Napoli Milionaria - Arte della Commedia

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NAPOLI MILIONARIA: UN PO’ DI STORIA
Quando Eduardo iniziò a scrivere “Napoli Milionaria”, all’inizio del 1945, la città era uscita, da poco
più di un anno, dall’ incubo dei bombardamenti: vi erano macerie materiali e morali, fame, miseria,
disperazione, disordine.
La guerra aveva impoverito la piccola borghesia a reddito fisso, ma aveva stremato le classi
popolari, che poco o nulla avevano da mangiare. Nello stesso tempo, le ristrettezze imposte dal
conflitto avevano creato le condizioni per illeciti arricchimenti di alcune famiglie, anche del popolo
minuto, che, con spregiudicatezza e cinismo, erano uscite da una condizione di indigenza, lucrando
sulle disgrazie altrui.
L’occupazione alleata, che avrebbe dovuto avviare una nuova vita civile e politica, era portatrice,
purtroppo, anche di corruzione e degenerazione dei costumi.
Di quegli anni napoletani, turbolenti e confusi, tanto pieni di speranze quanto di umane miserie,
costituiscono oggi preziosa testimonianza alcune note canzoni, tra le quali vanno senz’altro ricordate
“Munasterio ‘e Santa Chiara”di Galdieri e Barberis , e “Tammurriata Nera” di Eduardo Nicolardi e E.
A. Mario.
Intanto, a Napoli e nel Mezzogiorno, riprendeva timidamente la lotta politica, intorno ad eminenti
personalità culturali e politiche del prefascismo (Benedetto Croce, Enrico de Nicola, Arturo Labriola, il
meno anziano Adolfo Omodeo) ed agli esponenti dei rinascenti partiti democratici: Eugenio
Reale,Mario Palermo, Gennaro Fermariello e tanti altri.
L’ Italia era ancora divisa in due: in tutte le grandi città del Nord si attendeva l’ imminente
liberazione dai nazisti, e si vivevano giorni di angoscia e trepidazione.
Nel giugno del 1944, subito dopo la liberazione di Roma, i fratelli De Filippo si erano trasferiti dalla
Capitale a Napoli,dove avrebbero portato a termine la stagione 1943-44 al Kursal, ed iniziato quella
44-45 al Diana.
Eduardo era partito da Roma con mezzi di fortuna, giungendo a Napoli su una camionetta, ospite di
un ufficiale alleato.
I tre fratelli avrebbero dovuto mettere in scena alcune delle commedie più note del loro repertorio
da “ Sik –Sik l’ artefice magico”, a “Natale in casa Cupiello, sino alla più recente “Non ti pago”;
inoltre,dopo il ciclo di recite a Napoli, si prevedeva un lungo giro per tutta l’Italia meridionale.
Ma, nel dicembre del 1944, si sarebbe conclusa, bruscamente ed irrimediabilmente, l’irripetibile
vicenda artistica e culturale del Teatro Umoristico dei De Filippo: una mattina, infatti, sul
palcoscenico del Diana, mentre provavano una commedia, Eduardo e Peppino, (Titina era assente
perché ammalata), litigarono furiosamente, rivolgendosi vicendevolmente accuse brucianti e qualche
parola grossa.
I due, da qualche tempo in dissidio per divergenti opinioni artistiche e per dissapori personali, erano
riusciti,sino a quel momento, ad evitare che i contrasti degenerassero in aperta rottura. Gli attori
presenti assistettero alla scena esterrefatti, consapevoli che quel litigio non era un banale bisticcio
provocato da uno scoppio d’ira , bensì la chiara manifestazione di una drammatica e profonda
lacerazione, umana prima che artistica e professionale.
Il Teatro Umoristico dei De Filippo, il grande sodalizio teatrale che aveva destato l’entusiasmo del
pubblico,divertito gli spettatori di tutta Italia, suscitato l’interesse del mondo culturale, ed ottenuto il
favore della critica più esigente, si scioglieva improvvisamente, lasciando un grumo di rancori,di
gelosie, di incomprensioni,che il tempo non sarebbe riuscito a cancellare.
Peppino, concluse le recite il 10 dicembre 1944, abbandonò Napoli,diretto verso la Capitale, dove,
scritturato dall’impresario napoletano Remigio Paone, lo attendeva una breve esperienza nel teatro
di rivista, in “Imputati alziamoci” accanto a Totò, al giovane Alberto Sordi, ad Anna Magnani. Poi
avrebbe continuato a recitare da solo, creando una propria compagnia di prosa, mettendo in scena
opere del teatro italiano del novecento , classici di tutti i tempi,e testi scritti da lui negli anni trenta e
successivamente.
