Elementi di dinamica- classi: III A-II A L.C.O. E come energia L’energia è la grandezza fisica primitiva che sta a fondamento di tutti i fenomeni naturali; a partire da essa tutto può esistere e tutto alla fine sarà ricomposto in essa. L’energia può manifestarsi in varie forme diverse a seconda del fenomeno coinvolto. La forma più semplice di energia è quella che possiede un corpo in virtù del suo stato di moto ed è chiamata energia cinetica. Dato un corpo di massa m e di velocità v definiamo energia cinetica K del corpo: K 1 2 mv 2 L’unita di misura è il Joule ed è l’energia che compete ad un corpo di massa 2 kg per m s perseverare nel suo stato di moto rettilineo uniforme con velocità v 1 . La ragione di tale definizione può trovare giustificazione nel seguente esperimento: consideriamo la caduta di alcuni pesi su una superficie di argilla e misuriamo gli effetti provocati dalla caduta sull’argilla attraverso la misura della penetrazione del peso sull’argilla. L’energia cinetica risulta essere direttamente proporzionale al quadrato della velocità e suggerisce la possibilità di misurare l’energia anche attraverso le deformazioni subite da un corpo. Ora ci proponiamo di studiare come varia l’energia cinetica del corpo in presenza di una variazione costante della velocità del corpo in un certo intervallo di tempo (il corpo si muove, quindi, di moto rettilineo uniformemente accelerato): Supponiamo che il corpo all’istante t0 sia in moto con velocità v0 quindi con l’energia cinetica K0, in un istante successivo t la sua velocità sia v e la sua energia cinetica K Allora 1 2 1 2 1 mv mv0 m v 2 v02 2 2 2 1 1 1 1 2 m v0 at v02 mv02 2atv0 a 2 t 2 v02 m2atv0 a 2 t 2 ma tv0 at 2 mas 2 2 2 2 K K0 quindi K K0 mas Definiamo forza la grandezza F=m a Quindi K K0 Fs che chiamiamo “Teorema delle forze vive”: alla variazione di energia cinetica del corpo corrisponde sempre il prodotto della forza F per lo spostamento s. Possiamo caratterizzare più specificatamente il concetto di forza: Poiché F è direttamente proporzionale all’accelerazione a si evince che la forza è una grandezza vettoriale. L’unità di misura della forza è il Newton (N) che definiremo operativamente in seguito; basta ora sapere che 1N 1kg 1 m in accordo con la definizione. s2 1 Osserviamo che l’equazione F=ma contiene in se i primi due prinicipi della dinamica e che non è stata fatta alcuna ipotesi sul tipo di forza che agisce sul corpo di massa m. Se rappresentiamo in un diagramma cartesiano la velocità lungo l’asse orizzontale e l’energia cinetica lungo l’asse verticale : K otteniamo una parabola con la concavità rivolta verso l’alto e vertice ubicato nell’ origine O, in accordo con l’equazione K O 1 m v2 2 v Analizzando l’espressione della variazione di energia cinetica si può definire una nuova grandezza : L m a s F s chiamata Lavoro, sottintendendo che forza e spostamento devono essere in tal caso vettori paralleli tra loro. In sostanza il Lavoro esprime la variazione di energia cinetica subita da un corpo lungo il suo moto e perciò un cambiamento di energia in genere. Nel caso particolare visto, essendo la forza costante, se si traccia un diagramma cartesiano riportando la forza in verticale e lo spostamento in orizzontale, si ha: F Il lavoro compiuto da una forza ma L costante F = ma per spostare un corpo di una lunghezza s = s0 è la misura dell’area tratteggiata s del rettangolo di base s0 ed altezza ma O s0 del diagramma cartesiano di assi s ed F 2 q come quantità di moto Vediamo ora, a partire dall’equazione F=ma, di definire altre due grandezze fisiche. Ricordando che l’espressione a v2 v1 v t 2 t1 t esprime l’accelerazione media di un corpo, con v1 velocità iniziale del corpo all’istante t1 e v2 velocità finale del corpo all’istante t2 , mentre rappresenta l’accelerazione istantanea del medesimo quando i due tempi sono molto vicini, si può riscrivere l’equazione della dinamica nella forma: F m v2 v1 t moltiplicando entrambi i membri dell’equazione per t si ricava: F t m v2 v1 m v2 m v1 se definiamo con I F t l’impulso di una forza, definito come il prodotto tra la forza e l’intervallo di tempo in cui essa agisce, con q m v la quantità di moto di un corpo, definita come il prodotto tra la massa e la velocità di un corpo si ottiene: I q2 q1 q dove q1 e q2 sono le quantità di moto rispettivamente agli istanti t1 e t2 . Si può allora scrivere: F q t da cui segue che quando F = 0 dev’essere q = q2 – q1 = 0, per cui q2 = q1 che in fisica si esprime attraverso il Principio di conservazione della quantità di moto di un corpo: la quantità di moto di un corpo, in assenza di forze esterne, si conserva: q = costante. Tale risultato può apparire banale in quanto rappresenta un diverso modo di enunciare la legge d’inerzia: infatti da F = 0 segue a = 0 e dunque v = v2 – v1 = 0 per cui v1 = v2 e dunque q1 = q2 essendo la massa costante. Tale principio diventa meno banale se lo si estende ad un sistema costituito da da o più corpi interagenti tra loro. Definiamo “isolato”un sistema costituito da più corpi interagenti tra loro ma non soggetti ad alcuna forza esterna ad essi: le uniche forze presenti sono quelle di interazione tra i corpi del sistema stesso. Consideriamo per semplicità il caso di un sistema isolato di due corpi di massa m1 ed m2 : F12 F21 m1 m2 per il principio di azione e reazione (IIIº Principio della dinamica), la forza F12 esercitata dal corpo 1 sul corpo 2 è uguale e contraria alla forza F21 esercitata dal corpo 2 sul corpo 1: F12 = - F21 ovvero : F12 + F21 = 0. Se indichiamo con q(t) la quantità di moto di un corpo qualsiasi al generico istante t, nel tempo intercorso tra l’istante iniziale t1 e l’istante iniziale t2 le quantità di moto dei corpi 1 e 2, in virtù della forza reciproca da essi esercitata, subiranno un cambiamento secondo la seguente tabella: 3 t t1 t2 q1(t) q1(t1) q1(t2) q2(t) q2(t1) q2(t2) t = t 2 - t1 q1 = q1(t2) - q1(t1) q1 = q2(t2) - q2(t1) q 2 q e F21 1 , segue che : t t F12 F21 t q2 q1 q2 t 2 q2 t1 q1 t 2 q1 t1 q1 t 2 q2 t 2 q1 t1 q2 t1 0 E poichè F12 ovvero: q1 t 2 q2 t 2 q1 t1 q2 t1 Se indichiamo con q = q1 + q2 la quantità di moto totale dell’intero sistema, alla fine si ricava: qt 2 qt1 ovvero la quantità di moto totale del sistema si conserva. Vediamo come ritrovare i medesimi concetti nel caso elementare di moto circolare uniforme. Y L’espressione della velocità in un moto v circolare uniforme di raggio R e di P velocità angolare è data da: R v = R X O A perciò se il corpo che si muove lungo la circonferenza ha una massa m, esso dovrà possedere un’energia cinetica K 1 1 m v2 m 2 R2 2 2 che definisce l’energia cinetica rotazionale del corpo. Si osservi che: L’energia cinetica rotazionale di un corpo in moto circolare uniforme si conserva, come nel caso del moto rettilineo uniforme, essendo m, ed R costanti L’energia cinetica rotazionale può anche essere espressa nella seguente forma: 1 1 K m R R m v R 2 2 in cui compare la quantità L = mvR = q R data dal prodotto tra la quantità di moto del corpo ed il raggio della circonferenza; tale quantità si chiama “momento angolare” o “ momento della quantità di moto” ed è il corrispondente angolare della quantità di moto già vista. 4 Poiché L 2 K ne consegue che il momento angolare di un corpo che si muove di moto circolare uniforme si conserva essendo costanti K ed . Accenniamo inoltre al fatto che L è una grandezza vettoriale e che, quando si conserva, mantiene costante la sua direzione perpendicolarmente al piano individuato dai vettori posizione e velocità, ovvero il piano della traiettoria (circonferenza) del moto circolare uniforme nel nostro caso. Il suo verso punta verso l’alto quando la direzione (con il suo prolungamento) del vettore posizione si trova più a destra rispetto a quella del vettore velocità e viceversa. Riconsideriamo ora il sistema dei due corpi precedentemente considerato. Supponiamo di voler considerare un unico corpo la cui massa sia la somma delle masse dei due corpi e la cui quantità di moto sia pari alla quantità di moto totale del sistema dei due corpi. Se indichiamo con vc la velocità di un corpo che soddisfi queste condizioni dev’essere: m1 m2 vc m1 v1 m2 v2 da cui : vc m1 v1 m2 v2 m1 m2 si osservi che tale procedura è piuttosto frequente sia in matematica che in fisica: spesso quando si vuol trovare una formula od una legge necessarie per esprimere una certà quantità si và a cercare quella quantità che deve soddisfare le condizioni che rendono possibile una certa espressione; queste condizioni impongono l’espressione della formula o legge cercata. In sostanza: vc esprime la velocità che avrebbe il sistema dei due corpi se le loro masse fossero concentrate tutte nello stesso punto (unite in uno stesso corpo). Resta da determinare la posizione che tale sistema dovrebbe avere. Indicando con r1(t) la posizione del corpo 1 all’istante di tempo generico t e con r2(t) la posizione del corpo 2 all’istante