scarica qui la relazione di Giovanni Aliotta

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I Dilemmi della Bioetica Ambientale
Giovanni Aliotta - Dipartimento di Scienze della Vita, Seconda Università di Napoli, Sede di Caserta.
Centro Interuniversitario per la Ricerca Bioetica, Napoli.
Il progresso scientifico e tecnologico degli ultimi decenni ha avuto un influsso positivo sul
nostro modo di vivere, ma ha anche dilatato i nostri bisogni, inducendoci a considerare
l’ambiente come se questo fosse capace di adattarsi alle nostre esigenze e non viceversa. Da qui
le catastrofi ecologiche provocate dall’uomo. Il pericolo e la sfida che oggi l’umanità deve
affrontare è che i principali problemi ambientali quali la crescita demografica, l’eccessivo
sfruttamento delle risorse naturali e l’inquinamento, sono fra loro collegati e, fatto ancora più
grave, crescono in maniera esponenziale (1). Questi temi furono trattati per la prima volta in sede
politica alla Conferenza delle Nazioni Unite sull'Ambiente, tenutasi a Stoccolma nel 1972, dove
si prese coscienza dell’esigenza di avere
principi comuni che guidassero i popoli nella
salvaguardia e nella valorizzazione dell’ambiente. Occorsero però venti anni per giungere alla
Convenzione di Rio de Janeiro dove la Commissione Mondiale delle Nazioni Unite per lo
Sviluppo e l’Ambiente indicò due possibili rimedi al dissesto ecologico: la salvaguardia della
biodiversità e lo sviluppo sostenibile. Secondo la Convenzione di Rio, sottoscritta da 170 Paesi
(ma non dagli Stati Uniti), i termini biodiversità e sviluppo sostenibile indicano rispettivamente:
la varietà di forme di vita in tutte le sue manifestazioni ed un uso sostenibile delle risorse
biologiche, che assicuri un miglioramento della qualità della vita nei limiti consentiti
dall’ambiente (2,3). Su ampia scala, la maggiore difficoltà dello sviluppo sostenibile è quella di
integrare tre aspetti fondamentali: economico, ambientale e etico.
Sostenibilità economica: salvaguardia del capitale economico
Il concetto di sostenibilità economica era già presente nel pensiero economico classico
(1750-1870). Thomas Malthus nel “Saggio sui Principi della Popolazione” affermava che la
popolazione umana aumentava così rapidamente che ben presto le riserve alimentari non
sarebbero state più sufficienti. John Mill sottolineò che per preservare il benessere dell’umanità
si doveva proteggere l’ambiente (Natura) dallo sfruttamento indiscriminato. Oggi sia Mill che
Malthus non godono della stima degli economisti, che sono più propensi a seguire l’ottimismo
tecnologico di David Ricardo, un altro economista classico. Ricardo riteneva che il progresso
scientifico avrebbe ritardato il momento in cui le risorse necessarie alla popolazione fossero
superiori a quelle disponibili in natura. Attualmente, la maggior parte degli economisti valuta
l’ambiente solo come fonte di consumo per l’uomo e di utilità per promuovere la crescita
economica. Due aspetti chiave del pensiero economico sono la sostituzione ed il consumo.
Se un dato bene o servizio non sarà più disponibile in futuro, gli economisti ritengono che
l’ingegno umano sarà capace di fornire un sostituto adeguato. Il benessere è correlato in modo
positivo alla capacità di consumo. Recentemente, alcuni economisti come Haavelmo, Hansen,
Tinbergen ed Hueting, insigniti dal premio Nobel, hanno ripudiato la crescita economica
dipendente dalla quantità di materiale in trasformazione e dal suo consumo, per lo sviluppo
sostenibile, che implica una crescita economica inferiore ma più attenzione alla salvaguardia
degli ecosistemi. “Gli economisti dissidenti” hanno rivolto un pressante appello agli scienziati,
certamente poco consultati nelle scelte politiche, a divulgare le loro conoscenze (4).
