Allenatri Vol.2 No.2 A cura di: Mario Miglio, Responsabile Didattico SIT Fitri Costantino Bertucelli, Responsabile Centro Studi e Ricerche Fitri Roberto Tamburri, Direttore Tecnico Fitri Claudia Umbro, Responsabile Organizzativo SIT Fitri In questo numero: Prof. Di Russo Francesco – “ I Disturbi dell’alimentazione, I Disturbi dell’alimentazione nello sport di alto livello, loro individuazione e trattamento ” Paolo Scalabrini – “ Il modello fisiologico del triathleta moderno- frazione podistica “ MARZO 2007 1 Allenatri Vol.2 No.2 I DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE Definizione e classificazione dei disturbi dell'alimentazione. Conoscere e riconoscere i disturbi dell'alimentazione e le possibili cause sottostanti. Di Francesco Di Russo Docente presso lo IUSM di Roma – Cattedra Psicologia Introduzione Il DSM IV considera come facente parte del quadro diagnostico dei disturbi alimentari due categorie di malattia caratterizzate da alterazioni del comportamento alimentare: anoressia nervosa e bulimia nervosa. Caratteristico dell'anoressia nervosa è il rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra del peso minimo ideale; la bulimia nervosa è invece caratterizzata da ricorrenti episodi di abbuffate seguite dall'adozione di mezzi inadeguati per controllare il peso (vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici o altri farmaci), il digiuno o l'attività fisica praticata in maniera eccessiva. Tipico di entrambi i disturbi è la presenza di un'alterata percezione del peso e della propria immagine corporea. I disturbi dell'alimentazione sono tra le patologie psichiatriche che, negli ultimi anni, hanno ricevuto maggiore attenzione da parte dei ricercatori che operano in campo della salute. Mentre un tempo esse erano diagnosticate piuttosto raramente, l'anoressia e la bulimia sono oggi comunemente diagnosticate e sono divenute nei paesi occidentali un'importante problema di salute pubblica. Entrambi i disturbi seguono un decorso cronico con frequenti ricadute e conducono spesso a complicanze di ordine medico portando a volte fino alla morte. La portata di questo problema di salute pubblica è sottolineato dal tasso di incidenza tra 1% e 2% dell'anoressia e della bulimia nervosa tra le adolescenti e le giovani donne, la popolazione a maggior rischio per lo sviluppo di tali disturbi. E' dimostrato che negli ultimi decenni il tasso di incidenza dell'anoressia nervosa tra le ragazze di età compresa tra i 15 e i 24 anni è in continuo aumento; mentre sia bulimia che anoressia rimangono rari tra i ragazzi. Data l'importanza del rapporto mente-corpo, i disturbi dell'alimentazione rappresentano un modello interessante dell'interazione tra fattori genetici, psicologici e socioculturali e, per quanto non si possa ancora affermare che l'eziologia sia nota, esistono oggi dati significativi sui fattori di rischio e di mantenimento del disturbo. La genetica, gli aspetti biologici e neuroendocrini dei disturbi dell'alimentazione sono ancora poco conosciuti; gli studi sulla familiarità psichiatrica e gli studi sui gemelli sembrano indicare una vulnerabilità su base genetica, che probabilmente interagisce con altri fattori di tipo psicologico, socio-culturale e familiare nel determinare l'insorgenza del disturbo secondo un modello di tipo multifattoriale. L'ipotesi eziologica di tipo multifattoriale può ben essere integrata all'interno di una teoria che concettualizza i disturbi dell'alimentazione come disturbi dell'autoregolazione, la cui caratteristica principale è una menomazione della regolazione degli affetti. Se gli individui hanno la capacità di regolare i propri affetti, questi hanno a loro volta la capacità di regolare il pensiero e il comportamento. Le emozioni disregolate sfuggono al sistema auto-regolatore e autoorganizzatore dell'individuo e possono alterare un qualsiasi altro sistema biopsicosociale. Taylor formula il concetto di alessitimia come un costrutto di personalità che riflette un disturbo importante nella regolazione degli affetti, costituendo un fattore di rischio rilevante per il prodursi di malattie psicologiche e somatiche. L'alessitimia è un disturbo dell'elaborazione degli affetti che interrompe o interferisce con i processi di auto-organizzazione e riorganizzazione dell'organismo, i quali fanno parte di una sconosciuta terza area di coinvolgimento, posta tra la fisiologia del corpo e i processi cerebrali della mente. Gli affetti sono un interfaccia tra corpo e mente, e contemporaneamente li comprendono olisticamente entrambi. L'alessitimia non è solo un disturbo della 2 Allenatri personalità ma anche un deficit secondario a un trauma e una conseguenza dei fallimenti dell'attaccamento e delle relazioni primarie, inoltre la regolazione degli affetti gioca un ruolo decisivo nello sviluppo cerebrale del bambino. Le prime autrici che si sono occupate a fondo dei disturbi dell'alimentazione e che sono giunte contemporaneamente a conclusioni cliniche e terapeutiche simili sono H. Bruch e M. Selvini Palazzoli; il problema centrale secondo loro riguarda un difettoso senso del sé, coinvolgendo un'ampia gamma di deficit dello sviluppo concettuale, dell'immagine e della consapevolezza del corpo e dell'individuazione. Le idee della Bruch e della Selvini Palazzoli sono in accordo con le scoperte della moderna psicologia evolutiva sottolineando il ruolo fondamentale delle interazioni dinamiche tra il bambino e i suoi caregivers primari nello sviluppo della personalità e nell'organizzazione delle strutture neurofisiologiche. Il disturbo regolatorio primario è una menomazione della capacità di elaborare e regolare cognitivamente le emozioni; questa menomazione può riflettere un deficit costituzionale o essere acquisita attraverso l'esperienza di un legame affettivo difettoso in un ambiente di crescita inadeguato. Al fine di compensare il sottostante disturbo della regolazione affettiva i pazienti con disturbo dell'alimentazione sviluppano secondariamente dei comportamenti alimentari patologici; anche altri comportamenti impulsivi non legati al cibo ma spesso associati ai disturbi del comportamento alimentare (abuso di sostanze, promiscuità sessuale e cleptomania) sono considerate modalità difensive per regolare gli affetti disforici. Le interviste cliniche hanno rivelato che gli schemi di comportamento impulsivo fluttuavano ed erano di solito intercambiabili, e che ogni comportamento era associato con un'analoga sensazione di perdita di controllo e le descrizioni fatte dalle pazienti facevano pensare che i comportamenti avessero funzione di ridurre o bloccare affetti sgradevoli o dolorosi. In accordo con il concetto di disturbi dell'autoregolazione degli affetti si ipotizza che l'anomalia alla base sia un'incapacità di regolare gli impulsi in modo flessibile. Impegnati in una instancabile ricerca della magrezza, le pazienti anoressiche possono perdere peso riducendo semplicemente l'assunzione di cibo o possono periodicamente abbuffarsi e poi perdere peso mettendo in atto condotte di eliminazione; anche pazienti bulimiche possono manifestare episodi di iperalimentazione, ma loro mantengono un peso corporeo nella norma pur adottando condotte di eliminazione o impegnandosi in un intensa attività fisica. Entrambe queste pazienti manifestano un vero e proprio terrore di essere grasse o di divenirlo. Vol.2 No.2 Esiste tutto uno spettro di comportamenti alimentari patologici e di disturbi della regolazione del peso, la gamma di comportamenti alimentari anormali e la varietà di altri sintomi associati ai disturbi dell'alimentazione mettono in luce i sottostanti problemi della regolazione affettiva. Grotstein sostiene che i sintomi offrono un pavimento provvisorio al di sotto di un io frammentato, o un contenitore intorno ad esso, che lo protegge dal pericolo catastrofico di disintegrarsi. Mancando di un'adeguata struttura psichica autoregolatoria, pazienti con tali disturbi sono eccessivamente influenzati da fattori esterni, quali gli ideali culturali nel determinare la propria immagine fisica consolidando la propria esperienza di sé. Si impongono un peso ideale, più o meno al di sotto del loro peso ottimale, basato sull'immagine contemporanea della cultura occidentale secondo la quale la femminilità, popolarità e successo sono associati ad un fisico esile; il fatto che l'ideale fisico maschile sia di tipo muscoloso può essere considerata una spiegazione almeno parziale della bassa incidenza dei disturbi dell'alimentazione negli uomini. Si osserva la presenza di un'alta comorbilità tra i disturbi alimentari e disturbi da uso di sostanze; solitamente i disturbi dell'alimentazione precedono lo sviluppo dell'alcoolismo ma non si esclude nemmeno la situazione opposta, l'alta comorbilità fra questi due disturbi non è sorprendente se si ipotizza l'esistenza di un difetto della regolazione degli affetti di natura simile per entrambi i casi. L'abuso di sostanze e/o i comportamenti alimentari anomali possono essere utilizzati dai pazienti nel tentativo di superare il profondo disagio causato dai deficit della capacità autoregolatoria; anche se i pazienti bulimici abusano di sostanze più spesso degli anoressici, ricercatori hanno osservato che molti dei comportamenti associati all'anoressia sono simili a quelli osservati nei disturbi da dipendenza e hanno proposto di considerare l'anoressia come una dipendenza dalla fame. I disturbi depressivi ansiosi sono comuni tra i pazienti con disturbi del comportamento alimentare. E' oggetto di discussione se l'associazione di questi sintomi con l'anoressia sia conseguenza di una relazione causale oppure solo una coincidenza; alcuni autori considerano i due disturbi alimentari come due entità distinte, altri affermano che potrebbero essere varianti di disturbi affettivi. Quest'ultima opinione è supportata: dal fatto che esiste spesso una concomitante storia di disturbi affettivi, da una riduzione delle crisi di iperalimentazione che si verifica a volte in seguito alla somministrazione di farmaci antidepressivi, da un'alta incidenza nel corso di tutta la vita di disturbi affettivi e ansiosi. Studi di follow-up confermano che i disturbi cronici del comportamento alimentare sono spesso 3 Allenatri associati con disturbi ansiosi e depressivi e che i pazienti con anoressia hanno una più alta probabilità rispetto al resto della popolazione di sviluppare una malattia depressiva maggiore, indipendentemente dal fatto che essi siano guariti o meno dal disturbo alimentare. Anche se la neurochimica dei disturbi del comportamento alimentare è poco conosciuta, i neurotrasmettitori e i neuromodulatori che regolano il comportamento alimentare forniscono un substrato neurale per la regolazione dell'ansia e dell'umore. I circuiti di feed-back dei vari sistemi neurali sono estremamente complessi, una disregolazione in uno qualsiasi di questi sistemi può influenzare il funzionamento di tutti gli altri. La natura e l'intensità dei sintomi dell'ansia e depressione associati ai disturbi del comportamento alimentare variano a seconda dei diversi sistemi neurotrasmettitoriali maggiormente coinvolti, ciò contribuisce all'eterogeneità dei disturbi dell'alimentazione. I pazienti con disturbi del comportamento alimentare possono anche subire alterazioni dell'umore dovuti alla malnutrizione o successivi alle crisi di iperalimentazione e al vomitare, questi stati dell'umore sono effetti collaterali dei comportamenti adottati dai pazienti per tamponare come possono i deficit dell'autoregolazione e della regolazione degli affetti. Tali disturbi dell'umore rappresentano una variabile che perpetua ed esaspera il disturbo della regolazione di base e che possono aggravare il disturbo alimentare, stabilendo così un circolo vizioso. Anche se molti ricercatori hanno ricondotto l'anoressia nervosa e la bulimia nervosa a relazioni di tipo patogeno tra madre e bambino, questi disturbi sono chiaramente eterogenei e si presentano con livelli di gravità differenti, il che fa supporre a diversi gradi e livelli di patologia evolutiva. Infatti alcuni autori identificano dei sottotipi sulla base delle differenti caratteristiche di personalità e dei differenti gradi di forza dell'io e livelli di relazione all'oggetto. Lo studio e l'osservazione delle famiglie di pazienti con disturbi del comportamento alimentare hanno fornito alcuni dati relativi alla patogenesi di questi disturbi, indicando di solito degli schemi di relazione quali: invischiamento (i membri della famiglia si intromettono nei pensieri e sentimenti degli altri membri); iperprotettività (una preoccupazione di tipo intrusivo riguardante il funzionamento psicologico e corporeo del bambino); assenza di risoluzione dei conflitti e coinvolgimento del bambino nei conflitti tra i genitori. Tutti questi schemi di relazione oggettuale interferiscono con la differenziazione tra sé e l'oggetto e il raggiungimento di un funzionamento autonomo. Quando la madre non interpreta correttamente i segnali affettivi del Vol.2 No.2 bambino e non si occupa dei suoi bisogni, soddisfacendo invece i propri bisogni attraverso il bambino, il futuro paziente si sente totalmente responsabile del soddisfacimento dei bisogni della madre ed è incapace di percepire il proprio corpo come appartenente a sé. Nel tentativo di raggiungere un certo grado di autonomia 'affama' il proprio corpo con l'intento di uccidere l'oggetto materno dal quale cerca di distinguersi ed emanciparsi. Si è ipotizzato che anche il paziente bulimico utilizzi il proprio corpo per risolvere i propri conflitti irrisolti riguardo l'individuazione e la separazione dall'oggetto materno, loro considerano erroneamente il corpo come l'oggetto transizionale che rappresenta la madre. Nel corso degli ultimi decenni svariati studi empirici hanno esplorato la possibile associazione tra alessitimia e disturbi del comportamento alimentare. Anche se l'alessitimia non è direttamente legata all'abbuffarsi, ai disturbi dell'immagine corporea o ad una ricerca ossessiva della magrezza, esistono prove empiriche del fatto che questo costrutto presenta molti tratti psicologici tipici dei disturbi del comportamento alimentare, in particolare la confusione enterocettiva, la difficoltà nel comunicare i sentimenti e un senso schiacciante di incapacità. Una caratteristica determinante, anche ai fini del trattamento, è la negazione della malattia (più intensa e frequente nelle pazienti anoressiche), intesa come difficoltà a riconoscere molti sintomi e comportamenti come segni di un disturbo. La restrizione alimentare, molti comportamenti di controllo e di eliminazione sono atteggiamenti fortemente egosintonici in cui la paziente è intensamente identificata, fino a scegliere 'un'identità anoressica' come status socialmente desiderabile ed ammirato. Nella maggior parte dei casi le pazienti non vivono inizialmente i propri comportamenti come una difficoltà, ma come un tentativo per risolvere i propri problemi. Per questi motivi la maggior parte delle pazienti con disturbo alimentare non chiede un trattamento; le pazienti anoressiche lo fanno solo su pressione altrui e raramente sono preoccupate per la perdita di peso, anche se questa è molto rilevante. La compenetrazione tra aspetti psichici, biologici e familiari richiede sul piano terapeutico la competenza di diverse professionalità e la necessità di interventi tecnici differenziati; per tale motivo viene privilegiato un trattamento multidisciplinare che si rivolga ai diversi aspetti della patologia. EATING DISORDERS INVENTORY (EDI) Questa misura di autovalutazione, molto usata sia nella ricerca che nella clinica, comprende tre sottoscale che valutano gli atteggiamenti e i comportamenti che riguardano il cibo, il peso e la forma fisica (desiderio di magrezza, bulimia, insoddisfazione per il proprio corpo), e cinque sottoscale che valutano dei tratti di personalità comunemente 4 Allenatri associati con anoressia nervosa e bulimia nervosa (inefficacia, perfezionismo, sfiducia interpersonale, consapevolezza enterocettiva, paura della maturità). L'EDI si è mostrato affidabile e psicometricamente solido nell'impiego con pazienti affetti da disturbi del comportamento alimentare. Le sottoscale dell'EDI Consapevolezza enterocettiva e Sfiducia interpersonale forniscono importanti informazioni per la regolazione degli affetti; questi tratti