Allenatri
Vol.2 No.2
A cura di:
Mario Miglio, Responsabile Didattico SIT Fitri
Costantino Bertucelli, Responsabile Centro Studi e Ricerche Fitri
Roberto Tamburri, Direttore Tecnico Fitri
Claudia Umbro, Responsabile Organizzativo SIT Fitri
In questo numero:
Prof. Di Russo Francesco – “ I Disturbi dell’alimentazione, I Disturbi
dell’alimentazione nello sport di alto livello, loro individuazione e trattamento ”
Paolo Scalabrini – “ Il modello fisiologico del triathleta moderno- frazione
podistica “
MARZO 2007
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Allenatri
Vol.2 No.2
I DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE
Definizione e classificazione dei disturbi dell'alimentazione.
Conoscere e riconoscere i disturbi dell'alimentazione e le possibili cause sottostanti.
Di Francesco Di Russo
Docente presso lo IUSM di Roma – Cattedra Psicologia
Introduzione
Il DSM IV considera come facente parte del
quadro diagnostico dei disturbi alimentari due
categorie di malattia caratterizzate da alterazioni
del comportamento alimentare: anoressia nervosa
e bulimia nervosa.
Caratteristico dell'anoressia nervosa è il rifiuto di
mantenere il peso corporeo al di sopra del peso
minimo ideale; la bulimia nervosa è invece
caratterizzata da ricorrenti episodi di abbuffate
seguite dall'adozione di mezzi inadeguati per
controllare il peso (vomito autoindotto, abuso di
lassativi, diuretici o altri farmaci), il digiuno o
l'attività fisica praticata in maniera eccessiva.
Tipico di entrambi i disturbi è la presenza di
un'alterata percezione del peso e della propria
immagine corporea.
I disturbi dell'alimentazione sono tra le patologie
psichiatriche che, negli ultimi anni, hanno ricevuto
maggiore attenzione da parte dei ricercatori che
operano in campo della salute. Mentre un tempo
esse erano diagnosticate piuttosto raramente,
l'anoressia e la bulimia sono oggi comunemente
diagnosticate e sono divenute nei paesi
occidentali un'importante problema di salute
pubblica. Entrambi i disturbi seguono un decorso
cronico con frequenti ricadute e conducono
spesso a complicanze di ordine medico portando
a volte fino alla morte. La portata di questo
problema di salute pubblica è sottolineato dal
tasso di incidenza tra 1% e 2% dell'anoressia e
della bulimia nervosa tra le adolescenti e le
giovani donne, la popolazione a maggior rischio
per lo sviluppo di tali disturbi. E' dimostrato che
negli ultimi decenni il tasso di incidenza
dell'anoressia nervosa tra le ragazze di età
compresa tra i 15 e i 24 anni è in continuo
aumento; mentre sia bulimia che anoressia
rimangono rari tra i ragazzi.
Data l'importanza del rapporto mente-corpo, i
disturbi dell'alimentazione rappresentano un
modello interessante dell'interazione tra fattori
genetici, psicologici e socioculturali e, per quanto
non si possa ancora affermare che l'eziologia sia
nota, esistono oggi dati significativi sui fattori di
rischio e di mantenimento del disturbo. La
genetica, gli aspetti biologici e neuroendocrini dei
disturbi dell'alimentazione sono ancora poco
conosciuti; gli studi sulla familiarità psichiatrica e
gli studi sui gemelli sembrano indicare una
vulnerabilità su base genetica, che probabilmente
interagisce con altri fattori di tipo psicologico,
socio-culturale e familiare nel determinare
l'insorgenza del disturbo secondo un modello di
tipo multifattoriale.
L'ipotesi eziologica di tipo multifattoriale può ben
essere integrata all'interno di una teoria che
concettualizza i disturbi dell'alimentazione come
disturbi dell'autoregolazione, la cui caratteristica
principale è una menomazione della regolazione
degli affetti. Se gli individui hanno la capacità di
regolare i propri affetti, questi hanno a loro volta la
capacità di regolare il pensiero e il
comportamento.
Le
emozioni
disregolate
sfuggono al sistema auto-regolatore e autoorganizzatore dell'individuo e possono alterare un
qualsiasi altro sistema biopsicosociale. Taylor
formula il concetto di alessitimia come un
costrutto di personalità che riflette un disturbo
importante nella regolazione degli affetti,
costituendo un fattore di rischio rilevante per il
prodursi di malattie psicologiche e somatiche.
L'alessitimia è un disturbo dell'elaborazione degli
affetti che interrompe o interferisce con i processi
di
auto-organizzazione
e
riorganizzazione
dell'organismo, i quali fanno parte di una
sconosciuta terza area di coinvolgimento, posta
tra la fisiologia del corpo e i processi cerebrali
della mente. Gli affetti sono un interfaccia tra
corpo e mente, e contemporaneamente li
comprendono
olisticamente
entrambi.
L'alessitimia non è solo un disturbo della
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personalità ma anche un deficit secondario a un
trauma e una conseguenza dei fallimenti
dell'attaccamento e delle relazioni primarie, inoltre
la regolazione degli affetti gioca un ruolo decisivo
nello sviluppo cerebrale del bambino.
Le prime autrici che si sono occupate a fondo dei
disturbi dell'alimentazione e che sono giunte
contemporaneamente a conclusioni cliniche e
terapeutiche simili sono H. Bruch e M. Selvini
Palazzoli; il problema centrale secondo loro
riguarda un difettoso senso del sé, coinvolgendo
un'ampia gamma di deficit dello sviluppo
concettuale,
dell'immagine
e
della
consapevolezza del corpo e dell'individuazione.
Le idee della Bruch e della Selvini Palazzoli sono
in accordo con le scoperte della moderna
psicologia evolutiva sottolineando il ruolo
fondamentale delle interazioni dinamiche tra il
bambino e i suoi caregivers primari nello sviluppo
della personalità e nell'organizzazione delle
strutture neurofisiologiche. Il disturbo regolatorio
primario è una menomazione della capacità di
elaborare e regolare cognitivamente le emozioni;
questa menomazione può riflettere un deficit
costituzionale o essere acquisita attraverso
l'esperienza di un legame affettivo difettoso in un
ambiente di crescita inadeguato. Al fine di
compensare il sottostante disturbo della
regolazione affettiva i pazienti con disturbo
dell'alimentazione sviluppano secondariamente
dei comportamenti alimentari patologici; anche
altri comportamenti impulsivi non legati al cibo ma
spesso associati ai disturbi del comportamento
alimentare (abuso di sostanze, promiscuità
sessuale e cleptomania) sono considerate
modalità difensive per regolare gli affetti disforici.
Le interviste cliniche hanno rivelato che gli schemi
di comportamento impulsivo fluttuavano ed erano
di
solito
intercambiabili,
e
che
ogni
comportamento era associato con un'analoga
sensazione di perdita di controllo e le descrizioni
fatte dalle pazienti facevano pensare che i
comportamenti avessero funzione di ridurre o
bloccare affetti sgradevoli o dolorosi. In accordo
con il concetto di disturbi dell'autoregolazione
degli affetti si ipotizza che l'anomalia alla base sia
un'incapacità di regolare gli impulsi in modo
flessibile. Impegnati in una instancabile ricerca
della magrezza, le pazienti anoressiche possono
perdere
peso
riducendo
semplicemente
l'assunzione di cibo o possono periodicamente
abbuffarsi e poi perdere peso mettendo in atto
condotte di eliminazione; anche pazienti bulimiche
possono manifestare episodi di iperalimentazione,
ma loro mantengono un peso corporeo nella
norma pur adottando condotte di eliminazione o
impegnandosi in un intensa attività fisica.
Entrambe queste pazienti manifestano un vero e
proprio terrore di essere grasse o di divenirlo.
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Esiste tutto uno spettro di comportamenti
alimentari patologici e di disturbi della regolazione
del peso, la gamma di comportamenti alimentari
anormali e la varietà di altri sintomi associati ai
disturbi dell'alimentazione mettono in luce i
sottostanti problemi della regolazione affettiva.
Grotstein sostiene che i sintomi offrono un
pavimento provvisorio al di sotto di un io
frammentato, o un contenitore intorno ad esso,
che lo protegge dal pericolo catastrofico di
disintegrarsi. Mancando di un'adeguata struttura
psichica autoregolatoria, pazienti con tali disturbi
sono eccessivamente influenzati da fattori esterni,
quali gli ideali culturali nel determinare la propria
immagine fisica consolidando la propria
esperienza di sé. Si impongono un peso ideale,
più o meno al di sotto del loro peso ottimale,
basato sull'immagine contemporanea della cultura
occidentale secondo la quale la femminilità,
popolarità e successo sono associati ad un fisico
esile; il fatto che l'ideale fisico maschile sia di tipo
muscoloso può essere considerata una
spiegazione almeno parziale della bassa
incidenza dei disturbi dell'alimentazione negli
uomini.