Sostenibilità ambientale: salvaguardia del capitale naturale
La tutela del capitale naturale costituito da acqua, aria, suolo e biodiversità è diventata il
punto di maggiore costrizione per il progresso dell’umanità. Condizione indispensabile per la
sostenibilità ambientale è che l’utilizzo delle risorse rinnovabili non superi la loro capacità
rigenerativa e che i rifiuti dei processi produttivi siano nei limiti della capacità assimilative di un
dato habitat. Alcuni esempi:
- La biomassa dell’intera vegetazione del Globo è stimata a 1800 miliardi di tonnellate
(capitale) e produce annualmente circa 1500 miliardi di tonnellate di nuova materia organica, pari
al 6%. Questi dati possono fornire qualche indicazione se paragonati ad un deposito bancario
laddove la biomassa corrisponde al capitale depositato e la produzione annuale di nuova materia
organica all’interesse annuo del capitale. Oggi, il 6%
nel mercato monetario rappresenta un
ottimo reddito che si raggiunge solo a fronte di investimenti rischiosi. C’è però una differenza
fondamentale tra il deposito bancario e la biomassa vegetale: il primo fornisce un reddito che può
essere capitalizzato, invece la produzione dei vegetali viene anno per anno consumata dall’uomo
e dagli erbivori per i loro bisogni, oppure con la caduta delle foglie, dagli incendi, dalla
desertificazione ed altre cause. Per questo la biomassa vegetale resta praticamente invariata nel
tempo, o addirittura diminuisce, nonostante la sua elevata produzione (5).
- L’aumento della temperatura su scala mondiale per l’effetto serra è dovuto
all’immissione annuale nell’atmosfera da parte dell’uomo, di 6.2 – 9.7 miliardi di tonnellate di
anidride carbonica, di queste solo 4 sono riassorbite dagli oceani e dalla vegetazione terrestre per
effettuare la fotosintesi. Possibile rimedio: riforestare un’area grande quanto l’Europa!
- Altre preoccupazioni vengono dalla diminuzione di risorse non rinnovabili quali
petrolio, gas naturale e minerali metallici (1).
2
Sostenibilità sociale: salvaguardia dei valori bioetici.
Negli ultimi anni si è affermata una disciplina con una nuova specificità culturale: la bioetica,
definita come “Lo studio sistematico della condotta umana nell’area delle scienze della vita e
della salute, esaminata alla luce dei valori e dei principi morali”. Tale definizione comprende in
una visione globale e interdisciplinare, lo studio della promozione della qualità della vita
dell’uomo e degli ecosistemi così come proposto da alcuni pionieri di questa disciplina (6). Il
biochimico americano Van Renssealer Potter, influenzato dagli studi del forestale Aldo Leopold
coniò il termine bioetica nel 1970, rafforzando il convincimento che la sopravvivenza e la salute
dell’uomo dipendono dalla protezione degli ecosistemi. Successivamente, Potter ha proposto una
bioetica globale, come scienza della sopravvivenza, che deve poter definire ciò che è giusto e ciò
che è sbagliato in termini di protezione della biosfera (7,8).
Bastano questi pochi accenni per capire gli scenari, complessi ed articolati, che si aprono
quando si analizza il complesso rapporto fra economia, ambiente ed etica e quanto sia difficile
l’integrazione dei tre aspetti. Tale complessità è rappresentata nell’immagine paradossale in
figura 1.
Economia
Etica
Ecologia
Figura 1. L’immagine rappresenta un oggetto che non può esistere nel mondo reale. Il problema per l’osservatore
consiste nel determinare la posizione del dente di mezzo. Se si guarda la parte destra della figura, i tre denti
appaiono tutti sullo stesso piano; sembrano cioè condividere la medesima relazione di profondità. Tuttavia, se si
osserva la parte sinistra, il dente che rappresenta l’etica sembra giacere su un piano più basso di quello su cui stanno
i due esterni. Saranno l’economia, l’etica e l’ecologia riconosciute sullo steso piano di dignità? (11).
Occorre che su questo tema il dibattito sia il più ampio possibile a livello globale e locale, e che
ci sia un maggiore coinvolgimento degli scienziati consapevoli che la rivoluzione biologica in
atto non può prescindere dagli aspetti bioetici e giuridici (9,10).
In questo articolo analizzeremo le implicazioni bioetiche della più importante risorsa naturale
rinnovabile: il patrimonio vegetale, focalizzando l’attenzione sulla necessità di tutelare la
biodiversità vegetale e sui benefici, gli interrogativi ed i rischi delle piante transgeniche in
agricoltura.
