 Gli schizzi a tal
riguardo sono estremamente esplicativi nel loro
raffrontarsi con una tipica finestra rinascimentale
e con le facciate michelangiolesche dell'abside di
San Pietro, dove nello spessore del muro si scopre
uno spazio interstiziale ricavato in negativo dalla
profondità della parete.
7
B.Brownlee, G. De Long, Op. cit., p. 84.
20
First Unitarian Church and School, Rochester, 1957-64.
Pianta definitiva e Sezione longitudinale.
21
Ciò dimostra l'importanza della lezione italiana
ed il suo costante atteggiamento nel voler
considerare la Storia come un 'contenitore' di idee
da reinventare e adeguare alle necessità della
contemporaneità.8 Lo sguardo costantemente
rivolto verso la storia lo conduce a considerare il
passato come un amico da cui trarre lezioni
fondamentali per tracciare una direzione futura.
La frequentazione di tale passato significativo, da
un punto di vista architettonico, avviene quando
kahn ha già una età matura, grazie ad una serie di
viaggi in Grecia, in Egitto, ma soprattutto in
Italia. Qui, infatti, giunge nell’ottobre del 1928 e
vi trascorre tutto l’inverno, visitando Milano,
Firenze, San Gimignano, Assisi, Roma, Positano,
Amalfi, Ravello e Capri. L’eco profonda delle
impressioni ricevute dalle architetture di tali
luoghi si rintraccia facilmente nei suoi schizzi che
rivelano una ritrovata autonomia, ed appaiono
emanare quell’energia tipica della forza tettonica
dell’architettura. Come sottolinea Leonardo
Benevolo, “le architetture di Kahn combinano
riferimenti antichi e moderni con una serietà
senza precedenti. Gli imprestiti dai maestri
moderni, dal classicismo greco e romano,
dall’architettura medievale, islamica e persino
dall’accademismo ottocentesco sono usati in un
modo che rende antiquati di colpo i revivals
tentati nel periodo precedente: perdono la
consueta carica polemica, sono ricondotti
8
Cfr. in F. Cacciatore, Il muro come contenitore di luoghi.
Forme strutturali cave nell’opera di Louis Kahn, Siracusa,
2008, pp. 93-94.
22
all’essenziale e convivono con naturalezza, come
se fossero emersi improvvisamente dalla
memoria, dopo una lunga attesa”.9
Casa Esherich, Philadelphia, 1959-61. Pianta del piano
terra.
9
L. Benevolo, L’ultimo capitolo dell’architettura moderna,
Roma-Bari, 1985, p. 100.
23
La purezza delle architetture italiane, la loro
propensione a stagliarsi nitidamente contro il
profilo del cielo, la perennità formale, la solidità
volumetrica leggibile anche nelle rovine, gli
forniscono una ulteriore opportunità di riflessione
sul ruolo dell’architettura in relazione alle nuove
potenzialità tecniche ed estetiche. “Ho capito che
l’architettura italiana continuerà ad essere la fonte
d’ispirazione per il futuro. Chi la pensa
diversamente dovrebbe riflettere ancora. L’esito
dei nostri lavori sembra insignificante comparato
a questa città (Roma) dove sono state
sperimentate tutte le possibili combinazioni di
forme pure. Ciò che si rende necessario è capire
come l’architettura italiana si relazioni al nostro
sapere costruttivo e ai nostri bisogni. Non mi
interessa molto la questione del restauro (quel
genere di interpretazione) ma considero di grande
importanza la comprensione, per esempio, dei
metodi per definire uno spazio modellato dalla
presenza degli edifici circostanti”.10
Si tratta quindi di una lezione fondamentale sia
dal punto di vista architettonico, con
l’assimilazione delle qualità formali e spaziali
degli edifici storici, che da quello urbanistico, con
la lettura dei vuoti significativi e densi di ‘forma’
dei tessuti storici delle città visitate. Egli inizia
così a porsi il problema di come nel vocabolario
corrente l’architettura moderna possa aspirare alla
monumentalità, e tutta la sua opera futura
consiste in una ampia gamma di possibili risposte
10
L. Kahn, lettera allo studio, 6 dicembre 1950, Roma, Box
LIK 61, Kahn Collection.
24
a
tale
fondamentale
questione:
“La
monumentalità in architettura può essere definita
come una qualità, una qualità spirituale intrinseca
a una struttura che trasmette il sentimento della
sua eternità, che non può essere né aggiunto né
mutato”.11
Piramidi, Giza, 1951.
11
L. Kahn, Monumentality, in P. Zucker (a cura di), New
architecture and city planning, New York, 1944, p.577.
25
Del resto, nel periodo di collaborazione con Paul
Cret aveva avuto modo di intuire i limiti del suo
lessico funzionalista che non riusciva ad
esprimere idee trascendenti; ed un tale problema
iniziò ad essere condiviso da molti interpreti del
dibattito architettonico degli anni durante la
seconda guerra mondiale, tra cui lo storico
dell’architettura Sigfried Giedion, l’architetto
Josè Luis Sert e il pittore Fernand Lèger. Tali
protagonisti concordarono sulla necessità di una
“nuova monumentalità” che potesse soddisfare
quella domanda di umanità di rappresentazione
simbolica della propria forza collettiva.12
La ricerca di un nuovo linguaggio architettonico
per Louis Kahn significa soprattutto ricerca
dell’origine della forma architettonica, e quando
nel 1951, dopo aver assimilato la lezione italiana,
riceve l’incarico per la Yale Art Gallery riesce
finalmente, con straordinaria intensità espressiva,
a tradurre nel presente quella dimensione atemporale dell’architettura che, più di ogni altra
cosa, lo aveva da sempre affascinato. Egli
afferma che, in realtà, “non esiste il concetto di
moderno dal momento che tutto ciò che esiste in
architettura già appartiene all’architettura stessa e
da questa trae il suo significato”.13 E la traccia
inequivocabile di tale riflessione è certamente
presente nella struttura a vista del soffitto della
galleria, caratterizzata dal motivo delle nervature
triangolari, rispondenti anche a necessità
strutturali e meccaniche.
12
13
Cfr. B.Brownlee, G. De Long, Op. cit., pp. 42-44.
L. Kahn, Monumentality, cit.
26
Questa estensione della Art Gallery si trova
all’interno del campus della Yale University ed è
concepita come l’ala dedicata alle collezioni di
disegni di architettura. E’ un cubo di mattoni
senza finestre, segnato da marcapiani di cemento
bianco che conferiscono ritmo alla struttura.
Come ha intuito Reyner Banham, “l’esatta
ripartizione in settori uguali della pianta poco
contribuiva alla sua organizzazione funzionale o
all’esperienza visiva del visitatore. In altre parole,
dal ritmo della griglia strutturale non emergeva
alcun percorso architettonico significativo, o,
almeno, non emergeva un percorso che in qualche
modo trascendesse la disposizione occasionale e
sempre mutevole delle sezioni della galleria”.14
Per consentire una flessibilità massima allo
spazio espositivo tutti gli impianti sono quindi
contenuti nel solaio e le campate presentano luci
di rilevanti dimensioni. Si tratta perciò di uno
spazio che non sottolinea tanto la questione
funzionale e distributiva, ma esalta piuttosto la
matrice fortemente simbolica costituita dalla
giustapposizione delle geometrie pure di cui si
compone l’intero progetto. Il collegamento con
l’edificio storico è caratterizzato unicamente da
queste strisce orizzontali che segnano l’altezza
dei piani interni. La nuova entrata si trova in una
rientranza tra i due edifici, in maniera tale da
lasciare un ruolo prioritario all’ala già esistente
del museo; ciò a testimonianza del rispetto
14
R. Banham, citato in K. Frampton, Storia
dell’architettura moderna, Bologna,1993, p. 288.
27
profondo che Kahn nutre per l’architettura del
passato.
Il gioco dei ricorsi lungo le superfici murarie
della facciata principale e l’ampio spessore dei
solai in calcestruzzo denotano, inoltre, la
particolarità ed originalità del linguaggio
kahniano, nella assimilazione, nel distacco e nella
successiva ridefinizione del lessico modernista
corrente. Un tale sistema compositivo costituisce
evidentemente una interpretazione in chiave
massiva della leggerezza delle strutture spaziali
cariche di misticismo di Buckminster Fuller, ma
anche una trasposizione della tarda estetica
miesiana. A tal proposito, Kenneth Frampton è
abile nel rilevare delle differenze significative
nelle modalità compositive dei due, consistenti
nella diversa priorità data da Mies van der Rohe
all'espressione diretta dell'ossatura strutturale, e
nella monumentalizzazione delle componenti
secondarie, quali pareti, pavimenti e soffitti da
parte di Kahn.15
Lo
stesso
gioco
delle
proporzioni,
l’enfatizzazione della massa e della misura, sono
tutti espedienti volti a trascendere la funzione,
proprio come accade in uno dei grandi edifici
dell’antichità che ha avuto modo di ammirare a
Roma: le Terme di Caracalla. Significativa la sua
riflessione a tal proposito: “Desta sempre
meraviglia quando l’uomo aspira a trascendere la
15
Cfr. K. Frampton, Op. Cit., p. 287.
28
Yale University Art Gallery, New Haven, 1951-53.
Proiezione della pianta del soffitto e Sezione trasversale.
29
funzione. In questo edificio c’era la volontà di
costruire una struttura voltata alta 100 piedi nella
quale gli uomini si facevano il bagno. Sarebbero
stati sufficienti 8 piedi. Anche come rovina, è una
meraviglia”.16
Egli manifesta dunque la volontà di realizzare
un’architettura senza tempo, e lo fa proprio
reinventando alcune modalità costruttive tipiche
delle strutture romane; basti pensare al
trattamento del soffitto lasciato a vista, con il
motivo ripetuto delle nervature triangolari che
riprende il tema della differenziazione dello
spazio sottostante, analogamente a quanto accade
nelle strutture voltate romane. In tal modo egli
riesce a fondere alcuni aspetti della storia con
un’immagine di tecnologia avanzata, realizzando
una immagine di sintesi profondamente
contemporanea.17 La storia viene quindi fatta
interagire con un profondo ordine geometrico che
riflette senza dubbio l’apporto critico di Anne
Tyng, restituendo l’effetto di una tecnologia
avanzata.
