Pubblicità televisiva: Carosello, “La favola del consumo”

annuncio pubblicitario
Pubblicità televisiva:
Carosello, “La favola del consumo”
> di Federica Caniglia*
SOMMARIO
1.1 Considerazioni e analisi sulla pubblicità televisiva
1.2 Carosello: “La favola del consumo”
ABSTRACT
La pubblicità televisiva dimostra come i caratteri di persuasione e di comunicazione del
linguaggio pubblicitario abbiano raggiunto un enorme efficacia con l’avvento della società
di massa. Le riflessioni dei grandi pensatori Baudrillard, Debord e Barthes trovano un
riscontro nella prima favola del consumo creata in Italia dalla televisione: Carosello. I
siparietti pubblicitari della celebre rubrica serale trasmessa per la prima volta il 3 febbraio
del 1957 che ha divertito per un ventennio con le sue storie, piccoli e grandi.
Keywords:
consumo, pubblicità, televisione, carosello
1.1 Considerazioni e analisi sulla pubblicità televisiva
L’esordio della pubblicità in televisione è nel novembre del 1930,
quando il televisore era ancora un primitivo sistema meccanico
costruito in Inghilterra dallo scozzese Baird. La catena di parrucchieri
Eugène che aveva sedi a Londra, Parigi, New York, Berlino e Sidney
utilizzò per la prima volta la primitiva tv per illustrare visivamente i
propri metodi di pettinatura, in una fiera che si teneva a Londra. Per
celebrare l’avvenimento, Eugène acquistò uno spazio pubblicitario
sulla rivista Television, in cui dichiarava «di essere il primo a scoprire
un reale uso commerciale della televisione di Baird, questo eccitante
sviluppo della scienza della comunicazione senza fili». (Aa Vv, 1987,
p.12) La WNBT fu invece, il primo canale televisivo commerciale,
nato negli Stati Uniti nel 1941. «(affiliata di New York della rete
NBC) […] Il suo primo spot fu un annuncio della fabbrica di orologi
Bulowa, che pagò 9 dollari per 10 secondi. La stessa stazione WNBT
trasmise anche il primo programma televisivo “sponsorizzato”, un
gioco dal titolo Truth or Consequences, pagato dalla Procter and
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Gamble». (Ivi, p. 13) La prima pubblicità televisiva italiana, unica nel
suo genere, nasceva il 3 febbraio del 1957, trasmettendo una speciale
rubrica chiamata “Carosello”. Le notizie storiche del suo avvento in
tv attestano che la consacrazione di potente strumento di
comunicazione e di persuasione, sia giunto con la nascente società di
massa e le relative innovazioni nel campo della comunicazione.
Per questa ragione l’attività pubblicitaria, per realizzarsi appieno, ha bisogno
di una produzione industriale di massa ben sviluppata, […] ma soprattutto
necessita di un sistema di comunicazione di massa abbastanza maturo da
garantirle accesso a un numero sufficientemente grande di potenziali
consumatori. È questo spazio pubblico del sistema delle comunicazioni di
massa la precondizione comunicativa indispensabile per la nascita e lo
sviluppo della pubblicità. (U. Volli, 2008, pp. 5-6)
È evidente il motivo per il quale Baudrillard la definisce «il massmedium più notevole della nostra epoca», (J. Baudrillard, 1976, p.174)
perché la sua specificità ha riassunto i tratti della società moderna che
ha istituito nel nome del consumo e della merce la propria religione.
Scrive Guy Debord «tutta la vita della società nelle quali predominano
le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa
accumulazione di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è
allontanato in una rappresentazione» (G. Debord, 1979, p. 23) e la
pubblicità non è altro che una rappresentazione, perché non rinvia a
oggetti reali, al mondo reale, «bensì da un segno all’altro, da un
oggetto all’altro, da un consumatore all’altro», (J. Baudrillard, 1976,
p. 174) in altri termini vi regnano oggetti simulacri.