3
L’importanza biologica della diversità
Il più caratteristico aspetto della vita è la sua diversità, presente in tutti i livelli di
organizzazione dei sistemi biologici: esiste una diversità molecolare, ultrastrutturale, cellulare,
tissutale, una diversità a livello degli organi, degli individui, delle popolazioni, delle comunità,
degli ecosistemi e dei paesaggi. La varietà delle forme di vita sul nostro pianeta, oggi stimata
intorno al milione e mezzo di specie, si è sviluppata in un arco di tempo valutato 3,8 miliardi di
anni e si è distribuita in modo disomogeneo, dipendendo fortemente dal tipo di habitat e dalle
condizioni climatiche. Ad esempio, l’ambiente più ricco di phyla (la categoria sistematica più
ampia) è quello marino, segue quello terrestre e, da ultimo, quello di acqua dolce; invece,
l’ambiente più ricco di specie (popolazioni interfeconde di individui) è quello terrestre, essendo
abitato, tra l’altro, da numerosissime specie di insetti. Inoltre, una foresta boreale di conifere è
costituita da poche specie adatte a sopportare temperature proibitive, mentre, alla nostra
latitudine, in un ettaro di foresta troviamo circa 60 specie vegetali, che diventano 150 in un ettaro
di foresta tropicale. (2)
Constatato ciò, è lecito chiedersi come si sia giunti a tale diversità e perché sia importante
salvaguardarla.
L’origine delle specie per selezione naturale, ovvero la conservazione delle razze più
favorite nella lotta per la vita, pubblicata da Charles Darwin nel 1859, fornisce una risposta alla
prima domanda. La teoria darwiniana si impernia su tre inferenze basate su cinque fatti, derivati
a loro volta, in parte dall’ecologia di popolazione ed, in parte, dai fenomeni dell’eredità.
Fatto 1. Tutte le specie hanno una fertilità potenziale così elevata che le dimensioni delle loro
popolazioni dovrebbero crescere esponenzialmente; se tutti gli individui nati si riproducessero
a loro volta con successo.
Fatto 2. Le popolazioni mostrano normalmente stabilità.
Fatto 3. Le risorse naturali sono limitate. In un ambiente stabile esse rimangono relativamente costanti.
Inferenza 1. Poiché gli individui prodotti sono più numerosi di quanto le risorse disponibili possano
sostentare, ma le dimensioni della popolazione rimangono stabili, se ne deduce che deve esserci
una feroce lotta per l’esistenza tra gli individui di una popolazione, che ha come esito la
sopravvivenza soltanto di una parte, spesso molto piccola, della progenie di ciascuna
generazione.
Questi fatti derivati dall’ecologia di popolazione conducono a importanti conclusioni se coordinati con
alcuni fatti genetici.
Fatto 4. Non esistono neanche due individui che siano esattamente uguali; al contrario, ogni popolazione
mostra una enorme variabilità.
Fatto 5. Gran parte di questa variabilità è ereditabile.
Inferenza 2. La sopravvivenza nella lotta per l’esistenza non è casuale, ma dipende in parte dalla
costituzione ereditaria degli individui che sopravvivono. Questa ineguale sopravvivenza
costituisce il processo di selezione naturale.
Inferenza 3. Nel corso delle generazioni questo processo di selezione naturale condurrà a un continuo
cambiamento graduale delle popolazioni, cioè all’evoluzione e alla produzione di specie nuove.
4
Al momento, la teoria darwiniana offre il modo più completo e pratico con il quale ci si può
avvicinare a tutta quanta la biologia. Se questo concetto è valido, gli esseri umani e tutte le altre
forme viventi esistono allo scopo di riprodursi; la riproduzione è il significato biologico della
vita. Inoltre, la teoria dell’evoluzione come selezione naturale implica che tutte le caratteristiche
di un organismo abbiano una storia, nella quale la selezione naturale può aver giocato un ruolo.
Sarebbe auspicabile che la comprensione del meccanismo della selezione naturale fosse parte
della preparazione scolastica di ciascuno, la teoria migliore perché possiamo godere del mondo
attorno a noi (12).
Secondo il premio Nobel Christian de Duve, abbiamo raggiunto una fase cruciale nella
storia della vita. L’aspetto della Terra è cambiato in modo sensazionale nelle ultime migliaia di
anni e sta cambiando in modo sempre più veloce. Avvenimenti che avrebbero richiesto lo spazio
di mille generazioni, ora avvengono nell’arco di una sola generazione. L’evoluzione biologica è
su una rampa di lancio che può condurre ad una preoccupante instabilità. In un certo senso, il
nostro tempo si richiama ad uno dei maggiori cambiamenti nel corso dell’evoluzione che è stato
caratterizzato da molte estinzioni. Ma c’è una differenza. La causa dell’instabilità non è dovuta
all’impatto di un grande asteroide o ad un altro evento incontrollabile. La perturbazione è dovuta
alla vita stessa, attraverso l’operato di una sua creatura, una specie di grandissimo successo che
sta colonizzando ogni angolo del pianeta con forza crescente, soggiogando ed assoggettando il
mondo. Per la prima volta, inoltre, nella storia della vita, la selezione naturale è stata sostituita,
anche se solo parzialmente, dall’intervento volontario di un membro della biosfera. I fatti sono
davanti a noi, chiari e senza possibilità di errore. Ognuno può leggere il messaggio e trarre le
dovute conclusioni.
