I. IL SIGNOR DE FILIPPO E EDUARDO, IL TEATRANTE

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I. IL SIGNOR DE FILIPPO E EDUARDO, IL TEATRANTE
La vera vita di Eduardo è stata e rimarrà un mistero. Del resto, egli ha sempre coltivato il culto del mistero; e come dargli torto? Anche sapendo dove e come è nato un artista, quando ha cominciato a scrivere e a recitare, ci si può davvero rendere conto del perché ha raggiunto cime altissime o appena superato la mediocrità?1
Descrivendo la biografia di Eduardo De Filippo, ci si imbatte in un’abbondante quantità di dati su cui riferire: ottantaquattro anni di vita, dei quali ottanta trascorsi in teatro. Per chiarezza di esposizione si è diviso il capitolo in due paragrafi cronologici, che riguardano la prima e la seconda metà del Novecento (che Eduardo definirà “giorni pari” e “giorni dispari”), a loro volta divisi in sottoparagrafi che descrivono la biografia personale e quella artistica.
Per quanto riguarda gli eventi personali i materiali sono pochi: Eduardo, da sempre schivo2 e geloso della sua vita privata, non ha lasciato 1 Isabella QUARANTOTTI , Ricordando Eduardo, in AA. VV., Omaggio a Eduardo, a cura di Luciana BOCCARDI, Venezia, Edizioni In Castello, 1985, s. p.
2 Scrive Orio Vergani che «[...] parlare con lui è un po’ difficile: sembra ch’egli osservi: “Non ti ho già detto tutto?”» (Orio Vergani in Eduardo DE FILIPPO, ’O Canisto, Napoli, Edizioni Teatro San Ferdinando, 1971).
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molti documenti3. Per quanto concerne l’infanzia, una grande fonte di informazioni è l’autobiografia del fratello Peppino De Filippo4, sebbene sia da consultare con prudenza, considerando il coinvolgimento emotivo dell’autore e l’aleatoria affidabilità delle fonti5. Per l’aneddotica la bibliografia di riferimento comprende la recente raccolta di testimonianze curata da Emilio Pozzi, Parole mbrugliate6; Eduardo da scugnizzo a senatore, di Fiorenza Di Franco7; il CD­ROM allegato al volume di Antonella Ottai L’arte del teatro in televisione8; Vita di Eduardo, la biografia del giornalista Maurizio Giammusso9; Eduardo. Pensieri, parole, polemiche, pagine inedite, di Isabella Quarantotti10; infine la stessa autobiografia di Peppino. Mentre a proposito della biografia artistica i testi di riferimento sono stati, tra gli altri, Eduardo, di Anna Barsotti11, il volume di Federico Frascani, La Napoli amara di Eduardo De Filippo12, la Cronologia di Paola Quarenghi13, e infine la biografia curata da Gennaro Magliulo14. 3 Lo stesso Eduardo sostiene: «Non voglio scrivere le mie memorie. I ricordi non servono a niente. Servono solo a imbrogliare le carte». Eduardo DE FILIPPO, «L’Espresso», 1 settembre 1974.
4 Peppino DE FILIPPO, Una famiglia difficile, Napoli, Marotta, 1977.
5 Ivi, p. 9: «Tutto ciò che di buono e di cattivo in senso significativo ho riportato in questo libro è il risultato di quanto ho sentito dire o sussurrare o che mi è stato chiaramente detto da parenti stretti o larghi o semplicemente raccolto da voci maligne, qua e là, vivendo in seno alla mia famiglia dalla piccola alla grande età. [...] la “vita” [...] porta con sé “bugie e verità” e le une e le altre, col favore del tempo e dell’ “ambiguità”, possono mutare significato e valore».
6 Parole mbrugliate. Parole vere per Eduardo, a cura di Emilio POZZI, Roma, Bulzoni, 2007.
7 Fiorenza DI FRANCO, Eduardo da scugnizzo a senatore, Roma­Bari, Laterza, 1983.
8 Antonella OTTAI, L’arte del teatro in televisione, Roma, Rai Eri, 2000.
9 Maurizio GIAMMUSSO, Vita di Eduardo, Milano, Mondadori, 1993.
10 Isabella QUARANTOTTI, Eduardo polemiche, pensieri, pagine inedite, Bompiani, Milano, 1986
11 Anna BARSOTTI, Eduardo, Torino, Einaudi, 2003.
12 Federico FRASCANI, La Napoli amara di Eduardo De Filippo, Torino, Einaudi, 1953.
13 Paola QUARENGHI, Cronologia, in Eduardo DE FILIPPO, Teatro, vol. I, Milano, Mondadori, 2000.
14 Gennaro MAGLIULO, Eduardo De Filippo, Bologna, Cappelli, 1959.
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I.1 I giorni “pari”
1.1 Origini
Il 26 febbraio 1972 il settimanale «Gente» pubblica nella prima di tre puntate un’intervista a Peppino De Filippo, nella quale il teatrante napoletano svela alla cronaca quel segreto che già nell’ambiente teatrale e giornalistico era conosciuto, ma che per pudore e per mancata conferma dei diretti interessati non era mai stato affermato: lui e i suoi fratelli, di N.N.15, erano figli del grande autore e attore napoletano Eduardo Scarpetta (Napoli, 13 marzo 1853 – Napoli, 29 novembre 1925)16.
Pochi anni dopo, nel 1976, uscirà l’autobiografia di Peppino, che porterà alla luce inediti particolari circa le origini e l’infanzia dei tre17 De Filippo.
La vita di Eduardo inizia a Napoli, il 2418 maggio 1900. In una casa di 15 Nomen Nescio (“nome sconosciuto”), locuzione latina con la quale si identificavano coloro di cui almeno un genitore era ignoto o non pienamente identificabile. In Italia la dicitura infamante “figlio di N.N.”, apposta sul documento d’identità, è stata abolita solo nel 1975 con la riforma del diritto di famiglia (legge 151/75).
16 Per una biografia di Scarpetta cfr. Mario MANGINI, Eduardo Scarpetta e il suo tempo, Napoli, Montanino, 1961.
17 Secondo quanto riportato da Peppino (Una famiglia difficile cit., pp. 43­47) vi fu anche una quarta sorella, morta poco dopo il parto.
18 Secondo l’atto di nascita riportato dal Frascani (Federico FRASCANI, Ricordando Eduardo, Napoli, Colonnese, 2000, p. 13), Eduardo De Filippo sarebbe nato non il 24, ma il 26 maggio. Quella del 24 maggio è una data riportata dal resto della critica, nonché dallo stesso Eduardo in una nota autobiografica risalente ai primi anni Settanta: «Sono nato a Napoli il 24 maggio 1900, dall’unione del più grande attore­autore­regista e capocomico napoletano di quell’epoca, Eduardo Scarpetta, con Luisa De Filippo, nubile». Eduardo De Filippo. Vita e opere (1900­1984), catalogo della mostra, a cura di Isabella QUARANTOTTI e Sergio MARTIN, Milano, Mondadori, 1986. L’atto di nascita fu ricercato in seguito a un inchiesta de «Il Mattino» che pose dubbi anche sul luogo di nascita. Cfr. Emilio POZZI, 10
via Vittoria Colonna19, alle ore venti, la giovane Luisa De Filippo (1878­
1944) dà alla luce il secondo figlio, che avrà del padre il nome, ma non il cognome. Come già la primogenita Annunziata, soprannominata Titina (Napoli, 1898) e più tardi il fratello minore Giuseppe, Peppino (Napoli, 1903), il nuovo nato illegittimo dovrà nascondere il vero padre sotto l’appellativo di “zio”. “Zio Eduardo”, al secolo Eduardo Scarpetta, aveva entusiasmato le platee di tutta Napoli portando alla ribalta le traduzioni in napoletano delle pochades20 francesi e sviluppando il personaggio di Felice Sciosciammocca: il nuovo ruolo scalzava il Pulcinella impersonato, fra i maggiori interpreti, dal suo maestro Antonio Petito21; nella seconda metà dell’Ottocento, a Napoli, lo Sciosciammocca scarpettiano evolve quel sistema teatrale della commedia dell’arte privandolo della sua maschera prima, Pulcinella, e avviandolo verso quella riforma22 che già cento anni prima Goldoni impose sulle scene veneziane.
Parole mbrugliate cit., pp. 87­94.
19 Questa la residenza indicata da Gennaro Magliulo (Eduardo De Filippo cit., p. 17), nonché dall’atto di nascita sopra citato; mentre Fiorenza Di Franco (Eduardo da scugnizzo a senatore cit., p. 1) e Paola Quarenghi (Cronologia, in Eduardo DE FILIPPO, Teatro, vol. I, Milano, Mondadori, 2000, p. XCVII) indicano come indirizzo via Bausan n.13. L’equivoco è analizzato da Emilio POZZI in Parole mbrugliate cit., pp. 87­94. 20 La pochade è un genere comico nato a Parigi nel XIX secolo, strutturato su vicende amorose e intrighi. Esponenti illustri furono Feydeau e Bernard.
21 Benedetto Croce nel 1909 così si espresse sull’argomento: «La commedia pulcinellesca del San Carlino era finita con il Petito [...]. L’eredità di quella commedia venne raccolta dallo Scarpetta che prese a ridurre, spesso con molta abilità e brio, le pochades francesi», in Benedetto CROCE, La vita letteraria a Napoli, in La letteratura della nuova Italia, I ed. economica, Bari, Laterza, 1973, vol. IV, p. 251 (cit. in Giovanni ANTONUCCI, Eduardo De Filippo: introduzione e guida allo studio dell’opera eduardiana, Firenze, Le Monnier, 1980, p. 3).
22 «Una riforma, una riforma è necessaria. S’abbia anche Napoli il suo buon teatro in dialetto, con libri scritti, con scene distese per intero. Bisogna far della verità e non giochi di prestigio». Eduardo SCARPETTA, Cinquant’anni di palcoscenico, Milano, Savelli, 1982, p. 112 (cit. in Maurizio GIAMMUSSO, Vita di Eduardo cit., p. 15).
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La nuova “maschera borghese” è questa: «don Felice Sciosciammocca, il cui status varierà da opera ad opera, ma il cui modello creaturale sarà sostanzialmente lo stesso: il piccolo­borghese “investito” sì “dal basso” ma con un’ottica grottesca disumanizzante; un “tenore” caricaturato, rappresentante di quel ceto appena appena elevatosi che della sua precaria promozione sociale portava addosso, negli abiti stretti stretti e corti corti, i segni vistosi e ridicoli»23. Il soggetto del suo teatro fu l’emergente borghesia napoletana. Sottolinea Anna Barsotti: «proprio l’imborghesimento del personaggio centrale, dal Pulcinella petitiano al Don Felice scarpettiano, oltre a registrare una svolta storica del paese, aveva segnalato un mutamento di obiettivi spettacolari»24. La classe popolare non è ritenuta adatta alla commedia perché secondo Scarpetta «è troppo misera, troppo squallida e troppo cenciosa per comparire ai lumi della ribalta e muovere il riso»; infatti «il vizio che germoglia come un’erbaccia parassita negli infimi strati del nostro popolo, rende quasi sempre doloroso anche il sorriso. E rivoltando quella melma fangosa si potrà scrivere un bel dramma passionale, un acuto studio sociale, ma non mai una commedia brillante»25. Nel passaggio dalla farsa alla commedia Eduardo Scarpetta prediligerà il linguaggio dialettale e punterà a “elevare” il teatro popolare attraverso la borghesizzazione dei contenuti, dei personaggi, nonché del pubblico stesso26.
Lo stesso Eduardo De Filippo, nel 1974, affermò:
Io ritengo Eduardo Scarpetta un riformatore del teatro napoletano e che con lui abbia avuto inizio un filone 23 Anna BARSOTTI, Scarpetta in Viviani: la tradizione nel moderno, «Il castello di Elsinore», anno V, 15, 1992, p. 89.
24 Ivi, p. 90. 25 Eduardo SCARPETTA, Cinquant’anni di palcoscenico cit., p. 261.
26 Anna BARSOTTI, Scarpetta in Viviani cit., p. 93. 12
importantissimo che va da lui stesso – che si riallacciava al teatro del San Carlino, al genere del San Carlino, rivisto e corretto da lui per la riforma – che va da lui a Viviani a De Filippo27.
Avversato da intellettuali e scrittori napoletani, Scarpetta venne accusato dello svilimento della tradizione napoletana, tramite un repertorio disimpegnato – in gran parte importato dalla Francia – e la sostituzione della antica maschera acerrana con quella moderna borghese di Sciosciammocca. Eduardo De Filippo nella sua ultima intervista a «Il Mattino» sostenne, con amarezza, il misconoscimento delle menti italiane da parte degli italiani stessi:
Scarpetta è stato un personaggio molto bersagliato sia dalla critica sia dai suoi nemici in arte. Ha dovuto sempre battersi ed anche dopo morto non ha avuto fortuna. Del resto per noi i grandi attori, i grandi inventori, i grandi scrittori sono sempre stranieri, non c’è niente da fare. La causa di D’Annunzio fu certamente fra i momenti più dolorosi della vita di Scarpetta. Quando si fece il processo avevo otto anni ma ricordo benissimo che diavoleria gli combinarono. La prima del «Il figlio di Jorio» fu una terribile serata, con gli studenti che fischiavano a bella posta tutta una cosa armata da Marco Praga e dagli altri nemici del teatro dialettale... Quante amarezze soffrì. Credo che in quel periodo, per combattere tanti avversari, ci abbia rimesso dieci anni di vita... Dei suoi rivali, però, dopo aver vinto la causa, si vendicò fotografandoli, mettendoli in caricatura nelle riviste che, in collaborazione 27 Da un’intervista al telegiornale in merito al ciclo scarpettiano, 21/2/1974 (film 35 mm, b.n., dur. Compl. 3’07”), cit. in Antonella OTTAI, L’arte del teatro in televisione cit., CD­ROM allegato. La trascrizione è mia.
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con Rocco Galdieri, dava al teatro Bellini28. Ciononostante, “don Eduardo” è celebrato e amato dal pubblico napoletano, un pubblico borghese che cerca nel teatro svago e divertimento; grazie a opere come Miseria e nobiltà (1888) e soprattutto ’Na santarella (1889), Scarpetta conquista la città guadagnandosi una posizione al di sopra della morale comune (una morale comunque diversa da quella odierna). Così oltre alla famiglia ufficiale costituita con Rosa De Filippo, poteva permettersene altre due: quella nata dalla relazione con la sorellastra di Rosa, Anna De Filippo29 e quella costituita con la giovane sarta della sua compagnia30, Luisa De Filippo, il cui padre Luca, un umile commerciante di carbone, era il fratello di Rosa31. Ma per quanto ignoto il padre dei tre De Filippo non farà mancare ai figli illegittimi vitto, alloggio, un’istruzione di base, lezioni di pianoforte che seguiva personalmente32 e la 28 Eduardo DE FILIPPO, dall’ultima intervista rilasciata a «Il Mattino di Napoli», a cura di Carlo Premo e Lello Greco, in AA. VV., Omaggio a Eduardo cit., s. p. 29 Da quella relazione – da Scarpetta smentita, come si legge in Peppino De Filippo, Una famiglia difficile cit., p. 85, passim – nacquero due figli: Pasquale ed Eduardo De Filippo, attore anch’egli, noto col nome d’arte Eduardo Passarelli, assunto per distinguersi dal più celebre fratellastro.
30 In un’intervista a Orio Vergani Gaspare Casella, editore e antiquario amico di Eduardo, racconta: «La madre dei De Filippo faceva la sarta nella compagnia di Eduardo Scarpetta. Il capocomico aveva, in camerino, un piccolo divano. Quando, durante una recita, sentiva che qualcosa si risvegliava, appena calato il sipario correva in camerino, si strappava un bottone della giacca, chiamava il portaceste e ordinava che gli portassero la sarta. Tutti sapevano come si sarebbe risolta la faccenda, su quel tal divanetto... Eduardo De Filippo, Titina, Peppino, sono figli di un bottone»; in Orio VERGANI, Misure del tempo, Milano, Leonardo, 1991 (cit. in Maurizio GIAMMUSSO, Vita di Eduardo cit., p. 20).
31 Secondo Quarenghi (Cronologia, in Eduardo DE FILIPPO, Teatro, vol. I, Milano, Mondadori, 2000, p. XCVIII) e Giammusso (Vita di Eduardo cit., p. 18) Ernesto Murolo (1876­1939), poeta, autore drammatico e musicista, sarebbe stato anch’egli figlio di Scarpetta.
32 A proposito del maestro di pianoforte Peppino ricorda: «Non ammetteva il più insignificante degli errori né la più trascurabile distrazione. Quando ne commettevo una [...] mi costringeva a ripetere [...]: “Scusatemi maestro Lanciano, sono un fesso”. Una volta [...] invece di dire sono un fesso dissi: siete un fesso! Successe il finimondo.[...] Lanciano se ne andò furioso assicurando che del fatto avrebbe informato zio Scarpetta a Roma e così fece. Seppi, poi che la risposta fu la seguente: “...che ci volete 14
partecipazione prima nella sua compagnia e poi, ritiratosi dalle scene33, in quella del figlio Vincenzo.
Tuttavia le opinioni sul padre divergono fra i tre De Filippo. Titina osserva:
Presso la buca del suggeritore c’è un uomo dal volto mobilissimo. Ha i capelli tagliati corti sulla fronte stempiata e gli occhi neri. Veste un abito dal taglio giovanile, di colore chiaro, ha un garofano rosso all’occhiello. È piuttosto pingue e basso di statura. È il capocomico e direttore della compagnia... [...] Autorevole, nervoso, gesticolante, severo, autoritario con tutti. Avevo terrore persino del suo sguardo. Sarà sempre lui a decidere le cose della mia vita. Il mio cervello era ossessionato da garofani rossi34.
Peppino tradisce amarezza nei confronti del padre­zio nella sua autobiografia:
Tipo di uomo eccentrico e dotato di scaltrezza temibile che in verità costituiva il suo charme più travolgente, provvisto di una insaziabile curiosità si gettava fare caro maestro? Certi ragazzi non vogliono capire che ci sono cose che si possono solo pensarle e mai dirle...”». Peppino DE FILIPPO, Una famiglia difficile cit., p. 149.
33 Isabella Quarantotti riporta: «Acclamato da tutti, adorato a Napoli e fuori Napoli, la sua carriera descrisse una parabola ascendente fino a quando, paradossalmente, fu colpito da quel che gli inglesi chiamano “stage fright”. La brava e simpatica attrice Amelia Perrella mi ha raccontato come accadde: una sera Amelia, appena adolescente, era in scena accanto a Scarpetta che, come voleva il copione, le aveva poggiato una mano sulla spalla, improvvisamente la mano cominciò a tremare convulsa... lo guardò in faccia, e vide che impallidiva, sudava e per poco non svenne. Riuscì a superare la crisi ma da lì a poco si ritirò dalle scene». Isabella QUARANTOTTI, Ricordando Eduardo, in AA. VV., Omaggio a Eduardo cit., s.p.
34 Cfr. Augusto CARLONI, Titina De Filippo, Milano, Rusconi, 1984, p.12.
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avidamente su tutto ciò che gli era di gradimento, onde portarne via la parte più gustosa. Cinico e diffidente verso tutto e tutti. E la sua diffidenza, il suo cinismo lo portavano ad essere l’uomo delle situazioni disperate, che nulla riesce a fermare insensibile a qualsiasi delusione, privo di scrupoli e sempre pronto a mentire e a compiere gesti amorali. A volte con «crudeltà»35. Eduardo invece non espresse mai chiaramente la sua opinione36, ma per Isabella Quarantotti, sua terza moglie, «l’ammirazione di Eduardo per il padre è nota a tutti, anche attraverso l’opera di rivalutazione del repertorio di Scarpetta»37; e racconta che «suo padre gli regalò una piccola scrivania antica di cui il ragazzo andava orgoglioso [...]; passava ore inchiodato sulla sedia a copiare, per ordine di Scarpetta. Malgrado la fatica, quel lavoro lo affascinava e poco per volta acquistò la dimestichezza con la tecnica dello scrivere commedie: il taglio delle scene, la durata degli atti, lo stile dei dialoghi. Eduardo è sempre stato grato a suo padre che, sia pure con severità eccessiva, lo spinse a fare teatro»38. Per conto suo Eduardo, nel 1980, quando Luigi Compagnone gli chiese: «Il tuo era un padre severo o un padre cattivo?» rispose seccamente «Era un grande attore»39. Già da questo si può indovinare il rispetto per l’attore40, 35 Peppino DE FILIPPO, Una famiglia difficile cit., p. 62.
36 Afferma Augusto Carloni, il figlio di Titina: «[...]neppure una parola su “papà Scarpetta” [...]. Mai, esplicitamente, alcun giudizio morale, alcuna vera immagine privata, alcun sentimento filiale [...] filtrato semmai nella linea amara di una commedia, nel tratto di un personaggio, nell’eco di una battuta[...]». Augusto CARLONI, Titina cit., p. 12.
37 Isabella QUARANTOTTI, Eduardo. Pensieri cit., p. 6.
38 Isabella QUARANTOTTI, Ricordando Eduardo, in AA. VV., Omaggio a Eduardo cit., s.p.
39 Luigi COMPAGNONE, «Oggi», 21 maggio 1980.
40 Riportiamo in nota un aforisma di Eduardo a proposito della condizione del “figlio d’arte”, in senso stretto e in senso lato: «I “figli d’arte” vanno scomparendo; ai superstiti non resta che raccogliere l’irriconoscenza di quelli adottivi». Isabella QUARANTOTTI, Eduardo. Pensieri cit., p. 159.
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prima dell’amarezza per il padre (se amarezza vi fu). E a proposito di questo rispetto riportiamo qui quanto detto da Eduardo durante un’intervista:
— Qual è il legame, se c’è, fra il suo teatro e quello di Scarpetta?
— [...] come le posso dire... Non pensi che Eduardo Scarpetta m’abbia trasmesso questo attraverso una ragione di sangue. No, no... Attraverso l’ammirazione che io ho avuto per quest’uomo; attraverso l’ammirazione e l’affetto che mi ha legato a questo genere di repertorio, che ha dato vita a un filone che non è finito ancora, che continua ancora...41
E ancora, con un orgoglioso paradosso, nel 1973: «La paternità dei figli legittimi è sempre dubbia. Quella degl’illegittimi, al contrario, viene accertata col consenso popolare e diventa verità sacrosanta. La mia paternità è indiscutibile!»42.
1.2 Teatro al balcone
Dall’autobiografia di Peppino43 si scopre la prima infantile forma di teatro che i due fratelli, Eduardo e Peppino, al teatro destinati, praticavano da bambini. In quel periodo la madre usciva tutte le sere per raggiungere Scarpetta nei teatri dove egli recitava. Spesso anche Titina la sera era fuori casa, o per accompagnare la madre o perché anche lei, talvolta, prendeva 41 Da un’intervista al telegiornale in merito al ciclo scarpettiano, 21/2/1974 cit. La trascrizione è nostra.
42 Isabella QUARANTOTTI , Eduardo. Pensieri cit., p. 8.
43 Peppino DE FILIPPO, Una famiglia difficile cit., pp. 54­55.
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parte alle commedie. Così i due bambini rimanevano da soli in casa, accuditi dalla vecchia portinaia del palazzo, donna Filomena. Solitamente, a un certo punto della serata arrivava sul loro balcone un cartoccetto di cioccolatini. «Quel segnale significava che i signori [...] del palazzo di rimpetto, una anziana coppia di moglie e marito, voleva vedere un po’ di spettacolo»44; così i piccoli Eduardo e Peppino, delegando donna Filomena all’alzata del sipario (la tapparella), cominciavano a improvvisare scenette e lazzi, mentre la coppia applaudiva con soddisfazione, ignara di essere i primi spettatori di quelli che sarebbero poi diventati fra i più grandi attori del Novecento. A proposito di quel pubblico racconta Peppino: «I nostri dirimpettai erano di nazionalità tedesca e per parlarci ci si intendeva a gesti. Una volta che ci eravamo capiti, essi a volerci vedere recitare e noi a pretendere, dopo, un “premio”, lo spettacolo aveva inizio»45.
1.3 Debutto e primi passi sul palcoscenico
Roma, Teatro Valle, 6 febbraio 190446. É in scena la parodia di una famosa operetta, La Geisha, portata dal padre­zio. Eduardo ricorda:
Improvvisamente mi sentii afferrare e sollevare in alto, di faccia al pubblico, con la luce dei riflettori che mi abbagliava e mi isolava dalla folla. Chissà perché mi misi a battere le mani e il pubblico mi rispose con un applauso fragoroso.[...] Quella emozione, quell’eccitamento, quella paura mista a gioia esultante... io le provo ancora oggi, 44 Ibidem.
45 Ibidem.
46 Paola Quarenghi (Cronologia, in Eduardo DE FILIPPO, Teatro, vol. I, Milano, Mondadori, 2000, p. C) indica come data il 6 febbraio 1906, laddove tutti gli altri biografi affermano il 1904. 18
identiche, ad una prima rappresentazione, quando entro in scena47.
Figlio d’arte, cresce nei teatri e osserva, anche con spirito critico, gli attori:
Avevo sei, sette anni, e passavo giornate e serate intere a teatro. Essendo figlio d’arte mi riusciva facile farlo. Una commedia, o dalle quinte, o da un angolo di platea, o con la testa infilata tra le sbarre della ringhiera del loggione, o da un palco, me la vedevo chi sa quante volte. Ricordo con chiarezza che perfino gli attori che più ammiravo e che più mi entusiasmavano, come mio padre Eduardo Scarpetta, o Pantalena, o la splendida Magnetti, suscitavano in me pensieri critici. ‘Quando farò l’attore io, non parlerò così in fretta,’ pensavo; oppure: ‘Qui, si dovrebbe abbassare la voce,’ oppure: ‘Prima di quello strillo ci farei una pausa lungo almeno tre fiati.’ E restavo là, inchiodato ad ascoltare, dimenticando ogni altra cosa48.
Nel 1909 è in scena con i fratelli in Nu ministro ’mmiezo ’e guaie, di Scarpetta. Il 6 maggio dello stesso anno, con Titina, recita nella rivista L’ommo che vola, di Scarpetta e Rambaldo (Rocco Galdieri), in scena al Teatro Bellini.
Ritiratosi dalle scene Scarpetta padre, nel 1909, la direzione della compagnia passa nelle mani del figlio Vincenzo, erede anche del 47 Ringraziamento per il conferimento della laurea honoris causa all’Università di Roma, in Allocuzioni pronunciate durante la cerimonia di consegna di lauree honoris causa, Aula Magna, 18 Novembre, 1980, Tipografia D’Amato, Roma, s.d., p. 18.
48 Eduardo De Filippo, estratto dalla Conferenza inaugurale dello Studio Internazionale dello spettacolo, organizzato dall’Istituto di teatro e spettacolo dell’Università di Roma a Montalcino nel luglio 1983, (cit. in Isabella QUARANTOTTI , Eduardo. Pensieri cit., pp. 107­108).
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personaggio di Felice Sciosciammocca.
Nel 1911 Eduardo, come era tradizione per i figli di Scarpetta (legittimi e non, maschi e femmine), riceve il “battesimo teatrale” impersonando il piccolo Peppeniello, nella celeberrima Miseria e nobiltà. È il 27 marzo, in occasione di una serata di gala per il cinquantenario del Regno d’Italia, al Teatro Mercadante.
1.4 Giovane Eduardo
In quegli anni il piccolo Eduardo fa una scoperta drammatica: «quando, a undici anni, seppi che ero “figlio di padre ignoto” per me fu un grosso choc. [...] Da una parte ero orgoglioso di mio padre, della cui compagnia ero entrato a far parte sia pure saltuariamente [...]; dall’altra parte la fitta rete di pettegolezzi, chiacchiere e malignità mi opprimeva dolorosamente. Mi sentivo respinto, oppure tollerato, e messo in disparte solo perché “diverso”»49.
A undici anni viene mandato a studiare in collegio assieme al fratello, ma a differenza di questi, Eduardo ne fuggirà dopo un anno50, tornando a casa, insofferente all’austerità del luogo che tanto dovette angustiare il suo spirito scapestrato, come lo ricorda Peppino: Mio fratello Eduardo, a parere di parecchi, in casa era 49 Isabella QUARANTOTTI , Sergio MARTIN, Eduardo De Filippo, vita e opere, Milano, Mondadori, 1986, p. 58­59.
50 «Peppino, più giovane, si limitava a lamentarsi; Eduardo faceva progetti di fuga. Ma fu soltanto dopo un lungo anno scolastico che, dopo aver spiato per ore le mosse dell’accompagnatore durante una passeggiata, Eduardo poté balzare su un tram e andarsene a casa. Scoppiò uno scandalo così grosso che egli non poté più tornare in collegio, dove accettarono di tenere soltanto il povero Peppino». In Enrico NARDINI, I tre De Filippo, «La Settimana Incom», 26 gennaio 1952.
