Piero Viotto - Il marxismo secondo Maritain

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Nascita, crescita e crisi del marxismo secondo Jacques Maritain
Piero Viotto
Jacques Maritain (1882-1973) è stato anarchico e socialista, da studente ha conosciuto
Raïssa Oumançoff mentre faceva volantinaggio a favore dei socialisti russi perseguitati dallo Zar.
Alla boutique dei “Cahiers de la Quinzaine” di Charles Pèguy (1873-1914) un poeta, che si muove
tra cristianesimo e socialismo1, fa amicizia con Georges Sorel (1847-1922). Frequenta l’“Ėcole
socialiste”, tiene conversazioni nelle “Università popolari”, scrive articoli su Jean-Pierre, un
periodico per ragazzi di ispirazione socialista, fondato da sua sorella Jeanne. L’incontro con Henri
Bergson (1859-1941), la conversione al cattolicesimo e la scoperta di san Tommaso mettono in crisi
le convinzioni socialiste, gli fanno superare l’ateismo radicale e l’anticlericalismo dei primi anni,
ma non modificano le sue convinzioni circa le gravi ingiustizie sociali prodotte dal capitalismo.
Maritain collabora con Emmanuel Mounier (1905-1950) alla fondazione della rivista Esprit, ma poi
si allontana dal gruppo, perché il gruppo finisce per diventare un movimento politico.
Maritain in diverse opere studia il marxismo, e titola Marx e la sua scuola un lungo capitolo
della Storia della filosofia morale2. La sua analisi rileva come la filosofia di Marx dipenda da
Feuerbach per il suo ateismo e da Engels per il suo materialismo, e sottolinea come questa filosofia
porti al primato della prassi, perché compito primario della conoscenza è la trasformazione della
società. Maritain sottolinea l’incompatibilità tra la filosofia cristiana e la filosofia marxista, anche se
vede nel comunismo, per il suo messianismo umanitario, l’ultima eresia cristiana. Questi scritti
documentano come sia falsa l’accusa rivolta a Maritain di essere un “marxista cristiano”. La sua
proposta di un Umanesimo integrale va oltre il liberalismo e il socialismo, perché pone al centro
delle relazioni sociali, non l’individuo o la società, ma la persona.3
Dal socialismo utopistico al socialismo scientifico
Il socialismo nasce in Inghilterra e in Francia come reazione alle ingiustizie conseguenti alla
organizzazione capitalistica dell’economia, e risulta un fenomeno collaterale del positivismo, che
trova in Auguste Comte (1798-1857) il teorico più significativo.4 In Germania si muove nell’ambito
dell’idealismo, si definisce come sinistra hegeliana e come socialismo scientifico e si contrappone al
socialismo utopistico dei francesi e degli inglesi, considerato moderato, per il suo muoversi
all’interno della democrazia liberale. Nell’ambito di questo movimento Marx diventa il profeta di
un nuovo umanesimo, che troverà in Russia con Nikolaj Lenin (1870-1924), e in Cina con Mao
Dzedong (1893-1976) le realizzazioni più radicali. In Russia nel 1917, con la Rivoluzione di ottobre
contro il regime degli Zar, “gli intellettuali che volevano una rivoluzione spirituale hanno scambiato
per radicalismo dello spirito gli sconvolgimenti visibili; e Lenin si è sbarazzato di essi con mezzi
spicci, dopo essersi servito di loro” (V, 439). Considerando gli schieramenti politici di destra e di
sinistra operanti nella storia e il carattere psicologico degli uomini che militano in questi
schieramenti, Maritain, scrive “le situazioni si ingarbugliano per il fatto che a volte uomini di destra
fanno una politica di sinistra e viceversa. Penso che Lenin sia un buon esempio del primo caso. Le
rivoluzioni di sinistra fatte da temperamenti di destra sono le più terribili“ (VI, 276).
Maritain rileva come l’ateismo sia connesso con il marxismo e con la rivoluzione comunista
per la loro stessa natura, ma osserva che già il socialismo utopistico francese considera Dio estraneo
1
Per i riferimenti ai contemporanei si veda P. Viotto, Grandi Amicizie I Maritain e i loro contemporanei, Città Nuova,
Roma 2008
2
J. Maritain, La filosofia morale, esame storico e critico, Morcelliana, Brescia 1971
3
Le citazioni dei testi maritainiani, inserite nel testo indicano il volume e dell’edizione: Jacques et Raissa Maritain,
Oeuvres Complètes, Editions Universitaires Fribourg - Editions Saint-Paul Paris, 1986-2000, voll. XVI Per una ricerca
analitica su ciascuna opera si vedano le schede, P. Viotto, Dizionario delle opere di J. Maritain, Città Nuova, Roma
2003. Per approfondimenti si veda P. Viotto, Introduzione a Maritain, Laterza, Bari/Roma 2000.
4
P. Viotto, Storia del pensiero moderno secondo Maritain, volumi 2 Città Nuova, Roma 2011
2
al divenire della storia, riducendolo ad una idea astratta. L’ateismo dei comunisti e il deismo
socialisti sono una conseguenze dell’umanesimo antropocentrico, nato nel Rinascimento,
sviluppatosi con Illuminismo, che ora straripa nel mondo, verso altre popolazioni e civiltà, che
attratte dal progresso tecnologico del mondo occidentale, finiscono per assorbirne la mentalità,
perdendo la loro identità culturale. Il caso della Cina è emblematico. Maritain aveva previsto questo
processo fin dal 1927 in Primato dello spirituale5: “È molto significativo che questa invasione
dell’ateismo, dello scientifismo, del socialismo occidentali, è capace di distruggere tutto ciò che di
spirituale c’è nell’antica cultura cinese…” (III, 936).