La scomparsa di una specie dal mondo è un’irrimediabile perdita di informazioni preziose,
l’equivalente biologico dell’incendio della biblioteca di Alessandria nel 641. E’ la distruzione di
gran parte del libro della vita prima che se ne abbia la possibilità di leggerlo, è la perdita
definitiva di anelli dell’evoluzione biologica e della nostra storia. Anche risorse potenzialmente
utilissime dal punto di vista pratico potrebbero essere perse. Con il depauperamento quotidiano
della biosfera, una importante fonte di cibo, o una molecola che avrebbe potuto curare la malaria
o l’AIDS, o qualche altra risorsa, potrebbe svanire per sempre (13).
5
Misura e Benefici della Biodiversità Vegetale
La definizione di biodiversità formulata a Rio sintetizza in modo efficace un processo
molto complesso, ma non fornisce indicazioni sulla sua valutazione, che risulta molto difficile.
La biodiversità è la sorgente dell’evoluzione ed è l’essenza stessa degli ecosistemi, per cui la sua
misura sta (o dovrebbe stare) alla base della pianificazione della gestione del territorio. In
sostanza, con la biodiversità si vuole misurare il successo dei viventi mediante l’evoluzione, un
obbiettivo ambizioso, ma per il quale oggi si hanno alcune premesse interessanti (14).
In un dato ambiente la biodiversità può essere valutata in base a tre criteri: ecologico, genetico e
tassonomico (tabella 1). Attualmente, gli ecologi ritengono che il numero delle specie presenti in
un dato ambiente, sia una unità di misura attendibile della sua biodiversità. Sebbene ancora si
discuta, se in una data area, le specie rare e comuni, oppure quelle autoctone ed introdotte
abbiano la stessa importanza, i tassonomi hanno mostrato che esiste una sufficiente correlazione
tra il numero di specie presenti in un habitat e la sua biodiversità complessiva (2). La tabella 2
mostra la stima della biodiversità sul nostro pianeta.
Gli organismi che popolano la Terra contribuiscono al benessere dell’uomo in vari modi. L’uomo
ricava da essi beni e prodotti indispensabili alla sua vita: cibo, farmaci, fibre, legno,risorse
genetiche per la domesticazione di piante e animali, agenti di lotta biologica contro gli organismi
nocivi. Alle specie che forniscono questi beni può essere attribuito un valore economico. Ad altre
specie quali per esempio gli insetti selvatici responsabili dell’impollinazione di piante coltivate,
può essere attribuito un valore economico indiretto. Anche il valore monetario dell’ecoturismo è
facilmente definibile. I flussi di energia e di materiali mediati dagli organismi forniscono una
serie di servizi di supporto della vita, che sono responsabili del benessere dell’umanità:
-
la regolazione della concentrazione dei gas ad effetto serra nell’aria (anidride carbonica e
metano);
-
la depurazione dell’acqua, dipendente dall’attività dei microrganismi decompositori;
-
il controllo dell’erosione del suolo, dipendente essenzialmente dalla copertura vegetale;
-
la formazione del suolo attraverso l’alterazione delle rocce e l’accumulo di materia
organica. Questi ed altri servizi ecosistemici non hanno un valore di mercato pur avendo un
ruolo essenziale anche nella produzione di beni commerciabili. La perdita di biodiversità
può avere conseguenze negative sul funzionamento e sulla stabilità degli ecosistemi, come
pure sui servizi ecosistemici e, a ricaduta sulle attività economiche e sociali dell’uomo (15).
Prendendo in esame il mondo vegetale, l’urgenza della conservazione della biodiversità è
motivata dalle seguenti considerazioni:
- 60.000 specie vegetali sono minacciate di estinzione;
6
- l’uomo dipende, per il 90 % del fabbisogno alimentare, solo da 20 specie vegetali, la cui
diversità genetica sta subendo un forte declino;
- molte specie, come quelle che forniscono legni pregiati e sostanze medicinali vengono
prelevate dagli ambienti naturali a un ritmo non sostenibile;
-
non è stato ancora esaminato il potenziale interesse agro-industriale di molte piante
spontanee (11,16).