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considerato il «figlio scapestrato» dal quale purtroppo non ci si poteva attendere nulla di positivo. Infatti mio fratello si disinteressava completamente dei problemi della famiglia. Anche lui, come Titina, disimpegnato dalle fatiche del teatro, andava a letto tardi e si levava non prima di mezzogiorno. Fumava molto e prendeva tanto caffè. Spesso rimaneva fuori casa con gli amici fino alle tre, alle quattro del mattino e mia madre stava ad attenderlo affacciata al balcone in preda a grande agitazione ma non sapeva proibirglielo, anche perché mio fratello di qualsiasi proibizione se ne infischiava altamente e continuava a fare il suo comodo. La cara mia madre, come per Titina, aveva per lui non poche preferenze e gli perdonava ogni cosa. Eduardo in verità, era venuto su da piccolo malaticcio e per questo sempre disposto ad ammalarsi. Mia madre in cuor suo lo considerava il figlio di salute delicata e gli si doveva un trattamento dolce e paziente51.
Nei mesi successivi la famiglia De Filippo si trasferisce nella centralissima via dei Mille, a pochi isolati da Palazzo Scarpetta. Mentre la sorella Titina è in pianta stabile nella Compagnia Scarpetta, e al piccolo Peppino sono affidate le cure della casa, Eduardo si presta a lavorare in varie compagnie, per piccoli impieghi e piccole paghe: «Quando avevo dodici anni guadagnavo 4 soldi al giorno e non ero degno di essere pagato dall’amministratore. Mi pagava la sarta, una volta alla settimana. Per quei 4 soldi dovevo: recitare, fare rumori fuori scena, pulire le scarpe e occuparmi dell’attrezzeria»52. In quel periodo entra stabilmente nella compagnia del fratellastro 51 Peppino DE FILIPPO, Una famiglia difficile cit., p. 124.
52 Eduardo DE FILIPPO, Riflessioni sul teatro, in Isabella QUARANTOTTI, Eduardo. Pensieri cit., p. 145.
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Vincenzo, e comincia a scrivere atti unici: [...] non ricordo come fossero ma immagino che consistessero in pedisseque imitazioni di testi ascoltati; è interessante però che già a quell’epoca provassi il bisogno di fare teatro da autore oltre che da attore53.
Come racconta Isabella Quarantotti, i primi ostacoli sulla strada del teatro li trovò in sua madre: «Il mondo del teatro doveva sembrarle assai insicuro e aleatorio (come infatti era a quei tempi, quando gli attori facevano la fame e la fortuna arrivava, se arrivava, dopo anni di sacrifici), tanto è vero che cercò con ogni mezzo di allontanare suo figlio dalle scene. Uno dei ricordi più strazianti di Eduardo era quello della mamma che strappava le scenette, gli atti unici che egli scriveva a tredici, quattordici anni, esortandolo a pensare seriamente al proprio avvenire e spronandolo ad abbracciare la carriera di elettricista»54.
In quegli anni precedenti la guerra, Eduardo frequenta un coetaneo, figlio di un avvocato, che gli farà scoprire il Tribunale di Napoli. «Per me qualsiasi posto costituisce un campo di osservazione, e uno dei più importanti è stato senza dubbio il Tribunale di Napoli», dirà nel 1973; «tornai diverse volte in Tribunale [...] e a poco a poco misi insieme una folla di diseredati, di ignoranti, di vittime e di aguzzini, di ladri, prostitute, imbroglioni, di creature eroiche e esseri brutali, di angeli creduti diavoli e diavoli creduti angeli. Ancora oggi essi sono con me, assieme a tanta altra umanità che man mano ha accresciuto la folla iniziale. Quando parenti e amici si meravigliano che io possa restare così a lungo solo, appartato e 53 Risposte inedite al questionario di Sergio Corbi allegate a una lettera del 9 maggio 1980 (cit. in Paola QUARENGHI, Cronologia, ’introduzione a Eduardo DE FILIPPO, Teatro, vol. I, Milano, Mondadori, 2000, p. CII).
54 Isabella QUARANTOTTI, Ricordando Eduardo, in AA. VV., Omaggio a Eduardo cit.
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apparentemente inoperoso, non sanno che è con quella gente che io continuo a parlare e ragionare, ascoltando i loro casi, le loro aspirazioni, seguite troppo spesso da delusioni e immancabili proteste»55.
Nel 1913 recita nella parte del “guardio” nella rivista Babilonia di Rocco Galdieri, mentre nel 1914 lavora scritturato nel ruolo di «secondo brillante».Il 24 marzo 1915 interpreta un caffettiere in Tre epoche, rivista di Eduardo Scarpetta e Teodoro Rovito, al Teatro Manzoni di Roma.
Durante le estati del 1914, del ’15 e del ’16 Eduardo lavora con Enrico Altieri, uno dei più acclamati attori drammatici napoletani. Il repertorio presenta drammi popolari a fosche tinte, come le opere di Federico Stella e quelle del Teatro d’Arte Napoletano. Il venerdì si rappresentano farse, nelle quali Eduardo ricopre parti di rilievo. Riporta Isabella Quarantotti: «il lavoro è duro: prove dalle dieci a mezzogiorno, intervallo per uno spuntino e inizio delle recite: tre spettacoli completi al giorno»56.
Il 5 luglio 1916 al Teatro Orfeo ricopre il ruolo di Ciccillo nella commedia di Eduardo Scarpetta Tetillo ’nzurato.
Di quel periodo Eduardo ricorda che, insieme a molti altri attori in cerca di scrittura, frequentava la Galleria Umberto I: «una specie di Borsa valori del mondo dello spettacolo», ricorderà molti anni dopo Eduardo; «attrici e attori tutti agghindati, sorridenti, sgargianti, sfilavano accanto ai tavolini, dov’erano seduti gli impresari [...]»57.
In quegli anni giovanili Eduardo stringe relazioni con personaggi della cultura, giornalisti, drammaturghi, poeti della Napoli di inizio Novecento: Eduardo Nicolardi, Ernesto Murolo, Rocco Galdieri e persino uno dei nemici del teatro del padre, Libero Bovio:
55 Eduardo DE FILIPPO, I capolavori di Eduardo, Introduzione, vol. I, Torino, Einaudi, 1973, p. VIII.
56 Isabella QUARANTOTTI, Eduardo. Pensieri cit., p. VI.
57 Eduardo DE FILIPPO in Irma NAVARRA, ’nferta piccerella, Prefazione, Napoli, Sciena, 1979.
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Il primo fra tutti che gettò uno sguardo di comprensione e simpatia sui miei quindici anni appena compiuti, fu Libero Bovio: mi volle subito bene, e io a lui. La sua amicizia mi fu di grande incoraggiamento durante le mie esperienze. Avvicinai poi Roberto Bracco, Ferdinando Russo, Capurro, Viviani, Chiurazzi, Costagliola, E.A. Mario, Michele Galdieri e fui amico fraterno di Lorenzo Giusso. Purtroppo l’unico nome che non mi è dato d’inserire tra gli scrittori che conobbi personalmente è quello di Salvatore Di Giacomo. [...] Si trattava di una scelta: o mio padre o Di Giacomo. L’ammirazione e il rispetto che mi legavano a mio padre mi facevano mettere da parte Di Giacomo, mentre il fascino che esercitava su di me la poesia del Di Giacomo mi spingeva verso una via traversa…58 1.5 Nella compagnia di Vincenzo Scarpetta
Nel 1917 si trova a recitare insieme ai fratelli nella compagnia Scarpetta. Il 27 maggio al Teatro Trianon di Napoli, partecipano alla parodia musicale di Eduardo Scarpetta ’A fortuna ’e Feliciello. Durante l’estate recita con i “seratanti” a Napoli, Sorrento, Salerno e Castellammare. I seratanti erano artisti che compravano dagli impresari, attraverso un’asta, la biglietteria dei teatri nei giorni di minore affluenza, provvedendo poi essi stessi alla vendita dei biglietti.
Gli anni di guerra Peppino li ricorda così:
58 Eduardo DE FILIPPO, Caro ricordo degli anni miei testardi, in Un poeta in musica. Storia delle duecento canzoni di Salvatore Di Giacomo, Edizioni Banco di Napoli, Napoli, 1984, s.p. (cit. in Paola QUARENGHI, Cronologia, introduzione a Eduardo DE FILIPPO, Teatro, vol. I, Milano, Mondadori, 2000, p. CIV).
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In quel triste tempo io e i miei fratelli accompagnati da nostra madre, scritturati nella Compagnia di Scarpetta figlio, giravamo l’Italia centro­meridionale, da Perugia a Gubbio e da qui a Foggia, Bari, Bisceglie, Taranto. Si viaggiava su treni merci o accelerati, pigiati come le sardine sotto sale in vetture di terza classe, soffocati dal fumo che entrava dai finestrini con i vetri malfermi [...]. Gli affari teatrali seguivano l’andamento dei tempi che correvano. Ora erano soddisfacenti ora pessimi59.
Per la guerra viene richiamato nel 1918, ma con la fine del conflitto torna a recitare in compagnia Scarpetta. Il 22 marzo 1919 recita nella commedia di Eduardo Scarpetta Nu pasticcio al Teatro Manzoni di Roma. Nella stagione 1918­19 partecipa a una delle più acclamate opere di Scarpetta figlio, lo spettacolo La donna è mobile. Sul «Corriere di Napoli» il 30 giugno 1919 si parla di Eduardo come «giovanissimo artista di sicuro avvenire».
Il suo ruolo è quello del «brillante», cui ben si presta il suo aspetto: Peppino lo ricorda nel 1920 «magro come una canna da zucchero, due orecchie a sventola da fare impressione, due occhi grandi, allampanati, espressivissimi... [...] era di una comicità irresistibile»60; e ricorda il successo del fratello in quegli anni, quando Vincenzo Scarpetta «era costretto davvero a tenerlo buono per non perderlo e buono lo teneva riconoscendogli una conveniente paga serale o una “serata d’onore” per ogni piazza importante, e in questo riconoscimento particolare [...] percepiva sull’incasso della recita un percento»61.
A vent’anni Eduardo viene nuovamente richiamato per prestare il 59 Peppino DE FILIPPO, Una famiglia difficile cit., pp. 154­155.
60 Peppino DE FILIPPO, Una famiglia difficile cit., p. 164.
61 Ivi, p. 164.
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servizio di leva nei bersaglieri. Ma la fortuna lo assiste: è assegnato al Secondo Reggimento a Trastevere, a Roma, proprio dove recitava con la compagnia, di modo che può continuare la stagione. Inoltre il tenente colonnello Messe gli affida il compito di organizzare recite con i soldati, recite che avranno eccellenti risultati e soldati che rinunciano alla libera uscita per assistervi62. Racconterà nel 1958:
Scelsi tra i bersaglieri del Secondo Reggimento gli elementi che rivelavano attitudini alla recitazione […]. Ottenni risultati così apprezzabili che ogni sabato alle ore diciassette i soldati rinunziavano alla libera uscita per assistere alla recita che si svolgeva su di un palcoscenico volante eretto nel cortile della caserma. Apprezzatissimo, ha la libera uscita tutte le sere, privilegio che gli consente di continuare a recitare con Vincenzo Scarpetta a Roma al teatro Valle e al Manzoni.
Come autore Eduardo, ventenne, ha la soddisfazione di vedere rappresentata la sua Farmacia di turno (già Don Saverio ’o farmacista), atto unico del 1921.
Il 19 febbraio 1921 sempre al Teatro Manzoni di Roma, recita nella parte di Tetillo nell’operetta La collana d’oro, adattamento di Eduardo Scarpetta di una vecchia féerie dal titolo I cinque talismani63.
62 Federico FRASCANI, Eduardo, Napoli, Guida, 1974, p. 176.
63 Sessantadue anni dopo Eduardo introducendo la sua traduzione in napoletano de La tempesta di Shakespeare ricorderà: «La magia, i trucchi di scena, le creature soprannaturali che popolano questa commedia mi ricordano da vicino una interessante esperienza teatrale che vissi a diciannove, vent’anni, quando recitavo nella Compagnia di Vincenzo Scarpetta, il quale decise di riprendere un genere teatrale antichissimo, la Féerie seicentesca che fino a circa metà dell’Ottocento fece parte del repertorio di molte Compagnie. [...] C’era la strega, che veniva uccisa e sepolta in scena dai diavoli che poi brindavano alla sua morte con bicchieri sprizzanti fiamme e faville; c’erano le fate, i farfarielli, i folletti e straordinari trucchi scenici come lo straripamento d’un fiume, la pioggia di 26
Alla fine del servizio militare lascia la compagnia Scarpetta per dirigere la “Compagnia Comica Napoletana diretta da Eduardo De Filippo”, una piccola formazione con Titina prima attrice; debutta il 1° ottobre 1921 al Teatro Cavour, a Napoli, con ’O scarfalietto di Eduardo Scarpetta, e a seguire la sua prima regia, per la commedia di Enzo Murolo Surriento gentile. L’esito è però negativo e Titina si scrittura al Teatro Nuovo, dove ha sede la Compagnia Molinari. Eduardo invece entra nella compagnia di Vincenzo di Napoli, con la quale debutta al teatro Olympia di Palermo con la commedia Colui che non si deve amare. Il 7 novembre 1921 sul giornale «L’Ora” si definisce Eduardo un attore “corretto, sobrio e naturale”. Altri spettacoli sono la commedia musicale Giro, giro tondo di Paola Riccora e Otto e otto: sedici, fortunata rivista di Guido di Napoli e Rodolfo De Angelis, preceduta da Quattro e quattro: otto e seguita da Sedici e sedici: trentadue.
Nel 1922 recita in una piccola formazione sotto la direzione del fratellastro Domenico Scarpetta, con Titina. Quest’ultima, prossima al matrimonio con Pietro Carloni, lascia la compagnia, che si scioglie sul nascere. Entra dunque sempre come “secondo brillante” nella DIVAS, nuova compagnia di riviste, operette, fèeries e varietà diretta da Peppino Villani, famoso macchiettista napoletano. Il 28 ottobre al Teatro Umberto di Napoli debutta con la rivista Tutto color di rosa di Guido di Napoli. Il 7 novembre, nello stesso teatro, Eduardo si esibisce nello «scherzo comico in un atto» di Eduardo Scarpetta Il non plus ultra della disperazione.
Dopo il Teatro Umberto la compagnia è di scena all’Olympia di fuoco, il mobilio d’una casa che scappava via per la porta mentre i quadri roteavano sulle pareti e le sedie ballavano a tempo di musica... [...] Fu un grande successo, e l’incanto sottile di quell’ambiente fantastico, ingenuo e supremamente teatrale mi è rimasto dentro per oltre mezzo secolo, influenzando la mia scelta». In “La tempesta” di William Shakespeare nella traduzione in napoletano di Eduardo De Filippo, Torino, Einaudi, 1984.
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Palermo. Eduardo rientra a Roma e firma con Vincenzo Scarpetta un contratto per la stagione 1923­24. Tornato a Palermo, dopo la sua serata d’onore l’8 gennaio 1923, lascia la compagnia.
“Zio Scarpetta”, in quegli anni64, scrive ad Eduardo una lettera in rima lamentando trascuratezza nei suoi confronti:
A Eduardo De Filippo Stammatina pensavo: Io so Scarpetta,
Chill’artista da tutte decantato,
il grande autore, n’ommo assai stimato,
eppure Eduardo non me da mai retta.
Sarraggio muorto ed io me credo vive,
mentre è l’anema mia che parla e scrive..
É l’anima che vola e va diretta,
dove il pensier la chiama e dice: Ahimè
pure Eduardo s’è scordato ’e me,
o diciarrà: mall’anema ’e Scarpetta!
“È muorto e pure l’anema sta ccà?”
e ghiesse a n’auta parte, e vola, e va’.
Ma che! Si fosse muorto veramente
e l’anema parlasse e che screvesse,
Tutte ’e pariente e amice che tenesse
starriene tutte quante allegramente.
Invece io veco, c’’a famiglia mia,
pecchè so vivo ha perzo l’allegria,
64 Dalla lettera si percepisce sia dell’anno 1924, ma la grafia non è chiara.
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’A famiglia, però, non ave tuorto,
pecchè me vede sempe e non se fide,
ma tu che stai lontano e non me vide,
è peccato trattanneme pe muorto!
Mai me scrive na lettera, e che Dio,
ma io te songo o non te songo Zio?
O io non songo zio o tu sì pazzo
che pienze sulamente a fa ’o Cocò;
Ma te faccio riflettere però
che si non songo zio, non so no cazzo.
E si accussì me tratte, caro mio,
quanno me parle non me chiammà Zio!
Eduardo65
Con la morte di Eduardo Scarpetta, il 29 novembre 1925, toccherà ai tre De Filippo occuparsi economicamente della madre. Racconta Peppino che «l’aiuto più consistente e continuo lo riceveva da Titina che, con la sua scrittura fissa al Teatro Nuovo [...] poteva disporre di entrate sicure». Mentre Peppino non avendo un guadagno fisso faceva quello che poteva e Eduardo «poteva disporre di una entrata più che sicura [...]; ma Eduardo spendeva il suo denaro con una certa facilità e questo particolare lo costringeva a dover affrontare per sé momenti economici molto difficili, comunque, quando il suo portafogli glielo consentiva, un aiuto a sua madre non glielo faceva mancare»66. E così si confessa lo stesso Eduardo in una poesia del 1927: «Nu soldo dint’ ’a sacca nn’o truvavo:/ll’amice, cene, femmene, ’o triato.../’A lira overamente nn’ ’a curavo,/ e quase sempe 65 Cfr. immagine n. [...] in appendice, tratta dal sito internet della famiglia Scarpetta >www.eduardoscarpetta.it<, Trascrizione mia.
66 Peppino DE FILIPPO, Una famiglia difficile cit., p. 215.
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stevo disperato»67. Ma riguardo allo scopo per cui sperperava quel denaro Nardini ci racconta che Eduardo «nei ritagli di tempo, fra le prove e gli spettacoli, impiegando i pochi soldi della paga, comprava e vendeva le merci più svariate, sempre cambiando non solo per desiderio di novità, ma perché nessun affare gli riusciva mai per il verso buono»; Eduardo avrebbe investito in questi ‘affari’ per ricavare «qualcosa che gli avrebbe permesso di formare una compagnia sua [...]»68.
Rientrato nella compagnia Scarpetta, Eduardo si impiega nel solito repertorio fatto di pochades, commedie musicali e opere scarpettiane: Vi presento mio zio (rielaborazione di una pochade spagnola), Pe’ nu bacio a Zozò di Vincenzo Scarpetta; Disastro ferroviario, di Eduardo Scarpetta,; La coda del diavolo, di Scarpetta padre e figlio; Brioscia Film, Donne donne, eterni dei e Vivendo, volando, che male ti fo? di Paola Riccora (adattate da Vincenzo); ’O figlio d’a nutriccia, di Giovanni Rescigno; La barba di Sciascillo, una riduzione da Pedro Munoz Seca.
Un successo personale Eduardo lo ottiene il 17 aprile 1923, durante una serata d’onore al Teatro Manzoni con la commedia di Scarpetta padre L’amico ’e papà, per la prima volta nei panni di Felice Sciosciammocca, il cui ruolo era stato fino allora interpretato da Vincenzo.
Alla vigilia dell’instaurazione del fascismo, nel 1924, la compagnia apre la stagione al Manzoni di Roma con un’opera più impegnata del solito: si tratta di Addio mia bella Napoli, di Ernesto Murolo, già rappresentata anni prima da Scarpetta padre per controbattere alle accuse dei suoi avversari del Teatro d’Arte. Sempre di Murolo la compagnia mette in scena Signorine, con Eduardo nella parte del giovane sentimentale, e Un’ora al San Carlino. Di Carlo Mauro si rappresenta la pochade Il milione, commedia degli equivoci; sarà uno dei cavalli di battaglia di 67 Eduardo DE FILIPPO, Te sistieme, in Le poesie, [1975], Torino, Einaudi, 2004, p. 44.
68 Enrico NARDINI, I tre De Filippo cit.
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Eduardo. Altre recite della stagione sono E s’è scetato ammore (riduzione dall’opera di De Rouelle Cupido che dorme), Il romanzo di un farmacista povero (riduzione di Eduardo Scarpetta da Le trente millions de Gladiator di Labiche) e Pe ’nu bacio a Zozò di Vincenzo Scarpetta. Fra le riduzioni ve n’è una di Eduardo, L’anema vola e va, dalla farsa So’ muorte e m’hanno fatto turnà a nascere di Petito.
Aprile 1925. Eduardo si confronta per la prima volta con il pubblico milanese. È al Teatro Fossati per un breve ciclo di recite. Dal 1° al 17 maggio vanno in scena i classici scarpettiani Miseria e nobiltà, Na santarella, Nu turco napulitano, Tre cazune fortunate, due commedie di Vincenzo e alcuni atti unici. È in programma anche I due calmi di Eduardo, sostituito all’ultimo momento con un altro lavoro. Ripreso negli anni Trenta e Quaranta, questo atto unico non sarà mai pubblicato. Nella commedia Morettino del mio cuore di Vincenzo Scarpetta, in scena l’11 maggio, la critica segnala Eduardo, individuandone la recitazione pacata che più che alla comicità, muove all’umorismo:
Una parola di lode merita particolarmente il De Filippo, un giovane attore che ci sembra possedere doti non comuni per la sobrietà e la misura con le quali riesce a dare impronta e rilievo sicuri alle parti buffe e caricaturali69.
La compagnia Scarpetta, con un repertorio inadeguato, con le vecchie commedie di Scarpetta padre (che non scrive più per la compagnia) e quelle di Vincenzo, non sempre apprezzate, entra in crisi. Durante la stagione 1925­1926 al Manzoni di Roma le rappresentazioni hanno esito negativo. Ciononostante in Tu mo che faciarrisse? di Vincenzo Scarpetta l’interpretazione di Eduardo viene riconosciuta:
69 s.a., «Il Secolo», 12 maggio 1925.
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L’interpretazione fu ottima da parte di tutta la compagnia, non possiamo però tralasciare uno speciale cenno alla bravura di Edoardo De Filippo che seppe, più con i suoi silenzi che con le sue battute, suscitare la più schietta ilarità70.
Dal 29 novembre al 5 dicembre le recite vengono interrotte: è morto Scarpetta padre. Eduardo e altri membri della compagnia scendono a Napoli per partecipare ai funerali. La ripresa degli spettacoli al Manzoni è preceduta dalla rappresentazione dell’opera più famosa di Eduardo Scarpetta, Miseria e nobiltà. Le commedie che vengono rappresentate successivamente sono stroncate dalla critica, fra le quali Mi devi una donna di Rovito. Più fortunata Era nuova di Vincenzo Scarpetta e Kokasse (Mario Mangini).
Nel 1926 Peppino raggiunge a Roma Eduardo, il quale riesce a farlo scritturare nella compagnia Scarpetta dividendo con lui i ruoli.
Nella stagione 1926­1927 Eduardo vede rappresentato la sua Ho fatto il guaio? Riparerò..., commedia in tre atti del 1922; l’opera riceve una buona accoglienza dal pubblico del Teatro Fiorentini di Napoli, il 23 ottobre 1926.
Il 16 dicembre 1926 al Manzoni di Roma Vincenzo Scarpetta porta in scena Chello che simmo e chello che parimmo, parodia de La maschera e il volto, di Chiarelli del 1916, opera del teatro del grottesco tardivamente apprezzata a livello internazionale71.
70 s.a., “Tu mo che faciarrisse”, di Scarpetta ne «Il Popolo di Roma», 17 ottobre 1925.
71 Secondo Antonucci (Eduardo De Filippo cit., p. 17) i consensi ottenuti dal Chiarelli influenzano Eduardo: «Quando all’inizio degli anni Venti, Eduardo De Filippo, già giovane interprete «di belle speranze», fa i suoi primi tentativi di autore, il teatro italiano aveva fatto un grande salto di qualità, e si era avvicinato, anche per i consensi internazionali ottenuti da Pirandello e da Chiarelli, al livello del più spregiudicato e importante teatro europeo. Una circostanza, quest’ultima, che Eduardo, superati presto i ristretti confini del teatro dialettale napoletano, terrà ben presente fin da Sik­Sik l’artefice 32
Dopo Io mi diverto! E tu?, fortunata opera di Vincenzo Scarpetta, Eduardo lascia la compagnia.
1.6 Dalla «commedia napoletana» al teatro in lingua
L’uscita di Eduardo lascia Peppino confuso. Infatti, a quanto racconta, giunge proprio nel momento in cui i due fratelli stavano studiando il modo di rivoluzionare la commedia napoletana:
[...] io e mio fratello, già maturi per un cambiamento totale della nostra vita artistica, studiavamo il modo e la maniera di poter dare una svolta diversa al nostro teatro napoletano che a quei tempi, da circa mezzo secolo, allegramente veleggiava sul «barcone» scarpettiano, carico di testi teatrali divertenti, si, ma derivanti da pochades e vaudevilles francesi che, per la massima parte, trasportati in ambienti partenopei, risultavano frustri in una maniera enorme e avvilente che con Napoli non aveva nulla a che fare, Noi, invece, auspicavamo la «commedia napoletana»! Un teatro cioè, capace di saper esprimere difetti e valori della Napoli borghese. Quella dolente e dignitosa, e per questo sempre sopraffatta della «miseria» materiale e morale. Quella Napoli sempre in lotta con la vita di tutti i giorni impregnata di mille problemi sociali grandi e meschini, quella Napoli nella quale popolo e piccola borghesia, l’uno per un verso l’altra per un altro ma con l’unico scopo di voler sopravvivere, sapevano di poter andare a braccetto lungo le strade del loro destino... tra un temporale e... una giornata di sole! Noi avevamo magico».
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compreso che il «teatro napoletano», essendo alla base essenzialmente comico e più spesso «grottesco», aveva bisogno per questo, in alternativa sapientemente equilibrata, di riflessi seri tra quelli buffi: dal bianco al nero insomma e vice versa. Quello d’«Arte» creato in antitesi a quello di Scarpetta dai diversi Di Giacomo, Russo, Bovio, Serao, Ragosta ed altri fu per carattere e stile una encomiabilissima forma teatrale, ma pesantemente e insistentemente inclinata, fino a compiacersi, verso il «nero» sicché, pur riconoscendone non pochi pregi artistici a mio avviso, alla fine, finiva per intristire abbondantemente lo spettatore, che se ne allontanava. Quello «popolare» di Viviani vario, sì, svelto, allegro, colorato... ma, a mio giudizio, v’era come sostanza e particolarmente in quello «prima maniera», uno smaccato e fin troppo evidente «macchiettismo» e infine era troppo legato all’impareggiabile arte comica personale di Viviani stesso. In questa atmosfera di «questo» o «quello», senza per tale motivo voler rinnegare il valore intrinseco di ognuno di essi, alla nostra maniera andavamo elaborando trame, spunti e copioni da mettere da parte in attesa del tempo giusto che a nostra certezza sarebbe arrivato [...]72.
Ma Eduardo decide di accettare l’ingaggio propostogli dall’impresario Sebastiano Bufi (al quale era stato segnalato dal critico Renato Simoni) in una compagnia in lingua di recente formazione, la Carini­Gleck; oltre a lui, Luigi Carini e Mariù Glek, vi recitavano Ada Montereggio e Arturo Falconi. In un appunto inedito del 1972 Eduardo rivelerà che quella decisione non fu dettata da una volontà di emancipazione, quanto da un 72 Peppino DE FILIPPO, Una famiglia difficile cit., pp. 236­237.
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bisogno economico, per far fronte ai numerosi debiti di quel periodo73.
Racconta Peppino che il repertorio «si estendeva da: “Il Conte di Brechard” a “Campo di Maggio” a “I fiordalisi d’oro” ed altro del genere»74. Per un ruolo di brillante nel quale Eduardo era stato scritturato non vi è molta visibilità. Comunque il debutto sarà un fallimento a causa del foglio paga troppo alto per essere coperto e la compagnia dopo circa sei mesi si scioglie. Ma già un mese dopo l’inizio della tournée Peppino riceve dal fratello questa lettera:
Ferrara ’927 ­ Carissimo Peppino, dopo lungo silenzio eccomi a te per chiederti molte cose importanti. Dopo il fallito mio debutto scrissi una lunghissima lettera a Vincenzino [Scarpetta] dove gli spiegavo le ragioni e gli chiedevo un consiglio, ho atteso giorni e giorni sperando invano un suo riscontro. Io credo che Vincenzino si sia incazzato al punto da non scrivermi più! Ora spiego a te quello che scrissi a lui.: mi impedirono la partenza minacciandomi di denunziarmi alla federazione e di non farmi lavorare con Scarpetta, allora io pensai, se raggiungo la Compagnia a dispetto di tutti, non faccio che provocare noia a Vincenzino e creare una posizione imbarazzante per me ed ecco che rimandai il mio debutto e inviai la famosa lettera a Vincenzino, pregandolo di intercedere presso Gismano e autorizzarmi a lasciare Carini, dopo di ché, silenzio... [...] ora tu mi farai questo favore: Domanderai che cosa devo fare. [...] Fa leggere subito questa mia a Vincenzino e sii preciso nel rispondermi75.