Passando a considerare le radici teoretiche del marxismo, Maritain constata anche le ricadute
sociali nella vita dei popoli, denunciando le responsabilità del mondo occidentale, che per interessi
di realismo politico collabora con i regimi comunisti.. A proposito della situazione nella Russia,
scrive “Più cinica e più brutale dell’educazione mediante il vuoto, sotto la quale il liberalismo
occidentale asfissia l’infanzia, un’attenta chirurgia pedagogica opera le anime per cancellare in loro
l’immagine di Dio; ma, nonostante tutto, questa immagine rinasce; un povero fanciullo che si crede
ateo, se veramente ama ciò che ritiene come il volto del bene, si volge verso Dio, senza saperlo… È
con rispetto che parliamo del popolo russo e della tragedia spirituale in cui è coinvolto” (IV 899900). A riguardo della Cina, sottolineando le connessioni che nella storia si sono stabilite tra
marxismo e darwinismo, dopo avere rilevato che “certe malattie, trasportate sotto altri climi,
trovando organismi non immunizzati, diventano flagelli fulminanti” (III, 934), constata “nelle
scuole primarie si insegna ai bambini dagli otto ai dodici anni la discendenza dell’uomo dalla
scimmia nella forma più cruda, agli adolescenti dai dodici ai quindici anni il socialismo di Marx e il
comunismo di Lenin, ai liceali l’empietà scientifica e agli studenti universitari l’ateismo russo nella
formula di G. Zinoviev, finiremo per detronizzare Dio dal suo cielo! Non più religione, non più
morale, non più legge, non più riti, non più genitori, non più maestri” (III, 935). Troviamo in
Maritain anche molti rimandi agli ultimi discepoli di Marx, che tentano alcune varianti sul
marxismo. Giörgy Lukacs (1885-1971) filosofo ungherese, che applica il marxismo alla critica
estetica; Louis Althusser (1918-1990) filosofo algerino, che in una raccolta di scritti Per Marx,
riassume gli insegnamenti di Marx, Lenin, Mao Dzedong. Roger Garaudy, un filosofo francese,
nato nel 1913 da famiglia protestante, convertitosi all’Islam, che cerca impossibili connessioni tra il
marxismo e la religione.
Ma torniamo alla Francia dove si hanno le premesse di questo processo. Saint Simon (17601825), dopo aver partecipato alla rivoluzione americana, rivolgendosi agli uomini del mondo
economico con la rivista L’industria, propone una riorganizzazione della società, più scientifica, più
giusta, nella quale il lavoratori possano avere parte agli utili della produzione. Accanto a lui Charles
Fourier (1772-1837) critica la famiglia come base della società, e propone la creazione di piccole
comunità, alloggiate in unità urbane, nelle quali ogni individuo possa svolgere un ruolo attraente
senza essere sfruttato. Ma il filosofo più importante di questo indirizzo è Pierre Joseph Proudhon
(1809-1865) che, con il saggio Che cosa è la proprietà (1848), si impone all’attenzione
dell’opinione pubblica, anche per il suo contrapporsi a Marx.
Maritain rimprovera a Proudhon di concepire la giustizia in senso quantitativo, rilevando
come il suo ideale sia astratto, frutto del razionalismo cartesiano, e con un certo umorismo chiama
questa idea “la giustizia dei geometri… Essa non è che un idolo morto e mortifero. Essa ha
ingannato molti spiriti generosi, è lei che ha guastato quella passione della giustizia che in un
Proudhon fu un sentimento così grande e così sacro… Proudhon pensava la giustizia, secondo il
tipo elementare di giustizia commutativa. La giustizia, concepita in questo modo, si riferisce agli
uomini come a delle quantità, tra le quali essa esige l’uguaglianza pura e semplice” (III, 188).
Maritain riconosce che Proudhon non vuole la collettivizzazione della proprietà, perché la
proprietà individuale garantisce la libertà della persona e la difende dalla subordinazione allo Stato,
ma rileva anche che la proprietà privata ha una spiegazione più profonda, ha una “sua radice
5
J. Maritain, Primato dello spirituale, Logos, Roma 1980.
3
metafisica, concernente la persona umana (e la famiglia) anteriormente alla considerazione delle sue
relazioni con lo Stato” (V, 507).