si sovrappongono con due aspetti del costrutto dell'alessitimia (difficoltà a identificare i sentimenti e a distinguerli dalle sensazioni corporee che accompagnano le emozioni e la difficoltà a comunicare i propri sentimenti agli altri). Anoressia nervosa Il termine anoressia è inappropriato perché la mancanza di appetito è poco frequente. L'anoressia nervosa è caratterizzata da una progressiva perdita di peso dovuta a una notevole riduzione dell'apporto alimentare, da una ostinata ricerca dell'esilità e della magrezza e da una patologica paura di ingrassare; allo scopo di ridurre il peso molte pazienti effettuano esercizio fisico estremo e altre mettono in atto comportamenti di eliminazione. La prevalenza dell'anoressia nervosa sembra essere di gran lunga maggiore nei paesi industrializzati, dove vi è abbondanza di cibo, ed in cui, specialmente per il sesso femminile, è enfatizzato il valore della magrezza. Gli immigrati da culture in cui la presenza del disturbo è bassa verso paesi a prevalenza maggiore, possono sviluppare l'anoressia nervosa man mano che assimilano il valore conferito alla magrezza. L'età media di insorgenza è di 17 anni, il disturbo raramente si presenta dopo i 40 anni. Spesso è presente un evento della vita stressante in collegamento con l'esordio del disturbo. L'evoluzione e gli esiti sono estremamente variabili. CRITERI DIAGNOSTICI ( DSM IV) - Rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra del peso minimo normale per età e statura (ad esempio una perdita di peso che porta a mantenere il peso corporeo al di sotto dell'85% di quello previsto; oppure, durante il periodo della crescita, incapacità di realizzare un aumento di peso, con la conseguenza che il peso corporeo resta al di sotto dell'85% di quello previsto). - Intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi anche quando si è sottopeso. - Disturbo del modo in cui il soggetto ha esperienza del proprio peso e della forma del proprio corpo; inadeguata influenza del proprio peso e della forma del proprio corpo sulla valutazione di sé stessi (autostima) o negazione della gravità del proprio sottopeso. SOTTOTIPI Per evitare la confusione passata dove le anoressiche con crisi bulimiche avevano Vol.2 No.2 la doppia diagnosi di anoressia nervosa e bulimia nervosa, il DSM IV ha distinto due sottogruppi diagnostici: - Sottotipo con restrizioni (la diminuzione di peso è ottenuta solo con la riduzione dell'apporto alimentare ed, eventualmente, con iperattività fisica; ha prognosi più favorevole; è caratterizzato da un atteggiamento ipercompiacente, ostinato, perfezionista e dalla presenza di sintomi ossessivo-compulsivi). Sottotipo con abbuffate/condotte di eliminazione (si presentano, indipendentemente o in associazione, crisi bulimiche, vomito autoindotto, abuso di lassativi e diuretici; caratterizzato da maggior impulsività, frequente familiarità psichiatrica in particolare quelli dello spettro depressivo e riporta più spesso una storia di tentativi di suicidio). Bulimia nervosa Mentre i primi casi di anoressia nervosa sono stati descritti nella letteratura psichiatrica dalla seconda metà dell'ottocento, la bulimia nervosa è stata descritta per la prima volta da Russell nel 1979: è caratterizzata dalla presenza di impulsi incontrollabili a mangiare esageratamente seguiti dagli stessi tentativi di controllare il peso messi in atto dalle anoressiche; comuni all'anoressia sono anche la ricerca della magrezza e la paura di ingrassare, con la differenza che in queste pazienti il peso resta normale. L'incidenza della bulimia nervosa sembra essere simile a quella dell'anoressia nei paesi industrializzati, scarsi sono i dati provenienti da altre culture. Ha una maggiore incidenza nel sesso femminile. La bulimia nervosa di solito esordisce nella tarda adolescenza o nella prima età adulta; le abbuffate iniziano di solito durante o dopo un periodo di restrizioni dietetiche. Il decorso può essere cronico od intermittente con fasi di remissione alternate a fasi di ricomparsa delle abbuffate. Numerosi studi hanno suggerito una maggior frequenza di bulimia nervosa, disturbi dell'umore e abuso o dipendenza da sostanze nei familiari di primo grado di soggetti con bulimia nervosa. CRITERI DIAGNOSTICI DSM IV - Ricorrenti episodi di crisi bulimiche. Una crisi bulimica è definita dalle seguenti caratteristiche: 1. Introduzione in un definito periodo di tempo (per esempio due ore), di una quantità di cibo che è decisamente maggiore di quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso periodo di tempo e nelle stesse circostanze. 2. Sensazione di perdita di controllo su quello che si mangia durante l'episodio (per esempio la sensazione di non poter smettere di mangiare o di non poter controllare cosa e quanto si mangia) Ricorrenti comportamenti compensatori inappropriati allo scopo di prevenire l'aumento di peso, come il vomito autoindotto; l'uso improprio di lassativi, diuretici, clisteri, o altri farmaci; il 5 Allenatri digiuno o l'eccessivo esercizio fisico. - Le crisi bulimiche e i comportamenti compensatori inappropriati avvengono entrambi, in media, almeno due volte alla settimana per tre mesi. - La stima di sé è eccessivamente influenzata dal peso e dalla forma del corpo. - Il disturbo non si presenta esclusivamente durante episodi di anoressia nervosa. SOTTOTIPI In base alla presenza o meno di regolari condotte di eliminazione possiamo distinguere due sottotipi: - con condotte di eliminazione (durante l'episodio bulimico il soggetto presenta regolarmente vomito autoindotto, abuso di farmaci) - senza condotte di eliminazione (durante l'episodio bulimico il soggetto presenta altri comportamenti compensatori inadeguati, come il digiuno o l'eccessivo esercizio fisico, ma non presenta regolarmente vomito autoindotto o abuso di farmaci). Le cause dei disturbi dell’alimentazione Nel campo dei disturbi dell'alimentazione sono stati studiati una miriade di potenziali fattori causali e, come altre aree della medicina, la ricerca è stata fortemente influenzata dalla moda del momento. Ad esempio, durante il 1960 e il 1970 si ipotizzò che "l'ambiente familiare" fosse cruciale per lo sviluppo dell'anoressia nervosa, mentre tra il 1980 e il 1990 l'abuso sessuale nell'infanzia fu considerato da molti come il più potente fattore causale della bulimia nervosa. Con l'avvento delle nuove biotecnologie (biologia molecolare, scansioni cerebrali) molti ricercatori stanno studiando il possibile contributo di fattori causali biologici. Nonostante la non omogeneità Vol.2 No.2 delle ricerche eseguite, la ricerca sulle cause dei disturbi dell'alimentazione ha avuto un continuo progresso e oggi conosciamo numerosi potenziali fattori di rischio per questi disturbi. I fattori di rischio si possono definire delle condizioni antecedenti al disturbo che aumentano la probabilità del suo sviluppo. I distinguono tre classi di fattori di rischio: medici 1) fattori di rischio fissi (ad esempio, razza, sesso, anno di nascita) 2) fattori di rischio variabili (ad esempio, età, peso corporeo) 3) fattori di rischio causali (ad esempio, un fattore che modifica il rischio di un esito quando è manipolato). Per quanto riguarda i disturbi dell'alimentazione si conoscono con certezza alcuni fattori di rischio fissi (ad esempio il sesso femminile) e variabili (ad esempio l'adolescenza o la prima età adulta, periodi della vita in cui in genere insorgono questi disturbi), mentre non sono ancora stati identificati con certezza i fattori di rischio causali. Nella comunità scientifica, ad ogni modo, si è sviluppato un vasto consenso nel considerare i disturbi dell'alimentazione condizioni che originano dall'interazione multipla e complessa di fattori di rischio individuali, familiari e socioculturali e che esistono fattori di rischio specifici per i disturbi dell'alimentazione (presenti solo nei disturbi dell'alimentazione) fattori di rischio generici (presenti anche in altri disturbi psichiatrici). La tabella 1 riporta l'elenco dei principali fattori di rischio potenziali per disturbi dell'alimentazione descritti in questo articolo. FATTORI DI RISCHIO INDIVIDUALI FATTORI DI RISCHIO FAMILIARI Demografici Familiarità per disturbi dell'alimentazione Sesso femminile Familiarità per altri disturbi psichiatrici Donne bianche Disturbi dell'umore Classe sociale medio-alta Disturbo ossessivo compulsivo Adolescenza Dipendenza da alcol Psicologici/psichiatrici Familiarità per obesità Disturbi dell'umore Ambiente familiare problematico Disturbi d'ansia Disturbi di personalità 6 Allenatri Vol.2 No.2 Tratti di personalità FATTORI DI RISCHIO SOCIO- Bassa valutazione di sé CULTURALI Perfezionismo Idealizzazione della magrezza Estrema ricerca del controllo Denigrazione sociale dell'obesità Intolleranza alle emozioni Influenze dei mass-media Fisici Influenza della famiglia Obesità Influenza dei coetanei Difficoltà alimentari precoci Diabete di tipo 1 Menarca precoce Anomalie attività neurotrasmettitori Comportamentali Fare diete restrittive Eventi avversi Abuso sessuale e altre esperienze traumatiche Avere dei familiari a dieta Ricevere critiche su peso, forme corporee e Comportamento alimentare Altri eventi avversi Tabella 1. Principali fattori di rischio dei disturbi dell'alimentazione 7 Allenatri Fattori di rischio individuali Fattori demografici Genere I disturbi dell'alimentazione sono molto più comuni tra le donne che tra gli uomini, anche se nel disturbo da alimentazione incontrollata la differenza tra i sessi è meno marcata. Le donne sembrano sviluppare con maggior frequenza queste patologie per svariate ragioni. Una delle principali è che sembra che stare a dieta sia molto più comune tra le donne che tra gli uomini, e limitare l'alimentazione aumenta di molto il rischio di sviluppare disturbi dell'alimentazione. Probabilmente le donne si mettono più a dieta perché la pressione sociale verso la magrezza è rivolta soprattutto a loro, e poi perché le donne sono più portate degli uomini a basare il proprio valore sull'aspetto fisico. Sembra inoltre che nella donna l'identità e la definizione di sé si basino soprattutto nella consapevolezza delle proprie caratteristiche espresse nel contesto di relazioni interpersonali importanti che, nella nostra società, sono fortemente influenzate dall'aspetto fisico e dalla magrezza. Gruppo etnico L'anoressia nervosa e la bulimia nervosa sono presenti soprattutto tra le donne bianche, mentre il disturbo da alimentazione incontrollata è presente tra le donne afroamericane e bianche allo stesso modo. Classe sociale Per quanto riguarda le pazienti, molte persone colpite da anoressia nervosa e bulimia nervosa appartengono soprattutto alla classe media e superiore. Questo, però, potrebbe significare soltanto che con più frequenza le persone appartenenti alla classe media e alta si sottopongono a un trattamento. Per quanto riguarda il disturbo da alimentazione incontrollata, la distribuzione per classe sociale deve ancora essere definita. Età I disturbi dell'alimentazione si sviluppano soprattutto nell'adolescenza o nella prima giovinezza; ciò è probabilmente legato al fatto che le donne cominciano una dieta soprattutto a quest'età. Ciò potrebbe essere a sua volta determinato da tre fattori: 1. le donne tendono più degli uomini a giudicare il proprio valore in termini di apparenza, e questo si verifica principalmente in giovane età, quando l'identità individuale non è ancora ben definita; 2. le ragazze durante la pubertà vanno incontro a profonde modificazioni fisiche, in particolare a un aumento del grasso corporeo, che le allontanano significativamente dall'ideale femminile attuale; 3. la pubertà può essere minacciante e distruttiva sia per l'individuo Vol.2 No.2 sia per il sistema familiare; essa infatti è un periodo di grande cambiamento, che non riguarda soltanto il fisico, ma anche le aspettative e i ruoli sociali. In questo periodo, le ragazze con caratteristiche psicologiche ritenute a rischio per lo sviluppo di disturbi dell'alimentazione, hanno un'alta probabilità di sviluppare un senso di perdita di controllo che pensano di poter gestire con la dieta e la perdita di peso corporeo. Quest'ultima ipotesi è stata sostenuta con forza dal prof. Crisp di Londra, il quale ha ipotizzato che per le persone anoressiche la pubertà sia un processo altamente ego-distonico e che l'anoressia nervosa, a livello di meccanismo psicopatologico, possa essere spiegata come un "disturbo fobico di esitamento", in cui l'oggetto fobico è il corpo di donna adulto. Il meccanismo di evitamento implica il mettere in atto comportamenti finalizzati a mantenere il peso corporeo a un livello prepuberale. La perdita di peso corporeo autoindotta, crea, infatti, uno stato di regressione a diversi livelli: sul piano biologico la secrezione ormonale ritorna simile a quella del periodo infantile; sul piano fisico un corpo da bambina impedisce che la ragazza sia appetibile sessualmente; su quello psicologico le modalità di pensiero, a causa del digiuno, assumono caratteri di concretezza tipici dell'infanzia. Fattori di rischio psichiatrici e psicologici Quasi tutti i clinici hanno teorizzato che prima dell'insorgenza dei disturbi dell'alimentazione sia presente una sostanziale instabilità emotiva, originata da fattori che, a seconda dei casi, agirebbero dal momento del concepimento fino all'instaurarsi della sindrome clinica. La presenza di specifiche problematiche psicologiche e psichiatriche prima dello sviluppo clinico dei disturbi dell'alimentazione, sebbene sia state clinicamente ben documentate, non è stata ancora dimostrata con certezza da rigorose ricerche scientifiche. Disturbi dell'umore Molte persone affette da anoressia nervosa e bulimia nervosa hanno una storia di disturbi dell'umore, in particolare di depressione maggiore. Alcuni studi hanno indicato che il tasso di prevalenza di depressione maggiore nei due disturbi varia dal 20% all'80%. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, la depressione sembra essere una conseguenza della perdita di peso corporeo, della dieta, delle abbuffate e del vomito: non esiste fino ad ora alcuna prova certa in grado di dimostrare che essa preceda o predisponga al disturbo. Tuttavia, i dati disponibili indicano che in un sottogruppo di pazienti la depressione precede 8 Allenatri il disturbo dell'alimentazione e persiste dopo la sua remissione. Vol.2 No.2 spesso precede la comparsa del disturbo, di difficoltà a tollerare le emozioni. Disturbi d'ansia Più della metà delle persone che hanno un disturbo dell'alimentazione riportano una presenza durante la loro vita di disturbi d'ansia. La maggior parte degli studi indica che i disturbi d'ansia precedono generalmente la comparsa del disturbo dell'alimentazione; non è però ancora stato chiarito se tale andamento temporale rifletta semplicemente il decorso naturale dei due disturbi (l'età media d'insorgenza di alcuni disturbi d'ansia è più precoce di quella dei disturbi dell'alimentazione) o il fatto che i disturbi d'ansia nell'infanzia siano un fattore di rischio per lo sviluppo di un disturbo dell'alimentazione nell'adolescenza. Recenti ricerche hanno, comunque, evidenziato alcuni fattori genetici condivisi tra bulimia nervosa, fobie e disturbo da panico. Disturbi di personalità I dati della ricerca sul ruolo dei disturbi di personalità Il disturbo di personalità rappresenta un modello di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell'individuo, è pervasivo e inflessibile, esordisce nell'adolescenza o nella prima età adulta, è stabile nel tempo, e determina disagio o menomazione. Nello sviluppo dei disturbi dell'alimentazione, si sono focalizzati soprattutto nei confronti del disturbo di personalità ossessivo-compulsivo nell'anoressia nervosa e nel disturbo borderline di personalità nella bulimia nervosa. I risultati delle ricerche effettuate sono però inconsistenti, soprattutto per quel che riguarda il disturbo borderline di personalità, mentre sembra documentata un'elevata presenza di disturbo di personalità ossessivo-compulsivo nei soggetti pre-anoressici. Tratti di personalità Gran parte delle persone che sviluppano i disturbi dell'alimentazione sono state bambine condiscendenti e coscienziose, timide e solitarie, con notevoli difficoltà a sviluppare relazioni con i coetanei. Un tratto comune che precede la comparsa del disturbo dell'alimentazione è la presenza di una necessità generale di autocontrollo, legata, ma non sempre a due caratteristiche cognitive ampiamente riconosciute in queste persone: il perfezionismo e la bassa auto-stima. Un sottogruppo di persone affette da disturbi dell'alimentazione che si abbuffa o usa comportamenti di compenso di tipo eliminativi (ad esempio il vomito autoindotto), ha una storia, che Fattori di rischio fisici Obesità Alcuni studi hanno evidenziato che l'obesità sembra essere un fattore di rischio per lo sviluppo della bulimia nervosa e del disturbo da alimentazione incontrollata. È chiaro che, in un contesto culturale come il nostro che enfatizza eccessivamente il valore della magrezza, la predisposizione all'obesità può favorire lo sviluppo di un'eccessiva preoccupazione per il peso e le forme corporee ed incoraggiare ad intraprendere una dieta. Difficoltà alimentari precoci In uno studio controllato sull'infanzia dei soggetti che in seguito sviluppavano l'anoressia nervosa, è stata riscontrata nel 47% dei casi la presenza di severe "difficoltà gastrointestinali". Diabete di tipo 1 I disturbi dell'alimentazione possono verificarsi nelle donne affette da diabete di tipo 1 in modo coincidente, dal momento che entrambe le condizioni sono condizioni comuni nell'adolescenza. È invece più controverso se il diabete di tipo 1 sia un fattore di rischio per lo sviluppo dei disturbi dell'alimentazione. Alcuni studi, infatti, non hanno osservato un aumento del rischio di disturbi dell'alimentazione nei soggetti diabetici, mentre altri hanno trovato un aumento del rischio. Fattori perinatali Uno studio svedese recentemente pubblicato ha trovato che le ragazze nate prematuramente (meno di 32 settimane di gestazione) con un cefaloematoma hanno un aumentato rischio di sviluppare l'anoressia nervosa e l'associazione tra questi due disturbi sembra essere specifica. Menarca precoce Alcuni studi hanno trovato che il menarca precoce è positivamente correlato con l'insoddisfazione corporea e lo sviluppo dei disturbi dell'alimentazione. Tale associazione non è stata, comunque, trovata in tutte le ricerche. Alterazioni neuroendocrine La maggior parte delle anomalie nella concentrazione dei neurotrasmettitori osservate nei disturbi dell'alimentazione sembrano essere secondarie alla denutrizione e alla dieta, perché si normalizzano generalmente con la normalizzazione del peso corporeo. Alcune recenti ricerche eseguite dal prof. Kaye dell'università di Pittsburg hanno però evidenziato 9 Allenatri che sia nei pazienti con anoressia nervosa, sia in quelli con bulimia nervosa in remissione prolungata dal loro disturbo, le concentrazioni di un metabolita della serotonina, chiamato acido idrossiindoloacetico (5-HIAA), rimangono elevati nel liquido cerebrospinale. L'elevazione del 5HIAA potrebbe spiegare la persistenza del perfezionismo e della necessità dell'autocontrollo nelle persone guarite dai disturbi dell'alimentazione. Tale ipotesi, seppure interessante, necessita di ulteriori conferme. Fattori di rischio comportamentali Seguire una dieta restrittiva La dieta negli adolescenti normopeso è considerata un fattore di rischio per lo sviluppo dei disturbi dell'alimentazione. In un campione di studentesse di Londra di 15 anni quelle facevano una dieta, rispetto ai controlli, avevano un rischio otto volte maggiore di sviluppare un disturbo dell'alimentazione nell'anno seguente. Risultati simili sono stati osservati in uno studio eseguito su adolescenti australiani in cui i soggetti a dieta, rispetto a quelli non a dieta, avevano un rischio 18 volte superiore di sviluppare un disturbo dell'alimentazione nei sei mesi seguenti. In questa ricerca è stato evidenziato che il rischio era elevato anche nei soggetti che seguivano una dieta lievemente ipocalorica. Eventi avversi Abuso sessuale e altre esperienze traumatiche L'elevata presenza di abusi sessuali o di altri traumi di tipo fisico o psicologico nelle persone affette da anoressia nervosa e bulimia nervosa, è stata recentemente molto enfatizzata, soprattutto nei paesi anglosassoni. Attualmente sembra che ci sia un'elevata incidenza di abuso sessuale nelle persone affette da bulimia nervosa e anoressia nervosa con abbuffate/condotte di eliminazione, ma non in quelle con restrizioni. Recenti ricerche, metodologicamente accurate, hanno però dimostrato che le esperienze traumatiche, e in particolare gli abusi sessuali, sono presenti in eguale misura anche in altri disturbi psichiatrici, e quindi non costituirebbero un fattore di rischio specifico per lo sviluppo dei disturbi alimentari, ma un "potente" fattore di rischio generico per le patologie psichiatriche. Avere dei familiari a dieta Un recente studio eseguito in Inghilterra ha evidenziato che avere dei familiari a dieta durante l'infanzia e l'adolescenza rappresenta un fattore di rischio specifico per lo sviluppo della bulimia nervosa. Ricevere critiche dei familiari e di altri su peso, forme corporee e comportamento alimentare Vol.2 No.2 Le critiche dei familiari o di altri (amici, insegnanti, ecc.) su peso, forme corporee e alimentazione sono state identificate come fattori di rischio specifici per lo sviluppo dei disturbi dell'alimentazione, soprattutto per la bulimia nervosa. Altri eventi avversi Numerosi resoconti clinici e alcune ricerche hanno evidenziato che spesso i pazienti con disturbi dell'alimentazione riferiscono di aver subito, prima della comparsa del loro disturbo, vari eventi avversi. Questi possono includere: aver ricevuto critiche dei familiari e di altri (non su peso, forme corporee e comportamento alimentare); aver subito dei lutti; divorzio dei genitori; frequenti cambiamenti di casa. Tali eventi avversi, che sono considerati fattori di rischio generici per lo sviluppo di disturbi psichiatrici, se si sommano ad alcuni fattori di rischio specifici, aumentano la possibilità di sviluppare un disturbo dell'alimentazione. Fattori di rischio familiari Le opinioni diffuse sul ruolo delle interazioni familiari nello sviluppo di disturbi dell'alimentazione derivano principalmente da osservazioni cliniche che possono aver fornito una visione incompleta, e talvolta errata, del problema. Il limite principale di questi studi è costituito dal fatto che sono stati eseguiti in una fase in cui il disturbo dell'alimentazione si era già sviluppato e spesso cronicizzato: non si può asserire con certezza se alcune caratteristiche osservate nei genitori siano la causa, e non piuttosto la conseguenza della malattia. Negli ultimi anni, comunque, ricerche rigorose hanno evidenziato che alcuni fattori familiari ereditari e legati all'ambiente familiare possono aumentare il rischio di sviluppare un disturbo dell'alimentazione. Familiarità per disturbi dell'alimentazione È da tempo noto che i disturbi dell'alimentazione "corrono" nelle famiglie. In questo paragrafo sono riportati gli studi di epidemiologia genetica e di genetica molecolare che si sono occupati di questo problema. Tra gli studi di epidemiologia genetica sono state effettuate ricerche focalizzate sulla famiglia o sui gemelli, mentre non sono state compiute ricerche sui figli adottivi. Studi familiari Rigorosi studi hanno evidenziato che i parenti di primo grado di pazienti affetti da anoressia nervosa e bulimia nervosa hanno un rischio tre 10 Allenatri volte superiore, rispetto ai controlli, di sviluppare un disturbo dell'alimentazione. Il limite maggiore degli studi familiari è che non permettono di distinguere se l'aumentata prevalenza di disturbi dell'alimentazione nei familiari delle persone con anoressia nervosa e bulimia nervosa sia dovuta soltanto a cause genetiche, a cause ambientali oppure a entrambe. Studi sui gemelli Le ricerche sui gemelli permettono di superare i limiti degli studi familiari sopra descritti. Poiché i gemelli sono generalmente allevati nello stesso ambiente e subiscono più o meno gli stessi fattori di rischi ambientali, la differenza nel tasso di concordanza tra gemelli monozigoti (MZ) e dizigoti (DZ) può aiutare a capire il contributo della genetica e dell'ambiente nel determinare lo sviluppo di un particolare disturbo.Due ricerche, una inglese eseguita dal gruppo della prof. Treasure e una americana che ha utilizzato Virginia Twin Regestry, hanno trovato che il tasso di concordanza di disturbi dell'alimentazione tra gemelli è significativamente superiore nei gemelli MZ, rispetto ai DZ. Nell'anoressia nervosa il tasso di concordanza del 48,5-71% nei MZ e 0-10% nei DZ, mentre nella bulimia nervosa il tasso di concordanza è del 22,9-83% nei MZ e 0-27% nei DZ. Questi studi, nonostante indichino in modo inequivocabile che esiste un significativo contributo genetico allo sviluppo dei disturbi dell'alimentazione, soffrono di numerosi difetti metodologici che non permettono di trarre una conclusione definitiva sul ruolo della genetica I meccanismi attraverso cui opera la genetica non sono noti; essa genetica potrebbe operare direttamente aumentando la tendenza ai disturbi dell'alimentazione, o indirettamente predisponendo all'obesità o a certi tratti di personalità o ad una disregolazione emozionale o ad altri disturbi psichiatrici che a loro volta possono favorire lo sviluppo dei disturbi dell'alimentazione. Marcatori genetici Negli ultimi anni, grazie alla moderna tecnologia di studio del DNA, sono stati eseguiti vari studi di genetica molecolare per ricercare l'esistenza di possibili variazioni genetiche che favoriscano lo sviluppo dei disturbi dell'alimentazione. I geni che potrebbero determinare i disturbi dell'alimentazione sono chiamati "geni di suscettibilità", perché aumentano la vulnerabilità a sviluppare il disturbo, ma da soli non sono né necessari, né sufficienti per determinarne lo sviluppo (ci sono molte persone che sono portatori di questi geni non si ammalano). Fino ad ora i risultati ottenuti sono inconsistenti anche se alcuni risultati preliminari sembrano indicare che un polimorfismo nel gene del recettore dell'agouti-related melanocortina-4, che è coinvolto nella regolazione dell'appetito, sia Vol.2 No.2 associato all'anoressia nervosa. Altre ricerche hanno trovato un'associazione tra polimorfismo del gene che codifica il tipo 2A del recettore della serotonina (5-HT2A) e anoressia nervosa. Tale osservazione è stata successivamente replicata in campioni di pazienti degli Stati Uniti e dell'Italia, ma non in campioni di pazienti della Germania e di un secondo campione del'Regno Unito. Familiarità per altri disturbi psichiatrici Gli studi sulla famiglia indicano che i familiari di primo e secondo grado dei soggetti affetti da anoressia nervosa e bulimia nervosa hanno una frequenza tre volte superiore di disturbi dell'umore rispetto alla popolazione di controllo normale. Una storia familiare di disturbi dell'umore potrebbe aumentare l'inclinazione di un individuo a sviluppare un disturbo dell'alimentazione, predisponendolo alla depressione che a sua volta, come precedentemente suggerito, può essere un fattore di rischio per i disturbi dell'alimentazione. Uno studio eseguito in Italia ha evidenziato che il 10% circa delle madri di pazienti con anoressia nervosa, rispetto allo 0% delle madri di soggetti senza disturbi, ha un disturbo ossessivocompulsivo, ma non è ancora chiaro se questo rappresenti un fattore specifico per lo sviluppo dell'anoressia nervosa. Infine, numerosi studi hanno evidenziato un'elevata presenza di abuso d'alcol nei familiari di primo grado dei soggetti affetti da bulimia nervosa e da anoressia nervosa con abbuffate/condotte di eliminazione; le ricerche fino ad ora effettuate non hanno però stabilito se l'elevata prevalenza di dipendenza dall'alcol nei familiari sia specifica per i disturbi dell'alimentazione, o sia invece una caratteristica comune alla maggior parte dei disturbi psichiatrici. Familiarità per obesità Una ricerca condotta nel Regno Unito ha evidenziato che avere un familiare che soffre di obesità sembra essere un fattore di rischio per lo sviluppo della bulimia nervosa e del disturbo da alimentazione incontrollata. Ambiente familiare ed interazioni L'analisi delle caratteristiche della paziente e della sua famiglia possono essere distorte dalla presenza del disturbo dell'alimentazione, che può modificare l'attaccamento, lo stile di comunicazione e i livelli di emotività espressa nella famiglia. Ciò fa sì che alcune caratteristiche osservate nella famiglia potrebbero essere la conseguenza e non la causa del disturbo dell'alimentazione. Oggi va respinta con forza l'ipotesi, in voga qualche anno fa, di una famiglia "anoressogena", tuttavia in alcuni casi le 11 Allenatri problematiche familiari sembrano essere i fattori di rischio più rilevanti. Dimensione della famiglia, ordine di genitura e rapporti tra fratelli/sorelle Ricerche metodologicamente corrette hanno smentito le ipotesi cliniche secondo cui le pazienti con anoressia nervosa fossero con più frequenza figlie uniche, primogenite o ultimogenite. Altri studi hanno evidenziato che né la posizione nella famiglia né la dimensione del nucleo familiare hanno un significato prognostico. Ciò, comunque, non esclude che l'occupazione di una "posizione speciale" all'interno della famiglia possa essere un fattore di rischio per lo sviluppo dei disturbi dell'alimentazione. In alcuni casi la sorella si osserva che la sorella affetta da anoressia nervosa percepisca un controllo materno maggiore e sperimenti più antagonismo, gelosia ed invidia nei confronti della sorella non affetta dal disturbo. Poca ricerca sistematica è stata, comunque, compiuta per confermare tali osservazioni. Struttura della famiglia ed interazioni familiari Gli studi che hanno osservato la struttura della famiglia hanno evidenziato che, in confronto ai soggetti di controllo, le famiglie con un membro affetto da anoressia nervosa mostrano maggiore rigidità nella loro organizzazione familiare, hanno confini interpersonali meno chiari e tendono ad evitare le discussioni e i disaccordi tra genitori e figli. Le famiglie con un membro affetto da bulimia nervosa mostrano, invece, chiari confini interpersonali, un'organizzazione familiare meno stabile e un minor evitamento dei disaccordi. Educazione e stile genitoriale Le modalità educative e lo stile genitoriale dei genitori delle persone affette da anoressia nervosa sono state poco studiate. Da un punto di vista clinico la caratteristica più comunemente osservata è la mancanza di un'adeguata ed articolata autorità genitoriale. Ciò significa che i genitori spesso mostrano delle difficoltà nel trovare un equilibrio tra il fornire un adeguato (razionale e flessibile) controllo e il permettere un'autonomia appropiata per l'età della loro figlia. In alcuni casi ciò è legato al fallimento dei genitori nel trovare un accordo di base nei riguardi dell'educazione della figlia. Tale conflitti possono riflettere dei problemi di coppia più generali. Le pazienti affette da anoressia nervosa, rispetto alle adolescenti non affette dal disturbo, riportano spesso un'eccessiva protezione dei genitori nei loro confronti, iniziata fin dall'infanzia. Inoltre, in confronto a quelle affette da bulimia nervosa e a quelle senza disturbi, percepiscono i loro genitori come delle persone che forniscono un "messaggio doppio" caratterizzato da un lato da affetto genitoriale e dall'altro da trascuratezza delle necessità della figlia di esprimere se stessa. Vol.2 No.2 Le pazienti con bulimia nervosa, in confronto a quelle con anoressia nervosa e ai controlli, tendono a riportare con maggior frequenza esperienze problematiche nell'infanzia; spesso ricordano di aver ricevuto un'educazione caratterizzata da mancanza di cura, specialmente dalla loro madre, ed un'eccessiva protezione da parte del padre. Fattori di rischio socio – culturali I disturbi dell'alimentazione sono stati anche definiti "sindromi legate alla cultura", e cioè specifici di alcuni paesi e culture e assenti in altri. Esiste, infatti, un'estesa documentazione scientifica che prova che essi colpiscono soprattutto la popolazione occidentale con uno sviluppo di gradiente tra le varie culture e una netta predominanza nei paesi industrializzati e sviluppati. Numerosi studi trans-culturali hanno evidenziato che l'anoressia nervosa e la bulimia nervosa sono rare nei paesi non occidentali, e che le donne non occidentali che emigrano nei paesi