di tempo generico t, le rispettive velocità dei due corpi nell’intervallo di tempo t2 - t1 saranno: v1 r1 t 2 r1 t1 t 2 t1 , v2 r2 t 2 r2 t1 t 2 t1 indicando invece con rc(t) la posizione del corpo che si muove con la velocità vc(t) dev’essere: vc rc t 2 rc t1 t 2 t1 per cui denotando con t = t2 – t1 si ha: 5 m1 m2 rc t 2 rc t1 t m1 r1 t 2 r1 t1 r t r2 t1 m2 2 2 t t eliminando t dai due membri dell’equazione e dividendo tutto per (m1 + m2): rc t 2 rc t1 m1 m2 r1 t 2 r1 t1 r2 t 2 r2 t1 m1 m2 m1 m2 raccogliendo nel secondo membro a fattor comune del secondo membro i termini in t2 e t1 rispettivamente: rc t 2 rc t1 m1 m2 m1 m2 r1 t 2 r2 t 2 r1 t1 r2 t1 m1 m2 m1 m2 m1 m2 m1 m2 ma perché tale eguaglianza sia sempre vera devono sussistere le seguenti identità: rc t 2 m1 m2 r1 t 2 r2 t 2 , m1 m2 m1 m2 rc t1 m1 m2 r1 t1 r2 t1 m1 m2 m1 m2 e perciò si ricava la forma di quella che definiamo “posizione del centro di massa” del sistema dei due corpi: rc t m1 m2 r1 t r2 t m1 m2 m1 m2 Concludendo, è possibile considerare in luogo del sistema dei due corpi un solo corpo avente per massa la somma delle masse dei due corpi, avente per posizione la posizione del centro di massa e avente per velocità la velocità del centro di massa. Si noti che tali formule valgono per un sistema costituito da un numero qualsiasi di n corpi interagenti. Osserviamo infine la seguente proprietà: poiché la quantità di moto del centro di massa coincide con la quantità di moto totale del sistema e poiché quest’ultima si conserva in assenza di forze esterne, la quantità di moto del centro di massa in assenza di forze esterne si conserva, mentre in presenza di una forza esterna, tale forza esterna è pari al prodotto tra la massa totale del sistema e l’accelerazione del centro di massa del sistema: F=(m1 + m2) ac come può essere facilmente dimostrato. 6 F come forza (ovvero le interazioni………) In meccanica classica, si dice che quando due corpi si trovano ad una certa distanza tra loro si sviluppa un’interazione: in un certo senso si può dire che comunicano tra loro influenzando a vicenda il proprio stato originario di moto. La rappresentazione fisica delle interazioni è la grandezza fisica vettoriale denominata “Forza”. Le interazioni possono essere classificate in base a come possono essere esercitare la loro influenza su un corpo: Interazioni di contatto: i corpi per interagire tra loro devono essere posti a contatto, es: forza esercitata da un corpo su una molla, forza che si sviluppa tramite strofinamento di due corpi. Interazioni a distanza: i corpi possono interagire tra loro anche senza essere posti a contatto, es: forza di gravità, forza elettrostatica ed in base alla loro dipendenza o meno dalla posizione spaziale del corpo rispetto ad un altro: Forze non dipendenti dalla posizione del corpo, es: forza di attrito tra un corpo ed una parete, forza di attrito tra un fluido (es. aria) ed un corpo immerso in esso lungo il suo moto. Forze dipendenti dalla posizione del corpo, es: forza elastica della molla, forza di gravità, forza elettrostatica. L’espressione matematica della forza di attrito esercitata da una parete su un corpo ad essa aderente è F N dove N rappresenta la reazione alla forza peso del corpo (uguale e contraria) e il coefficiente di attrito (statico o dinamico a seconda che il corpo sia fermo od in moto). L’espressione della forza di attrito sviluppata da un fluido in un corpo è invece: F b v dove v il vettore velocità del corpo e b il coefficiente di attrito del fluido; qui la forza risulta opporsi alla direzione del moto ed aumenta all’aumentare della velocità: si pensi ad es. alla forza sviluppata dall’attrito dell’aria su un satellite in caduta libera sulla terra. Si osservi subito che, i due tipi di forza sono entrambi di contatto e non dipendono esplicitamente dalla posizione del corpo. 7 Consideriamo ora la forza elastica: si prenda una molla con un estremo parete connesso ad una parete e l’altro ad un corpo di massa m, libero m perciò di muoversi assieme alla x molla lungo una direzione spaziale x molla x0 Supponiamo inoltre che l’estremo mobile si trovi nella posizione di riposo x0, posizione cioè in molla e corpo restano fermi se non sollecitati (x0 = distanza iniziale dalla parete) . Proviamo ora a tirare l’estremo della molla con il corpo verso destra lungo la direzione x, per un allungamento pari a x: la molla reagirà all’allungamento con una forza proporzionale all’ allungamento medesimo: m F x0 x x0 + x F=-kx m x0 - x x0 x dove k definisce la costante elastica della molla, espressa in N/m e caratteristica del tipo di molla. x0 + x supponendo che la molla possa scorrere senza attrito lungo x, se si lascia la molla libera di muoversi, in virtù della forza elastica si muoverà in direzione opposta fino a comprimersi alla distanza x0 - x dopo esser ripassata per la posizione di partenza x0 per ripartire verso destra ed oscillare indefinitamente avanti ed indietro intorno alla posizione x0 tra la posizione x0 - x e la posizione x0 + x con un moto oscillante del tipo di una pallina di ping-pong. Un sistema simile si chiama oscillatore armonico. Dal secondo principio della dinamica, denotando con a l’accelerazione del corpo di massa m lasciato libero di oscillare in virtù della forza elastica, si deve avere: m a k x e dunque l’accelerazione sarà: a k x m ne consegue che anche l’accelerazione risulta essere direttamente proporzionale allo spostamento e dunque alla posizione. Esiste un altro moto dalle caratteristiche simili, ovvero il moto armonico. 8 Ricordiamo che si definisce moto armonico di un punto, il moto della proiezione di un punto di moto circolare uniforme lungo la direzione x: L’espressione dell’accelerazione centripeta del moto circolare uniforme di raggio R e velocità angolare è data da: Y v P ac R ac = - 2 R O A X e se nel punto P è situato un corpo di massa m, esso sarà soggetto alla forza centripeta: Fc = m ac = - m 2 R Come nel caso dell’oscillatore armonico, sia l’accelerazione centripeta che la forza corrispondente risultano essere direttamente proporzionali ad uno spostamento (R) ed in verso opposto alla sua direzione. Per analogia si può perciò asserire che il moto di un oscillatore armonico è equivalente a quello della proiezione lungo l’asse orizzontale di un punto che si muove di moto circolare uniforme, con velocità angolare e periodo d’oscillazione k m T 2 m k Un altro fenomeno simile a quelli precedentemente esposti è dato dal pendolo: O l T T T C H B A pt pn p Sia OB = l la lunghezza del pendolo al cui estremo risulta appeso un corpo di massa m soggetto alla forza di gravità (peso) p = mg. Quando il corpo risulta immobile e sospeso in verticale nel punto H esso risulta soggetto a due forza eguali in intensità ma opposte in direzione : la forza peso p diretta verticalmente verso il basso lungo la verticale e la forza di tensione T che per il principio di azione e reazione non è altro che la reazione del filo di lunghezza l alla forza peso p; la somma di tali forze dà come risultante la forza nulla ed il corpo resta fermo. Proviamo ora a sollevare il corpo dal punto A al punto B tenendo teso il filo, in modo tale che OB formi con OA un angolo sufficientemente piccolo ad es. minore di 15-30; in tali condizioni, se indichiamo con H l’intersezione dell’orizzontale per B con la verticale per il punto A, indicando con s la lunghezza dell’arco percorso da 9 A a B si ha BHAB = s. Si può cioè approssimare la lunghezza del segmento orizzontale BH con la lunghezza d’arco s. Se lasciamo libero l’estremo in B, esso comincerà ad oscillare fino a raggiungere il punto C tale che CH = BH, per tornare indietro invertendo il proprio moto. In assenza di aria tale moto, costituirà un’oscillazione periodica da A a B. Quando il corpo si trova nel punto B la sua forza peso potrà essere scomposta in una componente pt tangente all’arco AB e nella componente pn lungo la direzione di lunghezza del pendolo. Osservando i due triangoli rettangoli OHB e BPPn si può dedurre che sono simili perché entrambi rettangoli con gli angoli al vertice in O ed in B uguali a perle proprietà delle rette parallele passanti per OA e p tagliate dalla trasversale passante per l, ne consegue che il loro lati corrispondenti sono proporzionali: p : pt = l : s ovvero: p l pt s da cui pt p g s m s l l poichè il corpo si muove solo lungo l’arco BC, mentre resta immobile lungo la direzione l ne consegue, per il secondo principio della dinamica che dev’essere: T = pn e m at = pt In particolare nel secondo caso si ha: m at m g s l ciò significa che anche in tal caso, la forza Ft = mat responsabile del moto del pendolo è anch’essa proporzionale allo spostamento effettuato s, essendo m, g, l costanti nel tempo. Eliminando m da entrambi i membri dell’equazione si ottiene: at g s l Forza ed accelerazione, oltre ad essere proporzionali in intensità allo spostamento hanno una direzione opposta a questo allo