Elementi di dinamica- classi: III A-II A L.C.O.
E come energia
L’energia è la grandezza fisica primitiva che sta a fondamento di tutti i fenomeni
naturali; a partire da essa tutto può esistere e tutto alla fine sarà ricomposto in essa.
L’energia può manifestarsi in varie forme diverse a seconda del fenomeno coinvolto.
La forma più semplice di energia è quella che possiede un corpo in virtù del suo stato
di moto ed è chiamata energia cinetica.
Dato un corpo di massa m e di velocità v definiamo energia cinetica K del corpo:
K
1 2
mv
2
L’unita di misura è il Joule ed è l’energia che compete ad un corpo di massa 2 kg per
m
s
perseverare nel suo stato di moto rettilineo uniforme con velocità v  1 .
La ragione di tale definizione può trovare giustificazione nel seguente esperimento:
consideriamo la caduta di alcuni pesi su una superficie di argilla e misuriamo gli
effetti provocati dalla caduta sull’argilla attraverso la misura della penetrazione del
peso sull’argilla.
L’energia cinetica risulta essere direttamente proporzionale al quadrato della velocità
e suggerisce la possibilità di misurare l’energia anche attraverso le deformazioni
subite da un corpo.
Ora ci proponiamo di studiare come varia l’energia cinetica del corpo in presenza di
una variazione costante della velocità del corpo in un certo intervallo di tempo (il
corpo si muove, quindi, di moto rettilineo uniformemente accelerato):
Supponiamo che il corpo all’istante t0 sia in moto con velocità v0 quindi con l’energia
cinetica K0, in un istante successivo t la sua velocità sia v e la sua energia cinetica K
Allora


1 2 1 2 1
mv  mv0  m v 2  v02 
2
2
2
1
1
1
1


2
 m v0  at   v02  mv02  2atv0  a 2 t 2  v02   m2atv0  a 2 t 2   ma tv0  at 2   mas
2
2
2
2


K  K0 


quindi K  K0  mas
Definiamo forza la grandezza F=m a
Quindi K  K0  Fs che chiamiamo “Teorema delle forze vive”: alla variazione di
energia cinetica del corpo corrisponde sempre il prodotto della forza F per lo
spostamento s.
Possiamo caratterizzare più specificatamente il concetto di forza:
Poiché F è direttamente proporzionale all’accelerazione a si evince che la forza è una
grandezza vettoriale.
L’unità di misura della forza è il Newton (N) che definiremo operativamente in
seguito; basta ora sapere che 1N  1kg  1
m
in accordo con la definizione.
s2
1
Osserviamo che l’equazione F=ma contiene in se i primi due prinicipi della
dinamica e che non è stata fatta alcuna ipotesi sul tipo di forza che agisce sul corpo di
massa m.
Se rappresentiamo in un diagramma cartesiano la velocità lungo l’asse orizzontale e
l’energia cinetica lungo l’asse verticale :
K
otteniamo una parabola con la concavità
rivolta verso l’alto e vertice ubicato nell’
origine O, in accordo con l’equazione
K
O
1
m  v2
2
v
Analizzando l’espressione della variazione di energia cinetica si può definire una
nuova grandezza :
L  m a  s  F  s
chiamata Lavoro, sottintendendo che forza e spostamento devono essere in tal caso
vettori paralleli tra loro.
In sostanza il Lavoro esprime la variazione di energia cinetica subita da un corpo
lungo il suo moto e perciò un cambiamento di energia in genere. Nel caso particolare
visto, essendo la forza costante, se si traccia un diagramma cartesiano riportando la
forza in verticale e lo spostamento in orizzontale, si ha:
F
Il lavoro compiuto da una forza
ma
L
costante F = ma per spostare un
corpo di una lunghezza s = s0
è la misura dell’area tratteggiata
s
del rettangolo di base s0 ed altezza ma
O
s0
del diagramma cartesiano di assi s ed F
2
q come quantità di moto
Vediamo ora, a partire dall’equazione F=ma, di definire altre due grandezze fisiche.
Ricordando che l’espressione
a
v2  v1 v

t 2  t1
t
esprime l’accelerazione media di un corpo, con v1 velocità iniziale del corpo
all’istante t1 e v2 velocità finale del corpo all’istante t2 , mentre rappresenta
l’accelerazione istantanea del medesimo quando i due tempi sono molto vicini, si può
riscrivere l’equazione della dinamica nella forma:
F  m
v2  v1
t
moltiplicando entrambi i membri dell’equazione per t si ricava:
F  t  m  v2  v1   m  v2  m  v1
se definiamo con I  F  t l’impulso di una forza, definito come il prodotto tra la
forza e l’intervallo di tempo in cui essa agisce, con q  m  v la quantità di moto di un
corpo, definita come il prodotto tra la massa e la velocità di un corpo si ottiene:
I  q2  q1  q
dove q1 e q2 sono le quantità di moto rispettivamente agli istanti t1 e t2 .
Si può allora scrivere:
F
q
t
da cui segue che quando F = 0 dev’essere q = q2 – q1 = 0, per cui q2 = q1 che
in fisica si esprime attraverso il
Principio di conservazione della quantità di moto di un corpo: la quantità di moto di
un corpo, in assenza di forze esterne, si conserva: q = costante.
Tale risultato può apparire banale in quanto rappresenta un diverso modo di
enunciare la legge d’inerzia: infatti da F = 0 segue a = 0 e dunque v = v2 – v1 = 0
per cui v1 = v2 e dunque q1 = q2 essendo la massa costante.
Tale principio diventa meno banale se lo si estende ad un sistema costituito da da o
più corpi interagenti tra loro.
Definiamo “isolato”un sistema costituito da più corpi interagenti tra loro ma non
soggetti ad alcuna forza esterna ad essi: le uniche forze presenti sono quelle di
interazione tra i corpi del sistema stesso.
Consideriamo per semplicità il caso di un sistema isolato di due corpi di massa m1 ed
m2 :
F12
F21
m1
m2
per il principio di azione e reazione (IIIº Principio della dinamica), la forza F12
esercitata dal corpo 1 sul corpo 2 è uguale e contraria alla forza F21 esercitata dal
corpo 2 sul corpo 1: F12 = - F21 ovvero : F12 + F21 = 0.
Se indichiamo con q(t) la quantità di moto di un corpo qualsiasi al generico istante t,
nel tempo intercorso tra l’istante iniziale t1 e l’istante iniziale t2 le quantità di moto dei
corpi 1 e 2, in virtù della forza reciproca da essi esercitata, subiranno un
cambiamento secondo la seguente tabella:
3
t
t1
t2
q1(t)
q1(t1)
q1(t2)
q2(t)
q2(t1)
q2(t2)
t = t 2 - t1
q1 = q1(t2) - q1(t1)
q1 = q2(t2) - q2(t1)
q 2
q
e F21  1 , segue che :
t
t
F12  F21   t  q2  q1  q2 t 2   q2 t1   q1 t 2   q1 t1   q1 t 2   q2 t 2   q1 t1   q2 t1   0
E poichè F12 
ovvero:
q1 t 2   q2 t 2   q1 t1   q2 t1 
Se indichiamo con q = q1 + q2 la quantità di moto totale dell’intero sistema, alla fine
si ricava:
qt 2   qt1 
ovvero la quantità di moto totale del sistema si conserva.
Vediamo come ritrovare i medesimi concetti nel caso elementare di moto circolare
uniforme.
Y
L’espressione della velocità in un moto
v
circolare uniforme di raggio R e di
P
velocità angolare  è data da:
R
v = R
X
O
A
perciò se il corpo che si muove lungo
la circonferenza ha una massa m, esso
dovrà possedere un’energia cinetica
K
1
1
m  v2  m  2  R2
2
2
che definisce l’energia cinetica rotazionale del corpo.
Si osservi che:
 L’energia cinetica rotazionale di un corpo in moto circolare uniforme si
conserva, come nel caso del moto rettilineo uniforme, essendo m,  ed R
costanti
 L’energia cinetica rotazionale può anche essere espressa nella seguente forma:
1
1
K    m   R  R    m  v  R
2
2
in cui compare la quantità L = mvR = q  R data dal prodotto tra la quantità di
moto del corpo ed il raggio della circonferenza; tale quantità si chiama “momento
angolare” o “ momento della quantità di moto” ed è il corrispondente angolare
della quantità di moto già vista.
4
Poiché
L
2 K