Si osserva la presenza di un'alta comorbilità tra i
disturbi alimentari e disturbi da uso di sostanze;
solitamente i disturbi dell'alimentazione precedono
lo sviluppo dell'alcoolismo ma non si esclude
nemmeno la situazione opposta, l'alta comorbilità
fra questi due disturbi non è sorprendente se si
ipotizza l'esistenza di un difetto della regolazione
degli affetti di natura simile per entrambi i casi.
L'abuso di sostanze e/o i comportamenti
alimentari anomali possono essere utilizzati dai
pazienti nel tentativo di superare il profondo
disagio causato dai deficit della capacità
autoregolatoria; anche se i pazienti bulimici
abusano di sostanze più spesso degli anoressici,
ricercatori hanno osservato che molti dei
comportamenti associati all'anoressia sono simili
a quelli osservati nei disturbi da dipendenza e
hanno proposto di considerare l'anoressia come
una dipendenza dalla fame. I disturbi depressivi
ansiosi sono comuni tra i pazienti con disturbi del
comportamento alimentare. E' oggetto di
discussione se l'associazione di questi sintomi
con l'anoressia sia conseguenza di una relazione
causale oppure solo una coincidenza; alcuni
autori considerano i due disturbi alimentari come
due entità distinte, altri affermano che potrebbero
essere varianti di disturbi affettivi. Quest'ultima
opinione è supportata: dal fatto che esiste spesso
una concomitante storia di disturbi affettivi, da una
riduzione delle crisi di iperalimentazione che si
verifica a volte in seguito alla somministrazione di
farmaci antidepressivi, da un'alta incidenza nel
corso di tutta la vita di disturbi affettivi e ansiosi.
Studi di follow-up confermano che i disturbi cronici
del comportamento alimentare sono spesso
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associati con disturbi ansiosi e depressivi e che i
pazienti con anoressia hanno una più alta
probabilità rispetto al resto della popolazione di
sviluppare una malattia depressiva maggiore,
indipendentemente dal fatto che essi siano guariti
o meno dal disturbo alimentare.
Anche se la neurochimica dei disturbi del
comportamento alimentare è poco conosciuta, i
neurotrasmettitori e i neuromodulatori che
regolano il comportamento alimentare forniscono
un substrato neurale per la regolazione dell'ansia
e dell'umore. I circuiti di feed-back dei vari sistemi
neurali sono estremamente complessi, una
disregolazione in uno qualsiasi di questi sistemi
può influenzare il funzionamento di tutti gli altri. La
natura e l'intensità dei sintomi dell'ansia e
depressione
associati
ai
disturbi
del
comportamento alimentare variano a seconda dei
diversi sistemi neurotrasmettitoriali maggiormente
coinvolti, ciò contribuisce all'eterogeneità dei
disturbi dell'alimentazione. I pazienti con disturbi
del comportamento alimentare possono anche
subire
alterazioni
dell'umore
dovuti
alla
malnutrizione o successivi alle crisi di
iperalimentazione e al vomitare, questi stati
dell'umore
sono
effetti
collaterali
dei
comportamenti adottati dai pazienti per tamponare
come possono i deficit dell'autoregolazione e della
regolazione degli affetti. Tali disturbi dell'umore
rappresentano una variabile che perpetua ed
esaspera il disturbo della regolazione di base e
che possono aggravare il disturbo alimentare,
stabilendo così un circolo vizioso.
Anche se molti ricercatori hanno ricondotto
l'anoressia nervosa e la bulimia nervosa a
relazioni di tipo patogeno tra madre e bambino,
questi disturbi sono chiaramente eterogenei e si
presentano con livelli di gravità differenti, il che fa
supporre a diversi gradi e livelli di patologia
evolutiva. Infatti alcuni autori identificano dei
sottotipi sulla base delle differenti caratteristiche di
personalità e dei differenti gradi di forza dell'io e
livelli di relazione all'oggetto. Lo studio e
l'osservazione delle famiglie di pazienti con
disturbi del comportamento alimentare hanno
fornito alcuni dati relativi alla patogenesi di questi
disturbi, indicando di solito degli schemi di
relazione quali: invischiamento (i membri della
famiglia si intromettono nei pensieri e sentimenti
degli
altri
membri);
iperprotettività
(una
preoccupazione di tipo intrusivo riguardante il
funzionamento psicologico e corporeo del
bambino); assenza di risoluzione dei conflitti e
coinvolgimento del bambino nei conflitti tra i
genitori. Tutti questi schemi di relazione
oggettuale interferiscono con la differenziazione
tra sé e l'oggetto e il raggiungimento di un
funzionamento autonomo. Quando la madre non
interpreta correttamente i segnali affettivi del
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bambino e non si occupa dei suoi bisogni,
soddisfacendo invece i propri bisogni attraverso il
bambino, il futuro paziente si sente totalmente
responsabile del soddisfacimento dei bisogni della
madre ed è incapace di percepire il proprio corpo
come appartenente a sé. Nel tentativo di
raggiungere un certo grado di autonomia 'affama'
il proprio corpo con l'intento di uccidere l'oggetto
materno dal quale cerca di distinguersi ed
emanciparsi. Si è ipotizzato che anche il paziente
bulimico utilizzi il proprio corpo per risolvere i
propri conflitti irrisolti riguardo l'individuazione e la
separazione
dall'oggetto
materno,
loro
considerano erroneamente il corpo come l'oggetto
transizionale che rappresenta la madre. Nel corso
degli ultimi decenni svariati studi empirici hanno
esplorato la possibile associazione tra alessitimia
e disturbi del comportamento alimentare. Anche
se l'alessitimia non è direttamente legata
all'abbuffarsi, ai disturbi dell'immagine corporea o
ad una ricerca ossessiva della magrezza,
esistono prove empiriche del fatto che questo
costrutto presenta molti tratti psicologici tipici dei
disturbi del comportamento alimentare, in
particolare la confusione enterocettiva, la difficoltà
nel comunicare i sentimenti e un senso
schiacciante di incapacità. Una caratteristica
determinante, anche ai fini del trattamento, è la
negazione della malattia (più intensa e frequente
nelle pazienti anoressiche), intesa come difficoltà
a riconoscere molti sintomi e comportamenti come
segni di un disturbo. La restrizione alimentare,
molti comportamenti di controllo e di eliminazione
sono atteggiamenti fortemente egosintonici in cui
la paziente è intensamente identificata, fino a
scegliere 'un'identità anoressica' come status
socialmente desiderabile ed ammirato. Nella
maggior parte dei casi le pazienti non vivono
inizialmente i propri comportamenti come una
difficoltà, ma come un tentativo per risolvere i
propri problemi. Per questi motivi la maggior parte
delle pazienti con disturbo alimentare non chiede
un trattamento; le pazienti anoressiche lo fanno
solo su pressione altrui e raramente sono
preoccupate per la perdita di peso, anche se
questa è molto rilevante. La compenetrazione tra
aspetti psichici, biologici e familiari richiede sul
piano terapeutico la competenza di diverse
professionalità e la necessità di interventi tecnici
differenziati; per tale motivo viene privilegiato un
trattamento multidisciplinare che si rivolga ai
diversi aspetti della patologia.
EATING DISORDERS INVENTORY (EDI) Questa
misura di autovalutazione, molto usata sia nella
ricerca che nella clinica, comprende tre sottoscale
che valutano gli atteggiamenti e i comportamenti
che riguardano il cibo, il peso e la forma fisica
(desiderio di magrezza, bulimia, insoddisfazione
per il proprio corpo), e cinque sottoscale che
valutano dei tratti di personalità comunemente
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associati con anoressia nervosa e bulimia
nervosa (inefficacia, perfezionismo, sfiducia
interpersonale, consapevolezza enterocettiva,
paura della maturità). L'EDI si è mostrato
affidabile e psicometricamente solido nell'impiego
con pazienti affetti da disturbi del comportamento
alimentare.
Le
sottoscale
dell'EDI
Consapevolezza
enterocettiva
e
Sfiducia
interpersonale forniscono importanti informazioni
per la regolazione degli affetti; questi tratti si
sovrappongono con due aspetti del costrutto
dell'alessitimia (difficoltà a identificare i sentimenti
e a distinguerli dalle sensazioni corporee che
accompagnano le emozioni e la difficoltà a
comunicare i propri sentimenti agli altri).
Anoressia nervosa
Il termine anoressia è inappropriato perché la
mancanza di appetito è poco frequente.
L'anoressia nervosa è caratterizzata da una
progressiva perdita di peso dovuta a una notevole
riduzione dell'apporto alimentare, da una ostinata
ricerca dell'esilità e della magrezza e da una
patologica paura di ingrassare; allo scopo di
ridurre il peso molte pazienti effettuano esercizio
fisico estremo e altre mettono in atto
comportamenti di eliminazione. La prevalenza
dell'anoressia nervosa sembra essere di gran
lunga maggiore nei paesi industrializzati, dove vi è
abbondanza di cibo, ed in cui, specialmente per il
sesso femminile, è enfatizzato il valore della
magrezza. Gli immigrati da culture in cui la
presenza del disturbo è bassa verso paesi a
prevalenza
maggiore,
possono
sviluppare
l'anoressia nervosa man mano che assimilano il
valore conferito alla magrezza. L'età media di
insorgenza è di 17 anni, il disturbo raramente si
presenta dopo i 40 anni. Spesso è presente un
evento della vita stressante in collegamento con
l'esordio del disturbo. L'evoluzione e gli esiti sono
estremamente variabili.