stesso modo della forza centripeta e della forza elastica. Si può in particolare dire che il moto della proiezione dell’estremo del pendolo lungo l’orizzontale è identico a quello di un oscillatore armonico. In tal caso la velocità angolare ad esso associata sarà 10 g l mentre il periodo d’oscillazione del pendolo sarà: T 2 2 l g il periodo del pendolo, in condizioni di piccole oscillazioni, è costante: questa costituisce la “legge dell’isocronismo del pendolo” scoperta da Galilei in particolare tale legge consente di fornire una prima stima qualitativa sperimentale dell’accelerazione di gravità: infatti elevando al quadrato l’espressione di T si ha: T2 l 2 g 4 da cui g 4 2 l T2 Si può così concludere che il moto circolare uniforme, il moto elastico ed il moto del pendolo sono esprimibili dalla medesima legge fisico-matematica: Moto circolare uniforme Fc=- 2 R Moto elastico F=-ks T T 2 k m m k Moto pendolare F=-(g/l)s T 2 g l l g Tornando all’oscillatore armonico, possiamo rappresentare in un diagramma cartesiano l’intensità della forza lungo l’asse delle ordinate e l’allungamento causato sulla molla lungo l’asse delle ascisse, indicando per comodità l’allungamento con x e considerando come posizione iniziale x0 = 0 : F F = kx k x O x X Il grafico è quello di una retta passante per l’origine del tipo y = mx. Poiché forza e spostamento nella direzione X sono paralleli, ha senso determinare il lavoro L compiuto dalla forza per causare lo spostamento x, ricordando che esso è dato dall’area del grafico della forza, ovvero dall’area del triangolo rettangolo di base x e di altezza kx cambiata di segno essendo forza e allungamento diretti in senso opposto: 1 1 L x k x k x2 2 2 11 Infatti, per comodità si considererà il grafico F = kx in luogo del grafico F = -kx: F l’area del grafico sottostante la retta F =- kx x X è comunque l’area del grafico sottostante la retta F = kx cambiata però di segno. O -kx F=-kx Ora nel caso generale, se la posizione di partenza dell’estremo mobile della molla fosse stata x0 : in tal caso il lavoro sarà dato dall’area ottenuta F sottraendo l’area del triangolo rettangolo avente k x F = k x base x0 ed altezza kx0 all’area del triangolo rettangolo di base x ed altezza kx cambiandone k x0 il segno: 1 1 1 1 2 2 L k x 2 k x0 k x0 k x 2 2 2 2 2 O x0 x X Si può osservare che il lavoro, oltre a rappresentare una variazione di energia cinetica, può rappresentare la variazione di un’altra forma di energia, la quale stavolta non è più legata direttamente al movimento di un corpo ma alla sua posizione: U 1 k x2 2 essa si chiama energia potenziale. In sostanza l’energia potenziale di un corpo è l’energia necessaria al corpo per mantenere la posizione in cui si trova. Nel caso di forze elastiche si tratta di un’energia potenziale elastica e rappresenta l’energia immagazzinata dalla molla durante la sua estensione o compressione x Il suo grafico nel diagramma cartesiano di ordinata U e di ascissa x è rappresentato da una parabola: U = 1 k x2 2 U= 1 2 k x0 2 O caso di x0 = 0 x 1 2 k x x0 2 x O x0 caso di x0 0 12 Il punto di minimo della parabola,ovvero il suo vertice, coincide con la posizione di riposo della molla e definisce la posizione di equilibrio stabile del corpo in quanto il corpo permarrebbe in tale posizione se non fosse sollecitato da forze esterne. Analizzeremo in modo più approfondito tale situazione in seguito. Osserviamo infine che se denotiamo con U U U 0 1 1 2 k x 2 k x0 2 2 la variazione di energia potenziale subita dal corpo nel passare dalla posizione iniziale x0 alla posizione finale x (differenza tra energia potenziale finale ed energia potenziale finale) e con x=x-x0 la variazione della sua posizione si ricava: x x0 x x0 x 2 x0 x x0 U 1 1 k k k k x M x 2 x x0 2 x x0 2 2 ove xM x0 x 2 F indica il punto medio tra x0 ed x k x kxM indica l’intensità forza media k xM esercitata dalla molla sul corpo. k x0 Tale risultato può essere esteso anche per i valori della forza in X tutte le altre posizioni ma poichè O x0 xM x la forza non risulta costante, esso può essere giustificato in modo rigoroso solamente attraverso l’ausilio del calcolo differenziale. Basti però ricordare che i risultati ottenuti in fisica per le quantità medie coincidono con quelli delle corrispondenti grandezze istantanee quando le variazioni di tali grandezze risultino molto piccole, perciò possiamo evincere il seguente risultato: F U x e cioè: la forza di un oscillatore armonico può essere espressa come l’opposto del rapporto tra la variazione di energia potenziale subita con l’allungamento della molla e l’allungamento corrispondente. Tutto ciò è diretta conseguenza del fatto che il Lavoro calcolato lungo l’allungamento, risulta proprio essere l’opposto della variazione dell’energia potenziale subita: L = -U Più in generale, le forze che possono essere espresse da una variazione di energia potenziale in corrispondenza di una variazione della posizione del corpo si dicono forze conservative, in conseguenza del fatto che l’energia potenziale ad esse associata dipende dalla posizione; esistono invece delle interazioni dipendenti dalla posizione non conservative, perché non legate ad alcuna energia potenziale (ad es. quelle inversamente proporzionali alla posizione. Le interazioni gravitazionali ed elettrostatiche ad es. sono conservative, mentre le forze d’attrito non lo sono e vengono dette anche forze dissipative. 13 Energia meccanica e sua conservazione (sdoing!!) Consideriamo ancora il nostro eterno oscillatore armonico. Oltre al variare della posizione del suo estremo, considereremo anche la sua velocità e dunque anche la sua energia cinetica. Considereremo il moto del corpo al suo estremo a partire dall’istante in cui la molla, dopo l’allungamento, viene lasciata libera di scorrere. 1. Posizione iniziale x all’istante di partenza. In queste condizioni, il corpo presenta una velocità iniziale nulla (corpo inizialmente fermo) ed un allungamento x; ne consegue , per le definizioni adottate in precedenza, che esso possiede un’energia cinetica iniziale nulla ed un’energia potenziale proporzionale al quadrato del suo allungamento iniziale: K 0 1 2 U 2 k x x 0 2. Posizione intermedia xM. Il corpo dopo un certo intervallo di tempo, in virtù della forza di richiamo della molla torna indietro fino a passare per la posizione intermedia. In tal caso essendo il corpo in movimento, la sua velocità sarà diversa da zero e dunque: 1 2 K 2 m v U 1 k x x 2 M 0 2 3. Posizione x0. Il corpo ripassa per la sua posizione di riposo ed essendo x = x0 , l’energia potenziale è nulla: 1 2 K m v 2 U 0 Successivamente, il corpo oltrepassa la posizione di riposo, comprime la molla finchè raggiunta la compressione massima, si ferma e torna indietro invertendo il moto. 14 Analizziamo il passaggio dalla situazione iniziale 1 e alla situazione finale 3 dal punto di vista del lavoro L fatto per muovere il corpo: Nel passare dalla 1 alla 3 il corpo ha subito una variazione di energia cinetica K K K 0 1 m v2 2 e dunque dalla definizione di lavoro: L K 1 m v2 2 Viceversa il corpo ha subito una variazione di energia potenziale : 1 2 U U U 0 k x 2 e perciò sempre dalla definizione di lavoro: L U 1 2 k x 2 Eguagliando le due espressioni dello stesso lavoro si ha: K = -U Conseguenza: Le variazioni (contemporanee) di energia cinetica e di energia potenziale del medesimo corpo lungo il suo moto sono opposte: al crescere dell’energia cinetica corrisponde un identico decrescere dell’energia potenziale Possiamo riscrivere la precedente equazione nella forma: K + U = 0 Ovvero: La somma delle variazioni dell’energia cinetica e dell’energia potenziale dà sempre zero. E’ possibile allora definire una nuova grandezza fisica, denominata Energia Meccanica, la cui variazione lungo il moto di un corpo sia sempre zero, una grandezza cioè, che si conserva inalterata durante il moto del corpo, data dalla somma di due diverse forme di energia: l’energia cinetica, legata al movimento del corpo, l’energia potenziale, legata alla posizione del corpo: E=K+U che si esprime dicendo: L’energia meccanica totale di un corpo soggetto unicamente a forze conservative si conserva e costituisce il Principio di Conservazione dell’Energia Meccanica. 