E’ molto interessante, a tal proposito, quanto
afferma Frampton: “Il lavoro di Kahn si presenta
secondo due principi complementari ma anche
assolutamente
opposti.
Il
primo
è
categoricamente anti-progressista e afferma la
presenza di una memoria architettonica collettiva
astratta nella quale tutti i tipi compositivi validi
sono eternamente presenti nella loro distinta
16
L. Kahn, citato in A. L. Huxtable, What is your favorite
building, “New York Times Magazine”, 21 maggio 1961.
17
Cfr. B.Brownlee, G. De Long, Op. Cit., p. 60.
30
purezza. Il secondo è enfaticamente progressista e
persegue
il
rinnovamento
delle
forme
architettoniche sulla base di tecnologie avanzate.
Sembra che Kahn credesse che questo secondo
principio, rispondendo ai nuovi compiti e usi,
riuscisse a condurre, combinato con il primo, ad
un’appropriata
espressione
architettonica,
sintetizzando i nuovi valori poetici e istituzionali
in termini di forma concreta”.18 Forme
monumentali tradotte in istituzioni per gli uomini:
questo costituisce la sintesi di tutto ciò che egli
ricerca.
La sua predisposizione verso un ordine
geometrico ideale, unito ad una particolare
sensibilità per la storia dell’architettura, lo porta
ad una riflessione sulla necessità di differenziare
lo spazio. A tal proposito, egli stesso dichiara
che: “Un buon edificio è quello che il
committente non può distruggere con un cattivo
uso dello spazio”;19 e intraprende una serie di
progetti, tra cui quello irrealizzato per la Adler
house, che rappresentano la sua direzione di
ricerca sul tema dello spazio differenziato.
E’ del tutto evidente come una tale ricerca si
muova coraggiosamente in senso opposto a quella
caratterizzata dal ‘continuum spaziale’, tipica
della modernità, ma è altrettanto palese come
Kahn non persegua tanto un ideale di distacco
dalla modernità, quanto piuttosto una modalità
18
K. Frampton, Louis Kahn and the French Connection, in
“Oppositions”, 22, 1980.
19
L. Kahn, citato in Henry S. F. Cooper, Dedication Issue;
The New Art Gallery and Design Center, “Yale Daily
News”, 6 novembre 1953.
31
compositiva che sia maggiormente consona ad
esprimere quella unicità dello spazio in grado di
conferire un adeguato senso ad ogni istituzione.
Il progetto di casa Adler, quindi, si caratterizza
soprattutto per l'articolazione nettamente visibile
delle sue parti, consistenti in una serie di
padiglioni racchiudenti specifiche funzioni, con i
pilastri angolari concepiti come enormi blocchi di
laterizio cavi contenenti gli elementi meccanici e
strutturali. La copertura a padiglione ha poi una
valenza fondamentale nella sua sintesi visiva;
infatti, oltre a richiamare antichi tipi
architettonici, sembra realizzare la forma più
adatta per definire la logica di autonomia dei vari
spazi. La casa non fu realizzata, ed il suo schema,
leggermente adattato, fu utilizzato anche per il
progetto di casa Weber DeVore a Springfield in
Pennsylvania. Anne Tyng notava, a tal proposito,
come egli ricercasse sempre, nei suoi progetti,
una distinzione tra gli elementi.20
Tale impianto a padiglioni trovò poi la sua
possibilità di applicazione concreta nel complesso
della piscina del Jewish Community Center a
Trenton, manifestandosi con una chiarezza
straordinaria, proprio grazie alla logica di
autonomia strutturale delle singole unità
funzionali. Interessante è senza alcun dubbio la
definizione che Louis Kahn dà alla parola forma:
“La forma non ha configurazione o dimensione.
Forma è riconoscimento o realizzazione delle
caratteristiche delle diverse cose. La forma
afferma di non avere configurazione o
20
Cfr. in A. Tyng, intervista con A. Latour, Op. cit., p. 43.
32
dimensione: semplicemente è la realizzazione
delle proprie caratteristiche”.21
Adler House, Philadelphia, 1954-55. Schema planimetrico.
21
L. Kahn, Law and Rule, conferenza all’Università di
Princeton del 29 novembre 1961.
33
E’ evidente, pertanto, lo sforzo costante verso
cui egli è proteso, nel cercare di realizzare quelle
caratteristiche che definiscono le singole cose, al
di là dei dati dimensionali o funzionali.
Dell’ampio programma previsto per Trenton
furono realizzati solo due piccoli elementi:
l’edificio degli spogliatoi e servizi con le docce,
ed il campo giochi; eppure questo piccolo edificio
dalla dimensione domestica accoglie i nodi
cruciali
della
riflessione
kahniana
sull’architettura, oltre a segnare una vera e
propria svolta nella sua carriera. “Se nella
geometria del solaio cassettonato della Yale Art
Gallery Kahn dimostra di aver appreso la grande
lezione dell'antica architettura romana sulla
possibilità di trascendere la funzione per dar vita
ad uno spazio con proporzioni monumentali, mai
come nello spazio interno dei singoli padiglioni
del piccolo edificio della Bath House si era
avvicinato ad una evocazione tanto efficace e
moderna della straordinaria esperienza spaziale
del Pantheon... Il tetto, in questo caso è
rappresentato direttamente dal fazzoletto di cielo
che si può intravedere alzando lo sguardo, mentre
la terra viene materialmente evocata attraverso
l'unica parte dell'edificio che rimane senza il
pavimento di cemento, un cerchio dal diametro di
circa sette metri lasciato a prato”.22
La struttura cruciforme ed il tetto che si solleva al
di sopra dei sostegni in maniera tale da
evidenziare con una chiarezza didascalica la
22
F. Cacciatore, Op. cit., p. 83.
34
struttura dotata di eccezionale forza simbolica,
costituiscono
l’occasione
favorevole
per
dichiarare una propria poetica architettonica e
quegli obiettivi profondi insiti nella sua ricerca,
che troveranno un maggiore spazio di
applicazione in occasioni progettuali di più ampio
respiro.
Una parte della critica vede anche una possibile
allusione analogica dei padiglioni di copertura
alla piramide tronca utilizzata da Etienne Louis
Boullèe per uno dei suoi progetti di cenotafio.
“Quello
che
Kahn
sembra
dedurre
dall’illuminismo – e che Wright lasciò
rigorosamente in pace – fu la possibilità di
‘decostruire’ gli elementi classici romani a tal
punto da farli divenire nient’altro che sottili
membrane in tensione (ossature vuote delle loro
origini); dispositivi che potrebbero…presentarsi
come generatori di una serie di edifici negli
edifici”.23
E’ da qui che inizia la fase veramente importante
del lavoro kahniano sulla composizione
architettonica, quella in cui si definisce un vero e
proprio metodo di ricerca teso a fare emergere
una spazialità densa di un ordine profondo, quasi
trascendentale. E tutto ciò verrà più tardi
riconosciuto dallo stesso maestro che, a tal
proposito, affermerà: “Se il mondo mi ha
scoperto dopo il progetto delle torri del Richards
Building, io invece mi scoprirei dopo aver
23
K. Frampton, Louis Kahn e la tradizione francese, in A.
Latour (a cura di), Louis Kahn, l’uomo, il maestro, Roma,
1986, p. 246.
35
progettato quel piccolo stabilimento in blocchi di
cemento a Trenton”.24
Jewish Community Center Bath House, Trenton, 1955.
Pianta.
24
L. Kahn, citato in Susan Braudy, The Architectural
Metaphysic of Louis Kahn, “New York Times Magazine”,
15 novembre 1970, p. 86.
36
La lezione palladiana, desunta dal libro di
Wittkower Architectural Principles in the Age of
Humanism, viene profondamente assimilata da
Louis Kahn e tradotta in nuove forme possibili
per le esigenze contemporanee. Del resto,
Umanesimo italiano ed Illuminismo francese
costituiscono due capisaldi nell’ambito dei
riferimenti culturali da lui assunti. La perfetta
simmetria di Palladio manca sia nel progetto di
casa Adler che in quello redatto per casa De
Vore, ma la perennità formale che afferma la
netta distinzione tra spazi serviti e spazi serventi è
riconoscibile pienamente, e rimane l’elemento di
maggior importanza ereditato dall’architetto
rinascimentale italiano.
Tale tema trova un più largo respiro nel
complesso programma dei Richards Medical
Research Laboratories realizzati per la University
of Pennsylvania fra il 1957 e il 1961. Kahn
ricorda così il momento in cui assunse tale
incarico: “Il direttore, un uomo famoso, mi aveva
sentito parlare a Pittsburgh. E’ venuto a
Philadelphia a vedere l’edificio che avevo
realizzato per l’Università della Pennsylvania. Mi
ha detto, è molto bello questo edificio, proprio
bello. Non sapevo che una costruzione che sale
così in alto potesse essere bella. Quanti metri
quadrati è? 33.200 metri quadrati. E’ più o meno
quel che serve a noi. Fu l’inizio del programma
per quell’area. Ma lui disse qualcos’altro, che
diventò la Chiave dell’intero insieme di spazi. E
cioè: la Ricerca Medica non appartiene
37
esclusivamente alla medicina o alle scienze
naturali. Appartiene alla popolazione”.25
Il tutto rispondeva anche a precise richieste del
programma funzionale, in particolar modo alle
necessità dettate dai sistemi complessi di
ventilazione e di condizionamento. Tali elementi
non erano affatto intesi come secondari da Kahn,
ma nobilitati proprio dalla logica di autonomia
visiva che li assimilava di fatto alle grandi
strutture monumentali dell’antichità. A tale
riguardo egli stesso scrisse che: “La natura dello
spazio è ulteriormente caratterizzata dagli spazi
minori di servizio. I depositi, i servizi, i cubicoli
non devono essere aree ricavate da partizioni di
una stessa struttura spaziale, ma devono essere
dotati di una propria struttura”.26 E’ evidente,
quindi, come la definizione simbolica degli
elementi riesca a travalicare le semplici questioni
funzionali, e tenda a sottolineare la netta
distinzione tra elementi portati e portanti.