ricchi sviluppano più facilmente un disturbo dell'alimentazione rispetto alle loro coetanee rimaste nel paese d'origine (ad esempio egiziane, giapponesi, cinesi). Nella cultura occidentale, le donne esposte a una maggiore pressione nei confronti della dieta, come le atlete che praticano sport e che, per le prestazioni o per l'apparenza, esaltano la magrezza, hanno maggiori probabilità di sviluppare un disturbo dell'alimentazione. Nel Nord America, comportamenti alimentari disturbati sono ugualmente comuni fra le donne caucasiche e ispaniche, mentre sono meno comuni fra le donne nere e asiatiche e nella maggior parte degli indiani d'America. I fattori socioculturali che favoriscono lo sviluppo di un'immagine corporea negativa e i disturbi dell'alimentazione ruotano attorno all'idealizzazione della magrezza e alla denigrazione dell'obesità. Queste attitudini sociali si sono sviluppate negli ultimi trent'anni per alcune modificazioni economiche verificatesi nei paesi occidentali e sono mantenute mass media, dalla famiglia e dai coetanei. Le attitudini sociali nei confronti del peso e dell'aspetto fisico sono poi interiorizzate da alcuni individui predisposti per il concorrere di due processi, il rinforzo sociale e il modellamento. Idealizzazione della magrezza È difficile stabilire esattamente il momento in cui la moda della magrezza si è affacciata presso le società occidentali. Tra il 1400 e il 1700 le forme corporee femminili grasse erano considerate sessualmente attraenti e alla moda. La donna 12 Allenatri ideale era ritratta rotonda, con grandi mammelle e materna. Nel diciannovesimo secolo l'ideale di bellezza femminile si è spostato verso una figura più voluttuosa con forme corporee che si potrebbero definire a clessidra. Nel 1900 si sono avute profonde modificazioni nell'ideale di bellezza femminili con periodi in cui la donna doveva avere un aspetto tubulare senza curve (1920), altri in cui doveva avere curve molto prorompenti (1950) con una tendenza che è continuata fino al 1960, con l'esplosione del fenomeno Twiggy e l'enfasi di un corpo angolare ed ossuto. Il professor Garner e il dottor Wiseman, hanno esaminato il peso corporeo di tutte le partecipanti alla fase finale del concorso di Miss America e delle modelle della pagina centrale della rivista Play Boy dal 1959 al 1978 e dal 1979 al 1988; i ricercatori hanno evidenziato che il peso corporeo delle miss e delle modelle è stato sempre significativamente inferiore, rispetto a quello delle tabelle del peso ideale, con un progressivo abbassamento negli ultimi anni, come illustrato nella figura 7. Al contrario delle miss e delle modelle, i giovani dei paesi occidentali sono aumentati progressivamente di peso; si è venuto a creare perciò uno scarto significativo tra l'aspetto fisico reale e quello ideale, con la conseguenza che l'insoddisfazione per il proprio corpo e le pratiche dietetiche sono diventate estremamente diffuse tra i giovani. Il professor Garner con altri colleghi ha trovato che poco più del 5% delle donne che detenevano una polizza assicurativa sulla vita fra i 20 e i 29 anni erano magre come la media del peso delle partecipanti al concorso di Miss America che avevano vinto il titolo fra il 1970 e il 1978. Sebbene negli ultimi anni l'ideale alla moda ha recentemente incluso corpi con grandi mammelle e con elevato tono muscolare, l'ideale di magrezza è rimasto l'epitomo della bellezza negli ultimi trent'anni. Teorie che hanno cercato di capire perché è emerso l'ideale di magrezza Non è facile spiegare perché nei paesi occidentali è emerso l'ideale di magrezza; tre teorie, comunque, sono quelle più accreditate. 1) Teoria dell'indipendenza economica. Secondo questa teoria, elaborata dal professor Barber, nelle società che promuovono l'indipendenza economica la donna compete con l'uomo nei posti di lavoro. Sembrando più mascolina (più magra e con meno curve) appare più competitiva. Nelle società dove non è possibile l'indipendenza economica della donna, essa deve raggiungere un adeguato stato sociale attraverso l'uomo, che cerca di attrarre con un corpo formoso. Tale corpo, caratterizzato dalla presenza di fianchi larghi, offre la massima probabilità di fornire all'uomo discendenti sani e numerosi. Il problema Vol.2 No.2 maggiore nella logica della teoria economica è che l'ideale femminile della donna che guadagna il potere economico non è l'essere simile ad un maschio, ma più magra ed innocente. È il look magro, giovanile ed adolescenziale di Twiggy che è idealizzato. 2) Teoria del conflitto di ruolo. I professori Rapahel e Lacey hanno ipotizzato che la comparsa dell'ideale della magrezza sia emerso in conseguenza dei sentimenti conflittuali della donna nei confronti del suo ruolo sociale. Questa teoria ipotizza che la magrezza può essere un modo per la donna di mostrare un grande senso di auto-controllo ed indipendenza nei confronti dell'uomo. Il limite principale della teoria è quello di non spiegare la comparsa della pressione socioculturale sulla magrezza nell'uomo. 3) Teoria della disponibilità di cibo. Il professor Smuth ha presentato una teoria, meno dipendente dal sesso, anch'essa basata su principi economici. Per la maggior parte della storia le società hanno lottato per avere abbastanza risorse alimentari per sopravvivere. La pesantezza era un segno di essere in salute e di possedere più risorse di quelle necessarie per vivere. Quando nella società è presente un'abbondanza di cibo la magrezza diviene una reazione a tale eccesso. La magrezza diventa un mezzo per mostrare la propria salute e per dire: "Io sono sicuro finanziariamente, non ho bisogno di portarmi dietro del peso extra". In reazione all'abbondanza di cibo attorno a loro, queste donne divennero ascetiche. Si può tracciare il parallelo nella nostra società attuale affermando che le persone reagiscono all'abbondanza enfatizzando l'auto-controllo alimentare e del corpo e la crecsita intellettuale. Anche questa teoria, sebbene interessante, non è dimostrabile. Queste teorie, sebbene criticabili, ci insegnano due cose: 1. l'ideale di bellezza è instabile; 2. la cultura sembra attaccare dei significati alla bellezza delle donne, in particolare. Denigrazione dell'obesità Le attitudini negative nei confronti dei soggetti obesi costituiscono un delle ultime forme di discriminazione socialmente accettate. Con il progressivo incremento di persone affette da obesità, il numero delle persone potenzialmente affette da questo discriminazione è enorme. Numerose ricerche hanno dimostrato che la discriminazione dei soggetti obesi è un fatto reale ed è presente in molti ambiti e situazioni. Nei paesi ricchi ci sono messaggi che enfatizzano in modo potente il fatto che essere grassi significa avere scarse capacità di autocontrollo Attitudini negative nei confronti delle persone obese sono state trovate negli adulti e nei bambini, nel personale sanitario e paradossalmente anche tra 13 Allenatri le persone obese stesse. I bambini di sei anni di età descrivono un bambino obeso nel modo seguente: pigro, sporco, stupido, brutto, bugiardo e imbroglione. Indagini di grandi dimensioni hanno mostrato che, in confronto ai coetanei normopeso, quelli obesi tendono a interrompere la carriera scolastica più precocemente e hanno più difficoltà a entrare in scuole prestigiose o a trovare lavori gratificanti. Inoltre, è stato osservato che le donne inglesi e americane guadagnano meno di quelle normopeso o con altre condizioni croniche e hanno più difficoltà a sposarsi. Le attitudini negative del personale sanitario (medici, studenti di medicina, dietisti e infermieri) nei confronti dell'obesità è di particolare importanza. I soggetti obesi che percepiscono il pregiudizio nei loro confronti tendono a evitare di chiedere un aiuto medico per la loro condizione. I medici spesso non sono molto interessati a gestire i pazienti obesi perché li credono deboli, incapaci di controllo e di beneficiare dei loro consigli. Ad esempio, in uno studio si è osservato che la prescrizione di farmaci ipolipemizzanti effettuata dai medici di famiglia inglesi era volutamente più bassa nei soggetti obesi, rispetto a quelli normopeso. Altre forme di discriminazione non molto studiate, ma spesso osservate, includono il ricevere commenti negativi sul proprio aspetto durante le interazioni interpersonali, l'avere difficoltà ad adottare un bambino ed essere esclusi da una giuria perché si ha un eccesso di peso. Perché nei paesi occidentali si è sviluppata la denigrazione dell'obesità? Secondo la prospettiva ideologica sociale del dottor Crandall i valori tradizionali e conservativi di auto-determinazione, auto-disciplina ed individualismo nordamericani rappresentano il nucleo centrale delle attitudini sociali negative nei confronti delle persone obese. Secondo dottor Crandall il pregiudizio nasce principalmente dall'idea che l'obesità sia la conseguenza di scarsa capacità di auto-controllo e auto-disciplina e che perciò l'individuo obeso sia totalmente responsabile della sua condizione. Sebbene numerose ricerche abbiano smentito questa interpretazione eziologica (l'obesità deriva dall'interazione di fattori genetici ed ambientali) la visione moralistica nei confronti delle persone obese è tuttora predominante. Meccanismi che favoriscono l'interiorizzazione dell'ideale di magrezza e della denigrazione dell'obesità Poiché nella nostra cultura il comportamento alimentare ed il peso corporeo sono fortemente legate all'idea dell'auto-controllo (vedi sopra) è facilmente capibile perché le persone che sono perfezioniste e che necessitino di forte autocontrollo per valutare se stesse con più facilità di altre interiorizzino e facciano loro le attitudini Vol.2 No.2 sociali nei confronti della magrezza e dell'obesità. . Il processo di interiorizzazione dell'ideale di magrezza e della denigrazione dell'obesità è favorito se l'individuo ha la tendenza a conformarsi alle idee e alle convinzioni degli altri, e questo si verifica in particolar modo negli individui con basa auto-stima, caratteristica frequentemente presente nelle persone che sviluppano i disturbi dell'alimentazione.Oltre ai tratti di personalità, l'interiorizzazione dei messaggi socioculturali può verificarsi per l'azione di tre processi: il rinforzo sociale, il modellamento e il confronto sociale. Il rinforzo sociale si riferisce al processo in cui le persone interiorizzano alcune attitudini e comportamenti approvati dal rispetto degli altri. Ad esempio, una ragazza adolescente può cercare di dimagrire con maggiore probabilità se i mass-media glorificano la magrezza. Il rinforzo sociale dell'ideale di magrezza si può manifestare anche se, ad esempio, persone famose (dello sport o dello spettacolo) sono preoccupate per il loro peso e forme corporee, seguono delle diete ipocaloriche e criticano le persone obese. ultra-magro. Il modellamento si riferisce, invece, al processo in cui gli individui direttamente emulano i comportamenti che osservano. Ad esempio, una donna può fare la dieta con più facilità se vede una compagna o una persona dello spettacolo che adotta tale comportamento. Il vedere alla televisione delle persone con disturbi dell'alimentazione o avere dei compagni affetti da tali disturbi può favorire lo sviluppo negli adolescenti dell'idea che abbuffarsi, vomitare o seguire delle diete sia una cosa normale. Tutto ciò può favorire l'emulazione di questi comportamenti e lo sviluppo, in alcuni soggetti predisposti, di disturbi dell'alimentazione. Il confronto sociale sembra, infine, giocare un ruolo importante nel favorire lo sviluppo di insoddisfazione corporea e preoccupazione per il peso e le forme corporee, nei soggetti esposti alle immagine dei media che riportano figure di donne magre ed idealizzate. Secondo questa prospettiva, gli individui quasi inevitabilmente tendono a confrontare se stessi con queste immagini "ideali" e conseguentemente giudicano se stessi inadeguati e difettosi; ciò favorisce le sviluppo di insoddisfazione corporea e l'adozione di pratiche di controllo del peso non salutari. Influenze dei mass media Numerosi studi hanno dimostrato che i massmedia favoriscono lo sviluppo di disturbi dell'immagine corporea e dell'alimentazione. Le ragioni dell'effetto pernicioso dei media sull'immagine corporee sono numerose: 1) L'analisi di contenuto hanno evidenziato che le dimensioni corporee delle modelle, delle attrici e 14 Allenatri di altre icone culturali femminili ha dimostrato che esse sono diventate progressivamente più magre nelle ultime decadi (vedi sopra studio su Miss America e modelle centro pagina di Play boy). Un quarto circa delle modelle rappresentate nei settimanali femminili hanno un peso corporeo che soddisfa i criteri diagnostici dell'anoressia nervosa. La tendenza ad essere sempre più magri si correla con l'aumento dei disturbi dell'alimentazione ed è stata la prima linea di evidenza che ha suggerito che i media contribuiscono allo sviluppo dei disturbi dell'alimentazione. Oltre a ciò, nei media ci sono poche persone sovrappeso, nonostante che nella popolazione occidentale si sia verificato un aumento significativo nella prevalenza dell'obesità. 2) I dati delle ricerche suggeriscono che oggi c'è una maggiore enfasi sulla dieta e sul controllo del peso corporeo nei giornali femminili, rispetto a quelli maschili e questo va in parallelo con la differenza di prevalenza dei disturbi dell'alimentazione nei due sessi. 3) C'è abbastanza evidenza che l'uso di media che contengono immagini di donne magre si correla con l'insoddisfazione corporea e disturbi dell'alimentazione correnti e futuri. 4) Gli individui affetti da bulimia nervosa percepiscono una maggior pressione da parte dei media ad essere magri, rispetto ai controlli, e spesso riferiscono di aver imparato pratiche non salutari di controllo del peso corporeo dai giornali o dalla televisione (ad esempio, l'indursi il vomito). 5) Studi controllati hanno documentato che l'esposizione acuta ad immagini nei giornali o nella televisione di donne magre con un corpo "ideale" determinano un aumento della insoddisfazione corporea e delle emozioni negative (ad esempio, depressione, vergogna e rabbia). È interessante sottolineare che quest'effetto è maggiore se gli individui hanno già elevati livelli di insoddisfazione corporea ed hanno elevati livelli di interiorizzazione dell'ideale di magrezza. Influenze della famiglia Per quanto riguarda le influenze familiari, numerosi studi, in parte già descritti nei fattori di rischio familiari, che supportano l'ipotesi che alcune pressioni socioculturali sulla magrezza e la dieta provenienti dalla famiglia favoriscono lo sviluppo di preoccupazione per il peso e le forme corporee e di disturbi dell'alimentazione (vedi critiche dei familiari sul peso e le forme corporee, familiari a dieta, e obeasità dei genitori come fattori di rischio dei disturbi dell'alimentazione). Vol.2 No.2 Influenze dei coetanei Negli ultimi anni sempre più ricerche hanno osservato che anche i coetanei possono contribuire a facilitare lo sviluppo dell'insoddisfazione corporea e dei disturbi dell'alimentazione. Le evidenza sono molteplici. 1) Gli individui con bulimia nervosa riportano di aver percepito una pressione più elevata ad essere magri da parte dei loro compagni, rispetto ai controlli. Molti pazienti affermano di11 aver iniziato ad avere comportamenti bulimici dopo aver iniziato una dieta sotto la spinta di un'amica. 2) L'interesse dei compagni nei confronti della dieta e la presenza di amici con elevati livelli di interiorizzazione dell'ideale di magrezza si correla con lo sviluppo dei disturbi dell'alimentazione. 3) Le prese in giro dei compagni sul peso, come già detto, predicono lo sviluppo di insoddisfazione corporea e disturbi dell'alimentazione. 4) Esiste l'evidenza di un effetto di modellamento diretto: uno studio, ad esempio, ha evidenziato la presenza di una relazione positiva tra abbuffate e presenza di abbuffate nei compagni; tale associazione diventa più forte quanto maggiore è il grado di amicizia. Numerose persone con bulimia nervosa riferiscono, inoltre, di aver imparato a vomitare da delle loro amiche. 5) La pressione dei compagni ad essere magri percepita predice lo sviluppo di insoddisfazione corporea, comportamenti dietetici e bulimici ed emozioni negative. 