15 Infatti da K = -U segue: K – K0 = U0 – U e scambiando U con K0 nell’equazione si ottiene: U + K = U0 + K0 Che garantisce l’esistenza di una grandezza E il cui valore finale coincide con il valore iniziale e le cui dimensioni fisiche sono quelle di un’energia. Osserviamo fin da ora, che il moto di un corpo è determinato univocamente dal valore iniziale della sua energia: infatti se avessimo allungato la molla sino ad una distanza x1 x0 l’energia potenziale iniziale sarebbe stata diversa e dunque anche la sua energia meccanica iniziale; il corpo avrebbe continuato ad oscillare indefinitamente tra le posizioni x0 - x1 e x0 + x1 invece che tra le posizioni x0 - x e x0 + x come si può evincere dai due grafici a confronto: se la molla viene allungata di x verso destra e poi lasciata andare il corpo tende a muoversi nella direzione di decrescita dell’energia U kx O U0 x 0 - x x0 1 2 k x 2 x0 + x X U kx1 U1 1 2 k x1 2 potenziale e viceversa se essa viene compressa della stessa lunghezza; in corrispondenza dei due estremi di U0 l’energia potenziale è massima mentre l’energia cinetica è minima, viceversa in x0 l’energia potenziale è minima mentre l’energia cinetica è massima. Idem nel secondo grafico con U1 O x 0 - x 1 x0 x0 + x1 X Perché il corpo non si ferma nella posizione di equilibrio stabile in x0 ? per la semplice ragione che in esso possiede un’energia cinetica che gli consente di continuare a muoversi, sempre nel rispetto del principio di conservazione dell’energia meccanica; solo se l’energia cinetica iniziale fosse nulla, come succede ad es. se si pone il corpo nella posizione iniziale x0 ed inizialmente fermo (con velocità iniziale nulla) il corpo resterebbe fermo; in caso contrario, in assenza di attrito il corpo continuerà ad oscillare eternamente avanti e indietro tra l’allungamento massimo e la compressione massima della molla. 16 Proviamo a riportare in un diagramma cartesiano la posizione x in orizzontale e la velocità v in verticale, si ottiene il grafico di un’ellisse centrata nell’origine, come può essere dedotto dalla struttura dell’equazione: 1 1 k x2 m v2 E 2 2 in quanto può essere riscritta nella forma: x2 2 E k 2 v2 2 E m 2 1 Tale grafico definisce l’orbita del moto del sistema. Essa si trova in corrispondenza dell’intersezione tra la retta orizzontale passante per il valore massimo di U ed il grafico di U. Se l’orbita è una curva chiusa, allora il moto del corpo è certamente periodico e si può prevedere quando ripasserà per la medesima posizione. Ciò succede sempre quando si è in prossimità del minimo di energia potenziale, ovvero quando la curva che esprime l’energia potenziale risulta concava verso l’alto. Il valore prefissato dell’energia del corpo fissa anche la forma dell’orbita. La possibilità di verificare la periodicità di un moto è fondamentale, perché consente di controllare l’evoluzione del fenomeno in tempi finiti: se l’orbita fosse una curva aperta, il moto proseguirebbe verso valori sempre diversi all’infinito. Si può dimostrare che se l’orbita è una curva chiusa, anche la traiettoria spaziale percorsa dal corpo è chiusa. Le considerazioni fin qui svolte, sono state dimostrate per il moto di un oscillatore armonico, ma sono valide per tutti i moti regolati da forze conservative. Effettuiamo un’ultima considerazione: supponiamo, di avere una molla con i due estremi entrambi liberi invece di uno solo, con due corpi di massa m1 ed m2 rispettivamente; le posizioni di riposo dei rispettivi corpi siano posizionate nella medesima retta, ed indicate con le ascisse x1 ed x2 : m1 0 x1 m2 xc | x2 il loro centro di massa sarà dato dalla relazione: x xc m1 x1 m2 x2 m1 m2 mentre i centri delle due masse si troveranno ad una distanza iniziale x2 - x1 . Supponiamo di voler tendere la molla ai suoi estremi secondo direzioni opposte, lungo l’asse x fino ad allungare la molla nelle nuove posizioni x1' ed x2' : 17 m1 m2 se lasciamo liberi gli estremi x della molla con le masse, ' ' 0 x1 x1 xc x2 x2 ciascuna di eserciterà per la legge di Hooke, una forza eguale e contraria in verso, di intensità pari a F = k ·( x2' - x1'). Cosa succederà al centro di massa? Le forze elastiche sono forze interne, intrinseche alla molla, mentre il sistema dei due corpi non è soggetto ad alcuna forza esterna e dunque, per quanto visto sulle proprietà del centro di massa, esso resterà esattamente fermo come prima: il sistema cioè oscillerà indefinitamente tenendo fermo il suo centro di massa; ne consegue che i due corpi continueranno ad oscillare avanti ed indietro avvicinandosi e allontanandosi alternativamente al centro di massa. Se il sistema fosse risultato inizialmente in moto rettilineo uniforme, con velocità del centro di massa costante vc essa sarebbe rimasta la stessa anche dopo l’inizio delle oscillazioni, ovvero di ciò che chiamiamo vibrazione dei due estremi. In realtà per i sistemi soggetti a forze interne come quello ora considerato, non sempre conviene adottare la rappresentazione del moto tramite il loro centro di massa: infatti mentre ad es. nel caso di sistema di corpi non interagenti tra loro (privi cioè di forze interne tipo quelle elastiche), tale rappresentazione risulta assai vantaggiosa, nel nuovo sistema considerato essa non dà alcuna informazione sulle energie coinvolte nel suo movimento: infatti se il centro di massa risultasse fermo, sia l’energia cinetica che l’energia potenziale sarebbero in tale punto nulle. Nel caso in cui si movesse invece con velocità costante vc la sua energia si ridurrebbe alla sola energia cinetica (cosa che può risultare vantaggiosa nel caso di energia potenziale piccola, come si vedrà nella teoria cinetica dei gas). Possiamo allora pensare di descrivere l’intero sistema a partire dalla distanza che intercorre tra i due estremi della molla: x = x2 - x1 . In tal caso essendo F1 k x2 x1 F2 k x2 x1 F1 le forze a cui sono soggette le masse m1 ed m2 rispettivamente, denotando con a1 e con a2 le loro accelerazioni, per la seconda legge della dinamica si ha: m1 a1 k x2 x1 k x m2 a2 k x2 x1 k x Moltiplicando la prima equazione per m2 e la seconda equazione per m1 si ha : m1 m2 a1 m2 k x m1 m2 a 2 m1 k x 18 effettuando la differenza tra la seconda equazione e la prima equazione ed indicando con a=a2 – a1 la differenza delle accelerazioni: m1 m2 a2 a1 m1 k x m2 k x si ottiene: m1 m2 a m1 m2 k x da cui, dividendo tutto per m1+m2 : m1 m2 a k x m1 m2 indicando con m1 m2 m1 m2 si ha infine: a k x , a k x Ne consegue che stavolta dal punto di vista energetico invece di considerare la posizione del centro di massa conviene considerare la posizione relativa delle masse (cioè la distanza tra loro) assieme alla sua accelerazione: è possibile cioè descrivere il sistema a due corpi come un unico corpo con una sola energia cinetica ed una sola energia potenziale, un solo ed unico oscillatore armonico avente per posizione la differenza delle posizioni tra i corpi, per accelerazione la differenza delle accelerazioni dei due corpi e per massa la massa , detta “massa ridotta” La posizione del nuovo corpo oscillerà attorno ad una posizione d’equilibrio (coincidente stavolta proprio con il centro di massa dei due corpi di partenza?) Si osservi che nel caso particolarmente semplice di masse eguali, la massa ridotta risulta essere eguale alla metà di ciascuna delle singole masse. Vedremo in seguito che tale possibilità, agli effetti della determinazione dell’energia di un sistema di molti corpi (che non a caso è una grandezza estensiva, in quanto dipende dal loro numero) giocherà un ruolo cruciale. Ora (per vostra gioia….) siamo sufficientemente “armati” per poter affrontare le interazioni gravitazionali ed elettrostatiche! (Evvai…..!!) 19 Interazioni gravitazionali e non solo….. Dal momento che i vari corpi celesti, quando si trovano a distanze finite, risultano sempre dotati di moti accelerati, è facile immaginare che essi siano in grado di influenzarsi tra loro e che dunque la causa dei loro moti sia imputabile ad una qualche interazione che si manifesti tra di essi. Per capire il tipo di interazione o forza che si esercita, sarà necessario prima analizzare le proprietà fondamentali dei loro moti: in sostanza risaliremo alla loro dinamica a partire dalla loro cinematica ovvero, come si diceva un tempo, risaliremo alle cause a partire dai loro effetti facendo uso di alcune ipotesi aggiuntive. Ciò può essere fatto considerando le “famose” tre leggi di Keplero; la prima legge fu dimostrata da Keplero in base all’analisi numerica dei dati sperimentali riportati dall’astronomo Tycho Brahe e da Keplero stesso (che fu assistente dell’altro..); in base a tale analisi, Keplero scoprì che graficando le traiettorie spaziali a partire dai dati sperimentali si ottenevano delle curve molto prossime a delle ellissi: in particolare maggiore era la precisione con cui tali dati venivano presi e più simile ad una ellisse era la traiettoria, da cui la legge: I legge di Keplero: i pianeti descrivono intorno al sole orbite ellittiche di cui il sole occupa uno dei due fuochi è importante sottolineare che tale legge risultava in accordo con il modello eliocentrico, sostenuto a quei tempi sia da Keplero che da Galilei; infatti il modello tolemaico non riusciva più a giustificare i dati sperimentali che uscivano dall’osservazione dei moti dei pianeti ed in particolare quelli dei loro satelliti. Viceversa, tale modello assieme alla I legge di Keplero, riusciva a giustificare bene le differenze di velocità angolare di un pianeta evidenziate in alcuni punti della sua traiettoria. In particolare tale teoria costituiva un modello di gran lunga più semplice, in