ne consegue che il momento angolare di un corpo che si muove di moto circolare
uniforme si conserva essendo costanti K ed .
Accenniamo inoltre al fatto che L è una grandezza vettoriale e che, quando si
conserva, mantiene costante la sua direzione perpendicolarmente al piano
individuato dai vettori posizione e velocità, ovvero il piano della traiettoria
(circonferenza) del moto circolare uniforme nel nostro caso. Il suo verso punta
verso l’alto quando la direzione (con il suo prolungamento) del vettore posizione
si trova più a destra rispetto a quella del vettore velocità e viceversa.
Riconsideriamo ora il sistema dei due corpi precedentemente considerato.
Supponiamo di voler considerare un unico corpo la cui massa sia la somma delle
masse dei due corpi e la cui quantità di moto sia pari alla quantità di moto totale
del sistema dei due corpi. Se indichiamo con vc la velocità di un corpo che
soddisfi queste condizioni dev’essere:
m1  m2   vc  m1  v1  m2  v2
da cui :
vc 
m1  v1  m2  v2
m1  m2
si osservi che tale procedura è piuttosto frequente sia in matematica che in fisica:
spesso quando si vuol trovare una formula od una legge necessarie per esprimere
una certà quantità si và a cercare quella quantità che deve soddisfare le condizioni
che rendono possibile una certa espressione; queste condizioni impongono
l’espressione della formula o legge cercata.
In sostanza:
vc esprime la velocità che avrebbe il sistema dei due corpi se le loro masse fossero
concentrate tutte nello stesso punto (unite in uno stesso corpo).
Resta da determinare la posizione che tale sistema dovrebbe avere.
Indicando con r1(t) la posizione del corpo 1 all’istante di tempo generico t e con
r2(t) la posizione del corpo 2 all’istante di tempo generico t, le rispettive velocità
dei due corpi nell’intervallo di tempo t2 - t1 saranno:
v1 
r1 t 2   r1 t1 
t 2  t1
,
v2 
r2 t 2   r2 t1 
t 2  t1
indicando invece con rc(t) la posizione del corpo che si muove con la velocità vc(t)
dev’essere:
vc 
rc t 2   rc t1 
t 2  t1
per cui denotando con t = t2 – t1 si ha:
5
m1  m2   rc
t 2   rc t1 
t
 m1 
r1 t 2   r1 t1 
r t   r2 t1 
 m2  2 2
t
t
eliminando t dai due membri dell’equazione e dividendo tutto per (m1 + m2):
rc t 2   rc t1  
m1
m2
 r1 t 2   r1 t1  
 r2 t 2   r2 t1 
m1  m2
m1  m2
raccogliendo nel secondo membro a fattor comune del secondo membro i termini
in t2 e t1 rispettivamente:
rc t 2   rc t1  
m1
m2
m1
m2
 r1 t 2  
 r2 t 2  
 r1 t1  
 r2 t1 
m1  m2
m1  m2
m1  m2
m1  m2
ma perché tale eguaglianza sia sempre vera devono sussistere le seguenti identità:
rc t 2  
m1
m2
 r1 t 2  
 r2 t 2  ,
m1  m2
m1  m2
rc t1  
m1
m2
 r1 t1  
 r2 t1 
m1  m2
m1  m2
e perciò si ricava la forma di quella che definiamo
“posizione del centro di massa” del sistema dei due corpi:
rc t  
m1
m2
 r1 t  
 r2 t 
m1  m2
m1  m2
Concludendo, è possibile considerare in luogo del sistema dei due corpi un solo
corpo avente per massa la somma delle masse dei due corpi, avente per posizione
la posizione del centro di massa e avente per velocità la velocità del centro di
massa. Si noti che tali formule valgono per un sistema costituito da un numero
qualsiasi di n corpi interagenti.
Osserviamo infine la seguente proprietà:
poiché la quantità di moto del centro di massa coincide con la quantità di moto
totale del sistema e poiché quest’ultima si conserva in assenza di forze esterne, la
quantità di moto del centro di massa in assenza di forze esterne si conserva,
mentre in presenza di una forza esterna, tale forza esterna è pari al prodotto tra la
massa totale del sistema e l’accelerazione del centro di massa del sistema:
F=(m1 + m2) ac
come può essere facilmente dimostrato.
6
F come forza (ovvero le interazioni………)
In meccanica classica, si dice che quando due corpi si trovano ad una certa
distanza tra loro si sviluppa un’interazione: in un certo senso si può dire che
comunicano tra loro influenzando a vicenda il proprio stato originario di moto.
La rappresentazione fisica delle interazioni è la grandezza fisica vettoriale
denominata “Forza”.
Le interazioni possono essere classificate in base a come possono essere
esercitare la loro influenza su un corpo:
 Interazioni di contatto: i corpi per interagire tra loro devono essere posti a
contatto, es: forza esercitata da un corpo su una molla, forza che si sviluppa
tramite strofinamento di due corpi.
 Interazioni a distanza: i corpi possono interagire tra loro anche senza essere
posti a contatto, es: forza di gravità, forza elettrostatica
ed in base alla loro dipendenza o meno dalla posizione spaziale del corpo rispetto
ad un altro:
 Forze non dipendenti dalla posizione del corpo, es: forza di attrito tra un
corpo ed una parete, forza di attrito tra un fluido (es. aria) ed un corpo
immerso in esso lungo il suo moto.
 Forze dipendenti dalla posizione del corpo, es: forza elastica della molla,
forza di gravità, forza elettrostatica.
L’espressione matematica della forza di attrito esercitata da una parete su un corpo
ad essa aderente è
F  N
dove N rappresenta la reazione alla forza peso del corpo (uguale e contraria) e  il
coefficiente di attrito (statico o dinamico a seconda che il corpo sia fermo od in
moto). L’espressione della forza di attrito sviluppata da un fluido in un corpo è
invece:
F  b  v
dove v il vettore velocità del corpo e b il coefficiente di attrito del fluido; qui la
forza risulta opporsi alla direzione del moto ed aumenta all’aumentare della
velocità: si pensi ad es. alla forza sviluppata dall’attrito dell’aria su un satellite in
caduta libera sulla terra.
Si osservi subito che, i due tipi di forza sono entrambi di contatto e non dipendono
esplicitamente dalla posizione del corpo.
7
Consideriamo ora la forza elastica:
si prenda una molla con un estremo
parete
connesso ad una parete e l’altro
ad un corpo di massa m, libero
m
perciò di muoversi assieme alla
x
molla lungo una direzione spaziale x
molla
x0
Supponiamo inoltre che l’estremo
mobile si trovi nella posizione di
riposo x0, posizione cioè in molla
e corpo restano fermi se non sollecitati (x0 = distanza iniziale dalla parete) .
Proviamo ora a tirare l’estremo della molla con il corpo verso destra lungo la
direzione x, per un allungamento pari a x:
la molla reagirà all’allungamento con
una forza proporzionale all’
allungamento medesimo:
m
F
x0
x
x0 +  x
F=-kx
m
x0 -  x
x0
x dove k definisce la costante elastica
della molla, espressa in N/m e
caratteristica del tipo di molla.
x0 +  x
supponendo che la molla possa scorrere senza attrito lungo x, se si lascia la molla
libera di muoversi, in virtù della forza elastica si muoverà in direzione opposta fino a
comprimersi alla distanza x0 - x dopo esser ripassata per la posizione di partenza x0
per ripartire verso destra ed oscillare indefinitamente avanti ed indietro intorno alla
posizione x0 tra la posizione x0 - x e la posizione x0 + x con un moto oscillante del
tipo di una pallina di ping-pong.
Un sistema simile si chiama oscillatore armonico.
Dal secondo principio della dinamica, denotando con a l’accelerazione del corpo di
massa m lasciato libero di oscillare in virtù della forza elastica, si deve avere:
m  a  k  x
e dunque l’accelerazione sarà:
a
k
 x
m
ne consegue che anche l’accelerazione risulta essere direttamente proporzionale allo
spostamento e dunque alla posizione.
Esiste un altro moto dalle caratteristiche simili, ovvero il moto armonico.
8
Ricordiamo che si definisce moto armonico di un punto, il moto della proiezione di
un punto di moto circolare uniforme lungo la direzione x:
L’espressione dell’accelerazione centripeta
del moto circolare uniforme di raggio R
e velocità angolare  è data da:
Y
v
P
ac
R
ac = -  2  R
O
A
X
e se nel punto P è situato un corpo di
massa m, esso sarà soggetto alla
forza centripeta:
Fc = m ac = - m  2  R
Come nel caso dell’oscillatore armonico, sia l’accelerazione centripeta che la forza
corrispondente risultano essere direttamente proporzionali ad uno spostamento (R) ed
in verso opposto alla sua direzione. Per analogia si può perciò asserire che il moto di
un oscillatore armonico è equivalente a quello della proiezione lungo l’asse
orizzontale di un punto che si muove di moto circolare uniforme, con velocità
angolare
e periodo d’oscillazione

k
m
T  2 
m
k
Un altro fenomeno simile a quelli precedentemente esposti è dato dal pendolo:
O
 
l
T
T
T
C
H
B


A
pt

pn
p
Sia OB = l la lunghezza del pendolo al cui
estremo risulta appeso un corpo di massa m
soggetto alla forza di gravità (peso) p = mg.
Quando il corpo risulta immobile e sospeso
in verticale nel punto H esso risulta soggetto
a due forza eguali in intensità ma opposte in
direzione : la forza peso p diretta verticalmente
verso il basso lungo la verticale e la forza di
tensione T che per il principio di azione e
reazione non è altro che la reazione del filo
di lunghezza l alla forza peso p; la somma di
tali forze dà come risultante la forza nulla ed
il corpo resta fermo.
Proviamo ora a sollevare il corpo dal punto A al punto B tenendo teso il filo, in
modo tale che OB formi con OA un angolo  sufficientemente piccolo ad es. minore
di 15-30; in tali condizioni, se indichiamo con H l’intersezione dell’orizzontale per
B con la verticale per il punto A, indicando con s la lunghezza dell’arco percorso da
9
A a B si ha BHAB = s. Si può cioè approssimare la lunghezza del segmento
orizzontale BH con la lunghezza d’arco s.
Se lasciamo libero l’estremo in B, esso comincerà ad oscillare fino a raggiungere il
punto C tale che CH = BH, per tornare indietro invertendo il proprio moto. In assenza
di aria tale moto, costituirà un’oscillazione periodica da A a B.
Quando il corpo si trova nel punto B la sua forza peso potrà essere scomposta in una
componente pt tangente all’arco AB e nella componente pn lungo la direzione di
lunghezza del pendolo.
Osservando i due triangoli rettangoli OHB e BPPn si può dedurre che sono simili
perché entrambi rettangoli con gli angoli al vertice in O ed in B uguali a  perle
proprietà delle rette parallele passanti per OA e p tagliate dalla trasversale passante
per l, ne consegue che il loro lati corrispondenti sono proporzionali:
p : pt = l : s
ovvero:
p l

pt s
da cui
pt 
p
g
 s  m   s
l
l
poichè il corpo si muove solo lungo l’arco BC, mentre resta immobile lungo la
direzione l ne consegue, per il secondo principio della dinamica che dev’essere:
T = pn e m at = pt
In particolare nel secondo caso si ha:
m  at  m 
g
s
l
ciò significa che anche in tal caso, la forza Ft = mat responsabile del moto del
pendolo è anch’essa proporzionale allo spostamento effettuato s, essendo m, g, l
costanti nel tempo. Eliminando m da entrambi i membri dell’equazione si ottiene:
at  
g
s
l
Forza ed accelerazione, oltre ad essere proporzionali in intensità allo spostamento
hanno una direzione opposta a questo allo stesso modo della forza centripeta e della
forza elastica. Si può in particolare dire che il moto della proiezione dell’estremo del
pendolo lungo l’orizzontale è identico a quello di un oscillatore armonico.
In tal caso la velocità angolare ad esso associata sarà
10

g
l
mentre il periodo d’oscillazione del pendolo sarà:
T
2

 2 
l
g
il periodo del pendolo, in condizioni di piccole oscillazioni, è costante:
questa costituisce la “legge dell’isocronismo del pendolo” scoperta da Galilei
in particolare tale legge consente di fornire una prima stima qualitativa sperimentale
dell’accelerazione di gravità: infatti elevando al quadrato l’espressione di T si ha:
T2
l