73 Appunto inedito preparato in risposta all’intervista di Peppino De Filippo al settimanale «Gente» del 1972. Cfr. Paola QUARENGHI, Cronologia, introduzione a Eduardo DE FILIPPO, Teatro, vol. I, Milano, Mondadori, 2000, p.CXI.
74 Ivi, p. 237.
75 Peppino DE FILIPPO, Una famiglia difficile cit., pp. 242­243.
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1.7 Amori e amici
Degli amori del giovane Eduardo si sa poco. Il primo nome che compare è quello di una certa Ninì, con la quale vive nel 1926; di lei parla Peppino, terzo inquilino di quell’ appartamento e, a sua detta, addetto al menage della casa, poiché Nini «in casa si occupava di poco o nulla»76. La storia non durerà a lungo, e due anni più tardi, il 12 dicembre 1928, Eduardo sposerà la giovane americana Dorothy Pennington, in viaggio in Italia con la sorella e la madre.
Intanto Eduardo continua a cogliere successi come attore e come autore, sebbene in quest’ultima veste debba celarsi dietro pseudonimi per veder riconosciuto il suo lavoro di attore e quello di autore senza che siano considerati un’unica prestazione77. Sono tempi duri. Lavorando per il cinema­teatro Kursaal (oggi teatro Filangieri), racconta Peppino: «Scrivevamo i nostri copioni in camerino, negli intervalli e la testa rimbombava dei dialoghi e dei sospiri dei primi film sonori»78.
Invece nella Compagnia Molinari, premiata ditta napoletana dell’impresario Aulicino, stabile del Teatro Nuovo, alla morte del direttore 76 Peppino DE FILIPPO, Una famiglia difficile cit., p. 235. 77 Racconta infatti Eduardo: «Se in quell’epoca mi fossi intestardito a far valere il mio diritto di scrittore, l’impresario di turno mi avrebbe, senza pietà, ridotto il compenso dovutomi come attore. [...] Mi dissi: “Se si discute sul tanto­quanto spetta all’autore e sul tanto­quanto spetta all’attore, significa allora che sono nel mio pieno diritto di ritenermi sdoppiato e contare per due!”. Serrai allora la mascella e decisi di rinunciare ad una delle due foglie d’alloro: nella necessità di dovermi servire di quella spettante all’attore sacrificai l’altra, più ambita. Così, sui manifesti, striscioni e locandine fece la prima apparizione il nome di un tale signor Tricot...». In Isabella QUARANTOTTI, Eduardo. Pensieri cit., p. 26.
78 Peppino De Filippo intervistato da Enzo BIAGI in La dinastia dei fratelli De Filippo, «La Stampa», Torino, 5 aprile 1959.
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Gennaro Della Rossa gli succede un altro grande attore napoletano, in scena a La Spezia con la compagnia di Achille Maresca: Antonio de Curtis79 (1898­1967), in arte Totò. Nella stessa compagnia entrano Titina e il marito Pietro Carloni, stringendo col De Curtis una profonda amicizia; anche Eduardo e Peppino conoscevano il comico e in gioventù avevano condiviso palchi e momenti difficili80. Tutti e tre erano napoletani; tutti e tre erano figli illegittimi; tutti e tre, ognuno in modo diverso, avevano intrapreso la via del teatro. Quando nel 1950 Eduardo girò il film Napoli milionaria!, tratto dalla sua omonima commedia, si trovò a dirigere Totò, che per la prestazione non chiese compenso. Per sdebitarsi, Eduardo mandò alla moglie una collana di pietre preziose e una lettera nella quale dichiara: «A parte qualunque interesse, questa collaborazione che io ti ho chiesto ci riporterà, seppure per pochi giorni, ai tempi felici e squallidi della nostra giovinezza. Ogni qual volta penso a te, Amico, [...] ho l’impressione di non essere più 79 Il nome per esteso fu: Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis Di Bisanzio Gagliardi, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del Sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e Illiria, principe di Costantinopoli, di Cilicia, di Tessaglia, di Ponto, di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e d’Epiro, conte e duca di Drivasto e di Durazzo.
80 Alla morte di Totò, nel 1967, Eduardo ricordò quei giorni: «Oggi è morto Totò. E io, quattordicenne di nuovo, a passo lento risalgo la via Chiaia, e giù per il Rettifilo, attraverso piazza Ferrovia. Entro per la porta del palcoscenico di quello sporco locale che a me pare bello e sontuoso, raggiungo il camerino, mi siedo e mentre aspetto ascolto a distanza la sua voce, le note della misera orchestrina che lo accompagna e l’uragano di applausi che parte da quella platea esigente e implacabile a ogni gesto, ogni salto, ogni contorsione, ogni ammiccamento del “guitto”. [...]
Ora sono travolgenti gli applausi e le grida di entusiasmo di quel pubblico: il numero è finito. Un rumore di passi lenti e stanchi si avvicina, la porticina del bugigattolo viene spinta dall’esterno. Egli deve aprire e chiudere più volte le palpebre e sbatterle per liberarle dalle gocce di sudore che gli scorrono giù dalla fronte per potermi vedere e riconoscere, e finalmente dirmi: “Edua’, stai cca’!” E un abbraccio fraterno che nel tenerci per un attimo avvinti ci dava la certezza di sentire reciprocamente un contatto di razza. E le quattro chiacchiere, quelle riguardavano noi due, le abbiamo fatte ancora per anni, fino a pochi giorni fa». Eduardo DE FILIPPO, Edua’ stai ca?, in «Paese Sera», 16 aprile 1967. 37
solo nella vita»81.
1.8 Prime iniziative
Durante l’estate Eduardo propone all’impresario del Teatro Nuovo, Eugenio Aulicino, di mettere in scena la rivista dell’amico Michele Galdieri Quell’agnellino di Nerone: il lavoro, ricco di satira e lontano dall’usuale leggerezza delle riviste del tempo, viene rifiutato dall’Aulicino per il quale pronostica un insuccesso. Eduardo allora decide di assumersi l’onere della produzione, formando una piccola compagnia, Galdieri­De Filippo; ironicamente e scaramanticamente cambia il nome dell’opera in La rivista che non piacerà, e scrittura Peppino che ricorderà anni dopo:
Eravamo tre giovani ognuno con il cervello pieno d’idee fresche e con tanta volontà di sfondare in qualche modo, come dire: rompere finalmente quel muro fatto di mafia e camorra che stringeva quella parte di Napoli rivistaiola come in una morsa dalla quale non sembrava mai possibile potersene liberare; ma noi, sotto molti aspetti, ci riuscimmo, con meraviglia di non pochi negrieri di quel genere teatrale82.
Il 23 luglio 1927 l’opera debutta con uno strepitoso successo al Teatro Fiorentini. Le repliche proseguono fino a metà agosto. Poi una piccola tournée in provincia, ma i costi di gestione troppo alti costringono ad interrompere le recite.
Sostituito intanto da Peppino nei ruoli di secondo brillante, Eduardo 81 Eduardo, lettera a Totò, in Liliana DE CURTIS, Totò, mio padre, Milano, Mondadori, 1990.
82 Ivi, pp. 246­247.
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riprende il suo posto dopo l’estate e incomincia ad affrontare ruoli di “mezzo carattere”. Per la stagione 1927­1928 la compagnia ha in programma, fra le altre, una versione della commedia di Eduardo Ditegli sempre di sì (del 1925) con Felice Sciosciammocca protagonista.
La stagione 1928­29 vede Eduardo recitare ancora con Vincenzo Scarpetta, il quale imprime alla propria compagnia un diverso indirizzo, orientato alla rivista, sull’onda del successo riscosso da questi spettacoli.
A luglio del ’29 è al Teatro Fiorentini di Napoli: è in scena Prova generale, scritta dai tre De Filippo con gli pseudonimi R. Maffei, G. Renzi, H. Betti83, e con prologo ed epilogo di Michele Galdieri. In qualità di cantante Eduardo si esibisce al prestigioso Festival di Piedigrotta, con tre brani: Il tango della miseria, Compatite, Indisponentemente.
Il 22 ottobre è protagonista di una serata d’onore al teatro Bellini di Napoli.
Dal 6 novembre 1929 al 18 aprile 1930 è al teatro Manzoni di Roma con la compagnia Scarpetta, per l’ultima volta. L’idea di formare stabilmente compagnia con i fratelli sta prendendo forma. Nel 1929 Eduardo stila il programma di una “Comica Compagnia Napoletana d’Arte Moderna”84: i lavori proposti sono di Michele e Rocco Galdieri, Enzo Turco, Enrico Lubrano, Bertucci (Peppino) e C. Onsul (Eduardo). Tra i lavori di Eduardo figurano: Chi è cchiù felice ’e me?, Dicitele sempre ca sì!, Volete un figlio?, Filosoficamente, Requie a l’anema soja, La solita stoccata, Farmacia di turno, Ho fatto il guaio? Riparerò... (firmata Eduardo De Filippo) e, scritta in collaborazione con Rovito, Povera Lucia! (parodia di Lucia di Lammermoor). Purtroppo l’idea non sarà realizzata perché Titina, all’ultimo, viene 83 Arthur SPURLE, I De Filippo. La grande “Titina”, Napoli, Regina, 1973, p. 54.
84 Lo si legge su un foglio di carta intestata del 1928. Maurizio Giammusso, Vita di Eduardo. Milano, Mondadori, 1993, p. 65.
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scritturata insieme al marito Pietro Carloni al Teatro Nuovo. Pensa invece di proporre i due fratelli all’impresario Aulicino, che aveva da poco perso il suo attore di punta, Totò; questi accetta e i tre De Filippo ottengono di creare all’interno della Compagnia Molinari il gruppo «Ribalta Gaia». Per quell’occasione Titina scrive: «Si può dire che li vedevo per la prima volta. Prima di quel momento, confesso di non averli mai conosciuti veramente. Quei due ragazzi un poco scorbutici, chiusi in loro stessi avevano vissuto con me un’infanzia curiosa, particolare. Anch’io scorbutica, anch’io chiusa in me stessa, non mi ero nemmeno accorta della loro presenza. Vivevo per conto mio senza preoccuparmi dei loro caratteri, dei loro sentimenti. Non avevamo diviso insieme l’adolescenza, avevamo recitato lontani l’uno dall’altro, erano stati militari, si erano sposati. Insomma soltanto il teatro ora, nel 1930, ci metteva l’uno di fronte all’altro»85. La formazione raccoglie, oltre a Eduardo e Peppino capocomici Titina, Pietro Carloni, Carlo Pisacane, Agostino Salvietti, Tina Pica e Giovanni Berardi, e un piccolo corpo di ballo. Scrive Peppino:
Fu in quella occasione che il nostro nome di attori, ben capaci di uscire dalle vecchie formule teatrali [...], cominciò a correre sicuro e veloce sulla bocca di tutti. [...] Dalla penna dei critici teatrali di quell’epoca, Saverio Procida, Achille Vesce, Ernesto Grassi ed altri minori, uscirono per «I De Filippo» fiumi di parole elogiative e riconoscimenti artistici di alto valore mai letti fino allora. Da tutte le parti si gridava come ad un «miracolo teatrale»86.
Questa nuova compagnia il 26 maggio 1930 debutta al Teatro Nuovo 85 Augusto CARLONI, Titina cit., p. 38.
86 Peppino DE FILIPPO, Una famiglia difficile cit., p. 250.
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con la rivista Pulcinella principe in sogno, di Mario Mangini. Alcuni sketches sono scritti da Eduardo, sotto lo pseudonimo di Tricot, tra i quali risalta Il prestigiatore, poi rinominato Sik­Sik, l’artefice magico, che ottiene un ottimo successo di pubblico e di critica. Racconta il biografo Gennaro Magliulo a proposito della realizzazione dello spettacolo:
Al copione debbono pensare Kokasse e Tricot [Mangini e Eduardo]. La prima parte l’uno, la seconda l’altro. [...] Trascorrono quindici giorni e Tricot non dà segni di vita. Alle prove, Eduardo assente, gli attori e i cantanti conoscono ormai a memoria il primo atto, del secondo neanche una battuta. Il giorno seguente Aulicino e Scala comprano un cero da cinque soldi e, nella parrocchia del rione, l’accendono per San Gennaro. Quarantotto ore dopo Eduardo arriva sventolando, come un giocoliere il coniglio estratto dal cilindro, quattro o cinque foglietti di imballaggio. Rappresentano il copione del secondo tempo di Pulcinella principe in sogno: la comica e triste istoria di un prestidigiatore da strapazzo. Applausi e risate sono i frutti dello spettacolo87.
Uno spettacolo che Vittorio Viviani definisce «un altro aspetto della riscossa istrionica antiscarpettiana, ma che veniva realizzata da un poeta [...] d’una qualità, d’un timbro addirittura antitetici alla cifra grottesca di “Sik Sik”; cioè da lui, Eduardo, lui “sicco sicco”, magro magro, allampanato, e con una sua geologia umana sofferta e triste»88.
87 Gennaro MAGLIULO, Eduardo De Filippo cit., pp. 23­24. La “carta da imballaggio” era in realtà la carta da involto della colazione che si era portato sul treno Roma­Napoli, sul quale scrisse il fortunato atto unico. (Vittorio BUTTAFAVA, Pensa per anni a una commedia e la scrive in una settimana, «Oggi», 5 gennaio 1956).
88 Vittorio VIVIANI, Storia del teatro napoletano, Napoli, Guida, 1969, p. 889.
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A quel periodo si riferiscono anche le pagine ricche di succosi aneddoti scritte da Mario Mangini in memoria del Teatro Nuovo, distrutto da un incendio nel 1935. Mangini racconta a proposito dell’arte ‘improvvisativa’ degli attori:
In uno di quegli spettacoli si rappresentava uno sketch, protagonisti Peppino De Filippo e Salvietti, nel quale, attraverso una certa situazione ingarbugliata tra uno zio e un nipote, si parlava continuamente di un personaggio a nome Isidoro Palloncini, che, quantunque chiave di volta della situazione, non appariva né doveva apparire mai in scena. Ebbene, una sera, Eduardo, che in camerino attendeva, durante la rappresentazione dello sketch in questione, il quadro successivo, ebbe una “luminosa idea”. Truccarsi in un modo qualunque e all’improvviso, in un momento qualsiasi dell’azione, entrare in iscena [...].Detto fatto, una barbetta a punta, un cappello floscio, una giacca stremenzita, un bastoncino nelle mani e Eduardo, quando nessuno se lo aspettava, fa udire la sua voce dalle quinte: «È Permesso?» Peppino e Salvietti credono di aver sentito male e vanno avanti nell’azione.
«È permesso?» insiste la voce di Eduardo. Questa volta non c’è dubbio. Peppino e Salvietti si guardano un tantino sbigottiti.
―Permettete? Posso entrare?.
―Prego... Accomodatevi... ― fa Salvietti.
Eduardo entra in scena guardandosi intorno. Il suggeritore, esterrefatto, si ferma con il copione abbandonato sul tappetino, il viso rivolto all’insù. E Peppino:
―Scusate, voi chi siete?
― Io sono Isidoro Palloncini!...
Non c’è via di scampo: bisogna che l’azione pur continui 42
in qualche modo. Il Teatro dell’Arte, nascosto nel subcosciente di ogni attore napoletano, dal più illustre al più guitto, scatta ed entra automaticamente in funzione.
Salvietti –Una sedia al signor Palloncini.
Peppino (portando una sedia al centro della scena) – Ecco, signor Palloncini, accomodatevi. In che possiamo servirvi?
Edoardo (minaccioso) – Ero venuto per dirvi che tutto quello che dicevate poco fa sul mio conto...
Salvietti – Ma scusate, voi come sapete?
Edoardo – Io lo so! Io so tutto! Sono informato di tutto! E non mi faccio prendere per il naso da nessuno, capite, da nessuno!...
Peppino – E va bene, signor Palloncini, non ve la prendete, adesso si accomoda tutto (fa un cenno a Salvietti che si allontana per un’istante). Voi siete una brava persona e noi siamo pronti a darvi tutte le soddisfazioni che meritate... (Salvietti rientra con nelle mani un nodoso bastone) Ecco... Sarete subito servito...
Salvietti (porgendo di soppiatto il bastone a Peppino) ―E certamente rimarrete contenti di noi...
Peppino
(brandendo il bastone e colpendo improvvisamente Eduardo) Ecco la soddisfazione, bruto animale, teh, piglia...[...] (i due malmenando l’intruso lo spingono fuori. Eduardo grida e scompare. I due l’inseguono).
Il direttore di palcoscenico, che ha seguito ansimante la scena, fa appena in tempo a correre dal macchinista e ordinargli di chiudere precipitosamente il sipario sull’improvvisato finale.89
89 F. De Filippis, Mario Mangini, Il Teatro «Nuovo» di Napoli, Napoli, Berisio, 1967, pp. 172­174. 43
Il gruppo Ribalta Gaia continua le recite al Nuovo fino al 19 giugno, poi si sposta al Teatro Olympia al Vomero, alla Sala Umberto di Roma, al Teatro Nazionale di Palermo e infine al Teatro Palazzo di Montecatini, con esiti non sempre positivi. Terminati gli impegni con la compagnia Molinari, Eduardo e Peppino90 decidono di portare Sik­Sik, con alcuni numeri di varietà, in qualche teatro della bassa Italia. Accettano un ingaggio per il teatro Biondo di Palermo, ma il debutto si rivela un fiasco:
Lo spettacolo non piacque e fu un insuccesso da non dimenticare, infatti lo ricordo ancora. Un tonfo artistico così imponente e definitivo che prevederlo sarebbe stato impossibile. [...] «Sik­Sik» lo «sketc» di prosa inserito nello spettacolo fu clamorosamente fischiato. Non riuscimmo a recitarlo per intero perché il pubblico non fece che «zittirci» in continuazione. [...] Giorni tristissimi quelli. Giorni in cui vedemmo crollare sotto un cumulo di delusioni tutto il nostro futuro programma91.
Dopo l’avventurosa stagione estiva, Eduardo e Peppino si fanno scritturare nella Compagnia Molinari. Il 21 settembre 1930 debuttano con La terra non gira, di Kokasse, che firma anche La follia dei brillanti, in scena il 22 ottobre; in quest’ultimo spettacolo i tre De Filippo, ormai riconosciuti e apprezzati in «blocco», ottengono uno strepitoso successo nella parodia Cavalleria rusticana. 90 Ancora una discordanza fra i biografi: secondo Peppino (Una famiglia difficile cit., pp. 251­252), Maurizio Giammusso (Vita di Eduardo cit., p.74), e Quarenghi (Cronologia cit., p. CXIV) le rappresentazioni al Biondo di Palermo di sarebbero tenute con il gruppo Ribalta Gaia; mentre Fiorenza Di Franco (Eduardo da scugnizzo a senatore cit., p. 16) riporta che a Palermo sarebbe andato lo stesso gruppo, ma ribattezzato «Teatro Umoristico» di Eduardo De Filippo con Titina e Peppino.
91 Peppino DE FILIPPO, Una famiglia difficile cit., pp. 251­252.
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Per una serata d’onore di Eduardo porta in scena il vecchio atto unico Don Saverio ’o farmacista, ribattezzato Il farmacista distratto (diverrà poi Farmacia di turno).
Il 23 novembre viene ripresa la rivista I tre moschettieri (Kokasse), impersonati da Eduardo, Peppino e Carlo Pisacane, con Agostino Salvietti nel ruolo di D’Artagnan. 1.9 “Teatro Umoristico i De Filippo”
Il 4 febbraio 1931, appena costituita, la compagnia “Teatro Umoristico di Eduardo De Filippo con Titina e Peppino” (con altri sei attori), parte per la conquista del Nord. Le tappe principali sono Roma, dove debuttano il 12 febbraio 1931, e Milano, dove sono stati chiamati dalla famosa ditta Suvini­Zerboni. L’accoglienza al Puccini di Milano è fredda, come ricordano Peppino92 e Eduardo («Odiavano la prosa, volevano subito le ballerine»93), ma quando si spostano al teatro Excelsior riscuotono un grande successo. A proposito del debutto al teatro Sala Umberto I «Il messaggero» riporta questo articolo entusiastico:
Il debutto di Eduardo De Filippo e dei suoi attori de “Il Teatro Umoristico” ha richiamato ieri nell’elegante teatro Sala Umberto I la folla delle grandi occasioni. La fama di attori eccellenti e divertenti di Eduardo e Titina e Peppino De Filippo, del Majuri, del Carloni e degli altri componenti questo originale Teatro Umoristico non si è smentita e gli spettatori hanno veramente trascorso ore di 92 Ivi, p. 265.
93 Enzo BIAGI, La dinastia dei fratelli De Filippo, in «La Stampa», 5 aprile 1959.
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gioconda ilarità. I De Filippo specialmente godono in Roma d’infinite simpatie per l’efficacia e la spontaneità del loro giuoco scenico materiato di semplicità e naturalezza. Nulla di artificioso in loro e la stessa esuberanza partenopea che a torto viene altre volte imputata a difetto degli attori napoletani diviene un pregio in questi bravissimi artisti che sanno fare scaturire la comicità da un gesto, da una parola, da una situazione anche la più impensata. Due brevi lavori comici costituiscono il clou del Teatro Umoristico, lavori che offrono ai De Filippo spunti eccellenti per ricamarci su tutta una fioritura di boutades, di frizzi e di freddure che ieri hanno divertito immensamente il pubblico foltissimo che ha applaudito calorosamente i bravissimi interpreti94.
Di nuovo a Napoli la compagnia va in scena il 4 e il 9 aprile 1931 al Teatro Nuovo, come formazione indipendente. Si rappresentano tre atti unici di Peppino (Tutti uniti canteremo, Don Rafaele ’o trumbone, Miseria bella) e uno di Eduardo (Farmacia di turno).
L’11 aprile riprendono gli spettacoli di rivista, portando sulla scena i lavori di Carlo Mauro e Kokasse (coi quali collaborerà Eduardo scrivendo sketches) Vezzi e riso e Una notte al Gatto Nero; per quest’ultima, parodia della rivista Wunder­Bar, gli autori dovranno affrontare una causa per plagio. Per il primo spettacolo vengono proposti l’atto unico di Eduardo Requie a l’anema soja e la parodia Cavalleria rusticana. Il 1° giugno 1931 il Teatro Umoristico debutta al cinema­teatro Kursaal (oggi Teatro Filangieri), nell’avanspettacolo (“avanspettacolo” erano definite quelle brevi rappresentazioni che nei cinema­teatro venivano date tra una proiezione e l’altra). I De Filippo firmano un contratto per la messa 94 «Il Messaggero», 13 febbraio 1931, cit. in Isabella QUARANTOTTI , Eduardo. Pensieri cit., p. 12.
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in scena di tre spettacoli al giorno, fra i quali rappresentano gli atti unici di Peppino e di Carlo Mauro, gli atti unici di Eduardo Sik­Sik l’artefice magico, L’ultimo Bottone, Requie a l’anema soja, Il pezzente, e con la collaborazione di Maria Scarpetta Una bella trovata e La conquista. Il 20 luglio, rilevata dalla Compagnia Molinari la giovane soubrette Ellen Meis, accettano un ingaggio al teatro Palazzo di Montecatini, per due settimane. Purtroppo la compagnia è poco conosciuta e mal richiama il pubblico, come racconta Peppino:
E il debutto venne, ma... poco il pubblico in sala, sì e no una diecina di persone. Uno squallore avvilente! Sperammo nella seconda sera... niente: lo stesso squallore della sera precedente. E il bello era che quelle poche persone si divertivano un mondo. Mettemmo ancora speranze nella terza recita, niente, anche per questa pochi spettatori e... meno delle sere precedenti!95
Il 13 agosto Eduardo partecipa in qualità di cantante al Festival di Piedigrotta. Su incarico dalla casa editrice Santa Lucia, diretta da Libero Bovio, scrive lo sketch Ogni anno punto e da capo, storia di un barbiere poeta che trascura il proprio lavoro componendo brani per il Festival di Piedigrotta.
Anche per la stagione 1931­1932 Eduardo è scritturato nella compagnia Molinari. Allo spettacolo L’opera d’ ’e pupe collabora come autore, ancora con lo pseudonimo di Tricot, scrivendo gli sketches L’incisione dei dischi e Piedigrotta e le audizioni di canzoni; si esibisce inoltre cantando le canzoni comiche Cravatte, signori!96 e Le voglie di mia moglie. All’interno della rivista di Mangini C’era una volta Napoli, compare il quadro di Eduardo Il 95 Peppino DE FILIPPO, Una famiglia difficile cit., p. 258.
96 Isabella QUARANTOTTI, Eduardo. Pensieri cit., p. 110. 47
circolo della caccia (poi rinominato Le bische e poi Quei figuri di trent’anni fa97).
1.10 Dal Kursaal al Reale: l’inizio del successo
A fine dicembre 1931 Eduardo, i fratelli, Agostino Salvietti, Tina Pica, Pietro Carloni, rimettono su compagnia ribatezzandola98 “Teatro Umoristico I De Filippo”99; lasciano la compagnia Molinari100 per un contratto al Kursaal. Il debutto avviene il 25 dicembre 1931 con Natale in casa Cupiello (allora atto unico, il secondo dei tre della versione definitiva101). Il successo fu clamoroso. Racconta Isabella Quarantotti:
Assieme a Vittorio Fiore combinò un contratto di nove giorni per il Cinema Teatro Kursaal, pregando l’amministratore di non dire ai fratelli che il periodo era tanto breve, altrimenti essi sarebbero rimasti al Teatro Nuovo. A Titina e Peppino disse una bugia: “Al Nuovo abbiamo solo 15 recite, al Kursaal ci offrono un mese: io consiglierei il Kursaal”.
97 Secondo la retorica fascista essendo le bische state vietate, le bische non esistevano più. Pertanto fu vietato il titolo al quadro di Eduardo che lo retrodatò cambiandolo, appunto, in Quei figuri di trent’anni fa.
98 Sostiene Quarenghi (Cronologia cit., p. CXIX) che la compagnia avrebbe cambiato nome solo nella stagione ’33­’34. Mentre, tra gli altri, Di Franco (Eduardo da scugnizzo a senatore cit., p. 19) indica che il cambiamento di nome avvenne per il debutto al Kursaal.
99 In questa formazione Eduardo e Peppino erano capocomici: il primo direttore artistico e il secondo amministratore. Titina, non volendo correre rischi, fu scritturata come prima attrice. 100 A differenza di Quarenghi, Quarantotti sostiene che Eduardo lasciò la compagnia già dal febbraio 1931 (Isabella QUARANTOTTI , Eduardo. Pensieri cit., pp. 11­13). 101 Quella che Eduardo ebbe a definire «parto trigemino con una gravidanza di quattro anni». Eduardo DE FILIPPO, Primo... secondo (Aspetto il segnale), in «Il Dramma», 1936, ora in Isabella QUARANTOTTI, Eduardo polemiche cit., p. 130.
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Gli andò bene: con un contratto di nove giorni vi rimasero per nove mesi!102
Il programma cambia quasi tutti i giorni e i tre fratelli sono costretti a scrivere altri atti unici durante gli intervalli, «durante lo spettacolo cinematografico, sotto gli altoparlanti del sonoro»103. In quel periodo la compagnia presenta trenta lavori, firmati da Eduardo (Tricot), Peppino (Bertucci), Titina e Maria Scarpetta (Mascaria). Novità di Eduardo sono Addio Nico’ (inedito) e Gennareniello; e in collaborazione con Maria Scarpetta Noi siam navigatori, Thè delle cinque, Una bella trovata (inediti). Il successo di quel periodo lo ricorda anni dopo Federico Frascani:
In un baleno si sparse la voce: al «Kursaal» lo spettacolo è buono; dai De Filippo si ride, si ride assai. I tre fratelli, usciti dall’ombra, avevano di colpo agganciato il successo, avevano conquistato il loro pubblico. Era ancora il pubblico di un cinema, ma era già un pubblico entusiasta. Divennero di moda, una moda creata dall’eco dell’allegria che suscitavano. Se allora avessero interpretato con egual bravura un repertorio drammatico, sarebbero rimasti sconosciuti o quasi. «È uno spettacolo pesante», avrebbe detto il figlio di papà che la sera, dopo aver fatto la 102 Isabella QUARANTOTTI, Eduardo. Pensieri cit., p. 21. Come è stato rilevato da altri critici (Anna BARSOTTI, Eduardo cit., p. 41; QUARENGHI, Cronologia, introduzione a Eduardo DE FILIPPO, Teatro, vol. I, Milano, Mondadori, 2000, p. CXIX; DI FRANCO, Eduardo da scugnizzo a senatore cit., p. 19; Gennaro MAGLIULO, Eduardo De Filippo cit., pp. 25­26) il contratto in realtà sarà prorogato solo fino al 21 maggio del 1932. Mentre Peppino, accorpando nel ricordo il ciclo di recite del Kursaal a quello del Cinema­teatro Reale, ricorda il contratto rinnovato (dopo una prima volta da nove giorni a due settimane) fino a luglio 1932, per una durata complessiva di sette mesi. Cfr. nota 200. Maurizio Giammusso (Vita di Eduardo cit., p. 87) parla di un contratto di nove mesi, esattamente come Quarantotti e Magliulo (Eduardo De Filippo cit., p. 26).