Lo scopo della pubblicità è sedurre con le immagini lo spettatore,
sollecitare i suoi desideri e condurlo all’acquisto dell’oggetto. Lo
statuto di oggetto è deducibile dalla contrapposizione modello/serie
che deriva dalla società industriale, la quale per rispondere alla
crescente domanda di un massa diversificata ha prodotto in serie
diversificati oggetti illudendo il consumatore della loro unicità e
utilità. Baudrillard scrive, «ogni oggetto ci appartiene in seguito a una
scelta è il fatto che in realtà nessun oggetto viene proposto come
oggetto di serie, ma piuttosto come modello. Anche l’oggetto più
insignificante sarà differenziato dagli altri per un particolare: colore,
accessori, dettaglio. La differenza è sempre data come specifica». (J.
Baudrillard, 2009, p. 181) L’unicità proclamata e sottolineata dalla
pubblicità, è in ciò che lo studioso chiama differenza marginale. Il
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dettaglio implica la personalizzazione e induce il consumatore a
credere che l’oggetto sia unico nel genere consentendogli la illusoria
libertà nella scelta. L’oggetto spettacolarizzato dalla pubblicità, in
quanto lo costituisce come avvenimento depurandolo dai suoi caratteri
oggettivi, instaura un rapporto personale e intimo con il consumatore.
Dappertutto si vede la pubblicità imitare i modi della comunicazione privata,
intima e personale. La pubblicità si sforza di parlare alla casalinga col
linguaggio della casalinga di fronte, al dirigente e alla segretaria come il suo
principale o il suo collega, a ciascuno di noi come un nostro amico, come il
nostro Super-Io, o come una voce interiore al modo della confessione. La
pubblicità produce così dell’intimità là dove non ce n’è, tra gli uomini, tra
questi ultimi e i prodotti, secondo un vero processo di simulazione. Ed è
quest’altro tra l’altro (ma forse innanzi tutto) a venir consumato nella
pubblicità. (J. Baudrillard, 1976, p. 236)
L’oggetto si presenta come indispensabile, amabile, versatile e capace
di soddisfare ogni gusto e personalità del consumatore. «Gli oggetti
non servono tanto a qualcosa, ma innanzitutto vi servono. Senza
questo complemento oggetto diretto, il “voi” personalizzato, senza
questa ideologia totale di prestazione personale, il consumo non
sarebbe quello che è». (Ivi, p. 233) Il discorso pubblicitario
«costituisce in blocco un mondo inutile, inessenziale. Connotazione
pura. […] è parte integrante del sistema degli oggetti, non soltanto
perché è connessa al consumo, ma perché ridiventa essa stessa
consumo. […] Sarà la pubblicità a dirci meglio ciò che consumiamo
attraverso gli oggetti». La semiologia la definisce come un testo,
articolato da una serie di componenti vari, per esempio immagini e
parole che costituiscono il messaggio, nonché l’oggetto della
comunicazione. Come ogni atto della comunicazione, anche la
pubblicità contiene in potenza «tutti i fattori della comunicazione e ne
comprende anche tutte le funzioni».(U. Volli, 2008, passim)
Principalmente sono due le funzioni che assolve, la funzione conativa,
«per cui si cercano degli effetti sull’emittente, gli si danno degli
ordini, dei consigli» (Ivi, p. 55) e la funzione fàtica che «consiste nel
lavoro che si fa per garantire il contatto», (Ivi, p. 54) per esempio il
numero delle persone che vedono effettivamente un messaggio
(audience). Tuttavia, il processo effettivo di comunicazione che
ingloba le due funzioni precedentemente esposte, sorge dal segno, per
esempio una marca che rinvia a un prodotto di consumo che possa
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essere identificato dal consumatore. «In effetti, nei segni pubblicitari
vi è una ricerca continua di buona motivazione, cioè di una forma che
aiuti a identificare il prodotto o la marca e che soprattutto contribuisca
a valorizzarli. […] Certe qualità più o meno astratte che si vogliono
attribuire alla merce […] vengono così figurativizzate nel segno
pubblicitario». (Ivi, p. 58) La marca inserisce in una dimensione
magica il semplice oggetto-merce arricchendolo di nuovi significati
che contribuiscono a valorizzarlo ulteriormente. «Il concetto di
“marca” – chiave di volta della pubblicità – riassume esaurientemente
le possibilità di “linguaggio” del consumo». (J. Baudrillard, 2009, p.