CRITERI DIAGNOSTICI ( DSM IV) - Rifiuto di
mantenere il peso corporeo al di sopra del peso
minimo normale per età e statura (ad esempio
una perdita di peso che porta a mantenere il peso
corporeo al di sotto dell'85% di quello previsto;
oppure, durante il periodo della crescita,
incapacità di realizzare un aumento di peso, con
la conseguenza che il peso corporeo resta al di
sotto dell'85% di quello previsto). - Intensa paura
di acquistare peso o di diventare grassi anche
quando si è sottopeso. - Disturbo del modo in cui
il soggetto ha esperienza del proprio peso e della
forma del proprio corpo; inadeguata influenza del
proprio peso e della forma del proprio corpo sulla
valutazione di sé stessi (autostima) o negazione
della gravità del proprio sottopeso.
SOTTOTIPI Per evitare la confusione passata
dove le anoressiche con crisi bulimiche avevano
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la doppia diagnosi di anoressia nervosa e bulimia
nervosa, il DSM IV ha distinto due sottogruppi
diagnostici: - Sottotipo con restrizioni (la
diminuzione di peso è ottenuta solo con la
riduzione
dell'apporto
alimentare
ed,
eventualmente, con iperattività fisica; ha prognosi
più favorevole; è caratterizzato da un
atteggiamento
ipercompiacente,
ostinato,
perfezionista e dalla presenza di sintomi
ossessivo-compulsivi).
Sottotipo
con
abbuffate/condotte di eliminazione (si presentano,
indipendentemente o in associazione, crisi
bulimiche, vomito autoindotto, abuso di lassativi e
diuretici; caratterizzato da maggior impulsività,
frequente familiarità psichiatrica in particolare
quelli dello spettro depressivo e riporta più spesso
una storia di tentativi di suicidio).
Bulimia nervosa
Mentre i primi casi di anoressia nervosa sono
stati descritti nella letteratura psichiatrica dalla
seconda metà dell'ottocento, la bulimia nervosa è
stata descritta per la prima volta da Russell nel
1979: è caratterizzata dalla presenza di impulsi
incontrollabili a mangiare esageratamente seguiti
dagli stessi tentativi di controllare il peso messi in
atto dalle anoressiche; comuni all'anoressia sono
anche la ricerca della magrezza e la paura di
ingrassare, con la differenza che in queste
pazienti il peso resta normale. L'incidenza della
bulimia nervosa sembra essere simile a quella
dell'anoressia nei paesi industrializzati, scarsi
sono i dati provenienti da altre culture. Ha una
maggiore incidenza nel sesso femminile. La
bulimia nervosa di solito esordisce nella tarda
adolescenza o nella prima età adulta; le abbuffate
iniziano di solito durante o dopo un periodo di
restrizioni dietetiche. Il decorso può essere
cronico od intermittente con fasi di remissione
alternate a fasi di ricomparsa delle abbuffate.
Numerosi studi hanno suggerito una maggior
frequenza di bulimia nervosa, disturbi dell'umore e
abuso o dipendenza da sostanze nei familiari di
primo grado di soggetti con bulimia nervosa.
CRITERI DIAGNOSTICI DSM IV - Ricorrenti
episodi di crisi bulimiche. Una crisi bulimica è
definita dalle seguenti caratteristiche: 1.
Introduzione in un definito periodo di tempo (per
esempio due ore), di una quantità di cibo che è
decisamente maggiore di quella che la maggior
parte delle persone mangerebbe nello stesso
periodo di tempo e nelle stesse circostanze. 2.
Sensazione di perdita di controllo su quello che si
mangia durante l'episodio (per esempio la
sensazione di non poter smettere di mangiare o di
non poter controllare cosa e quanto si mangia) Ricorrenti
comportamenti
compensatori
inappropriati allo scopo di prevenire l'aumento di
peso, come il vomito autoindotto; l'uso improprio
di lassativi, diuretici, clisteri, o altri farmaci; il
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digiuno o l'eccessivo esercizio fisico. - Le crisi
bulimiche e i comportamenti compensatori
inappropriati avvengono entrambi, in media,
almeno due volte alla settimana per tre mesi. - La
stima di sé è eccessivamente influenzata dal peso
e dalla forma del corpo. - Il disturbo non si
presenta esclusivamente durante episodi di
anoressia nervosa.
SOTTOTIPI In base alla presenza o meno di
regolari condotte di eliminazione possiamo
distinguere due sottotipi: - con condotte di
eliminazione (durante l'episodio bulimico il
soggetto
presenta
regolarmente
vomito
autoindotto, abuso di farmaci) - senza condotte di
eliminazione (durante l'episodio bulimico il
soggetto
presenta
altri
comportamenti
compensatori inadeguati, come il digiuno o
l'eccessivo esercizio fisico, ma non presenta
regolarmente vomito autoindotto o abuso di
farmaci).
Le cause dei disturbi dell’alimentazione
Nel campo dei disturbi dell'alimentazione sono
stati studiati una miriade di potenziali fattori
causali e, come altre aree della medicina, la
ricerca è stata fortemente influenzata dalla moda
del momento. Ad esempio, durante il 1960 e il
1970 si ipotizzò che "l'ambiente familiare" fosse
cruciale per lo sviluppo dell'anoressia nervosa,
mentre tra il 1980 e il 1990 l'abuso sessuale
nell'infanzia fu considerato da molti come il più
potente fattore causale della bulimia nervosa. Con
l'avvento delle nuove biotecnologie (biologia
molecolare, scansioni cerebrali) molti ricercatori
stanno studiando il possibile contributo di fattori
causali biologici. Nonostante la non omogeneità
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delle ricerche eseguite, la ricerca sulle cause dei
disturbi dell'alimentazione ha avuto un continuo
progresso e oggi conosciamo numerosi potenziali
fattori di rischio per questi disturbi.
I fattori di rischio si possono definire delle
condizioni antecedenti al disturbo che aumentano
la probabilità del suo sviluppo. I
distinguono tre classi di fattori di rischio:
medici
1) fattori di rischio fissi (ad esempio, razza,
sesso, anno di nascita)
2) fattori di rischio variabili (ad esempio, età,
peso corporeo)
3) fattori di rischio causali (ad esempio, un
fattore che modifica il rischio di un esito
quando è manipolato).
Per quanto riguarda i disturbi dell'alimentazione si
conoscono con certezza alcuni fattori di rischio
fissi (ad esempio il sesso femminile) e variabili (ad
esempio l'adolescenza o la prima età adulta,
periodi della vita in cui in genere insorgono questi
disturbi), mentre non sono ancora stati identificati
con certezza i fattori di rischio causali. Nella
comunità scientifica, ad ogni modo, si è sviluppato
un vasto consenso nel considerare i disturbi
dell'alimentazione condizioni che originano
dall'interazione multipla e complessa di fattori di
rischio individuali, familiari e socioculturali e che
esistono fattori di rischio specifici per i disturbi
dell'alimentazione (presenti solo nei disturbi
dell'alimentazione) fattori di rischio generici
(presenti anche in altri disturbi psichiatrici).
La tabella 1 riporta l'elenco dei principali fattori di
rischio potenziali per disturbi dell'alimentazione
descritti in questo articolo.
FATTORI DI RISCHIO INDIVIDUALI
FATTORI DI RISCHIO FAMILIARI
Demografici
Familiarità per disturbi dell'alimentazione
Sesso femminile
Familiarità per altri disturbi psichiatrici
Donne bianche
Disturbi dell'umore
Classe sociale medio-alta
Disturbo ossessivo compulsivo
Adolescenza
Dipendenza da alcol
Psicologici/psichiatrici
Familiarità per obesità
Disturbi dell'umore
Ambiente familiare problematico
Disturbi d'ansia
Disturbi di personalità
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Tratti di personalità
FATTORI DI RISCHIO SOCIO-
Bassa valutazione di sé
CULTURALI
Perfezionismo
Idealizzazione della magrezza
Estrema ricerca del controllo
Denigrazione sociale dell'obesità
Intolleranza alle emozioni
Influenze dei mass-media
Fisici
Influenza della famiglia
Obesità
Influenza dei coetanei
Difficoltà alimentari precoci
Diabete di tipo 1
Menarca precoce
Anomalie attività neurotrasmettitori
Comportamentali
Fare diete restrittive
Eventi avversi
Abuso sessuale e altre esperienze traumatiche
Avere dei familiari a dieta
Ricevere critiche su peso, forme corporee e
Comportamento alimentare
Altri eventi avversi
Tabella 1. Principali fattori di rischio dei disturbi dell'alimentazione
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Fattori di rischio individuali
Fattori demografici
Genere
I disturbi dell'alimentazione sono molto più comuni
tra le donne che tra gli uomini, anche se nel
disturbo da alimentazione incontrollata la
differenza tra i sessi è meno marcata. Le donne
sembrano sviluppare con maggior frequenza
queste patologie per svariate ragioni. Una delle
principali è che sembra che stare a dieta sia molto
più comune tra le donne che tra gli uomini, e
limitare l'alimentazione aumenta di molto il rischio
di
sviluppare
disturbi
dell'alimentazione.