I primi, infatti, si mostrano nella loro leggerezza
fatta di elementi prefabbricati, i secondi invece
denotano tutta la loro pesantezza di torri edificate
in mattoni.
Tale concetto si impone perciò come prioritario
rispetto alle questioni strettamente tecniche ed
igieniche, e tende ad affermare l’importanza e la
priorità del dato visivo nell’esperienza
architettonica, secondo quanto accadeva negli
esempi che erano stati fonte di ispirazione, quali
25
L. Kahn, Form and design, cit., pp. 114-121.
L. Kahn, Form and Design, “Architectural Design”, 30
aprile 1961, p. 151.
26
38
Richards Medical Research Building, 1957-64.
39
le torri di San Gimignano, i prospetti di Mies van
der Rohe ed il Larkin Building di Wright.
Esistono tuttavia notevoli differenze tra il metodo
progettuale di Kahn e quello di Wright,
sintetizzabili principalmente in una maniera
diversa di intendere l’ordine. Tutto ciò è molto
chiaramente descritto da Vincent Scully: “…
Kahn concepiva l’ordine come una costruzione
culturale e… i suoi archetipi (sono) pertanto da
rintracciare nella storia umana”27; Wright riteneva
l’ordine derivato dalla natura. “Entrambi
ricercavano la forma ideale, ma i modelli di
Wright facevano parte del mondo naturale mentre
Kahn ricercava un principio cosmico”.28
E’ importante sottolineare come le forme delle
aperture realizzate da Kahn siano lontane
dall’architettura moderna, ma molto adatte alle
murature in mattoni. Egli aveva visto tali tipi ‘a
serratura’ ad Ostia, ed aveva ritenuto del tutto
naturale adoperarli per le sue torri di Ricerca,
proprio perché veri e necessari nell’esprimere la
natura del materiale adoperato che è immutabile e
non soggetto alle mode periodiche.
Tali aperture a serratura erano già state
sperimentate da Kahn nella casa (poi non
realizzata) progettata per M. Morton Goldenberg
a Rydal in Pennsylvania nel 1959, dotata di un
impianto planimetrico estremamente interessante.
27
L. Kahn, Remarks, conferenza alla Yale University, 30
ottobre 1963, “Perspecta”, 9/10, 1965, p. 305.
28
B. Brownlee, G. De Long, Op. cit., p. 80.
40
Richards Medical Research Building, 1957-64. Pianta e
disegno del sistema di orditura dei solai cavi in
calcestruzzo prefabbricato.
41
Qui, infatti, i singoli elementi sono controllati
tramite diagonali radiali a 45° che confluiscono
nel fulcro del quadrato centrale, vero e proprio
antecedente concettuale del progetto di
Rochester, realizzando una composizione meno
compatta, ma di indubbia efficacia distributiva e
spaziale. “La forza della sua architettura, la sua
straordinaria icasticità, sta nel riuscire, con
enunciati di grande semplicità, ad accedere nel
mondo degli archetipi, fortemente sostenuti dalla
forza della cultura ebraica, che, attraverso le
radici bibliche, ha insita la rivendicazione di
quella forza”.29 Kahn considera l’architettura
come una ‘cosa mentale’ che non esiste; ciò che
invece esiste sono le opere di architettura che, in
quanto realizzate, manifestano tutta la loro
essenza contraddittoria e provvisoria. Se si pensa
allo schema compositivo della Chiesa Unitariana
di Rochester che prevede nel suo nucleo centrale
il grande quadrato della Chiesa, è facile
accorgersi della concreta applicazione di quella
frase che lui stesso amava ripetere: “Io parto
sempre da un quadrato, a prescindere dalla natura
del problema”. E’ quindi evidente che la ‘natura
del problema’ per Kahn ha un significato
secondario rispetto a quello prioritario, teso ad
esprimere la dimensione eterna, evocativa delle
aspirazioni degli uomini, di cui l’architettura è
espressione corporea. “La grande spiritualità che
emana da questa chiesa in quanto istituzione è
espressa nella sezione del tetto, dal quale una luce
29
P. Portoghesi, Op. cit., p. 325.
42
misteriosa penetra nei quattro angoli cubici del
luogo di culto e di riunione, che fanno risaltare le
travi con tiranti volanti che garantiscono la
stabilità della sua forma quadripartita a guscio”.30
Per quanto riguarda l’ispessimento delle pareti
verticali della chiesa, è evidente come ciò sia
dovuto alla necessità di controllare ed attenuare la
luce dall’esterno verso l’interno, così come
emerge da un suo disegno schematico, ma al
contempo estremamente esplicativo.
Nei suoi edifici è generalmente abbastanza facile
assistere ad una divisione marcata tra le strutture
primarie, esaltate nella loro purezza materica e
formale, e le strutture secondarie che definiscono
e separano dall’esterno gli spazi, presentando un
rivestimento che denuncia esplicitamente questa
loro natura funzionale. E’ agevole notare, inoltre,
la profonda analogia del primo disegno per la
Unitarian Church con le illustrazioni delle chiese
a pianta centrale di Leonardo da Vinci. “La stessa
pianta centrale non costituiva un elemento di
novità nell’opera di Kahn – la sinagoga Adath
Jeshurun era stato uno dei numerosi progetti
precedenti in cui questo schema era stato studiato.
Ciò che risultava nuovo era lo sviluppo di questo
modello ottenuto mediante la giustapposizione di
elementi unitari, dalla configurazione analoga, ma
trattati diversamente”.31
30
K. Frampton, Tettonica e architettura. Poetica della
forma architettonica nel XIX e XX secolo, Milano, 1999, p.
262.
31
Ibidem, p. 84.
43
Goldenberg House, Rydal, 1959. Pianta e modello.
44
Le geometrie della pianta immaginaria del
Campo Marzio ricostruita da Piranesi, appesa
davanti al suo tavolo di lavoro, rappresentano il
luogo più appropriato dove l’architettura può
ritrovare le proprie ragioni ideali di
rappresentazione simbolica delle istituzioni
presenti nella società. Manfredo Tafuri, pur
soffermandosi sugli equivoci e su alcuni effetti
distruttivi che il lascito di Kahn produrrà sul
dibattito internazionale (riferendosi, in particolar
modo, ad alcuni esiti del post-modern), riconosce
come
“nel
quadro
dell’architettura
contemporanea, e non solo americana, Kahn offra
uno dei più formidabili esempi di un tentativo di
ritorno all’immagine espressiva… E’ ancora
chiaro, inoltre, che l’intera ricerca di Kahn è una
svolta decisa nell’ambito del vuoto formalismo
statunitense che si richiama alla pseudopoetica
del curtain-wall e che in opposizione ad esso
propone una rigorosa e spesso severa intelligenza
della forma”.32
La giustapposizione di tali forme pure e
incorruttibili fornisce a Kahn gli spunti necessari
per una metodologia di composizione paratattica,
profondamente diversa da quella utilizzata da
Richard Neutra e più in generale dagli architetti
‘organici’. Le composizioni kahniane sono infatti
pensate in maniera tale da evidenziare una
organizzazione di spazi separati e chiaramente
delimitati, mentre Neutra intendeva esaltare
32
M. Tafuri, Storicità di Louis Kahn, in “Comunità”, 117,
1964.
45
l’effetto di fluidità degli spazi, in una
disposizione libera e senza gerarchie dimensionali
e formali. Kahn, in sostanza, intende la forma
come una entità che ha caratteristiche riposte
fuori dal mondo materiale, e che emerge proprio
grazie al lavoro dell’uomo, attraverso il progetto
che riesce a definirla in senso materiale.
Come sottolinea Enzo Frateili, “la personalità di
Kahn evoca un quadro di magistrale saldatura di
elementi che coesistono in antitesi. Mentre Kahn
è, nei fatti, classico, per la solidità e la simmetria
delle sue forme, egli è romantico nella sua
nostalgia per il Medioevo. Egli applica con
convinzione i più avanzati strumenti tecnologici,
ma questo non gli impedisce affatto di usare la
pietra come elemento portante per la casa Adler.
Egli ha superato gli schemi del Funzionalismo
nella sua distribuzione spaziale, ma, in molti casi,
egli utilizza l’estetica funzionalista”.33
A Louis Kahn interessava qualcosa che fosse più
forte delle contingenze della contemporaneità, e
voleva infondere nelle architetture che progettava
una visione futura dell’esistente, pur essendo
consapevole della mutevolezza e contraddittorietà
dell’esperienza umana: “Ledoux sentiva com’è
una città, cos’è una città, ma nonostante l’abbia
progettata non molti anni fa, le città non
assomigliano a quanto lui ha immaginato.