2
g
4
da cui g 
4 2
l
T2
Si può così concludere che il moto circolare uniforme, il moto elastico ed il moto del
pendolo sono esprimibili dalla medesima legge fisico-matematica:
Moto circolare uniforme
Fc=- 2 R

Moto elastico
F=-ks

T
T  2
k
m
m
k
Moto pendolare
F=-(g/l)s

T  2
g
l
l
g
Tornando all’oscillatore armonico, possiamo rappresentare in un diagramma
cartesiano l’intensità della forza lungo l’asse delle ordinate e l’allungamento causato
sulla molla lungo l’asse delle ascisse, indicando per comodità l’allungamento con x e
considerando come posizione iniziale x0 = 0 :
F
F = kx
k x
O
x
X
Il grafico è quello di una retta passante per l’origine
del tipo y = mx.
Poiché forza e spostamento nella direzione X sono
paralleli, ha senso determinare il lavoro L compiuto
dalla forza per causare lo spostamento x, ricordando
che esso è dato dall’area del grafico della forza,
ovvero dall’area del triangolo rettangolo di base x
e di altezza kx cambiata di segno essendo
forza e allungamento diretti in senso opposto:
1
1
L    x  k  x    k  x2
2
2
11
Infatti, per comodità si considererà il grafico F = kx in luogo del grafico F = -kx:
F
l’area del grafico sottostante la retta F =- kx
x
X
è comunque l’area del grafico sottostante
la retta F = kx cambiata però di segno.
O
-kx
F=-kx
Ora nel caso generale, se la posizione di partenza dell’estremo mobile della molla
fosse stata x0 :
in tal caso il lavoro sarà dato dall’area ottenuta
F
sottraendo l’area del triangolo rettangolo avente
k x
F = k x
base x0 ed altezza kx0 all’area del triangolo
rettangolo di base x ed altezza kx cambiandone
k x0
il segno:
1
1
1
1
2
2
L    k  x 2   k  x0    k  x0   k  x 2
2
2
2
 2
O
x0
x
X
Si può osservare che il lavoro, oltre a rappresentare una variazione di energia
cinetica, può rappresentare la variazione di un’altra forma di energia, la quale stavolta
non è più legata direttamente al movimento di un corpo ma alla sua posizione:
U
1
 k  x2
2
essa si chiama energia potenziale.
In sostanza l’energia potenziale di un corpo è l’energia necessaria al corpo per
mantenere la posizione in cui si trova.
Nel caso di forze elastiche si tratta di
un’energia potenziale elastica e rappresenta l’energia immagazzinata dalla molla
durante la sua estensione o compressione x
Il suo grafico nel diagramma cartesiano di ordinata U e di ascissa x è rappresentato da
una parabola:
U =
1
 k  x2
2
U=
1
2
 k  x0
2
O
caso di x0 = 0
x
1
2
 k  x  x0 
2
x
O
x0
caso di x0  0
12
Il punto di minimo della parabola,ovvero il suo vertice, coincide con la posizione di
riposo della molla e definisce la posizione di equilibrio stabile del corpo in quanto il
corpo permarrebbe in tale posizione se non fosse sollecitato da forze esterne.
Analizzeremo in modo più approfondito tale situazione in seguito.
Osserviamo infine che se denotiamo con
U  U  U 0 
1
1
2
 k  x 2   k  x0
2
2
la variazione di energia potenziale subita dal corpo nel passare dalla posizione
iniziale x0 alla posizione finale x (differenza tra energia potenziale finale ed energia
potenziale finale) e con x=x-x0 la variazione della sua posizione si ricava:
x  x0   x  x0 
x 2  x0
x  x0
U
1
1
  k 
  k 
 k 
 k  x M
x
2
x  x0
2
x  x0
2
2

ove
xM 
x0  x
2
F
indica il punto medio tra x0 ed x
k x
kxM indica l’intensità forza media
k xM
esercitata dalla molla sul corpo.
k x0
Tale risultato può essere esteso
anche per i valori della forza in
X
tutte le altre posizioni ma poichè
O
x0 xM x
la forza non risulta costante,
esso può essere giustificato in modo
rigoroso solamente attraverso l’ausilio del calcolo differenziale. Basti però
ricordare che i risultati ottenuti in fisica per le quantità medie coincidono con
quelli delle corrispondenti grandezze istantanee quando le variazioni di tali
grandezze risultino molto piccole, perciò possiamo evincere il seguente risultato:
F 
U
x
e cioè:
la forza di un oscillatore armonico può essere espressa come l’opposto del
rapporto tra la variazione di energia potenziale subita con l’allungamento della
molla e l’allungamento corrispondente.
Tutto ciò è diretta conseguenza del fatto che il Lavoro calcolato lungo
l’allungamento, risulta proprio essere l’opposto della variazione dell’energia
potenziale subita: L = -U
Più in generale, le forze che possono essere espresse da una variazione di energia
potenziale in corrispondenza di una variazione della posizione del corpo si dicono
forze conservative, in conseguenza del fatto che l’energia potenziale ad esse
associata dipende dalla posizione; esistono invece delle interazioni dipendenti
dalla posizione non conservative, perché non legate ad alcuna energia potenziale
(ad es. quelle inversamente proporzionali alla posizione. Le interazioni
gravitazionali ed elettrostatiche ad es. sono conservative, mentre le forze d’attrito
non lo sono e vengono dette anche forze dissipative.
13
Energia meccanica e sua conservazione (sdoing!!)
Consideriamo ancora il nostro eterno oscillatore armonico.
Oltre al variare della posizione del suo estremo, considereremo anche la sua
velocità e dunque anche la sua energia cinetica. Considereremo il moto del corpo
al suo estremo a partire dall’istante in cui la molla, dopo l’allungamento, viene
lasciata libera di scorrere.
1. Posizione iniziale x all’istante di partenza.
In queste condizioni, il corpo presenta una velocità iniziale nulla (corpo
inizialmente fermo) ed un allungamento x; ne consegue , per le definizioni
adottate in precedenza, che esso possiede un’energia cinetica iniziale nulla ed
un’energia potenziale proporzionale al quadrato del suo allungamento iniziale:
K  0


1
2
U  2  k   x  x 0 
2. Posizione intermedia xM.
Il corpo dopo un certo intervallo di tempo, in virtù della forza di richiamo della
molla torna indietro fino a passare per la posizione intermedia.
In tal caso essendo il corpo in movimento, la sua velocità sarà diversa da zero e
dunque:
1

2
 K  2  m  v

U  1  k  x  x 2
M
0

2
3. Posizione x0.
Il corpo ripassa per la sua posizione di riposo ed essendo x = x0 , l’energia
potenziale è nulla:
1

2
K   m  v
2

U  0
Successivamente, il corpo oltrepassa la posizione di riposo, comprime la molla
finchè raggiunta la compressione massima, si ferma e torna indietro invertendo il
moto.
14
Analizziamo il passaggio dalla situazione iniziale 1 e alla situazione finale 3 dal
punto di vista del lavoro L fatto per muovere il corpo:
Nel passare dalla 1 alla 3 il corpo ha subito una variazione di energia cinetica
K  K  K 0 
1
 m  v2
2
e dunque dalla definizione di lavoro:
L  K 
1
 m  v2
2
Viceversa il corpo ha subito una variazione di energia potenziale :
1
2
U  U  U 0    k  x 
2
e perciò sempre dalla definizione di lavoro:
L  U 
1
2
 k  x 
2
Eguagliando le due espressioni dello stesso lavoro si ha: K = -U
Conseguenza:
Le variazioni (contemporanee) di energia cinetica e di energia potenziale del
medesimo corpo lungo il suo moto sono opposte: al crescere dell’energia cinetica
corrisponde un identico decrescere dell’energia potenziale
Possiamo riscrivere la precedente equazione nella forma: K + U = 0
Ovvero:
La somma delle variazioni dell’energia cinetica e dell’energia potenziale dà
sempre zero.
E’ possibile allora definire una nuova grandezza fisica, denominata Energia
Meccanica, la cui variazione lungo il moto di un corpo sia sempre zero, una
grandezza cioè, che si conserva inalterata durante il moto del corpo, data dalla
somma di due diverse forme di energia: l’energia cinetica, legata al movimento
del corpo, l’energia potenziale, legata alla posizione del corpo:
E=K+U
che si esprime dicendo:
L’energia meccanica totale di un corpo soggetto unicamente a forze conservative
si conserva
e costituisce il Principio di Conservazione dell’Energia Meccanica.
15
Infatti da K = -U segue:
K – K0 = U0 – U
e scambiando U con K0 nell’equazione si ottiene:
U + K = U0 + K0
Che garantisce l’esistenza di una grandezza E il cui valore finale coincide con il
valore iniziale e le cui dimensioni fisiche sono quelle di un’energia.
Osserviamo fin da ora, che il moto di un corpo è determinato univocamente dal
valore iniziale della sua energia: infatti se avessimo allungato la molla sino ad una
distanza x1  x0 l’energia potenziale iniziale sarebbe stata diversa e dunque anche
la sua energia meccanica iniziale; il corpo avrebbe continuato ad oscillare
indefinitamente tra le posizioni x0 - x1 e x0 + x1 invece che tra le posizioni
x0 - x e x0 + x come si può evincere dai due grafici a confronto:
se la molla viene allungata di x
verso destra e poi lasciata andare
il corpo tende a muoversi nella
direzione di decrescita dell’energia
U
kx
O
U0 
x 0 - x
x0
1
2
 k  x 
2
x0 +  x
X
U
kx1
U1 
1
2
 k  x1 
2
potenziale e viceversa se essa viene
compressa della stessa lunghezza;
in corrispondenza dei due estremi
di U0 l’energia potenziale è massima
mentre l’energia cinetica è minima,
viceversa in x0 l’energia potenziale
è minima mentre l’energia cinetica
è massima. Idem nel secondo grafico
con U1
O x 0 - x 1
x0
x0 +  x1
X
Perché il corpo non si ferma nella posizione di equilibrio stabile in x0 ? per la
semplice ragione che in esso possiede un’energia cinetica che gli consente di
continuare a muoversi, sempre nel rispetto del principio di conservazione
dell’energia meccanica; solo se l’energia cinetica iniziale fosse nulla, come
succede ad es. se si pone il corpo nella posizione iniziale x0 ed inizialmente fermo
(con velocità iniziale nulla) il corpo resterebbe fermo; in caso contrario, in assenza
di attrito il corpo continuerà ad oscillare eternamente avanti e indietro tra
l’allungamento massimo e la compressione massima della molla.
16
Proviamo a riportare in un diagramma cartesiano la posizione x in orizzontale e la
velocità v in verticale, si ottiene il grafico di un’ellisse centrata nell’origine, come
può essere dedotto dalla struttura dell’equazione:
1
1
 k  x2   m  v2  E
2
2
in quanto può essere riscritta nella forma:
x2
 2 E 