241) È un linguaggio di segnali, povero nella struttura, ma evocativo
di mondi immaginari che suscitano il desiderio del consumatore. «Il
linguaggio pubblicitario suscita il desiderio per poterlo generalizzare
nei termini più vaghi. Le “forze profonde”, ridotte alla loro
espressione più immediata, sono ancorate a un codice istituzionale di
connotazioni e la “scelta” non fa altro che sigillare la collusione tra
l’ordine morale e le velleità profonde dell’individuo: questa è
l’alchimia del “marchio psicologico”». (Ivi, p. 243)
A tal proposito, Roland Barthes sottolinea come il linguaggio
pubblicitario contribuisce a fondare un immaginario rasserenante nel
consumatore. Si avvale di un repertorio di soggetti antropologici, quali
la vita, l’amore, la famiglia, la coppia ecc. che divengono nel suo
linguaggio degli stereotipi. «Ormai la «coppia» in pubblicità non è
altro che una cifra culturale che consente di parlare di qualsiasi
prodotto. […] I «soggetti» forniscono in tal modo al consumatore di
pubblicità una sorta di schema sociologico a buon mercato e gli
consentono di orientarsi e di identificarsi immediatamente come
persona di una società distribuita, codificata, per dirla in breve:
normale». (Aa, Vv, 1987, p. 251) Quest’ultimi, sono presentati da
attributi di cui possono essere provvisti come utensili, accessori, abiti
ecc. Non sono impiegati esclusivamente per rendere il realismo
pubblicitario poiché, «da un lato possono far sognare, perché un
oggetto è sempre molto di più della sua funzione, dall’altro essi
impegnano il lettore con la loro diversità e l’euforia della loro
presentazione, in una vera e propria appropriazione del mondo». (Ibid)
In ultima istanza, la pubblicità invoca i simboli culturali facendo
appello al sapere, ricorrendo a discipline come l’arte, la letteratura e la
mitologia. Il suo linguaggio così complesso, articolato e fascinatore
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per il consumatore mostra in modo permanente il potere d’acquisto
reale o potenziale,
[…] il prodotto si offre alla vista, al tatto, alla manipolazione: si erotizza, non
soltanto nell’uso esplicito di temi sessuali, ma nel fatto che l’acquisto,
l’appropriazione pura e semplice è trasformata in una giostra, in una
scenografia, in una danza complessa, che aggiungono al procedimento
pratico tutti gli elementi del rapporto d’amore: avances, concorrenza,
oscenità, flirt, e prostituzione (perfino ironia). Si sostituisce al meccanismo
dell’acquisto, di per sé già investito di una carica libidica, un’erotizzazione
della scelta e della spesa. (J. Baudrillard, 2009, p. 219)
L’immagine dell’oggetto crea il vuoto mostrando all’umano l’assenza
del bene. Per questo motivo rifiuta la condizione di passività e si
trasforma in un consumatore. «Lo sguardo è illusione di contatto,
l’immagine e la sua lettura sono illusioni di possesso. La pubblicità in
tale modo non offre né una soddisfazione allucinatoria, né una
mediazione pratica verso il mondo: suscita un atteggiamento di
velleità delusa, cammino incompiuto, insurrezione e tradimento
continuato, autore di oggetti e di desideri». (Ivi, p. 224) L’immagine
assolve simultaneamente la funzione di gratificazione e di repressione,
spettacolarizzando incessantemente le continue mancanze e assenze
del consumatore affinché il ciclo del consumo non vada ad esaurirsi.
A tal proposito, le parole di Schopenhauer, al di là delle sue
implicazioni esistenziali, appaiono richiamare i subdoli meccanismi
della società del consumo che la pubblicità reitera attraverso
l’immagine degli oggetti. Il bisogno incessante dell’individuo di
appagare i propri desideri suscita in realtà un piacere temporaneo che
lo conduce ad una permanente sofferenza causata dall’inappagamento
del desiderio.