Proudhon resta prigioniero di una concezione della storia, che affida all’uomo la sua
liberazione, che non comprende il mistero del male, e contrappone Dio al mondo. “Egli si è
completamente ingannato sulla nozione cristiana della trascendenza; e questo deriva non soltanto
dal fatto che egli prendeva per concezioni cattoliche delle concezioni in realtà giansenistiche. Ciò
deriva anche da un errore filosofico molto profondo. Se arrivò a bloccare nell’idea di trascendenza
ogni specie di assolutismo: assolutismo dello Stato, dei ricchi, dei preti, per farlo culminare nel
dispotismo supremo del tiranno celeste; ciò avvenne perché egli giungeva a spingere fino alle sue
ultime conseguenze una concezione radicalmente univoca del Dio trascendente” (V, 402).
Maritain in Cristianesimo e democrazia6 rileva che Proudhon “credeva che la sete della
giustizia fosse il privilegio della rivoluzione… la sete della giustizia è nata e cresciuta nell’anima
dei secoli cristiani, ad opera del Vangelo. È il Vangelo ed è la Chiesa che ci hanno insegnato a non
obbedire che a ciò che è giusto” (VII, 729). Il socialismo utopistico prepara il socialismo scientifico
tedesco, che si realizza con la violenza in Russia e in Cina
Le premesse ideologiche del marxismo
Le radici del marxismo vanno ricercate in Ludvig Feuerbach (1804-1872): “che ha trasferito
l’ateismo dalla critica religiosa alla critica sociale, che ha determinato l’adesione di Marx al
comunismo, perché la genesi del comunismo di Marx non è di ordine economico, come quella di
Engels, ma di ordine filosofico e metafisico” (VI, 337). L’idea che il lavoro umano sia alienante a
causa della proprietà privata è venuta dopo “l’idea feuerbachiana che la coscienza umana è
disumanizzata dalla idea di Dio” (VII, 24).
Feuerbach, dopo avere studiato teologia ad Heidelberg, attratto da Hegel, si iscrive
all’Università di Berlino, dove segue i corsi di filosofia della religione. Ottenuta la libera docenza,
tiene corsi su Cartesio e Spinoza in quella università, ma la pubblicazione di Pensieri sulla morte e
l'immortalità, in cui nega l’immortalità dell’anima, lo mette in conflitto con il corpo accademico e
deve abbandonare l’università. Convinto che già nel Rinascimento è avvenuta una emancipazione
della filosofia dalla teologia pubblica L’Essenza del cristianesimo (1841), a cui segue L’Essenza
della religione (1846), suscitando nuove polemiche. Questi libri fanno di lui, non solo il leader della
sinistra hegeliana, ma il punto di riferimento del movimento radicale. In queste opere, Feuerbach
scrive che tutte le qualità che si attribuiscono a Dio sono riconducibili alle qualità che si
attribuiscono all’uomo e pertanto sono relativi all’uomo e non possono essere estesi all’Assoluto.
Maritain rileva “Feuerbach afferma che l’idea di Dio e i dogmi religiosi non sono altro che
una creazione spontanea del sentimento e del desiderio, per cui Dio non è che un nome, che l’uomo
dà a se stesso oggettivandosi” (I, 1005); tanto che afferma “L’alimentazione umana è alla base della
cultura. l’uomo è ciò che mangia… Gli alimenti si trasformano in sangue, il sangue nel cuore e nel
cervello, nei pensieri e nei sentimenti e se il popolo, in una rivoluzione futura, ricevesse migliori
alimenti avrebbe migliori probabilità di successo” (I, 1005).
Se in Feuerbach troviamo le radici filosofiche dell’ateismo di Marx, in Friederich Engels
(1820-1895) troviamo i presupposti economici della sua dottrina politica. Anche questo pensatore
aveva rigettato il cristianesimo, dopo avere letto la Vita di Gesù di Friedrich Strauss (1808-1874), il
capofila della sinistra hegeliana, che considera la religione un mito; ed essersi accostato alle
posizioni di Feuerbach. Emigrato in Inghilterra nel 1845 pubblica La situazione della classe
operaia in Inghilterra, e l’anno seguente incontra Marx ed inizia una lunga collaborazione. Insieme,
per incarico della “Lega dei comunisti”, stendono il Manifesto del partito comunista (1948).
Influenzato dalle teorie di Henry Morgan (1818-1881), che applica all’antropologia i criteri
evoluzionisti di Darwin, ritiene che le istituzioni sociali dipendano e possano essere modificate dal
divenire dell storia, e nell’opera Dialettica della natura (1885) sostiene che le leggi della filosofia
6
J. Maritain, Cristianesimo e democrazia, Vita e Pensiero Milano 1977, presentazione di G. Lazzati
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hegeliana sono le leggi dell’evoluzione. È proprio Engels a proclamare di “rimettere sui suoi piedi”
la logica hegeliana, trasformando la dialettica dell’Idea nella dialettica della Materia, per cui tutti i
fenomeni della vita sociale, la religione, la filosofia, la politica, l’arte non sono che epifenomeni
dell’economia e della evoluzione storica. Grazie a questa evoluzione lo Stato è destinato a sparire,
come pure tutte le divisioni in classi, in una totalità sociale senza gerarchia, dove tutti gli uomini
saranno eguali. Ecco come Engels applica la dialettica hegeliana alla analisi sociologica: al
principio c’era una proprietà comune del suolo (tesi), poi si passò alla proprietà privata individuale
e familiare (antitesi) ed ora si torna ad un livello superiore alla proprietà comune collettiva (sintesi).