6) In sintesi c'è una grande evidenza che i compagni e gli amici possono influenzare lo sviluppo di un'immagine corporea negativa e di disturbi dell'alimentazione. Poche ricerche hanno valutato il ruolo del partner, ma alcune pazienti mi hanno riferito di aver iniziato a restringere la loro alimentazione per perdere peso sotto la spinta del loro fidanzato. CONCLUSIONI La lettura di queste dispense vi avrà fatto comprendere che le cause dei disturbi dell'alimentazione sono complesse. Con le conoscenze che abbiamo oggi non è più accettabile sostenere che i disturbi dell'alimentazione derivano semplicemente da mancanza di forza di volontà o da problematiche 15 Allenatri familiari o dalla pressione sociale ad essere magri. I disturbi dell'alimentazione, infatti, non originano da un'unica causa, ma dall'azione Vol.2 No.2 combinata di numerosi fattori di rischio individuali, familiari e socioculturali. 16 Allenatri Vol.2 No.2 IL PROBLEMA DEI DISTURBI ALIMENTARI NELLO SPORT DI ALTO LIVELLO, LORO INDIVIDUAZIONE E TRATTAMENTO. Acquisire consapevolezza del rischio di comportamenti alimentari patologici in relazione all'attività sportiva e alla cura del corpo. Di Francesco Di Russo - Docente presso lo IUSM di Roma Sport e disturbi alimentari Le domande alle quali si cerca di rispondere sono: se lo sport d’alto livello attiri soggetti che presentano alterazioni del comportamento alimentare; se la pratica dello sport può provocare disturbi alimentari; se l'attività sportiva incoraggi lo sviluppo di tali comportamenti. Inoltre, sono forniti consigli pratici su come individuare e trattare i disturbi dei comportamenti alimentari e sono esposte quali siano le conseguenze della conservazione di un peso corporeo eccessivamente basso per un lungo periodo. Introduzione Nella definizione disturbi alimentari (eating disorders) vengono comprese due patologie psicosomatiche che vanno sotto il nome di anoressia nervosa e bulimia nervosa, mentre viene definito comportamento alimentare disordinato (disordered eating) un comportamento alimentare deviante dalla norma, che però non risponde pienamente ai criteri di un disturbo alimentare manifesto. Ne sono alcuni esempi la "dieta a jo-jo" (Schek 2001) e la "pseudoanoressia da sport" (Clasing et al. 1997). In questa cosiddetta anoressia atletica, il comportamento alimentare è ancora controllabile: i soggetti in questione possono modificare volontariamente la loro alimentazione, a seconda della fase di allenamento e rimodificarla alla fine della loro carriera, aumentando di nuovo di peso. Invece un disturbo alimentare comporta sempre una perdita di controllo: ciò che inizialmente veniva messo in atto volontariamente per diminuire di peso diventa automatico e il comportamento alimentare non è più controllabile (attacchi di avidità patologica di cibo). Tra le cause che determinano la comparsa di disturbi alimentari, oltre a fattori biologici (fame risultante da un'alterazione della regolazione del senso di sazietà), vengono citati soprattutto fattori sociali e culturali (ideale di magrezza, spinta al successo) e fattori psicologici. In particolare si tratta di persone che non hanno adeguate strategie di coping dello stress, e il cui senso di identità e la cui autostima sono carenti (Johnson 1994). Inoltre, queste persone tendono a presentare una percezione alterata del proprio corpo, perfezionismo ed un senso di perdita di controllo. Secondo Lindman (1994), nello sport di alto livello persone che presentano queste caratteristiche non sono rare. Gli atleti hanno un’elevata consapevolezza di sé, soprattutto del proprio corpo e dei suoi limiti di prestazione, attribuiscono un valore elevato alla vittoria e vengono influenzati, nel loro comportamento e nei loro obiettivi, sia dal loro livello di prestazione, sia dagli allenatori, dai genitori, dagli insegnanti, dai dirigenti, dai compagni di squadra e dagli amici. Diminuire l'alimentazione ed una iperattività fisica rappresentano per gli atleti una possibilità di esercitare un controllo compensativo su se stessi. Se questo controllo viene minacciato, ad esempio da un trauma o dal cambiamento di allenatore, il senso di perdita di controllo può condurre a praticare forme insane di regolazione del peso come digiuno, vomito provocato ed abuso di lassativi, diuretici e anoressizzanti. Tra un'alimentazione restrittiva e un disturbo alimentare manifesto non c'è soluzione di continuità. Il disturbo alimentare viene vissuto come ulteriore perdita di controllo, e la percezione di sempre maggiore perdita di controllo può far arrivare a fenomeni depressivi ed in casi estremi a rischio di suicidio. In quegli atleti che non presentano caratteristiche predisponenti, come quelle descritte precedentemente, sapere che possono migliorare 17 Allenatri Vol.2 No.2 i loro risultati con una (moderata) riduzione del peso può provocare anche alterazioni del comportamento alimentare, però senza che queste evolvano fino a diventare disturbi alimentari manifesti (Clasing et al. 1997). I criteri IDC-10 per quanto riguarda la bulimia nervosa sono: 1. continua attenzione per il cibo ed attacchi di avidità di cibo, durante i quali vengono consumate grandi quantità di alimenti in periodi di tempo molto brevi; 2. tentativo di opporsi all’effetto d’ingrassamento provocato dal mangiare attraverso varie modalità di comportamento; 3. timore patologico di ingrassare; 4. frequenti episodi passati di anoressia. Definizione dei concetti Negli Stati Uniti, per la diagnosi dei disturbi alimentari viene utilizzata la 4° edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-IV). Questo manuale della Società Americana di Psichiatria nel 1994 ha sostituito la 3° edizione riveduta del 1987 (DSMIII-R), che, a sua volta, si era sostituita alla 3° edizione (DSM-III) del 1980. I criteri attuali per la diagnosi dell'anoressia nervosa comprendono insufficienza di peso (oltre il 15% inferiore alla norma), paura di aumentare di peso, alterazione della percezione del corpo, dismenorrea e amenorrea (assenza o scomparsa del flusso mestruale mensile). In Germania i disturbi alimentari, normalmente, vengono diagnosticati servendosi della 10° edizione dell'International Classification of Mental Disorders (ICD-10) (Dilling et al. 1993). I criteri per identificare l'anoressia nervosa sono: 1. un peso corporeo del 15% inferiore alla norma od un indice di massa corporea (Body Mass Index, BMI) inferiore a 17,5 kg/m2. 2. Perdita di peso auto-indotta evitando di assumere alimenti ad elevato contenuto calorico ed auto-provocando conati di vomito, facendo abuso di lassativi, di diuretici, di farmaci che riducono l'appetito e/o praticando iperattivitià fisica. 3. Disturbi dello schema corporeo e convinzione ossessiva d’essere grasso/a. 4. Disturbi di natura endocrina ipotalamo-ipofisario-gonadico, Ambedue i sistemi di classificazione distinguono, all’interno del concetto di anoressia, un sottotipo di anoressia restrittiva ed un sottotipo bulimico (binge-purge). Nell’anoressia bulimica si ricorre a metodi attivi di riduzione del peso come vomito auto-indotto, uso di purganti, a volte collegati ad attacchi di avidità di cibo. Nell’anoressia restrittiva questi metodi di dimagrimento sono assenti.Per quanto riguarda l’anoressia atletica - descritta per la prima volta come digiuno degli atleti da Smidt (1980) - non ci sono criteri ufficiali. In linea di principio si tratta di una reazione anoressica in atleti/e (Steinacker et al. 1996) inserita all’interno di un continuum che va da comportamenti alimentari normali (non alterati) all’anoressia (restrittiva o bulimica). La tabella 1 mostra undici possibili criteri, assoluti e relativi, per identificare l’anoressia atletica. Questi criteri, originariamente elaborati da Pugliese (1983) per i bambini in età scolare, sono stati ripresi da Sundogot-Borgen (1993) e sottoposti a nuova ponderazione per adattarli agli atleti. Tali criteri devono assolutamente comprendere: un peso inferiore alla norma (più del 5% al di sotto della norma), l’assenza di patologie organiche che giustifichino il calo di peso, un eccessivo timore di ingrassare, restrizioni alimentari e disturbi del tratto gastrointestinale. Secondo McArdle et al. (1999) come criterio assoluto sarebbe sufficiente anche l’utilizzazione di uno solo dei metodi insani di controllo del peso, quale il digiuno, il vomito, l’uso di purganti, ecc. Neumärker, Bartsch (1998) non accettano “questo tipo di tentativi di classificazione” in quanto “è evidente la confusione che ne risulta”. dell’asse 5. Nel caso in cui la malattia inizi prima della pubertà: alterazioni dello sviluppo puberale, incluso l’accrescimento somatico, spesso reversibili con la ripresa di un’alimentazione regolare. 18 Allenatri Tabella 1 - Criteri di diagnosi dell’anoressia atletica (secondo Sundgot-Borgen 1993a) Criteri assoluti: • Una perdita di peso che porta ad un peso corporeo del 5% inferiore al peso minimo normale per una data età e statura. • La mancanza di malattie organiche o d’altri disturbi, che possano spiegare la perdita di peso. • Timore eccessivo di ingrassare. • Rifiuto di alimentarsi (restrizione dell’apporto energetico a meno di 1200 kcal al giorno) • Disturbi gastroenterici Criteri relativi: • Alterazione dello schema corporeo • Comportamento diretto ad eliminare cibi solidi e fluidi ingeriti (vomito auto-indotto, lassativi, diuretici, ecc.). • Attacchi di voracità • Disturbi mestruali (oligorrea/amenorrea). • Pubertà ritardata • Forzata iperattività fisica Neumärker, Bartsch (1998) invitano a non considerare l’indice di massa corporea (Body Mass Index, BMI) a prescindere dalla costituzione fisica, raccomandando una “oggettivazione somatometrica della tipologia costituzionale attraverso l’indice metrico”. L’articolo di G. Fröhner, T. Bartsch pubblicato nel n. 53 di questa rivista, tratta ampiamente l’influenza della tipologia costituzionale sul rischio di anoressia. In breve, gli atleti che presentano una costituzione metromorfa ed un BMI inferiore a 18 sono maggiormente a rischio di anoressia degli atleti che, a parità di BMI, hanno una costituzione leptomorfa. Storlie (1991) propone di tenere conto della percentuale di grasso corporeo. Per quanto concerne gli uomini, la percentuale di grasso corporeo non dovrebbe scendere al di sotto del 510% nei ginnasti, corridori, nuotatori, lottatori, tennisti, calciatori e giocatori di pallacanestro e dell’11-15% negli atleti dell’atletica leggera, nei pesisti, nei giocatori di baseball e di football americano. Per quanto concerne le donne, Storlie consiglia una percentuale di grasso corporeo del 12-15%, se praticano ginnastica, balletto classico o corsa e del 15-20% se praticano altri sport. Metodi di ricerca Lo strumento di screening, abitualmente usato per individuare atleti a rischio di comportamento Vol.2 No.2 alimentare disturbato, è rappresentato da questionari standardizzati. Tali questionari sono composti da 64 domande a risposta chiusa sulla frequenza di determinate azioni e reazioni; per ciascuna domanda le persone devono fare una croce su una delle sei risposte possibili, che vanno da “sempre” a “mai”. Successivamente, le risposte vengono valutate assegnando un punteggio a ciascuna di esse. Le persone che superano un punteggio prestabilito, o che ottengono un punteggio simile ad un gruppo di controllo costituito da pazienti che presentano disturbi alimentari, vengono considerati “a rischio”. Lo Eating Attitude Test (EAT) rileva il rischio di anoressia restrittiva o bulimica, mentre lo Eating Disorder Inventory (EDI) rileva quello di comportamento anoressico o bulimico. Comunque non è possibile riuscire a fare una distinzione netta tra bulimia ed anoressia bulimica, per cui con le domande sul comportamento anoressico vengono rilevati solo i soggetti che presentano anoressia restrittiva (Walberg, Johnston 1991). Un altro svantaggio del metodo dei questionari è che non riesce a rilevare tutti coloro che sono colpiti da disturbi alimentari, poiché coloro che presentano disturbi alimentari manifesti, sono proprio quelli che più frequentemente forniscono risposte false o evitano di partecipare (O’Connor et al. 1995). In questo modo si finisce per sottostimare il numero delle persone a rischio. Di contro, utilizzando il concetto di soggetti “a rischio” si sopravvaluta l’esistenza di disturbi alimentari manifesti, in quanto non tutte le persone a rischio rispondono ai criteri diagnostici dei disturbi alimentari (Sundgot-Borgen, Larsen 1993a). Perciò per validare i risultati dell’Eating Disorder Inventory o dell’Eating Attitude Test viene raccomandata la combinazione con una intervista sulla base dei criteri del DSM o dell’IDC (Dale, Landers 1999) o con una intervista semistrutturata come la Eating Disorder Examination (Cooper, Fairburn 1987). Diffusione dei disturbi alimentari e sport a rischio La frequenza con la quale si presenta l’anoressia nervosa nelle adolescenti e nelle giovani donne dell’Europa occidentale viene stimata dallo 0,25 allo 0,5. Il rapporto tra uomini e donne va da 1 su 2 a 1 su 10 (Barry, Lippmann 1990), con una tendenza all’aumento. Di regola, le persone affette da questo disturbo cercano di conformarsi all’ideale corrente di magrezza. La diffusione della bulimia nervosa viene stimata dall’1,5 al 2,5%. Anche in questo caso le donne sono più colpite degli uomini. Generalmente mancano loro strategie adeguate di soluzione dei problemi della vita quotidiana. Informazioni più dettagliate su 19 Allenatri Vol.2 No.2 questa problematica si possono trovare in Schek (2001). Nello sport di alto livello sembra che i disturbi del comportamento alimentare si presentino con maggiore frequenza che nella popolazione normale. Anche qui, le più colpite sono le adolescenti e le giovani donne, ma l’obiettivo non è l’ideale di magrezza, quanto invece la prestazione sportiva. Dati attendibili sulla maggior frequenza di occorrenza di questo disturbo nelle atlete di alto livello emergono finora dall’unico studio controllato noto in letteratura, effettuato su un vasto campione di 522 atlete di alto livello norvegesi, appartenenti a trentacinque sport diversi e su 448 non-atlete, mediante la somministrazione di due questionari e lo svolgimento di un’intervista personale e di una indagine clinica (Sundgot-Borgen 1993). Oltre che dei criteri del DMS-III-R per diagnosticare l’anoressia e la bulimia nervosa, si è tenuto conto anche di criteri per diagnosticare l’anoressia atletica (tabella 1). Però i risultati vanno interpretati con una certa cautela per una serie di ragioni: 1. la definizione di anoressia atletica non ha una validità assoluta 2. le atlete sono state intervistate solo durante, ma non al di fuori, della stagione di gara e 3. a quanto pare sono state categorizzate come anoressiche solo le atlete affette da anoressia restrittiva. Nella tabella 2 viene fornito un quadro dettagliato dei risultati, mentre qui di seguito sono riportati solo i risultati più importanti: mentre l’11% delle non-atlete ed il 12% delle atlete nel questionario autonomamente compilato avevano indicato che soffrivano di disturbi alimentari, dall’intervista risultava che solo il 5% delle non-atlete, rispetto al 18% delle atlete, di fatto soffriva di disturbi alimentari: delle atlete, l’1,3% rispondeva ai criteri dell’anoressia nervosa, l’8% a quelli della bulimia nervosa ed l’8,2% a quelli dell’anoressia atletica. Secondo l’EDI il 22% delle atlete erano a rischio di sviluppare disturbi alimentari, ed il rischio più elevato si presentava negli sport “estetici” (34%), seguiti dagli sport in cui ci sono classi di peso (27%) e dagli sport di resistenza (20%). Negli stessi tipi di sport oltre il 50% delle donne soffriva di disfunzioni mestruali. Perciò l’Autrice arriva alla conclusione che le donne che praticano sport a livello agonistico nei quali viene richiesta magrezza o un determinato peso corporeo, rischiano di sviluppare disturbi alimentari e dismenorrea più delle donne che praticano altri sport o non praticano sport. Clasing et al. (1997) sono della stessa opinione, motivandola con il fatto che la prestazione in questi tipi di sport dipende, tra gli altri fattori, dal peso corporeo, che quindi deve essere mantenuto sotto controllo. Negli sport “estetici”, come la ginnastica e la danza, uno scarso peso corporeo favorisce l’esecuzione dei movimenti. Inoltre esiste la convinzione che con un corpo snello si