103 Isabella QUARANTOTTI, Eduardo. Pensieri cit., p. 21.
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cariatide avanti a Van Bol, o perso qualche centinaio di lire giocando il pokerino al Circolo Nautico, doveva trovare il modo d’impiegare le ore fino a mezzanotte. Lo avrebbero detto anche le leggiadre fanciulle di buona famiglia della Napoli di allora e gli autorevoli commendatori che, fiancheggiati dalle ben piantate consorti, dopo pranzo andavano in cerca di svago in città. Perché ieri come oggi, per la gran parte dei frequentatori del nostro teatro è «pesante» tutto ciò che non diverte, che non suscita il riso. [...] Eduardo De Filippo, i suoi fratelli e i loro compagni non erano pesanti, erano anzi divertentissimi. Se lo fossero stati per calcolo, non avrebbero potuto scegliere meglio, nell’esordire, la via del successo. La «bella gente» di via Chiaia, di Piazza dei Martiri, della Riviera, li applaudiva con gran calore e poi parlava di loro agli amici. Si diffondevano nei salotti le battute più esilaranti del loro repertorio. I «vitelloni» del 1930... usavano imitare le cadenza di certi personaggi dotati di irresistibile comicità, schizzati da Peppino, senza accorgersi che ad essi avevano servito da modelli104.
Nella sua autobiografia Peppino ricorda i motivi di quel successo:
Quel nostro senso teatrale d’hùmour mai fino allora conosciuto sufficientemente sui palcoscenici italiani, quel parlare, cioè, con sorriso amaro di cose affatto liete, quel presentare con un velo di comicità ora spesso ora lieve ciò che in realtà è triste e penoso, deludente e doloroso... fu il càrdine intorno al quale si mosse il nostro successo. Quel successo che poi in breve valse ad imporci, con grande 104 Federico FRASCANI, in AA.VV. Il teatro San Ferdinando, Napoli, 1954; raccolta di scritti evocativi su Eduardo De Filippo in occasione dell’inaugurazione del rinnovato teatro la sera del 21 Gennaio 1954, cit. in Vittorio VIVIANI, Storia del teatro napoletano cit., pp. 893­894.
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prestigio artistico, in tutto l’ambiente teatrale italiano. I napoletani, in massa, cominciarono ad affluire nella elegante sala di via Filangieri che in pochissimo tempo cominciò a registrare esauriti su esauriti tanto che dovemmo prolungare il contratto di altre due settimane e il nome dei tre De Filippo: Peppino, Eduardo e Titina cominciò a passare di bocca in bocca e sempre con maggiore stima e curiosità. Un vero e indimenticabile trionfo artistico quel debutto! L’impresario del «Cinema­
teatro» ci propose un terzo prolungamento di contratto e alla fine la fortunata stagione si protrasse per ben sette mesi consecutivi: dalla fine del dicembre 1931 alla fine del luglio 1932. Per impegno contrattuale avevamo stabilito che avremmo messo in scena un atto unico nuovo per settimana: ad ogni cambiamento del programma cinematografico; ogni lunedì in genere! Quel nostro spettacolino nuovo che mettevamo in scena ad ogni inizio di settimana divenne ben presto un avvenimento culturale cittadino105.
Dal 20 maggio al 20 luglio 1932 la compagnia recita al cinemateatro Reale, replicando il successo del Kursaal. Il buon esito di quei mesi è testimoniato da un pubblico di illustri colleghi, scrittori, giornalisti e intellettuali, «da Pirandello a Bontempelli, da Bracco a Di Giacomo, da Croce a De Marsico, il grande Porzio, Corrado Alvaro, Ugo Ricci, e artisti della pittura come Migliaro, Casciaro, Postiglione, Pratella»106; mentre gli attori che li seguivano erano i grandi di inizio novecento, quelli del famoso incipit107 di Silvio D’Amico: «Zacconi, Ruggero Ruggeri, Dina Galli, Marta 105 Peppino DE FILIPPO, Una famiglia difficile cit., pp. 267­268.
106 Ivi, p. 268.
107 «Irma Gramatica dice, Emma Gramatica piange, Maria Melato canta, de Santis enuncia, Salvini modella, Ruggeri s’incanta, la Galli sgambetta, la Borelli ci pensa su, la Vergani recita, la Pàvlova 51
Abba, Govi, Musco, De Sica, la grande Emma Gramatica e tanti, tanti altri [...]»108.
Fra i critici l’autorevole Massimo Bontempelli è il primo a rilevare che la compagnia è pronta per conquistare i teatri del nord Italia:
Fu un’ora tutta gioiosa e piena e abbandonata, quando al Teatro Reale andai a sentir recitare la compagnia napoletana dei De Filippo. Se nella mia vita di italiano […] ho il vizio di Napoli, nella mia vita napoletana ho il vizio della compagnia De Filippo: e mentre altrove sto anni interi senza mettere piede in un teatro, mai una volta sono rimasto anche due giorni a Napoli senza andarmi a risentire le commedie e i comici di quella compagnia: perfezione di gusto, arte, naturalezza e festoso abbandono. Mi domando perché i De Filippo non risalgano mai le vie d’Italia, allegri ambasciatori del più felice e beneaugurante spirito di Napoli109.
Nel numero di giugno­luglio del 1932 della prestigiosa rivista di teatro «Comoedia» compare un articolo di Federico Petriccione dedicato al Teatro Umoristico: Nuova generazione dialettale: i De Filippo. 1.11 In ascesa
In continua ascesa, in autunno il Teatro Umoristico recita all’elegante ricama, Guasti discorre, Frealli saltella, Niccòli parla, la Franchini grida, la Celli urla, Palmarini sussulta, Ninchi declama, Musco si diverte, Petrolini se ne..., Baghetti cade dalle nuvole, Sainati balbetta, Betrone si sgola, Almirante sillaba, Chiantoni fischia e Gandusio suda». Silvio D’AMICO, Il tramonto del grande attore, Milano, Mondadori, 1929, p. 92.
108 Peppino DE FILIPPO, Una famiglia difficile cit., p. 268.
109 Massimo Bontempelli, Cose che accadono, «Il Mattino», 16 giugno 1932.
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Teatro Sannazzaro, dove si fa prosa. La compagnia rinnovata (ora comprende una ventina di attori) debutta l’ 8 ottobre 1932110, con Chi è cchiù felice ’e me!, rappresentata per la prima volta ma scritta nel 1929, e Amori e balestre di Peppino. Il repertorio comprende: Farmacia di turno, Uomo e galantuomo, Ditegli sempre di sì (queste ultime due, nate per la compagnia di Vincenzo Scarpetta, vengono riadattate per la nuova formazione), Requie all’anema soja, Sik­Sik, Natale in casa Cupiello (cui viene aggiunto un atto, il primo della versione attuale), Chi è cchiù felice ’e me! e Filosoficamente di Eduardo, che ora si firma «Molise»; in collaborazione con Maria Scarpetta compaiono le commedie Parlate al portiere e Cuoco della mala cucina; di Peppino sono invece Don Rafele ’o trumbone, Sto bene con l’elmo?, Tutti uniti canteremo e Amori e balestre. Racconta Isabella Quarantotti che «in seguito al grande successo tutti furono incoraggiati a scrivere: Peppino, Titina, Maria Mangini portavano alle prove i loro copioni, e Eduardo, con una lunga esperienza teatrale sulle spalle, era in grado di consigliare cambiamenti per migliorarne la forma e vivacizzarne i dialoghi»111. Le altre commedie sono di autori dialettali, napoletani e non, come Gino Rocca, Ernesto Murolo, Paola Riccora. Di quest’ultima è uno dei maggiori successi di quella stagione, Sarà stato Giovannino, in scena il 2 febbraio 1933, con Eduardo acclamatissimo nel ruolo del protagonista. Commenta Vittorio Viviani:
Fu la commedia «Sarà stato Giovannino» di Paola Riccora che rivelò per la prima volta Eduardo attore di possibilità 110 Qui i biografi discordano. Quarenghi (Cronologia, introduzione a Eduardo DE FILIPPO, Teatro, vol. I, Milano, Mondadori, 2000, p. CXVIII) riporta come data l’8 ottobre, come Giammusso (Vita di Eduardo cit., p. 91), mentre Di Franco (Eduardo da scugnizzo a senatore cit., p. 23) il 9 ottobre e Quarantotti (Eduardo polemiche cit., p. 21) il 10 ottobre. Dello stesso avviso anche Vittorio VIVIANI (Storia del teatro napoletano cit., p. 895).
111 Isabella QUARANTOTTI, Eduardo. Pensieri cit., pp. 21­22.
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drammatiche. Egli fu se stesso. Realizzandosi uomo sulla scena, in un personaggio che non era stato scritto per lui e che quindi egli creava112.
La fama dei De Filippo arriva fino a Luigi Pirandello, che assiste a uno spettacolo il 26 aprile 1933, quando Eduardo recita per il maestro L’imbecille (atto unico pirandelliano tradotto in napoletano) e Sik­Sik.
La stagione al Sannazzaro va avanti fino al 13 maggio 1933. Il 25 agosto la compagnia è al Teatro del Casinò di San Remo, con Chi è cchiù felice ’e me! quindi tenta la scalata verso il nord: l’11 settembre 1933 debutta al Politeama Chiarella di Torino. Dopo i primi giorni i De Filippo conquistano il pubblico e la critica. La famiglia reale li invita a recitare a Villa Savoia. Dopo il Chiarella proseguono al teatro Alfieri, ottenendo unanimi consensi con Sarà stato Giovannino.
Il 6 ottobre sono a Roma, al Valle. Il pubblico li accoglie calorosamente, la critica meno. Pur lodando i tre attori, si esprime negativamente circa i tre autori: Silvio D’Amico per le loro commedie parla di «labilissimi intrighi»113. Da quel momento iniziano ad arrivare i consigli da un coro di amici, critici e ammiratori affinché non sprechino il loro talento di attori con i «soliti pretesti scenici affidati ai soliti motivi dialettali»114. Sopraffatti da queste invadenti proteste e proposte, la compagnia, dietro il nome dell’amministratore Argeri, invia nel 1933 una nota alla rivista «La Scena Italiana», la quale sosteneva che i De Filippo avrebbero avuto in programma di rappresentare La sorridente signora Beudet, di Amiel:
112 Vittorio VIVIANI, Storia del teatro napoletano cit., p. 897.
113 Silvio D’AMICO, «La Tribuna», 8 ottobre 1933.
114 Luigi ANTONELLI, «Il Giornale d’Italia», 18 ottobre 1933.
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Preg.mo Signor Direttore, dopo il primo brillante giro espletato in varie città d’Italia dalla Compagnia del Teatro Umoristico i De Filippo, non sono mancati amici premurosi, che continuano a formulare per il nostro bene progetti seducenti, ed a ventilare idee loro personali circa il nuovo indirizzo e repertorio a noi convenienti. Tali idee e progetti, diffusi a nostra insaputa nei maggiori giornali italiani, che ritengono così di manifestarci il loro ben gradito apprezzamento, rischiano di creare intorno ai De Filippo un’atmosfera diversa dalla realtà che conviene subito dissipare. I De Filippo sono troppo gelosi della loro indipendenza artistica per lasciare ad altri, benché amici e simpatizzanti, la cura di formulare i propri programmi di lavoro. Essi sentono troppo gli obblighi assunti verso il pubblico – cui tutto devono – per deviare da un sentiero che ha così felicemente portato in primissimo piano la loro personalità, e se hanno, come è giusto, l’ambizione di ascendere ancora, sarà per riasserire, non mai per sconfessare, il buon cammino già percorso. [...] Mentre si onoreranno di preparare amorose riduzioni da Pirandello, Bontempelli, Lucio D’Ambra e da altri illustri scrittori nazionali, continueranno a presentare tutte le commedie di Molise (Eduardo De Filippo) e Bertucci (Peppino De Filippo), che singolarmente interpretano il loro temperamento115.
Eduardo in parte condivide i consigli, e allarga il repertorio verso altri autori. Il 17 novembre porta al Sannazzaro Ventiquattr’ore di un uomo qualunque di Ernesto Grassi e il 15 dicembre Il granatiere di Pomerania di Lucio D’Ambra. Ottenuta l’autorizzazione da Pirandello, Peppino traduce in napoletano Liolà e Il piacere dell’onestà (non rappresentato). In 115 «La Scena Italiana», 1 dicembre 1933.
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programma ci sono anche L’allegra corte di Capodimonte di Lucio D’Ambra, La famiglia del fabbro di Bontempelli, Lorenzo e Lucia e Il ramoscello d’olivo di Peppino, Se tu non m’ami e Angelina mia di Paola Riccora. Di Eduardo vi sono due atti unici: Tre mesi dopo e Il dono di Natale.
Il 15 marzo 1934 il Teatro Umoristico debutta all’Odeon di Milano, con grande successo di pubblico e critica. La commedia più acclamata è ancora di Paola Riccora, Angelina mia. Il 9 aprile la compagnia si sposta all’Olympia con la nuova versione in tre atti di Natale in casa Cupiello.
In seguito al successo della stagione cominciano a piovere sui De Filippo proposte di agenti, autori, critici che chiedono di mettere in scena testi loro o dei loro assistiti. Alcuni impegni assunti e non mantenuti sfoceranno in cause legali, come la commedia Asso di cuori, asso di denari, di Umberto Morucchio, che riuscirà ad ottenerne la rappresentazione.
Continua la tournée del Teatro Umoristico: tra ottobre e novembre sono a Bari; dal 15 novembre 1934 al 16 gennaio 1935 sono al Valle di Roma; poi a Firenze, a Venezia e il 1° febbraio debuttano all’Olympia di Milano. In programma due novità: La bottega dei santi di Paola Riccora e Liolà di Pirandello. L’11 marzo sono al teatro Alfieri di Torino, dove riscuotono un grande successo. 1.12 L’incontro con il maestro
Il 20 aprile 1935 tornano a Milano, al Teatro Odeon, per la messa in scena di Liolà. La scelta di Eduardo di portare questo testo non era stata condivisa inizialmente da Peppino, cui pure era destinato il ruolo del protagonista; ma il successo di pubblico e di critica lo fecero ricredere. Alle 56
ultime recite assistette lo stesso Pirandello.
Durante l’estate Bontempelli scrive a Eduardo circa il progetto di mettere in scena Valoria, progetto che si trascinerà ancora a lungo e verrà abbandonato l’anno successivo116.
Nel febbraio 1935 esce nelle sale cinematografiche Il cappello a tre punte di Mario Camerini, con Eduardo e Peppino protagonisti al fianco di Leda Gloria.
Tra agosto e settembre 1935 la compagnia è a San Remo e a Montecatini. Il 4 ottobre al Giacosa di Napoli e il 12 novembre al Piccinni di Bari, con una novità firmata da Peppino e Titina: Ma c’è papà. A fine dicembre sono a Roma, il 22 al Quirino e il 25 al Valle, dove restano fino al 19 gennaio 1936.
In gennaio Eduardo completa l’adattamento per il teatro e la traduzione in napoletano della commedia pirandelliana, L’abito nuovo, realizzata in collaborazione con lo stesso Pirandello. Dello stesso la compagnia porta l’11 febbraio al Fiorentini di Napoli l’atto unico Ll’uva rosa (traduzione napoletana di Lumie di Sicilia) e il 14 febbraio Il berretto a sonagli, tradotta da Eduardo che vi interpreta il ruolo del protagonista, Ciampa. Il successo personale di Eduardo è strepitoso. A pochi giorni dal debutto Pirandello gli scrive:
Caro Edoardo, ritorno adesso da Milano e trovo la lettera del vostro Argeri e i giornali coi resoconti del vostro trionfo. Non m’aspettavo meno da Voi. Ciampa era un personaggio che attendeva da vent’anni il suo vero interprete117.
116 Secondo Quarenghi (Cronologia, in Eduardo DE FILIPPO, Teatro, vol. I, Milano, Mondadori, 2000, p. CXXII) la posizione politica di Bontempelli, inviso al regime, influì sulla scelta di Eduardo di non rappresentare la commedia.
117 Lettera da Roma, 19 febbraio 1936, in Luigi PIRANDELLO, Carteggi inediti, a cura di Sarah 57
La stagione prosegue al Verdi di Firenze (dal 26 febbraio), all’Odeon (dal 6 marzo), all’Olympia di Milano e al Carignano di Torino (dal 17 maggio), per terminare a Roma, dal 23 maggio al 30 giugno.
Ad agosto Eduardo collabora con la “Compagnia dei Grandi Spettacoli” impersonando Verri in Questa sera si recita a soggetto di Pirandello, diretto da Guido Salvini. Il 4 settembre lo spettacolo debutta al Theater in der Josefstadt di Vienna, nell’ambito di un congresso internazionale di teatro.
In piena ascesa, nel 1936 ritrae se stesso e i suoi trionfi: «Eccomi finalmente a casa mia, in riposo, dopo dieci mesi di teatro, 376 recite, comprese le diurne domenicali, quelle delle altre feste e le mattinare di beneficenza. Trecentosettantasei rappresentazioni in dieci mesi: più di un anno nell’anno...». Poi, nello stesso articolo, parla di uno dei suoi più grandi successi, Natale in casa Cupiello: «è stato la fortuna della Compagnia, dopo Sik­Sik, s’intende. Ebbe la sua prima rappresentazione al Kursaal di Napoli, ed era un atto unico. L’anno seguente, al Sannazzaro, altro teatro di Napoli, scrissi il primo atto, e diventò in due. Immaginate un autore che scrive prima il secondo atto e, a distanza di un anno, il primo! Due anni fa venne alla luce il terzo [...]». E conclude, con soddisfazione: «“Fatemi largo,” grido, “e giungerò al debutto con lo stesso batticuore delle prime di tutta la mia carriera artistica.” Recito da venticinque anni e ne ho trentasei... È incredibile, ho già divertito due generazioni: gli ultimi dell’Ottocento e i primi del Novecento»118.
La stagione 1936­1937 si apre al Piccinni di Bari, per poi salire a Roma, al Quirino, col quale Eduardo stipula un contratto di esclusiva ZAPPULLA MUSCARÀ, «Quaderni dell’Istituto di Studi Pirandelliani», n. 2, Bulzoni, Roma 1980, p. 366.
118 Eduardo DE FILIPPO, Primo... secondo (Aspetto il segnale), in «Il Dramma», 1936 (cit. in Isabella QUARANTOTTI, Eduardo. Pensieri cit., pp. 121­130).
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triennale. Dal 14 dicembre al 28 febbraio la compagnia recita a Napoli, al Mercadante e al Politeama. Il 17 febbraio vengono presentati tre nuovi atti unici: Cortile di Fausto Maria Martini, Il coraggio di Augusto Novelli, e Il compagno di lavoro di Peppino. Il 21 per la prima volta il pubblico napoletano assiste alla versione in tre atti di Natale in casa Cupiello.
Dopo il 28 febbraio la compagnia è a Firenze, Siena, Bologna, Trieste, Milano e Roma, dove saranno rappresentati il già citato Asso di cuori, Asso di denari di Morucchio e l’atto unico di Titina Una creatura senza difesa.
In questa stagione Eduardo inizia le prove de L’abito nuovo. Pirandello assisterà alla prima prova, ma scompare improvvisamente il 10 dicembre. Il lavoro andrà in scena il 1° aprile 1937, a Milano, e a giugno a Roma, con scarso successo.
1.13 Peste bubbonica dei bianchi
Durante l’estate del 1937 Eduardo e Peppino sono vicini a Livorno, per la lavorazione di un film negli stabilimenti Pisorno di Tirrenia. Il film è L’amor mio non muore, prodotto e diretto da Peppino Amato, soggetto di Peppino De Filippo. Durante la lavorazione Eduardo accusa dei malori e si interrompono le riprese. Mal di testa, dolori al ventre e febbre altissima. Peppino fa venire da Napoli il loro medico, il professor Cicconardi, il quale effettuate le analisi, sempre con discrezione perché in albergo non si venga a conoscenza del fatto, dichiara di essere in presenza di una grave forma di tifo (da Peppino definita «peste bubbonica dei bianchi»). Con l’aggravarsi del paziente il prof. Cicconardi torna una seconda volta a Livorno, e dispone che il moribondo sia trasferito a Napoli d’urgenza119. «I giorni che 119 Racconta Peppino l’episodio tragicomico dell’uscita dall’albergo: ricorda che Eduardo era «coperto dalla testa ai piedi [...], disteso su una barella trasportata da due infermieri scendere 59
seguirono non furono lieti»120 racconta Peppino. «Malgrado le assidue e particolari cure a cui il nostro medico lo sottoponeva, ora per ora si aggravava sempre più»121. All’apice della malattia Eduardo entra in agonia. Il prof Cicconardi fa intendere a Peppino che la fine è vicina. Nel tempo di un ultimo tentativo, Cicconardi estrae dal panciotto una piccola fiala : «Peppì... faccio un ultimo tentativo... gli inietto nel cuore questa adrenalina...»122. Di lì a poco avviene l’insperato: la medicina inizia a fare positivamente effetto, Eduardo comincia a guarire. Col passare delle ore, poi dei giorni, la speranza muta in certezza e Eduardo si può considerare fuori pericolo.
Di questo episodio Eduardo conservò uno dei tanti ‘coccodrilli’ che già si erano preparati nella redazione dei giornali, inviatogli scaramanticamente dall’amico Luigi Antonelli, autore e critico teatrale del «Giornale d’Italia». Nell’articolo scrive:
Quanta schiettezza paesana e umana in Eduardo De Filippo! Abbiamo perduto un grande attore, uno di quei rari attori che furono tipici interpreti del loro tempo e perciò furono grandi. Egli costruiva le sue vaste figure con cautamente lo scalone dell’albergo[...] tra la meraviglia di alcuno clienti della casa e del personale di servizio dell’hotel [...] tutti a fare riverente ala al passaggio dell’appestato (se lo avessero saputo!). [...] Non parliamo del «produttore» del film rimasto interrotto, Peppino Amato. Il poveretto, in piedi nei pressi della «ricevitoria» dell’hotel, se ne stava a guardare la scena stupefatto, atterrito, piangente con un fazzoletto in mano e le lacrime che gli colavano dagli occhi gli sgorgavano copiose, non tanto forse per affetto verso l’amico infermo quanto per la lavorazione del film che s’era dovuta interrompere e senza speranza di poterla riprendere a breve scadenza perché gli avevo già riferito che il nostro medico non l’avrebbe prevista prima di un mese. “Ma che tene? Se po’ sapè? Che ll’ha pigliato ’a nu mumento ’a ’n’ato?” mi domandò ed io: “...Nu poco ’e tifo, Peppì...” gli risposi e lui: “Nu poco? Chillo sta murenno... Gesù... Gesù e io comme faccio?” e si percuoteva le gote con piccoli e rapidi schiaffetti». (Peppino DE FILIPPO, Una famiglia difficile cit., pp. 301­302).
120 Ivi, p. 304.
121 Ibidem.
122 Ivi, p.305.
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particolari minimi. Dai minimi segni arrivava ai colossi. Era un osservatore paziente, meticoloso, un umorista analitico, uno scompositore dell’intima umanità... [...] Per interpretare un personaggio Eduardo cominciava ad accerchiarlo da lontano, quasi avesse una specie di ritegno ad affrontarlo subito. Gli girava attorno, gli si avvicinava, lo provocava, cominciava a blandirlo, raramente a canzonarlo, poi finalmente s’identificava in lui per ridere e piangere insieme123.
Come nota giustamente Andrea Bisicchia, l’Antonelli richiama «la comicità franca e comunicativa che , in fondo, nasce da una tristezza interiore, da una umanità scarna ed ardente, da una malinconia profonda, da una calma esteriore che è vibrazione dell’anima, da una ricerca della verità con cui Eduardo sfiora perfino la crudeltà»124.
1.14 Prima della guerra, gli ultimi giorni ‘pari’
Dopo un periodo di malattia Eduardo riunisce la compagnia, che a gennaio del 1938 debutta a Roma, al Teatro Quirino. Dal 17 al 25 febbraio sono a San Remo, successivamente a Genova e a Torino, quando vengono invitati dall’EIAR (l’ente radiofonico) a tenere una trasmissione per i soldati. Leggono lo scherzo comico Il mio primo amore.
La rivista «Scenario» pubblica nel marzo del 1938 una commedia di 123 Luigi ANTONELLI, lettera a Eduardo De Filippo, ora in Andrea BISICCHIA, Invito alla lettura di Eduardo De Filippo, Milano, Mursia, 1982, p. 17. Per l’articolo integrale cfr. Maurizio GIAMMUSSO, Vita di Eduardo cit., pp. 125­126.
124 Ibidem.
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Eduardo: si tratta di Uno coi capelli bianchi, rappresentata per la prima volta al Quirino il 26 gennaio. Le critiche sul finale pessimistico della commedia portano Eduardo a scrivere un secondo finale, che d’ora in poi rappresenterà insieme al primo. Altre commedie portate in scena per la prima volta sono Un povero ragazzo! di Peppino (10 gennaio) e Pericolosamente (20 gennaio) di Eduardo, sempre al Teatro Quirino.
Sempre a marzo Eugenio Bertuetti dalle pagine della rivista «Il Dramma» parla dei tre fratelli come di un’unità inscindibile: «Un De Filippo senza gli altri due ci farebbe l’impressione di quelle malinconiche e stonate trombe di quartiere, che suonano a sera nei silenzi delle caserme vuote. Portavoce ridicole e strazianti della nostalgia dei consegnati»125.
Dal 15 marzo al 2 maggio la compagnia è di scena al Mercadante di Napoli, poi giugno e luglio al Quirino di Roma. Nel recensire la commedia Sua eccellenza al paese natio, Alberto Consiglio difende la lingua teatrale dei De Filippo: in un momento di serrata battaglia del regime contro i regionalismi, sposta l’accento indicando come dialettali quelle opere che esprimono «una mentalità limitata, pittoresca, di accessibilità strettamente locale e popolaristica»126, e riconosce in Eduardo e Peppino un’interpretazione moderna, che trascende la questione della lingua.
Nella stagione ’38­’39 la compagnia recita nei teatri di Bari, Roma (Eliseo), Trieste, Udine, Venezia, Bologna, Milano, Genova e di nuovo Roma (Quirino), dove rappresentano Il dramma, la commedia e la farsa, di Luigi Antonelli; infine dal 20 maggio sono al Teatro Diana di Napoli.
125 Eugenio BERTUETTI, Ritratti quasi veri, «Il Dramma», 1° marzo 1938.
126 Alberto Consiglio, «Film», 25 giugno 1938.
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1.15 Cinema negli anni Trenta e Quaranta
Col prosperare dell’industria cinematografica Eduardo si presta a collaborazioni per diversi film.
Il primo in cui recita, insieme a Peppino, è Tre uomini in frack, nel 1932, diretto da Mario Bonnard. Nel 1935 è ancora con Peppino ne Il cappello a tre punte, di Mario Camerini, e in Quei due, tratto dal suo Sik­
Sik. Nel 1937 è diretto da Raffaello Materazzo in Sono stato io!, tratto dalla commedia Sarà stato Giovannino! di Paola Riccora. Nel 1938 gira L’amor mio non muore prodotto e diretto da Giuseppe Amato. A luglio dello stesso anno fonda con Peppino la casa di produzione Defilm, con la quale produce nel 1939 In campagna è caduta una stella, tratto dalla commedia di Peppino A Coperchia è caduta una stella: la regia è di Eduardo. Nello stesso anno è diretto di nuovo da Raffaello Matarazzo ne Il Marchese di Ruvolito.
Con lo scoppio della guerra la partecipazione ai film si dirada. Nel 1940 è con Peppino ne Il sogno di tutti, diretto da Oreste Biancoli e Laszlo Kish. Due anni dopo recita per Esodo Pratelli nella versione cinematografica della fortunata commedia di Armando Curcio A che servono questi quattrini, e in Casanova farebbe così, su soggetto di Peppino per la produzione di Carlo Ludovico Bragaglia; nello stesso anno Bragaglia realizza la versione cinematografica di Non ti pago! Nel 1943 recita coi fratelli in Non mi muovo, da lui sceneggiato e diretto da Giorgio Simonelli. Sempre coi fratelli, nello stesso anno, recita in Ti conosco mascherina!, da lui diretto. Ricopre una parte marginale ne Il fidanzato di mia moglie (di Bragaglia, 1943), e ne La vita ricomincia (di Mario Mattoli, 1945).