Probabilmente le donne si mettono più a dieta
perché la pressione sociale verso la magrezza è
rivolta soprattutto a loro, e poi perché le donne
sono più portate degli uomini a basare il proprio
valore sull'aspetto fisico. Sembra inoltre che nella
donna l'identità e la definizione di sé si basino
soprattutto nella consapevolezza delle proprie
caratteristiche espresse nel contesto di relazioni
interpersonali importanti che, nella nostra società,
sono fortemente influenzate dall'aspetto fisico e
dalla magrezza.
Gruppo etnico
L'anoressia nervosa e la bulimia nervosa sono
presenti soprattutto tra le donne bianche, mentre il
disturbo da alimentazione incontrollata è presente
tra le donne afroamericane e bianche allo stesso
modo.
Classe sociale
Per quanto riguarda le pazienti, molte persone
colpite da anoressia nervosa e bulimia nervosa
appartengono soprattutto alla classe media e
superiore. Questo, però, potrebbe significare
soltanto che con più frequenza le persone
appartenenti alla classe media e alta si
sottopongono a un trattamento. Per quanto
riguarda il disturbo da alimentazione incontrollata,
la distribuzione per classe sociale deve ancora
essere definita.
Età
I disturbi dell'alimentazione si sviluppano
soprattutto nell'adolescenza o nella prima
giovinezza; ciò è probabilmente legato al fatto che
le donne cominciano una dieta soprattutto a
quest'età. Ciò potrebbe essere a sua volta
determinato da tre fattori: 1. le donne tendono più
degli uomini a giudicare il proprio valore in termini
di apparenza, e questo si verifica principalmente
in giovane età, quando l'identità individuale non è
ancora ben definita; 2. le ragazze durante la
pubertà vanno incontro a profonde modificazioni
fisiche, in particolare a un aumento del grasso
corporeo, che le allontanano significativamente
dall'ideale femminile attuale; 3. la pubertà può
essere minacciante e distruttiva sia per l'individuo
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sia per il sistema familiare; essa infatti è un
periodo di grande cambiamento, che non riguarda
soltanto il fisico, ma anche le aspettative e i ruoli
sociali. In questo periodo, le ragazze con
caratteristiche psicologiche ritenute a rischio per
lo sviluppo di disturbi dell'alimentazione, hanno
un'alta probabilità di sviluppare un senso di
perdita di controllo che pensano di poter gestire
con la dieta e la perdita di peso corporeo.
Quest'ultima ipotesi è stata sostenuta con forza
dal prof. Crisp di Londra, il quale ha ipotizzato che
per le persone anoressiche la pubertà sia un
processo altamente ego-distonico e che
l'anoressia nervosa, a livello di meccanismo
psicopatologico, possa essere spiegata come un
"disturbo fobico di esitamento", in cui l'oggetto
fobico è il corpo di donna adulto. Il meccanismo di
evitamento
implica
il
mettere
in
atto
comportamenti finalizzati a mantenere il peso
corporeo a un livello prepuberale. La perdita di
peso corporeo autoindotta, crea, infatti, uno stato
di regressione a diversi livelli: sul piano biologico
la secrezione ormonale ritorna simile a quella del
periodo infantile; sul piano fisico un corpo da
bambina impedisce che la ragazza sia appetibile
sessualmente; su quello psicologico le modalità di
pensiero, a causa del digiuno, assumono caratteri
di concretezza tipici dell'infanzia.
Fattori di rischio psichiatrici e psicologici
Quasi tutti i clinici hanno teorizzato che prima
dell'insorgenza dei disturbi dell'alimentazione sia
presente una sostanziale instabilità emotiva,
originata da fattori che, a seconda dei casi,
agirebbero dal momento del concepimento fino
all'instaurarsi della sindrome clinica. La presenza
di specifiche problematiche psicologiche e
psichiatriche prima dello sviluppo clinico dei
disturbi dell'alimentazione, sebbene sia state
clinicamente ben documentate, non è stata
ancora dimostrata con certezza da rigorose
ricerche scientifiche.
Disturbi dell'umore
Molte persone affette da anoressia nervosa e
bulimia nervosa hanno una storia di disturbi
dell'umore, in particolare di depressione
maggiore. Alcuni studi hanno indicato che il tasso
di prevalenza di depressione maggiore nei due
disturbi varia dal 20% all'80%. Tuttavia, nella
maggior parte dei casi, la depressione sembra
essere una conseguenza della perdita di peso
corporeo, della dieta, delle abbuffate e del vomito:
non esiste fino ad ora alcuna prova certa in grado
di dimostrare che essa preceda o predisponga al
disturbo. Tuttavia, i dati disponibili indicano che in
un sottogruppo di pazienti la depressione precede
8
Allenatri
il disturbo dell'alimentazione e persiste dopo la
sua remissione.
Vol.2 No.2
spesso precede la comparsa del disturbo, di
difficoltà a tollerare le emozioni.
Disturbi d'ansia
Più della metà delle persone che hanno un
disturbo dell'alimentazione riportano una presenza
durante la loro vita di disturbi d'ansia. La maggior
parte degli studi indica che i disturbi d'ansia
precedono generalmente la comparsa del disturbo
dell'alimentazione; non è però ancora stato
chiarito se tale andamento temporale rifletta
semplicemente il decorso naturale dei due disturbi
(l'età media d'insorgenza di alcuni disturbi d'ansia
è più precoce di quella dei disturbi
dell'alimentazione) o il fatto che i disturbi d'ansia
nell'infanzia siano un fattore di rischio per lo
sviluppo di un disturbo dell'alimentazione
nell'adolescenza.
Recenti
ricerche
hanno,
comunque, evidenziato alcuni fattori genetici
condivisi tra bulimia nervosa, fobie e disturbo da
panico.
Disturbi di personalità
I dati della ricerca sul ruolo dei disturbi di
personalità Il disturbo di personalità rappresenta
un modello di esperienza interiore e di
comportamento che devia marcatamente rispetto
alle aspettative della cultura dell'individuo, è
pervasivo
e
inflessibile,
esordisce
nell'adolescenza o nella prima età adulta, è stabile
nel tempo, e determina disagio o menomazione.
Nello sviluppo dei disturbi dell'alimentazione, si
sono focalizzati soprattutto nei confronti del
disturbo di personalità ossessivo-compulsivo
nell'anoressia nervosa e nel disturbo borderline di
personalità nella bulimia nervosa. I risultati delle
ricerche effettuate sono però inconsistenti,
soprattutto per quel che riguarda il disturbo
borderline di personalità, mentre sembra
documentata un'elevata presenza di disturbo di
personalità ossessivo-compulsivo nei soggetti
pre-anoressici.
Tratti di personalità
Gran parte delle persone che sviluppano i disturbi
dell'alimentazione
sono
state
bambine
condiscendenti e coscienziose, timide e solitarie,
con notevoli difficoltà a sviluppare relazioni con i
coetanei. Un tratto comune che precede la
comparsa del disturbo dell'alimentazione è la
presenza di una necessità generale di autocontrollo, legata, ma non sempre a due
caratteristiche cognitive ampiamente riconosciute
in queste persone: il perfezionismo e la bassa
auto-stima.
Un sottogruppo di persone affette da disturbi
dell'alimentazione che si abbuffa o usa
comportamenti di compenso di tipo eliminativi (ad
esempio il vomito autoindotto), ha una storia, che
Fattori di rischio fisici
Obesità
Alcuni studi hanno evidenziato che l'obesità
sembra essere un fattore di rischio per lo sviluppo
della bulimia nervosa e del disturbo da
alimentazione incontrollata. È chiaro che, in un
contesto culturale come il nostro che enfatizza
eccessivamente il valore della magrezza, la
predisposizione all'obesità può favorire lo sviluppo
di un'eccessiva preoccupazione per il peso e le
forme corporee ed incoraggiare ad intraprendere
una dieta.
Difficoltà alimentari precoci
In uno studio controllato sull'infanzia dei soggetti
che in seguito sviluppavano l'anoressia nervosa, è
stata riscontrata nel 47% dei casi la presenza di
severe "difficoltà gastrointestinali".
Diabete di tipo 1
I disturbi dell'alimentazione possono verificarsi
nelle donne affette da diabete di tipo 1 in modo
coincidente, dal momento che entrambe le
condizioni
sono
condizioni
comuni
nell'adolescenza. È invece più controverso se il
diabete di tipo 1 sia un fattore di rischio per lo
sviluppo dei disturbi dell'alimentazione. Alcuni
studi, infatti, non hanno osservato un aumento del
rischio di disturbi dell'alimentazione nei soggetti
diabetici, mentre altri hanno trovato un aumento
del rischio.