possa ottenere un punteggio maggiore da parte della giuria. Negli sport di resistenza, come la corsa, uno scarso peso corporeo - o più precisamente una minore percentuale di grasso corporeo - a parità di VO2max assoluto significa un VO2max relativo più elevato e, quindi, un miglioramento della capacità di resistenza. Invece negli sport in cui ci sono classi di peso, come la lotta, diminuendo il peso si può ottenere un vantaggio, se l’avversario nella classe di peso immediatamente inferiore è relativamente più debole. Anche gli studi condotti negli anni ‘90 con un valido disegno sperimentale in alcune discipline sportive permettono di concludere che le atlete di alto livello degli sport “estetici”, degli sport di resistenza e di quelli con categorie di peso incorrono più frequentemente in disturbi alimentari e mestruali. Inoltre, le donne corrono maggiormente il rischio di essere sottopeso per lunghi periodi di tempo. Gli atleti che durante la stagione agonistica vogliono ridurre il proprio peso, come gli atleti degli sport di combattimento, i canottieri della categoria pesi leggeri, i fantini od i saltatori con gli sci, terminata la stagione generalmente aumentano di nuovo di peso. Solo saltuariamente vengono utilizzati metodi non salutari per ridurre il peso. Il comportamento alimentare dei culturisti e ciò che essi fanno per la loro immagine esteriore, in molti casi, sono simili a quelli delle persone che soffrono di disturbi alimentari. Però, a differenza di queste ultime, i culturisti attribuiscono maggiore importanza all’aumento della massa muscolare anziché che alla diminuzione del grasso corporeo. Per descrivere questo fenomeno è stato coniato il concetto di reverse anorexia (Pope et al 1993). Tabella 2 - Risultati di uno studio su atlete e non-atlete norvegesi realizzato nel 1993 Campione Risultati 20 Allenatri Vol.2 No.2 • il 31% delle atlete ed il 27% delle non praticanti seguivano una dieta, perché il 73% delle atlete voleva migliorare i suoi risultati e l’83% delle non praticanti voleva migliorare il loro aspetto. • il BMI delle atlete (20,8 kg/m2) era minore di quello delle non praticanti (21,5 522 atlete e 448 non kg/m2); atlete (sono inclusi 35 sport o 6 tipologie • un numero di atlete (11%) maggiore delle non praticanti (7%) ricorreva a metodi non salutari di di sport*) controllo del peso. Tra essi il più citato era il digiuno • il 12% delle atlete e l’11% delle non praticanti pensavano di soffrire di disturbi alimentari. • il 22% delle atlete ed il 26% delle non-atlete erano a rischio di disturbi alimentari; • negli sport “estetici” (34%) ed in quelli con categorie di peso (27%) il rischio era 522 atlete e 448 nonpiù elevato che negli sport di resistenza (20%), negli sport tecnici (13%), negli atlete 6 tipologie di sport con la palla (11%) e negli sport di forza (6%); sport • le atlete più magre si trovavano nel gruppo degli sport estetici (BMI 18,8 kg/m2) e di resistenza (22%). 348 atlete (67%) e 303 non-atlete (68%) che non facevano uso di contraccettivi orali • il 54% delle atlete a rischio di disturbi alimentari, il 41% di quelle non a rischio ed il 36% delle non-atlete a rischio ed il 23% di quelle non a rischio presentavano disfunzioni mestruali (oligomenorrea/amenorrea); • le atlete degli sport di resistenza (62%), di quelli estetici (60%) e di quelli con categorie di peso (50%) risultavano presentare disturbi alimentari piu’ frequentemente delle atlete praticanti sport tecnici (37%), con la palla (28%) o di forza (22%). • il 18% delle atlete ed il 5% delle non-atlete presentavano disturbi alimentari; • le atlete praticanti sport nei quali viene posto l’accento sulla snellezza e su un 103 atlete (20%) e 30 determinato peso, erano più colpite (25%) di quelle praticanti altri sport (12%); 7 non-atlete (7%) a atlete (1,3%) rispondevano ai criteri dell’anoressia nervosa, 42 (8%) a quelli della rischio di disturbi bulimia nervosa e 43 (8,2%) a quelli dell’anoressia atletica; 11 (2,1%) non alimentari potevano essere classificate:40 atlete affette da bulimia nervosa e 15 affette da anoressia atletica riferivano di attacchi di voracita’ e di far uso di mezzi per eliminare cibi e fluidi ingeriti. * Sport di tipo tecnico: sci alpino, bowling, golf, equitazione, tiro, vela, paracadutismo, atletica leggera, salto in alto e in lungo; sport di resistenza: biatlon, sci di fondo, ciclismo, corsa su slitta, orienteering, marcia, cannottaggio, pattinaggio, nuoto, atletica leggera: fondo e mezzofondo; sport di tipo estetico: tuffi, Invece, alcuni studi che risalgono agli anni ‘80 delle meta-analisi in proposito si trovano in McArdle (1999) ed in Wilmore (1991) - forniscono risultati in parte contrastanti. Nella maggior parte dei casi ciò è dovuto alla scarsa numerosità del campione ed alla mancanza di gruppi di controllo. Conseguenze negative per la salute I risultati di molti studi permettono di supporre che gli atleti di alto livello, spesso, con l’alimentazione assumono la stessa quantità, od addirittura una quantità minore di energia delle persone di riferimento della stessa età, sebbene si muovano di più e quindi utilizzino una maggiore quantità di energia (tabella 3). In passato, nel caso di atleti il cui (minore) peso corporeo non diminuiva malgrado un evidente bilancio energetico negativo, si supponeva che il loro organismo utilizzasse l’energia assunta con gli alimenti in modo più efficace (Brownell et al. 1987). o oppure che economizzassero l’energia della quale disponevano (Mulligan, Butterfield 1990). Però , non è stato possibile confermare questa ipotesi della “conservazione dell’energia”, attraverso ricerche sull’utilizzazione dell’energia durante l’attività sportiva, il metabolismo basale e l’effetto termico di un pasto (Wilmore et al. 1992). Gli Autori attribuiscono la discrepanza tra l’apporto di energia calcolata in base ad un protocollo (questionario sull’alimentazione) alimentare e l’apporto atteso di energia, essenzialmente al fatto che gli atleti nel riempire questo protocollo riferiscono meno di ciò che in realtà assumono. Ma anche se si tiene conto di ciò una parte non irrilevante degli atleti, che mantengono costante un peso basso o diminuiscono di peso, assumono 21 Allenatri Vol.2 No.2 meno energia del quanto sarebbe necessario per garantire un apporto sufficiente di tutti i nutrienti. A lungo termine questo rifornimento di energia inferiore al necessario porta ad una sottoalimentazione o ad una alimentazione carente. Negli atleti di alto livello è considerato problematico sopratuttto l’apporto di ferro (Van Erp-Baart 1989), di calcio e di vitamina D (Sundgot-Borgen 1993b). Nelle praticanti ginnastica artistica e nelle ballerine, la quantità di questi micronutrienti che viene assunta non raggiunge il 67% (Loosli et al. 1986) od il 75% (Cohen et al. 1985) dei livelli di assunzione raccomandati. Ciò è provocato dallo scarso consumo di carne, di latte e latticini, che si può osservare spesso nelle atlete sottopeso (alimentazione vegetariana). A lungo andare una carenza di ferro porta all’anemia, ed una mancanza di calcio e di vitamina D all’osteoporosi. Quest’ultima viene rafforzata da una carenza di estrogeni, come avviene nel caso di un’oligomenorrea e soprattutto dell’amenorrea. Queste disfunzioni mestruali, a loro volta, possono essere la conseguenza di disturbi alimentari o dello stress psichico e fisico a ciò collegato (Mansfield, Emans 1989). Nel caso che si presentino contemporaneamente disturbi alimentari, amenorrea ed osteoporosi si parla di triade atletica, descritta dettagliatamente da Putukian (1994) in un articolo di rassegna. Un’alimentazione carente in generale, una diminuzione del contenuto osseo di minerali e la tendenza a fratture da stress che ne risulta, in particolare, hanno per conseguenza che non si riesce a mantenere l’optimum di prestazione. Da ciò ne può derivare un’interruzione della carriera sportiva. Come dimostrato dalla casistica: “anche dopo un trattamento psicosomatico, forme progredite di anoressia non possono più portare allo sport di alto livello” (Jakob et al. 1996). Un allenamento di volume elevato prima del menarca, cioé un allenamento che preceda l’inizio della pubertà, può condurre a ritardi nello sviluppo. Comunque ciò interessa soltanto ragazze particolarmente snelle e nelle quali, per fattori genetici, la puberta si presenta in ritardo, come quelle che si trovano soprattutto negli sport estetici (Marx 1996). Nel caso dell’anoressia nervosa, il dimagramento può arrivare ad un punto tale che si incorre nella morte per fame. Anche la bulimia nervosa può condurre alla morte. Le cause possono essere dovute ad una profonda alterazione del bilancio degli elettroliti (ad esempio, una diminuzione del contenuto del potassio nel sangue), come quella che viene provocata dalla ripetizione quotidiana di vomito provocato, associata all’abuso di purganti e diuretici. A causa del vomito di succo gastrico acido le persone bulimiche soffrono spesso di infiammazioni dell’esofago, di lesioni dentarie e di gonfiore delle ghiandole salivari. Le persone anoressiche mostrano spesso una temperatura corporea bassa, un abbassamento della pressione arteriosa, accumulo di acqua nei tessuti, alterazioni nella crescita dei capelli e delle unghie e variazioni nell’emogramma (Hänsel 1995). Informazioni più particolareggiate sulle conseguenze dannose per la salute di questi disturbi alimentari possono essere reperite in McArdle et al. (1999) e Johnson (1994). Tabella 3 – Studi attuali sull’assunzione di calorie in vari sport Sport Valori consigliati a sportivi Campione Uomini (15-24 anni) Donne (15-24 anni) Sport di resistenza 24 donne Corse di fondo 33 donne con ciclo regolare Corse di fondo 14 amenorroiche Sport estetici 22 donne Ginnastica ritmica 12 donne Ginnastica artistica 11 donne Balletto 10 donne con ciclo regolare Balletto 10 amenorroiche Sport tecnici 13 donne Sport con categorie di peso 11 donne Culturismo 4 donne Culturismo 8 uomini Judo 4 uomini Sport con la palla 21 donne IMC kg/m2 23,0 21,5 Ass. giornaliera di energia kcal/kg 42-46 39-42 18,7 19,0 18'0 16,2 16,2 18,8 19,1 18.5 19,3 21,2 21,4 28,6 25,9 21,3 41,6 37.3 33,7 36,3 35,5 37,7 33,2 30,1 38,1 38,2 26,3 37,5 37,5 42,5 22 Allenatri Pallavolo 9 donne Pallamano 8 donne Hockey 9 donne (Van Erp-Baart et al. 1989) Prognosi e terapia Nel caso dell’anoressia atletica la remissione è sicuramente possibile, anche senza ricorrere ad un medico (Jakob et al. 1996). La prognosi di recupero di un peso corporeo normale è molto buona, in quanto, a differenza dall’anoressia nervosa la perdità di peso corporeo non è riconducibile a profondi problemi cronici (Smith 1980). Il quadro è diverso nei disturbi alimentari. Si può calcolare che la guarigione dall’anoressia nervosa sia possibile al massimo per solo il 35% delle persone che ne sono affette. Un miglioramento dei sintomi si presenta nel 30-40% dei casi. La sua cronicizzazione viene calcolata al 20-40%, e la mortalità al 15%. Una prognosi negativa è rappresentata, tra l’altro, da un inizio della malattia dopo i 18 anni d’età , un suo decorso prolungato e la mancanza di un suo trattamento. Lo stesso vale per la bulimia nervosa, che, in particolare, rende necessario un allontanamento dalla famiglia d’origine. Senza un aiuto qualificato le possibilità di guarigione sono molto scarse (Hänsel 1995). La terapia dei disturbi alimentari richiede un intervento interdisciplinare, nel quale vi deve Diagnosi precoce e prevenzione Se si vuole aiutare rapidamente un/a atleta che tende a disturbi del comportamento alimentare è necessario riconoscerne correttamente i primi segni e prenderli sul serio. Nella tabella 4 sono riassunti i segnali d’allarme di un comportamento anoressico o bulimico. Se vengono rilevati, l’atleta deve confrontarsi con essi ed essere inviato a specialisti qualificati. Poiché atleti anoressici, il cui peso corporeo non è più conciliabile con una prestazione sportiva ad alto livello, si allontana dallo sport e, tra l’altro, deve essere sottoposto ad una terapia a lungo termine sono assolutamente necessarie delle misure preventive. Al primo posto c’è la necessità che l’atleta sia cosciente di quanto è importante, per la sua salute e la sua capacità di prestazione sportiva, una alimentazione che copra il suo fabbisogno di energia, che sia ricca di carboidrati e varia. Questa spiegazione può essere fornita dai genitori, dall’allenatore dagli insegnanti o dal medico. Per controllarne l’applicazione è opportuno controllare l’apporto di calorie e di nutrienti, eventualmente sotto forma di un diario alimentare giornaliero, la cui valutazione dovrebbe Vol.2 No.2 21,8 22,9 22,5 33,4 33,9 34,6 essere una collaborazione tra psicoterapeuta, dietologo e medico. Nel trattamento dei problemi psichici che ne sono alla base si è mostrata efficace la terapia comportamentale, che va preferita alla psicoanalisi (Hänsel 1995). Per la normalizzazione del peso corporeo e del rapporto con gli alimenti si possono utilizzare protocolli alimentari per il self monitoring soprattutto dell’apporto calorico combinati con un corso anti-dieta, che migliorano la parcezione della sensazione di fame e di sazietà e dovrebbero liberare i comportamenti alimentari dall’influenza di fattori (emotivi) esterni (Rief et al. 1991). Per la rimineralizzazione delle ossa, anche nelle atlete con anoressia atletica, si consiglia una terapia sostitutiva con ormoni sessuali femminili (estrogeni) calcio e vitamina D (Platen et al. 1991), anche se le perdite di massa ossea non sono completamente reversibili (Putukian 1994). In ogni caso occorre fare molta attenzione che l’ambiente che circonda i pazienti li tratti con rispetto, tolleranza, correttezza e sopratutto con pazienza e non esprima nè comprensione nè disapprovazione (McArdle et al. 1999). essere affidata a degli specialisti in alimentazione. Tutti gli interessati dovrebbero evitare assolutamente di pesarsi regolarmente, soprattutto in gruppo e di commentare il peso corporeo e la figura. Se per migliorare la prestazione è inevitabile una moderata riduzione di peso, è opportuna la consulenza di uno specialista in alimentazione ed il peso che si deve raggiungere non deve essere troppo basso. É auspicabile che una moderata riduzione dell’energia assunta avvenga sotto forma di incremento del consumo di ortaggi, insalata, frutta con una contemporanea riduzione dell’assunzione di grassi. Va evitato di digiunare, di fare diete molto restrittive e calcoli delle calorie, come vanno vietate tutte quelle misure, come purghe e lassativi, dirette a “fare il peso”, prima delle gare (Lindman 1994). Nella tabella 5, ancora una volta, sono riassunti questi consigli per l’allenatore. 23 Allenatri Lo sport, ad un livello elevato di prestazione, soprattutto in quelle discipline nelle quali l’accento viene posto sulla snellezza può portare alla fissazione verso un basso peso corporeo e ne possono derivare disturbi del comportamento alimentare (che comprendono anche mezzi non sani di controllo del peso). Questa cosidetta anoressia atletica non deve essere confusa con l’anoressia nervosa (restrittiva o bulimica), una malattia psicosomatica, che è anch’essa legata ad un peso inferiore al normale, ma si presenta solo in persone predisposte verso di essa, che del Vol.2 No.2 resto si trovano anche in ambiente sportivo. Rispetto all’anoressia nervosa, che non sempre può essere curata anche con un trattamento psicoterapeutico, l’anoressia atletica è di natura transitoria. Fuori dalla stagione di gara, al più tardi alla fine della sua carriera sportiva, l’atleta ritorna ad un comportamento alimentare “normale”. Però, non si debbono sottovalutate le conseguenze sulla salute, soprattutto sulla densità delle ossa, di una sottoalimentazione protratta per vari anni. Perciò una persona interessata da questi problemi è sempre una di troppo! Per riassumere: non si deve né fare finta di nulla né creare tabù, ma occorre discutere ed informare! 