 k 


2

v2
 2 E 


 m 


2
1
Tale grafico definisce l’orbita del moto del sistema. Essa si trova in
corrispondenza dell’intersezione tra la retta orizzontale passante per il valore
massimo di U ed il grafico di U. Se l’orbita è una curva chiusa, allora il moto del
corpo è certamente periodico e si può prevedere quando ripasserà per la medesima
posizione. Ciò succede sempre quando si è in prossimità del minimo di energia
potenziale, ovvero quando la curva che esprime l’energia potenziale risulta
concava verso l’alto. Il valore prefissato dell’energia del corpo fissa anche la
forma dell’orbita.
La possibilità di verificare la periodicità di un moto è fondamentale, perché
consente di controllare l’evoluzione del fenomeno in tempi finiti: se l’orbita fosse
una curva aperta, il moto proseguirebbe verso valori sempre diversi all’infinito.
Si può dimostrare che se l’orbita è una curva chiusa, anche la traiettoria spaziale
percorsa dal corpo è chiusa.
Le considerazioni fin qui svolte, sono state dimostrate per il moto di un oscillatore
armonico, ma sono valide per tutti i moti regolati da forze conservative.
Effettuiamo un’ultima considerazione: supponiamo, di avere una molla con i due
estremi entrambi liberi invece di uno solo, con due corpi di massa m1 ed m2
rispettivamente; le posizioni di riposo dei rispettivi corpi siano posizionate nella
medesima retta, ed indicate con le ascisse x1 ed x2 :
m1
0
x1
m2
xc
|
x2
il loro centro di massa
sarà dato dalla relazione:
x
xc 
m1  x1  m2  x2
m1  m2
mentre i centri delle due masse si troveranno ad una distanza iniziale x2 - x1 .
Supponiamo di voler tendere la molla ai suoi estremi secondo direzioni opposte,
lungo l’asse x fino ad allungare la molla nelle nuove posizioni x1' ed x2' :
17
m1
m2
se lasciamo liberi gli estremi
x della molla con le masse,
'
'
0
x1 x1 xc
x2 x2
ciascuna di eserciterà
per la legge di Hooke,
una forza eguale e contraria in verso, di intensità pari a F = k ·( x2' - x1').
Cosa succederà al centro di massa? Le forze elastiche sono forze interne,
intrinseche alla molla, mentre il sistema dei due corpi non è soggetto ad alcuna
forza esterna e dunque, per quanto visto sulle proprietà del centro di massa, esso
resterà esattamente fermo come prima: il sistema cioè oscillerà indefinitamente
tenendo fermo il suo centro di massa; ne consegue che i due corpi continueranno
ad oscillare avanti ed indietro avvicinandosi e allontanandosi alternativamente al
centro di massa. Se il sistema fosse risultato inizialmente in moto rettilineo
uniforme, con velocità del centro di massa costante vc essa sarebbe rimasta la
stessa anche dopo l’inizio delle oscillazioni, ovvero di ciò che chiamiamo
vibrazione dei due estremi.
In realtà per i sistemi soggetti a forze interne come quello ora considerato, non
sempre conviene adottare la rappresentazione del moto tramite il loro centro di
massa: infatti mentre ad es. nel caso di sistema di corpi non interagenti tra loro
(privi cioè di forze interne tipo quelle elastiche), tale rappresentazione risulta assai
vantaggiosa, nel nuovo sistema considerato essa non dà alcuna informazione sulle
energie coinvolte nel suo movimento: infatti se il centro di massa risultasse fermo,
sia l’energia cinetica che l’energia potenziale sarebbero in tale punto nulle.
Nel caso in cui si movesse invece con velocità costante vc la sua energia si
ridurrebbe alla sola energia cinetica (cosa che può risultare vantaggiosa nel caso di
energia potenziale piccola, come si vedrà nella teoria cinetica dei gas).
Possiamo allora pensare di descrivere l’intero sistema a partire dalla distanza che
intercorre tra i due estremi della molla: x = x2 - x1 . In tal caso essendo
F1  k  x2  x1 

F2  k  x2  x1    F1
le forze a cui sono soggette le masse m1 ed m2 rispettivamente, denotando con a1 e
con a2 le loro accelerazioni, per la seconda legge della dinamica si ha:
m1  a1  k  x2  x1   k  x

m2  a2  k  x2  x1   k  x
Moltiplicando la prima equazione per m2 e la seconda equazione per m1 si ha :
m1  m2  a1  m2  k  x

m1  m2  a 2  m1  k  x
18
effettuando la differenza tra la seconda equazione e la prima equazione ed
indicando con a=a2 – a1 la differenza delle accelerazioni:
m1  m2  a2  a1   m1  k  x  m2  k  x
si ottiene:
m1  m2  a  m1  m2   k  x
da cui, dividendo tutto per m1+m2 :
m1  m2
 a  k  x
m1  m2
indicando con