Ogni volere scaturisce dal bisogno, ossia da mancanza, da sofferenza. A
questa dà fine l’appagamento, tuttavia per un desiderio che venga appagato
ne rimangono almeno dieci insoddisfatti; inoltre la brama dura a lungo, e le
esigenze vanno all’infinito; l’appagamento è breve e misurato con mano
avara. […] Ma la base di ogni volere è bisogno, mancanza, ossia dolore, a cui
l’uomo è vincolato dall’origine, per natura. Venendogli invece a mancare
oggetti del desiderio, quando questo è tolto via da un troppo facile
appagamento, temendo vuoto e noia l’opprimono: cioè la sua natura e il suo
essere medesimo gli diventano intollerabile peso. La sua vita oscilla quindi
come un pendolo, di qua e di là, tra il dolore e la noia, che sono in realtà i
suoi veri elementi costituitivi. Tal condizione s’è dovuta singolarmente
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esprimere anche col fatto, che quando l’uomo ebbe posti nell’inferno tutti i
dolori e gli strazi, per il cielo non rimase disponibile se non appunto la noia.
(Schopenhauer, 1984, pp. 270; 411-412)
In effetti, la società dei consumi fa propri tali pulsioni dell’individuo
attivandoli incessantemente con il supporto della pubblicità. Il suo
linguaggio segnala nuovi prodotti che necessitano di essere
“consumati” anche se non necessariamente indispensabili, allettando il
consumatore ad acquistarli grazie a vantaggiose agevolazioni come
per esempio abbonamenti, pagamenti rateizzati. Il sistema del credito
è la strategia magica della società contemporanea perché è capace di
offrire immense possibilità di realizzazione immediata senza che ci sia
un effettivo sacrifico e lavoro da parte del consumatore per
guadagnarselo. «Oggi gli oggetti ci sono prima di essere guadagnati,
precedono la somma di sforzi e di lavoro che rappresentano, il loro
consumo anticipa, per così dire, la loro produzione. […] Sono sospesi
al disopra del consumatore, che li deve pagare». (J. Baudrillard, 2009,
pp 202-203) Affabula il consumatore perché il sistema «grazie allo
spostamento nel tempo, fa in modo che non se ne renda conto». (Ivi,
p. 206)
La pubblicità fa parte della nostra vita in quanto veicolata attraverso il
supermedium televisivo, in questo modo il telespettatore è
incessantemente assillato e sollecitato all’acquisto. Scrive Guy Debord
«lo spettacolo è il momento in cui la merce è pervenuta
all’occupazione totale della vita sociale. Non solo il rapporto con la
merce è visibile, ma non si vede più che quello: il mondo che si vede è
il suo mondo». (G. Debord, 1979, p. 42)
1.2 Carosello: “La favola del consumo”
Il clamoroso programma condotto da Mike Bongiorno nel 1955,
“Lascia o raddoppia?”, consacrava in Italia il portentoso mezzo
televisivo. Proprio in questi anni i dirigenti della Rai, sulla base di
importanti riflessioni economiche e sociali che conclamavano la
pubblicità come l’anima del sistema economico produttivo, utile alla
crescita del paese, discutevano sulla possibilità di introdurre nei
palinsesti televisivi la pubblicità, come già da tempo era avvenuto in
America. L’enorme problema dei dirigenti sorgeva da una norma della
Convenzione che regolava i rapporti tra la Rai e il Ministero delle
Poste, «stipulata il 25 gennaio 1952, prevedeva la possibilità di
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trasmissioni pubblicitarie, ma stabiliva che la pubblicità doveva
“essere contenuta nelle forme più convenienti per non recare
pregiudizio alla bontà dei programmi” (art. 19.)» (L. Ballo, A.