quanto consentiva di buttare a mare tutta la zuppa di epici e affini come potete vedere nell’introduzione al capitolo del testo. P A F1 F2 S perielio D C B a Nella figura P indica il generico pianeta nella sua rivoluzione ellittica intorno al sole S ubicato afelio nel fuoco F1 , a indica il semiasse maggiore dell’ellisse, il perielio il punto della traiettoria a distanza minore dal sole e l’afelio la posizione opposta ad esso. 20 La I legge di Keplero consente di conoscere a priori tutte le possibili posizioni che possono essere occupate dal pianeta una volta noti il semiasse maggiore e l’eccentricità dell’ellisse. Consideriamo ora un intervallo di tempo t piccolo rispetto al tempo impiegato dal pianeta per percorrere l’intera ellisse e siano AB e CD due archi dell’ellisse percorsi nello stesso intervallo considerato: stiamo cioè considerando due tratti dell’ellisse in cui il pianeta ha impiegato il medesimo lasso di tempo per percorrerli. I due archi sono sufficientemente piccoli per poter essere approssimati da archi di circonferenza e dunque i raggi che congiungono gli estremi degli archi sono uguali: SA=SB= R1 , SC = SD = R2 . Avendo considerato un intervallo di tempo piccolo, anche le velocità del pianeta agli estremi dei due archi possono essere considerate eguali: vA = vB = v1 , vC = vD = v2 . Ora possiamo osservare che stiamo considerando unicamente due corpi, il sole ed il pianeta, mentre stiamo trascurando le influenze degli altri corpi celesti: in sostanza stiamo considerando il sistema dei due corpi come un sistema isolato, in cui sussiste solo una eventuale interazione tra di essi. Si è visto però che nel caso di corpo ruotante attorno ad un altro, in assenza di forze esterne, il suo momento angolare deve conservarsi, per cui se m indica la massa del pianeta, il momento angolare di questo dev’essere fisso: L = mvR = costante, al variare della sua velocità v e del suo raggio R. In base a tale osservazione dev’essere: mv1R1 =mv2R2 da cui elidendo m: v1R1 =v2R2 poiché le due velocità v1 e v2 sono costanti nei rispettivi tratti AB e CD, possiamo applicare la legge del moto circolare uniforme che approssimando gli archi a dei segmenti può ridursi direttamente alla legge del moto rettilineo uniforme: AB = v1t , CD = v2t ovvero: v1 AB CD , v2 t t da cui elidendo t si ottiene AB CD R1 R2 t t AB R1 = CD R2 abbiamo così approssimato le due regioni SAB ed SCD del cerchio in due triangoli di basi AB e CD e di altezze R1 ed R2 rispettivamente, per cui dividendo entrambi i membri della precedente equazione per 2 otteniamo 1 1 AB R1 CD R2 2 2 21 che le aree dei due triangoli sono uguali ovvero 1 AB R costante 2 al variare simultaneo di AB e di R, il che equivale alla II legge di Keplero: il raggio vettore tracciato dal sole a uno qualsiasi dei pianeti descrive aree uguali in tempi uguali. Come si vede si è dedotta tale legge facendo uso della conservazione del momento angolare; ovviamente Keplero giunse alla legge sempre tramite l’analisi numerica dei dati a disposizione e dunque attraverso la scoperta di tali regolarità. In sostanza l’area descritta dal raggio vettore di ciascun pianeta nell’unità di tempo, ovvero la sua velocità areolare, è costante per tutto il moto del pianeta sull’orbita. Sempre attraverso le medesime analisi, Keplero potè enunciare la III legge di Keplero: i cubi dei semiassi maggiori delle orbite ellittiche dei pianeti sono proporzionali ai quadrati dei loro periodi di rivoluzione. In sostanza, se si considerano due pianeti P1 e P2 intorno al Sole S le cui orbite hanno per rispettivi assi maggiori a1 e a2 ed i cui rispettivi periodi di rivoluzione sono T1 e T2 e se MS indica la massa del sole la III legge di Keplero si traduce nella seguente forma: P1 P P2 S a1 a2 a1 T1 3 2 a2 3 T2 2 ovvero il rapporto tra il quadrato del periodo di rivoluzione T di un pianeta attorno al sole ed il semiasse maggiore a della sua orbita è una costante indipendente dal tipo di pianeta ma dipendente dal Sole (dalla sua massa) il che si esprime scrivendo: T2 k M S a3 in cui k(MS) indica una costante dimensionale dipendente dalla massa del Sole. Cosa significa tutto ciò? Vuol dire semplicemente che se esiste un corpo centrale dotato di una certa massa attorno a cui ruotano più corpi di masse diverse lungo 22 orbite diverse, il rapporto prima considerato dipende unicamente dalla massa del corpo centrale! Ovviamente a quei tempi ciò poteva essere scoperto osservando il moto dei satelliti attorno ai loro pianeti, ad es. quello della Luna attorno alla Terra, o di Phobos e Demos attorno a Marte. In quegli anni gli strumenti di osservazione erano stati potenziati proprio da Keplero e Galilei tramite l’invenzione dei nuovi telescopi i quali consentirono a Galileo di scoprire anche alcuni satelliti di Giove (che egli chiamò Medicei..) Analizzati i moti dei corpi celesti intorno ad un altro corpo centrale, resta da capire quale sia la forma delle interazioni capaci di generare tali moti. Per far ciò approssimeremo le ellissi con delle circonferenze; in tal caso gli assi dell’ellisse coincidono con il raggio della circonferenza e questo consentirà di dedurre l’espressione delle forze in gioco in modo più elementare e senza perdita di generalità in quanto la stessa espressione resta valida anche per i moti ellittici. Tutto ciò è possibile in quanto l’eccentricità delle orbite ellittiche è molto bassa: e c a2 b2 1 a a il che significa che e2a2 = a2-b2 da cui segue che b2= (1-e2) a2, ad es. se e = 0.01, e2=0.001 per cui b2 a2 ovvero b a. Il primo passo consiste nell’affermare che la forza che si esercita tra il Sole ed un pianeta sia inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra i loro centri; il primo a formulare tale legge fu Huygens. Infatti se denotiamo con m la massa del pianeta e con r la sua distanza dal Sole, essendo questa il raggio dell’orbita circolare del pianeta, si può asserire che il moto di tale pianeta è un moto circolare uniforme di velocità angolare e periodo di rotazione T. Applicando le leggi di tale moto ed indicando con a l’accelerazione centripeta del pianeta, dev’essere: a= 2 r ; ne consegue che il pianeta sarà soggetto alla forza centripeta F=m 2 r r P m Ricordiamo ora che deve sussistere sempre la III legge di Keplero,che applicata in tale caso dà: r3 k M S T2 S MS ma 2 4 2 T2 per cui F m 4 2 r T2 sostituendo l’espressione di T2 ricavata 23 T2 dalla III legge di Keplero: otteniamo F m in cui a 4 2 k M S 1 r2 r3 k M S 4 2 k M S 1 r 4 2 k M S m 2 3 r r esprime proprio l’accelerazione centripeta del pianeta. A questo punto entrò in gioco Newton: a quei tempi si aveva già una certa nozione delle interazioni a distanza; infatti si sapeva che due magneti di massa m1 ed m2 interagivano a distanza con una forza f proporzionale al prodotto delle loro masse : f c m1 m2 egli, oltre a dimostrare indipendentemente da Huygens la proporzionalità inversa della forza rispetto al quadrato della distanza, ipotizzò che essa fosse anche direttamente proporzionale al prodotto delle masse dei corpi analogamente a quanto succedeva per i magneti: F GMS m 1 r2 con G costante di proporzionalità dimensionale. Tale ipotesi confrontata con la formula di F precedentemente determinata porta a chiedere che le due espressioni di F finora viste debbano coincidere: F 4 2 k M S m che porta a chiedere che 1 1 GMS m 2 2 r r 4 2 k M S G M S ovvero che k M S G MS 4 2 k dipenda da MS secondo una proporzionalità diretta. L’espressione di G invece è indipendente sia da MS che da m e si chiama “costante di gravitazione universale” il cui valore è universale per tutti i corpi celesti: G=6,67 10 –11N m2/Kg2 Perciò secondo l’idea di Newton, due masse a distanza r interagiscono tra loro con una forza della forma: F GMS m 1 r2 e costituisce la Legge di gravitazione universale. 