Tabella 1- Gli elementi della biodiversità (17)
DIVERSITA’
ECOLOGICA
Biomi
Bioregioni
Paesaggi
Ecosistemi
Habitat
Nicchie
Popolazioni
GENETICA
Popolazioni
Individui
Cromosomi
Geni
Nucleotidi
TASSONOMICA
Regni
Phyla
Classi
Ordini
Famiglie
Generi
Specie
Sottospecie
Popolazioni
Tabella 2 – Tipi di organismi descritti e stimati sulla Terra
(18)
Specie descritte
Specie stimate
(x 1000)
(x 1000)
Virus
4
400
Batteri
5
1000
Funghi
72
1500
Alghe
40
400
Piante
270
320
Molluschi
70
200
Nematodi
25
400
Artropodi
1065
9000
Cordati
45
50
7
Agricoltura, Piante transgeniche e Biodiversità
L’agricoltura è il complesso di conoscenze scientifiche, metodi, tecniche ed operazioni pratiche,
evolutesi per millenni in diversi centri di origine, volte a migliorare le caratteristiche di un
gruppo di specie vegetali che chiamiamo colture (dal latino colere = raccogliere). Le malerbe
costituiscono l’altro gruppo non voluto di specie vegetali presenti nei campi agricoli. Benché non
seminate dall’uomo le malerbe sono bene adattate agli ambienti antropizzati e sono sempre state
associate alla domesticazione delle piante. L’agricoltura si evolve, come altri settori, rispondendo
a tre imperativi essenziali:
- autosostenersi, ossia essere in grado di produrre derrate sufficienti a garantire la continuità
dell’attività economica;
- fornire derrate convenienti, in quantità, qualità e diversità tali da soddisfare le esigenze ed
assicurare il benessere del consumatore;
- custodire le risorse su cui fonda la sua esistenza e contribuire, più in generale, a sostenere le
risorse –suolo, acqua e biodiversità- e gli equilibri che assicurano la vita del pianeta.
Sin dai tempi più antichi gli agricoltori hanno focalizzato la loro attenzione su poche specie che
risultavano economicamente redditizie e più adatte alla coltivazione (es. cereali e legumi).
L’utilizzazione prolungata di queste piante e la continua selezione artificiale che sin dall’inizio
l’uomo effettua su di esse, hanno determinato la domesticazione di tali colture. L’esempio più
straordinario è quello della specie selvatica Brassica oleracea che, come risultato dell’influenza
dell’uomo, è stata modificata in vari modi, es. broccoli, cavolfiore, cavolini di Bruxelles, rapa e
cavolo cappuccio. Conseguentemente alla domesticazione, le piante subiscono profonde
modificazioni a livello di quelle parti che presentano maggiore interesse per l'uomo, diventando
però più vulnerabili agli attacchi delle specie infestanti. Così, se si tratta di un cereale, le
modifiche sono rivolte in particolare ad aumentare le dimensioni della spiga ed i ‘semi’ che essa
contiene.
I semi rappresentano da sempre la più importante fonte dell’umanità ma anche l’unità di
dispersione delle piante. Essi sono costituiti da tre parti: tegumento, tessuto di riserva
(endosperma) ed embrione, aventi tre corredi genetici diversi che devono necessariamente
integrarsi al momento della germinazione per facilitare la vita della pianta. Purtroppo, la migliore
integrazione al momento della germinazione è quella attuata dai numerosi semi delle specie
infestanti, che sovrastano quelle coltivate (19, 20).
Le basi fondamentali per il controllo delle piante infestanti i campi agricoli implicano le seguenti
conoscenze: le specie presenti ed il livello di infestazione; la biologia e l’ecologia delle specie
prevalenti; l’interferenza con le colture; i metodi di controllo che garantiscono la sicurezza
8
alimentare ed ambientale.
Per capire perché le specie infestanti sono sempre state associate alle colture e perché talvolta
possono ibridarsi con esse, facciamo alcune considerazioni sulle peggiori piante infestanti al
mondo, riportate in tabella 3. Alcune di esse sono geneticamente affini a quelle coltivate avendo
progenitori comuni (es. Avena fatua e Avena sativa, Sorghum halepense e Sorghum vulgare),
inoltre i semi
del giavone, del farinaccio selvatico e dell’amaranto sono stati, in passato,
importanti fonti di cibo, mentre la porcellana è una specie alimentare e medicinale. Ci sarebbe da
chiedere perché chiamiamo malerbe queste specie che in molti casi sono delle potenziali risorse.