Zanacchi, 1987, p. 9) e a ciò bisognava anche aggiungere la diffidenza
dei dirigenti sullo stile di vita edonistico e consumista tanto
propagandato dall’America. Le richieste pressanti del mercato e delle
società di produzione di beni di consumo costrinsero i dirigenti e la
SIPRA a escogitare una formula «capace di offrire “spettacolo
aggiunto” alle normali trasmissioni senza modificare la struttura della
programmazione». (Ivi, p. 10)
Era la domenica del 3 febbraio 1957 alle ore 20.50 come prevedeva il
Radiocorriere, «l’Italia esce dalla ricostruzione ed entra nel boom
economico ed è proprio Carosello a sancire ufficialmente questo
trapasso». (Ivi, pp. 65-66) Un nome curioso che come ricorda
Marcello Everati, direttore generale della Sacis significa «torneo,
parata di cavalieri, ma in napoletano è anche la palla di creta di un
antico gioco di origini arabe. Introdotto proprio a Napoli dagli
spagnoli tra la fine del 400 e l’inizio del 500. Ma Carosello può anche
significare salvadanaio di creta. Caruso in napoletano è invece il
bambino. Testa tosata. Carusiello è il bambinetto». (M. Giusti, 2004,
p. 22) E in questa atmosfera napoletana sembrava più che corretto
scegliere la sigla di apertura nel vasto repertorio musicale napoletano,
infatti fu scovato
[…] un motivo di autore sconosciuto, intitolato I Pagliacci […] che venne
rielaborato appositamente dal maestro Raffaele Gervasio: un trionfale rullo di
tamburi e poi una tarantella, orecchiabilissima. […] Il teatrino con gli
altrettanto famosi siparietti, venne realizzata dalla Incom, produttrice di
documentari cinematografici e di pubblicità. Se ne occuparono Cesare
Taurelli e Luciano Emer: […] il teatrino lo procurarono loro e venne ripreso
dal vivo. Il compito di disegnare le figure dei siparietti venne affidato alla
moglie del pittore Renzo Vespignani. (L. Ballo, A. Zanacchi, 1987, p.14)
La sigla nel 1958 fu modificata leggermente a cura della Incom,
mentre nel 1963 venne completamente rinnovata dalla Recta Film,
anche i disegni subirono una variazione. Furono eseguiti a tempera da
Manfredo Manfredi «che si ispirò a quattro famose piazze di Venezia,
Siena, Napoli e Roma. Le tempere di Manfredi sono ancora in bella
mostra negli uffici romani della Recta Film». (Ivi, p.15) Il privilegio
di inaugurare il teatrino pubblicitario toccherà «alla Shell Italiana, alla
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Orèal, alle macchine da cucire Singer, alle Grandi Marche Associate
(che presentano Cynar, allora prodotto dalla Pezziol)». (Ivi, p.67)
L’originale formula che ha suscitato meraviglia fra dirigenti di aziende
e agenzie straniere consisteva in questo:
[…] ogni filmato di Carosello, era composto da uno “spettacolino” di I’ e
40”, seguito da un “codino” pubblicitario di 35”. Lo spettacolino poteva
consistere in scenette comiche, parodie, canzoni, recital di attori, ma in esso
non si poteva fare la minima allusione al prodotto; nel codino, invece, si
poteva citare il prodotto per non più di cinque volte. […] I Caroselli che
ebbero maggior successo commerciale furono quelli nei quali il collegamento
fra la prima e la seconda parte non era forzato, come spesso avveniva, bensì
naturale e logico. (G. L. Falabrino, 2007, p. 33)
Il segreto di Carosello, per il quale ha riscosso un forte successo sia
nel pubblico adulto che in quello dei bambini, derivava dal suo genere
particolare di raccontare ministorie. I racconti a lieto fine, il semplice
linguaggio spesso recitato in ottonari rimati che deliziavano
particolarmente i lettori del “Corriere dei Piccoli”, la ripetizione,
anche se obbligatoria perché le ditte inserzioniste dovevano acquistare
un periodo di dieci trasmissioni e i ricchi eterogenei modelli
spettacolari, richiamavano le strutture narrative della favola. La
modalità spettacolare segnalata dalla sigla oppure dai siparietti teatrali
erano l’ingresso consapevole dello spettatore nel mondo immaginario
che aveva come protagonisti: attori, cantanti, pupazzi e che lentamente
senza alcuna irruzione violenta conducevano con letizia e
divertimento al codino, nei 30” del reale spot. Secondo lo studioso
Gian Luigi Falabrino,
Da una parte la struttura industriale del Paese, proiettato ai consumi nel
passaggio fra la ricostruzione post-bellica e il boom economico, e dall’altra
parte, il moralismo contadino e pauperistico della dirigenza della Rai di
allora, che rispecchiava la formazione pre-industriale, e probabilmente antiindustriale, della dirigenza politica del tempo. In sostanza, Carosello, era il
frutto di una ipocrisia: si doveva fare pubblicità, ma vergognandosene; e
allora la si mascherava da spettacolo, con l’intenzione di attutire il diabolico
impatto sui frugali italiani e ciò derivava dai nascenti cambiamenti sociali ed
economici che oramai erano proiettati (L. Ballo, A. Zanacchi, 1987, p. 18)
Sulla base di questa riflessione sorge un importante quesito. Le favole
di Carosello erano puramente spettacolo oppure surrettiziamente
consegnavano il mondo apparentemente bello e felice del
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consumismo, nonostante le rigide regole del “codino”? Per rispondere
a tale interrogativo racconto in poche righe il carosello andato in onda
per la prima volta nel 1957, prodotto dalla Chlorodont: “La bocca
della verità”, interpretata dalla giovanissima Virna Lisi. Il racconto è
la storia di Candida Chidenti, giovane moglie di Prudenzio, cioè Enzo
Garinei, impiegato dell’industria di dentifricio Zanna Bianca, di
proprietà di un ricco commendatore. È il giovane impiegato a
raccontare le disavventure che patisce a causa della imprevedibile
moglie che dice tutto ciò che pensa senza contenersi dinanzi alla
grottesca esibizione canora della grossa moglie del commendatore.