24 Allenatri Vol.2 No.2 Tabella 4 – Segnali di disturbi alimentari Comportamento anoressico Comportamento bulimico Diminuzione del peso fino a quello inferiore al peso Ampie e ripetute oscillazioni del peso in periodi ideale di gara, che rimane costante anche fuori della brevi di tempo. stagione di gara. Continui commenti sul proprio essere grassi anche se il peso è al di sotto della norma. Autocritiche crescenti per il proprio aspetto ed il proprio peso Insoddisfazione per il proprio aspetto (cosce, glutei, Occuparsi eccessivamente del peso, del volume e anche) e per proprio peso corporeo, dei quali si parla della composizione del corpo. continuamente. Azioni rituali e continua preoccupazione per gli alimenti, le diete ed il numero di calorie. Non mangiare con gli altri e rubare alimenti Tentativi di evitare ogni occasione di mangiare Nessuna “orgia” di cibo in presenza di altre persone insieme agli altri (ad esempio, compagni di squadra Riferire di sensi di colpa dopo avere mangiato Paura di non riuscire a smettere di mangiare. Estremo interesse per le abitudini alimentari altrui. Assentarsi regolarmente poco dopo mangiato, soprattutto dopo avere mangiato grandi quantità di cibo. Rifiuto di mangiare quantità maggiori per aumentare Occhi arrossati, soprattutto dopo essere andati di peso. nella stanza da bagno, nella doccia, alla pattumiera, ecc. Bere continuamente limonate leggere od acqua , Cattivo odore dopo avere vomitato nella toiletta pattumiera, ecc. Masticare gomma nella stanza da bagno, nella doccia. Allenamento forzato, anche al di là della quantità di allenamento stabilita. Fasi d’eccessiva restrizione d’assunzione di calorie e/o attività sportiva eccessiva. Lamentele frequenti di stitichezza. Uso eccessivo di lassativi e diuretici. Senso di vertigine, disturbi dell’equilibrio, Mangiare quando si è di cattivo umore, ad esempio per senso di solitudine. Cambiamenti frequenti d’umore senza una ragione evidente. Ritenzione idrica, che non è spiegabile con l’edema Problemi personali o familiari di alcool o droga. premestruale. Amenorrea; fratture da stress. Oligomenorrea Tabella 5 - I consigli per l’allenatore formulati dal Comitato Olimpico Statunitense Ø Non sopravvalutare gli effetti positivi di uno scarso peso corporeo sulla prestazione sportiva. Ø Porre obiettivi realistici per quanto riguarda il peso da raggiungere, i metodi e la velocità della riduzione del peso. Ø Mettere in risalto il ruolo svolto da un’alimentazione corretta e completa per la capacità di prestazione e la carriera dell’atleta. Ø Non parlare mai in termini positivi di diuretici e lassativi. 25 Allenatri Vol.2 No.2 Conoscere gli elementi psicofisiologici di prevenzione di comportamenti a rischio. La regolazione degli stati corporei interni Gli stati interni sono in un equilibrio "dinamico" ovvero sono sempre in atto dei meccanismi di regolazione ed aggiustamento. Il metabolismo basale è la quantità di energia che il corpo utilizza quando è a riposo. Per i mammiferi e per gli esseri umani è piuttosto alto in quanto viene spesa tanta energia per mantenere costante la temperatura corporea. Altre Classi di animali come ad esempio i pesci, i rettili e gli anfibi, che non devono mantenere costante la temperatura corporea bruciano meno energia per il metabolismo basale, andando incontro a tutta una serie di "problemi" diversi. OMEOSTASI Insieme di processi biologici che operano al fine di mantenere costanti certe variabili del corpo all’interno di un intervallo di riferimento. In alcuni casi abbiamo un intervallo di riferimento, in altri casi appena la variabile si allontana dal valore di riferimento, si mettono in azione dei meccanismi di tipo compensatorio. In questo caso si parla di vero e proprio punto stabilito. Es. meccanismi che mantengono costanti nel sangue i livelli di acqua, ossigeno, glucosio, cloruro di sodio, proteine, lipidi, pH. Nei mammiferi la regolazione della temperatura, della sete e della fame sono processi in parte omeostatici. Infatti non solo agiscono per mantenere l’equilibrio ma spesso anticipano bisogni futuri in maniera tale da prevenire grossi squilibri che richiedono grossi sforzi per la compensazione. Es. se vi trovate in una situazione pericolosa che potrebbe richiedere al vostro corpo un aumento di attività notevole, iniziate a sudare ancor prima di cominciare a muovervi (sudore freddo). I valori di riferimento per la temperatura del corpo, per la quantità di grassi e per le altre variabili non sono fissi ma cambiano a seconda del momento della giornata, del periodo dell’anno e di altri fattori. Esiste anche una notevole variabilità da specie a specie e da classe a classe, legata ai diversi habitat e abitudini e alle caratteristiche fisiologiche peculiari di ogni gruppo. Es. uccelli – elevato metabolismo e temperatura media di circa 40-41°C contro i 37°C dei mammiferi. Variabilità del range di temperatura anche a seconda del tipo di cellule prese in considerazione. Es. cellule riproduttive richiedono un ambiente leggermente più freddo. In molti mammiferi lo scroto si trova all’esterno del corpo. I criptorchidi manifestano problemi comportamentali. Antichi metodi contraccettivi del 1800 prevedevano il riscaldamento dello scroto al fine di evitare il concepimento. Le donne incinte non devono fare bagni troppo caldi e dovrebbero evitare di esporre il feto ad un calore eccessivo. REGOLAZIONE DELLA NUTRIZIONE La regolazione dell’assunzione di cibo nell’uomo è un compito complicato poiché abbiamo bisogno di una dieta equilibrata e di diverse sostanze nutritive. APPARATO DIGERENTE Bocca, lingua, denti, ghiandole salivari, esofago, stomaco, fegato e cistifellea, pancreas, intestino tenue, intestino crasso. La funzione dell’apparato digerente è quella di scindere gli alimenti in molecole facilmente utilizzabili. La digestione inizia in bocca dove la saliva contiene degli enzimi capaci di scindere i carboidrati. Il cibo viaggia verso lo stomaco attraverso l’esofago. Nello stomaco viene mescolato con l’HCl e altri enzimi, efficaci nella digestione delle proteine. Il materiale gastrico passa a livello intestinale un po’ alla volta. Lo stomaco quindi serve sia come organo di digestione che come organo di deposito del cibo. A livello di intestino tenue si ha la digestione dei grassi delle proteine e dei carboidrati. E’ anche il tratto dell’apparato digerente lungo il quale avviene l’assorbimento dei principi nutritivi che passano quindi a livello ematico. L’intestino crasso assorbe acqua ed elettroliti e lubrifica i materiali di rifiuto che vengono eliminati sotto forma di feci. Se viene assorbita una quantità di carboidrati, di proteine e di grassi superiore a quello che il corpo può utilizzare, questo eccesso viene immagazzinato sotto forma di tessuto adiposo. Il tessuto adiposo è soggetto ad un continuo ricambio ed il suo mantenimento rappresenta in ogni modo un costo metabolico per l'organismo. FISIOLOGIA DELLA FAME E DELLA SAZIETA’ Abbiamo dei meccanismi endogeni che ci dicono quando iniziare a mangiare e quando smettere. Funzionano bene nella maggior parte dei casi anche se un eccesso di disponibilità alimentare fa sì che certi individui non riescano ad adattare l’assunzione di cibo ai loro effettivi bisogni. 26 Allenatri Stimoli dal cavo orale Quando un animale mastica non giungono solo informazioni di tipo gustativo ma anche di tipo tattile che si originano dalla mucosa orofaringea. Stimoli dallo stomaco Effetto stomaco pieno si manifesta molto prima che i principi nutritivi ingeriti passino a livello ematico. Quindi dallo stomaco partono segnali nervosi che originano a livello cerebrale una sensazione di sazietà anche se il cibo non è ancora arrivato a livello di tenue. In ogni caso ci si sente più sazi quando si mangiano cibi ipercalorici rispetto a quando si mangia un’insalata. Ciò è legato al tempo di permanenza a livello stomacale e anche al fatto che lo stomaco rileva il loro contenuto nutritivo. Stimoli a livello d’intestino tenue (duodeno) Tenue preposto all’assimilazione di vari principi nutritivi. Quando il contenuto gastrico inizia a passare nel tenue di solito si smette di mangiare. Il tenue rilascia la colecistochinina (CCK) che gioca un ruolo importante nella sensazione di sazietà e inoltre blocca un ulteriore reflusso di contenuto gastrico a livello intestinale. Vol.2 No.2 MECCANISMI CEREBRALI CHE CONTROLLANO L’ASSUNZIONE DI CIBO Lesione all’ipotalamo laterale: diminuzione dell’assunzione di cibo e perdita di peso. Questa struttura influenza altre aree del cervello che controllano il gusto, la salivazione, l’ingestione e la deglutizione, i comportamenti appetitivi di ricerca del cibo. Lesione ipotalamo ventromediale fa aumentare la frequenza dei pasti. Lesione nucleo paraventricolare fa aumentare la quantità di cibo ingerito ad ogni pasto. L’assunzione di cibo, almeno per i carboidrati, dipende dalla competizione fra vari neurotrasmettitori e diversi ormoni i cui effetti sull’ipotalamo sono in competizione uno con l’altro. Il controllo del peso Il controllo del proprio peso deve essere un'operazione normale senza diventare ossessiva. Non si controlla il peso per il timore di essere aumentati (posizione negativa), ma per la GLICEMIA Molti dei principi nutritivi che vengono assimilati entrano nel flusso ematico sotto forma di glucosio, il quale rappresenta un’importante fonte di energia per il corpo ma soprattutto per il cervello. L’assunzione di cibo è in gran parte controllata dalla disponibilità di glucosio e di altre sostanze nutritive nelle cellule. La fame e la sazietà quindi si basano sulla disponibilità di tutti i tipi di sostanze nutritive. Per quanto riguarda il glucosio i suoi livelli sono tenuti costanti attraverso dei meccanismi ormonali legati a due ormoni pancreatici. L’insulina facilita l’ingresso nelle cellule di glucosio le quali lo utilizzano o lo immagazzinano sotto forma di glicogeno o lipidi mentre il glucagone ha l’effetto contrario, ovvero stimola il fegato a convertire il glucosio in glicogeno immagazzinato e fa aumentare la glicemia. Metabolismo basale Peso corporeo = rapporto tra energia utilizzata e curiosità scientifica di scoprire come lavora il proprio corpo e sapere quindi gestirlo a meglio. Il nostro corpo è infatti costituito da: • ossa e organi interni, • muscoli, • riserve di carboidrati (glicogeno), • grasso, • acqua. Ossa e organi interni Nel breve-medio periodo il peso delle ossa e degli organi interni è costante e non ha senso quindi considerarlo potenzialmente variabile nel controllo della propria massa. Ciò che può cambiare è il contenuto dell'intestino: se un soggetto a dieta si abbuffa, il giorno dopo rileverà un aumento principi nutritivi ingeriti. considerevole di peso. In realtà questo aumento è La maggior parte delle calorie che consuma il nostro corpo è utilizzata per il metabolismo basale. fittizio, perché in gran parte è dovuto al maggior contenuto intestinale (rispetto alla situazione di normalità). L'intestino risulta cioè sovraccarico 27 Allenatri Vol.2 No.2 rispetto alla situazione standard e il peso aumenta tutta l'acqua legata ai muscoli persi. Ovviamente finché non si sia ristabilita la situazione (cioè non è una buona strategia. Quindi:ogni individuo praticamente non si pesano solo le calorie dei cibi dovrebbe conoscere la propria percentuale di assunti in più, ma anche le scorie che le massa grassa. accompagnano negli alimenti). Il discorso può essere ulteriormente compreso se il soggetto si pesa dopo aver mangiato 2 kg di mele (ammesso che ci riesca!). Le mele apportano circa 900 kcal che tradotti in grassi fanno 100 g; considerando Non hanno pregio metodi che usano misurazioni alla vita, alle cosce ecc. perché danno per scontato che la muscolatura del soggetto non cambi. Questi metodi volumetrici non fanno cioè differenza fra grasso e muscolo. l'acqua che resterà legata ai grassi il soggetto Riserve di carboidrati (glicogeno) aumenta di 200 g e non dei 2 kg che segna la Questa variabile è considerata da pochi perché il bilancia appena finito il pasto. Nel tempo verranno glicogeno immagazzinato nei muscoli e nel fegato eliminate le sostanze non necessarie (acqua, non supera in genere lo 0,7% del peso corporeo fibre, prodotti di rifiuto della digestione delle mele dell'individuo. Il corpo è cioè in grado di ecc.). immagazzinare carboidrati in quantità limitata, Muscoli Sono funzione della dieta (se per esempio è ipocalorica si bruciano anche i muscoli) e dell'esercizio fisico che tende a incrementarli. La percentuale di massa magra deve essere stimata con precisione usando una bilancia impedenzometrica affidabile. Solo così si può realmente valutare se un dimagrimento è reale (perdita di grasso) o è fittizio (perdita di muscoli, l'individuo diventa magro, ma "debole"). Questo concetto sfugge alle mentalità anoressiche che considerano solo il peso e non la percentuale di grasso del proprio corpo. Occorre tener presente che nei muscoli l'acqua arriva al 65-70% per cui se si usa una dieta ipocalorica che fa perdere muscoli si perde peso facilmente perché si perde sufficiente per esempio per compiere uno sforzo pari a una corsa di circa 30 km. Quando queste riserve diminuiscono il soggetto spesso si sente stanco e svuotato. Anche in questo caso, diete ipocaloriche possono portare a una condizione permanente di riserve di glicogeno basse. Ciò crea una condizione di dimagramento fittizia. Infatti supponiamo un atleta che compia un grosso sforzo fisico, per esempio corra al massimo delle sue possibilità per 10 km; se lo sforzo è molto intenso, il substrato utilizzato è rappresentato quasi totalmente dai carboidrati. Poiché un g di glicogeno lega 2,7 g di acqua e apporta 4 kcal, un atleta di 70 kg che consuma per la gara sui 10 km 700 kcal ca. avrà bisogno di 175 g di glicogeno, cioè perderà circa 650 g 28 Allenatri Vol.2 No.2 (considerando anche l'acqua legata al glicogeno), dimagrire facendo sport si legga l'articolo a prescindere dall'acqua che perderà per problemi corrispondente. di termoregolazione (quantità che per sforzi massimali è sicuramente notevole, cioè l'atleta suderà molto). Per sforzi massimali pertanto si vedrà un dimagramento fittizio notevole, in quanto Grasso Chi controlla frequentemente il peso corporeo lo il glicogeno viene ripristinato solo dopo un certo fa spesso nel timore di ingrassare molto. Questo tempo. timore a breve è del tutto infondato. Poiché un g Se lo reintegro con le stesse calorie perse dopo di grasso lega il 50% di acqua e apporta 9 kcal, parecchie ore (diciamo un giorno al massimo, per ingrassare di 3 kg occorre immagazzinare 1,5 dipende dall'indice glicemico degli alimenti), kg di grasso, cioè assumere 1.500*9=13.500 kcal. ritorno al peso iniziale. Se reintegro con meno Assumere 13.500 kcal in più (rispetto alla normale calorie, le scorte si rigenereranno con minore alimentazione) in una settimana (cioè circa 2.000 velocità (e in questo periodo le prestazioni kcal al giorno) è praticamente impossibile, a meno saranno inferiori per motivi energetici, soprattutto di non partecipare a cenoni, matrimoni e abbuffate se lo sforzo è prolungato), verranno bruciati grassi varie. per le attività meno intense e si dimagrirà stabilmente, ma meno di quanto verificato Acqua La quantità d'acqua che è presente nel nostro immediatamente dopo lo sforzo. Per concludere corpo è notevole per cui, nonostante i meccanismi l'esempio se il nostro atleta che ha speso 700 di regolazione, è possibile avere una certa calorie, appena reidratato (cioè dopo che ha variabilità senza che il soggetto manifesti sintomi bevuto e ha recuperato l'acqua persa) vedrà un preoccupanti. Un modo (stupido) di barare sul dimagramento fittizio di 650 g; se ripristina proprio peso è forzarsi a non bere oppure fare solamente 400 kcal, quando le varie attività fisica coprendosi moltissimo per sudare il trasformazioni fra macronutrienti che l'organismo più possibile. Barando sull'acqua, si può variare il sa gestire si sono concluse, avrà perso solo 66 g proprio perso in su (si beve troppo, il che accade (infatti 700-400 kcal=300 kcal; poiché 300 kcal molto raramente) o in giù (si beve troppo poco e equivalgono a 300/9=33 g di grassi, con l'acqua non si reintegra il sudore perso) fino legata dai grassi si arriva a 66 g). Come si vede il 2 kg per un soggetto di circa 70 kg. dimagramento fittizio è notevole. Per capire come Esistono anche altri fattori oltre al semplice bere che possono agire sull'acqua del nostro corpo: 29 Allenatri Ø l'assunzione di integratori volumizzanti (che causano un incremento di volume delle cellule ritenendo acqua) come la creatina e la glutammina; Ø l'assunzione di cibi (in particolare quelli salati o ricchi di glutammato di sodio, tipico per esempio della cucina