La risposta è che esse crescono nel posto sbagliato! La loro storia naturale ci insegna che esse
hanno evoluto ingegnose strategie nei campi coltivati e negli altri habitat antropizzati. Infatti, una
tipica specie infestante produce migliaia di piccoli semi per singola pianta, ha una crescita
veloce, resiste alla rimozione manuale per la sua radice fittonante e spesso ha un ciclo vitale
annuale. Se a questo aggiungiamo che il numero dei semi delle infestanti in un suolo agricolo al
momento dell’aratura può raggiungere il milione per metro quadro, si intuisce che nessuna pianta
coltivata può prosperare senza l’aiuto dell’uomo. Pertanto i campi privi di malerbe e ed i raccolti
non infestati da parassiti, rappresentano il sogno di
ogni contadino fin dalla nascita
dell’agricoltura (21).
Tabella 3. Le peggiori malerbe del mondo (22).
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
Specie e Famiglia
Origine e Diffusione
Cyperus rotundus L.
(Zigolo infestante) - Cyperaceae
Cynodon dactylon (L.) Pers.
(Gramigna) - Gramineae
India - Subcosmopolita nella fascia
tropicale e subtropicale
Africa tropicale - Subcosmopolita nella
fascia tropicale e subtropicale
Echinochloa crus-galli (L.) Beauv.
(Giavone) - Gramineae
Eleusine indica (L.) Gaertner
(Gramigna indiana) - Gramineae
Sorghum halepense (L.) Pers.
(Sorgo) - Gramineae
Imperata cylindrica (L.) Beauv.
(Falasco) - Gramineae,
Eichhornia
crassipes
(Mart.)
Solms.
(Giacinto
d’acqua)
Pontederiaceae
Portulaca oleracea L.
(Porcellana) - Portulacaceae
Chenopodium
album
L.
(Farinaccio) Chenopodiaceae
Digitaria sanguinalis (L.) Scop.
(Sanguinella) - Gramineae
Convolvulus arvensis L.
(Vilucchio) - Convolvulaceae
Avena fatua L.
(Avena selvatica) - Gramineae,
Amaranthus
retroflexus
L.
(Amaranto) - Amaranthaceae,
Europa, India - Termocosmopolita
Asia - Termocosmopolita
Regione
Mediterranea
Termocosmopolita
Eurasia - Subcosmopolita nella fascia
tropicale e subtropicale
Amazzonia Subcosmopolita nella
fascia tropicale e subtropicale
Sud Europa, Nord Africa Termocosmopolita
America - Termocosmopolita
Europa - Termocosmopolita
Europa - Cosmopolita
Eurasia - Subcosmopolita
America - Termocosmopolita
9
La rivoluzione verde degli anni sessanta, che prevedeva l’uso di semi selezionati, fertilizzanti e
pesticidi ha esaurito i suoi benefici, perché la resistenza delle piante infestanti agli erbicidi ha
portato ad un aumento dei costi per la produzione dei raccolti ed a una crescente preoccupazione
per gli effetti dei pesticidi sulla salute umana e per l’ambiente, Inoltre, la percentuale del numero
dei lavoratori impegnati nell’attività agricola è diminuita drasticamente fino al 2-3 %. Appare
ovvio che una forza lavoro così piccola non può che essere compensata da una massiccia
industrializzazione e da sistemi innovativi. Ciò ha indotto produttori e scienziati a cercare nuove
strategie basate su processi biotecnologici ed ecologici.
Il termine biotecnologia venne coniato nel 1917 dall’ingegnere ungherese Karl Ereky per
indicare processi di lavorazione di prodotti agricoli per alimentazione zootecnica. Con
l’avanzamento delle conoscenze dei processi biologici e le conseguenti applicazioni tecniche,
oggi il termine indica l’utilizzazione programmata su scala industriale di sistemi biologici
(microrganismi, cellule animali e vegetali e loro enzimi) per la produzione di beni e servizi.
Per produrre nuove vantaggiose associazioni di fattori genetici, invece di dipendere dalla
ricombinazione casuale tra un grande numero di geni, il metodo molecolare consente di inserire
nell’insieme delle informazioni genetiche di una pianta, sequenze di DNA portatrici di specifici
caratteri ottenendo una specie transgenica, denominata anche, meno propriamente organismo
geneticamente modificato (OGM). Si riducono così i tempi della selezione, si conservano le
caratteristiche vantaggiose del genotipo originario e vi si aggiungono singoli geni di cui il
genotipo era carente, rendendo così possibile modificare in modo preciso e minimale il genoma.