m1  m2
m1  m2
si ha infine:
  a  k  x
,
a
k

x
Ne consegue che stavolta dal punto di vista energetico invece di considerare la
posizione del centro di massa conviene considerare la posizione relativa delle
masse (cioè la distanza tra loro) assieme alla sua accelerazione:
è possibile cioè descrivere il sistema a due corpi come un unico corpo con una
sola energia cinetica ed una sola energia potenziale, un solo ed unico oscillatore
armonico avente per posizione la differenza delle posizioni tra i corpi, per
accelerazione la differenza delle accelerazioni dei due corpi e per massa la massa
, detta “massa ridotta”
La posizione del nuovo corpo oscillerà attorno ad una posizione d’equilibrio
(coincidente stavolta proprio con il centro di massa dei due corpi di partenza?)
Si osservi che nel caso particolarmente semplice di masse eguali, la massa ridotta
risulta essere eguale alla metà di ciascuna delle singole masse.
Vedremo in seguito che tale possibilità, agli effetti della determinazione
dell’energia di un sistema di molti corpi (che non a caso è una grandezza
estensiva, in quanto dipende dal loro numero) giocherà un ruolo cruciale.
Ora (per vostra gioia….) siamo sufficientemente “armati” per poter affrontare le
interazioni gravitazionali ed elettrostatiche! (Evvai…..!!)
19
Interazioni gravitazionali e non solo…..
Dal momento che i vari corpi celesti, quando si trovano a distanze finite, risultano
sempre dotati di moti accelerati, è facile immaginare che essi siano in grado di
influenzarsi tra loro e che dunque la causa dei loro moti sia imputabile ad una
qualche interazione che si manifesti tra di essi.
Per capire il tipo di interazione o forza che si esercita, sarà necessario prima
analizzare le proprietà fondamentali dei loro moti: in sostanza risaliremo alla loro
dinamica a partire dalla loro cinematica ovvero, come si diceva un tempo,
risaliremo alle cause a partire dai loro effetti facendo uso di alcune ipotesi
aggiuntive.
Ciò può essere fatto considerando le “famose” tre leggi di Keplero; la prima legge
fu dimostrata da Keplero in base all’analisi numerica dei dati sperimentali riportati
dall’astronomo Tycho Brahe e da Keplero stesso (che fu assistente dell’altro..); in
base a tale analisi, Keplero scoprì che graficando le traiettorie spaziali a partire dai
dati sperimentali si ottenevano delle curve molto prossime a delle ellissi: in
particolare maggiore era la precisione con cui tali dati venivano presi e più simile
ad una ellisse era la traiettoria, da cui la legge:
I legge di Keplero:
i pianeti descrivono intorno al sole orbite ellittiche di cui il sole occupa uno dei
due fuochi
è importante sottolineare che tale legge risultava in accordo con il modello
eliocentrico, sostenuto a quei tempi sia da Keplero che da Galilei; infatti il
modello tolemaico non riusciva più a giustificare i dati sperimentali che uscivano
dall’osservazione dei moti dei pianeti ed in particolare quelli dei loro satelliti.
Viceversa, tale modello assieme alla I legge di Keplero, riusciva a giustificare
bene le differenze di velocità angolare di un pianeta evidenziate in alcuni punti
della sua traiettoria. In particolare tale teoria costituiva un modello di gran lunga
più semplice, in quanto consentiva di buttare a mare tutta la zuppa di epici e affini
come potete vedere nell’introduzione al capitolo del testo.
P
A
F1
F2
S
perielio
D
C
B
a
Nella figura P indica il
generico pianeta nella
sua rivoluzione ellittica
intorno al sole S ubicato
afelio nel fuoco F1 , a indica
il semiasse maggiore
dell’ellisse, il perielio
il punto della traiettoria
a distanza minore dal sole
e l’afelio la posizione
opposta ad esso.
20
La I legge di Keplero consente di conoscere a priori tutte le possibili posizioni che
possono essere occupate dal pianeta una volta noti il semiasse maggiore e
l’eccentricità dell’ellisse.
Consideriamo ora un intervallo di tempo t piccolo rispetto al tempo impiegato
dal pianeta per percorrere l’intera ellisse e siano AB e CD due archi dell’ellisse
percorsi nello stesso intervallo considerato: stiamo cioè considerando due tratti
dell’ellisse in cui il pianeta ha impiegato il medesimo lasso di tempo per
percorrerli. I due archi sono sufficientemente piccoli per poter essere approssimati
da archi di circonferenza e dunque i raggi che congiungono gli estremi degli archi
sono uguali: SA=SB= R1 , SC = SD = R2 . Avendo considerato un intervallo di
tempo piccolo, anche le velocità del pianeta agli estremi dei due archi possono
essere considerate eguali: vA = vB = v1 , vC = vD = v2 .
Ora possiamo osservare che stiamo considerando unicamente due corpi, il sole ed
il pianeta, mentre stiamo trascurando le influenze degli altri corpi celesti: in
sostanza stiamo considerando il sistema dei due corpi come un sistema isolato, in
cui sussiste solo una eventuale interazione tra di essi. Si è visto però che nel caso
di corpo ruotante attorno ad un altro, in assenza di forze esterne, il suo momento
angolare deve conservarsi, per cui se m indica la massa del pianeta, il momento
angolare di questo dev’essere fisso: L = mvR = costante, al variare della sua
velocità v e del suo raggio R. In base a tale osservazione dev’essere:
mv1R1 =mv2R2
da cui elidendo m:
v1R1 =v2R2
poiché le due velocità v1 e v2 sono costanti nei rispettivi tratti AB e CD, possiamo
applicare la legge del moto circolare uniforme che approssimando gli archi a dei
segmenti può ridursi direttamente alla legge del moto rettilineo uniforme:
AB = v1t , CD = v2t
ovvero:
v1 
AB
CD
, v2 
t
t
da cui
elidendo t si ottiene
AB
CD
 R1 
 R2
t
t
AB  R1 = CD  R2
abbiamo così approssimato le due regioni SAB ed SCD del cerchio in due
triangoli di basi AB e CD e di altezze R1 ed R2 rispettivamente, per cui dividendo
entrambi i membri della precedente equazione per 2 otteniamo
1
1
AB  R1  CD  R2
2
2
21
che le aree dei due triangoli sono uguali ovvero
1
AB  R  costante
2
al variare simultaneo di AB e di R, il che equivale alla
II legge di Keplero:
il raggio vettore tracciato dal sole a uno qualsiasi dei pianeti descrive aree uguali in
tempi uguali.
Come si vede si è dedotta tale legge facendo uso della conservazione del momento
angolare; ovviamente Keplero giunse alla legge sempre tramite l’analisi numerica dei
dati a disposizione e dunque attraverso la scoperta di tali regolarità.
In sostanza l’area descritta dal raggio vettore di ciascun pianeta nell’unità di tempo,
ovvero la sua velocità areolare, è costante per tutto il moto del pianeta sull’orbita.
Sempre attraverso le medesime analisi, Keplero potè enunciare la
III legge di Keplero:
i cubi dei semiassi maggiori delle orbite ellittiche dei pianeti sono proporzionali ai
quadrati dei loro periodi di rivoluzione.
In sostanza, se si considerano due
pianeti P1 e P2 intorno al Sole S
le cui orbite hanno per rispettivi
assi maggiori a1 e a2 ed i cui
rispettivi periodi di rivoluzione
sono T1 e T2 e se MS indica la
massa del sole la III legge di
Keplero si traduce nella seguente
forma:
P1
P
P2
S
a1
a2
a1
T1
3
2

a2
3
T2
2
ovvero il rapporto tra il quadrato del periodo di rivoluzione T di un pianeta attorno al
sole ed il semiasse maggiore a della sua orbita è una costante indipendente dal tipo di
pianeta ma dipendente dal Sole (dalla sua massa) il che si esprime scrivendo:
T2
 k M S 
a3
in cui k(MS) indica una costante dimensionale dipendente dalla massa del Sole.
Cosa significa tutto ciò? Vuol dire semplicemente che se esiste un corpo centrale
dotato di una certa massa attorno a cui ruotano più corpi di masse diverse lungo
22
orbite diverse, il rapporto prima considerato dipende unicamente dalla massa del
corpo centrale! Ovviamente a quei tempi ciò poteva essere scoperto osservando il
moto dei satelliti attorno ai loro pianeti, ad es. quello della Luna attorno alla Terra, o
di Phobos e Demos attorno a Marte. In quegli anni gli strumenti di osservazione
erano stati potenziati proprio da Keplero e Galilei tramite l’invenzione dei nuovi
telescopi i quali consentirono a Galileo di scoprire anche alcuni satelliti di Giove (che
egli chiamò Medicei..)
Analizzati i moti dei corpi celesti intorno ad un altro corpo centrale, resta da capire
quale sia la forma delle interazioni capaci di generare tali moti.
Per far ciò approssimeremo le ellissi con delle circonferenze; in tal caso gli assi
dell’ellisse coincidono con il raggio della circonferenza e questo consentirà di
dedurre l’espressione delle forze in gioco in modo più elementare e senza perdita di
generalità in quanto la stessa espressione resta valida anche per i moti ellittici. Tutto
ciò è possibile in quanto l’eccentricità delle orbite ellittiche è molto bassa:
e
c
a2  b2

 1
a
a
il che significa che e2a2 = a2-b2 da cui segue che b2= (1-e2) a2, ad es. se e = 0.01,
e2=0.001 per cui b2 a2 ovvero b  a.
Il primo passo consiste nell’affermare che la forza che si esercita tra il Sole ed un
pianeta sia inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra i loro centri; il
primo a formulare tale legge fu Huygens. Infatti se denotiamo con m la massa del
pianeta e con r la sua distanza dal Sole, essendo questa il raggio dell’orbita circolare
del pianeta, si può asserire che il moto di tale pianeta è un moto circolare uniforme di
velocità angolare  e periodo di rotazione T. Applicando le leggi di tale moto ed
indicando con a l’accelerazione centripeta del pianeta, dev’essere: a= 2 r ; ne
consegue che il pianeta sarà soggetto alla forza centripeta F=m  2 r
r
P
m
Ricordiamo ora che deve sussistere sempre
la III legge di Keplero,che applicata in tale
caso dà:
r3
 k M S 
T2
S
MS
ma
2 
4 2
T2
per cui
F  m
4 2
r
T2
sostituendo l’espressione di T2 ricavata
23
T2 
dalla III legge di Keplero:
otteniamo
F  m
in cui
a  4 2  k M S  
1
r2
r3
k M S 
4 2  k M S 
1
 r  4 2  k M S   m  2
3
r
r
esprime proprio l’accelerazione centripeta del pianeta.
A questo punto entrò in gioco Newton: a quei tempi si aveva già una certa nozione
delle interazioni a distanza; infatti si sapeva che due magneti di massa m1 ed m2
interagivano a distanza con una forza f proporzionale al prodotto delle loro masse :
f  c  m1  m2
egli, oltre a dimostrare indipendentemente da Huygens la proporzionalità inversa
della forza rispetto al quadrato della distanza, ipotizzò che essa fosse anche
direttamente proporzionale al prodotto delle masse dei corpi analogamente a quanto
succedeva per i magneti:
F  GMS m
1
r2
con G costante di proporzionalità dimensionale.
Tale ipotesi confrontata con la formula di F precedentemente determinata porta a
chiedere che le due espressioni di F finora viste debbano coincidere:
F  4 2  k M S   m 
che porta a chiedere che
1
1
 GMS m 2
2
r
r
4 2  k M S   G  M S
ovvero che
k M S  
G
MS
4 2
k dipenda da MS secondo una proporzionalità diretta.
L’espressione di G invece è indipendente sia da MS che da m e si chiama
“costante di gravitazione universale” il cui valore è universale per tutti i corpi
celesti:
G=6,67 10 –11N m2/Kg2
Perciò secondo l’idea di Newton, due masse a distanza r interagiscono tra loro con
una forza della forma:
F  GMS m
1
r2
e costituisce la Legge di gravitazione universale.
24
Se tale legge è vera, dev’essere valida per ciascuna coppia di masse poste ad una
certa distanza, ad es. per la forza che si sviluppa tra la massa del pianeta Terra e la
massa di un qualsiasi altro corpo. Ma quale corpo? Quale corpo si presta facilmente
ad una conferma di tale legge? L’altra intuizione di Newton fu quella di pensare che
la caduta dei corpi in prossimità della superficie terrestre fosse proprio determinata
dall’interazione gravitazionale tra la Terra e ciascuno di essi: in sostanza supporre
che l’accelerazione di gravità g fosse originata proprio da tale interazione.
Vediamo come:
sia O il centro della Terra di massa MT
ed R il suo raggio; consideriamo un corpo
h
di massa m posto a distanza h << R dalla
superficie terrestre, cosicchè i loro centri
risultano distanti per una lunghezza
R
r=R+h
se la legge di gravitazione universale
O
è vera le due masse si devono attrarre
secondo una forza di intensità
F  G  MT  m 
ma