Naturalmente, come indica il codino «con il primo piano sulla bocca
semiaperta di Virna Lisi, lei con quella bocca può dire ciò che vuole»,
(M. Giusti, 2004, p. 149) dimostra la grande trovata pubblicitaria,
nonché la difficoltà riscontrata spesso negli autori nel ricercare un
fluido e logico collegamento fra le due parti del carosello. Senza
dilungarci in ulteriori commenti sulla struttura tecnica del carosello,
tentiamo di rispondere al quesito iniziale. L’esemplare carosello
attesta come la sua elaborazione non fosse del tutto estranea ai
meccanismi e strutture del linguaggio pubblicitario. Innanzitutto è un
racconto che la semiologia non esimerebbe a definirlo come un testo e
quindi rispondente a fattori e funzioni che rispecchiano ogni genere di
atto comunicativo. Secondo le notizie storiche, la tipica funzione
fàtica della pubblicità è enormemente efficiente, grazie alla
straordinaria formula spettacolare che richiamava gli spettatori ogni
sera dopo il telegiornale, diventando in questo modo un appuntamento
quotidiano a cui nessuno rinunciava. Caratteristica abbandonata dagli
attuali autori della pubblicità a causa della brevità che non permette
lunghe narrazioni e l’irruenza nella modalità di presentazione che
infastidisce il pubblico per via delle continue interruzioni delle
trasmissioni
televisive.
Evidentemente,
lo
“spettacolino”
strutturandosi come una favola ha contribuito a creare nello spettatore
il mondo immaginario rasserenante descritto da Barthes che scaturisce
principalmente da tre grandi repertori. I soggetti antropologici come,
la vita, l’amore, la coppia «ai quali si riferisce la pubblicità sono tanto
più rassicuranti in quanto in un numero molto esiguo, sono
rapidamente diventati degli stereotipi» (Aa Vv, 1987, p. 251). Gli
attributi di cui possono essere tradizionalmente provvisti come
utensili, accessori ed infine l’universo simbolico originato dal nostro
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sapere, ricavato dalle discipline come le arti, la letteratura, le
mitologie. Nella prima parte di carosello surrettiziamente agisce la
funzione conativa, mutando, anche se velatamente, i comportamenti e
i valori del pubblico, perché lentamente entrano in contatto con la
“società del consumo” dopo gli anni di miseria e di devastazione della
guerra. Il boom economico che ha permesso di disporre con facilità le
risorse, ha contribuito a diffondere fra la gente lo statuto miracoloso
del consumo, Baudrillard scrive «nella pratica quotidiana i benefici
del consumo non sono vissuti come il risultato di un’opera o di un
processo di produzione, sono vissuti come miracolo». (J. Baudrillard,
1976, p. 26)
L’idea di raccontare delle nuove favole non solo divertiva i piccoli,
ma nello stesso tempo anche gli adulti. Non è difficile immaginare,
come anche in questo caso si verifichi il potere subdolo della
pubblicità di fare appello alla natura infantile nascosta in ciascun
individuo. Baudrillard la definisce la “logica di Babbo Natale”.