Il metodo consente anche lo scambio di geni tra organismi sessualmente incompatibili come
batteri e piante, aumentando così drasticamente le potenzialità di utilizzare la diversità biologica
naturale. Un esempio sono le piante transgeniche resistenti ai diserbanti e/o insetti. Entrambe le
modificazioni sono state effettuate inserendo geni batterici che non interferiscono con il
metabolismo della pianta e quindi non influenzano negativamente il suo sviluppo e la sua
produzione. Le specie più importanti trasformate per questi due caratteri sono: mais, soia, cotone,
tabacco, patata e colza. La produzione è concentrata perlopiù negli Stati Uniti, Argentina,
Canada, Cina, Brasile e in misura minore Australia, Sudafrica e Messico.
Si è dunque, negli stadi iniziali di una rivoluzione metodologica del miglioramento delle piante.
Se le biotecnologie rappresentano una serie di applicazioni delle conoscenze scientifiche
nell’ambito delle scienze della vita per rispondere all’esigenze dell’umanità nel XXI secolo,
sapere e conoscere la sicurezza d’uso dei ritrovati scientifici e tecnologici è una necessità (23).
Nello specifico, gli OGM sono materia di valutazione nei confronti soprattutto di due esigenze: la
salubrità e le qualità nutrizionali ed organolettiche degli alimenti per la salute fisica e mentale
10
dell’uomo, e quella della tutela dell’ambiente e delle sue risorse. Tale valutazione risulta difficile
e negli ultimi anni è sorta una polemica con toni forti, che vede contrapposti non solo Paesi come
Stati Uniti ed Unione Europea, ma anche gli stessi scienziati. In verità autorevoli istituzioni
scientifiche hanno invitato gli scienziati a considerare gli aspetti etici e sociali del loro lavoro.
Inoltre, si ritiene che solo se tutti i cittadini partecipano al dibattito etico e politico sulle
biotecnologie, si può progredire serenamente evitando sconvolgimenti ed i toni accesi attuali. In
realtà, non ci si deve stancare di ribadire che non basta offrire ad un pubblico, difficilmente
corredato di un sufficiente bagaglio di conoscenze, una serie di dati tecnici preconfezionati, bensì
e necessario porgere e mettere in discussione, con modalità piane ed assolutamente
comprensibili, giudizi scientifici di ispirazione diversa, dei quali va esplicitata con chiarezza la
diversa matrice, purtroppo ciò è complicato anche dalla riservatezza dei dati di tutela della
proprietà industriale degli OGM, tenuto conto che essi sono brevettati (24).
Considerato che la storia della biologia è caratterizzata dalla longevità dei suoi problemi, si pensi
al problema della fecondazione discusso fin dai tempi di Aristotele, lo schema hegeliano di tesiantitesi-sintesi esercita un forte fascino quando si voglia comprendere un dilemma bioetico.
Un’antitesi è destinata a sorgere più facilmente quando la tesi viene enunciata in modo
categorico, e con il confronto tra una tesi ed antitesi, entrambe rigorose, si riesce più facilmente a
focalizzare il problema per poi giungere alla sintesi finale. E’ in questa ottica che presentiamo la
diversa opinione sull’uso delle piante transgeniche in agricoltura di autorevoli scienziati.
Martin J. Chrispeels, direttore del San Diego Center for Molecular Agriculture, sostiene che:
I risultati delle ricerche scientifiche suggeriscono che gli alimenti a base di prodotti agricoli
geneticamente modificati sono sicuri quanto quelli ottenuti con i metodi tradizionali. In realtà, le
colture GM sono rigorosamente testate prima di giungere agli agricoltori; proprio come nel
caso di nuovi farmaci, i test vengono eseguiti dall’industria ma i risultati sono esaminati da
scienziati esperti governativi. Inoltre, anche volendo sostenere la tesi della necessità di
etichettare gli alimenti, sappiamo che le etichette non forniscono sempre informazioni neutre.