Quando un uomo inizia a progettare qualcosa per
il futuro, può risultarne un frammento di storia
molto divertente, perché ne verrà fuori solo ciò
che egli può fare nel momento in cui progetta. Si
33
E. Frateili, Louis Kahn, in “Zodiac“, 8, 1960.
46
possono produrre delle immagini, ossia ciò che
oggi è possibile e non una prefigurazione di come
le cose saranno domani. Non si può predire il
domani, perché il domani dipende dalle
circostanze e le circostanze sono imprevedibili e
continuamente mutevoli”.34
L’incontro con Anne Griswold Tyng costituisce
un momento significativo nel percorso
architettonico del maestro, ben visibile soprattutto
in alcuni progetti degli anni Cinquanta. In
particolare, la struttura spaziale utilizzata nel
primo progetto della Philadelphia City Tower
evidenzia l’interesse profondo, mutuato da
Buckminster Fuller, da parte della giovane
progettista per le strutture reticolari composte da
tetraedri e ottaedri. Le sue riflessioni muovono
dal fatto che “i cinque solidi platonici compaiono
non solo nell’organizzazione spaziale delle forme
a partire dai nuclei atomici e dalle molecole, ma
anche nelle cellule, negli organi, nelle piante,
nell’embrione umano, nella struttura psichica
delle persone e nelle loro opere, nelle
configurazioni
astronomiche
dell’universo
preesistenti la comparsa dell’uomo”.35 Questa
geometria ‘dell’archetipo’ è proprio ciò che
origina una monumentalità senza tempo ed
introduce un’aura di potenza simbolica nelle
architetture, in grado di travalicare le
contingenze, le diversioni programmatiche ed i
nodi funzionali all’interno del meccanismo
34
L. Kahn, Talks with students, in “Architecture at rice”,
26, 1969.
35
A. Tyng, Geometric extensions of consciousness, in
“Zodiac”, 19, 1969.
47
compositivo che egli adotterà da questo momento
in poi. Come chiarisce bene Vincent Scully,
“questo legame evidente con l’ideale, questa
intrinseca fisicità richiama altre opere d’arte
moderna della stessa profondità. Vengono alla
mente i romanzi russi di Tolstoj e, per certi
aspetti, di Dostojevkij”.36
Progetto per la City Tower, Philadelphia, 1952-57.
36
V. Scully, in D. Brownlee, D. De Long, Op. Cit., p. 8.
48
Ed è proprio quella tensione ideale, insita nella
geometria, ciò che a Louis Kahn ed Anne Tyng
interessa della lezione di Fuller, e non certo
l’entusiasmo nei confronti delle nuove tecnologie.
In particolare, Tyng intuisce il valore della
geometria “energetica-sinergetica” che regola la
crescita delle cupole di Fuller, possiede il
fondamentale libro di D’Arcy Thompson (On
growth and form) e partecipa ai dibattiti dedicati
alla tematica delle proporzioni in architettura.
“L’idea di un fare architettonico inteso come
manifestazione di un ordine antecedente le
‘scelte’ dell’individuo avvicina dunque Louis
Kahn agli studi della compagna e di Buckminster
Fuller, per i quali la sostanza di ogni fare artistico
non va individuata in originali creazioni bensì in
ciò che Kahn qualche anno più tardi chiamerà il
potere di prevedere, vale a dire la capacità da
parte dell’artista di ‘portare in presenza’ ciò che
già è”.37
Eco profonda della geometria “energeticasinergetica” si rinviene in altre proposte
progettuali elaborate in quegli anni, trovando una
felice sintesi nell’immagine pensata per la
Washington University Library, dove Kahn
ripropone l’impianto planimetrico a croce greca
adatto ad uno spazio differenziato. Ancora una
volta, l’immagine prospettica presentata chiarisce
l’intento di creare un sistema di spazi che non
dipenda tanto dal soddisfacimento di un
37
M. Bonaiti, Op. cit., p. 18.
49
programma funzionale, ma piuttosto da
“un’interpretazione allargata dell’uso”.
L’ordinata geometria della Yale Art Gallery è
dunque frutto dell’apporto di Anne Tyng – a tal
proposito, Fuller fece notare come ella fosse il
vero stratega della geometria di Lou-, ma è anche
intrisa di valenze autobiografiche, ad esempio il
recente viaggio compiuto in Egitto, ma anche le
rare letture, tra cui l’autobiografia di Goethe che
sembra fornirgli un vero e proprio modello: “Se
leggo Goethe vi trovo uno spirito di ricerca. La
sua autobiografia egli la chiama verità e poesia.
Washington University Library, St. Louis, 1956.
50
Questa è una scoperta meravigliosa della vita e
del corso della vita. Pur riferendo i fatti che gli
sono capitati, egli evita sempre di limitarli al
contingente o al semplice accadimento, ma
riflette sul significato, che trascende la sua vita
personale… Questo è meraviglioso, mi sono
detto, e questa è la vera arte”.38 E’ significativo
poi il fatto che Kahn abbia preferito evidenziare
la pianta del soffitto della galleria che includeva il
blocco sottostante della scala all’interno di un
cilindro dall’assoluta purezza volumetrica,
piuttosto che piante in cui tale forma non si
evidenziava.
La sua propensione verso un ordine geometrico
ideale lo portò quindi ad una riflessione sulla
differenziazione gerarchica dello spazio, in netto
contrasto con l’ideale modernista di una
indifferenziata continuità spaziale. Una tale
gerarchia si evidenzia non solo nei suoi edifici
realizzati, ma anche nelle proposte di carattere
urbanistico che egli elaborò per la città di
Filadelfia, con una immagine estremamente
efficace che riproduceva i flussi del traffico,
intesi come componenti specifiche che
raffiguravano veicoli e persone con frecce di
diverso spessore e di varie dimensioni. Frampton,
del resto, sottolinea come “il rifiuto di Kahn nei
confronti di un funzionalismo ingenuo, anche se
impegnato dal punto di vista sociale, a favore di
una architettura in grado di trascendere la pura
38
L. Kahn, Remarks: Louis I. Kahn, in “Perspecta”, 9/10,
1965, pp. 303-305.
51
utilità, lo portò a ipotizzare un approccio analogo
per quanto riguarda la forma urbana”.39
Si tratta di una dimensione teorica di estremo
interesse in quanto prefigura gli esiti perversi del
traffico veicolare sulla condizione urbana, ed
afferma con una espressività straordinaria ed al
contempo inedita, la necessità di portare la
macchina fuori dalla città: “L’automobile ha
sconvolto la forma della città. Credo sia giunto il
momento di distinguere l’architettura del viadotto
per le automobili da quella per le attività degli
uomini… L’architettura del viadotto è chiamata a
configurare la strada che nel centro della città
vuole essere un edificio – un edificio dotato di
locali sotterranei per le condutture, in modo da
evitare di interrompere il traffico quando se ne fa
la manutenzione”.40 Le torri-parcheggio sono
strutture dotate di una forte valenza simbolica e
devono qualcosa, nella loro immagine
complessiva, alle forme potenti della Roma
piranesiana. Come ha ben compreso Paolo
Portoghesi, “Kahn contrappone alla tesi di
Mumford metropolis/necropolis, quella che,
giunti al massimo del caos, la città possa essere
riordinata con i principi di controllo della
macchina, una specie di sfida allo scientismo
allora dominante. Rivendica alla mente
ordinatrice dell’uomo la capacità di rovesciare il
processo naturale di sviluppo e imporre alla
39
40
K. Frampton, Op. Cit., p. 292.
L. Kahn, Form and Design, cit.
52
struttura urbana una razionalizzazione, estranea
agli automatismi della città-fabbrica”.41
Schizzi per l’assetto urbano di Philadelphia.
41
P. Portoghesi, Op. cit., p. 324.
53
Studi per il piano regolatore di Philadelphia, 1952-68.
Civic Center e Parcheggio, Philadelphia, 1953-57.
54
Il progetto elaborato per la Sinagoga Mikveh
Israel a Filadelfia mostra in modo inequivocabile
questo suo interesse per la forma pura, ed induce
a profonde analogie con le fortificazioni
medievali, con i castelli scozzesi, ed in particolare
con le porte delle antiche mura aureliane che egli
aveva avuto modo di vedere a Roma. E proprio
questa Roma ‘senza tempo’ gli era rimasta
dentro, più di qualsiasi altro riferimento, con le
sue immagini architettoniche dotate di una forza
primigenia e di un carattere unico, in cui tutte le
possibili combinazioni di forme pure erano state
sperimentate e portate ad un grado di perfezione
assoluta. Qui viene sperimentata l’idea di un
edificio ‘avvolto da rovine’, grazie alle torri
cilindriche aperte che corrono lungo il perimetro
del santuario quadrato. Gli ambienti da cui filtra
la luce sono generati da una pianta regolata da
moduli circolari.42
Quando Kahn visitò nel 1960 La Jolla, il sito
dove avrebbe costruito i laboratori di ricerca
commissionatigli dallo scienziato Jonas Salk,
sulla costa dell’Oceano Pacifico, fu molto
suggestionato dalla luce di quel luogo e dal
programma che ne sarebbe dovuto derivare.
La soluzione elaborata, con quattro grandi edifici
a due piani che presentano i solai cavi aventi la
dimensione di un piano ad altezza uomo
totalmente ispezionabile, prevede la distinzione
tra ambienti distinti per la ricerca teorica e per
quella avente carattere empirico.
42
Cfr. F. Cacciatore, Op. cit., p. 106.
55
Mikveh Israel Synagogue, Philadelphia, 1961-72.
56
I primi, in particolare, vengono ospitati in unità
studio attrezzate che affacciano su una corte
interna comune; i secondi sono inseriti in uno
spazio continuo ben servito. Gli spazi interstiziali
di servizio sono integrati all’interno della
profondità delle travi scatolari. Una tale
possibilità
di
spazio
interstiziale
che
progressivamente si ingrandisce sarà la tendenza
che caratterizzerà d’ora in poi l’opera di Kahn.43
Kahn pensò anche a piccoli studi per gli scienziati
più importanti, posti accanto ai laboratori a pianta
libera, raggruppati in torri collocate nelle due
corti comprese tra i blocchi dei laboratori.