h h2 
 R 2  1  2   2   R 2
R
R R 

R  h2  R 2  1  h 

1
1
 G  MT  m 
2
r
R  h 2
2
infatti se h<<R allora
h
h
h2
 1 , 2   1 ,
 1
R
R
R2
ovvero gli ultimi due termini del quadrato del binomio sono trascurabili rispetto ad 1.
Basta osservare che il raggio terrestre è R=5700 Km circa e prendere ad esempio un
corpo che si trovi ad un’altezza di 100 m rispetto al suolo per verificare tali
approssimazioni.
Perciò:
F  G  MT  m 
G  MT
1
 m
2
R
R2
ma un semplice calcolo dimostra che:
G  MT
 9,8m / s 2  g
R2
ovvero F  mg.
La forza di gravitazione universale espressa da Newton per l’interazione Terra-corpo
in prossimità della superficie terrestre coincide proprio con la forza peso del corpo
medesimo. L’accelerazione di gravità terrestre, misurata già nel 1300 da Alberto
Magno e studiata in modo più approfondito da Galilei quale accelerazione intrinseca
(e naturale) posseduta da tutti i corpi in caduta libera, conferma la legge di Newton e
viene a sua volta giustificata da essa. Ultimo problema: secondo il principio di azione
25
e reazione perché la terra, a causa della forza esercitata dal corpo in caduta libera, non
si muove? In realtà anch’essa si muove, infatti essa sarà soggetta ad un’accelerazione
aT 
G  MT
F
Gm
 2 
 g ovvero aT << g
MT
R
R2
ovvero l’accelerazione con cui si
muove il pianeta è trascurabile rispetto a quella con cui il corpo cade.
Analizziamo ora la natura di tale forza, considerando 2 corpi di massa m1 ed m2
a distanza r .
m1
Trattandosi di una forza dev’essere
F12
F21
m2
innanzitutto una grandezza di tipo
vettoriale: essa avrà direzione
r
coincidente con la direzione del
vettore r congiungente i centri delle
2 masse; il verso della forza che agisce sul corpo 1 ad opera della massa 2 dev’essere
sempre diretto verso il centro della massa 2 e viceversa: ciò significa che essa è
sempre puramente attrattiva, come succedeva nella forza elastica (non a caso i corpi
di massa piccola cadono perché attratti dalla Terra), perciò la forma vettoriale della
legge di gravitazione dovrà ammettere il segno negativo ed il verso di r :
F = G
m1  m2
r
r3
Resta da risolvere ancora un quesito: come ha fatto Newton ad intuire che la forza
gravitazionale fosse diretta secondo la congiungente tra i centri delle due masse?
Semplicemente considerando il fatto che nel sistema Sole (S) – Pianeta (P) l’orbita
del pianeta possiede una velocità areolare (rapporto tra area spazzata ed intervallo di
tempo in cui viene spazzata) costante solo se la forza è diretta lungo la congiungente
S-P.
3
S
Immaginiamo che ad un certo
2
punto il pianeta sia nella
1
posizione 1; esso si sta
Direzione moto
movendo in modo tale che
ad es. dopo un secondo arriva
O
arriva nella posizione 2.
Pianeta P
Se il sole non esercitasse una
forza sul pianeta quest’ultimo,
Altezza comune dei triangoli
per il principio d’inerzia di
Galileo, continuerebbe ad
andare in linea retta. In tale situazione per un successivo intervallo di tempo uguale al
precedente (cioè dopo un altro secondo), il pianeta P percorrerebbe esattamente la
stessa distanza arrivando nella posizione 3. Cominciamo quindi a vedere che se la
forza non c’è aree uguali sono percorse in tempi uguali.
26
Ricordiamo a tal proposito che l’area del triangolo è metà della base per l’altezza e
che l’altezza è la distanza del vertice dalla base.
A Se un triangolo è ottuso allora l’altezza è la verticale
AD e la base è BC
Ora confrontiamo le aree che sarebbero percorse se
il sole non esercitasse alcuna forza.
B
C
D
Ricordiamo che le distanze 1-2 e 2-3 sono uguali!
Consideriamo il triangolo S12 ovvero formato dal sole e dai punti 1 e 2: la sua area
sarà la base 1-2 moltiplicata per la metà dell’altezza (cioè della perpendicolare dalla
base a S). Vediamo ora al triangolo S23 (caratterizzato perciò dal moto 2-3): la sua
area è la base 2-3 moltiplicata per la metà dell’altezza da S. Poiché questi due
triangoli hanno la stessa base e la stessa altezza devono necessariamente avere aree
uguali. Si può così dedurre che se non ci fosse nessuna forza esercitata dal sole, aree
uguali sarebbero percorse in tempi uguali. Ma la forza del sole c’è……..e
inzannusu? Comenti du poneusu?
3
Durante l’intervallo 1-2-3
4
Altezze uguali
il sole sta tirando e cambiando
il moto in varie direzioni
verso sé stesso.
2
Partendo dalla posizione
intermedia 2, se la forza
Base comune S-2 è diretta secondo la
S
1
congiungente S-2, si può
dire che tutto l’effetto di questa
durante l’intervallo 1-3 è stato di cambiare il moto di una certa quantità nella
direzione della linea S-2. Ciò significa che le particelle che si sarebbero mosse sulla
retta 1-2, le quali se non ci fosse stata forza avrebbero continuato a muoversi sulla
stessa linea nel secondo successivo, a causa dell’influenza del sole hanno alterato il
loro moto di una certa quantità parallela alla retta S-2:
il moto seguente è dunque una composizione di quello che il pianeta vorrebbe fare
(proseguire lungo la direzione 1-2-3) e del cambiamento che gli è stato impresso
dall’azione del sole (optare per la direzione S-2).
Il risulta è che il pianeta si sposta lungo la direzione 2-4 ed il suo spostamento è
proprio un vettore dato dalla somma vettoriale tra il vettore 2-3 (ciò che il pianeta
vorrebbe percorrere) ed il vettore 3-4 (ciò che il sole vorrebbe far fare al pianeta):
3
riportando tale situazione ingrandita si può osservare come
4
il vettore 2-4 sia proprio la diagonale maggiore del
parallelogramma costruito sui vettori 2-3 e 3-4.
Così in effetti il pianeta non và a finire nella posizione 3 ma
2
nella posizione 4.
Confrontiamo ora le aree dei triangoli S23 ed S24: essi hanno la stessa base perchè in
comune e la stessa altezza in quanto compresi tra rette parallele (i vertici dei due
triangoli appartengono cioè alla stessa retta parallela alla retta S-2 e dunque la loro
27
distanza da essa non cambia !); perciò la distanza dal punto 4 alla retta S-2 è uguale
alla distanza del punto 3 dalla retta S-2 (prolungata).
Ne consegue che le aree S12 ed S23 di tali triangoli sono proprio uguali.
E’ interessante notare che al tempo di Keplero i teologi asserivano che dietro
ciascun pianeta c’erano degli angeli che battendo le ali spingevano i pianeti lungo
l’orbita; come si vede la risposta non è troppo lontana dal vero: l’unica differenza è
che gli angeli stanno in una direzione diversa e che le loro ali spingono verso
l’interno……
Di fatto per ricavare la forma vettoriale della forza si è dovuta moltiplicare la sua
intensità per il vettore parallelo ad r ma di intensità unitaria (cioè di lunghezza pari a
1): r / r.
In realtà la forza di attrazione gravitazionale è figlia di un’altra grandezza fisica
fondamentale di base detta “campo”. A tal proposito consideriamo prima un corpo di
massa m, ubicato in una regione di spazio grande e priva di altri corpi dotati di massa:
supponendo che tale regione sia isolata (non agisca cioè alcuna forza esterna), il
corpo per il principio d’inerzia perseguirà nel suo stato di moto rettilineo uniforme;
supponiamo ora di posizionare in determinato punto della medesima regione un corpo
di massa M molto più grande della precedente e solo successivamente di far entrare il
corpo di massa m nella regione considerata:
se il centro del corpo piccolo
si trova nel punto P a distanza r
dal centro O del corpo grande,
Q
il corpo subirà inesorabilmente
un’attrazione diretta lungo
P
la congiungente dei centri
g
dei due corpi e puntante verso
m
del corpo grande.
Lo stesso accadrebbe se il corpo
fosse posizionato in un altro
O
punto qualsiasi Q all’interno
della medesima regione.
In realtà è successo che a causa
della presenza del corpo di
M
massa M le proprietà fisiche
della regione ad esso
circostante sono cambiate:
si è cioè creato un “campo” i cui effetti si manifestano tramite la forza esercitata sul
corpo piccolo.
Qual è la differenza tra il campo e la forza? L’intensità della forza dipende per
costruzione dalle masse di entrambi i corpi mentre quella del campo dipende solo
dalla massa del corpo (centrale) che lo ha generato, nel nostro caso dalla massa M del
corpo grande e dunque possiamo darne la seguente definizione operativa:
g = F/ m =  G 
M
r
r3
28
la cui intensità sarà
g
F
M
 G  2
m
r
Possiamo così concludere che in realtà la presenza di una massa in un punto qualsiasi
di una data regione di spazio crea un “campo” in tutti punti della regione circostante
ad esso e che il campo a sua volta crea una “forza” su ogni altra massa che si
posizione in un punto qualsiasi della medesima regione ad una certa distanza dalla
massa preesistente.
Di fatto la forza costituisce la “rappresentazione fisica del campo”, nella misura in
cui è possibile determinare il campo a partire dalla misura della forza, come del resto
si può evincere dalla definizione operativa di campo.
Un campo le cui direzioni puntano tutte verso il centro del corpo che lo ha generato si
dice “radiale”; dunque il campo gravitazionale è un campo radiale.
Riassumendo (alla Mike…):
la presenza di un corpo materiale (dotato cioè di massa M) modifica lo spazio ad esso
circostante: infatti ogni altro corpo (di massa m) che si trovi in tale zona subisce una
forza di attrazione gravitazionale F ; la zona di spazio in cui questo effetto si verifica
chiama campo gravitazionale di generato da M. L’intensità di tale campo è
indipendente dalla massa m (detta massa di prova); tale campo è diretto inoltre
sempre verso il centro del corpo che lo ha generato.
Il campo è una grandezza fisica che c’è ma…….non si vede!
Ora un’ultima osservazione:
finora si è fatto riferimento agli
effetti prodotti dalla forza di gravità
esercitata da un corpo grande su
un corpo molto piccolo.
Consideriamo il semplice caso di
Un modulo spaziale situato in una
LEM
regione di spazio sufficientemente
lontana da altri corpi celesti da poter
trascurare gli effetti della gravitazione
cavo
da essi prodotta. Dal modulo esce
il classico astronauta collegato ad esso
astronauta
tramite un cavo.
Che succede se il cavo si spezza quando l’astronauta è fermo e vicino al modulo?
Niente, esattamente niente: l’astronauta non finirà disperso per lo spazio per la
semplice ragione che risentirà della forza di attrazione gravitazionale (per quanto
piccola) che tenderà a trattenerlo nelle vicinanze! L’astronauta può movendo
accortamente braccia e gambe (nuotando nel vuoto…) riagganciarsi al modulo
(vedere ad es. “Apollo 13”). Tenete presente che la massa del modulo è dell’ordine
delle tonnellate mentre quella dell’astronauta dell’ordine dei chili.
29
Osserviamo ora l’andamento grafico delle interazioni gravitazionali sviluppate tra
due corpi dotati di massa al variare della distanza tra i loro centri:
Interazioni gravitazionali
2
r
r
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
39
40
100
121
144
169
196
225
256
289
324
361
400
441
484
529
576
625
676
729
784
841
900
961
1024
1089
1156
1225
1296
1369
1444
1521
1600
2
1/r
0,01
0,008264
0,006944
0,005917
0,005102
0,004444
0,003906
0,00346
0,003086
0,00277
0,0025
0,002268
0,002066
0,00189
0,001736
0,0016
0,001479
0,001372
0,001276
0,001189
0,001111
0,001041
0,000977
0,000918
0,000865
0,000816
0,000772
0,00073
0,000693
0,000657
0,000625
M =
10000
Kg
m =
70
Kg
k=GMm= 700000
Nm2
2
F=GMm/r
7000
5785,124
4861,111
4142,012
3571,429
3111,111
2734,375
2422,145
2160,494
1939,058
1750
1587,302
1446,281
1323,251
1215,278
1120
1035,503
960,2195
892,8571
832,3424
777,7778
728,4079
683,5938
642,7916
605,5363
571,4286
540,1235
511,3221
484,7645
460,2235
437,5
Interazioni gravitazionali
8000
7000
6000
5000
Serie2
4000
Serie3
3000
2000
1000
0
0
5
10
15
20
25
30
35
per esigenze grafiche si è posto G = 1, mentre la massa del modulo lunare è stata
posta a 10 tonnellate contro una massa dell’astronauta pari a 70 Kg; si è supposto che
i centri del modulo e dell’astronauta fossero ad una distanza iniziale pari a 10 m.
Il grafico esprime l’andamento della forza quando la distanza cambia da 10 m a 40 m.
L’andamento è simile a quello di un’iperbole equilatera più schiacciata però verso il
basso rispetto all’iperbole vera.
Il problema ora consiste nel calcolare l’area sottesa da tale grafico, ovvero il lavoro
effettuato quando la forza di gravità cambia con il cambiare della posizione.
M
r1
m
r
m
r2
r2 – r1
Supponiamo che la massa m situata inizialmente ad una distanza r1 dalla massa M si
sposti fino a portarsi ad una nuova distanza r2 > r1 . Per cambiamenti piccoli di
distanza si può esprimere la generica distanza intermedia r tra la posizione iniziale
r1 e la posizione finale r2 con la media aritmetica di tali valori:
r
r1  r2
2
30
se la differenza r2 – r1 è piccola, a maggior ragione lo sarà la differenza dei loro
quadrati e dunque si potrà scrivere:
r2  r1  
2
2
dove con  s’intende una quantità piccola; denotiamo ora per semplicità r22 con a ed
r12 con b cosicché possiamo scrivere direttamente a – b=  ; tale relazione impone
che b = a- ; possiamo a tal punto fare la radice quadrata del prodotto tra a e b e
vedere cosa salta fuori:
 