Karl Marx e il primato della prassi
Il più importante filosofo del socialismo scientifico Karl Marx (1818-1883), nasce a Treviri,
da famiglia ebrea, convertitasi al protestantesimo, studia filosofia a Berlino, dove stringe amicizia
con i giovani hegeliani. Si laurea a Jena, fa il giornalista, e, convinto che la società politica debba
essere rappresentativa dell’intera società civile, propone le elezioni politiche a suffragio universale,
non ottiene soddisfazione e dopo la rivoluzione del 1848 ripara in Francia. Partendo da Feuerbach
estende il concetto di alienazione dalla religione alla economia e alla politica, affermando che la
proprietà privata disumanizza l’uomo, lo priva della sua dignità, espropriandolo del prodotto del suo
lavoro. Il distacco dal socialismo utopistico avviene con le Tesi su Feuerbach, (1888). Espulso dalla
Francia, ripara a Bruxelles, dove nel 1847 scrive contro Proudhon Miseria della filosofia e insieme
ad Engels prepara il Manifesto dei comunisti, che viene pubblicato a Londra nel 1848 e, adottato
dalla “Prima internazionale” nel 1864, si diffonde in tutto il mondo. La loro collaborazione si
definisce nel volume La sacra famiglia, nel quale irridono alla carità borghese, rifiutano il
socialismo di Stato, proclamano che solo il materialismo può liberare l’uomo dall’alienazione e
dallo sfruttamento. Nella conferenza Il crepuscolo della civiltà7, Maritain analizza questo processo
storico: “In Marx, la genesi del comunismo è di ordine filosofico, deriva dagli impulsi ricevuti dalla
sinistra hegeliana e da Feuerbach. Nello concezione di Marx l’idea che il lavoro umano viene
disumanizzato dalla proprietà privata è derivata dall’idea di Feuerbach, che la coscienza umana è
disumanizzata dall’idea di Dio. Ad un livello più profondo, la teoria del materialismo storico
veicola una posizione ateistica assoluta, essa implica, infatti, un processo universale di sostituzione
del movimento dialettico della storia ad ogni causalità trascendente e all’universo del cristianesimo;
comporta, di conseguenza, l’idea che il mondo della natura e quello umano sono un divenire, che si
pone di per se stesso, e questa idea esclude ogni esistenza di Dio” (VII, 24).
L’analisi di Maritain va al cuore della problematica epistemologica e rileva il pragmatismo è
intrinseco a quel filosofare, che finisce per approdare ad un falso realismo: “Sulla base della
convinzione che conoscere significa trasformare, Marx fonde in un unica essenza il filosofo e
l’uomo di azione, riconosce come autentico filosofo soltanto colui che milita per la rivoluzione.
Ogni filosofo che non sia un pensatore rivoluzionario viene così rigettato a priori fra gli pseudopensatori. Tale idea della coscienza, consistente, nella sua stessa essenza, in un processo
trasformatore del mondo, a mio giudizio, è un errore che svuota ogni libertà spirituale ed ogni vera
filosofia. Da essa consegue che tutto quanto il pensiero è coinvolto nel movimento stesso
dell’azione transitiva e della dialettica del divenire, tutto intero immerso nella storia” (VI, 255-6).
Maritain si richiama ad Aristotele e alla distinzione tra conoscenza speculativa (conoscere per
conoscere) e conoscenza pratica (conoscere per agire, al servizio della prudenza o conoscere per
fare al servizio dell’arte). Marx disconosce questa distinzione, per lui “ogni conoscenza è
trasformatrice delle cose e la sua verità consiste nel suo verificarsi nella prassi” (VI, 926). Così
l’uomo, non è ciò che è, o ciò che pensa, ma è ciò che si fa. “Ciò che è più grave nel marxismo è il
fatto che ci presenta un filosofo che precipita la filosofia nell’attività pratica, sociale e politica”
(VII, 200). Il marxismo non solo ordina il pensiero all’azione, ma identifica il pensiero nell’azione
7
J. Maritain, Il crepuscolo della civiltà in Scritti e manifesti politici 1933-1939, ed, cit, pp. 169-197
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le, “fa consistere la conoscenza stessa in un’attività sulle cose, un attività di lavoro e di dominazione
della materia e di trasformazione del mondo” (VII, 229).
Marx “non ordina solamente all’azione la conoscenza come tale, ma fa consistere la
conoscenza stessa nell’azione… in un’attività di lavoro e di trasformazione del mondo” (VII, 228),
risolvendo la scienza nella sua storia. “Questo processo consiste nel servirsi della storia di una cosa
per conoscere la natura della cosa, per spiegare la cosa stessa con la sua storia” (VII, 230). Ma la
poesia non è la storia della poesia, la fisica non è la storia della fisica. Con il marxismo i valori
vengono storicizzati. “Verità, giustizia, bene, male, fedeltà, tutte le norme della coscienza, sono
oramai rese perfettamente relative, non sono più che delle forme mutevoli del processo della storia”
(XI, 639). La verità muta a misura che il tempo trascorre. Un’azione e retta e giusta se riesce, ma
questo successo, retto a criterio di verità, non riguarda, come nel pragmatismo americano il
successo individuale ma il successo sociale della classe operaia guidata dallo Stato.