L’intera suddivisione del programma funzionale
mostra ancora una volta l’interesse del maestro
nel voler distinguere ogni funzione attraverso una
determinata architettura, in una logica di piena
autonomia funzionale e figurativa. L’edificio di
riunione, più di ogni altro, rappresentava il senso
profondo dell’istituzione e somigliava, grazie alle
enormi aperture ad arco, allo scheletro murario di
una rovina romana. Una scelta non casuale
questa, ma che intendeva esprimere i valori
duraturi su cui l’arte si è sempre fondata.
Estremamente significative, a tal riguardo, sono
le parole del maestro estone: “L’architettura
esiste nella mente. Chi realizza un’opera di
architettura
fa
un’offerta
allo
spirito
dell’architettura… uno spirito che non è
sottoposto a stile, tecnica o metodo, che solo
attende quanto gli viene presentato.
43
Cfr. in F. Cacciatore, Op. cit., pp. 69-71.
57
Salk Institute for Biological Studies, La Jolla, 1959-65.
Sezione Trasversale e Pianta.
58
Salk Institute for Biological Studies, La Jolla, 1959-65.
59
Lì
è
l’architettura,
l’incarnazione
dell’incommensurabile”.44
Del
complesso
programma si realizzarono solamente i laboratori,
peraltro in maniera differente rispetto al progetto
originario in quanto Kahn intuì che c’era qualcosa
di inefficace nella natura del luogo di relazione
fino ad allora pensato, e così ridisegnò una
soluzione con un solo giardino che diveniva un
luogo in relazione ai laboratori e agli studi. I
materiali impiegati sono il calcestruzzo gettato in
opera, il teak utilizzato su alcune parti delle torri
degli studi ed il travertino, suggeritogli da Luis
Barragan, per pavimentare la grande corte
centrale. Egli stesso sottolineò come “i tondini di
rinforzo rappresentano il gioco di un
meraviglioso lavoratore segreto che fa apparire
questa cosiddetta pietra fusa incredibilmente
capace, un prodotto della mente”.45 La sensibilità
progettuale kahniana si manifesta in alcuni
dettagli straordinari, come nella disposizione
degli studioli, volta a catturare lo sguardo verso
l’oceano, che dimostrano quella componente
profondamente umanistica che sottende la sua
intera ricerca.
La visione monumentale di Louis kahn trova
finalmente la sua possibilità di applicazione
concreta all’interno di un’area archeologica
antichissima, con il progetto della sinagoga Hurva
di Gerusalemme. L’attenzione che egli riserva
44
L. Kahn, Talks with Students, cit.
L. Kahn, I love beginnings, conferenza all’International
Design Conference, The invisibile city, Aspen, Colorado, 19
giugno 1972, in “A+U”, numero monografico Louis I.
Kahn, 1975, p. 282.
45
60
all’antico viene qui espressa da un progetto che si
relazione in maniera sensibile con due
monumenti sacri importantissimi: la Cupola della
Roccia e il Santo Sepolcro. Il santuario proposto è
un quadrato delimitato da quattro pilastri cavi
angolari; all’esterno un deambulatorio da cui si
può accedere al recinto costituito da sedici
nicchie, anch’esse quadrate; le scale poste al
centro dei lati del recinto conducono alla galleria
superiore, con gli ingressi previsti negli angoli.
La tensione ideale di questa ordinata geometria è
tale da far assumere all’intero
complesso
l’aspetto di una fortificazione, con una immagine
dotata di una forza primitiva che riesce ad
esprimere, secondo quanto nota Wittkower, i
rapporti delle armonie cosmiche trasmessi da Dio
a Mosè.
Sinagoga Hurva, Gerusalemme, 167-74. Pianta.
61
Kahn fu chiamato ad Ahmedabad nel 1962 per
realizzare l’Indian Institute of Management, e fu
proprio qui, “nell’India mistica e senza tempo, …
(che) scoprì che l’essenza immutabile ricercata in
tutte le cose sembrava trovarsi più vicina alla
superficie e a sua volta entrò immediatamente in
sintonia con i committenti che recepirono la sua
visione del mondo… Balkrishna Doshi, architetto
di Ahmedabad, suo amico e coordinatore dei suoi
lavori, disse: Lou mi sembrava uno Yogin (yogi)
a causa del suo ‘Samadhi’ (coscienza elevata)
teso a scoprire il valore dell’eterno – la Verità –
la Atman – l’Anima”.46
Kahn elaborò una visione d’insieme a livello
planimetrico, che comprendeva tutti gli elementi
richiesti dalla committenza: le aule, gli uffici, la
biblioteca, la mensa, i collegi degli studenti, le
residenze dei docenti, gli alloggi del personale e
spazi commerciali. Gli edifici collegati dei collegi
si estendevano dall’edificio principale della
didattica fino al lago con la forma delle dita di
una mano. Le residenze per i docenti erano
collocate invece dall’altra parte del lago e
presentavano una disposizione a ‘V’. Le sue
parole chiariscono bene gli intenti: “Uno dei
presupposti del mio lavoro è rappresentato dalla
consapevolezza che ogni edificio appartiene a
un’istituzione dell’uomo. Osservo con la più
profonda venerazione le ispirazioni dalle quali è
scaturito il formarsi delle istituzioni e la bellezza
delle interpretazioni che ne ha dato l’architettura.
46
B. Brownlee, G. De Long, Op. cit., p. 161.
62
Ma è dall’architettura che è venuta la
soluzione”.47
Da un punto di vista compositivo, si tratta di un
impianto diagonale molto suggestivo che esalta la
Indian Institute of Management, Ahmedabad, 1962-74.
47
L. Kahn, Statement on Architecture (discorso tenuto al
Politecnico di Milano, gennaio 1967), in “Zodiac”, vol. 17,
1967.
63
logica dell’architettura di connessione, ma che
soprattutto risponde in maniera ottimale (grazie
alla consulenza preziosa di Doshi) alla
problematica di orientamento degli edifici nella
direzione delle brezze provenienti da sud-ovest.
Kahn non riteneva adatta la disposizione delle
aule lungo normali corridoi, ma era convinto
della necessità di luoghi più informali, adatti ad
incontri estemporanei; e dispose quindi i volumi
autonomi delle aule e i blocchi degli uffici
dell’università ai lati opposti di una grande corte
centrale, collegati da percorsi ombreggiati dotati
di una serie di ambienti adatti alla sosta ed al
dialogo. Un tale impianto, chiaramente derivato
dalla suggestione del monastero, riesce in pieno
ad esprimere il senso profondo dell’istituzione,
tanto che, secondo quanto afferma Doshi,
“quando si cammina in silenzio per il complesso,
sia durante il freddo inverno che nell’estate
caldissima e difficile, si percepiscono vibrazioni
di conversazioni, di dialoghi, di riunioni e di
attività. Gli spazi che sono concepiti per queste
attività collegano l’intero complesso”.48 I collegi
presentano degli spazi destinati alle associazioni,
situati ai piani terra degli edifici, e sono
circondati, secondo le previsioni del maestro, su
due lati di un lago che non fu riempito d’acqua
per motivi igienici, ma che serviva a separare i
collegi dalle residenze dei docenti. Queste ultime
erano concepite in modo molto semplice, ma con
una serie di dettagli eccezionali, tra cui emergono
gli spazi delle terrazze chiuse al livello superiore.
48
B. Doshi, Louis Kahn in India, in “A+U”, cit., p. 313.
64
Kahn, del resto, è stato sempre convinto del fatto
che “l’architettura ha poco a che fare con la
soluzione dei problemi. I problemi sono ordinari.
Risolvere un problema è quasi un compito ingrato
dell’architettura. Sebbene sia tremendamente
piacevole, non esiste nulla di uguale al piacere di
giungere alla comprensione dell’architettura
stessa. C’è qualcosa che si insinua in te come se
stesse
trascinandoti
verso
qualcosa
di
primordiale, qualcosa che esisteva già prima di
te”.49
La leggibilità di una struttura è uno dei temi che
maggiormente ha affascinato Louis Kahn, tanto
da giungere a criticare persino opere come il
Seagram Building di Mies van der Rohe,
colpevole di non aver esplicitato con chiarezza le
varie esigenze strutturali dei livelli inferiori
dell’edificio. Cosa che egli realizza chiaramente
in un progetto per un edificio adatto ad ospitare
una chiesa e diverse funzioni commerciali. Nella
prima proposta, presenta un grattacielo unico in
cui è abbastanza agevole rintracciare una serie di
figure geometriche paratattiche. La torre del
Broadway United Church of Christ and Office
Building è pensata, quindi, come un insieme di
elementi aperti verso un grande vuoto centrale a
tutta altezza che cattura la luce zenitale. Nel
disegno di sezione spiccano le pareti inclinate che
rispondono ad esigenze di carattere urbanistico,
ma che sottolineano soprattutto l’esigenza di
49
L. Kahn, conferenza alla Drexel Architectural Society,
Filadelfia, PA, 5 novembre 1968, in Wurman, What will be
has always been, p. 27.
65
rendere leggibile la struttura. Tale progetto andò
incontro a nuove proposte, con una sensibile
variazione dell’impianto planimetrico, ridotto ad
una serie di quattro grandi colonne cave angolari
che sostenevano la struttura reticolare dei piani
superiori, a cui erano appesi i piani intermedi. Si
tratta di un progetto di estremo interesse che,
sebbene non abbia trovato possibilità concreta di
realizzazione, costituisce un momento importante
per la comprensione della sua logica compositiva
di tipo paratattico, dotata della massima chiarezza
strutturale, e per il modo di far interagire in
maniera significativa luce e struttura.
Broadway United Church of Christ and Office Building,
New York, 1966-68. Sezione della prima proposta.