a  b  a  a     a 2  a    a 2  1  2   a  1 
a
 a 
si può inoltre osservare che :
1

1 
quando  << a
 1 
a
2 a
infatti quadrando entrambi i membri dell’ “eguaglianza” si avrebbe:
1

ma da  << a segue che
a

a

 1

a
1 2

4 a2
 1 e dunque a maggior ragione
1 2

 2   1
4 a
a
per cui il terzo termine del membro a destra dell’”eguaglianza” è trascurabile, da cui
segue l’esattezza dell’approssimazione effettuata.
Si può così scrivere che:
 1 
a  b  a  1   
 2 a
e poiché

ab ab
 1 
a  1     a   a 

2
2
2
 2 a
a b 
possiamo infine asserire che
ab
.
2
In sostanza possiamo approssimare la media aritmetica di due numeri con la radice
del loro prodotto ovvero con la loro media geometrica. Effettuando il quadrato della
relazione r  r1  r2 si ricava r 2  r1  r2
1
può essere approssimata con la media
r2
Per tali ragioni, la quantità variabile
geometrica dei termini
1
r1
2
ed
1
r2
2
1

r2
ovvero:
1
r1
2

1
r2
2

1 1

r1 r2
31
perciò in tale approssimazione la forza nella generica posizione intermedia tra la
posizione iniziale r1 e la posizione iniziale r2 sarà data da:
F G
M m k
 2
r2
r
essa approssima la forza variabile nell’intervallo da r1 ad r2 con il valore costante
dato dalla formula suscritta.
F
Ciò consente di approssimare l’area
sottostante il tratto di curva AD con
l’area del rettangolo sottostante il
A
segmento BC.
k/r2
B
C
Il rettangolo considerato risulta avere
una base di lunghezza r2 – r1 ed un’
altezza di lunghezza k/r2 .
D
O
r1 r
r2
r
Anche qui, in modo analogo a quanto fatto per la forza elastica, è bene ricordare che
essendo la forza puramente attrattiva, ed in tal caso è diretta in senso opposto alla
direzione dello spostamento della massa m: ne consegue che anche in tal caso l’area
calcolata per poter esprimere il lavoro andrà cambiata di segno. Ne consegue che il
lavoro effettuato lungo lo spostamento della massa m da r1 ad r2 sarà con buona
approssimazione dato dall’area di tale rettangolo cambiata di segno, ovvero:
L  G 
M m
 r2  r1 
r2
ma abbiamo anche visto che r2 può essere bene approssimato dalla media geometrica
r1 r2 da cui:
L  G
 r
1 1
r 
M m
 r1  r2   G  M  m   1  2   G  M  m    
r1  r2
 r1  r2 r1  r2 
 r2 r1 
Anche stavolta troviamo che il lavoro è dato dalla differenza di due quantità espresse
mediante la medesima formula:
L
GM m GM m
GM m  GM m



  
r2
r1
r1
r2


possiamo cioè definire una grandezza fisica della forma:
U r   
GM m
r
32
che dipende unicamente dalla posizione e che definiremo “energia potenziale
gravitazionale”.
Perciò:
L  U1  U 2  U 2  U1   U
Come nel caso del Lavoro effettuato in presenza di forza elastica, anche qui il lavoro
è dato dalla differenza tra l’energia potenziale iniziale e quella finale; anche qui
l’intensità della forza gravitazionale è proporzionale all’opposto della variazione di
energia potenziale, come può essere facilmente calcolato.
Possiamo perciò dedurre che anche le forze gravitazionali sono conservative e
conseguentemente vale anche per esse il principio di conservazione dell’energia
meccanica .
M =
Energia potenziale gravitazionale
2
r
r
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
39
40
100
121
144
169
196
225
256
289
324
361
400
441
484
529
576
625
676
729
784
841
900
961
1024
1089
1156
1225
1296
1369
1444
1521
1600
1/r
2
0,01
0,008264
0,006944
0,005917
0,005102
0,004444
0,003906
0,00346
0,003086
0,00277
0,0025
0,002268
0,002066
0,00189
0,001736
0,0016
0,001479
0,001372
0,001276
0,001189
0,001111
0,001041
0,000977
0,000918
0,000865
0,000816
0,000772
0,00073
0,000693
0,000657
0,000625
U=-GMm/r
10000
m =
Kg
70
k=GMm=
Kg
700000
Nm2
2
-7000
-5785,124
-4861,111
-4142,012
-3571,429
-3111,111
-2734,375
-2422,145
-2160,494
-1939,058
-1750
-1587,302
-1446,281
-1323,251
-1215,278
-1120
-1035,503
-960,2195
-892,8571
-832,3424
-777,7778
-728,4079
-683,5938
-642,7916
-605,5363
-571,4286
-540,1235
-511,3221
-484,7645
-460,2235
-437,5
Energia potenziale gravitazionale
0
0
5
10
15
20
25
30
35
-1000
-2000
-3000
-4000
Serie2
Serie3
-5000
-6000
-7000
-8000
Come potesi evincere dal grafico, l’energia potenziale risulta diventare sempre più
bassa (negativa) man mano che la distanza tra i centri delle due masse si riduce.
In tale contesto, se v indica la velocità del corpo di massa m , per il principio di
conservazione dell’energia meccanica si potrà scrivere:
E
1
M m
 m  v2  G 
 costante
2
r
Prima di analizzare il comportamento energetico del sistema osserviamo cosa
succede all’energia potenziale nel caso in cui M sia la massa terrestre ed m (<<M) la
massa di un grave in caduta libera in prossimità della superficie terrestre .
Se R indica il raggio terrestre ed h la sua altezza rispetto alla superficie, la distanza
tra i loro centri sarà r=R+h. Nel passare da R+h ad R il corpo subirà una variazione
di energia potenziale:
33
U  G 
M m 
M m
1
h
 1
  G 
   G  M  m 
  G  M m
R
Rh
R  R  h 