Nel 1946 con Titina interpreta il film Uno tra la folla, di Ennio Cerlesi e Piero Tellini. Con Anna Magnani recita nella trasposizione 63
cinematografica della commedia di Salvatore Di Giacomo Assunta Spina, del 1948, diretto da Mario Mattoli; al film partecipa anche nella stesura della sceneggiatura. Nel 1949 interpreta Campane a martello di Luigi Zampa e Yvonne La Nuit di Giuseppe Amato; collabora inoltre al soggetto del film Totò le mokò, sebbene non accreditato.
1.16 La madre
Nel 1944, all’età di 66 anni, muore Luisa De Filippo, la donna che dette a Eduardo la vita e il nome. Questa figura di madre, scomparendo, lascerà una traccia nell’opera del figlio. Come nota Giammusso (forse con troppa enfasi):
Eduardo, che non aveva mai passato tanto tempo con lei, neanche da bambino, vive la sua morte come una scoperta, più che come una privazione. Da ora troppe pagine del suo teatro avranno come protagonista una madre, perché quell’ombra affettuosa non resti presente nel suo cuore. Soprattutto il suo ricordo sarà per sempre un territorio [...] dove tornerà ad intrecciare ogni volta più saldo il suo rapporto con Titina127.
Infatti quattro anni dopo la morte della madre, nel natale del 1948, Eduardo in una lettera a Titina malata scrive:
[...] sono sicuro che [...] sarai in condizioni tali da riprendere in pieno il lavoro. Lo vuoi tu, lo voglio io e lo vuole nostra madre, che ci guarda e ci dà forza per 127 Maurizio GIAMMUSSO, Vita di Eduardo cit., p. 162.
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combattere e vincere128.
1.17 Scontri e collaborazioni
Alla fine della stagione 1938­1939 Titina, con il marito Pietro Carloni, a causa di una lite con i fratelli, lascerà la compagnia per entrare nella formazione di Nino Taranto, che porta in scena riviste. Senza Titina i fratelli De Filippo rappresentano commedie nelle quali il ruolo femminile è di minore importanza. I primi di giugno 1939 il Teatro Umoristico è a Tripoli. Poi iniziano la stagione 1939­1940 con una tournée che passa da Ancona, Cesena, Forlì, Ravenna, Padova, Trieste, Verona, Bolzano, Brescia, Busto Arsizio, Como, Novara. Scritti da Eduardo sono l’atto unico La parte di Amleto, rappresentato all’Odeon di Milano il 19 giugno 1940, e la fortunata commedia Non ti pago!, in scena per la prima volta il 7 dicembre al Quirino di Roma.
Nello stesso anno inizia la collaborazione con l’autore Armando Curcio, del quale già nel 1935 la compagnia aveva rappresentato Mio figlio l’avvocato. Il fortunato connubio porterà alla rappresentazione della commedia A che servono questi quattrini?, in scena il 7 maggio 1940 al Quirino di Roma, con grande successo per l’autore e per la compagnia; mentre il 23 novembre la compagnia “Serie d’Oro n.3” porta in scena al teatro Quattro Fontane di Roma la rivista satirica Basta il succo di limone!, scritta a quattro mani da Eduardo e Armando Curcio.
In agosto compare sulla rivista «Scenario» un articolo di Leonida Repaci dal titolo Umorismo tragico dei De Filippo; vi si analizzano le 128 Eduardo DE FILIPPO, lettera a Titina, Milano, 25 dicembre 1948, Archivio Carloni, ora in Maurizio GIAMMUSSO, Vita di Eduardo cit., p. 212.
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cause del loro successo, riportandolo ad una compresenza di motivi comici e intenzioni drammatiche.
Nel 1941 Eduardo e Peppino portano nei teatri riprese e novità: fra queste Le barche vanno da sole di Armando Curcio (Bari, Teatro Piccinni, 27 aprile), Il grande attore, di Peppino (Roma, Quirino, 5 giugno), ...Di Pasquale Del Prado, adattamento di Peppino da una commedia di Darthes e Damiel (Roma, Quirino, 18 giugno) e, ancora di Armando Curcio, I casi sono due (Milano, Teatro Odeon, 17 luglio).
Nel 1942 Titina, grazie anche all’interessamento di Renato Simoni, torna in compagnia. Nello stesso anno Eduardo compone la commedia in lingua Io, l’erede, rappresentata alla Pergola di Firenze il 5 marzo. In collaborazione con Armando Curcio scrive La fortuna con l’effe maiuscola, che debutta al Teatro Alfieri di Torino il 24 marzo.
1.18 Divorzio artistico
Dopo essersi riunito con il fratello Peppino, alla fine degli anni venti, dopo aver ritrovato la sorella all’inizio degli anni trenta, dopo aver costituito con loro la compagnia “Teatro Umoristico I De Filippo”129 nel 1932, e con questa aver conquistato l’Italia, la celebrità, l’appoggio della critica130 e la collaborazione di personalità artistiche del livello di Luigi Pirandello, i tre De Filippo si separano. È la fine di novembre del 1944: i due fratelli stanno provando al teatro Diana, a Napoli; d’un tratto una 129 A proposito della genesi del nome Anna Barsotti indica significativamente: «[...] che fin dall’inizio il maggiore dei fratelli si sentisse capocomico in pectore è confermato dal primo nome assunto dalla nuova formazione, “Compagnia del Teatro Umoristico di Eduardo De Filippo”». Anna BARSOTTI, Eduardo cit., p. 45.
130 «Poche parole pronunciò l’illustre critico Renato Simoni: Non vi dovete mai dividere, ragazzi, il vostro è un successo di blocco». Titina De Filippo, in Augusto CARLONI, Titina cit., p. 82.
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scintilla innesca quel cumulo di rancori repressi e espressi, quelle diversità, quelle incomprensioni che si erano venute a creare negli anni fra tutti e tre i fratelli131, in particolar modo fra Eduardo e Peppino. È la fine del “Teatro Umoristico I De Filippo”.
Sono state sviscerate e analizzate tutte le possibili motivazioni di uno dei maggiori divorzi artistici del Novecento. Ma ancora non sono chiare. L’opinione della critica, come quella popolare, si schiera di volta in volta nella fazione di Eduardo o in quella di Peppino. Molte le voci che si sono espresse in proposito: secondo Giammusso Eduardo, «il poeta dell’umorismo e dell’amarezza sentiva distendersi davanti a sé una strada nuova, [...] lontano dalle sue origini, da Scarpetta, da Petito, da Pulcinella», mentre Peppino, «il campione della comicità aperta, l’erede dello Zanni della Commedia dell’Arte, ambiva [...] ad uno spazio assoluto per il suo talento»132; simile l’opinione di Paola Quarenghi, secondo la quale «l’alternarsi di elementi comici e tragici nella commedia, la sua doppia anima [...] può essere letta [...] come il conflitto fra il ruolo di mamo e la personalità (oltre che l’esperienza pulcinellesca) di Peppino e il realismo doloroso, già venato di tragico, di Eduardo»133. Quel conflitto tradotto in scena «nella impersonazione di caratteri e ruoli opposti; [...] anche in Natale in casa Cupiello si ritrovano i germi e, insieme, le tracce di questo conflitto»134. Per Italo Moscati «l’arte di Peppino è complementare a quella di Eduardo. Si può ben dire che l’uno ebbe bisogno dell’altro per dare vita a tipi, ambienti e trame, che rappresentano gli aspetti più coloriti di una 131 Dirà Titina: «Amici miei, credete a me, meglio un “successo di blocco” in meno, e tre uomini liberi in più!». Ibidem.
132 Maurizio GIAMMUSSO, Vita di Eduardo cit., p. 167.
133 Paola QUARENGHI, Dal pari al dispari. Una commedia del repertorio di Eduardo, in L’arte della commedia. Atti del convegno di studi sulla drammaturgia di Eduardo, a cura di Antonella Ottai e Paola QUARENGHI, Roma, Bulzoni, 1990, pp. 45­46.
134 Ibidem. 67
Napoli scanzonata e romantica, presentata su uno sfondo umano di amara desolazione e di miseria. Se Eduardo rappresenta la furbizia, l’intelligenza, la tristezza con drammaticità e sofferenza, al contrario e per contrasto Peppino è sempre sopraffatto dalle avversità di uomini e cose in chiave comica»135; Anna Barsotti analizza la questione da un altro punto di vista: «lo stesso ciclo pirandelliano e dei “drammi borghesi” [...] provoca le prime incrinature [...] fra Peppino, tendenzialmente più conservatore sul piano di un “repertorio” che gli aveva offerto, anche, soddisfazioni personali, e Eduardo che aspirava invece a mescolare tutto, Petito, Scarpetta, Bovio e Viviani, con Pirandello. Per il maggiore la “tradizione” contiene elementi innovativi da sviluppare e approfondire, per il minore gli stessi elementi servono a perfezionare un’arte che non vuole superare i suoi limiti»136. E lascia la parola al disagio espresso da Titina, che affermò: «La fatale rete l’avevamo già addosso e nessuno avrebbe pensato a liberarcene. Cominciò così per noi quella tarantella, tragica, che doveva in seguito amareggiarci ogni minima gioia. Con dentro il cuore la folle paura di rimanere divisi, non sognavamo che di esserlo»137. Lo scrittore siciliano Andrea Camilleri considera: «Tutti e due confluivano nel grande amore per Titina, su questo non c’è il minimo dubbio. Tutte e due amavano Titina. Peppino era come schiacciato un po’ dal peso di Eduardo, che stimava enormemente. Eduardo faceva finta di non stimare Peppino, ma faceva finta»138. Isabella Quarantotti, terza moglie di Eduardo, si espresse così: La sua irresistibile comicità [di Peppino] nella quale Eduardo aveva creduto fin da quando lo aveva visto 135 Italo MOSCATI, I De Filippo, Genova, Lo Vecchio, s.d., p. 39.
136 Anna BARSOTTI, Eduardo cit., p. 57.
137 Titina DE FILIPPO, Il blocco, in «Sipario», ottobre 1954, (cit. in Ivi, p. 45).
138 Andrea CAMILLERI, durante un’intervista per il ciclo Eduardo. Teatro e magia, RaiSat/Dipartimento di Italianistica e Spettacolo, 2000.
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recitare in una particina a soli dodici anni e che ora metteva in rilievo con accorte regie, travolgeva e trascinava il pubblico. A sua volta travolto e trascinato dall’entusiasmo del pubblico, poco a poco Peppino non volle più dipendere da nessuno. Adulato, istigato da amici e conoscenti, cominciò a ribellarsi a Eduardo che, da parte sua, serviva il teatro con passione fin troppo severa. [...] Come poteva accettare tutto questo un giovane attore appena esploso sulla scena, che veniva acclamato in teatro e dovunque andasse? Di carattere allegro, ansioso di vivere fino in fondo la sua stagione di gloria, Peppino rifiutava la severità, il rigore di Eduardo.[...] ma non aveva saputo capire (come invece anni dopo capì Luca) che sul piano artistico Eduardo ne voleva l’abnegazione assoluta e una fiducia senza tentennamenti, per poterlo rendere sempre più grande come attore.
Chi sa, forse se di tanto in tanto Eduardo avesse incoraggiato suo fratello, questi sarebbe stato meno fragile di fronte alle tentazioni; da una parte gli applausi, le lusinghe, l’approvazione di tutti, dall’altra il rigore del fratello che lo addolorava, lo sconfortava...
Eduardo per conto suo non si è quasi mai espresso sui fatti, solo in occasione della morte di Peppino (il 26 gennaio 1980), peraltro ricalcando le accuse ai “cattivi amici” che aveva usato il fratello139. Quest’ultimo, 139 Peppino scrive:«io amavo frequentare poco certe sue conoscenze e amicizie che [...] avevano chiarissimo lo scopo di indurre mio fratello a favorire, contro la mia probabile opposizione, alcuni loro interessi. Essi sapevano che io ero parte in causa al cinquanta per cento in tutti i rischi e i guadagni della Compagnia ed allora, onde poter scavalcare agevolmente ogni mio possibile intervento ad essi contrario, e conoscendo molto bene il carattere di “ego sum” di Eduardo, gli soffiavano all’orecchio, sul mio conto, cose e cosette maligne». (Peppino DE FILIPPO, Una famiglia difficile cit., pp. 291­292). Eduardo invece si esprime così: «[...] vi posso dire che Peppino da vivo non mi 69
intervistato da Enzo Biagi fu lapidario: «Se Eduardo ed io ci siamo divisi [...] ciò è accaduto perché, alla ribalta, non avevamo più molte cose da dirci»140.
mancava... mi manca molto adesso. Vuol dire che così doveva andare... Peppino non era cattivo, è stato un grande attore, è stato un umorista, collaboratore mio in quell’epoca. Però c’è questo: i mercanti gli sono stati attorno, a migliaia, i mercanti che lo volevano, lo assediavano per la loro cassetta. Lo riempivano di complimenti, di regali. Lui credeva più a questa gente che a me. Se avessi parlato non mi avrebbe creduto. Ho tentato di farlo, si finiva a lite. Lui si accontentava di fare la spalla agli altri attori, quando la spalla gliel’ho fatta io per tanti anni... Solo questo volevo dire. Non ho mai risposto a tutto quello che ha scritto, che ha detto di me. Ho pure sentito rancore per lui. Adesso mi manca. Come compagno, come amico, non come fratello». (Isabella QUARANTOTTI, Eduardo. Pensieri cit., pp. 32­35)
140 Enzo BIAGI, La dinastia dei fratelli De Filippo, in «La Stampa», Torino, 5 aprile 1959.
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I.2 I giorni “dispari”
2.1 “Il teatro di Eduardo con Titina De Filippo”
Nel gennaio del 1945, dopo un periodo di “spaesamento”141, Eduardo forma una nuova compagnia che chiama “Il teatro di Eduardo con Titina De Filippo”. Titina infatti, anche incoraggiata da Peppino142, decide di rimanere con Eduardo. Vi recitano tra gli altri Tina Pica, Dolores Palumbo, Pietro Carloni e Giovanni Amato. La reazione degli impresari alla dipartita di Peppino è scettica, e Eduardo è costretto a recitare in teatri minori.
La prima commedia che scrive per la nuova formazione è Napoli milionaria!, che debutta al Teatro San Carlo di Napoli il 25 marzo 1945, accettata entusiasticamente da pubblico e critica143. L’interesse per questa commedia, prima rappresentante della corrente neorealista, giunge fino a New York, dove un’agenzia chiede di acquistarne i diritti. Nel 1947 sarà tradotta in inglese per essere rappresentata a Broadway con la regia di Elia Kazan: ma a causa degli impegni di lavoro del regista il progetto non avrà seguito.
Nel 1945 Eduardo scrive anche la commedia in tre atti Questi fantasmi!; apprezzata dal pubblico ma tacciata di ‘pirandellismo’ da parte della critica, sarà rappresentata il 7 gennaio 1946 al Teatro Eliseo in Roma.
Il 7 novembre 1946 al Teatro Politeama di Napoli Eduardo rappresenta la nuova commedia Filumena Marturano, la sua opera che più sarà 141 Molti impresari, dopo la separazione da Peppino, lo rifiutarono. Isabella QUARANTOTTI, Eduardo. Pensieri cit., p. 16.
142 «[...] la pregai di restarsene tranquilla e fiduciosa dove stava poiché [...] mi sarebbe dispiaciuto enormemente se a Eduardo fosse venuta meno anche la collaborazione di mia sorella». Peppino DE FILIPPO, Una famiglia difficile cit., p. 404.
143 Cfr. Enzo BIAGI, La dinastia dei fratelli De Filippo, in «La Stampa», Torino, 5 aprile 1959.
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rappresentata all’estero. Del 1947 invece è Le bugie con le gambe lunghe, rappresentata il 14 gennaio 1948 al Teatro Eliseo di Roma.
La grande magia è un’opera in tre atti scritta nel 1948 e rappresentata il 30 ottobre al Teatro Verdi di Trieste. In questa occasione Titina avverte i primi sintomi di quel malore che la porterà ad allontanarsi dalle scene. Eduardo la sostituisce provvisoriamente con Vittoria Crispo e scrive in sei giorni un’altra commedia, dove il ruolo di Titina risulti meno impegnativo: Le voci di dentro, che debutta l’11 dicembre al Teatro Nuovo di Milano. Nel 1950 scrive La paura numero uno, rappresentata per la prima volta in occasione dell’XI Festival del Teatro presso il Teatro La Fenice di Venezia.
2.2 Anni Cinquanta: tra cinema e “La Scarpettiana”
Negli anni cinquanta Eduardo partecipa in qualità di interprete, autore o regista a venticinque film. Come sceneggiatore e interprete realizza per Luigi De Laurentiis la riduzione di due sue commedie: Napoli milionaria! (1950) e Filumena Marturano, con Titina e Tina Pica (1951). Sempre accanto a Titina recita nel 1950 in Cameriera bella presenza offresi, diretto da Giorgio Pastina. Nel 1952 dirige e interpreta i film Marito e Moglie e Ragazze da marito, mentre ne Le ragazze di piazza di Spagna di Luciano Emmer sostiene una piccola parte e cura la regia del film I sette peccati capitali. Nello stesso anno Domenico Paolella realizza il film Un ladro in paradiso, con Nino Taranto, tratto dal poemetto di Eduardo De Pretore Vincenzo.
In qualità di autore, regista e interprete realizza nel 1953 Napoletani a 72
Milano e in qualità di interprete Traviata ’53 di Vittorio Cottafavi . Nel medesimo anno recita nel film a episodi Villa Borghese di Gianni Franciolini e in Cinque poveri in automobile di Mario Mattoli.
Nel 1954 dirige Renato Rascel nella versione cinematografica di Questi fantasmi! In quell’anno Eduardo lavora come interprete nei film a episodi Tempi nostri, Cento anni d’amore, e L’oro di Napoli, di Vittorio De Sica. Collabora inoltre alla sceneggiatura di Pane, amore e gelosia.
Nel 1956 interpreta con Peppino il film Cortile, diretto da Antonio Petrucci. Due anni dopo, nel 1958, è regista e interprete accanto a Giulietta Masina e Alberto Sordi nel film Fortunella, da un soggetto di Federico Fellini, Ennio Flaiano e Tullio Pinelli. Mentre diretto da Glauco Pellegrini interpreta L’amore più bello. Ancora nel 1958 Eduardo lavora diretto da Richard Wilson per il film americano Raw Wind in Eden144. Nel 1959 interpreta e cura la regia del film Sogno di una notte di mezza sbornia, tratto dalla commedia di Athos Setti. Nello stesso anno è interprete insieme ai fratelli del film Ferdinando I re di Napoli, diretto da Gianni Franciolini. Nel 1960 recita nei film Fantasmi a Roma di Antonio Pietrangeli e Tutti a casa di Luigi Comencini.
Il motivo di un impegno così massiccio nel cinema è da ricercarsi nella ricostruzione del vecchio teatro napoletano San Ferdinando, da lui acquistato nel 1948 e inaugurato nel 1954145. A causa di queste forti spese, non aiutato dallo Stato, Eduardo è costretto a non formare compagnia per la stagione 1951­1952 e 1952­1953. L’unico impegno teatrale di quel periodo è la regia di uno spettacolo composto da tre atti unici, Requie all’anema soja..., Amicizia (scritta per l’occasione), Il successo del giorno, in scena al ridotto del Teatro Eliseo di Roma il 9 maggio 1952; lo spettacolo viene 144 Nel film Eduardo recita interamente in lingua inglese, nonostante non l’avesse mai studiato né parlato prima di allora.
145 Cfr. il paragrafo Napoli e il teatro San Ferdianando.
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realizzato da una compagnia di giovani attori appena usciti dall’Accademia di Arte Drammatica, tra i quali Tino Buazzelli, Nino Manfredi, Paolo Panelli, Bice Valori.
Il 2 ottobre 1953 in occasione del centenario della morte di Eduardo Scarpetta rappresenta Miseria e nobiltà al Teatro Mediterraneo nell’ambito della Mostra d’Oltremare di Napoli. L’incasso viene devoluto ai vecchi attori dialettali in difficoltà.
Il 22 gennaio 1954 inaugura il Teatro San Ferdinando con Palummella zompa e vola di Petito; interpretando per la prima volta Pulcinella, Eduardo ripristina la cerimonia della “consegna della maschera”, conferitagli dall’anziano attore Salvatore De Muto. A questa commedia seguono altri lavori di autori napoletani: Montevergine di Domenico Romano (la cui regia è firmata da Eduardo e Raffaele Viviani) e Monsignor Perrelli di Francesco Gabriello Starace, messo in scena da Roberto Rossellini. A quest’ultimo lavoro prende parte anche Titina, interpretando un piccolo ruolo, ma l’anno successivo il suo cuore malato la costringe a ritirarsi dalle scene. La formazione assume d’ora in avanti il nome “Il teatro di Eduardo”. Del 1954 è la commedia in tre atti Mia famiglia, che debutta il 16 gennaio al Teatro Morlacchi di Perugia. Nel 1955 Eduardo scrive Bene mio e core mio, rappresentata l’11 novembre al Teatro Eliseo di Roma.
Nell’agosto del 1956 egli annuncia la nuova compagnia “La Scarpettiana”, con sede stabile al Teatro San Ferdinando. La nuova formazione, destinata a rappresentare principalmente teatro napoletano, è composta da giovani e attori affermati, come Pupella Maggio e Franco Sportelli. Felice Sciosciammocca sarà interpretato da Beniamino Maggio prima, e da Pietro De Vico in un secondo momento; Ugo D’Alessio sarà caratterista, accanto a Salvatore Cafiero, Vera Nandi, Enzo Petito. La regia 74
delle rappresentazioni è curata sempre da Eduardo.
All’inizio del 1957 scrive la commedia De Pretore Vincenzo, tratta dal poemetto Vincenzo De Pretore, per farla rappresentare dalla compagnia di Achille Millo e Valeria Moriconi, curandone la regia (aiutato da Luciano Lucignani, ideatore del progetto). In scena al Teatro dei Servi di Maria in Roma dal 26 aprile, le rappresentazioni vengono sospese dopo tre giorni su ordine della questura per “uso improprio della sala”, considerando l’opera come offensiva nei confronti della religione cattolica – sebbene avesse ricevuto il nulla osta dalla censura. Il 14 maggio viene ripresa al Teatro Valle, con scarso successo.
Nel 1958 scrive la commedia Il figlio di Pulcinella e il radiodramma Dolore sotto chiave, che sarà in seguito portato in teatro come atto unico. In settembre inaugura la stagione al Piccolo Teatro di Milano con un adattamento di Pulcinella in cerca della sua fortuna per Napoli di Pasquale Altavilla.
Alla fine del 1959, il 6 novembre, Eduardo porta al Teatro Quirino di Roma la nuova commedia Sabato, domenica e lunedì, con la quale ritorna sulla tematica familiare già affrontata in Mia famiglia e Bene mio e core mio. La prima donna della compagnia in quegli anni è Pupella Maggio.
2.3 Eduardo stanco
Gli anni Cinquanta furono per Eduardo anni difficili, impegnativi, ricchi di emozioni e di delusioni. Come nota Giammusso146 l’apice giunge nel 1956, un anno difficile per molti versi. Il matrimonio con Thea Prandi sta finendo e Eduardo confessa in una lettera a Titina di essere «in un 146 Maurizio GIAMMUSSO, Vita di Eduardo cit., pp. 256­259.
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momento di avvilimento, di prostrazione, di stanchezza». E aggiunge: «Voglio parlare con te, parlare tanto. Titì, non posso parlare più con nessuno. Ho detto a Thea di telefonarti: ti avrà già telefonato. Vi vedrete, parlerete e piangerete insieme. E io con voi»147.
La stanchezza di Eduardo è tanta, troppa. Sembra arrivare da tutta una vita trascorsa senza un momento di riposo, di inattività, senza un attimo di ozio. In quegli anni cinquanta Eduardo si scopre incompreso da una parte del suo pubblico, per via di commedie come La paura numero uno, nella quale si ravvisa un eccessivo impegno ideologico. E parte della critica lo vede ormai come un autore in declino. È del 1954 la feroce stroncatura di Emilio Barbetti nel suo saggio significativamente intitolato Il caso De Filippo: vi giudica Eduardo
[...] un commediografo istintivo, che, traviato da miraggi intellettualistici, nonché dalle smaccate lodi di giornalisti e ahimè critici [...], s’è staccato dalle spesso delicate impressioni dei suoi primi tentativi, per penetrare in territori ad esplorare i quali gli mancano, oltre tutto, la preparazione sociale e culturale, onde gli errori di osservazione e di espressione facilmente avvertibili da un orecchio appena esercitato.
Duole veramente veder traviato da megalomania o da sogni di bayreuthiana memoria [...] una tempra di attore quanto mai varia, fine e comunicativa, delle doti di commediografo, se non tali da saper erigere strutture sceniche elaborate, almeno da cogliere e rendere quadri ambientali precisi e delicati [...]148.
147 Eduardo DE FILIPPO, lettera a Titina, Napoli, 28 aprile 1956, cit. in Maurizio GIAMMUSSO, Vita di Eduardo cit., pp. 256­257.
148 Emilio BARBETTI, Il caso De Filippo, «Il Ponte», anno X, n.2, febbraio 1954, p. 273.
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A Titina ammalata Eduardo scrive, per consolare lei e se stesso: «Nulla è sprecato in questa vita: le sofferenze ci aiutano ad arrivare fino in fondo»149.
Nel 1956 una rappresentazione di Filumena Marturano negli Stati Uniti si rivela un fiasco clamoroso. La commedia, i cui diritti sono stati acquistati dal produttore Otto Preminger, viene tradotta e adattata da Hugh Herbert, il quale la travisa e la stravolge150. Per altri venti anni l’America rifiuterà Eduardo.
Da una lettera del caro amico Vincenzo Torraca, direttore del Teatro Eliseo, si scorge di riflesso la prostrazione di Eduardo:
... Capisco che tu sia veramente stanco; ma se io avessi passato un settennio come il tuo, denso di attività creativa e di così grandi preoccupazioni a quest’ora avrei raggiunto i miei maggiori, o mi troverei in una casa di cura. Tu, sotto le apparenze di pelle e ossa, hai rivelato in questi anni veramente tormentosi una resistenza nervosa e fisica miracolosa ed hai avuto la sovrumana energia di non rinunziare a nessuno dei tuoi ideali artistici o dei tuoi programmi pratici. [...] Quindi devi ritenerti, più che soddisfatto, fiero del tuo lavoro e dei grandi risultati ottenuti sul piano artistico come su quello dell’organizzazione teatrale. Ed è logico che provi un sentimento «d’incomprensione con te stesso» e di insoddisfazione della tua vita [...]; e solo gli uomini mediocri o finti hanno la gioia, non invidiabile, di un compiacimento assoluto delle loro opere151.
149 Ibidem.
150 Cfr. Federico FRASCANI, Eduardo segreto, Napoli, Gallina editore, 1982, pp. 126­127.
151 Vincenzo Torraca, lettera Eduardo, Roma, 4 novembre 1956.
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2.4 Tragedie
Durante le vacanze di Natale del 1959, Thea e i figli sono al Terminillo, sull’Appennino, Eduardo è a Roma per la sua stagione al teatro Quirino, e nei giorni di riposo li raggiunge. Un pomeriggio, improvvisamente, scoppia la tragedia: mentre gioca col fratello Luisella ha un malore; un’emorragia cerebrale le toglie i sensi e la vita. Il 5 gennaio del 1960 Luisella muore. Il dolore di Eduardo, grandissimo, incolmabile, lo si percepisce in alcuni versi di una sua poesia scritta due anni dopo:
Papà!
Sta voce soia
forte e lontana
arriva fino a me
zitta e vicina.
Papà!
Pè tutta ’a casa
’e notte
dint’ ’o scuro
corre p’’e stanze
pè se fa sentì.
Papà!152
Isabella Quarantotti, vicina a Eduardo, riporta nel suo diario, nel 1960:
28 febbraio, Pavia. [...] Vado a raggiungere Eduardo a teatro. Il quale è grazioso, ma servito assai male. Infatti 152 Eduardo DE FILIPPO, Pazzianno c’ ’o suonno, in Le poesie, Torino, Einaudi, (1975) 2004, p. 108.
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Eduardo è furibondo col personale e con i pompieri. Meglio così, meglio arrabbiarsi con gli uomini che con la morte153.
3 marzo, Lugano. [...] Ribellarsi alla morte è comprensibile, ma disperatamente inutile154.