cinese) che inducono un maggior consumo d'acqua che verrà poi eliminata una volta eliminato il sodio contenuto negli alimenti. Ø l'assunzione di farmaci (per esempio gli antinfiammatori che inibendo l'azione delle prostaglandine facilitano la ritenzione idrica). Le tre leggi dell'alimentazione Non è possibile proporre un modello alimentare valido demonizzando un cibo o un gruppo di cibi. Infatti ogni cibo ha proprietà che si perdono una volta che venga demonizzato. Troppi studi scientifici dicono cosa fa male: è banale dimostrare che ogni cibo ha controindicazioni, proprio come i farmaci. Solo che ragionando in termini negativi non si fa altro che disorientare il consumatore. Una ricerca seria deve trovare leggi alimentari che non demonizzano, ma che, se seguite, risolvono AUTOMATICAMENTE ogni problema. Lo scopo di quest’articolo è appunto di proporne un insieme coerente e concreto. Prima legge dell'alimentazione - Il regime alimentare deve portare il soggetto ad avere una massa grassa inferiore al limite di sovrappeso. Questa legge sembra semplice e banale, ma è la legge antiobesità: è inutile fare esperimenti e statistiche su soggetti sovrappeso, quando si sa ormai per certo che l'obesità è un fattore di rischio per moltissime patologie. Uno stesso alimento assunto da persone obese fa maggiori danni che se assunto da persone con la corretta massa grassa. Ciò evita di demonizzare un alimento, come per esempio i grassi saturi di origine animale: per avere una massa grassa corretta non è possibile che il soggetto assuma una quantità pericolosa di grassi saturi, comportamento tipico di chi normalmente ha un'alimentazione errata. Qual è il limite di sovrappeso? È su questo limite che gli scienziati devono discutere. La dieta italiana fissa parametri molto precisi. Seconda legge dell'alimentazione - Il regime alimentare deve rispettare la corretta ripartizione dei macronutrienti. Vol.2 No.2 Anche in questo caso non si demonizza nessun cibo, ma si stabiliscono intervalli ragionevoli in cui il soggetto può muoversi. Compito dello studioso è fissare per le caratteristiche del soggetto la sua ripartizione ottimale, all'interno della quale il soggetto è libero di muoversi. Non è sensata l'affermazione (negativa): "Mangiate pochi grassi", perché ottiene lo scopo di portare il soggetto ad abbuffarsi di carboidrati, tanto "sono i grassi che fanno ingrassare". È invece sensata un'affermazione del tipo: "la percentuale di grassi nella dieta deve essere del 30%". Per esempio la dieta italiana consiglia una ripartizione del tipo 50% carboidrati, 20% proteine, 30% grassi. Si può discutere la ripartizione, ma non il singolo alimento! Terza legge dell'alimentazione - Il regime alimentare deve rispettare gli intervalli consigliati per i micronutrienti. La situazione attuale è di fissare per i micronutrienti (vitamine, minerali ecc.) una dose giornaliera consigliata. Quando si fa un esame del sangue, vicino ai nostri valori troviamo un intervallo di normalità. L'errore che molti commettono quando parlano di integrazione è che per una data sostanza danno un valore fisso, come se tutti noi fossimo uguali. La glicemia può variare di quasi un 100% in un individuo giudicato normale (da 60 a 110 mg/dl). Perché la RDA di vitamina E deve essere 30 mg? A prescindere dal valore, è sbagliato il concetto: a causa delle differenze fra gli individui (e del loro metabolismo) non è scientifico fissare un valore consigliato. Cosa cambia fissando un intervallo? Se il valore di normalità della glicemia fosse 80, praticamente tutti dovrebbero ricorrere al medico, o perché sotto tale valore o perché sopra. Fissando un intervallo, il soggetto è libero di muoversi senza dover far caso a ricerche assurde, tipo quelle che dicono che se si mangia un piatto di pasta il rischio di cancro all'organo x è del 12%, se se ne mangiano due è del 12,5%! Grande scoperta o giochino per scienziati che non vinceranno mai il Nobel? Fate voi. Anche in questo caso, compito dello scienziato non è demonizzare questo o quel cibo, quanto fissare intervalli di normalità per i micronutrienti. Concludendo, solo con affermazioni positive (con le negazioni implicite nel rispetto delle affermazioni positive), senza demonizzare nulla, è possibile fare una seria e proficua informazione alimentare. 30 Allenatri Bibliografia Barry A., Lippmann S. B., Anorexia nervosa in males, Postgraduate Med., 1990, 87/8, 161164. Brownell K. D., Steen S. N., Wilmore J. H., Weight regulation practices in athletes: analysis of metabolic and health effects, Med. Sci. Sports Exerc. 19, 1987, 546-556. Clasing D., Herpertz-Dahlmann B., Marx K., Die eßgestörte Athletin, Dtsch. Arztebl., 94, 1997, A-1998-A-2002. Cohen J. L., Potosnak L., Frank O., Baker H., A nutritional and hematologic assessment of elite ballet dancers, Physician Sportsmed., 13, 1985, 5 , 43-50, 54. Cooper Z., Fairburn C., The eating disorder examination: a semi-structured interview for the assessment of specific psycholpathology of eating disorders, Int. J. Eat. Disord., 6, 1987, 1-8. Dale K. S., Landers D. 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I meccanismi psicofisiologici della regolazione del peso. 32 Allenatri Vol.2 No.2 IL MODELLO FISIOLOGICO DEL TRIATHLETA MODERNO (FRAZIONE PODISTICA) di Paolo Scalabrini – Tecnico Fitri INTRODUZIONE Lo scopo della trattazione è di svolgere una breve analisi dei concetti fondamentali che caratterizzano gli aspetti fisiologici coinvolti nella specialità dei 10.000 metri dell’atletica leggera e le differenze peculiari presenti nella stessa distanza del triathlon su distanza olimpica. 1. Atletica allenamento leggera maestra Gare tattiche o con finale veloce richiedono lo sviluppo consistente anche dei sistemi energetici anaerobici, sia lattacido che alattacido. Il loro contributo diventa quindi importante e l’allenamento specialistico deve essere orientato a sviluppare anche queste componenti orientandosi verso i valori tipici dei 5.000/1500 metri (Fig. 2,3). d’ Si può sicuramente dire che l’atletica leggera con le metodiche d’ allenamento sviluppate per le proprie specialità del fondo e mezzofondo ha insegnato, a partire dagli anni 80, a tutti gli altri sport ciclici un metodo scientifico d’ allenamento introducendo concetti come “soglia anaerobica”, “produzione di lattato” e “massimo consumo di ossigeno (Vo2max)”; anche nuoto e ciclismo, discipline insieme alla corsa componenti il triathlon, hanno fatto propri questi concetti adattandoli alle peculiarità delle proprie specialità. La soglia anaerobica e il Vo2max sono caratteristiche fisiologiche dell’atleta legate a fattori genetici e sono comunque entrambe notevolmente migliorabili con l’allenamento e direttamente correlabili con la prestazione dell’atleta in particolare per prove su medie e lunghe distanze come la corsa dai 10 km alla maratona, 50km fondo, ora in pista nel ciclismo, ecc;. La distanza dei 10.000 metri si basa prevalentemente sull’impiego del sistema aerobico (95%) per fornire l’energia richiesta (fig. 1). Figura 1: Percentuale della componente aerobica in funzione della varie distanze di corsa. Figura 2: Contributo percentuale delle componenti energetiche lattacide e alattacide nelle varie distanze Figura 3: Livelli tipici di lattacidemia nei 10.000, 5.000 e 1.500 metri di corsa 33 Allenatri 2. Come valutare il motore dell’atleta Vi è quindi la sempre maggior necessità di rendere specifico l’allenamento che attribuisce la massima importanza alla scelta corretta dell’intensità dello stimolo. Per rendere quindi più efficace l’allenamento specifico dell’atleta si è reso necessario quindi valutare la “cilindrata” del suo motore, il grado di allenamento e il suo rendimento. In atletica leggera si è passati dal tradizionale test Conconi nato nei primi anni 80 e ancor oggi pur sempre valido per semplicità e non invasività, alla determinazione, con l’avvento dell’elettronica e dell’informatica, del massimo consumo di ossigeno direttamente sul campo (Fig. 4,5) Figura 4: Grafico del test Conconi che correla velocità (Km/h) e frequenza cardiaca (pulsazioni/minuto) individuando la V.d. che corrisponde alla velocità di soglia anerobica Figura 5: Valutazione sul campo del massimo consumo di ossigeno Con questi strumenti i tecnici hanno potuto iniziare a confrontare in modo obiettivo lavori proposti ed effetti migliorativi delle varie componenti energetiche. 3. L’atletica leggera moderna…. alla scoperta del pianeta africano Vol.2 No.2 Gli stessi allenatori del fondo e mezzofondo considerati pionieri negli anni 80/90 in quanto promotori delle più svariate metodiche di allenamento, hanno iniziato ad analizzare le caratteristiche fisiologiche e le abitudini negli allenamenti degli atleti africani nelle specialità del fondo e mezzofondo (solo il Kenia detiene in questi ultimi anni il 47% dei 50 migliori tempi nei record mondiali di queste specialità) e si è passati da un esclusivo concetto di miglioramento della soglia anaerobica ad un sempre maggior impiego d’ intensità d’ allenamento vicine o superiori alla massima potenza aerobica (Canova 2005). Da studi effettuati sono risultati dati che riferiscono che gli atleti africani esprimono il 9394% del loro VO2max durante una gara di 10 km mentre atleti caucasici arrivano solo al 87-88% (Coetzer P, Noakes et al. 1993). Sempre gli atleti africani corrono il 36% del loro training ad intensità attorno all’80% del VO2max rispetto agli atleti caucasici che ne corrono solo il 14% (Coetzer). Sempre con l’esperienza per contro si è comunque osservato che l’eccessivo impiego nell’allenamento dei sistemi anaerobici porta ad una riduzione della soglia stessa e a maggior stress per l’atleta con calo delle prestazioni sportive. 4. E la frazione dei 10.000 metri nel triathlon olimpico? Svariati sono gli studi che analizzano quali fattori influiscono la prestazione del triathleta nella frazione di corsa del triathlon su distanza olimpica. Vleck (2005) (fig. 6-7-8) analizza una gara ITU maschile di triathlon olimpico suddividendo in 2 gruppi gli atleti (12 top e 12 bottom) e correlando la conseguenza di nuoto bici e corsa sul risultato finale. Le indicazioni che ne emergono sono: 34 Allenatri Vol.2 No.2 - partenza veloce nel nuoto per fare selezione (in questo caso caso 2 giri da 750mt) con la ricerca della scia nel gruppo di testa sia nella frazione di nuoto che nella bicicletta per risparmiare energia; Figura 8: velocità nella frazione podistica Figura 6: velocità nella frazione di nuoto - la velocità nella frazione ciclistica aumenta nei primi 20km per fare ulteriore selezione; gli atleti bottom percorrono tale tratto mediamente molto più velocemente per cercare di recuperare il “gap”; - la velocità aumenta nel tratto finale del ciclismo per arrivare per primi all’ingresso in zona cambio; - percorso ciclistico (pianeggiante con continui rilanci, con salite o misto); - tattica seguita dall’atleta (in scia nel gruppo di testa o ad inseguire). A livello fisiologico l’intensità della gara fino a quel momento si riflette sulla prestazione dell’atleta nella frazione finale di corsa. Le principali evidenze sono: - livelli significativi di lattato in funzione del ritmo gara e della “potenzialità” dell’atleta; - affaticamento dei muscoli ventilatori (anche per diversa postura assunta nella frazione ciclistica); - affaticamento e danno muscolare degli arti inferiori (in funzione della condotta di gara, percorso e rapporti usati); - parziale svuotamento delle scorte di glicogeno (almeno già 1h20’ di gara condotti); - conseguente orientamento del metabolismo all’utilizzo dell’energia proveniente dalla ossidazione degli acidi grassi; - disidratazione. 5. Quali i fattori che interferiscono con l’esito della prestazione? Figura 7: velocità nella frazione ciclistica - nella frazione di corsa vi è mediamente una partenza veloce nei primi 2 km (circa 3’/km) per poi scemare lentamente e stabilizzarsi a 3’10’’ fino agli 8,5 km dove ci si appresta ad affrontare la volata finale con velocità decisamente inferiori quasi “ad esaurimento” rispetto alle volate classiche; - la distribuzione dello sforzo nel tratto di corsa non è regolare. Questa analisi evidenzia che nella frazione di corsa del triathlon non si parte in condizioni ottimali ma con un “debito di gara” accumulato fino a quel momento sia in termini energetici che meccanici che dipende principalmente da: - condotta di gara da parte degli avversari (selezione dal nuoto o condotta tattica per frazione ciclistica molto impegnativa); Diventano quindi importanti nella frazione di corsa alcuni fattori specifici della corsa come: - economicità di corsa (basso consumo energetico alla velocità di gara); - distribuzione corretta dello sforzo nella frazione; - capacità di correre veloce utilizzando i grassi (consistente impiego di energia derivante dall’impiego della potenza lipidica). Da studi effettuati risulta che il costo energetico è maggiore dopo la frazione ciclistica durante T2 e nella successiva frazione di corsa rispetto ai controlli che hanno svolto la sola corsa con valori tra l’1 e il 10%. Anche in questo caso risultano contrastanti i dati (Millet 1999) che riferiscono di un ridotto interessamento dovuto alle alterazioni biomeccaniche del diverso gesto atletico nella sequenza bicicletta-corsa considerando invece più importante l’influenza del cambiamento posturale del tronco e la ridistribuzione del flusso sanguigno dovuto al cambiamento del movimento. 35 Allenatri Il minor costo energetico risulta quindi legato alle specifiche abilità sviluppate dagli atleti sia in T2 che nell’ultima frazione di corsa. Un altro fattore che riveste notevole importanza nell’esito finale della prestazione agonistica riguarda la ricerca della cadenza ottimale durante la frazione ciclistica così da avere un giusto compromesso tra costo energetico, consumo di ossigeno, lattato prodotto e velocità espressa nella frazione podistica. Anche in questo caso i dati scientifici risultano contrastanti (Vercruyssen 2004; Ghottsall 2002) e sembra ricevere maggiore credito l’attività contrattile muscolare nel cambiamento tra lavoro concentrico (ciclismo) e eccentrico-concentrico (corsa). Vol.2 No.2 - in alternativa alla corsa lenta usare la bicicletta (anche solo 30’/45’ facile) per defaticare (risulta un’azione di massaggio detossificante per i muscoli). 6. Nuove modalità d’ interpretazione della corsa da parte del triatleta E’ indubbio che per far crescere il livello prestativo di un triatleta si continui con l’impiego dei metodi di allenamento attualmente utilizzati nell’atletica leggera e con l’incremento “accorto” nel tempo degli stimoli specifici del carico (quota, lavori in soglia, salite, gare); questo training deve comunque essere affiancato da condizionamenti specifici del triathlon proprio per avere quegli adattamenti fisiologici, coordinativi e neuromuscolari tipici di tale disciplina. Oltre all’utilizzo di allenamenti combinati in tutte le forme dovrebbe diventare “un’ abitudine”, un vero e proprio “stile sportivo” tipico del triatleta, l’uso del cambio ciclismo-corsa (e viceversa) proprio per favorire ulteriormente nel tempo gli adattamenti richiesti. Di seguito alcuni spunti sviluppati dall’esperienza personale d’ allenatore sui quali è possibile lavorare. - Dopo lavori di ciclismo più o meno intensi far “comunque” seguire: - corsa lenta (anche solo 10/15’) per “recuperare” prima l’utilizzo dei muscoli dedicati alla corsa (risulta più facile correre nella seduta successiva); - progressioni brevi (es 10/15 x 100 rec. 100 lento) per migliorare le capacità coordinative della corsa veloce; - corsa a ritmo medio o con finale in progressione (15/30’) per migliorare la capacità dell’organismo di utilizzare acidi grassi; - Prima di lavori specifici di corsa: 1) usare la bicicletta (30’/40’ facili anche con brevi progressivi nel finale) come riscaldamento per la seduta di corsa e partire subito per il lavoro (adattamento neuro muscolare); 2) usare la bicicletta (1h/1h30’ a ritmo medio) come mezzo per svuotare (parzialmente) il serbatoio glucidico prima di una seduta di potenza aerobica o fondo veloce; 3) inserire esercitazioni di T2 (anche con impiego di rulli) durante sedute di prove ripetute tipiche del mezzofondo; - Dopo lavori specifici di corsa: 36 Allenatri BIBLIOGRAFIA E. 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