66
La profonda sintonia con lo spirito del mondo
antico riaffiora continuamente nella ricerca
kahniana, e trova la sua piena espressione in
alcuni progetti che, sebbene rimasti sulla carta,
dimostrano la sua fede nell’ispirazione delle
istituzioni. Il Pocono Arts Center mostra un
profondo ordine compositivo in cui è abbastanza
agevole rintracciare la lezione delle “acropoli
tardo-ellenistiche o dei grandi complessi romani
tardo-repubblicani, come il Santuario della
Fortuna Primigenia, in cui su otto livelli scalinate
e ampie rampe collegavano un tempio, un teatro
all’aperto e alcune botteghe”.50 Questo centro per
le arti visive e lo spettacolo viene pensato da
Kahn alle pendici delle Pocono Mountains, e si
presenta con un programma molto ambizioso,
comprendente una serie di teatri coperti ed
esterni, gallerie d’arte ed ateliers permanenti per
gli artisti. Al di là dei suoi continui ripensamenti,
evidenti nelle varie versioni presentate, ciò che
rimane come una trama profonda ed immutabile
della composizione sono sicuramente le terrazze
monumentali che connettono i diversi edifici, e
conferiscono un ampio respiro all’intera
realizzazione. Questo profondo ordine conferisce
un senso pieno di monumentalità alle singole
parti, come la sala principale destinata ai concerti,
coperta ma permeabile sui lati, cui si accedeva da
un porticato d’ingresso, una sorta di anamorfosi
temporale dei maestosi Propilei di Atene. Al
livello inferiore emergeva il teatro all’aperto, con
gli ateliers e servizi vari predisposti in maniera
50
B. Brownlee, G. De Long, Op. cit., p. 201.
67
tale da inquadrarlo e, al contempo, da concludere
il disegno complessivo dell’impianto.
Pocono Arts Center, Lucerne County, 1972-74. Modello.
68
Sono dunque questi esercizi morfologici di ampio
respiro che aprono la fase matura della sua
produzione, un periodo estremamente proficuo in
cui si delinea con maggiore convinzione la forza
metafisica delle architetture realizzate. “Un
grande edificio deve, a mio parere, prendere
forma dall’incommensurabile e deve divenire
misurabile attraverso il processo progettuale…
ma, alla fine, deve essere incommensurabile”.51
Tale incommensurabilità ha a che fare con quella
sacralità che egli attribuiva ad ogni edificio che
rappresentasse una istituzione.
Quando poi si trova ad affrontare il progetto della
biblioteca per la Exeter Academy avverte
l’esigenza di carattere spirituale di realizzare una
immensa stanza colma di luce, che sembra essere
un vero e proprio santuario. “Di ciò che
caratterizza lo spazio, ossia una stanza, la cosa
più meravigliosa è la finestra. Il grande poeta
americano
Wallace
Stevens
provocava
l’architetto chiedendo: Il tuo edificio che fetta di
sole possiede? In altre parole: Che raggio di sole
entra nella tua stanza? Qual è l’intensità della
luce dal mattino alla sera, da un giorno all’altro,
da stagione a stagione, negli anni?”.52
E’ un progetto dotato di un senso alto della
classicità; si viene introdotti nell’edificio
attraverso un quadrato nettamente definito dalla
struttura, i cui interni presentano dei cerchi di
51
L. Kahn, citato in The notebooks and drawings of Louis
Kahn, a cura di Richard S. Wurman and Eugene Feldman,
Filadelfia, 1962.
52
L. Kahn, The Room, The Street, The Human Agreement,
cit.
69
calcestruzzo, vero e proprio paradigma
decostruito dell’ordine naturale vitruviano, e la
luce arriva filtrata dall’alto ad illuminare in
maniera diffusa l’intero spazio centrale. La pianta
presenta quindi una disposizione concentrica
della sala, delle scaffalature e delle sale di lettura,
sottolineando il tema della gerarchia tra spazi
serviti e spazi serventi; infatti le funzioni di
servizio vengono concentrate negli angoli, per
sottolineare la percezione visiva del grande vuoto
centrale. Ai quattro lati di questo spazio sono
collocate le scaffalature in una zona semi-oscura,
e solo oltre tali scaffalature, le partizioni murarie
consentono una illuminazione naturale delle aree
a doppia altezza previste per la consultazione dei
testi. In ognuna di tali aree si trova poi un
ballatoio posto al mezzanino e delle cabine di
lettura che assecondano il tipico comportamento
del lettore, così descritto da Kahn: “Un uomo
con un libro va verso la luce; è l’inizio di una
biblioteca. Quell’uomo non percorrerà più di 15
metri per raggiungere la luce di una lampadina. Il
tavolino su cui legge è la nicchia che potrebbe
originare l’ordine dello spazio e la sua struttura.
In una biblioteca, la colonna viene sempre dalla
luce. Senza nome, lo spazio creato dalla struttura
della colonna ne evoca l’uso come luogo di
lettura. Un uomo che legge durante un seminario
cercherà la luce, ma la luce è qualcosa di
secondario.
70
Phillips Exeter Academy Library, Exeter, 1965-72.
71
La sala di lettura non ha una personalità: la sua
natura è l’incontro nel silenzio tra i lettori e i
libri”.53
Nel 1967 Kahn inizia ad occuparsi del progetto
per il Kimbell Art Museum a Fort Worth, nel
Texas, su committenza di Richard Brown,
direttore del museo. La prima intuizione
progettuale prevede subito la stanza intesa come
uno spazio voltato a botte, una immagine desunta
dai depositi della Roma antica, ma anche dalla
villa Sarabhai realizzata da Le Corbusier ad
Ahmedabad. “La grandezza romana riempie la
mia mente. La volta vi è rimasta impressa: anche
se non la posso utilizzare, la volta è sempre là,
pronta. La volta sembra essere quanto di meglio
abbiamo. La luce deve scendere da una sorgente
in alto, preferibilmente ricavata allo zenith. La
volta non si solleva a grande altezza: non ha modi
maestosi, ma appropriati alla scala umana; evoca
un senso di familiarità e sicurezza”.54 Tale sintesi
intuitiva evolve in varie ipotesi progettuali
rifiutate dal committente, attento conoscitore
delle complesse problematiche museali, fino a
trovare una formulazione convincente in un
impianto a ‘C’, organizzato intorno ad una corte
anteriore, dalla leggibilità immediata, con un atrio
che rende possibile la vista delle varie zone
53
L. Kahn, Space Order and Architecture, in “The Royal
Architecture Institute of Canada Journal”, vol. 34, n. 10,
ottobre 1957.
54
Kimbell Museum Dedication, Forth Worth, Texas, 1972,
estratto in What Will Be Has Always Been: The Words of
Louis Kahn, a cura di R. S. Wurman, New York, 1986, p.
177.
72
pubbliche dell’edificio: il bar, la libreria e le
gallerie.
“
The Room”, dal taccuino di schizzi di Kahn, 1971.
73
Da notare come lo spessore dei setti che dividono
le diverse campate longitudinali delle volte
appaia quasi smaterializzarsi, nella sua logica di
spazio autonomo. Il giardino presente nella corte
esterna nasce senza dubbio soprattutto dalla
sensibilità paesaggistica di Harriet Pattison, ma
rappresenta ancora una volta l’idea kahniana di
libera scelta da parte dell’individuo se entrare
nell’istituzione e vedere cosa c’è all’interno,
oppure se passeggiare al suo esterno, senza alcun
vincolo. Il sistema strutturale si rende esplicito,
fin da subito, nelle campate aperte anteriori del
museo che determinano il grande portico, vera e
propria traduzione nella contemporaneità dei
colonnati dei musei classici. Gli spazi più bassi a
copertura piana tra le volte rendono esplicita poi
la loro destinazione a funzioni di servizio,
secondo la sua nota distinzione tra spazi serviti e
spazi serventi.
Il sistema integrato di luce e struttura definisce
una successione di stanze che è intuibile, quindi,
sin dall’esterno, grazie alle campate aperte
anteriori che formano il portico. “Tutto era a
vista: quattro pilastri in cemento armato
sostenevano una volta allungata in calcestruzzo
dalla sezione a cicloide. Osservando le campate
adiacenti tamponate era evidente che la muratura
in travertino non aveva una funzione portante, ma
un ruolo studiatamente coreografico in relazione
al calcestruzzo”.55 Ogni volta mostra i quattro
pilastri di sostegno, configurando quel carattere di
55
B. Brownlee, G. De Long, Op. cit., p. 223.
74
Kimbell Art Museum, Forth Worth, 1966-72. Pianta e
Modello.
75
completezza tipico della ‘stanza’, sottolineato
dalla straordinaria invenzione dei lucernari che
aprono “l’edificio al sole esattamente nel modo
da lui a lungo raccomandato, separando la
struttura e quindi intrecciando sostegno e
illuminazione”.56 In realtà non si tratta di una
separazione, ma della giustapposizione di due
strutture, ovvero di due travi curvate in
calcestruzzo gettato in opera post-tese, ma una
tale complessità strutturale non viene affatto
esaltata, ma piuttosto occultata da Louis Kahn, in
quanto ciò che gli interessa è la chiarezza visiva
che rende pienamente intelligibili gli elementi
della trama compositiva. “Questo è ciò che
realizza l’architettura della luce e della struttura.
Decidere per una stanza quadrata significa
sceglierne la luce: ogni forma ha una sua luce.
Anche una stanza pensata per essere buia ha
bisogno di almeno una fessura di luce per
comunicare la sua oscurità. Ma oggi, gli
architetti, nel progettare gli spazi, hanno
dimenticato la loro fede nella luce naturale;
abituati dalla facilità con cui un dito tocca un
interruttore, si accontentano della luce immobile e
dimenticano le infinite doti della luce naturale,
che modifica lo spazio in ogni attimo del
giorno”.57
Un simile stratagemma fu sviluppato, seppure con
modalità differenti, nello Yale Center for British
Art, ideato sotto l’influenza del direttore Jules
56
Ibidem.