24 Se tale legge è vera, dev’essere valida per ciascuna coppia di masse poste ad una certa distanza, ad es. per la forza che si sviluppa tra la massa del pianeta Terra e la massa di un qualsiasi altro corpo. Ma quale corpo? Quale corpo si presta facilmente ad una conferma di tale legge? L’altra intuizione di Newton fu quella di pensare che la caduta dei corpi in prossimità della superficie terrestre fosse proprio determinata dall’interazione gravitazionale tra la Terra e ciascuno di essi: in sostanza supporre che l’accelerazione di gravità g fosse originata proprio da tale interazione. Vediamo come: sia O il centro della Terra di massa MT ed R il suo raggio; consideriamo un corpo h di massa m posto a distanza h << R dalla superficie terrestre, cosicchè i loro centri risultano distanti per una lunghezza R r=R+h se la legge di gravitazione universale O è vera le due masse si devono attrarre secondo una forza di intensità F G MT m ma h h2 R 2 1 2 2 R 2 R R R R h2 R 2 1 h 1 1 G MT m 2 r R h 2 2 infatti se h<<R allora h h h2 1 , 2 1 , 1 R R R2 ovvero gli ultimi due termini del quadrato del binomio sono trascurabili rispetto ad 1. Basta osservare che il raggio terrestre è R=5700 Km circa e prendere ad esempio un corpo che si trovi ad un’altezza di 100 m rispetto al suolo per verificare tali approssimazioni. Perciò: F G MT m G MT 1 m 2 R R2 ma un semplice calcolo dimostra che: G MT 9,8m / s 2 g R2 ovvero F mg. La forza di gravitazione universale espressa da Newton per l’interazione Terra-corpo in prossimità della superficie terrestre coincide proprio con la forza peso del corpo medesimo. L’accelerazione di gravità terrestre, misurata già nel 1300 da Alberto Magno e studiata in modo più approfondito da Galilei quale accelerazione intrinseca (e naturale) posseduta da tutti i corpi in caduta libera, conferma la legge di Newton e viene a sua volta giustificata da essa. Ultimo problema: secondo il principio di azione 25 e reazione perché la terra, a causa della forza esercitata dal corpo in caduta libera, non si muove? In realtà anch’essa si muove, infatti essa sarà soggetta ad un’accelerazione aT G MT F Gm 2 g ovvero aT << g MT R R2 ovvero l’accelerazione con cui si muove il pianeta è trascurabile rispetto a quella con cui il corpo cade. Analizziamo ora la natura di tale forza, considerando 2 corpi di massa m1 ed m2 a distanza r . m1 Trattandosi di una forza dev’essere F12 F21 m2 innanzitutto una grandezza di tipo vettoriale: essa avrà direzione r coincidente con la direzione del vettore r congiungente i centri delle 2 masse; il verso della forza che agisce sul corpo 1 ad opera della massa 2 dev’essere sempre diretto verso il centro della massa 2 e viceversa: ciò significa che essa è sempre puramente attrattiva, come succedeva nella forza elastica (non a caso i corpi di massa piccola cadono perché attratti dalla Terra), perciò la forma vettoriale della legge di gravitazione dovrà ammettere il segno negativo ed il verso di r : F = G m1 m2 r r3 Resta da risolvere ancora un quesito: come ha fatto Newton ad intuire che la forza gravitazionale fosse diretta secondo la congiungente tra i centri delle due masse? Semplicemente considerando il fatto che nel sistema Sole (S) – Pianeta (P) l’orbita del pianeta possiede una velocità areolare (rapporto tra area spazzata ed intervallo di tempo in cui viene spazzata) costante solo se la forza è diretta lungo la congiungente S-P. 3 S Immaginiamo che ad un certo 2 punto il pianeta sia nella 1 posizione 1; esso si sta Direzione moto movendo in modo tale che ad es. dopo un secondo arriva O arriva nella posizione 2. Pianeta P Se il sole non esercitasse una forza sul pianeta quest’ultimo, Altezza comune dei triangoli per il principio d’inerzia di Galileo, continuerebbe ad andare in linea retta. In tale situazione per un successivo intervallo di tempo uguale al precedente (cioè dopo un altro secondo), il pianeta P percorrerebbe esattamente la stessa distanza arrivando nella posizione 3. Cominciamo quindi a vedere che se la forza non c’è aree uguali sono percorse in tempi uguali. 26 Ricordiamo a tal proposito che l’area del triangolo è metà della base per l’altezza e che l’altezza è la distanza del vertice dalla base. A Se un triangolo è ottuso allora l’altezza è la verticale AD e la base è BC Ora confrontiamo le aree che sarebbero percorse se il sole non esercitasse alcuna forza. B C D Ricordiamo che le distanze 1-2 e 2-3 sono uguali! Consideriamo il triangolo S12 ovvero formato dal sole e dai punti 1 e 2: la sua area sarà la base 1-2 moltiplicata per la metà dell’altezza (cioè della perpendicolare dalla base a S). Vediamo ora al triangolo S23 (caratterizzato perciò dal moto 2-3): la sua area è la base 2-3 moltiplicata per la metà dell’altezza da S. Poiché questi due triangoli hanno la stessa base e la stessa altezza devono necessariamente avere aree uguali. Si può così dedurre che se non ci fosse nessuna forza esercitata dal sole, aree uguali sarebbero percorse in tempi uguali. Ma la forza del sole c’è……..e inzannusu? Comenti du poneusu? 3 Durante l’intervallo 1-2-3 4 Altezze uguali il sole sta tirando e cambiando il moto in varie direzioni verso sé stesso. 2 Partendo dalla posizione intermedia 2, se la forza Base comune S-2 è diretta secondo la S 1 congiungente S-2, si può dire che tutto l’effetto di questa durante l’intervallo 1-3 è stato di cambiare il moto di una certa quantità nella direzione della linea S-2. Ciò significa che le particelle che si sarebbero mosse sulla retta 1-2, le quali se non ci fosse stata forza avrebbero continuato a muoversi sulla stessa linea nel secondo successivo, a causa dell’influenza del sole hanno alterato il loro moto di una certa quantità parallela alla retta S-2: il moto seguente è dunque una composizione di quello che il pianeta vorrebbe fare (proseguire lungo la direzione 1-2-3) e del cambiamento che gli è stato impresso dall’azione del sole (optare per la direzione S-2). Il risulta è che il pianeta si sposta lungo la direzione 2-4 ed il suo spostamento è proprio un vettore dato dalla somma vettoriale tra il vettore 2-3 (ciò che il pianeta vorrebbe percorrere) ed il vettore 3-4 (ciò che il sole vorrebbe far fare al pianeta): 3 riportando tale situazione ingrandita si può osservare come 4 il vettore 2-4 sia proprio la diagonale maggiore del parallelogramma costruito sui vettori 2-3 e 3-4. Così in effetti il pianeta non và a finire nella posizione 3 ma 2 nella posizione 4. Confrontiamo ora le aree dei triangoli S23 ed S24: essi hanno la stessa base perchè in comune e la stessa altezza in quanto compresi tra rette parallele (i vertici dei due triangoli appartengono cioè alla stessa retta parallela alla retta S-2 e dunque la loro 27 distanza da essa non cambia !); perciò la distanza dal punto 4 alla retta S-2 è uguale alla distanza del punto 3 dalla retta S-2 (prolungata). Ne consegue che le aree S12 ed S23 di tali triangoli sono proprio uguali. E’ interessante notare che al tempo di Keplero i teologi asserivano che dietro ciascun pianeta c’erano degli angeli che battendo le ali spingevano i pianeti lungo l’orbita; come si vede la risposta non è troppo lontana dal vero: l’unica differenza è che gli angeli stanno in una direzione diversa e che le loro ali spingono verso l’interno…… Di fatto per ricavare la forma vettoriale della forza si è dovuta moltiplicare la sua intensità per il vettore parallelo ad r ma di intensità unitaria (cioè di lunghezza pari a 1): r / r. In realtà la forza di attrazione gravitazionale è figlia di un’altra grandezza fisica fondamentale di base detta “campo”. A tal proposito consideriamo prima un corpo di massa m, ubicato in una regione di spazio grande e priva di altri corpi dotati di massa: supponendo che tale regione sia isolata (non agisca cioè alcuna forza esterna), il corpo per il principio d’inerzia perseguirà nel suo stato di moto rettilineo uniforme; supponiamo ora di posizionare in determinato punto della medesima regione un corpo di massa M molto più grande della precedente e solo successivamente di far entrare il corpo di massa m nella regione considerata: se il centro del corpo piccolo si trova nel punto P a distanza r dal centro O del corpo grande, Q il corpo subirà inesorabilmente un’attrazione diretta lungo P la congiungente dei centri g dei due corpi e puntante verso m del corpo grande. Lo stesso accadrebbe se il corpo fosse posizionato in un altro O punto qualsiasi Q all’interno della medesima regione. In realtà è successo che a causa della presenza del corpo di M massa M le proprietà fisiche della regione ad esso circostante sono cambiate: si è cioè creato un “campo” i cui effetti si manifestano tramite la forza esercitata sul corpo piccolo. Qual è la differenza tra il campo e la forza? L’intensità della forza dipende per costruzione dalle masse di entrambi i corpi mentre quella del campo dipende solo dalla massa del corpo (centrale) che lo ha generato, nel nostro caso dalla massa M del corpo grande e dunque possiamo darne la seguente definizione operativa: g = F/ m = G M r r3 28 la cui intensità sarà g F M G 2 m r Possiamo così concludere che in realtà la presenza di una massa in un punto qualsiasi di una data regione di spazio crea un “campo” in tutti punti della regione circostante ad esso e che il campo a sua volta crea una “forza” su ogni altra massa che si posizione in un punto qualsiasi della medesima regione ad una certa distanza dalla massa preesistente. Di fatto la forza costituisce la “rappresentazione fisica del campo”, nella misura in cui è possibile determinare il campo a partire dalla misura della forza, come del resto si può evincere dalla definizione operativa di campo. Un campo le cui direzioni puntano tutte verso il centro del corpo che lo ha generato si dice “radiale”; dunque il campo gravitazionale è un campo radiale. Riassumendo (alla Mike…): la presenza di un corpo materiale (dotato cioè di massa M) modifica lo spazio ad esso circostante: infatti ogni altro corpo (di massa m) che si trovi in tale zona subisce una forza di attrazione gravitazionale F ; la zona di spazio in cui questo effetto si verifica chiama campo gravitazionale di generato da M. L’intensità di tale campo è indipendente dalla massa m (detta massa di prova); tale campo è diretto inoltre sempre verso il centro del corpo che lo ha generato. Il campo è una grandezza fisica che c’è ma…….non si vede! Ora un’ultima osservazione: finora si è fatto riferimento agli effetti prodotti dalla forza di gravità esercitata da un corpo grande su un corpo molto piccolo. Consideriamo il semplice caso di Un modulo spaziale situato in una LEM regione di spazio sufficientemente lontana da altri corpi celesti da poter trascurare gli effetti della gravitazione cavo da essi prodotta. Dal modulo esce il classico astronauta collegato ad esso astronauta tramite un cavo. Che succede se il cavo si spezza quando l’astronauta è fermo e vicino al modulo? Niente, esattamente niente: l’astronauta non finirà disperso per lo spazio per la semplice ragione che risentirà della forza di attrazione gravitazionale (per quanto piccola) che tenderà a trattenerlo nelle vicinanze! L’astronauta può movendo accortamente braccia e gambe (nuotando nel vuoto…) riagganciarsi al modulo (vedere ad es. “Apollo 13”). Tenete presente che la massa del modulo è dell’ordine delle tonnellate mentre quella dell’astronauta dell’ordine dei chili. 