La riabilitazione della causa materiale
Maritain analizza la posizione di Marx nella storia della filosofia, cercando di valutare il
significato del ritorno al realismo, dopo l’Illuminismo e l’Idealismo: “ciò che ha innanzitutto
motivato il capovolgimento marxistico, è stato l’istinto realista proprio dell’intelligenza, una forte
reazione del senso comune, convinto del primato della cosa sull’idea e che non dubita del fatto che
l’oggetto dell’intelletto umano sia la realtà. Ma fin dall’inizio questo realismo è stato concepito
come un materialismo, la realtà extramentale è stata confusa con la materia” (XI, 598).
Mentre Hegel fa emergere la natura e l’umanità dallo sviluppo dell’Idea, Marx fa uscire
dalla evoluzione della Natura l’umanità e l’idea. Il marxismo risulta un hegelismo rovesciato, di cui
conserva il monismo e lo sviluppo dialettico, attribuisce alla materia tutte le caratteristiche che
Hegel aveva attribuito allo spirito. Esiste un unico essere, che è materia, ed, in questo unico essere, i
singoli individui, gli uomini, sono modi di essere, inconsistenti, provvisori, immersi nel divenire
evolutivo. La materia è una realtà dinamica, vivente, animata dalla dialettica della tesi e dell’antitesi
che si risolve in una sintesi, che diventa tesi di una ulteriore antitesi, per cui l’essere non è in
divenire, ma è il divenire. Essere e divenire coincidono, l’essere è in quanto assolutamente diviene
il suo opposto; essere e non essere, vero e falso, bene e male si condizionano reciprocamente nel
continuo divenire.
Marx conferma lo storicismo di Hegel, il suo è un materialismo dialettico. “È ben chiaro che
il materialismo di Marx non è il materialismo volgare, né quello dei materialisti francesi del XVIII
secolo, né il materialismo meccanicistico, ma, avendo una qualità tutta hegeliana, e confondendosi
con un immanentismo perfetto è, per un metafisico, più reale e più profondo” (VI, 345). Si tratta di
un immanentismo assoluto che rivaluta la causalità materiale, ma esclude dal divenire storico le
altre cause, rovesciando la posizione hegeliana che aveva risolto tutto nella causalità formale.
“L’assurdo misconoscimento idealistico della causalità materiale, doveva condurre, per reazione, ad
una rivincita di quest’ultima, giustificata nella sua origine, ma ugualmente insostenibile nei suoi
risultati; perché le due causalità sono richieste insieme come principio di spiegazione della realtà”
(VI, 347).
Tutto nasce dalla materia in evoluzione, non sono dunque il pensiero e la coscienza a
determinare la vita e la storia, ma al contrario è il divenire a determinare la vita in evoluzione, che
genera l’uomo, le società, le civiltà. L’economia diventa l’anima dello sviluppo della società, tutti
gli altri processi socio-culturali, la filosofia, l’arte, la religione, diventano strutture secondarie, che
Marx chiama sovrastrutture. Maritain osserva “Capisco bene che è necessario rivedere
l’interpretazione corrente del materialismo storico, secondo la quale tutta l’ideologia della vita
spirituale non è che un epifenomeno dell’economia. È questa l’interpretazione del marxismo
volgare, ed è ben lungi dall’essere trascurabile, perché è diventata una forza storica. Marx però
vedeva le cose con maggiore profondità… egli ha creduto sempre ad un’azione reciproca tra i
fattori economici e gli altri, l’economico considerato a sé non era dunque per lui l’unica energia
della storia” (VI, 346). Tuttavia, approfondendo l’analisi, Maritain precisa alcuni snodi del
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marxismo “Da una parte l’intuizione delle condizioni di alienazione fatte nel mondo capitalistico
alla forza-lavoro e della disumanizzazione di cui il possidente e il proletario simultaneamente vi
sono colpiti, Marx l’ha concettualizzata in una metafisica monistica, dove il lavoro ipostatizzato
diventa l’essenza stessa dell’uomo e dove, recuperando la propria essenza mediante la
trasformazione della società, l’uomo è chiamato a rivestire gli attributi, che l’illusione religiosa
attribuiva a Dio” (VI, 348). “Dall’altra parte, se il fattore economico, isolato in sé, non è per Marx
l’unica energia della storia, rimane il fatto che il dinamismo essenziale da cui procede l’evoluzione,
essendo quello delle contraddizioni economiche e degli antagonismi sociali del regime di
produzione, è il fattore economico a svolgere la parte primariamente determinante rispetto alle
diverse sovrastrutture in azione reciproca con esso“ (VI, 349). Terzo, di conseguenza “queste
sovrastrutture perdono ogni autonomia propria; per esistere nella storia e per agirvi non solamente
sono condizionate dall’economico e dal sociale, ma ne derivano la loro determinazione primaria e
ne ricevono il loro senso, il loro reale significato per la vita umana“ (VI, 351). Marx in La ideologia
tedesca scrive “La morale, la religione, la metafisica e ogni altra forma ideologica, e le forme di
coscienza che ad esse corrispondono, non conservano la loro autonomia, non hanno storia, non
hanno sviluppo… Non è la coscienza che determina la vita, ma è la vita che determina la coscienza”
(XI, 601).