L. Kahn, Architecture: Silence and Light, in A. Toynbee,
On future of Art, New York, 1970.
57
76
Prown che voleva una sistemazione a carattere
domestico con una illuminazione naturale. Il
progetto si sviluppa intorno a due corti coperte: la
prima si trova a livello della strada ed assolve la
funzione di atrio; la seconda è situata a livello
della biblioteca, e si collega con la prima
mediante la scala principale che serve tutti i piani
superiori ed assume il ruolo di vero fulcro della
spazialità architettonica che il progetto esprime.
Tali spazi a corte sono delimitati dalle gallerie
che vi si affacciano attraverso grandi aperture che
riproducono l’idea di un vuoto urbano delimitato
da facciate di edifici con finestre.
Un tale programma costituì lo spunto ideale per
una riproposizione in chiave contemporanea della
tipologia del palazzo rinascimentale italiano,
organizzato intorno ad una corte centrale. I temi
costanti qui sviluppati sono: gli archetipi della
geometria, l’utilizzo di muri ciechi come facciate,
il rigore del sistema proporzionale, il rapporto
con gli edifici esistenti, l’utilizzo di materiali
tradizionali per strutture innovative.
L’idea della ‘stanza’ è presente in tutta la sua
evidenza nel sistema delle gallerie superiori, dove
questi spazi di 6 metri per 6 mostrano la loro
logica di autonomia grazie alla massiccia struttura
in calcestruzzo dei lucernari quadrati. L’esterno si
presenta invece come un prisma volutamente
anonimo, fatto di misura e modulo, il cui
scheletro si mostra mediante i pilastri rastremati
ed i pannelli di tamponamento di acciaio satinato
alternati alle finestre in determinati punti
dell’edificio.
77
Vincent Scully, a proposito di questo intervento,
esprime il proprio sincero apprezzamento: “Penso
che sia meraviglioso, così stabile, così privo di
suoni, così atemporale. E’ veramente silenzio e
luce, e cioè quello di cui Lou ha sempre
parlato”.58
Yale Center for British Art, New Haven, 1969-74.
Prospettiva della corte della biblioteca.
58
V. Scully, intervista con A. Latour, cit., p. 151.
78
Memorial to six million jewish martyrs, New York, 196672. Modello.
79
La misura dell’eterno, insita nei monumenti
dell’antichità, sembra essere quindi l’elemento
che informa soprattutto i progetti della maturità;
ed è significativo il fatto che, quando si trova a
dover progettare il Monumento commemorativo
ai Sei Milioni di Martiri Ebrei, nella sua prima
versione, egli rivolga lo sguardo verso i templi
dorici, notando che la misura degli intercolumni è
quasi simile al diametro delle colonne. Kahn
propone, quindi, un impianto dotato di una
potente astrazione, con una griglia ortogonale che
presenta tre elementi per lato, con una
uguaglianza di pieni e vuoti, in maniera tale che il
passo dei piloni sia uguale al diametro degli
stessi. La luce trasmessa durante il giorno e
riflessa durante la notte rappresenta la resistenza
dell’idealismo umano di fronte alla atrocità del
nazismo. “Una volta all’università, per spiegare
che la struttura è creatrice di luce, mi riferii alla
bellezza che le colonne greche traggono dai loro
rapporti reciproci e sostenni che la colonna non è
luce: lo spazio è luce. Ma la colonna esprime la
sua forza non all’interno ma all’esterno”.59
Libero dall’influenza di Anne Tyng, Kahn
abbandona l’idea di uno spazio indifferenziato e
della pianta libera, per dedicarsi alle possibili
evoluzioni derivanti da quel concetto basilare di
stanza intesa come luogo atto a racchiudere il
senso dell’istituzione. A tal proposito, il progetto
non costruito della casa Weber DeVore a
Springfield sembra essere un perfetto teorema
dell’irriducibilità dello spazio. “La casa è
59
L. Kahn, Statement on Architecture, cit.
80
l’astrazione che tiene insieme gli spazi adatti alla
vita. La casa è la forma e nella mente della
meraviglia dovrebbe esistere priva di ogni
configurazione o dimensione. Una casa è
un’interpretazione di quegli spazi dettata dalle
circostanze. Questo è progetto”.60
De Vore House, Springfield, Pennsylvania, 1954. Pianta.
60
L. Kahn, Form and Design, in V. Scully, Louis I. Kahn,
New York 1962.
81
Si tratta di una composizione dalla ‘complessa
semplicità’, costituita da cinque quadrati dal lato
di 7,3 metri lungo un muro di contenimento che
divide la casa in una zona a sud, in cui sono
alloggiate le funzioni pubbliche, ed in una parte a
nord in cui si trovano le camere da letto. Quel che
emerge di tale progetto è il fatto che ogni stanza è
dotata di una struttura autonoma a vista, con
pilastri quadrati in muratura disposti negli angoli
ed in mezzeria. Egli stesso riflette sul fatto che
“l’idea che la decorazione sia necessaria
all’architettura contemporanea deriva in parte
dalla nostra tendenza a coprire le parti strutturali
– in altri termini, a celare la composizione delle
parti. Se ci abituassimo a disegnare come
costruiamo, dal basso verso l’alto, fermando la
nostra matita alle giunzioni del getto o
dell’elevazione, la decorazione si svilupperebbe
dal nostro senso del perfezionamento della
costruzione e noi concepiremmo nuovi metodi
costruttivi”.61 In tal modo, la struttura presenta un
raddoppiamento non necessario in termini
strutturali, ma emblematico da un punto di vista
concettuale, ovvero teso a rappresentare la logica
di autonomia della singola stanza.
Tale principio compositivo si rintraccia in modo
inequivocabile anche nei progetti di più largo
respiro come quello per il complesso
dell’Assemblea Nazionale a Dacca, iniziato sin
61
L. Kahn, citato in How a Develop New Methods of
Construction, “Architectural Forum”, 101, novembre 1954,
p. 157.
82
dal 1963 e portato avanti per tutta la vita.
Nonostante i vincoli imposti dalla committenza,
Kahn aveva intuito da subito il significato da
conferire al progetto ed in che modo far emergere
la natura trascendente dell’assemblea. “La
relazione instaurata tra assemblea, moschea, corte
(suprema) e alloggi, nella loro interazione dal
punto di vista psicologico, è ciò che esprime una
natura. L’istituzione dell’assemblea potrebbe
perdere il proprio significato se i propri
componenti fossero dispersi, le aspirazioni di
ciascun
edificio
risulterebbero
non
completamente espresse. Ciò che sto cercando di
fare è di far discendere una fede da una filosofia
che io posso consegnare al Pakistan in modo che
qualsiasi cosa essi facciano sia sempre coerente
ad essa”.62
La geometria costituisce il mezzo più congeniale
per esprimere il tutto; una geometria semplice ma
evocativa delle aspirazioni degli uomini, in cui
l’Assemblea e la moschea sono all’interno di due
quadrati, di cui uno ruotato di 45 gradi rispetto
all’altro. “Il mio progetto a Dacca si ispira alle
Terme di Caracalla, anche se è molto più grande.
Gli spazi residui delle Terme sono un anfiteatro,
uno spazio trovato, una corte. Attorno vi sono
giardini e nel corpo dell’edificio, ovvero
nell’anfiteatro, vi sono gli interni e negli interni vi
sono giardini a livelli diversi, luoghi che rendono
62
L. Kahn, Conferenza a Yale pubblicata in The
Development by Louis Kahn of the Design for the Second
Capital of Pakistan at Dacca, “Student Publication of the
School of Design, North Carolina State College”, Raleigh,
14 maggio 1964.
83
omaggio all’atleta e luoghi che onorano la
conoscenza del modo in cui l’uomo è stato creato.
Tutti questi sono luoghi di benessere e di riposo,
luoghi in cui ci viene consigliato come vivere per
sempre…questo è ciò che ha ispirato il
progetto”.63
In particolare, il quadrato ruotato era quello
dell’edificio dell’assemblea nazionale con una
bassa cupola e contrafforti angolari che
espandevano il quadrato della moschea. Le
costruzioni erano predisposte su terrapieni dalla
forma geometrica, delimitati in parte dal lago e,
all’altra estremità vennero collocati scuole,
biblioteche e servizi vari. Per portare la luce
all’interno dell’edificio dell’Assemblea Kahn
creò delle strutture molto particolari: “Ho
introdotto, nel progetto dell’Assemblea, un
elemento che fornisce la luce naturale alla parte
più interna della pianta. Immaginate di vedere
una serie di colonne, e poter affermare che la
scelta delle colonne è una scelta di luce. Le
colonne come solidi strutturano gli spazi di luce.
Ora, ribaltate i termini del problema e
immaginate che le colonne siano cave e molto più
grandi e i loro muri possano essi stessi fornire
luce: in questo modo i vuoti diventano stanze, e la
colonna è generatrice di luce e può assumere
forme complesse e dare allo stesso tempo
sostegno e luce agli spazi”.64
63
L. Kahn, Talks with students, in “Architecture at rice”,
26, 1969.
64
L. Kahn, citato in The Development of Dacca, n.p.
84
Complesso dell’assemblea Nazionale, Dakka, 1962-63.
85
E’ noto, d’altronde, come kahn avesse indicato
l’origine dell’architettura nel momento in cui i
muri si erano divisi ed erano diventati colonne,
lasciando penetrare la luce e fungendo da sistema
strutturale.
Quello che risultava con immediatezza era
l’unitarietà della composizione, esaltata in modo
magistrale dalle connessioni tra le varie parti.