29 Osserviamo ora l’andamento grafico delle interazioni gravitazionali sviluppate tra due corpi dotati di massa al variare della distanza tra i loro centri: Interazioni gravitazionali 2 r r 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 100 121 144 169 196 225 256 289 324 361 400 441 484 529 576 625 676 729 784 841 900 961 1024 1089 1156 1225 1296 1369 1444 1521 1600 2 1/r 0,01 0,008264 0,006944 0,005917 0,005102 0,004444 0,003906 0,00346 0,003086 0,00277 0,0025 0,002268 0,002066 0,00189 0,001736 0,0016 0,001479 0,001372 0,001276 0,001189 0,001111 0,001041 0,000977 0,000918 0,000865 0,000816 0,000772 0,00073 0,000693 0,000657 0,000625 M = 10000 Kg m = 70 Kg k=GMm= 700000 Nm2 2 F=GMm/r 7000 5785,124 4861,111 4142,012 3571,429 3111,111 2734,375 2422,145 2160,494 1939,058 1750 1587,302 1446,281 1323,251 1215,278 1120 1035,503 960,2195 892,8571 832,3424 777,7778 728,4079 683,5938 642,7916 605,5363 571,4286 540,1235 511,3221 484,7645 460,2235 437,5 Interazioni gravitazionali 8000 7000 6000 5000 Serie2 4000 Serie3 3000 2000 1000 0 0 5 10 15 20 25 30 35 per esigenze grafiche si è posto G = 1, mentre la massa del modulo lunare è stata posta a 10 tonnellate contro una massa dell’astronauta pari a 70 Kg; si è supposto che i centri del modulo e dell’astronauta fossero ad una distanza iniziale pari a 10 m. Il grafico esprime l’andamento della forza quando la distanza cambia da 10 m a 40 m. L’andamento è simile a quello di un’iperbole equilatera più schiacciata però verso il basso rispetto all’iperbole vera. Il problema ora consiste nel calcolare l’area sottesa da tale grafico, ovvero il lavoro effettuato quando la forza di gravità cambia con il cambiare della posizione. M r1 m r m r2 r2 – r1 Supponiamo che la massa m situata inizialmente ad una distanza r1 dalla massa M si sposti fino a portarsi ad una nuova distanza r2 > r1 . Per cambiamenti piccoli di distanza si può esprimere la generica distanza intermedia r tra la posizione iniziale r1 e la posizione finale r2 con la media aritmetica di tali valori: r r1 r2 2 30 se la differenza r2 – r1 è piccola, a maggior ragione lo sarà la differenza dei loro quadrati e dunque si potrà scrivere: r2 r1 2 2 dove con s’intende una quantità piccola; denotiamo ora per semplicità r22 con a ed r12 con b cosicché possiamo scrivere direttamente a – b= ; tale relazione impone che b = a- ; possiamo a tal punto fare la radice quadrata del prodotto tra a e b e vedere cosa salta fuori: a b a a a 2 a a 2 1 2 a 1 a a si può inoltre osservare che : 1 1 quando << a 1 a 2 a infatti quadrando entrambi i membri dell’ “eguaglianza” si avrebbe: 1 ma da << a segue che a a 1 a 1 2 4 a2 1 e dunque a maggior ragione 1 2 2 1 4 a a per cui il terzo termine del membro a destra dell’”eguaglianza” è trascurabile, da cui segue l’esattezza dell’approssimazione effettuata. Si può così scrivere che: 1 a b a 1 2 a e poiché ab ab 1 a 1 a a 2 2 2 2 a a b possiamo infine asserire che ab . 2 In sostanza possiamo approssimare la media aritmetica di due numeri con la radice del loro prodotto ovvero con la loro media geometrica. Effettuando il quadrato della relazione r r1 r2 si ricava r 2 r1 r2 1 può essere approssimata con la media r2 Per tali ragioni, la quantità variabile geometrica dei termini 1 r1 2 ed 1 r2 2 1 r2 ovvero: 1 r1 2 1 r2 2 1 1 r1 r2 31 perciò in tale approssimazione la forza nella generica posizione intermedia tra la posizione iniziale r1 e la posizione iniziale r2 sarà data da: F G M m k 2 r2 r essa approssima la forza variabile nell’intervallo da r1 ad r2 con il valore costante dato dalla formula suscritta. F Ciò consente di approssimare l’area sottostante il tratto di curva AD con l’area del rettangolo sottostante il A segmento BC. k/r2 B C Il rettangolo considerato risulta avere una base di lunghezza r2 – r1 ed un’ altezza di lunghezza k/r2 . D O r1 r r2 r Anche qui, in modo analogo a quanto fatto per la forza elastica, è bene ricordare che essendo la forza puramente attrattiva, ed in tal caso è diretta in senso opposto alla direzione dello spostamento della massa m: ne consegue che anche in tal caso l’area calcolata per poter esprimere il lavoro andrà cambiata di segno. Ne consegue che il lavoro effettuato lungo lo spostamento della massa m da r1 ad r2 sarà con buona approssimazione dato dall’area di tale rettangolo cambiata di segno, ovvero: L G M m r2 r1 r2 ma abbiamo anche visto che r2 può essere bene approssimato dalla media geometrica r1 r2 da cui: L G r 1 1 r M m r1 r2 G M m 1 2 G M m r1 r2 r1 r2 r1 r2 r2 r1 Anche stavolta troviamo che il lavoro è dato dalla differenza di due quantità espresse mediante la medesima formula: L GM m GM m GM m GM m r2 r1 r1 r2 possiamo cioè definire una grandezza fisica della forma: U r GM m r 32 che dipende unicamente dalla posizione e che definiremo “energia potenziale gravitazionale”. Perciò: L U1 U 2 U 2 U1 U Come nel caso del Lavoro effettuato in presenza di forza elastica, anche qui il lavoro è dato dalla differenza tra l’energia potenziale iniziale e quella finale; anche qui l’intensità della forza gravitazionale è proporzionale all’opposto della variazione di energia potenziale, come può essere facilmente calcolato. Possiamo perciò dedurre che anche le forze gravitazionali sono conservative e conseguentemente vale anche per esse il principio di conservazione dell’energia meccanica . M = Energia potenziale gravitazionale 2 r r 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 100 121 144 169 196 225 256 289 324 361 400 441 484 529 576 625 676 729 784 841 900 961 1024 1089 1156 1225 1296 1369 1444 1521 1600 1/r 2 0,01 0,008264 0,006944 0,005917 0,005102 0,004444 0,003906 0,00346 0,003086 0,00277 0,0025 0,002268 0,002066 0,00189 0,001736 0,0016 0,001479 0,001372 0,001276 0,001189 0,001111 0,001041 0,000977 0,000918 0,000865 0,000816 0,000772 0,00073 0,000693 0,000657 0,000625 U=-GMm/r 10000 m = Kg 70 k=GMm= Kg 700000 Nm2 2 -7000 -5785,124 -4861,111 -4142,012 -3571,429 -3111,111 -2734,375 -2422,145 -2160,494 -1939,058 -1750 -1587,302 -1446,281 -1323,251 -1215,278 -1120 -1035,503 -960,2195 -892,8571 -832,3424 -777,7778 -728,4079 -683,5938 -642,7916 -605,5363 -571,4286 -540,1235 -511,3221 -484,7645 -460,2235 -437,5 Energia potenziale gravitazionale 0 0 5 10 15 20 25 30 35 -1000 -2000 -3000 -4000 Serie2 Serie3 -5000 -6000 -7000 -8000 Come potesi evincere dal grafico, l’energia potenziale risulta diventare sempre più bassa (negativa) man mano che la distanza tra i centri delle due masse si riduce. In tale contesto, se v indica la velocità del corpo di massa m , per il principio di conservazione dell’energia meccanica si potrà scrivere: E 1 M m m v2 G costante 2 r Prima di analizzare il comportamento energetico del sistema osserviamo cosa succede all’energia potenziale nel caso in cui M sia la massa terrestre ed m (<<M) la massa di un grave in caduta libera in prossimità della superficie terrestre . Se R indica il raggio terrestre ed h la sua altezza rispetto alla superficie, la distanza tra i loro centri sarà r=R+h. Nel passare da R+h ad R il corpo subirà una variazione di energia potenziale: 33 U G M m M m 1 h 1 G G M m G M m R Rh R R h Rh R essendo h << R si può trascurare h rispetto ad R, ovvero R+h R , per cui a maggior ragione dev’essere R (R+h) R2 , mentre si che dev’essere: g GM ovvero G M g R 2 2 R per cui sostituendo nell’espressione di U : U g R 2 m h m g h R2 Conseguenza: l’energia potenziale gravitazionale in prossimità della superficie terrestre è direttamente proporzionale all’altezza. Osservate che se il profilo dell’altezza varia come quello di una montagna russa (unione di più