La società capitalistica, il plus valore e la lotta di classe
Secondo Marx in ogni tipo di società si possono distinguere due classi contrapposte: i
proprietari degli strumenti di produzione e coloro che li usano. Le società variano e si modificano
con il variare dei mezzi di produzione. La sua filosofia della storia individua le grandi fasi della
evoluzione dell’umanità. Nella comunità primitiva, quando gli uomini usano strumenti di pietra e
vivono in comune, la proprietà era collettiva. Con l’inizio dell’agricoltura e l’uso di strumenti di
metallo come l’ascia e l’aratro, i più forti si spartiscono le terre, nasce il latifondo e si ha un regime
di schiavitù. Nel regime feudale, grazie all’invenzione di strumenti per il lavoro artigianale, si
costituisce la piccola proprietà accanto alla grande proprietà terriera; ma con l’invenzione della
macchina e la necessità di grandi capitali nasce la grande industria. In questa situazione economica
il possesso dei mezzi di lavoro è concentrato nelle mani di pochi proprietari, e la massa dei
lavoratori è costretta a vendere la propria forza-lavoro, che diventa così una merce. Si è determinata
una situazione storica in cui alla società di produzione di modo collettivo si contrappone ad una
società di consumo ancora a base individuale e famigliare, con grande svantaggio per i lavoratori.
Secondo Marx si può porre rimedio a questa ingiustizia solo con la collettivizzazione anche
dei consumi, e sarà lo stesso capitalismo a creare le premesse per l’avvento di una società
comunista. Bisogna sostituire ad una economia dove il lavoro aumenta il capitale, dove l’economia
è fine a se stessa, una economia socializzata nella quale il capitale sia utilizzato per migliorare il
tenore di vita dei lavoratori. Questo è possibile solo con la lotta di classe, che implica la necessità di
usare la violenza. Marx legittima moralmente la violenza, in una sorta di nuovo machiavellismo,
perché, anche per lui, il fine giustifica i mezzi. “La constatazione che la forza è la levatrice della
storia, pone per Marx un solo problema, quello di poterla conquistare” (VI, 570). La lotta di classe e
la dittatura del proletariato sono una necessità storica, perché “il proletariato ha la missione sacra di
salvare il mondo” (VI, 414) e solo quando tutto il mondo sarà conquistato al comunismo sarà
possibile la pace. Maritain rileva che Marx ha operato nella società una sorta di secessione di una
parte rispetto al tutto “ed ha chiesto agli operai di tutto il mondo di non cercare altro bene comune,
che quello della propria classe” (XI, 39) sostituendo al concetto di popolo, come corpo politico, il
concetto di classe, proprio come il nazionalsocialismo sostituisce al concetto di popolo il concetto
di razza.
Maritain in un dei suoi ultimi scritti, Una società senza denaro (XVI 1137-1152) osserva
che è una illusione credere alla fecondità del denaro e che il concetto di plus valore non è un
concetto solo marxistico, perché già la Chiesa per un certo tempo aveva ritenuto illecito il guadagno
ottenuto solo con gli interessi sul capitale. Infatti “la somma di cui si tratta, stabilita prima ad un
7
certo tasso di rendimento, non può essere in realtà che un prelievo su quanto dovuto al lavoro
dell’uomo. È questa la qualità che caratterizza il regime capitalista. Questo concetto non è stato
inventato da Marx; egli non aveva che da constatarlo, come possiamo fare noi, se abbiamo occhi per
vedere. Ciò che è proprio di Marx è di averne fatto, proclamando la lotta di classe, uno strumento
per la sua rivoluzione” (XVI, 1150). “Tanto quanto Marx, anche san Tommaso ha la percezione
della umiliazione inflitta all’uomo, dall’alienazione del lavoro al profitto altrui, che Tommaso
chiama servitù.” (VIII, 89). Il marxismo promette, attraverso la lotta del proletariato, una
liberazione dell’uomo, e risolve il problema trasferendo allo Stato ogni forma di proprietà. Maritain
rileva che, malgrado il profitto sia il male radicale del capitalismo, è preferibile vivere in libertà in
un regime capitalista, cercando degli strumenti per rimediare ai danni provocati dalla ricerca del
profitto, piuttosto che in un regime comunista, il quale toglie all’uomo la libertà, che è il dono più
prezioso della persona umana.