Negli ultimi 40 anni, per esempio, molte colture sono state migliorate inducendo delle mutazioni
con agenti chimici e con delle radiazioni. Se questi dati fossero indicati in etichetta, la gente si
sentirebbe tranquilla nell’acquistare tali prodotti? Quante persone sanno valutare tali
informazioni? Alcune persone sostengono che le colture geneticamente modificate siano negative
per l’ambiente, ma per valutare tale affermazione bisogna valutare la situazione nel suo
complesso. L’agricoltura ha un impatto notevole sull’ambiente, e la vera domanda da porsi è: le
colture GM miglioreranno o peggioreranno la situazione? A livello globale, l’agricoltura è la
causa principale del cambiamento ambientale. Sarete sorpresi di questa affermazione, ma la
11
necessità di nutrire sei miliardi di persone ha vari effetti negativi: perdita di ecosistemi naturali,
perdita di biodiversità, erosione dei suoli, eccesso di pesticidi, evoluzione di specie resistenti,
inquinamento delle falde acquifere, accumulo di polveri nell’atmosfera ecc. Nessuno di questi
fenomeni è provocato dagli OGM, ma piuttosto dalla necessità di nutrire una sempre crescente
popolazione mondiale. Ora sappiamo che alcune colture GM possono addirittura ridurre
l’impatto ambientale dell’agricoltura; degli studi condotti di recente dimostrano che negli Stati
Uniti, le colture GM possono indurre un aumento della produzione, una riduzione dell’uso dei
pesticidi e di erbicidi ‘nocivi’, incrementando nel contempo il reddito dell’agricoltore. Tra
l’altro, i vantaggi delle colture GM si possono ottenere sia in piccole che grandi aziende
agricole. Nel decidere se approvare una coltura geneticamente modificata, il legislatore deve
guardare il quadro completo: quale gene è oggetto della modificazione, quale pianta, se
quest’ultima è presente come specie selvatica nel paese in cui viene approvata, quali sono i
benefici potenziali ecc. (25).
Questa tesi molto favorevole all’uso degli colture GM è condivisa da altri ricercatori (26, 27)
ma è confutata da un’altra scuola di pensiero (28, 29), che esprime disaccordo per i seguenti
motivi:
l’ibridazione convenzionale è basata sul trasferimento di geni tra specie affini, mentre
l’ingegneria genetica consente il trasferimento di geni tra organismi geneticamente molto diversi
come batteri e piante, per cui aumenta il aumenta il livello di imprevedibilità;
un nuovo genoma pone relazioni del tutto nuove (data l’eterogeneità del materiale
genetico usato), che non sono state sottoposte a verifica attraverso i naturali processi di
evoluzione biologica (14);
un rischio elevato di trasferire i geni della resistenza agli erbicidi ed agli insetti nocivi,
tramite l’impollinazione ad una specie infestante, esiste laddove si coltiva una pianta transgenica
nella sua area di origine. Come si è detto in precedenza, è in questa area che vivono anche le
specie affini con caratteristiche infestanti. Pertanto, queste ultime potrebbero diventare molto
invasive nell’ambiente a danno della biodiversità;
inoltre, i nuovi geni e le proteine da essi codificate non sono mai stati presenti nelle
piante ad uso alimentare, pertanto pongono problemi anche dal punto di vista della salute, al pari
di altre nuove sostanze (es. additivi di vario genere), che sono presenti negli alimenti e nei nuovi
farmaci ammessi al commercio (28).
In questa situazione di incertezza va anche aggiunta la grave crisi di fiducia sociale per la scienza
e gli scienziati, per cui la comunità scientifica è stata invitata a rispettare gli atteggiamenti e i
valori dei cittadini e a costruire le condizioni per un efficace dialogo con il pubblico, basato su
12
un atteggiamento aperto e positivo nella comunicazione. A livello politico l’Unione Europea
attribuisce molta importanza al Principio di precauzione, che esige un intervento in materia
ambientale per evitare un rischio che, dai dati scientifici e tecnici disponibili, risulta essere solo
possibile e non ancora dimostrato (30). Per i suoi fautori, il principio si risolve nella seguente
posizione: quando l’intensificazione tecnologica è in discussione, e non si hanno garanzie di
completa assenza di impatto ambientale, meglio essere dalla parte della sicurezza che da quella
del rischio. Per gli oppositori il principio limita il ruolo e il contributo della scienza alla
conoscenza dei fenomeni e all’accertamento del rischio effettivo, ed è quindi visto come un
limite al progresso tecnologico.
In Italia, il rapporto sulle biotecnologie vegetali e le varietà OGM della Commissione congiunta
delle Accademie Nazionale dei Lincei e delle Scienze (23), rappresenta un importante contributo
al dibattito in corso e le sue conclusioni indicano che il problema può porsi e risolversi facendo
ricorso alle diverse forme di agricoltura al momento esistenti: convenzionale, integrata, biologica
e molecolare. Nella consapevolezza che siano giudicate espressioni conformi alle leggi della
Natura quelle operazioni scientifiche e tecniche che traducono e valorizzano – mediante azioni
convincenti, condivise ed adottate nel rispetto dei diritti dell’uomo e dell’ambiente – le leggi
stesse ed i fenomeni della Natura’. E’ pertanto utile ripercorrere la storia delle nostre radici
agricole e culturali per rafforzare consapevolezza e conoscenza delle nostre risorse. Il pericolo è
che lo sviluppo globale, spinto dal ritorno economico, trascuri ideali, valori etici ed ecologici.
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