Dieci anni dopo scriverà una breve opera in un atto per bambini, dal titolo Lo scoiattolo in gamba (musicata da Nino Rota), ispirata a un tema svolto dalla piccola Luisella e pubblicato in ’O Canisto. In conclusione scrive:
Adesso Luisella tiene vent’anni... Il tempo passa, come no! Per una ragazza bella come lei, moderna, allegra e con tutta la gioia di vivere che ha, si giustifica in pieno l’indifferenza che prova per i ricordi d’infanzia; io però, a sua insaputa, questo «Scoiattolo» l’ho voluto mettere nel Canisto. Lei non lo darà a vedere, ma in fondo ne avrà gioia155.
Nel 1961, un anno dopo la morte di Luisella, Thea si ammala gravemente: le metastasi del cancro di cui era stata operata qualche anno prima, ora si diffondono rapidamente; giorno dopo giorno si consuma sempre più. Si opera, prende molte medicine, ma non serve a niente. Eduardo, che era andato a vivere con Isabella, decide di tornare da Thea, di starle vicino. Isabella, dolorosamente e silenziosamente, si è fatta da parte. Le inutili cure non alleviano la sofferenza di Thea e Eduardo, come 153 Diario di Isabella Quarantotti, inedito, volume I, p.52, (cit. in Paola QUARENGHI, Cronologia, in Eduardo DE FILIPPO, Teatro, vol. I, Milano, Mondadori, 2000, p. CLVII).
154 Ibidem.
155 Eduardo DE FILIPPO, ’O Canisto cit., p. 95.
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Domenico Soriano con Filumena Marturano, le regala un nuovo matrimonio, stavolta con il rito religioso156. Ma Thea non si rialzerà dal letto come Filumena, spirerà poco dopo, il 9 giugno 1961. Da quel momento in poi Eduardo prenderà per mano il piccolo Luca e lo terrà sempre vicino a sé, premuroso di riempire quei vuoti che la perdita della madre e della sorella nel giro di un anno hanno scavato in un bambino appena tredicenne.
2.5 Poliedrici anni Sessanta
Gli anni Sessanta vedono un poliedrico Eduardo dedito, oltre al teatro, alla televisione e alle regie liriche. Del 1960 è la commedia di denuncia Il sindaco del rione Sanità, che debutta al Teatro Quirino di Roma il 9 dicembre, con grandissimo successo. In questa occasione torna a lavorare con Eduardo Regina Bianchi, col quale già negli anni Quaranta aveva esordito.
Il 20 ottobre 1962 debutta Il figlio di Pulcinella, scritta nel 1958, al Teatro Quirino di Roma. Da pubblico e critica lo spettacolo non raccoglie consensi.
Nel 1963 Eduardo scrive insieme a Isabella Quarantotti l’episodio Adelina, per il film di De Sica Ieri, oggi e domani.
A partire dalla stagione 1964­1965 entra a far parte dell’organico del Teatro di Eduardo l’attore milanese Franco Parenti: debutta il 3 novembre 1964 al Teatro San Ferdinando di Napoli con la versione teatrale di Dolore sotto chiave. Lo stesso mese al Teatro Bracco di Napoli va in scena La monaca fauza di Pietro Trinchera, con la regia di Gennaro Magliulo, nell’adattamento di Eduardo. Il 24 dicembre 1964 dirige la compagnia del 156 Maurizio GIAMMUSSO, Vita di Eduardo cit., pp. 287­288.
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Piccolo Teatro di Milano in Monsieur de Pourceaugnac di Molière. La novità della stagione è L’arte della commedia, portata l’8 gennaio sulla scena del San Ferdinando. La commedia è manifesto e riflesso delle traversie politiche che il teatro italiano sta attraversando in quegli anni. L’opera suscita polemiche e forse per questo Eduardo decide di non rappresentarla né a Roma (sostituendola con una ripresa, Uomo e galantuomo) né a Milano la stagione successiva.
Nel dicembre del 1964 esce nelle sale italiane ed in quelle americane il film di De Sica Matrimonio all’italiana, tratto da Filumena Marturano, con Sophia Loren e Marcello Mastroianni; il film, alla cui sceneggiatura partecipa lo stesso Eduardo, sarà candidato all’Oscar l’anno successivo. Nel corso del 1965 Eduardo scrive l’episodio “Morire per vivere” per il film Racconti a due piazze; da questo testo ricaverà l’atto unico Il cilindro, rappresentato al Teatro Quirino di Roma il 14 gennaio 1966. Per il film Oggi, domani, dopodomani, realizza l’episodio “L’ora di punta”, tratto dal suo atto unico Pericolosamente.
Nello stesso 1966 Eduardo lavora a un film tratto da Le voci di dentro, con Marcello Mastroianni e Raquel Welch. Il film uscirà nelle sale in autunno, senza successo. Lo stesso esito avrà un’altra riduzione cinematografica di quell’anno, Questi fantasmi, prodotto da Ponti per la regia di Renato Castellani, con Sophia Loren, Vittorio Gassman e Mario Adorf.
Nell’agosto del 1966, in vacanza all’isola di Isca, si ammala di appendicite cancrenosa. Viene ricoverato e operato a Roma, dove Peppino va spesso a visitarlo.
Nella stagione 1966­1967 Eduardo non forma compagnia, ma si dedica alle regie liriche. Nel gennaio del 1967 forma una seconda Scarpettiana, per la quale impiega nuovi attori, fra i quali Isa Danieli, Ugo D’Alessio, Pietro 81
De Vico e Vittorio Mezzogiorno; quest’ultimo a partire dalla stagione successiva entrerà a far parte del Teatro di Eduardo.
Durante l’estate 1967 l’autore scrive Il contratto, rappresentato il 12 ottobre in occasione del XXVI Festival Internazionale della Prosa al Teatro La Fenice di Venezia, con la scenografia di Renato Guttuso.
L’estate del 1968 vede Eduardo impegnato in un nuovo lavoro, Il monumento, commissionato dal Teatro Stabile di Roma per la stagione successiva. La commedia sarà terminata nel 1970 e verrà rappresentata il 24 dicembre dello stesso anno al Teatro La Pergola di Firenze. Per il ruolo di Sabina Eduardo pensa a Anna Magnani, ma la collaborazione non avrà seguito a causa di un dissidio fra i due157. Con lei Eduardo aveva già lavorato in Assunta Spina, il film ispirato al dramma di Salvatore Di Giacomo, e li legavano anni di amicizia e di stima, al punto che in lei Eduardo aveva visto l’erede di Titina nel ruolo di Filumena Marturano158. Quando il 26 settembre 1973 scompare Anna Magnani, Eduardo le dedica questa poesia:
Confusi con la pioggia
sul selciato
sono caduti
gli occhi che vedevano
gli occhi di Nannarella
che seguivano
le camminate lente
sfiduciate
157 Il ruolo di Sabina sarà successivamente destinato a Valentina Cortese, ma ancora un dissidio farà si che al debutto sia Laura Adani a interpretarlo.
158 Intervistato dal settimanale «Oggi» (Silvio BERTOLDI, Eduardo un comico senza sorrisi, novembre 1966) gli fu domandato chi avrebbe potuto succedere a Titina nel ruolo di Filumena Marturano. Rispose senza esitazioni: «Anna Magnani. Lei potrebbe esserlo, sì. Un giorno o l’altro, vedrete. Dovrà pur finire per arrivarci».
82
ogni passo perduto
della povera gente.
Tutti i selci di Roma hanno strillato
e le pietre del mondo
li hanno uditi159.
Per la stagione teatrale 1969­1970 la compagnia si avvale di nuovi attori: oltre a Pupella Maggio compare ufficialmente il figlio Luca160. La novità della stagione è Cani e gatti, libero adattamento dall’opera di Eduardo Scarpetta (a sua volta ricavata da La jalouse di Alexandre Brisson), in scena al Teatro Piccinni di Bari il 24 marzo 1970.
2.6 Collaborazioni e iniziative negli anni Settanta
Nel 1970 Eduardo progetta con Carmelo Bene un film sulla Serata a Colono di Elsa Morante e una versione televisiva del Don Chisciotte di Cervantes, con la collaborazione di Dalì. Ma questi lavori non verranno mai realizzati.
Nel 1971 Eduardo realizza uno spettacolo di rivista omonimo dello sketch del 1931, Ogni anno punto e da capo; il lavoro è destinato all’inaugurazione della stagione al Piccolo Teatro di Milano, diretto in quel periodo da Franco Parenti; quest’ultimo interpreterà la rivista accanto a Ombretta Colli. Le musiche sono di Nino Rota.
Nel 1973 Eduardo scrive la sua ultima commedia, Gli esami non 159 Anna, ora in Eduardo DE FILIPPO , ’O penziero e altre poesie di Eduardo, Torino, Einaudi, 1985, p. 28.
160 Già nella stagione precedente aveva debuttato col nome di Luca Dalla Porta.
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finiscono mai, rappresentata il 19 dicembre al Teatro La Pergola di Firenze.
Nell’aprile del 1970 si riavvicina a Peppino, il quale è affranto dalla perdita della moglie Lidia. Anche durante l’estate continueranno i rapporti: Peppino lo andrà spesso a trovare nella sua tenuta di Velletri.
Nel 1972 si affaccia l’idea di una scuola di teatro, globale e indipendente, da realizzarsi a Firenze, presso il Teatro Goldoni.
In questa scuola vorrei venissero formati non soltanto attrici ed attori professionalmente validi, di cui tanto abbisogna il teatro italiano, ma anche musicisti di scena, datori di luce, direttori di scena, scenografi, costumisti, registi, commediografi, fonici, realizzatori di scene, attrezzi e costumi. Ogni allievo frequenterà non solo le lezioni che competono alla specializzazione scelta ma anche gran parte delle lezioni degli altri settori del teatro, per poter raggiungere un alto grado di conoscenza dell’arte teatrale nella sua totalità. [...] Tale complesso deve essere indipendente da influenze politiche e quindi non sovvenzionato dallo Stato, ma si sosterrà con le proprie forze, e cioè con i proventi delle rette mensili degli allievi e con i guadagni delle rappresentazioni pubbliche161.
Purtroppo le trattative con il proprietario del Goldoni non hanno seguito e il progetto viene momentaneamente accantonato.
Il 26 febbraio, il 4 e l’11 marzo 1972 il settimanale «Gente» pubblica a puntate un’intervista a Peppino nella quale, oltre a raccontare con accenti polemici e scandalistici la storia dei De Filippo, svela la paternità segreta dei De Filippo (conosciuta ma mai ufficialmente riconosciuta). Ferito, Eduardo comincia a raccogliere documenti e testimonianze per una 161 Lettera di Eduardo all’avvocato Fera, Roma, 18 marzo 1972.
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pubblica smentita, ma in un secondo momento vi rinuncia.
Il 2 marzo 1974, durante una recita de Gli esami non finiscono mai all’Eliseo di Roma, Eduardo accusa un malore:
Mi è successo almeno tre volte, sempre mentre stavo recitando. Era come una brevissima perdita di coscienza, forse tre o quattro secondi, che seguiva a uno sbadiglio. L’ultima volta, ritornando in sensi, non riuscivo neanche a spiegarmi dove mi trovavo e perché. [...] Poi, sempre in qualche frazione di secondo, mi sono ripreso del tutto, e ho ricominciato a recitare, rendendomi conto che intorno nessuno si era accorto di nulla162.
In seguito sarà costretto ad installare un pacemaker, che regola gli impulsi del cuore in caso di bisogno. «Così si evita il blocco prolungato che sarebbe noioso» spiegherà: «Insomma si evita di schiattare»163.
Interrotte le recite il 4 marzo164, il 5 marzo viene operato, e il 27 marzo riprende le repliche all’Eliseo. Il pubblico in sala ha paura di applaudire per «timore di provocare in Eduardo emozioni troppo forti»165.
Il 19 luglio 1974 Peppino tenta un timido riavvicinamento scrivendo al fratello:
Ho alcuni torti nei tuoi riguardi e desidero il tuo perdono tal quale come io perdono quelli tuoi nei miei confronti. Ti confesso che la solitudine mi sta consumando poco per 162 Renzo TIAN, Auguri Eduardo, «Il Messaggero», 28 febbraio 1974.
163 Ibidem.
164 Racconta Isabella Quarantotti che «la sera prima dell’intervento, con grande calma, Eduardo annunciò al pubblico che avrebbe dovuto sospendere le recite e ne spiegò il motivo. Disse parole talmente belle e serene che commosse il pubblico in sala e gli attori, che solo in quel momento apprendevano la notizia, in palcoscenico». (testimonianza in Omaggio a Eduardo cit., s.p.).
165 Nino LONGOBARDI, Come se niente fosse, «Il Messaggero», 28 marzo 1974.
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volta e poco riesco a distrarmi dal ricordo vivo del mio passato lontano e vicino. [...] Vorrei tanto che io e te dimenticassimo i vecchi rancori e decidessimo di vivere in santa pace: sereni e tranquilli di spirito166.
Eduardo, fermo, risponde:
Vedi, Peppino: l’appello quasi disperato che mi hai fatto giungere con la tua inaspettata lettera non mi lascia indifferente, anzi mi addolora; ma arrivato [...] alle soglie della vecchiaia, io ho bisogno soprattutto di calma e di serenità per poter continuare il mio lavoro che tanto m’appassiona. Ora devi riconoscere che i nostri rapporti, soprattutto per la differenza delle nostre idee sul teatro, non sono stati mai, o quasi mai, calmi e sereni e perciò io debbo difendere la mia pace alla quale mi pare di aver diritto dopo una vita tanto tormentata. Non devi dispiacerti, io non ti voglio male; ti consiglio però di astenerti dall’attaccarmi pubblicamente, come hai fatto più volte in interviste che puntualmente mi vengono recapitate a mezzo posta; perché sebbene tali attacchi a me non facciano né caldo né freddo, mi danno il dolore del discapito che ne viene a te167.
Il 21 novembre 1974 va in scena al Martin Beck Theater di Broadway la commedia Sabato, Domenica e Lunedì (Saturday, Sunday, Monday), con la regia di Zeffirelli. Dall’insuccesso della rappresentazione nascerà una lite con Zeffirelli. Il 2 novembre 1975 muore assassinato a Roma l’amico Pier Paolo 166 Lettera a Eduardo, Roma, 19 luglio 1974 (cit. in QUARENGHI, Cronologia, in Eduardo DE FILIPPO, Teatro, vol. I, Milano, Mondadori, 2000, p. CLXXI).
167 Minuta di lettera non datata, ma anteriore al 17 agosto, cit. in Ibidem.
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Pasolini. Le fosche circostanze della sua morte spaccano l’Italia a metà. Eduardo pubblica sulle pagine di «Paese Sera» questa poesia:
Non li toccate
quei diciotto sassi
che fanno aiuola
con a capo issata
la «spalliera» di Cristo.
I fiori, sì, quando saranno secchi,
quelli toglieteli,
ma la «spalliera»,
povera e sovrana,
e quei diciotto irregolari sassi,
messi a difesa
di una voce altissima,
non li togliete più!
Penserà il vento
a levigarli, per addolcirne
gli angoli pungenti;
penserà il sole
a renderli cocenti,
arroventati
come il suo pensiero;
cadrà la pioggia e li farà lucenti,
come la luce
delle sue parole;
penserà la «spalliera»
a darci ancora
la fede e la speranza
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in Cristo povero168.
2.7 Vecchiaia
Durante l’estate del 1975 Eduardo scrive il primo atto di una nuova commedia, Il medico di famiglia, che resterà incompiuta. Nello stesso anno ha contatti con Pier Paolo Pasolini, che già nel 1973 aveva proposto a Eduardo di recitare nel suo film Porno­Teo­Kolossal: «la storia di un re magio napoletano, Eduardo De Filippo, che ad un certo punto segue una cometa [...] simbolo dell’ideologia»169. Il progetto verrà interrotto dalla morte del regista.
Poche settimane più tardi Eduardo viene contattato dalla regista parigina Ariane Mnouchkine, direttrice del Théatre du Soleil, la quale gli propone di interpretare Scaramouche nel suo film su Molière. Ma a causa delle cattive condizioni di salute Eduardo declina l’offerta.
Infatti nel dicembre del 1975 le sue condizioni peggiorano. Oltre al diabete, di cui soffre da tempo, una bronchite lo costringe al ricovero e forti dolori accompagneranno l’insorgere dell’artrosi. Su consiglio dei medici, il 12 marzo 1976 parte con Isabella per il Marocco, dove il calore dovrebbe lenire i dolori alle mani.
Questi stessi motivi di salute lo costringono all’inizio del 1976 a sospendere le recite. In quel periodo Eduardo lavora a una traduzione in napoletano di Pygmalion di George Bernard Shaw, ma il progetto viene accantonato. Nel settembre del 1976 viene pubblicata l’autobiografia di Peppino, 168 Pier Paolo, ora in Eduardo DE FILIPPO , ’O penziero e altre poesie di Eduardo, Torino, Einaudi, 1985, pp. 38­39.
169 Nico NALDINI, Pasolini; una vita, Torino, Einaudi, 1989, p. 382.
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Una famiglia difficile, che renderà definitiva la rottura tra i due fratelli. Il 4 gennaio 1977 Eduardo sposa a Napoli Isabella Quarantotti con matrimonio civile officiato dall’amico e sindaco Maurizio Valenzi. A lei lo lega un rapporto di oltre vent’anni. Racconterà a Luigi Compagnone: «ne avremmo fatto a meno di questo matrimonio, perché in realtà ci siamo sposati fin dal primo momento»170.
Il 29 giugno del 1978 partecipa a una serata in suo onore organizzata al Teatro Tenda di Roma da Carlo Molfese: Lieta serata insieme a Eduardo e ai suoi compagni d’arte. Fra gli amici e i colleghi che vi partecipano sono: Vittorio Gassman, presentatore della serata, Marcello Mastroianni, che porta un brano da L’arte della commedia, Isa Danieli, Ferruccio De Ceresa, Beppe Barra, Mario Scarpetta, Angelica Ippolito, Valeria Moriconi, Valentina Cortese, Gigi Proietti, Pupella Maggio, Carla Fracci, Nino Rota, Mario Scaccia, Piero Visconti, Monica Vitti, Anthony Quinn. Eduardo si esibisce in una scena di Filumena Marturano, davanti a una sedia che ospita la voce registrata di Titina, in un’atmosfera di commossa commemorazione. La serata è trasmessa in diretta televisiva da Paolo Grassi, allora presidente della RAI, il quale fa slittare i notiziari per permette la messa in onda integrale. A seguito dell’evento Alberto Bevilacqua ha scritto:
Ecco: lieta serata, nel senso di contraria a quella zona del teatro italiano che, calata di per sé nella tristezza (sia tradizionale che sperimentale), tristezza diffonde a chi ne è testimone. Persino Eduardo, col suo intervento finale, è riuscito a non essere sulla lacrima, benché, nel corso delle due ore di spettacolo, tutto fosse stato predisposto per 170 Luigi COMPAGNONE, Caro Eduardo, hai 80 anni, «Oggi» 21 maggio 1980.
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calcarlo di violenta nostalgia (o elegia)171.
Renzo Tian, dalle pagine de «Il messaggero» racconta:
È facile immaginare che cosa abbia significato per Eduardo, che il trascorrere del tempo rende sempre più schivo, una serata dove non c’era il tono della celebrazione, né la spina della malinconia: ma soprattutto la volontà espressa da un folto manipolo di attori appartenenti a generazioni tanto diverse, di testimoniare la continuità del suo teatro, e la sua capacità di durare. Così facevano gli attori di Roberto De Simone, che Eduardo scoperse e lanciò a Spoleto, con la loro Pulcinellata; così Monica Vitti che tirava sulle sue corde una scena del poco noto Cilindro insieme con Vincenzo Salemme; così un inedito Mastroianni faceva il capo­comico dell’Arte della commedia, seguito dal virtuoso duetto fra Mario Scaccia e Ferruccio De Ceresa in una scena dello stesso testo; così Valeria Moriconi che visitava con emozione, insieme a Isa Danieli, una scena di Bene mio e core mio. Sappiamo che Eduardo si adopera in ogni modo affinché il suo teatro non rimanga necessariamente legato alla sua persona, e possa vivere anche fuori di essa. [...] Immaginiamo che cosa avrà sentito nel riascoltare le vibrazioni di Pupella Maggio che rifaceva, quasi fosse la prima volta, una delle grandi scene di Sabato, Domenica e Lunedì che ormai ha fatto il giro del mondo; che cosa avrà provato nel vedere suo figlio Luca, insieme ad Angelica Ippolito, accomunati da una crescita di maturità e di intensità espressiva in un delicato momento del De Pretore Vincenzo. E chissà che cosa gli sarà passato per la testa nel vedere Luigi Proietti 171 Alberto BEVILACQUA, «Corriere della Sera», 1 luglio 1978.
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impadronirsi di due tra le più belle poesie eduardiane172.
Nel dicembre del 1978 Eduardo è a Cinecittà per la registrazione televisiva de Il contratto. Durante le prove cade fratturandosi una costola. Il trauma gli ha procurato una successione di piccoli infarti, così dal 19 gennaio all’8 febbraio è costretto a interrompere la lavorazione.
Nel 1979 subisce due gravi perdite. Si tratta degli amici e collaboratori Nino Rota e Vincenzo Torraca. A maggio riceve dal figlio la notizia che Peppino è gravemente ammalato. Dopo qualche tentennamento decide di lasciare Napoli, dove sta recitando, per recarsi a Roma a trovarlo. A Luglio le sue condizioni peggiorano.
Il 26 gennaio 1980 è a Bologna, al Teatro Duse. Qui gli arriva la notizia della morte di Peppino. Sospende le recite.
Il 5 febbraio 1980 rappresenta al Teatro Giulio Cesare di Roma Il berretto a sonagli, destinando il ricavato alla ricostruzione del Teatro Tenda di Roma danneggiato da una grandinata. Il 21 aprile inaugura a Firenze la Scuola di Drammaturgia, in collaborazione con il Comune e con il Teatro La Pergola, diretto da Alfonso Spadoni. Il progetto era nato nel 1976, ma fu rinviato per motivi di salute. Il primo incontro con gli studenti avviene il 19 maggio; le lezioni si terranno nel ‘ridotto’ della Pergola, ricavato dal direttore Alfonso Spadoni. Dal progetto, che dura un anno, nasce la commedia Simpatia, scritta in collaborazione con gli allievi.
Il 3 giugno 1980, su proposta di Andrée Ruth Shammah, tiene un recital di poesie al Salone Pierlombardo di Milano, il cui ricavato viene destinato agli ospiti della Casa di Riposo per artisti Giuseppe Verdi. All’inizio di ottobre dello stesso anno Eduardo inizia a Roma le prove de La donna è mobile di Vincenzo Scarpetta, per la nuova “Compagnia di Teatro di Luca De Filippo”.
172 Renzo TIAN, «Il Messaggero», 1 luglio 1978.
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Il 23 novembre 1980 l’Irpinia è colpita da un violento terremoto. Eduardo il 3 dicembre indice una conferenza al Quirino per avviare una raccolta di fondi a favore dei terremotati.
2.8 Eduardo senatore
Il 26 settembre 1981 Eduardo riceve dal Presidente Sandro Pertini la nomina di senatore a vita, occupando il seggio lasciato libero da Eugenio Montale. È motivata da «altissimi meriti nel campo artistico e letterario». Già tre volte aveva rifiutato la carica, ma questa volta Pertini lo mette davanti al fatto compiuto.
Nelle interviste emerge il bisogno di Eduardo di conservare la sua indipendenza: «e questo perché voglio essere libero di dire tutto ciò che voglio. Desidero continuare ad andare diritto come uno scrittore che ha detto qualche cosa e questa cosa la sostiene ancora»173.
A chi gli domanda cosa farà al Senato risponde:
Parlerò dicendo la verità. Sarò scomodo. Questi sono tempi che chiedono chiarezza e io, come uomo di teatro, credo di avere quel certo dono, quella capacità di presentire i tempi. Le mie commedie lo dimostrano: basta prendere Napoli milionaria! [...] Direi, per usare un’espressione che è già mia, che stiamo vivendo l’epoca dei giorni dispari. I giorni sfortunati. Qui i problemi li sappiamo tutti quali sono, non è che serve chiarezza per capire quali guai stiamo attraversando174.
173 Emidio JATTARELLI, Anche in Senato per la povera gente, «Il Gazzettino», 27 settembre 1981.
174 Paolo GUZZANTI, Non chiamatemi senatore, ci ho messo una vita per diventare Eduardo, «La Repubblica», 27 settembre 1981.
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Il primo impegno che si assume in qualità di senatore riguarda la questione della delinquenza minorile. Il 12 ottobre a Napoli visita l’Istituto di pena per minori Gaetano Filangieri. Rivolge ai ragazzi questo discorso:
Perché sono venuto? Per incontrarvi, per conoscervi, per avere la possibilità, così di darvi un consiglio di tanto in tanto, non da senatore, ma come Eduardo, come uno che agli inizi ha avuto una vita e delle esperienze non molto diverse dalle vostre. Ma non vi vergognate mai del passato: il passato è passato. Guardate in faccia al futuro. E il futuro non dipende solo dalle autorità, ma anche da voi, soprattutto dalla vostra certezza di avere una coscienza, qualcosa che vi parla. E questo qualcosa ve lo dovete scegliere voi stessi non ve lo può imporre nessuno175.
L’invito è quello di fare affidamento sulle proprie forze:
Non fidatevi dell’aiuto degli altri. Fate affidamento solo sulle vostre forze, sulla vostra buona volontà e accontentatevi di qualsiasi lavoro. Anche il più piccolo, il più umile dei lavori vi può portare al massimo della soddisfazione. Guardate a me. Alla vostra età mi trovavo quasi nella stessa situazione. Eppure adesso sono senatore. Quando uscite da quest’istituto cercate di trovarvi un qualsiasi lavoro. Incontrerete senz’altro qualcuno che vi dirà: «Ma che si’ fess. Vieni a rubare, ci faremo i miliardi». Innanzitutto io vi dico che i miliardi non lo ho mai visti. Però guardate; io ho lavorato; sono un fesso ma 175 Sergio ROMANO, Io ero quasi come voi, «Il Messaggero», 13 ottobre 1981.
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ora sono senatore176.
2.9 Ultimi anni
All’inizio del 1981 le precarie condizioni di salute lo costringono a ritirarsi dalle scene. In febbraio partecipa a Napoli ad una manifestazione in favore dell’UNICEF. Rientrato a Roma lavora per la sua nuova compagnia del figlio, adattando, dirigendo e producendo una commedia di Pasquale Altavilla: Pulcinella ca va cercando ’a furtuna soja pe’ Napule.
Alla fine della stagione 1980­1981 Eduardo abbandona le scene.
Il 4 aprile 1981, su invito del professor Ferruccio Marotti, inizia un corso di drammaturgia presso l’Università La Sapienza di Roma. La fortunata esperienza darà vita alla raccolta delle sue Lezioni di teatro (Torino, Einaudi, 1986).
In primavera presenta una serie di recital in diverse città italiane con Carmelo Bene: Trieste, Certaldo, San Benedetto del Tronto, Velletri.
Il 20 ottobre 1981 tiene un recital al Teatro Comunale di Firenze, destinando il ricavato agli abitanti di Sant’Angelo dei Lombardi, la cittadina dell’Irpinia vittima del terremoto. Il 15 novembre al Palazzo dello Sport di Roma tiene un altro recital assieme a Bene.
In questi mesi Eduardo prepara importanti messe in scena delle sue commedie. Il 24 ottobre incontra Giorgio Strehler, intenzionato a rappresentare al Piccolo di Milano La grande magia177. Il 12 dicembre invece riceve la visita di Fred Berndt, un giovane regista tedesco che rappresenterà L’arte della commedia alla Schaubuhne di Berlino, il teatro 176 S.a., Eduardo ai detenuti minorenni: fidatevi solo delle vostre forze, «Il Tempo», 13 ottobre 1981.
177 Questa messinscena sarà rappresentata il 1985, un anno dopo la morte di Eduardo, e il suo successo riscatterà l’esito negativo del suo debutto. 94
diretto da Peter Stein. Il 9 febbraio del 1982 debutta Ditegli sempre di sì con la Compagnia di Teatro di Luca De Filippo; la regia è curata da Eduardo.
Durante l’anno porta dei recital ancora con Carmelo Bene. Il 1° marzo è al Palasport di Bologna (il ricavato viene destinato ai ragazzi del carcere minorile Filangieri, a Napoli), dal 15 al 22 marzo a Pisa, al Teatro Verdi; dal 1° a 15 giugno al Petruzzelli di Bari. All’inizio di aprile a Zurigo tiene un altro recital, destinando i profitti alle vittime del terremoto. Il 25 giugno è a Muggia al Congresso per la Pace dei Sindaci di Confine, dove dopo un discorso e un recital di poesie ritrova l’amico Dario Fo.