L’antropologia dell’uomo collettivo e la morale comunista
Il marxismo vorrebbe liberare la persona umana dalla sua alienazione, dovuta alla
organizzazione capitalistica del lavoro, che fa del denaro un valore assoluto, ma a causa della suo
materialismo finisce per negare la sua dignità, la sua identità personale, riducendola ad un modo di
essere del tutto collettivo e a causa del suo comunismo la subordina allo Stato ed al partito unico
che vi si identifica. Marx scrive nelle tesi su Feuerbach “Il materialismo storico considera che la
vera natura umana è costituita dalla sua attività sociale” (VI, 500). In realtà, il marxismo non può
ammettere la libertà di scelta, ma solo la libertà di chi aderisce al divenire della storia. “Marx cerca
una libertà infinitamente più ambiziosa, perché per lui la volontà umana è, a dire il vero, l’unico
spirito della storia, di una storia che nessuno Dio trascendente governa dall’alto; e quando la
volontà umana sarà uscita dal suo stato di alienazione, la storia tutta intera andrà dove la volontà
umana vuole, sarà il Dio della storia, farà la storia da sovrana assoluta” (VI, 441). Ma la liberazione
finale dell’uomo resta una illusione politica, proprio per la collettivizzazione dei mezzi di
produzione: “la liberazione che esso si propone, sarebbe in realtà la liberazione dell’uomo
collettivo, non della persona individuale; e se supponiamo che alla fine lo Stato sia abolito, in
compenso la società come comunità economica subordinerebbe a sé tutta la vita delle persone“ (IX,
229). Con Hegel e con Marx si passa da un machiavellismo moderato, che separa la politica dalla
morale, ad un machiavellismo assoluto, che identifica la morale con la politica e considera lo Stato
il fondamento del diritto, subordinando le coscienze allo Stato8
L’avere considerato l’etica una sovrastruttura non impedisce a Marx di avere un’etica, pur
facendone un semplice riflesso dell’infrastruttura economica, pur rifiutando “nozioni come quella di
giustizia, di diritto naturale, di verità eterna, di precetto immutabile, nozioni ritenute contaminate di
platonismo e di ipocrisia” (XI, 657). Anche Marx ha il suo “imperativo categorico che risulta dal
fatto che l’uomo è l’essere supremo per l’uomo… un imperativo etico, perché è la suprema
necessità della storia” (XI, 659). In base allo storicismo, per cui non esistono valori assoluti, non
può esistere un dover essere, ma osserva Maritain “qui abbiamo a che fare con il santo dei santi, con
l’anima hegeliana del marxismo” (XI, 659), perché l’uomo è il sommo legislatore e tutto quanto
avviene nella storia è per il suo bene, e cita una riflessione di Garaudy “la morale sarà veramente
laicizzata solo se rinuncerà alla opposizione metafisica tra bene e male, a questo dualismo che non è
che l’ombra terrestre della religione”9
Marx ed Engels credono “alla bontà naturale degli uomini, alla loro uguaglianza,alla
onnipotenza dell’esperienza, dell’abitudine, dell’educazione”; secondo loro l’ingiustizia, lo
sfruttamento nascono dalle strutture sociali. Il male non è nell’uomo, ma nella società borghese, che
bisogna abbattere e alla fine di questa lotta l’uomo troverà la pienezza della libertà: “io non lavorerò
più per vivere, il mio lavoro sarà la mia vita. La produzione, diventata umana, non sarà più che una
8
9
J. Maritain, La fine del machiavellismo in Per una politica più umana, Morcelliana, Brescia 1968, pp. 117-155
R.Garaudy, Le Communisme et la morale, Parigi 1945 p. 17
8
oggettivazione dell’individuo” (XI, 671). Ne consegue che “la morale marxistica è una morale
escatologica” (XI, 665), cerca il Regno di Dio nella storia.
L’ultima eresia cristiana
Maritain vede nel comunismo una eresia cristiana, contraddittoria, perché da una parte
vuole realizzare la solidarietà tra gli uomini e tra i popoli, mentre dall’altra è legata a filosofie come
l’hegelismo ed il marxismo che sono delle teologie rovesciate; nel Breve trattato dell’esistenza e
dell’esistente10 si domanda “Quando Feuerbach ha dichiarato che Dio era creazione e alienazione
dell’uomo, quando Nietzsche ha proclamato la morte di Dio, essi sono stati i teologi delle nostre
filosofie contemporanee. Perché sono così carichi di amarezza, se non perché si sentono incatenati,
loro malgrado, ad una trascendenza ed ad un passato che debbono sempre uccidere e nella cui
negazione affondano le loro stesse radici” (IX, 131). “L’ateismo è il termine finale della dialettica
interna dell’umanesimo antropocentrico” (IX, 368).