Fattori perinatali
Uno studio svedese recentemente pubblicato ha
trovato che le ragazze nate prematuramente
(meno di 32 settimane di gestazione) con un
cefaloematoma hanno un aumentato rischio di
sviluppare l'anoressia nervosa e l'associazione tra
questi due disturbi sembra essere specifica.
Menarca precoce
Alcuni studi hanno trovato che il menarca precoce
è positivamente correlato con l'insoddisfazione
corporea
e
lo
sviluppo
dei
disturbi
dell'alimentazione. Tale associazione non è stata,
comunque, trovata in tutte le ricerche.
Alterazioni neuroendocrine
La maggior parte delle anomalie nella
concentrazione dei neurotrasmettitori osservate
nei disturbi dell'alimentazione sembrano essere
secondarie alla denutrizione e alla dieta, perché si
normalizzano
generalmente
con
la
normalizzazione del peso corporeo. Alcune
recenti ricerche eseguite dal prof. Kaye
dell'università di Pittsburg hanno però evidenziato
9
Allenatri
che sia nei pazienti con anoressia nervosa, sia in
quelli con bulimia nervosa in remissione
prolungata dal loro disturbo, le concentrazioni di
un metabolita della serotonina, chiamato acido
idrossiindoloacetico (5-HIAA), rimangono elevati
nel liquido cerebrospinale. L'elevazione del 5HIAA potrebbe spiegare la persistenza del
perfezionismo e della necessità dell'autocontrollo
nelle
persone
guarite
dai
disturbi
dell'alimentazione.
Tale
ipotesi,
seppure
interessante, necessita di ulteriori conferme.
Fattori di rischio comportamentali
Seguire una dieta restrittiva
La dieta negli adolescenti normopeso è
considerata un fattore di rischio per lo sviluppo dei
disturbi dell'alimentazione. In un campione di
studentesse di Londra di 15 anni quelle facevano
una dieta, rispetto ai controlli, avevano un rischio
otto volte maggiore di sviluppare un disturbo
dell'alimentazione nell'anno seguente. Risultati
simili sono stati osservati in uno studio eseguito
su adolescenti australiani in cui i soggetti a dieta,
rispetto a quelli non a dieta, avevano un rischio 18
volte superiore di sviluppare un disturbo
dell'alimentazione nei sei mesi seguenti. In questa
ricerca è stato evidenziato che il rischio era
elevato anche nei soggetti che seguivano una
dieta lievemente ipocalorica.
Eventi avversi
Abuso sessuale e altre esperienze traumatiche
L'elevata presenza di abusi sessuali o di altri
traumi di tipo fisico o psicologico nelle persone
affette da anoressia nervosa e bulimia nervosa, è
stata recentemente molto enfatizzata, soprattutto
nei paesi anglosassoni. Attualmente sembra che
ci sia un'elevata incidenza di abuso sessuale nelle
persone affette da bulimia nervosa e anoressia
nervosa con abbuffate/condotte di eliminazione,
ma non in quelle con restrizioni.
Recenti ricerche, metodologicamente accurate,
hanno però dimostrato che le esperienze
traumatiche, e in particolare gli abusi sessuali,
sono presenti in eguale misura anche in altri
disturbi psichiatrici, e quindi non costituirebbero
un fattore di rischio specifico per lo sviluppo dei
disturbi alimentari, ma un "potente" fattore di
rischio generico per le patologie psichiatriche.
Avere dei familiari a dieta
Un recente studio eseguito in Inghilterra ha
evidenziato che avere dei familiari a dieta durante
l'infanzia e l'adolescenza rappresenta un fattore di
rischio specifico per lo sviluppo della bulimia
nervosa.
Ricevere critiche dei familiari e di altri su peso,
forme corporee e comportamento alimentare
Vol.2 No.2
Le critiche dei familiari o di altri (amici, insegnanti,
ecc.) su peso, forme corporee e alimentazione
sono state identificate come fattori di rischio
specifici
per
lo
sviluppo
dei
disturbi
dell'alimentazione, soprattutto per la bulimia
nervosa.
Altri eventi avversi
Numerosi resoconti clinici e alcune ricerche hanno
evidenziato che spesso i pazienti con disturbi
dell'alimentazione riferiscono di aver subito, prima
della comparsa del loro disturbo, vari eventi
avversi. Questi possono includere: aver ricevuto
critiche dei familiari e di altri (non su peso, forme
corporee e comportamento alimentare); aver
subito dei lutti; divorzio dei genitori; frequenti
cambiamenti di casa. Tali eventi avversi, che sono
considerati fattori di rischio generici per lo
sviluppo di disturbi psichiatrici, se si sommano ad
alcuni fattori di rischio specifici, aumentano la
possibilità
di
sviluppare
un
disturbo
dell'alimentazione.
Fattori di rischio familiari
Le opinioni diffuse sul ruolo delle interazioni
familiari
nello
sviluppo
di
disturbi
dell'alimentazione derivano principalmente da
osservazioni cliniche che possono aver fornito
una visione incompleta, e talvolta errata, del
problema. Il limite principale di questi studi è
costituito dal fatto che sono stati eseguiti in una
fase in cui il disturbo dell'alimentazione si era già
sviluppato e spesso cronicizzato: non si può
asserire con certezza se alcune caratteristiche
osservate nei genitori siano la causa, e non
piuttosto la conseguenza della malattia. Negli
ultimi anni, comunque, ricerche rigorose hanno
evidenziato che alcuni fattori familiari ereditari e
legati all'ambiente familiare possono aumentare il
rischio
di
sviluppare
un
disturbo
dell'alimentazione.
Familiarità per disturbi dell'alimentazione
È da tempo noto che i disturbi dell'alimentazione
"corrono" nelle famiglie. In questo paragrafo sono
riportati gli studi di epidemiologia genetica e di
genetica molecolare che si sono occupati di
questo problema. Tra gli studi di epidemiologia
genetica sono state effettuate ricerche focalizzate
sulla famiglia o sui gemelli, mentre non sono state
compiute ricerche sui figli adottivi.
Studi familiari
Rigorosi studi hanno evidenziato che i parenti di
primo grado di pazienti affetti da anoressia
nervosa e bulimia nervosa hanno un rischio tre
10
Allenatri
volte superiore, rispetto ai controlli, di sviluppare
un disturbo dell'alimentazione.
Il limite maggiore degli studi familiari è che non
permettono di distinguere se l'aumentata
prevalenza di disturbi dell'alimentazione nei
familiari delle persone con anoressia nervosa e
bulimia nervosa sia dovuta soltanto a cause
genetiche, a cause ambientali oppure a entrambe.
Studi sui gemelli
Le ricerche sui gemelli permettono di superare i
limiti degli studi familiari sopra descritti. Poiché i
gemelli sono generalmente allevati nello stesso
ambiente e subiscono più o meno gli stessi fattori
di rischi ambientali, la differenza nel tasso di
concordanza tra gemelli monozigoti (MZ) e
dizigoti (DZ) può aiutare a capire il contributo della
genetica e dell'ambiente nel determinare lo
sviluppo di un particolare disturbo.Due ricerche,
una inglese eseguita dal gruppo della prof.
Treasure e una americana che ha utilizzato
Virginia Twin Regestry, hanno trovato che il tasso
di concordanza di disturbi dell'alimentazione tra
gemelli è significativamente superiore nei gemelli
MZ, rispetto ai DZ. Nell'anoressia nervosa il tasso
di concordanza del 48,5-71% nei MZ e 0-10% nei
DZ, mentre nella bulimia nervosa il tasso di
concordanza è del 22,9-83% nei MZ e 0-27% nei
DZ. Questi studi, nonostante indichino in modo
inequivocabile che esiste un significativo
contributo genetico allo sviluppo dei disturbi
dell'alimentazione, soffrono di numerosi difetti
metodologici che non permettono di trarre una
conclusione definitiva sul ruolo della genetica I
meccanismi attraverso cui opera la genetica non
sono noti; essa genetica potrebbe operare
direttamente aumentando la tendenza ai disturbi
dell'alimentazione,
o
indirettamente
predisponendo all'obesità o a certi tratti di
personalità o ad una disregolazione emozionale o
ad altri disturbi psichiatrici che a loro volta
possono favorire lo sviluppo dei disturbi
dell'alimentazione.
Marcatori genetici
Negli ultimi anni, grazie alla moderna tecnologia di
studio del DNA, sono stati eseguiti vari studi di
genetica molecolare per ricercare l'esistenza di
possibili variazioni genetiche che favoriscano lo
sviluppo dei disturbi dell'alimentazione. I geni che
potrebbero
determinare
i
disturbi
dell'alimentazione sono chiamati "geni di
suscettibilità", perché aumentano la vulnerabilità a
sviluppare il disturbo, ma da soli non sono né
necessari, né sufficienti per determinarne lo
sviluppo (ci sono molte persone che sono
portatori di questi geni non si ammalano).