Il 29 ottobre del 1982 debutta al Teatro Morlacchi di Perugia la commedia Mettiti al passo!, scritta in collaborazione con Claudio Brachino, allievo del corso di drammaturgia di Roma. Per l’occasione viene formata la compagnia “L’Arte della Commedia”, di cui fanno parte Lina Sastri, Paolo Graziosi, Antonello Fassari e alcuni studenti.
Il 9 gennaio 1983 tiene un recital al Palasport di Napoli, il pubblico è composto di più di diecimila persone. Per la compagnia del figlio, Eduardo cura adattamento e regia di Tre cazune furtunate, che debutta in gennaio al Teatro Verdi di Pisa. In quel periodo Giulio Einaudi propone a Eduardo di tradurre un’opera di Shakespeare per la collana “Scrittori tradotti da scrittori”. Eduardo pensa a La dodicesima notte, poi al Sogno di una notte di mezza estate, ma infine la sua scelta cade su La tempesta.
In aprile Eduardo comincia le prove di Bene mio e core mio per la compagnia di Isa Danieli. All’inizio dell’estate prende parte allo sceneggiato televisivo Cuore, di Luigi Comencini, nel ruolo del vecchio maestro Crosetti. È la sua ultima apparizione in televisione. Ai primi di luglio è a Montalcino, dove tiene 95
una conferenza­spettacolo nell’ambito dello Studio Internazionale dello Spettacolo indetto da Ferruccio Marotti. In ottobre torna a Napoli dove si occupa della regia di Nu turco napulitano, per la compagnia del figlio.
Alla fine del 1983, nonostante le condizioni di salute vadano peggiorando, cura la regia di Ditegli sempre di sì. All’inizio di marzo 1984 comincia a registrare le voci de La tempesta, già pubblicata e accolta con entusiasmo. Il lavoro prevede Eduardo interprete di tutti i personaggi maschili e Imma Piro, attrice della compagnia di Luca, nel ruolo di Miranda. Nello stesso mese cura la regia di Chi è cchiù felice ’e me!, per il figlio. Durante l’estate Eduardo fa installare in uno scantinato della tenuta di Velletri uno studio di incisione, per portare a termine la registrazione audio de La tempesta. Il nastro verrà riprodotto in uno spettacolo di marionette della compagnia Colla, con musiche di Antonio Sinagra, alla Biennale di Teatro del 1985.
2.10 Morte di Eduardo
Il 24 settembre 1984 Eduardo esegue dei controlli in clinica. Dalle radiografie si rileva un grosso enfisema per il quale ci sono poche prospettive di miglioramento. Il medico consiglia nuove terapie: va a Salsomaggiore per un periodo di cura. Ferruccio Marotti ricorda:
Gli telefonai, perché sapevo che in certe circostanze non voleva farsi vedere. Era molto riservato. «Ferruccio, mi sento come un leone, sto bene». Mi raccontò che cantava delle canzonette oscene alle monache per metterle in imbarazzo. Ci fu una pausa. «Isabella è uscita dalla stanza. 96
Ferruccio sto morendo». E chiuse il telefono.
[...] Provai a richiamare un’ora più tardi. Mi rispose Isabella: Eduardo aveva perso conoscenza, ed era in una situazione gravissima178.
Il 20 ottobre ha un attacco di influenza e tracheite. Il 26 chiede il ricovero in clinica. Il 28 sembra stare bene, ma è un falso miglioramento.
Il 31 ottobre 1984, alle undici di sera, muore. La salma esposta nella camera ardente allestita al Senato riceve l’estremo saluto di circa trentamila persone. I funerali di stato vengono celebrati nella basilica di San Giovanni in Laterano, il 3 novembre. Dopodiché Eduardo sarà sepolto al cimitero del Verano. Dal diario della moglie si legge:
Una cerimonia fredda, breve, senza musica. Poi fuori, sul sagrato, nel sole, la folla enorme ha fatto ala alla bara, applaudendo freneticamente. Anche quando hanno parlato Sommella, Marotti e Dario Fo, applausi a non finire. Pertini, la Iotti e Cossiga non hanno parlato perché ha parlato Fo. Che grettezza.[...] Poi al Verano. Così triste, definitivo...179 A porgergli l’ultimo saluto, gli uomini della cultura e della politica italiana: da Dario Fo a Ferruccio Marotti, da Francesco Cossiga a Sandro Pertini. Giuseppe Galasso, giornalista e politico napoletano, ricorda Eduardo in relazione alla sua città:
[...] la sua napoletanità, come quella di tutti i veramente 178 Ferruccio MAROTTI in Parole mbrugliate, a cura di Emilio POZZI, Parole mbrugliate cit., p. 371.
179 Diario di Isabella Quarantotti, inedito, volume III, p.163 (cit. in Paola QUARENGHI, introduzione a Eduardo De Filippo, Teatro, vol. I, Milano, Mondadori, 2000, p. CLXXXV).
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grandi della tradizione napoletana, non è un fatto né dialettale, né municipale. Si tratta, invece, della percezione di dimensioni fondamentali dell’umanità di tutti i tempi e di tutti i luoghi, anche se, naturalmente, il riferimento immediato è ai tempi e ai luoghi a cui De Filippo, come nell’epoca loro i suoi grandi predecessori napoletani, appartenne. Oggi mi sembra perciò da sottolinearsi innanzitutto questo aspetto universalmente umano della Napoli e dei napoletani di De Filippo, questo aspetto universalmente umano per cui la Napoli e i napoletani di De Filippo rivelano e testimoniano l’umanità e i problemi del nostro tempo: la dissoluzione di antiche tradizioni, le forme nuove di vecchi drammi sociali, la solitudine umana di fronte a tipi impreveduti di trasformazione della società e così via180.
Il regista, amico e collaboratore Franco Zeffirelli ricorda l’Eduardo “dei giorni pari”:
[...] i De Filippo vennero fuori come una nota eccezionale, perché portavano in scena la verità e ci fecero pensare seriamente a cosa fosse il teatro autentico. Non che gli altri non lo facessero, ma i De Filippo precedevano i tempi, sembrava, attraverso di loro, di proiettarsi in avanti, verso una realtà che stava per sbocciare nella cultura italiana e si concretizzò, per esempio, nel neorealismo cinematografico181.
Geno Pampaloni, giornalista e scrittore, analizza la “filosofia” di 180 Giuseppe GALASSO, «Il Mattino», 2 novembre 1984.
181 Franco ZEFFIRELLI, «Il Mattino», 2 novembre 1984.
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Eduardo imperniandola su un opinabile “laicismo cristiano”:
Probabilmente Eduardo De Filippo è stato uno degli uomini che nel nostro tempo hanno capito di più nella vita. Confesso di non sapere se egli, come autore drammatico, sia o no di prima grandezza. Ma certo lo è stato come interprete, come intelligenza e come persona. Ha capito e rivelato (e in questo il suo disincantato laicismo ha un accento irrimediabilmente cristiano) quanto la vita, ogni vita, anche la più umile e arrabbiata, abbia in sé un segreto eroismo, una inestinguibile luce di dignità. Questo poeta dei guitti, dei mediocri, dei disperati è riuscito come pochi altri a darci il senso della grandezza del destino umano. La vita, come egli la rappresentava, è un peso che nobilita anche lo schiavo che ne è gravato. Il fascino delle figure che la sua fantasia creava e incarnava sta in questo: che quelle figure si collocavano, senza esserne divise o lacerate, sul confine tra il patetico e il tragico; vale a dire ciò che appare lagrimevole, emotivo e minore, e ciò che invece è arduo e grandioso, e tocca il mistero doloroso ed esaltante dell’esistenza. La vita umana, sul palcoscenico di Eduardo, accoppia in sé rimorso e speranza; rimorso perché è qualche cosa che si butta via con rassegnazione, come se fosse una condanna da scontare a occhi chiusi e più in fretta possibile; speranza perché dal fondo di quella rassegnazione ripullula improvvisa, inattesa ma sempre possibile, la sorgente della fraternità e dell’amore. La «filosofia» di Eduardo è il perfetto contrario di quella celebre di Gide; la felicità non è una «porta stretta», ma una porta sbarrata che tuttavia, inaspettatamente, il mistero degli affetti può spalancare...182
182 Geno PAMPALONI, «Il Tempo», 2 novembre 1984.
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I,3 Tracce
3.1 Titina
La storia di Titina De Filippo è complessa e accidentata, meritevole di distinguersi dal percorso biografico di Eduardo. Grandissima interprete femminile, apprezzata ormai da molti anni183, Titina aveva avuto la sfortuna di nascere artisticamente in un teatro che allevava soubrette, più che attrici. Le doti artistiche della giovane De Filippo risiedevano più nella sua interpretazione che nel coreografico gioco di gambe che il teatro di rivista richiedeva. «I sogni erotici dei commendatori delle prime» ricorderà anni dopo Eduardo «maturavano al tepore della vasta collezione di seni e gambe che fino a quel momento era stato patrimonio esclusivo di tutte le passerelle dei cinema­teatro di periferia. Napoli non fu da meno. Pure il paese dei vermicelli adeguò i suoi spettacoli all’altezza dei tempi. Lo fece in forma ridotta, è vero, con l’abituale ristrettezza dei suoi mezzi, sissignori, in un teatrino “casareccio”, dove lo spettacolo si veniva a trovare naso a naso con l’arrangiamento della scenografia, coi colori stinti dei costumi lisi, con la goffaggine della soubrettina improvvisata»184. Titina ebbe anche la sfortuna di fare da satellite a due fratelli molto più popolari di lei, e anche più liberi. A tal proposito racconta Peppino: «io e mio 183 Il critico Alberto Savinio scrisse: «Il suo viso largo e tranquillo, la sua espressione casalinga, il suo sorriso che vien fuori a malincuore come un lusso di cui una persona dabbene non deve abusare, il suo sguardo da chioccia, lento e sospettoso, quel suo aspettar pericoli da ogni parte e quel suo essere sempre pronta ad affrontarli, esercitano su di noi una profonda suggestione». Augusto CARLONI, Titina cit., p. 82.
184 Raul RADICE, Ogni anno punto e da capo, in «Corriere della Sera», 6 ottobre 1971.
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fratello, progettando la solita “sortita” fuori dall’ambito di qualsiasi gestione teatrale a noi estranea, invitavamo Titina a seguirci nell’impresa, ci seguiva, ma al profilarsi di una qualsiasi complicazione era la prima a temerne le conseguenze e ad abbandonarci. La ragione della sua riluttanza stava nel fatto che legata ai suoi doveri di madre e sposa – poiché era soprattutto da lei che dipendeva il “menage” familiare – cercava, per quanto le era possibile, di tenersi diplomaticamente lontana dai nostri continui esperimenti»185. Così nel momento di costituire la Compagnia del Teatro Umoristico I De Filippo, Titina entrò a farne parte come scritturata, non dividendo coi fratelli onori e oneri. Quando però i successi si mostrarono all’altezza dei rischi186 e i due fratelli si dividevano banconote da mille lire, Titina ne guadagnava duecento. Forse anche questo contribuì a guastare i rapporti coi fratelli, il non avere potere decisionale, il sentirsi “sostituibile” in qualsiasi momento da qualche altra attrice più giovane e bella di lei. In occasione di uno spettacolo al teatro Sannazzaro di Napoli, fu scritturata una giovane e avvenente cantante, Hellen Meis. Titina, sentendosi spodestata, si ingelosì giungendo a una lite con Eduardo, che davanti a tutti gli attori della compagnia, sarebbe arrivato a dirle: «...ma che pretendi? Ti vuoi mettere con quella [Hellen Meis]? Tu sei brutta!»187.
Così si dovette sentire anche in relazione a Lidia Maresca, giovane attrice alla quale Eduardo propose di collaborare. La Maresca sarebbe diventata, dopo una breve relazione con Eduardo, l’amante di Peppino. Questo provocò ancora di più l’antipatia e l’astio da parte di Titina, il cui 185 Peppino DE FILIPPO, Una famiglia difficile cit., p. 270.
186 Racconta Peppino a proposito del 1927, all’epoca della formazione capocomicale dei due fratelli con Michele Galdieri: «Facendoci anticipare del denaro da una nota strozzina firmammo la Compagnia e ordinammo scene e costumi. Un coraggio da leoni! Mano mano che si spendeva, i soldi andavano esaurendosi, ma noi fidavamo pienamente nel successo dello spettacolo e non tememmo di ritmare cambiali su cambiali». Ivi, p. 247.
187 Ivi, p. 332.
101
marito era il fratello di Adele Carloni, moglie di Peppino188. Racconta quest’ultimo che Titina «credette fermamente (e fece credere agli altri) che la signorina Maresca era stata scritturata in Compagnia unicamente perché aveva concesso le sue belle grazie femminili prima a Eduardo... poi a me»189; e infine Titina, alla fine della stagione teatrale 1937­38 lasciò la compagnia, dopo che Eduardo, durante una rappresentazione al teatro Politeama di Genova, le avrebbe rivolto dalle quinte un rimprovero quasi ad alta voce, «uno sgarbo artistico che nell’ambiente di teatro va inteso come “sbianchimento”»190; se ne andò a recitare nella compagnia di riviste di Nino Taranto. Indicativa circa i rancori che correvano fra Titina e i suoi fratelli è la lettera che questa scrisse a Peppino venti anni dopo:
Quando Lidia è entrata nella nostra compagnia ha portato con sé il mio allontanamento da questa, proprio per il tuo amore, E ti spiegherò il perché se vorrai ascoltami con calma. Dopo sette anni di lavoro, di lotte... (ti prego di ricordare tutto quello che ho sofferto in quegli anni), mi vidi costretta, da un momento all’altro, a fare la rivista per mangiare. E tutto questo accadeva, Peppino mio proprio perché tu, in quel momento, t’innamoravi di Lidia... Se non ci fosse stato questo amore, come era avvenuto altre volte, avresti cercato di smussare il mio litigio con Eduardo e tutto sarebbe finito, come sempre. Invece, quando Eduardo chiamò Pietro e gli comunicò che la commedia del debutto a Roma al Quirino sarebbe stata 188 Malumori non mancarono neanche fra Pietro Carloni, marito di Titina, e Eduardo, il quale ricevette una lettera anonima nella quale lo si avvertiva che sua moglie Dorothy avrebbe avuto una relazione con un attore della compagnia. Con l’aiuto di un grafologo, Eduardo identificò il Carloni come autore della lettera, lo mise al corrente, ma non prese provvedimenti. (Ivi, pp. 341­342).
189 Ivi, p. 332.
190 Ivi, p. 330.
102
Tutti uniti canteremo; che la mia parte la faceva Lidia; e che io avrei potuto scegliere fra quelle che restavano e, nel caso non ne avessi scelta nessuna, avrei riposato; tu, proprio per questo amore, rimanesti zitto, approvando quello che diceva Eduardo. E fu dietro il tuo silenzio che io capii che ormai anche tu mi venivi meno nel bisogno, e che anche tu, perché innamorato, avevi piacere che me ne andassi.
Ricordati che sul Vomero, io ho ricevuto a casa Argeri [amministratore della compagnia N.d.A.] con la paga dei miei ultimi sette giorni, con la comunicazione da parte di Eduardo, che potevo fare a meno di scendere per le ultime recite, perché mi erano state regolarmente pagate. Io ho avuto i sette giorni che si danno alla cameriera, Peppino mio...Se tu non fossi stato aberrato da un amore, che in seguito si è dimostrato tanto forte da sostituire in te l’intera famiglia, non avresti permesso questo orrore, questa grande offesa a tua sorella...191
Anni dopo, nella stagione 1941­42 Eduardo si interessò per far tornare Titina e il marito in compagnia. Così avvenne. Ci furono ancora altre tensioni, ma Titina rimase. E rimase, l’abbiamo detto, anche dopo l’uscita di Peppino, in quella “Compagnia il Teatro di Eduardo con Titina De Filippo”. Ancora una volta subordinata, ancora una volta splendida interprete femminile di commedie imperniate sul protagonista maschile, Titina pregò il fratello di scrivere qualcosa per lei, qualcosa che avrebbe potuto darle occasione di mostrare in prima persona le sue qualità artistiche. Nacque Filumena Marturano, una delle maggiori opere di Eduardo, rappresentata in tutto il mondo e in tutte le lingue: la prima 191 Titina DE FILIPPO, lettera a Peppino De Filippo, 5 marzo 1959, Archivio Carloni (cit. in Maurizio GIAMMUSSO, Vita di Eduardo cit., pp. 137­138).
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edizione fece stampare due milioni di copie. È la storia di una prostituta napoletana che, a difesa della vita, decide di non abortire, e cresce così tre figli con i soldi di Domenico Soriano, ricco borghese che la mantiene, ignaro della prole, come concubina; finché un giorno lei escogita un inganno, che è la peripezia con la quale ha inizio la commedia: fingendosi malata, al punto da convincere il prete e finanche il medico, chiede in extremis di essere sposata; Domenico non può negarglielo, ma subito dopo Filumena si alza dal capezzale al grido di: «Don Dummi’ tanti auguri: siamo marito e mugliera!»192.
Il successo personale dell’attrice nelle vesti di Filumena è strepitoso. La critica la acclama e il popolo napoletano vi si identifica pienamente193. Purtroppo la gloria per Titina De Filippo è arrivata tardi. Una sera del 1948, durante una rappresentazione de La grande magia al teatro Verdi di Trieste, Titina ha un malore. Il cuore non sopporta più le fatiche di una vita teatrale. Si ritira dalle scene. «Ha avuto una sorte amara» dice Eduardo in un’intervista di quegli anni a Enzo Biagi «ha dovuto smettere quando il successo la stava premiando»194. «Titina divenne l’emblema della sofferenza (perdeva peso ed energie mese dopo mese) ma al tempo stesso , anche della tenacia, simboli di una lotta [...] tra la vita e la morte»195. Morirà il 26 dicembre del 1963.
Molti anni dopo, nel 1983, Eduardo la ricorderà in una poesia:
192 Eduardo DE FILIPPO, Filumena Marturano, in Cantata dei giorni dispari, [1951], vol. 1, Torino, Einaudi, 1982, p. 166.
193 Racconterà anni più tardi Camilleri: «siamo stati a Vicolo San Liborio, vicolo di ‘Filumena Marturano’, ed è nata come una specie di piccola inchiesta e la gente è convinta che Filumena Marturano abitava lì e ci hanno mostrato la casa. É diventato ormai più che un personaggio, è qualcosa di vivo. Questo è straordinario». Andrea CAMILLERI, durante un’intervista per il ciclo Eduardo. Teatro e magia, RaiSat/Dipartimento di Italianistica e Spettacolo, 2000.
194 Enzo BIAGI, La dinastia dei fratelli De Filippo, in «La Stampa», Torino, 5 aprile 1959.
195 Giampaolo INFUSINO, Eduardo De Filippo, un secolo di teatro, Napoli, Litorama, 2000 , p. 80.
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Titina mia,
Titì...
Che t’aggia dicere...
Si te tenesse ccà pe’ nu mumento,
pe’ na mezz’ora,
n’ora sulamente,
desse diece anne
’e chesta vita mia,
ca vita cchiù nun è
ma è sempe vita!
T’appujasse sta capa
ncopp’ ’a spalla
e te dicesse:
«Fino a che sto nterra e ssongo vivo
simmo ancora nuie!»
Cu ll’uocchie dint’a ll’uocchie
t’ ’o dicesse...
E a gocce a gocce
se nfunnèssero ’e mmane
’e tutt’e dduie196.
3.2 Dodò, Thea, Isabella
In meno di dieci anni, dal 1952 al 1961, Eduardo si separa dalla sua prima moglie, sposa la seconda, ne divorzia, la risposa, e inizia una relazione con quella che sarà la terza moglie.
La prima moglie fu Dorothy Pennington, lo abbiamo detto (cfr. paragrafo Amori e amici). Si sposarono il 12 dicembre 1928. Racconta 196 Eduardo DE FILIPPO , ’O penziero e altre poesie di Eduardo cit., p. 77.
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Peppino che fu una cerimonia «molto semplice, breve, nel contempo severa»197, alla quale fu l’unico presente, nutrendo sua sorella e sua madre ostilità per la sposa. : secondo quanto raccontato da Peppino lui solo, della famiglia De Filippo, sarebbe stato presente al matrimonio198. Soprattutto con la madre Eduardo ebbe molti problemi per via della Pennington. Racconta ancora Peppino: «Titina, in accordo con mia madre, mi aveva indotto a credere che Dorothy concedeva da qualche tempo le sue belle grazie ad un attore della nostra compagnia e una sera, eravamo a Roma al teatro Valle, dopo lo spettacolo mi invitò ad andarci ad appostare lei io e nostra madre, nascosti in un taxì, presso l’entrata di una trattoria di via delle Vite ove, secondo lei, Doroty e il suo giovane “ganzo” si sarebbero incontrati per un “tet a tet”. Pensai di accontentarla ma attendemmo invano [...]»199. D’altronde il matrimonio durò poco, presto Dodò cominciò ad accusare stanchezza per la vita itinerante alla quale la moglie di un attore era costretta; inoltre non riuscì a dargli quei figli che Eduardo avrebbe tanto voluto. Secondo Peppino «non era proprio una donna maligna, Dorothy [...], era soltanto una ingenua giovane straniera caduta stranamente a Napoli nell’area di un ambiente teatrale ove pettegolezzi, malizie e doppiezze non mancavano». Il matrimonio sarebbe stato annullato venti anni dopo, nel 1952, nella Repubblica di San Marino.
Ma la crisi con Dodò ebbe un decisivo apice quando nel 1947 Eduardo conobbe Thea Prandi, una soubrette delle riviste di Aulicino, e il ventennale matrimonio si lacerò definitivamente un anno dopo quando Thea gli donò un figlio. Fu chiamato Luca, nacque il 3 giugno 1948; l’anno successivo, a settembre, nascerà Luisella. Eduardo sposò Thea il 2 gennaio 1956, legittimando i suoi figli. Una immagine di quegli anni si può trovare 197 Ivi, p. 245.
198 Peppino DE FILIPPO, Una famiglia difficile cit., p. 245.
199 Ivi, p. 345.
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in un bellissimo articolo di Indro Montanelli, del 1959:
In compagnia di sua moglie, Thea, nella deliziosa villetta sulla Via Appia in cui si sono ritirati, sto aspettando Eduardo [...] che deve rientrare stasera da Napoli.
C’è andato per preparare un film di cui sarà egli stesso regista ed interprete principale; ma anche per litigare. Con chi? Con tutti. Ed é inutile indagarne i motivi, perché i motivi di Eduardo sono sempre imperscrutabili. Nessun contrattempo o sciagura può offuscarne il contagioso buonumore, quando la mattina si alza con questo prezioso viatico, che lo accompagnerà per tutta la giornata.
[...] Stasera si tratta appunto di vedere di che umore ritornerà. E l’inquietudine di Thea è comprensibilissima perché, come è facile fare la moglie quando l’umore di Eduardo è buono, altrettanto le è difficile quando l’umore di Eduardo è cattivo. [...]
Eccolo. Uno stridio di freni, l’ultimo sussulto di un motore che si ferma annunziano il suo arrivo. E tutti e due tratteniamo il respiro in attesa di vederlo comparire sulla porta, perché basterà uno sguardo al suo volto per capire cosa ci aspetta per il resto della serata.
Ahi, è nero quel volto, nero come un volo di corvi, nero come un cielo in cui stia per scoppiare un uragano.[...]
«No – sibila in tono provocatorio – è inutile che lo aspetti, Thea… È inutile che lo aspetti, il regalino. Non te l’ho portato… E non te l’ho portato non perché me lo sia dimenticato, ma perché proprio non ho voluto portartelo: mi spiego?... Stasera nun è cosa, Thea, nun è cosa… Non mi va… Se dovessimo metterci a sedere tutti insieme, io, stasera, mi metterei a sedere prima di te, perché non mi va di aspettare che ti sei accomodata... Sono uno scostumato? E va bene: sono uno scostumato... Sono un cattivo marito? 107
E va bene: sono un cattivo marito... Anzi, non mi sento nemmeno un marito... Mi sento e mi considero scapolo... E quindi tu devi sentirti e considerarti nubile, hai capito?... Tu, Indro, te la puoi pure sposare, perché...». Fa una pausa alla vana ricerca degli imperscrutabili motivi che lo hanno spinto a quella decisione. E di colpo esplode, urlando e picchiando il pugno sul tavolo, in risposta a un’obiezione che nessuno gli ha mosso [...].
Come spesso mi capita anche quando recita, non so se impaurirmi o intenerirmi, se prenderlo a schiaffi o coprirlo di baci. E il bello è che non lo sa nemmeno Thea, che pure dev’esserci allenata. Il suo mestiere di moglie non è certo dei più facili e lisci; ma il pericolo della noia, con un simile uomo, non lo corre di certo200.
200 Indro MONTANELLI, Eduardo, «Corriere della Sera», 11 giugno 1959. L’articolo continua così: «In quel momento uno stridio di freni e l’ultimo sussulto d’un motore che si spegne alla porta di casa annunziano l’arrivo da qualcuno. Eduardo trasale e si avventa nel corridoio, donde giunge subito dopo un cinguettio di voci infantili. Sono Luca e Luisella, i due splendidi figli che Thea gli ha dato, reduci da qualche escursione in campagna. Quando Eduardo riemerge tenendoseli avvinghiati ai fianchi, si fa fatica a riconoscere in lui l’uomo di un minuto prima. “E guardali, Indro!… E guardali! ­ m’ingiunge fissandomi con due occhi in cui pare che si siano accesi due fanali – Che ti credi che siano, questi due?… Guaglioni?… No, ti sbagli. Questi non sono guaglioni. Questo sono na folla… Questi sono nu popolo, Indro!… Perché io qua non tengo na famiglia, hai capito? Tengo nu popolo…[...] Non abbiamo una lira, ma non c’è nessuno al mondo più ricco di noi. Papà è ricco: avete capito, popolo?… Più ricco d’o Cummandante Lauro, che tiene ’e navi, ma io tengo a vui due… E guardali, Indro!… E guarda a loro, invece di guardà a me. Io sono nu pover òmo, ma tengo ’u popolo, il mio popolo…[...] Thea, non è vero che non te l’ho portato ­ mormora contrito – Non volevo portartelo. Mi dicevo: no, non glielo porto… E me lo dicevo con rabbia, hai capito?… Con odio, me lo dicevo… Perché? E tu perché me lo domandi, questo perché?… Che ne so?… Non mi odi mai, tu a me?…Si, ogni tanto mi odi, ma non lo dici perché sei piemontese… Io son napoletano e lo dico: oggi la odio e non le porto il regalino… Ma poi c’è il popolo… Il popolo che tu mi hai regalato, Thea… Il popolo che c’è anche quando non c’è, che mi segue anche quando è lontano, che mi tira per la giacca… E guardalo, Indro!
… E guarda a loro, invece di guardà a me: io sono nu pover òmo… Eccoti il regalino, Thea!… E non mi dire che ho speso troppo… Che troppo?… Noi siamo ricchi, Thea, lo vuoi capire?… Più ricchi d’o Commandante Lauro, che tiene ’e navi, ma noi teniamo ’u popolo… E guardali, Indro!… E guarda a loro, invece di guardà ’o regalino…”».
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Il matrimonio con Thea Prandi durerà solo tre anni; il 22 settembre 1959 i coniugi si separeranno consensualmente davanti al Tribunale di Roma. Nel 1961, al capezzale di Thea, Eduardo la sposerà nuovamente, in extremis.
Ma già nel 1956 Eduardo aveva conosciuto, nella sua isola di Isca201, Isabella Quarantotti, trentacinquenne, con due matrimoni falliti alle spalle e una figlia (Angelica Ippolito, che calcherà le scene insieme a lui). Un anno dopo Eduardo la contatta e inizia con lei una relazione che lo porterà, nel 1977, al matrimonio, e che lo accompagnerà per sempre. 3.3 Napoli e il teatro San Ferdinando Il rapporto di Eduardo con la sua Napoli è stato un alternarsi di riconoscimenti e accuse. Isabella Quarantotti afferma: «Eduardo ha scritto circa quaranta commedie, tradotte e rappresentate in tutto il mondo [...] che hanno fatto conoscere ed amare Napoli dovunque, eppure esse sono state aspramente condannate come denigratorie della dignità di Napoli»202.
Ma Eduardo Napoli l’aveva capita203. Per questo, nel 1947 decise di acquistare quel che restava dell’antico teatro San Ferdinando, nel popolare quartiere Stella, ridotto dai bombardamenti aerei a un rudere; lo restaurò 201 Isca è un isolotto di fronte a Positano che Eduardo acquisto da Vittorio Astarita nel 1949 come luogo di ritiro dove riposarsi e lavorare in calma e serenità. (Maurizio GIAMMUSSO, Vita di Eduardo cit., p. 201).
202 Isabella QUARANTOTTI, Eduardo. Pensieri cit., p. 46.
203 «Eduardo aveva verso Napoli un sentimento intimo, particolare, un amore tanto più vero quanto più difficile diveniva con il passar del tempo, un sentimento “a dispetto”, nel quale era al tempo stesso il dispettoso e l’indispettito». Giampaolo INFUSINO, Eduardo cit, p. 93.