Pèguy aveva iniziato Maritain al socialismo sulla base di un criterio morale, insegnandogli
che la rivoluzione sarà morale o non sarà vera rivoluzione. Maritain constata il fallimento di questa
prospettiva socialista: “Di fatto la rivoluzione si è prodotta nella forma di una rivoluzione marxista
e atea, in una certa parte del mondo, in Russia, È qui che la rivoluzione ha avuto luogo ed è stata
una rivoluzione interiormente corrotta, non, quindi, la rivoluzione etica di Pèguy, ma la rivoluzione
materialistica di Lenin“ (X, 669). Questa rivoluzione si è diffusa in tutto il mondo, in Asia,
nell’America Latina, in Africa, contaminandosi anche con il capitalismo. Alla radice della
rivoluzione socialista c’è stato il primato dell’azione sulla contemplazione, “il primato faustiano
dell’azione e la prassi considerata come criterio di verità” (XII, 806). La filosofia della prassi è
diventata l’ideologia del partito comunista, tanto che Antonio Gramsci (1891-1937) giunge a
scrivere “ogni filosofia è una politica e ogni filosofo è essenzialmente un uomo politico” (XI, 630),
e Lukacs precisa, in coerenza con il materialismo dialettico, che “il criterio di valutazione non è il
semplice successo, ma il successo voluto dalla storia” (XI, 683). Infine, nel suo giudizio su quanto
è accaduto, Maritain sottolinea la responsabilità dei cristiani e cita questa riflessione del filosofo
russo-ortodosso Nikolaj Berdjaev (1874-1948) “La posizione del mondo cristiano di fronte al
comunismo non è solo la posizione di colui che porta in se stesso la verità eterna ed assoluta, è
anche la posizione del colpevole, che non ha saputo realizzare questa verità e che l’ha tradita” (V,
426).11
La critica di Maritain al comunismo si basa su san Tommaso, secondo cui la proprietà è, per
sua natura, privata, in ragione stessa della produzione, cioè della recta ratio factibilium, (arte)
mentre l’uso di questa proprietà deve essere sociale per la recta ratio agibilium, (prudenza). “La
legge della appropriazione personale (in forma individuale o associata) è altrettanto importante
della legge dell’uso comune” (VI, 499). Il capitalismo e il comunismo hanno alterato le condizioni
del fare umano, che possono essere soddisfatte solo nella libertà, nell’amicizia civile, con una
politica economicamente avveduta. Il comunismo porta al collettivismo e alla tirannide, perché
nella società socialista: “se l’individuo si prende cura della buona gestione dei beni, non è perché
egli sia direttamente responsabile dell’opera stessa, che produce, che non è più la sua cosa, e la cui
riuscita e il cui naufragio non lo tocca più, non lo interessa più; ma è perché è responsabile davanti
alla collettività, di cui è servitore, di fronte ad altri uomini che lo castigheranno, se svolge male il
suo compito” (V, 506). Per Marx è la società, organizzata in Stato, non la coscienza personale
responsabile davanti a Dio, ad essere il punto fondamentale di riferimento etico. “Il marxismo resta
tributario del messianismo utopico inerente, fin dall’inizio, alla tradizione socialista. A dispetto
delle esigenze teoriche della dialettica, egli vede sorgere dai conflitti della storia una umanità
comunista, che appare come il punto conclusivo, dove tutto sarà riconciliato, come nel Verbo di
Dio” (VI, 361). Il marxismo vuole realizzare sul piano della natura e della storia quell’umanità
10
11
J, Maritain, Breve trattato dell’esistenza e dell’esistente, Morcelliana, Brescia 1965
Cfr. N. Berdjaev, Autobiografia spirituale, Jaca Book, Milano 2006
9
perfetta, che si potrà realizzare ad opera della grazia di Dio sul piano della soprannatura solo alla
fine della storia nel Regno di Dio. “Nella lotta di classe e in questo messianismo escatologico è stata
falsata la presa di coscienza della dignità della classe operaia. Questo culto dell’assoluto nella storia
segna il passaggio dall’hegelismo rudimentale del nazionalsocialismo, che aveva divinizzato la
razza, ad un hegelismo più profondo, che divinizza la classe proletaria nel divenire dialettico della
lotta di classe” (VI, 414). L’errore dei socialismi consiste nella convinzione di potere modificare e
migliorare l’uomo, modificando le strutture sociali.
Il male non è solo nelle strutture sociali e politiche, ma è soprattutto nell’orgoglio, nella
avidità, nella concupiscenza del cuore dell’uomo, che soltanto la grazia di Dio può rimediare.
L’umanesimo ha bisogno del cristianesimo. Bisogna che i cristiani prendano coscienza della loro
missione temporale, senza confondere e senza separare il piano dello spirituale dal piano del
temporale. Maritain precisa altro è agire in quanto cristiano a livello di religione, impegnando la
Chiesa, altro è agire da cristiano a livello di politica, impegnando solo se stessi. Non si tratta di un
dualismo, (sarebbe schizofrenia!), bensì di una distinzione, perché “il piano del temporale è
subordinato al piano dello spirituale” (VII, 619), ma all’interno della coscienza dei cittadini. In una
democrazia non si può istituzionalizzare una fede religiosa nelle strutture dello Stato; non può
esserci uno Stato cattolico o uno Stato musulmano. Questa laicità non significa indifferenza verso le
religioni, perché lo Stato democratico non è neutro (laicismo), ma neutrale, rispetto alle fedi dei
suoi cittadini, e rispetta la loro libertà di coscienza e di organizzazione sociale. È legittimo tendere a
promuovere una società cristiana, una cristianità nel mondo pluralistico della città dell’uomo, è
errato pretendere di avere uno Stato cristiano.12
12
P. Viotto, Dalla cristianità istituzionalizzata alla città dell’uomo. La Caritas in veritate di Benedetto XVI in
Orientamenti sociali sardi, n.1 gennaio-giugno 2011