“L’architettura della connessione…quella che
connette gli spazi utilizzabili…Questa è la misura
dell’architetto-la organizzazione degli spazi di
collegamento-quella che offre a chi cammina
attraverso l’edificio… la percezione dell’intero
senso dell’istituzione”.65
La geometria ordinata di Dacca è la chiave di
volta per comprendere un altro progetto
kahniano: il Levy Memorial Playground a New
York, apparentemente di minor importanza, ma
fondamentale per l’esplicitarsi di alcuni nodi
compositivi che, proprio qui, sembrano trovare la
loro felice sintesi nella realizzazione di una sorta
di paesaggio arcaico. Si tratta di un campo giochi
per bambini che presenta una gradinata
monumentale ed ampie terrazze che determinano
una serie di collinette per il gioco, con una
geometria rigorosa che presenta elementi a rampa
e scale che riportano alla memoria le rovine
minoiche. E’ un chiaro tentativo di rilettura dei
grandi complessi della storia dell’architettura, ed
ancora una volta rappresenta l’esplicita volontà di
costruire un paesaggio duraturo, a fronte di una
occasione tematica di relativa importanza.
65
L. Kahn, Law and Rule, Princeton.
86
Probabilmente tale complessità di ideazione non
fu compresa appieno nelle sue possibilità
realizzative, e pertanto il progetto rimase sulla
carta.
Levy Memorial Playground, New York, 1963.
Il tema della rotazione geometrica costituì poi un
principio progettuale di estrema importanza,
perché da solo riusciva a determinare le
connessioni, e trovò applicazione in altri progetti
di estremo interesse; basti pensare a quello per la
Fisher house ad Hatboro, a nord di Filadelfia, la
cui genesi compositiva è pienamente incentrata su
tale meccanismo. Si tratta del primo progetto
della maturità per abitazioni in cui “si riscontra
87
una mancanza di equilibrio simmetrico in cui gli
elementi
articolati
separatamente
erano
giustapposti in modo tale che nessuno fosse
prevalente”.66 Questa rotazione di 45 gradi è il
meccanismo che consente alle due figure
rettangolari di trovare un punto di contatto che ne
determina il collegamento. Da notare come il
perimetro della casa sembri avere un notevole
spessore murario, anche se in realtà si tratta di
uno spessore cavo, e quindi fittizio; ma è
interessante soffermarsi anche sul gioco
chiaroscurale, ottenuto mediante rilievi ed aggetti,
che evoca ‘in nuce’ la potenza massiva delle
antiche mura romane, seppure riformulata in una
chiave decisamente contemporanea, grazie alla
leggerezza ed alla trasparenza ottenuta con
l’utilizzo delle ampie vetrate ripartite dalla
elegante intelaiatura lignea. “L’esigenza di
riporre e conservare gli oggetti necessari alla vita
di ogni giorno senza ingombrare lo spazio, la
semplice possibilità di sedersi o l’idea di potersi
servire di una postazione privilegiata da cui
osservare il paesaggio esterno circostante,
rendono questi luoghi del limite per nulla
accessori ma, piuttosto, secondo una definizione
dello stesso Kahn, profondamente necessari”.67
Tale idea di ‘necessità’ sembra percorrere come
un filo rosso tutte le opere realizzate dal maestro
estone, tanto che quando egli si trova a dover
affrontare la difficile tematica della copertura più
adatta ad imprimere carattere al luogo più
66
67
B. Brownlee, G. De Long, Op. cit., p. 198.
F. Cacciatore, Op. cit., p. 115.
88
importante dell’intero complesso di Dacca, volge
lo sguardo indietro verso i grandi esempi del
passato, e si imbatte nella fonte di luce più
trascendente che sia mai esistita, ovvero
nell’oculo del Pantheon.
Fisher House, Montgomery Country, 1960-61.
89
Rifiuta persino i suggerimenti del consulente
strutturista August Komendant e decide, dopo
vari tentativi, di utilizzare una “volta a melone”,
senz’altro più vicina ai suoi ideali di una
geometria a-temporale che sembrava indagare
l’ordine cosmico: “Ordine è intangibile. E’ uno
stadio della coscienza creativa che sempre evolve
verso l’alto. Più alto è l’ordine, più grandi sono le
differenze nel progetto. Ordine favorisce le
congiunzioni. Da ciò che lo spazio aspira a
essere, ciò che non è usuale può essere rivelato
all’architetto”.68 La tensione ideale viene
confermata anche dal diverso trattamento
materico dell’edificio dell’Assemblea rispetto alle
costruzioni adiacenti, caratterizzate dal mattone
rosso. Le esili, eppure potenti, linee marmoree di
un bianco intenso, inserite nel calcestruzzo a
vista, disegnano un elemento a scala umana, ma
rispondono soprattutto a quella necessità
profondamente avvertita di dominare gli aspetti
arbitrari e pervenire ad un livello di astrazione
tale da consentire ad ogni essere umano di
conferire il significato adeguato a quella
determinata istituzione.
E’ evidente, d’altra parte, come nella tradizione
occidentale la città, la casa, il teatro, il castello,
pur non durando in eterno, vogliono rispecchiare
l’Ordinamento eterno del mondo, e quindi esserne
il simbolo. L’uomo, così, trova riparo nelle
proprie abitazioni non tanto e non solo perché
riceva da esse certe prestazioni, ma piuttosto
perché è il loro essere simbolo dell’Eterno che
68
L. Kahn, Order is, in “Perspecta”, 3, 1955, p. 59.
90
consente loro di fornirle. Le costruisce in modo
che siano simbolo dell’Eterno, in modo che egli,
abitandole, si senta al riparo.69
A Kahn non interessa dunque commentare la
dimensione
ridotta
dell’individuo,
ma
evidenziare, piuttosto, la natura trascendente
dell’assemblea; e questa pietra preziosa,
realizzata in calcestruzzo e marmo, sembra
servire proprio a questo. “Non conosco servizio
migliore che un architetto possa offrire come
professionista di quello di rendere evidente che
ogni edificio deve servire un’istituzione degli
uomini, vuoi che si tratti del governare,
dell’abitare, dell’apprendere, oppure della salute
o del tempo libero”.70
Vincent Scully, intervistato a proposito dell’opera
kahniana, sottolinea come al maestro interessasse
più di tutto la simmetria, l’ordine, la forza
primigenia, la realizzazione di monumenti eterni
e incorruttibili. Louis Kahn, in sostanza, credeva
nella possibilità della costruzione di comunità, ed
amava ripetere che lui non era persuaso che fosse
la società a fare l’uomo, ma che viceversa fosse
l’uomo a fare la società. Per questo egli stabiliva
il carattere di un edificio a partire da una
riflessione profonda sull’essenza dell’attività
umana che questo accoglieva. “Ogni edificio che
un architetto costruisce è per un’istituzione. Per
l’istituzione dell’apprendimento, per quella della
casa, per l’istituzione del governo. Ogni giorno
69
Cfr. in E. Severino, Tecnica e architettura, Milano, 2003,
p. 89.
70
L. Kahn, Talks with Students, in “Architecture at Rice”,
26, 1969.
91
sorgono istituzioni, si affermano o sono in
procinto di prendere forma. Difficilmente si
riconosce il divenire di un’istituzione, poiché essa
diviene gradualmente a partire da altre istituzioni.
Molte di esse sono completamente distinte ma
rese irriconoscibili in quanto tali dal modo in cui
l’architetto ne esprime l’urgere in sé”.71
La sua opinione sulla sacralità dell’assemblea
laica rappresenta uno dei luoghi concettuali
essenziali per la riuscita dei complessi progetti a
scala urbana; e le impressioni suggeritegli dai
viaggi compiuti in determinati luoghi lo
conducono ad una profonda riflessione sulle
condizioni di vita qui presenti: “In India e in
Pakistan mi sono reso conto che la grande
maggioranza delle persone non ha ambizioni,
perché non ha modo di potersi elevare al di là di
una vita di sussistenza, e, quel che è peggio, i
talenti non hanno sbocchi. Esprimersi è una
ragione di vita. Le istituzioni dell’apprendimento,
del lavoro, della salute e dell’intrattenimento
dovrebbero essere a disposizione di tutti”.72
Il complesso presidenziale di Islamabad è stato
costruito da pochi decenni, eppure è così distante
dalle tante architetture della contemporaneità,
inutili icone luccicanti che esaltano con stupefacente disinvoltura gli effetti perversi della globalizzazione, e in particolar modo quella subcultura di massa del consumismo di cui Paul Ricoeur parlava già negli anni Sessanta, proprio
71
L. Kahn, Law and Rule, Princeton, 29 novembre 1961.
L. Kahn, The Room, The Street, The Human Agreement,
in “AIA Journal”, vol. 56, 1971, pp. 33-34.
72
92
mentre si andava compiendo la rivoluzione kahniana.
Complesso Presidenziale, Islamabad, 1963-66. Modello
dell’area e Pianta schematica dell’edificio dell’Assemblea
Nazionale.
93
Tali intenti definiscono con estrema chiarezza il
senso complessivo e le profonde finalità del lavoro svolto da Louis Kahn nel corso della sua esistenza, per conferire dignità alle istituzioni ed offrire agli uomini la possibilità di una visione di
vita diversa. E’ evidente, quindi, come le grandi
rovine eterne reinventate dal maestro estone riescano ad assumere oggi anche una dimensione
profetica, nel loro indicare una direzione adeguata
all’architettura contemporanea; una strada che
dovrebbe consistere fondamentalmente in un freno dello spreco di risorse, ma anche nel recupero
di quella lunga durata degli edifici che è, prima
di tutto, simbolica.
Non è certo casuale se, durante la guerra
d’indipendenza dal Pakistan del 1971, il suo
edificio destinato a sede del Parlamento del
Bangladesh fu risparmiato dai bombardamenti,
perché percepito come un’antica rovina, un luogo
dello spirito colmo della misura dell’eterno.
94
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96
AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI
Area 01 – Scienze matematiche e informatiche
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dalla tipografia « Braille Gamma S.r.l. » di Santa Rufina di Cittaducale (Ri)
per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma
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