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per farne un “teatro del popolo napoletano”. Lo pagò sei milioni di lire, più le spese per la ricostruzione: arrivò a spendere trecentocinquanta milioni. «Invece di farmi ville e yacht» commenta Eduardo nel 1961 «ho voluto ricostruire un celebre teatro distrutto dalla guerra, e per pagare questo “lusso” i miei diritti di autore sono bloccati a favore delle banche»204.
Vantaggi economici in un’impresa del genere apparentemente non ve ne erano, poiché «tutte le migliori sale d’Italia lo corteggiavano», come ricorda Giammusso205. «Ogni cosa che concerne Eduardo è, per il teatro Eliseo, interesse di famiglia e tocca particolarmente il mio sentimento di vecchio e fedele amico»206, disse Vincenzo Torraca, direttore dell’Eliseo, uno dei maggiori teatri romani.
Commenta un accorto giornalista come Indro Montanelli: Avesse elevato al suo posto un casamento per negozi e abitazioni, avrebbe guadagnato ad occhi chiusi cento milioni. Invece ne spese di suo trecentocinquanta per fare del San Ferdinando quel gioiello di lusso e d’eleganza ch’era ai tempi dei Borboni. Nessuno gli dette un soldo. Quando si mise all’opera, egli ignorava perfino l’esistenza di una legge che vietava allo Stato qualunque contributo per la ricostruzione di “locali di divertimento”, quali, nel nostro ameno Paese sono considerati i teatri. Il dissennato andò avanti da solo, tirando fuori di tasca palanca su palanca, cocciuto e irriducibile come certi personaggi delle sue commedie207.
204 Eduardo DE FILIPPO, Lettera al ministro dello spettacolo, in appendice a Luigi BERGONZINI, Federico ZARDI, Teatro anno zero, Firenze, Parenti, 1961.
205 Maurizio GIAMMUSSO, Vita di Eduardo cit., pp. 222­224.
206 Vincenzo Torraca, lettera a Eduardo, 25 novembre 1949, Archivio De Filippo (cit. in Maurizio GIAMMUSSO, Vita di Eduardo cit., p. 222).
207 Indro MONTANELLI, Eduardo, «Corriere della Sera», 11 giugno 1959.
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I cento milioni cui si riferisce Montanelli sono probabilmente quelli che appena due anni dopo l’acquisto gli offrirono alcuni costruttori208 per lasciare quell’area alla speculazione edilizia. Nello stesso articolo Montanelli riporta le parole di Eduardo: «Mi ridai i trecentocinquanta milioni? E io non li voglio… Me ne dai settecento? E io non li voglio… Io voglio ’u San Ferdinando, ce l’ho, e me lo tengo…»209. Infatti Eduardo rifiutò, e continuò quella sua impresa a dispetto della convenienza, delle spese al di sopra delle stime iniziali, a dispetto di quelle autorità napoletane che non seppero dare lustro alla Napoli culturale come invece fece l’attore210. Era per i napoletani che Eduardo, da solo, si assunse l’onere di ricostruire quel pezzo di storia napoletana211.
Soltanto l’amore di un teatrante come Eduardo poteva avviare un restauro come quello necessario a riportare il San Ferdinando al suo antico 208 Secondo Fiorenza Di Franco (Eduardo da scugnizzo a senatore cit., p. 67) i milioni offerti a Eduardo sarebbero stati ottanta.
209 Indro MONTANELLI, Eduardo, «Corriere della Sera», 11 giugno 1959.
210 Rifiutando la laurea honoris causa nel 1977 Eduardo disse «La laurea, a Napoli, me l’ha data il popolo»; poi mostrando una lettera aggiunse: «È dell’università di Birmingham, tra un mese mi daranno la laurea, poi faremo un pellegrinaggio sulla tomba di Shakespeare. A Napoli dove potrei andare? Forse sulla tomba di Petito, del grande Petito; ma lo sapete com’è ridotta la sua tomba al cimitero di Poggioreale? “Nu fuosso nterra cu na lastra e marmo ritta e ce chiove rinto...” No, con le carte di Napoli non ci voglio avere a che fare».
211 Il teatro San Ferdinando era stato costruito più di centocinquanta anni prima, nel 1791, per volere di Ferdinando I. Il monarca, soprannominato dai napoletani “re nasone”, fece costruire quel teatro per Carolina, sua moglie, la quale trasferitasi alla reggia di Capodimonte per motivi di salute, trovava scomodo recarsi fino al Real Teatro di San Carlo. Inaugurato nel 1797 con un’opera di Cimarosa, ebbe una vita lunga e travagliata, tra Borboni, Repubblica Partenopea, Borboni della Restaurazione, francesi di Murat e Borboni di Franceschiello. Con l’avvicendarsi delle varie epoche anche la zona del San Ferdinando; da che era luogo ameno tra residenze patrizie, cominciò a diventare quartiere popolare. Nel 1880 era diventato il teatro dei drammi passionali di Federico Stella, nei quali tanto si incantava il popolo minuto. Dopo la morte di Stella, il teatro andò in declino, la sala fu adibita a cinematografo, il bello stile settecentesco fu ricoperto dal degrado e, alla fine, le bombe coprirono tutto.
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splendore. Per sostenere le spese della ricostruzione, tra il 1950 e il 1952 si ritira dalle scene e si dedica esclusivamente al cinema, dapprima come attore e sceneggiatore, poi come regista. Realizza solo in quel biennio sette film, tra i quali le versioni cinematografiche di Napoli milionaria!212 e Filumena Marturano. Il teatro San Ferdinando fu vivo e attivo motore della ripresa culturale napoletana. Eduardo vi fondò la compagnia “La Scarpettiana” che diresse, a volte recitandovi, per riproporre il repertorio di Scarpetta e di altri autori, di scuola napoletana e non. Da questa compagnia emersero attori del calibro di Pupella Maggio, Franco Sportelli e Ugo d’Alessio.
Ciononostante dal 1961 al 1964 il teatro restò chiuso. Nel ’64 affiancato da Paolo Grassi ne operò il rilancio ‘gemellandolo’ col Piccolo Teatro di Milano. Ma il disinteresse e persino l’ostracismo dell’amministrazione napoletana portarono Eduardo, sfiduciato, a cedere il San Ferdinando in gestione all’Ente Teatrale Italiano, nel ’71. Nel 1974 pensò addirittura di metterlo in vendita, dovendo sistemare delle vertenze con il fisco. «Dalle reazioni del “palazzo”, della stampa e di alcuni napoletani» ebbe a dire Isabella Quarantotti, «si sarebbe detto che avesse intenzione di vendere qualcosa che non gli apparteneva... Quando aveva voluto costruirlo, il San Ferdinando non era edificio di pubblica utilità, ora che lo voleva vendere, improvvisamente il teatro era diventato un bene su cui tutti potevano vantare diritti, tranne il proprietario»213. Ma risolta la situazione economica decise di non venderlo, rinnovò la gestione con l’ETI e tornò a recitarvi egli stesso.
212 Uscito nelle sale italiane a settembre del 1951, il film viene accolto da un grande successo di pubblico e di critica, ma sui giornali si accusa Eduardo di diffamare Napoli. Dalle pagine de «L’Unità» (da un articolo di Augusto PANCALDI, il 10 ottobre 1950) Eduardo risponde: «[...] cosa deve fare l’artista se non “denunciare” uno stato di cose? Questo è il nostro compito. [...] La miseria c’è veramente. Ed io la denuncio».
213 Isabella QUARANTOTTI, Eduardo. Pensieri cit., p. 78.
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3.4 Eduardo in televisione214 e alla radio
In un articolo del 7 marzo 1979, sul «Roma», Romolo Valli raccontò una vicenda cui aveva assistito durante un pranzo di lavoro a casa di Eduardo, e che entrò a far parte della ricca aneddotica eduardiana. Rispondendo al telefono, Eduardo chiese chi fosse all’altro capo e si sentì rispondere: «Qui è la televisione». Domandò una seconda volta «chi è?». «La televisione», si sentì nuovamente rispondere. A questo punto rispose brusco «E io so’ ’o frigorifero»215.
In realtà Eduardo fu tra i primi uomini di teatro ad avvalersi del mezzo televisivo. Le riprese in diretta tra il 1955 e il 1956 sono tre, tutte dal teatro Odeon di Milano: nel 1955 viene trasmessa Miseria e nobiltà, di Eduardo Scarpetta, il 13 gennaio 1956 Non ti pago! e il 3 febbraio Questi fantasmi! Nel 1959 la RAI presenta dal Teatro Valle di Roma Tre calzoni fortunati (libero adattamento da Tre cazune furtunate di Scarpetta), il 23 gennaio; il 17 aprile dal Teatro Odeon di Milano viene trasmessa La fortuna con l’effe maiuscola (di Eduardo e Armando Curcio); l’11 maggio dal Teatro San Ferdinando di Napoli si riprende la commedia di Scarpetta Il medico dei pazzi (’O mmiedeco d’ ’e pazze).
Nel 1956 registra per la RAI sei telefilm tratti dagli atti unici: Il dono di Natale, Quei figuri di tanti anni fa (già Quei figuri di trent’anni fa), I morti non fanno paura (già Requie a l’anema soja), San Carlino 1900... e tanti (già Pericolosamente), Amicizia, La chiave di casa (già ’O chiavino, di Carlo Mauro). La regia televisiva è di Vieri Bigazzi.
Nel 1961 Eduardo registra per la RAI un primo ciclo di otto sue 214 Per approfondimenti cfr. Antonella OTTAI, L’arte del teatro in televisione cit.
215 Romolo VALLI, «Roma», 7 marzo 1979.
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commedie, che saranno trasmesse l’anno successivo: Sik­Sik, l’artefice magico, Ditegli sempre di sì, Natale in casa Cupiello, Napoli milionaria!, Questi fantasmi!, Filumena Marturano, Le voci di dentro e Sabato, domenica e lunedì. Visto il successo la televisione stipula con Eduardo un contratto per un nuovo ciclo, in onda nel 1964. Le commedie proposte sono: Chi è più felice di me?, L’abito nuovo, Non ti pago!, La grande magia, La paura numero uno, Bene mio e core mio, Mia famiglia, Il sindaco del rione Sanità. Stavolta Eduardo impiega anche attori non napoletani come Valeria Moriconi, Giancarlo Sbragia, Anna Miserocchi.
Nel 1963 va in onda lo sceneggiato in sei puntate Peppino Girella, scritto da Eduardo e Isabella Quarantotti e tratto dalla novella Lo schiaffo di quest’ultima. Eduardo vi interpreta la parte del padre disoccupato mortificato dalla fortuna lavorativa del figlio Peppino, che trova lavoro e porta i soldi a casa al posto suo.
Nel 1975 Eduardo registra per la RAI un ciclo di quattro commedie di Eduardo Scarpetta: Lu curaggio de nu pumpiere napulitano, Li nepute de lu sinneco, ’Na Santarella, ’O tuono ’e marzo.
Tra il 1975 e il 1976 va in onda un terzo ciclo di commedie di Eduardo: Uomo e galantuomo, De Pretore Vincenzo, Gli esami non finiscono mai, L’arte della commedia. Il quarto e ultimo ciclo viene trasmesso tra il 1977 e il 1981. Le commedie proposte sono: Natale in casa Cupiello (1977), Il cilindro, Gennareniello, Quei figuri di tanti anni fa, Le voci di dentro (1978), Il sindaco del rione Sanità (1979), Il contratto e Il berretto a sonagli, di Pirandello (1981).
Anche per la radio Eduardo ha registrato molto: Filumena Marturano e Le voci di dentro vengono trasmesse nel 1951; nel 1959 vanno in onda le versioni radiofoniche degli atti unici di Eduardo Occhiali neri, Quinto 114
piano ti saluto!, L’ultimo bottone e delle commedie La fortuna con l’effe maiuscola e Natale in casa Cupiello; il 2 gennaio 1960 va in onda il radiodramma Dolore sotto chiave e il 3 giugno 1961 la versione radiofonica di Sabato, domenica e lunedì.
3.5 Dalla prosa alla lirica
Oltre alla prosa, al cinema, alla radio e alla televisione, Eduardo si è dedicato anche al teatro operistico. Il 29 maggio 1959 debutta alla Piccola Scala di Milano la sua prima regia lirica: La pietra di paragone, di Gioacchino Rossini216. L’anno successivo, il 1960, Eduardo porta in scena nello stesso teatro un’altra opera di Rossini: Il barbiere di Siviglia.
Nel 1963 scrive la commedia musicale Tommaso d’Amalfi, rappresentata l’8 ottobre al Teatro Sistina di Roma dalla Compagnia di Domenico Modugno. Lo stesso anno, in occasione del Festival di Edimburgo mette in scena l’opera lirica Don Pasquale, di Gaetano Donizetti, che sarà ripreso l’anno successivo al Teatro San Carlo di Napoli. Nel 1964 a Firenze, nell’ambito del Maggio Musicale Fiorentino cura la regia lirica de Il naso di Sciostakovič. Fra gli spettatori vi sono Piscator e René Clair, che chiedono di conoscere il regista.
L’8 gennaio 1965 presso il Teatro dell’Opera di Roma debutta con l’opera lirica Il barbiere di Siviglia. Ivi, l’anno seguente, porta Il Rigoletto di Verdi, mentre al Teatro San Carlo di Napoli nel medesimo 1966 presenta La Cenerentola di Gioacchino Rossini.
Cinque anni più tardi, il 12 giugno 1970, Eduardo porta al Teatro La 216 Trasmessa dalla RAI il 1° giugno 1959.
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Pergola di Firenze Falstaff di Giuseppe Verdi. Nel 1977 metterà in scena l’opera lirica Napoli milionaria!, musicata da Nino Rota217.
La sua ultima regia lirica sarà una nuova edizione de La pietra del paragone, nel 1984218.
3.6 Eduardo all’estero219
Con Lucio Ridenti Eduardo progetta una tournée in Argentina già nel 1949, ma il progetto sfuma. In compenso molte delle sue commedie iniziano ad essere tradotte: nello stesso anno Filumena Marturano in nove lingue.
Nell’autunno del 1952 al Théâtre de la Renaissance di Parigi va in scena Madame Filoumè, traduzione di Filumena Marturano, con Valentine Tessier. Le rappresentazioni all’estero proseguono negli anni successivi, dalla Spagna al Protogallo, dalla Grecia alla Jugoslavia, dall’Olanda alla Germania, dall’America Latina all’URSS.
Il 7 giugno 1955, invitato a partecipare al Festival Internazionale d’Arte Drammatica, debutta a Parigi con Questi fantasmi!, con straordinario successo.
Nello stesso 1956 riprendono le trattative per la messinscena americana di Filumena Marturano, trattative che si protraggono dal 1950. Il regista è Otto Preminger, la riduzione del testo è di Hugh Herbert. La commedia va in scena in autunno col titolo The Vintage Years al Lyceum Theatre di New York, registrando un completo insuccesso. Anche a Parigi la messinscena 217 Trasmessa dalla RAI il 22 giugno 1977.
218 Trasmessa dalla RAI il 24 agosto 1984.
219 Per un elenco delle rappresentazioni delle commedie di Eduardo all’estero dal 1985 al 2000 cfr. AA.VV., Eduardo 19002000 cent’anni, Napoli, Associazione Voluptaria, 2000, p. 47.
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di Sacrées Fantômes (Questi fantasmi) al prestigioso teatro Vieux Colombier il 2 marzo 1957, con la regia di Eduardo e con attori del calibro di Henry Guisol e Rosy Varte, non riceve una buona accoglienza. Nell’estate del 1959 Eduardo visita l’Unione Sovietica, dove le sue commedie, rappresentate e pubblicate da anni, sono molto apprezzate. Vi porterà la sua compagnia tre anni dopo, nel 1962, in una tournée che attraversa Ungheria, Polonia, URSS, Austria e Belgio. Le commedie, accolte da grande successo, sono le sue opere più celebri: Filumena Marturano, Napoli milionaria!, Questi fantasmi!, Il sindaco del rione Sanità, oltre a Il berretto a sonagli di Pirandello.
Nel maggio del 1972 Eduardo rappresenta all’Aldwich di Londra Napoli milionaria!, in occasione del World Theatre Season, con clamoroso successo; assistono alla rappresentazione Vanessa Redgrave, John Dexter, Laurence Olivier e Joan Plowright. È l’inizio del successo di Eduardo davanti al pubblico londinese.
Il 25 ottobre 1973 debutta a Londra, al National Theatre, Sabato, domenica e lunedì (Saturday, Sunday, Monday), diretto da Franco Zeffirelli con Joan Plowright, Frank Finlay e Laurence Olivier. Unanime il consenso di pubblico e critica. Lo spettacolo, vincitore del premio “Evening Standard Drama Award”, resterà in scena anche la stagione successiva in una sala del West End. Nel 1974 Zeffirelli porta la messa in scena oltreoceano, a New York, ottenendo un clamoroso insuccesso: ne segue un’accesa polemica sui giornali fra l’autore e il regista, accusato di non aver dedicato alla preparazione dello spettacolo più di due settimane. Nel 1977 Joan Plowright interpreta Filumena Marturano, diretta ancora una volta da Franco Zeffirelli, nonostante il dissenso di Eduardo. Lo spettacolo, rappresentato il 7 ottobre 1977, è un vero trionfo. A fine luglio la commedia viene ripresa al Lyric Theatre di Londra, con Frank Finlay 117
protagonista al posto di Colin Blakely.
Il 18 settembre 1979 Eduardo parte per la Danimarca, per assistere a Copenaghen alla prima di Filumena Marturano, in scena il 21 al Teatro Reale. Nello stesso anno a Broadway debutta la ripresa della Filumena Marturano di Zeffirelli, il 20 dicembre, con scarso successo.
Fred Berndt, un giovane regista tedesco, rappresenterà L’arte della commedia alla Schaubuhne di Berlino, il teatro diretto da Peter Stein.
Nel 1983 Ralph Richardson porta al National Theatre di Londra Le voci di dentro e Jean Mercure darà a Parigi L’arte della commedia.
3.7 Luca
Luca seguirà le orme paterne, sebbene Eduardo abbia fatto di tutto per trattarlo come gli altri; a questo fine il suo debutto nella compagnia del padre, nel 1967, avvenne con lo pseudonimo di Luca Della Porta. Ma quando una sera a Napoli dalla platea gli chiesero di “presentare” suo figlio, Eduardo rispose: «Non umilierei mai mio figlio con una presentazione come si fa di solito. Quando sarà in grado di farlo si presenterà da sé»220. Ma il vero esordio di Luca avvenne quando era bambino, la sera del 30 dicembre 1955 all’Odeon di Milano, per la rappresentazione teatrale, ripresa dalla televisione, di Miseria e nobiltà, il testo con il quale Eduardo Scarpetta faceva debuttare i bambini della sua famiglia, nella parte di Peppiniello. Presentandolo al pubblico Eduardo disse: 220 Carlo Maria PANSA, Eduardo 80: e adesso punto e da capo, «Epoca», 10 maggio 1980.
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Dunque Luca stasera farà Peppiniello in Miseria e nobiltà [...]. È preparato ma non è un ragazzo prodigio, no. È un ragazzo come tutti quanti gli altri, però ha vissuto vicino al suo papà, dietro le quinte; ha vissuto accanto a me quando scrivo le commedie, lui mi fa compagnia... è stato veramente un dono che ho avuto dal Signore perché veramente è un mio carissimo amico questo qua221.
Già avanti negli anni (ne aveva quarantanove quando nacque Luca) Eduardo dovette essere un padre maturo se si tiene conto di quanto disse nel 1977, a proposito del momento in cui «i bambini, ormai ragazzi, stanno per diventare “grandi”, e quindi il rapporto padre­figli cambia. Non che li si ami di meno anzi. Ma alcune componenti dell’amore si attenuano, mentre altre avanzano in primo piano. Si diventa meno protettivi, più rispettosi della personalità dei figli. Più amici, insomma. E si capisce che le loro esperienze dovranno farsele da sé, anche se ciò costerà dolore a loro ed a noi»222.
Dal 1974 Luca reciterà col proprio cognome, e sette anni più tardi, il 15 gennaio 1981, debutta a Firenze la nuova «Compagnia di Teatro di Luca De Filippo».
In occasione del premio “Una Vita per il Teatro” conferitogli al festival di Taormina, il 15 settembre 1984 Eduardo parlò proprio di Luca, della gavetta che dovette affrontare nella compagnia del padre: [...] Sono cresciuti i figli e non me ne sono accorto... Meno male che mio figlio è cresciuto bene. Questo è il dono più grosso e importante che io ho avuto dalla natura. Senza 221 Eduardo DE FILIPPO, registrazione televisiva in diretta dal teatro Odeon di Milano, 1955. La trascrizione è mia. 222 Eduardo DE FILIPPO, introduzione a Manzu. Album inedito, Roma, Franca May Editore, 1977.
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mio figlio forse io me ne sarei andato all’altro mondo tanti anni fa, e io debbo a lui il resto della mia vita. Lui ha contraccambiato in pieno. Scusate se faccio ora questo discorso. Non ne ho mai parlato. Si è presentato da se, è venuto dalla gavetta, sotto il gelo delle mie abitudini teatrali...223
3.8 Riconoscimenti
Nel corso della sua vita Eduardo ha ricevuto una gran quantità di riconoscimenti ufficiali, in Italia e all’estero.
Due onoreficenze le ricevette sotto la monarchia. Riporta Federico Frascani:
Eduardo, prima della guerra, ricevette da Vittorio Emanuele la commenda della Corona d’Italia. Poi venne la guerra, seguita dall’armistizio e dalla abdicazione di Vittorio Emanuele. La prima volta che Eduardo ritornò sulla scena romana, Umberto di Savoia gli consegnò un’altra commenda della Corona dal Luogotenente. «Non ebbi il coraggio di dire ad Umberto che già suo padre mi aveva fatto commendatore [...]. È inutile dire che anche la Repubblica mi ha fatto commendatore»224.
Il 28 luglio 1953 la Repubblica Francese gli conferisce la Legione d’Onore. L’onorificenza gli era stata preannunciata pochi mesi prima, il 27 ottobre 1952: «Qui ci vuole un po’ di rosso»225 avrebbe detto Ferdinand 223 Eduardo DE FILIPPO per il conferimento del premio Una Vita per il Teatro al festival del Teatro di Taormina, cit. in Isabella QUARANTOTTI, Eduardo. Pensieri cit., p. 30. 224 Federico FRASCANI, La Napoli amara di Eduardo De Filippo cit., p. 15.
225 L’aneddoto è raccontato da Eduardo stesso e riportato in Federico FRASCANI, Eduardo De Filippo 120
Roger a Eduardo, indicando l’occhiello della sua giacca durante un ricevimento offerto in suo onore dalla Società Francese degli Autori.
Il 13 luglio 1969 riceve il Premio Simoni per la fedeltà al Teatro di Prosa.
Il 5 dicembre 1971 Eduardo viene insignito dell’Ambrogino d’oro diventando cittadino onorario di Milano.
Il 18 dicembre 1972 l’Accademia dei Lincei gli conferisce il Premio Feltrinelli per il Teatro. Nella sua relazione, Giovanni Macchia sostiene:
[...] egli era venuto lentamente sciogliendo i rigidi confini della maschera dialettale per dare vita a un personaggio unico, sempre se stesso e sempre diverso, di una intensa, patetica, dolorosa comicità, vittima cosciente del tempo senza carità in cui vive: Eduardo226.
Eduardo rispose indicando la fonte della sua ispirazione: «Occhi e orecchie mie sono stati asserviti da sempre [...] a uno spirito di osservazione instancabile, ossessivo, che [...] mi porta a lasciarmi affascinare dal modo d’essere e di esprimersi dell’umanità»227.
Il 2 giugno 1973 Eduardo viene insignito come Cavaliere di Gran Croce al Merito della Repubblica Italiana. Il 25 ottobre 1973 debutta al National Theatre di Londra Saturday, Sunday, Monday (Sabato, domenica e lunedì), diretto da Franco Zeffirelli, con Joan Plowright, Laurence Olivier e Frank Finlay. Riceverà il attore, in Teatro e drammaturgia a Napoli, Napoli, F.lli Conte, 1989.
226 Giovanni MACCHIA, Relazione per il conferimento del premio internazionale Feltrinelli per il teatro, in Adunanze straordinarie per il conferimento del premio Feltrinelli, vol. I, fasc. 10, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1973, p. 209.
227 Eduardo DE FILIPPO, ricevendo il premio Feltrinelli all’Accademia dei Lincei nel dicembre 1972, ora in Il teatro e il mio lavoro, prefazione a I capolavori di Eduardo, Torino, Einaudi, 1973, p. VII.
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prestigioso Evening Standard Drama Award come miglior commedia dell’anno.
L’8 settembre 1974 l’Istituto del Dramma Italiano assegna a Eduardo un premio speciale per la sua attività teatrale.
Il 16 dicembre 1975 il Presidente della Repubblica Giovanni Leone conferisce a Eduardo il “Premio Pirandello per il Teatro”
Nel 1977, il 15 luglio, riceve dall’Università di Birmingham la laurea honoris causa in Lettere «per i suoi meriti di drammaturgo, di attore e di regista»; mentre nel 1980 la riceve dall’Università di Roma.
Il 26 settembre 1981 il Presidente della Repubblica Sandro Pertini nomina Eduardo Senatore a vita; il suo impegno come senatore, lo abbiamo detto, fu notevole, non senza l’ironia che lo contraddistingueva, come racconta Amintore Fanfani: Non sono mai riuscito a dimenticare l’ultimo colloquio ch’ebbi con Eduardo De Filippo. Parlammo della situazione generale del Paese. Ad attenuare qualche comune previsione pessimistica in materia conclusi: «Che Iddio ci aiuti». Eduardo De Filippo sentì il bisogno di aggiungere: «Ed anche noi cerchiamo di aiutarlo»228.
228 AA. VV., Omaggio a Eduardo cit., s.p.
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I.4 Ultime parole
Ci piace riportare in chiusura di questo capitolo sulla biografia di Eduardo quelle che furono le sue ultime parole, che racchiudono un’esperienza fra vita del teatro e teatro della vita229, al festival di Taormina, nel 1984:
Voi sapete che io ho la nomina (non di senatore, per carità) che sono un orso, ho un carattere spinoso, che sfuggo…sono sfuggente. Non è vero. Se io non fossi stato sfuggente, se non fossi stato un orso, se non fossi stato uno che si mette da parte, non avrei potuto scrivere cinquantacinque commedie.
Insisto col dire: Il Teatro, se lo si vuol fare seriamente, è altruistico non egoistico; l’altruismo ritorna, l’egoismo…ti manda
all’altro
mondo.
Questo l’ho fatto perché così è la mia vita, così come sono nato, così come mi hanno insegnato i maestri di un tempo.
Perché sono venuto qui stasera? Eh beh, certo me ne sarei stato a casa, come ho fatto sempre, a scribacchiare qualche ultimo pensiero, qualche ultima follia. Ma ho detto: no. Io ci devo andare perché è la festa dell’arte, è la festa degli attori, e finalmente li voglio guardare in faccia, tutti quanti. Voglio, voglio vedere anch’io il teatro dalla platea, voglio anch’io vedere il teatro che cammina, voglio vedere il teatro che non si arrende, che va avanti con i giovani, con gli anziani, con i vecchi come me, che va avanti. Ecco perché sono tra voi stasera. Per vedere questa serata di 229 Ancora meglio esprime questa commistione il titolo del volume di Anna BARSOTTI, Eduardo drammaturgo: fra mondo del teatro e teatro del mondo, Roma, Bulzoni, 1988.
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festa.
Fare teatro sul serio significa sacrificare una vita. Sono cresciuti i figli e non me ne sono accorto... Meno male che mio figlio è cresciuto bene. Questo è il dono più grosso e importante che io ho avuto dalla natura. Senza mio figlio forse io me ne sarei andato all’altro mondo tanti anni fa, e io debbo a lui il resto della mia vita. Lui ha contraccambiato in pieno. Scusate se faccio ora questo discorso. Non ne ho mai parlato. Si è presentato da sé, è venuto dalla gavetta, sotto il gelo delle mie abitudini teatrali... quando sono in palcoscenico a provare... quando ero in palcoscenico a recitare... È stata tutta una vita di sacrifici. E di gelo: così si fa il teatro. Così ho fatto. Ma il cuore ha tremato sempre, tutte le sere, tutte le prime rappresentazioni. E l’ho pagato. Anche stasera batte. E continuerà a battere, anche quando si sarà fermato230.
230 Eduardo DE FILIPPO per il conferimento del premio “Una Vita per il Teatro” al Teatro Antico di Taormina, 15 settembre 1984, cit. in Isabella QUARANTOTTI, Eduardo polemiche cit., p. 30.
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