Eduardo e Titina avrebbero continuato insieme,iniziando un nuovo percorso artistico che,nel giro di
alcuni anni,avrebbe fatto del primo, ormai privo dell’ apporto della sorella impossibilitata a recitare
per una grave malattia, una delle più rilevanti personalità del teatro contemporaneo.
L’autore di Filumena Marturano aveva preso casa, insieme con la giovane moglie americana, al
Corso Vittorio Emanuele,al numero 53 del Parco Grifeo.
Al piano superiore abitava Paolo Ricci, pittore, critico d’arte e teatrale, giornalista, amico ed
estimatore del drammaturgo napoletano.
In quei giorni Eduardo aveva a lungo girato per le strade ed i vicoli della città, aveva osservato
attentamente la gente, le sue condizioni di vita, aveva studiato comportamenti ed atteggiamenti, ed
aveva tratto, da quella realtà pulsante e drammatica, materia di feconda ispirazione.
A poco a poco, era maturata in lui la storia di Gennaro Jovine, della sua tormentata famiglia, e di
tutto il mondo di contrabbandieri, piccolo-borghesi, ladruncoli, povera gente, uomini d’ordine che
anima i tre atti di” Napoli Milionaria”.
La scrittura della commedia avvenne quasi di getto all’ inizio del 1945, la stesura fu rapida ”tutta
d’un fiato come un lungo articolo di giornale sulla guerra e sulle sue deleterie conseguenze”
(Eduardo intervista a Sergio Lori 7 maggio 1969).
La lettura del copione avvenne a casa di Titina, in Via Vittoria Colonna, dove Eduardo aveva riunito
la nuova compagnia teatrale.
Erano presenti Titina ed il marito Pietro Carloni, Dolores Palumbo, Tina Pica, Clara e Vittoria Crispo,
Ester Carloni, Giuseppe Rotondo, Clara Luciani ed altri.
Tutti gli attori, quando fu terminata la lettura collettiva, non nascosero la loro profonda emozione,
orgogliosamente consapevoli di essere partecipi di un evento artistico che sicuramente avrebbe
avuto grande importanza nella storia del teatro italiano del dopoguerra.
Il testo, di notevole pregio drammaturgico e di innegabile significato etico e civile, andava
rappresentato in un’adeguata cornice scenografica.
Ma occorreva subito reperire un teatro che fosse disponibile: le sale cittadine erano state, infatti,
requisite dalle autorità alleate per le attività ricreative delle truppe militari.
Eduardo riuscì ad ottenere, con non poca fatica, il prestigioso San Carlo, che gli fu concesso per una
sola recita pomeridiana, il cui ricavato sarebbe stato interamente devoluto in beneficenza ai bambini
poveri di Napoli.
Il 25 marzo del 1945, alle ore 16 e 30, si tenne la prima di “Napoli Milionaria”. Era il debutto di una
compagnia nuova, che affrontava nuove ed originali tematiche. Per questa ragione , il grande attore
napoletano volle che l’ esperienza alla quale stava dando vita si chiamasse “Il Teatro di Eduardo con
Titina de Filippo”, per sottolineare la cesura con il passato.
Eduardo ricordò, in un’intervista concessa ad Enzo Biagi, il 5 aprile del 1959, che la curiosità per la
sua nuova commedia - di cui era autore, interprete e regista - era assai viva in tutta la città: il
pubblico ,infatti, accorse numeroso, ed i professori dell’ orchestra del San Carlo , per assistere allo
spettacolo, furono costretti ad infilarsi nel golfo mistico.
Appena il sipario si alzò, iniziarono a muoversi, su un palcoscenico ridotto a metà per favorire la
concentrazione e l’ acustica, Gennaro Jovine, sua moglie Amalia, i loro figli Amedeo, Maria Rosaria,
Rituccia (la bambina che in scena non appare mai, ma che è sempre presente nei dialoghi degli
adulti), Errico Settebellizze (l’ abile contrabbandiere innamorato di Amalia, della quale è socio in
affari), Peppe o’ cricco (ladro di automobili, che induce il giovane Amedeo ad affiancarlo nelle sue
imprese criminose), il ragioniere Spasiano (un piccolo borghese che,per procurarsi generi alimentari
alla borsa nera,diventa vittima dei ricatti di Amalia), il brigadiere Ciappa, (un poliziotto che mostra
comprensione per la povera gente costretta a ricorrere ai più ingegnosi espedienti) e tanti
personaggi minori.
L’azione,come è noto, si svolge interamente a Napoli: il primo atto durante il secondo anno di
guerra, in una città stremata dalla fame e distrutta dai bombardamenti; i due successivi, dopo lo
sbarco degli alleati. Gennaro Jovine, uomo onesto e ricco di saggezza popolare, poco ascoltato in
famiglia perché ritenuto debole ed inetto, assiste, con amara ma impotente disapprovazione, ai
piccoli traffici di borsa nera organizzati, dall’intraprendente moglie Amalia, convinta, dalla durezza
dei tempi, che il contrabbando sia l’unica possibilità di sopravvivenza materiale per la famiglia,ma
anche una possibile fonte di arricchimento.