Nessun bambino si pone domande sull’esistenza di Babbo Natale e
tanto meno pensa di collegare il regalo ricevuto alla sua esistenza. «Il
credere in Babbo Natale è una fabulazione razionalizzatrice che
permette di mantenere nella seconda infanzia il rapporto miracoloso di
gratificazione da parte dei genitori (e più precisamente da parte della
madre) tipico della prima infanzia. Il rapporto miracoloso, smentito
dalla realtà, viene interiorizzato in una credenza che né il
prolungamento ideale». (J. Baudrillard, 2009, p. 212) La credenza
reciproca tacitamente sollecitata dai genitori è riproposta dalla
pubblicità.
La “dimostrazione” del prodotto non persuade nessuno fino i fondo: serve
solo a razionalizzare l’acquisto, che in ogni caso precede e supera i motivi
razionali. Tuttavia, senza “credere” al prodotto, si crede alla pubblicità che
vuole far credere nel prodotto. […] Ciò a cui l’individuo è sensibile, è la
tematica latente della protezione e della gratificazione, è l’attenzione con cui
lo si sollecita e lo si persuade, è il segno, illeggibile dalla coscienza, che da
qualche parte esiste un istanza (sociale in questo caso, ma che in realtà
rimanda direttamente all’immagine della madre) che accetta di informarlo sui
propri desideri, di anticiparli e razionalizzarli ai propri occhi. Non crede alla
pubblicità, come il bambino non crede a Babbo Natale. Ma questo non gli
impedisce di aderire a una situazione infantile interiorizzata e di comportarsi
di conseguenza. Da qui sorge l’efficacia reale della pubblicità: […] secondo
la logica della fede e della regressione. (Ivi, 212-213)
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Queste riflessioni, che molto probabilmente richiederebbero un
ulteriore approfondimento, permettono comunque di asserire che la
prima e grande originale favola del consumo è stato Carosello
terminato dopo vent’anni, il primo gennaio del 1977. I saluti finali
toccano al “Superspettacolo di Capodanno”, dell’industria Stock di
Trieste, che ne è interprete la showgirl Raffaella Carrà che balla e
canta «in versione condensata, e alla fine, stanca ma felice come in
tutti i finali di favola che si rispettino, proclama la conclusione di un
ventennio gioioso e ringrazia a nome dello sponsor “tutti voi che ci
avete seguito”» (L. Ballo, A. Zanacchi, 1987, p. 111)
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BIBLIOGRAFIA
Aa Vv, Spot in Italy. 30 anni di pubblicità televisiva italiana, saggio introduttivo a cura
di C. Sartori, Eri, Roma 1987.
Laura Ballo, Adriano Zanacchi, Carosello Story. La via italiana alla pubblicità televisiva
raccontata da Laura Ballo e Adriano Zanacchi, Eri, Torino 1987.
Jean Baudrillard, Il sistema degli oggetti, trad. it. di S. Esposito, Bompiani, Milano 2009.
Jean Baudrillard, La società dei consumi. I suoi miti e le sue strutture, trad. it. di G. Gozzi
e P. Stefani, Il Mulino, Bologna 1976.
Guy Debord, La società dello spettacolo, trad. it. di P. Salvadori, Vallecchi, Firenze 1979.
Gian Luigi Falabrino, Storia della pubblicità in Italia dal 1945 a oggi, Carocci, Roma
2007.
Marco Giusti, Il grande libro di Carosello. E adesso tutti a nanna, Frassinelli, Piacenza
2004.
Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione vol. II. trad. it. di P.S. Lopez e
G. De Lorenzo, Laterza, Bari 1984.
Ugo Volli, Semiotica della pubblicità, Editori Laterza, Bari 2008.
* Federica Caniglia, ha conseguito nel 2012 con il massimo dei voti la laurea magistrale in
Scienze Filosofiche presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”. Collabora
volontariamente con diverse testate e blog pubblicando articoli di cultura, pop-filosofia e di
comunicazione sociale. I suoi interessi sono principalmente la storia del Novecento e la
filosofia applicata al linguaggio dei media. Per la stessa rivista ha pubblicato un articolo dal
titolo “Cinema e memoria: “immaginare” la Shoah. Considerazioni e prospettive di
ricerca”.
Filosofia e nuovi sentieri/ISSN 2282-5711
http://filosofiaenuovisentieri.it/2017/01/22/pubblicita-televisiva-carosellola-favola-del-consumo/
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