Rh R
essendo h << R si può trascurare h rispetto ad R, ovvero R+h  R , per cui a
maggior ragione dev’essere R (R+h)  R2 , mentre si che dev’essere:
g
GM
ovvero G  M  g  R 2
2
R
per cui sostituendo nell’espressione di U :
U   g  R 2  m 
h
 m  g  h
R2
Conseguenza: l’energia potenziale gravitazionale in prossimità della superficie
terrestre è direttamente proporzionale all’altezza.
Osservate che se il profilo dell’altezza varia come quello di una montagna russa
(unione di più parabole che si alternano con la concavità rivolta verso il basso e verso
l’alto in una continua successione di massimi e minimi), l’energia potenziale del
corpo (il carrello) che si muove lungo tale profilo, essendo proporzionale all’altezza,
avrà lo stesso grafico e ad ogni “buca” del grafico dell’altezza corrisponderà una
“buca” dell’energia potenziale corrispondente ad una posizione di equilibrio stabile in
modo identico al grafico dell’energia potenziale elastica.
Possiamo ora analizzare la struttura delle orbite di un corpo celeste in prossimità di
un corpo di massa maggiore a partire dall’equazione dell’energia meccanica.
Ricordiamo che secondo tale principio esiste una grandezza fisica, detta energia
meccanica, che nel caso in cui un corpo sia soggetto a forze di tipo conservativo si
conserva durante il moto del corpo.
Nel caso di corpo soggetto ad un campo gravitazionale, si dirà che la sua traiettoria
(od orbita) in prossimità di un corpo di massa maggiore sarà proprio caratterizzata da
un valore prefissato e costante della sua energia meccanica. Abbiamo inoltre visto
che nel caso di traiettoria chiusa (circolare od ellittica), in assenza di forze esterne si
conserva anche un’altra quantità: il momento angolare del corpo che ruota attorno al
corpo centrale. In accordo con quanto preannunciato nella trattazione delle orbite
dell’oscillatore armonico, si può così asserire che in corrispondenza di valori
prefissati di energia e di momento angolare si deve avere una sola orbita possibile.
Perciò nel caso di un sistema costituito da due corpi celesti interagenti tra loro, in cui
l’orbita del corpo di massa minore sia chiusa, si può dire che a ciascun valore fissato
dell’energia di tale corpo (quello di massa minore) e del suo momento angolare deve
corrispondere una sola distinta orbita in prossimità del corpo di massa maggiore:
infatti se così non fosse , il corpo non saprebbe scegliere su quale delle orbite saltare
e la legge fisica non avrebbe alcun carattere preditivo o di univocità. I sistemi per i
quali è possibile invece una situazione del genere si chiamano “sistemi caotici”.
34
In sostanza stiamo affermando che l’energia meccanica totale ed il momento
angolare totale nel caso di orbite chiuse di un corpo soggetto ad interazione
gravitazionale, essendo le costanti di moto del corpo (mantenendosi cioè invariate
nel corso della sua orbita) determinano in modo univoco l’orbita del corpo stesso.
Il problema finale è: come capire quando il corpo celeste compie attorno all’altro
un’orbita chiusa o un’orbita aperta? Ovvero, come si fa a sapere se il corpo ripasserà
sulla medesima posizione come nel caso della Terra attorno al Sole oppure non
tornerà più come nel caso di un asteroide o cometa passeggeri? A tale domanda si
può rispondere solo analizzando l’equazione dell’energia meccanica.
Supponiamo che un corpo di massa m compia un’orbita chiusa circolare intorno al
corpo di massa M >> m ad una distanza dal centro pari ad r e con una velocità
costante v. Esso sarà soggetto ad una forza gravitazionale d’intensità:
F G
M m
r2
poiché inoltre esso esegue un moto circolare uniforme, esso sarà soggetto ad una
forza centripeta pari a:
Fc  m 
v2
r
e poiché non esistono altre forze in gioco le due forze devono coincidere:
G
M m
v2

m

r
r2
moltiplicando entrambi i membri per r/2 si ottiene l’espressione dell’energia cinetica:
K
1
M m
 m  v2  G 
2
2r
l’espressione dell’energia totale sarà così:
E G
M m
M m
M m
G
 G 
0
2r
r
2r
conseguenza: l’energia totale di un corpo che si muove in una orbita chiusa circolare
è sempre negativa.
L’eguaglianza tra forza gravitazionale e forza centripeta fornisce anche le condizioni
a cui deve soddisfare la velocità del corpo per eseguire un’orbita circolare di raggio r:
v
GM
r
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Il risultato dell’energia totale di un corpo in orbita circolare chiusa può essere esteso
a tutte le orbite chiuse prodotte a causa della presenza di forze conservative :
L’energia totale è negativa per ogni orbita chiusa
Cosa significa tutto ciò? Significa che se l’energia cinetica iniziale di un corpo celeste
che entra nel campo gravitazionale generato da un altro corpo è inferiore all’energia
potenziale della sua posizione iniziale allora di certo la sua orbita sarà chiusa: il corpo
cioè continuerà a girare attorno all’altro fino alla notte dei tempi (Apocalisse?bo!),
sempre nel contesto delle approssimazioni fin qui effettuate.
La condizione generale affinché un corpo percorra una orbita chiusa perciò è:
K U
Nel caso particolare di interazioni gravitazionali la condizione sarà:
1
M m
 m  v2  G 
2
r
eliminando m dall’equazione:
v2 
2G  M
r
ovvero:
0v
2G  M
r
condizione che deve soddisfare la velocità del corpo perché esso non sfugga al campo
gravitazionale generato dall’altro.
Il valore estremo e positivo di tale velocità si chiama velocità di fuga:
vf 
2G  M
r
in corrispondenza di esso l’energia cinetica eguaglia l’energia potenziale facendo sì
che l’energia totale sia nulla: per tutti i valori di velocità maggiori della velocità di
fuga il corpo potrà così sfuggire al campo gravitazionale e la sua orbita sarà
necessariamente aperta.
In particolare, in corrispondenza del valore della velocità di fuga esso si muoverà
secondo un’orbita parabolica, mentre per velocità maggiori di tale valore eseguirà
un’orbita iperbolica.
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Conclusioni…..
La teoria Newtoniana sembra funzionare bene, quando si tratta di descrivere le
interazioni tra due corpi celesti, considerando il contesto in cui uno dei corpi possieda
una massa talmente grande da produrre un campo gravitazionale tale da condizionare
in modo “pesante” sul moto dell’altro più piccolo; quando però le masse dei corpi
cominciano ad essere di dimensioni confrontabili cominciano a verificarsi deviazioni
di vario genere: ad es. nel caso del sistema Terra-Luna il campo gravitazionale
prodotto dalla Luna sulla Terra è talmente forte da produrre l’effetto di “alta” e
”bassa” marea, con conseguenti modifiche anche per quanto concerne il momento
angolare della rotazione terrestre attorno al proprio asse a causa delle forze d’attrito
prodotte dal movimento delle acque dei mari e oceani sulla superficie terrestre ad
opera delle maree medesime e dunque anche di quello lunare. Ciò potrebbe
determinare una modifica della distanza Terra-Luna nel corso delle migliaia di anni a
seguire. A questi effetti vanno poi aggiunte le influenze delle interazioni
gravitazionali prodotte dagli altri corpi celesti quali il Sole egli altri
pianeti……insomma tutte queste perturbazioni determinano delle deviazioni rispetto
alla teoria esatta.
In realtà tali effetti, a livello cosmologico non disturbano più di tanto la pace dei
“fautori” del “Demiurgo Platonico” e di tutti i meccanicisti che considerano
l’Universo regolato da leggi fisico-matematiche (magari di ispirazione divina…),
infatti in soccorso a tali problemi viene il teorema di un famoso fisico-matematico
vissuto a cavallo tra la fine 800 ed i primi del 900: Henri Poincarè. Egli elaborò un
teorema assieme ad un tale Benedixon detto :
Teorema di Poincarè-Benedixon della stabilità strutturale:
l’orbita chiusa e periodica di un sistema fisico (es. un corpo celeste) non viene
sostanzialmente alterata da una perturbazione “piccola” rispetto al campo che ha
causato la generazione dell’orbita stessa.
Naturalmente questo è più o meno il senso del teorema che, per ragioni didattiche non
enunciamo in modo rigoroso…..
I problemi connessi alla teoria di Newton sono di gran lunga più spinosi e pare che lo
stesso Newton si fosse accorto come ci fosse, nella sua teoria, qualcosa che non
funzionasse.
Ad es. se il campo gravitazionale e dunque le interazioni gravitazionali ad esso
connesse si annullano all’infinito, come fanno esse a raggiungere i vari corpi celesti?
È ovvio che tali interazioni, per comunicarsi da un corpo all’altro dovrebbero
comunicare ad una velocità altissima; in particolare per comunicarsi in modo
istantanea (come previsto dalla teoria di Newton) dovrebbero propagarsi ad una
velocità infinita.
Altro problema: si è parlato di interazioni quando si ammetta almeno l’esistenza di
due corpi capaci di interagire tra loro; cosa succede quando esiste un corpo solo? Ha
senso parlare di corpo isolato? In particolare quanto vale l’interazione prodotta da un
corpo su se stesso? Dalla legge di Newton sembrerebbe infinita, il che non ha molto
senso..
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Il primo problema sarà risolto dalla Teoria della Relatività Generale di Einstein ai
primi del 900, la quale impone un limite alla velocità massima raggiungibile da un
corpo materiale (che è la velocità della luce) ed unisce le interazioni gravitazionali
allo spazio ed al tempo (intesi come grandezze fisiche), mentre il secondo problema
sarà risolto dalla Meccanica Quantistica Relativistica, verso la seconda metà del 900,
la quale stabilisce l’inesistenza di corpi “isolati” in natura; peccato che le due teorie si
sono rivelate finora incompatibili tra loro…..
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