Questa convinzione della donna spinge Gennaro, anche se di mala voglia, a fingersi morto quando la
polizia irrompe per perquisire la loro abitazione, nella speranza che la visione del finto cadavere
adagiato sul letto matrimoniale, sotto il quale è nascosta la merce, possa far desistere gli agenti
dalla ricerca. In quel momento suona l’ allarme che annuncia un bombardamento, Gennaro vorrebbe
fuggire, ma teme che il brigadiere Ciappa lo arresti, e continua a fingersi morto, sino a quando il
poliziotto, impietosito gli garantisce che ,se smetterà la farsa, non lo condurrà a Poggioreale.
Catturato in un rastrellamento dai tedeschi ,Gennaro ritornerà a Napoli ,dopo un lungo periodo di
prigionia trascorso nei campi di concentramento di mezza Europa. Reso ancora più saggio dalla
presa di coscienza della grande tragedia umana rappresentata dal secondo conflitto mondiale, il
povero uomo ritroverà la propria famiglia in condizioni di ostentata opulenza, ma divenuta
moralmente priva di scrupoli, intimamente devastata dalla corruzione (la moglie, incattivita
dall’attività di contrabbando e sorda ad ogni richiesta di solidarietà, è ormai pronta a cedere
all’insistente corte di Settebellizze; il figlio Amedeo, dedito a furti e ruberie, sta per essere arrestato
con i suoi complici; la figlia Maria Rosaria, resa incinta da un soldato americano, si dispera per la sua
condizione; la piccola Rita è da tempo ammalata ed ha bisogno di cure), e stenterà a riconoscere,
nei nuovi disinvolti e cinici comportamenti dei vicini di casa , la gente semplice e bonaria, con la
quale era abituato a intrattenersi nel suo basso ”lercio e affumicato”.
Smarrito e confuso di fronte a questa nuova ed inquietante realtà, ma consapevole della necessità di
una rinascita delle coscienze che accompagni la ricostruzione materiale dell’Italia, Gennaro si rivolge
alla moglie piangente, duramente provata dalla grave malattia della piccola Rituccia (la cui salvezza
è dipesa unicamente dalla generosità del ragioniere Spasiano,che consegna a donna Amalia, senza
nulla pretendere in cambio, la medicina, di cui egli è in possesso, necessaria per la guarigione della
bambina), rivolgendole la famosa battuta ”Ha da passa’ a’ nuttata”.
Quando, dopo aver pronunziato queste semplici ma accorate parole, si abbassò il sipario “ci fu un
silenzio per otto, dieci secondi, poi scoppiò un applauso furioso ed anche un pianto irrefrenabile, tutti
avevano in mano un fazzoletto, gli orchestrali del golfo mistico che si erano alzati in piedi, i
macchinisti che avevano invaso la scena”. (Eduardo intervista ad Enzo Biagi, 5 aprile 1959). Raffaele
Viviani, che aveva assistito alla rappresentazione, si diresse commosso verso l’ autore e lo
abbracciò, dicendogli:”Edua’, è bell’ assaie”.
Da quel momento Eduardo, pochi mesi dopo la drammatica rottura con il fratello Peppino, dava
inizio a quella straordinaria esperienza artistica e culturale che sarebbe stata la “Cantata dei giorni
dispari”, alla quale appartengono opere indimenticabili: “Filumena Maturano”, Le voci di dentro”,
”Questi fantasmi”, ”Le bugie con le gambe lunghe”, “Bene mio,core mio”, ”La paura numero uno”,
”De Pretore Vincenzo”, ”Il contratto”, ”Gli esami non finiscono mai”.“Napoli Milionaria” sarebbe stata
di nuovo rappresentata, dopo il trionfale esordio napoletano, il 31 marzo 1945, a Roma, al Salone
Margherita e,poi, da allora, sarebbe stata replicata innumerevoli volte,in Italia ed all’ estero,dallo
stesso Eduardo, e, negli anni novanta, riproposta da Carlo Giuffrè.
Eduardo, nel 1950, ne avrebbe curato una versione cinematografica, dilatando i tempi dell’azione dal 1942 alla fine
degli anni quaranta, con molti riferimenti alla realtà sociale della neonata Repubblica, ed inserendo il nuovo
personaggio di Pasquale Miele,interpretato da Totò. La commedia ebbe, inoltre, una bella edizione televisiva,
trasmessa
il 22 gennaio 1962, e poi
più volte riproposta ai telespettatori, con Regina Bianchi, Antonio
Casagrande, Pietro Carloni, Elena Tilena ed Ugo d’ Alessio.
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