Fino ad ora i risultati ottenuti sono inconsistenti
anche se alcuni risultati preliminari sembrano
indicare che un polimorfismo nel gene del
recettore dell'agouti-related melanocortina-4, che
è coinvolto nella regolazione dell'appetito, sia
Vol.2 No.2
associato all'anoressia nervosa. Altre ricerche
hanno trovato un'associazione tra polimorfismo
del gene che codifica il tipo 2A del recettore della
serotonina (5-HT2A) e anoressia nervosa. Tale
osservazione è stata successivamente replicata in
campioni di pazienti degli Stati Uniti e dell'Italia,
ma non in campioni di pazienti della Germania e
di un secondo campione del'Regno Unito.
Familiarità per altri disturbi psichiatrici
Gli studi sulla famiglia indicano che i familiari di
primo e secondo grado dei soggetti affetti da
anoressia nervosa e bulimia nervosa hanno una
frequenza tre volte superiore di disturbi dell'umore
rispetto alla popolazione di controllo normale. Una
storia familiare di disturbi dell'umore potrebbe
aumentare l'inclinazione di un individuo a
sviluppare
un
disturbo
dell'alimentazione,
predisponendolo alla depressione che a sua volta,
come precedentemente suggerito, può essere un
fattore di rischio per i disturbi dell'alimentazione.
Uno studio eseguito in Italia ha evidenziato che il
10% circa delle madri di pazienti con anoressia
nervosa, rispetto allo 0% delle madri di soggetti
senza disturbi, ha un disturbo ossessivocompulsivo, ma non è ancora chiaro se questo
rappresenti un fattore specifico per lo sviluppo
dell'anoressia nervosa.
Infine, numerosi studi hanno evidenziato
un'elevata presenza di abuso d'alcol nei familiari
di primo grado dei soggetti affetti da bulimia
nervosa e da
anoressia nervosa con
abbuffate/condotte di eliminazione; le ricerche fino
ad ora effettuate non hanno però stabilito se
l'elevata prevalenza di dipendenza dall'alcol nei
familiari
sia
specifica
per
i
disturbi
dell'alimentazione, o sia invece una caratteristica
comune alla maggior parte dei disturbi psichiatrici.
Familiarità per obesità
Una ricerca condotta nel Regno Unito ha
evidenziato che avere un familiare che soffre di
obesità sembra essere un fattore di rischio per lo
sviluppo della bulimia nervosa e del disturbo da
alimentazione incontrollata.
Ambiente familiare ed interazioni
L'analisi delle caratteristiche della paziente e della
sua famiglia possono essere distorte dalla
presenza del disturbo dell'alimentazione, che può
modificare
l'attaccamento,
lo
stile
di
comunicazione e i livelli di emotività espressa
nella famiglia. Ciò fa sì che alcune caratteristiche
osservate nella famiglia potrebbero essere la
conseguenza e non la causa del disturbo
dell'alimentazione. Oggi va respinta con forza
l'ipotesi, in voga qualche anno fa, di una famiglia
"anoressogena", tuttavia in alcuni casi le
11
Allenatri
problematiche familiari sembrano essere i fattori
di rischio più rilevanti.
Dimensione della famiglia, ordine di genitura e
rapporti tra fratelli/sorelle
Ricerche metodologicamente corrette hanno
smentito le ipotesi cliniche secondo cui le pazienti
con anoressia nervosa fossero con più frequenza
figlie uniche, primogenite o ultimogenite. Altri studi
hanno evidenziato che né la posizione nella
famiglia né la dimensione del nucleo familiare
hanno un significato prognostico. Ciò, comunque,
non esclude che l'occupazione di una "posizione
speciale" all'interno della famiglia possa essere un
fattore di rischio per lo sviluppo dei disturbi
dell'alimentazione.
In alcuni casi la sorella si osserva che la sorella
affetta da anoressia nervosa percepisca un
controllo materno maggiore e sperimenti più
antagonismo, gelosia ed invidia nei confronti della
sorella non affetta dal disturbo. Poca ricerca
sistematica è stata, comunque, compiuta per
confermare tali osservazioni.
Struttura della famiglia ed interazioni familiari
Gli studi che hanno osservato la struttura della
famiglia hanno evidenziato che, in confronto ai
soggetti di controllo, le famiglie con un membro
affetto da anoressia nervosa mostrano maggiore
rigidità nella loro organizzazione familiare, hanno
confini interpersonali meno chiari e tendono ad
evitare le discussioni e i disaccordi tra genitori e
figli. Le famiglie con un membro affetto da bulimia
nervosa mostrano, invece, chiari confini
interpersonali, un'organizzazione familiare meno
stabile e un minor evitamento dei disaccordi.
Educazione e stile genitoriale
Le modalità educative e lo stile genitoriale dei
genitori delle persone affette da anoressia
nervosa sono state poco studiate. Da un punto di
vista clinico la caratteristica più comunemente
osservata è la mancanza di un'adeguata ed
articolata autorità genitoriale. Ciò significa che i
genitori spesso mostrano delle difficoltà nel
trovare un equilibrio tra il fornire un adeguato
(razionale e flessibile) controllo e il permettere
un'autonomia appropiata per l'età della loro figlia.
In alcuni casi ciò è legato al fallimento dei genitori
nel trovare un accordo di base nei riguardi
dell'educazione della figlia. Tale conflitti possono
riflettere dei problemi di coppia più generali.
Le pazienti affette da anoressia nervosa, rispetto
alle adolescenti non affette dal disturbo, riportano
spesso un'eccessiva protezione dei genitori nei
loro confronti, iniziata fin dall'infanzia. Inoltre, in
confronto a quelle affette da bulimia nervosa e a
quelle senza disturbi, percepiscono i loro genitori
come delle persone che forniscono un
"messaggio doppio" caratterizzato da un lato da
affetto genitoriale e dall'altro da trascuratezza
delle necessità della figlia di esprimere se stessa.
Vol.2 No.2
Le pazienti con bulimia nervosa, in confronto a
quelle con anoressia nervosa e ai controlli,
tendono a riportare con maggior frequenza
esperienze problematiche nell'infanzia; spesso
ricordano di aver ricevuto un'educazione
caratterizzata da mancanza di cura, specialmente
dalla loro madre, ed un'eccessiva protezione da
parte del padre.
Fattori di rischio socio – culturali
I disturbi dell'alimentazione sono stati anche
definiti "sindromi legate alla cultura", e cioè
specifici di alcuni paesi e culture e assenti in altri.
Esiste,
infatti,
un'estesa
documentazione
scientifica che prova che essi colpiscono
soprattutto la popolazione occidentale con uno
sviluppo di gradiente tra le varie culture e una
netta predominanza nei paesi industrializzati e
sviluppati. Numerosi studi trans-culturali hanno
evidenziato che l'anoressia nervosa e la bulimia
nervosa sono rare nei paesi non occidentali, e che
le donne non occidentali che emigrano nei paesi
ricchi sviluppano più facilmente un disturbo
dell'alimentazione rispetto alle loro coetanee
rimaste nel paese d'origine (ad esempio egiziane,
giapponesi, cinesi). Nella cultura occidentale, le
donne esposte a una maggiore pressione nei
confronti della dieta, come le atlete che praticano
sport e che, per le prestazioni o per l'apparenza,
esaltano la magrezza, hanno maggiori probabilità
di sviluppare un disturbo dell'alimentazione. Nel
Nord America, comportamenti alimentari disturbati
sono ugualmente comuni fra le donne caucasiche
e ispaniche, mentre sono meno comuni fra le
donne nere e asiatiche e nella maggior parte degli
indiani d'America.
I fattori socioculturali che favoriscono lo sviluppo
di un'immagine corporea negativa e i disturbi
dell'alimentazione
ruotano
attorno
all'idealizzazione
della
magrezza
e
alla
denigrazione dell'obesità. Queste attitudini sociali
si sono sviluppate negli ultimi trent'anni per alcune
modificazioni economiche verificatesi nei paesi
occidentali e sono mantenute mass media, dalla
famiglia e dai coetanei. Le attitudini sociali nei
confronti del peso e dell'aspetto fisico sono poi
interiorizzate da alcuni individui predisposti per il
concorrere di due processi, il rinforzo sociale e il
modellamento.
Idealizzazione della magrezza
È difficile stabilire esattamente il momento in cui
la moda della magrezza si è affacciata presso le
società occidentali. Tra il 1400 e il 1700 le forme
corporee femminili grasse erano considerate
sessualmente attraenti e alla moda. La donna
12
Allenatri
ideale era ritratta rotonda, con grandi mammelle e
materna. Nel diciannovesimo secolo l'ideale di
bellezza femminile si è spostato verso una figura
più voluttuosa con forme corporee che si
potrebbero definire a clessidra. Nel 1900 si sono
avute profonde modificazioni nell'ideale di
bellezza femminili con periodi in cui la donna
doveva avere un aspetto tubulare senza curve
(1920), altri in cui doveva avere curve molto
prorompenti (1950) con una tendenza che è
continuata fino al 1960, con l'esplosione del
fenomeno Twiggy e l'enfasi di un corpo angolare
ed ossuto.