parabole che si alternano con la concavità rivolta verso il basso e verso l’alto in una continua successione di massimi e minimi), l’energia potenziale del corpo (il carrello) che si muove lungo tale profilo, essendo proporzionale all’altezza, avrà lo stesso grafico e ad ogni “buca” del grafico dell’altezza corrisponderà una “buca” dell’energia potenziale corrispondente ad una posizione di equilibrio stabile in modo identico al grafico dell’energia potenziale elastica. Possiamo ora analizzare la struttura delle orbite di un corpo celeste in prossimità di un corpo di massa maggiore a partire dall’equazione dell’energia meccanica. Ricordiamo che secondo tale principio esiste una grandezza fisica, detta energia meccanica, che nel caso in cui un corpo sia soggetto a forze di tipo conservativo si conserva durante il moto del corpo. Nel caso di corpo soggetto ad un campo gravitazionale, si dirà che la sua traiettoria (od orbita) in prossimità di un corpo di massa maggiore sarà proprio caratterizzata da un valore prefissato e costante della sua energia meccanica. Abbiamo inoltre visto che nel caso di traiettoria chiusa (circolare od ellittica), in assenza di forze esterne si conserva anche un’altra quantità: il momento angolare del corpo che ruota attorno al corpo centrale. In accordo con quanto preannunciato nella trattazione delle orbite dell’oscillatore armonico, si può così asserire che in corrispondenza di valori prefissati di energia e di momento angolare si deve avere una sola orbita possibile. Perciò nel caso di un sistema costituito da due corpi celesti interagenti tra loro, in cui l’orbita del corpo di massa minore sia chiusa, si può dire che a ciascun valore fissato dell’energia di tale corpo (quello di massa minore) e del suo momento angolare deve corrispondere una sola distinta orbita in prossimità del corpo di massa maggiore: infatti se così non fosse , il corpo non saprebbe scegliere su quale delle orbite saltare e la legge fisica non avrebbe alcun carattere preditivo o di univocità. I sistemi per i quali è possibile invece una situazione del genere si chiamano “sistemi caotici”. 34 In sostanza stiamo affermando che l’energia meccanica totale ed il momento angolare totale nel caso di orbite chiuse di un corpo soggetto ad interazione gravitazionale, essendo le costanti di moto del corpo (mantenendosi cioè invariate nel corso della sua orbita) determinano in modo univoco l’orbita del corpo stesso. Il problema finale è: come capire quando il corpo celeste compie attorno all’altro un’orbita chiusa o un’orbita aperta? Ovvero, come si fa a sapere se il corpo ripasserà sulla medesima posizione come nel caso della Terra attorno al Sole oppure non tornerà più come nel caso di un asteroide o cometa passeggeri? A tale domanda si può rispondere solo analizzando l’equazione dell’energia meccanica. Supponiamo che un corpo di massa m compia un’orbita chiusa circolare intorno al corpo di massa M >> m ad una distanza dal centro pari ad r e con una velocità costante v. Esso sarà soggetto ad una forza gravitazionale d’intensità: F G M m r2 poiché inoltre esso esegue un moto circolare uniforme, esso sarà soggetto ad una forza centripeta pari a: Fc m v2 r e poiché non esistono altre forze in gioco le due forze devono coincidere: G M m v2 m r r2 moltiplicando entrambi i membri per r/2 si ottiene l’espressione dell’energia cinetica: K 1 M m m v2 G 2 2r l’espressione dell’energia totale sarà così: E G M m M m M m G G 0 2r r 2r conseguenza: l’energia totale di un corpo che si muove in una orbita chiusa circolare è sempre negativa. L’eguaglianza tra forza gravitazionale e forza centripeta fornisce anche le condizioni a cui deve soddisfare la velocità del corpo per eseguire un’orbita circolare di raggio r: v GM r 35 Il risultato dell’energia totale di un corpo in orbita circolare chiusa può essere esteso a tutte le orbite chiuse prodotte a causa della presenza di forze conservative : L’energia totale è negativa per ogni orbita chiusa Cosa significa tutto ciò? Significa che se l’energia cinetica iniziale di un corpo celeste che entra nel campo gravitazionale generato da un altro corpo è inferiore all’energia potenziale della sua posizione iniziale allora di certo la sua orbita sarà chiusa: il corpo cioè continuerà a girare attorno all’altro fino alla notte dei tempi (Apocalisse?bo!), sempre nel contesto delle approssimazioni fin qui effettuate. La condizione generale affinché un corpo percorra una orbita chiusa perciò è: K U Nel caso particolare di interazioni gravitazionali la condizione sarà: 1 M m m v2 G 2 r eliminando m dall’equazione: v2 2G M r ovvero: 0v 2G M r condizione che deve soddisfare la velocità del corpo perché esso non sfugga al campo gravitazionale generato dall’altro. Il valore estremo e positivo di tale velocità si chiama velocità di fuga: vf 2G M r in corrispondenza di esso l’energia cinetica eguaglia l’energia potenziale facendo sì che l’energia totale sia nulla: per tutti i valori di velocità maggiori della velocità di fuga il corpo potrà così sfuggire al campo gravitazionale e la sua orbita sarà necessariamente aperta. In particolare, in corrispondenza del valore della velocità di fuga esso si muoverà secondo un’orbita parabolica, mentre per velocità maggiori di tale valore eseguirà un’orbita iperbolica. 36 Conclusioni….. La teoria Newtoniana sembra funzionare bene, quando si tratta di descrivere le interazioni tra due corpi celesti, considerando il contesto in cui uno dei corpi possieda una massa talmente grande da produrre un campo gravitazionale tale da condizionare in modo “pesante” sul moto dell’altro più piccolo; quando però le masse dei corpi cominciano ad essere di dimensioni confrontabili cominciano a verificarsi deviazioni di vario genere: ad es. nel caso del sistema Terra-Luna il campo gravitazionale prodotto dalla Luna sulla Terra è talmente forte da produrre l’effetto di “alta” e ”bassa” marea, con conseguenti modifiche anche per quanto concerne il momento angolare della rotazione terrestre attorno al proprio asse a causa delle forze d’attrito prodotte dal movimento delle acque dei mari e oceani sulla superficie terrestre ad opera delle maree medesime e dunque anche di quello lunare. Ciò potrebbe determinare una modifica della distanza Terra-Luna nel corso delle migliaia di anni a seguire. A questi effetti vanno poi aggiunte le influenze delle interazioni gravitazionali prodotte dagli altri corpi celesti quali il Sole egli altri pianeti……insomma tutte queste perturbazioni determinano delle deviazioni rispetto alla teoria esatta. In realtà tali effetti, a livello cosmologico non disturbano più di tanto la pace dei “fautori” del “Demiurgo Platonico” e di tutti i meccanicisti che considerano l’Universo regolato da leggi fisico-matematiche (magari di ispirazione divina…), infatti in soccorso a tali problemi viene il teorema di un famoso fisico-matematico vissuto a cavallo tra la fine 800 ed i primi del 900: Henri Poincarè. Egli elaborò un teorema assieme ad un tale Benedixon detto : Teorema di Poincarè-Benedixon della stabilità strutturale: l’orbita chiusa e periodica di un sistema fisico (es. un corpo celeste) non viene sostanzialmente alterata da una perturbazione “piccola” rispetto al campo che ha causato la generazione dell’orbita stessa. Naturalmente questo è più o meno il senso del teorema che, per ragioni didattiche non enunciamo in modo rigoroso….. I problemi connessi alla teoria di Newton sono di gran lunga più spinosi e pare che lo stesso Newton si fosse accorto come ci fosse, nella sua teoria, qualcosa che non funzionasse. Ad es. se il campo gravitazionale e dunque le interazioni gravitazionali ad esso connesse si annullano all’infinito, come fanno esse a raggiungere i vari corpi celesti? È ovvio che tali interazioni, per comunicarsi da un corpo all’altro dovrebbero comunicare ad una velocità altissima; in particolare per comunicarsi in modo istantanea (come previsto dalla teoria di Newton) dovrebbero propagarsi ad una velocità infinita. Altro problema: si è parlato di interazioni quando si ammetta almeno l’esistenza di due corpi capaci di interagire tra loro; cosa succede quando esiste un corpo solo? Ha senso parlare di corpo isolato? In particolare quanto vale l’interazione prodotta da un corpo su se stesso? Dalla legge di Newton sembrerebbe infinita, il che non ha molto senso.. 37 Il primo problema sarà risolto dalla Teoria della Relatività Generale di Einstein ai primi del 900, la quale impone un limite alla velocità massima raggiungibile da un corpo materiale (che è la velocità della luce) ed unisce le interazioni gravitazionali allo spazio ed al tempo (intesi come grandezze fisiche), mentre il secondo problema sarà risolto dalla Meccanica Quantistica Relativistica, verso la seconda metà del 900, la quale stabilisce l’inesistenza di corpi “isolati” in natura; peccato che le due teorie si sono rivelate finora incompatibili tra loro….. 38