Il professor Garner e il dottor Wiseman, hanno
esaminato il peso corporeo di tutte le partecipanti
alla fase finale del concorso di Miss America e
delle modelle della pagina centrale della rivista
Play Boy dal 1959 al 1978 e dal 1979 al 1988; i
ricercatori hanno evidenziato che il peso corporeo
delle miss e delle modelle è stato sempre
significativamente inferiore, rispetto a quello delle
tabelle del peso ideale, con un progressivo
abbassamento negli ultimi anni, come illustrato
nella figura 7. Al contrario delle miss e delle
modelle, i giovani dei paesi occidentali sono
aumentati progressivamente di peso; si è venuto
a creare perciò uno scarto significativo tra
l'aspetto fisico reale e quello ideale, con la
conseguenza che l'insoddisfazione per il proprio
corpo e le pratiche dietetiche sono diventate
estremamente diffuse tra i giovani. Il professor
Garner con altri colleghi ha trovato che poco più
del 5% delle donne che detenevano una polizza
assicurativa sulla vita fra i 20 e i 29 anni erano
magre come la media del peso delle partecipanti
al concorso di Miss America che avevano vinto il
titolo fra il 1970 e il 1978.
Sebbene negli ultimi anni l'ideale alla moda ha
recentemente incluso corpi con grandi mammelle
e con elevato tono muscolare, l'ideale di
magrezza è rimasto l'epitomo della bellezza negli
ultimi trent'anni.
Teorie che hanno cercato di capire perché è
emerso l'ideale di magrezza
Non è facile spiegare perché nei paesi occidentali
è emerso l'ideale di magrezza; tre teorie,
comunque, sono quelle più accreditate.
1) Teoria dell'indipendenza economica. Secondo
questa teoria, elaborata dal professor Barber,
nelle società che promuovono l'indipendenza
economica la donna compete con l'uomo nei posti
di lavoro. Sembrando più mascolina (più magra e
con meno curve) appare più competitiva. Nelle
società dove non è possibile l'indipendenza
economica della donna, essa deve raggiungere
un adeguato stato sociale attraverso l'uomo, che
cerca di attrarre con un corpo formoso. Tale
corpo, caratterizzato dalla presenza di fianchi
larghi, offre la massima probabilità di fornire
all'uomo discendenti sani e numerosi. Il problema
Vol.2 No.2
maggiore nella logica della teoria economica è
che l'ideale femminile della donna che guadagna il
potere economico non è l'essere simile ad un
maschio, ma più magra ed innocente. È il look
magro, giovanile ed adolescenziale di Twiggy che
è idealizzato.
2) Teoria del conflitto di ruolo. I professori
Rapahel e Lacey hanno ipotizzato che la
comparsa dell'ideale della magrezza sia emerso
in conseguenza dei sentimenti conflittuali della
donna nei confronti del suo ruolo sociale. Questa
teoria ipotizza che la magrezza può essere un
modo per la donna di mostrare un grande senso
di auto-controllo ed indipendenza nei confronti
dell'uomo. Il limite principale della teoria è quello
di non spiegare la comparsa della pressione
socioculturale sulla magrezza nell'uomo.
3) Teoria della disponibilità di cibo. Il professor
Smuth ha presentato una teoria, meno dipendente
dal sesso, anch'essa basata su principi
economici. Per la maggior parte della storia le
società hanno lottato per avere abbastanza
risorse
alimentari
per
sopravvivere.
La
pesantezza era un segno di essere in salute e di
possedere più risorse di quelle necessarie per
vivere. Quando nella società è presente
un'abbondanza di cibo la magrezza diviene una
reazione a tale eccesso. La magrezza diventa un
mezzo per mostrare la propria salute e per dire:
"Io sono sicuro finanziariamente, non ho bisogno
di portarmi dietro del peso extra". In reazione
all'abbondanza di cibo attorno a loro, queste
donne divennero ascetiche. Si può tracciare il
parallelo nella nostra società attuale affermando
che le persone reagiscono all'abbondanza
enfatizzando l'auto-controllo alimentare e del
corpo e la crecsita intellettuale. Anche questa
teoria, sebbene interessante, non è dimostrabile.
Queste teorie, sebbene criticabili, ci insegnano
due cose: 1. l'ideale di bellezza è instabile; 2. la
cultura sembra attaccare dei significati alla
bellezza delle donne, in particolare.
Denigrazione dell'obesità
Le attitudini negative nei confronti dei soggetti
obesi costituiscono un delle ultime forme di
discriminazione socialmente accettate. Con il
progressivo incremento di persone affette da
obesità, il numero delle persone potenzialmente
affette da questo discriminazione è enorme.
Numerose ricerche hanno dimostrato che la
discriminazione dei soggetti obesi è un fatto reale
ed è presente in molti ambiti e situazioni.
Nei paesi ricchi ci sono messaggi che enfatizzano
in modo potente il fatto che essere grassi significa
avere scarse capacità di autocontrollo Attitudini
negative nei confronti delle persone obese sono
state trovate negli adulti e nei bambini, nel
personale sanitario e paradossalmente anche tra
13
Allenatri
le persone obese stesse. I bambini di sei anni di
età descrivono un bambino obeso nel modo
seguente: pigro, sporco, stupido, brutto, bugiardo
e imbroglione. Indagini di grandi dimensioni hanno
mostrato che, in confronto ai coetanei normopeso,
quelli obesi tendono a interrompere la carriera
scolastica più precocemente e hanno più difficoltà
a entrare in scuole prestigiose o a trovare lavori
gratificanti. Inoltre, è stato osservato che le donne
inglesi e americane guadagnano meno di quelle
normopeso o con altre condizioni croniche e
hanno più difficoltà a sposarsi. Le attitudini
negative del personale sanitario (medici, studenti
di medicina, dietisti e infermieri) nei confronti
dell'obesità è di particolare importanza. I soggetti
obesi che percepiscono il pregiudizio nei loro
confronti tendono a evitare di chiedere un aiuto
medico per la loro condizione. I medici spesso
non sono molto interessati a gestire i pazienti
obesi perché li credono deboli, incapaci di
controllo e di beneficiare dei loro consigli. Ad
esempio, in uno studio si è osservato che la
prescrizione di farmaci ipolipemizzanti effettuata
dai medici di famiglia inglesi era volutamente più
bassa nei soggetti obesi, rispetto a quelli
normopeso. Altre forme di discriminazione non
molto studiate, ma spesso osservate, includono il
ricevere commenti negativi sul proprio aspetto
durante le interazioni interpersonali, l'avere
difficoltà ad adottare un bambino ed essere
esclusi da una giuria perché si ha un eccesso di
peso.
Perché nei paesi occidentali si è sviluppata la
denigrazione dell'obesità?
Secondo la prospettiva ideologica sociale del
dottor Crandall i valori tradizionali e conservativi di
auto-determinazione,
auto-disciplina
ed
individualismo nordamericani rappresentano il
nucleo centrale delle attitudini sociali negative nei
confronti delle persone obese. Secondo dottor
Crandall il pregiudizio nasce principalmente
dall'idea che l'obesità sia la conseguenza di
scarsa capacità di auto-controllo e auto-disciplina
e che perciò l'individuo obeso sia totalmente
responsabile della sua condizione. Sebbene
numerose ricerche abbiano smentito questa
interpretazione eziologica (l'obesità deriva
dall'interazione di fattori genetici ed ambientali) la
visione moralistica nei confronti delle persone
obese è tuttora predominante.
Meccanismi che favoriscono l'interiorizzazione
dell'ideale di magrezza e della denigrazione
dell'obesità
Poiché nella nostra cultura il comportamento
alimentare ed il peso corporeo sono fortemente
legate all'idea dell'auto-controllo (vedi sopra) è
facilmente capibile perché le persone che sono
perfezioniste e che necessitino di forte autocontrollo per valutare se stesse con più facilità di
altre interiorizzino e facciano loro le attitudini
Vol.2 No.2
sociali nei confronti della magrezza e dell'obesità.
. Il processo di interiorizzazione dell'ideale di
magrezza e della denigrazione dell'obesità è
favorito se l'individuo ha la tendenza a
conformarsi alle idee e alle convinzioni degli altri,
e questo si verifica in particolar modo negli
individui con basa auto-stima, caratteristica
frequentemente presente nelle persone che
sviluppano i disturbi dell'alimentazione.Oltre ai
tratti di personalità, l'interiorizzazione dei
messaggi socioculturali può verificarsi per l'azione
di tre processi: il rinforzo sociale, il modellamento
e il confronto sociale. Il rinforzo sociale si riferisce
al processo in cui le persone interiorizzano alcune
attitudini e comportamenti approvati dal rispetto
degli altri. Ad esempio, una ragazza adolescente
può cercare di dimagrire con maggiore probabilità
se i mass-media glorificano la magrezza. Il
rinforzo sociale dell'ideale di magrezza si può
manifestare anche se, ad esempio, persone
famose (dello sport o dello spettacolo) sono
preoccupate per il loro peso e forme corporee,
seguono delle diete ipocaloriche e criticano le
persone obese. ultra-magro.
Il modellamento si riferisce, invece, al processo in
cui gli individui direttamente emulano i
comportamenti che osservano. Ad esempio, una
donna può fare la dieta con più facilità se vede
una compagna o una persona dello spettacolo
che adotta tale comportamento. Il vedere alla
televisione
delle
persone
con
disturbi
dell'alimentazione o avere dei compagni affetti da
tali disturbi può favorire lo sviluppo negli
adolescenti dell'idea che abbuffarsi, vomitare o
seguire delle diete sia una cosa normale. Tutto ciò
può favorire l'emulazione di questi comportamenti
e lo sviluppo, in alcuni soggetti predisposti, di
disturbi dell'alimentazione.
Il confronto sociale sembra, infine, giocare un
ruolo importante nel favorire lo sviluppo di
insoddisfazione corporea e preoccupazione per il
peso e le forme corporee, nei soggetti esposti alle
immagine dei media che riportano figure di donne
magre
ed
idealizzate.
Secondo
questa
prospettiva, gli individui quasi inevitabilmente
tendono a confrontare se stessi con queste
immagini "ideali" e conseguentemente giudicano
se stessi inadeguati e difettosi; ciò favorisce le
sviluppo di insoddisfazione corporea e l'adozione
di pratiche di controllo del peso non salutari.
Influenze dei mass media
Numerosi studi hanno dimostrato che i massmedia favoriscono lo sviluppo di disturbi
dell'immagine corporea e dell'alimentazione. Le
ragioni
dell'effetto
pernicioso
dei
media
sull'immagine corporee sono numerose:
1) L'analisi di contenuto hanno evidenziato che le
dimensioni corporee delle modelle, delle attrici e
14
Allenatri
di altre icone culturali femminili ha dimostrato che
esse sono diventate progressivamente più magre
nelle ultime decadi (vedi sopra studio su Miss
America e modelle centro pagina di Play boy). Un
quarto circa delle modelle rappresentate nei
settimanali femminili hanno un peso corporeo che
soddisfa i criteri diagnostici dell'anoressia
nervosa. La tendenza ad essere sempre più magri
si
correla
con
l'aumento
dei
disturbi
dell'alimentazione ed è stata la prima linea di
evidenza che ha suggerito che i media
contribuiscono allo sviluppo dei
disturbi
dell'alimentazione. Oltre a ciò, nei media ci sono
poche persone sovrappeso, nonostante che nella
popolazione occidentale si sia verificato un
aumento
significativo
nella
prevalenza
dell'obesità.
2) I dati delle ricerche suggeriscono che oggi c'è
una maggiore enfasi sulla dieta e sul controllo del
peso corporeo nei giornali femminili, rispetto a
quelli maschili e questo va in parallelo con la
differenza
di
prevalenza
dei
disturbi
dell'alimentazione nei due sessi.
3) C'è abbastanza evidenza che l'uso di media
che contengono immagini di donne magre si
correla con l'insoddisfazione corporea e disturbi
dell'alimentazione correnti e futuri.
4) Gli individui affetti da bulimia nervosa
percepiscono una maggior pressione da parte dei
media ad essere magri, rispetto ai controlli, e
spesso riferiscono di aver imparato pratiche non
salutari di controllo del peso corporeo dai giornali
o dalla televisione (ad esempio, l'indursi il vomito).
5) Studi controllati hanno documentato che
l'esposizione acuta ad immagini nei giornali o
nella televisione di donne magre con un corpo
"ideale"
determinano
un
aumento
della
insoddisfazione corporea e delle emozioni
negative (ad esempio, depressione, vergogna e
rabbia).
È interessante sottolineare che
quest'effetto è maggiore se gli individui hanno già
elevati livelli di insoddisfazione corporea ed hanno
elevati livelli di interiorizzazione dell'ideale di
magrezza.
Influenze della famiglia
Per quanto riguarda le influenze familiari,
numerosi studi, in parte già descritti nei fattori di
rischio familiari, che supportano l'ipotesi che
alcune pressioni socioculturali sulla magrezza e la
dieta provenienti dalla famiglia favoriscono lo
sviluppo di preoccupazione per il peso e le forme
corporee e di disturbi dell'alimentazione (vedi
critiche dei familiari sul peso e le forme corporee,
familiari a dieta, e obeasità dei genitori come
fattori di rischio dei disturbi dell'alimentazione).
Vol.2 No.2
Influenze dei coetanei
Negli ultimi anni sempre più ricerche hanno
osservato che anche i coetanei possono
contribuire
a
facilitare
lo
sviluppo
dell'insoddisfazione corporea e dei disturbi
dell'alimentazione.
Le evidenza sono molteplici.
1) Gli individui con bulimia nervosa riportano
di aver percepito una pressione più
elevata ad essere magri da parte dei loro
compagni, rispetto ai controlli. Molti
pazienti affermano di11 aver iniziato ad
avere comportamenti bulimici dopo aver
iniziato una dieta sotto la spinta di
un'amica.
2) L'interesse dei compagni nei confronti
della dieta e la presenza di amici con
elevati livelli di interiorizzazione dell'ideale
di magrezza si correla con lo sviluppo dei
disturbi dell'alimentazione.
3) Le prese in giro dei compagni sul peso,
come già detto, predicono lo sviluppo di
insoddisfazione corporea e disturbi
dell'alimentazione.
4) Esiste l'evidenza di un effetto di
modellamento diretto: uno studio, ad
esempio, ha evidenziato la presenza di
una relazione positiva tra abbuffate e
presenza di abbuffate nei compagni; tale
associazione diventa più forte quanto
maggiore è il grado di amicizia. Numerose
persone con bulimia nervosa riferiscono,
inoltre, di aver imparato a vomitare da
delle loro amiche.
5) La pressione dei compagni ad essere
magri percepita predice lo sviluppo di
insoddisfazione corporea, comportamenti
dietetici e bulimici ed emozioni negative.
6) In sintesi c'è una grande evidenza che i
compagni e gli amici possono influenzare
lo sviluppo di un'immagine corporea
negativa e di disturbi dell'alimentazione.
Poche ricerche hanno valutato il ruolo del
partner, ma alcune pazienti mi hanno
riferito di aver iniziato a restringere la loro
alimentazione per perdere peso sotto la
spinta del loro fidanzato.
CONCLUSIONI
La lettura di queste dispense vi avrà fatto
comprendere che le cause dei disturbi
dell'alimentazione sono complesse. Con le
conoscenze che abbiamo oggi non è più
accettabile
sostenere
che
i
disturbi
dell'alimentazione derivano semplicemente da
mancanza di forza di volontà o da problematiche
15
Allenatri
familiari o dalla pressione sociale ad essere
magri. I disturbi dell'alimentazione, infatti, non
originano da un'unica causa, ma dall'azione
Vol.2 No.2
combinata di numerosi fattori di rischio individuali,
familiari e socioculturali.
16
Allenatri
Vol.2 No.2
IL PROBLEMA DEI DISTURBI ALIMENTARI NELLO SPORT DI ALTO LIVELLO, LORO
INDIVIDUAZIONE E TRATTAMENTO.
Acquisire consapevolezza del rischio di comportamenti alimentari patologici in relazione all'attività
sportiva e alla cura del corpo.
Di Francesco Di Russo - Docente presso lo IUSM di Roma
Sport e disturbi alimentari
Le domande alle quali si cerca di rispondere sono:
se lo sport d’alto livello attiri soggetti che
presentano alterazioni del comportamento
alimentare; se la pratica dello sport può provocare
disturbi alimentari; se l'attività sportiva incoraggi lo
sviluppo di tali comportamenti. Inoltre, sono forniti
consigli pratici su come individuare e trattare i
disturbi dei comportamenti alimentari e sono
esposte quali siano le conseguenze della
conservazione
di
un
peso
corporeo
eccessivamente basso per un lungo periodo.
Introduzione
Nella definizione disturbi alimentari (eating
disorders) vengono comprese due patologie
psicosomatiche che vanno sotto il nome di
anoressia nervosa e bulimia nervosa, mentre
viene
definito
comportamento
alimentare
disordinato (disordered eating) un comportamento
alimentare deviante dalla norma, che però non
risponde pienamente ai criteri di un disturbo
alimentare manifesto. Ne sono alcuni esempi la
"dieta a jo-jo" (Schek 2001) e la "pseudoanoressia
da sport" (Clasing et al. 1997). In questa
cosiddetta anoressia atletica, il comportamento
alimentare è ancora controllabile: i soggetti in
questione possono modificare volontariamente la
loro alimentazione, a seconda della fase di
allenamento e rimodificarla alla fine della loro
carriera, aumentando di nuovo di peso. Invece un
disturbo alimentare comporta sempre una perdita
di controllo: ciò che inizialmente veniva messo in
atto volontariamente per diminuire di peso diventa
automatico e il comportamento alimentare non è
più controllabile (attacchi di avidità patologica di
cibo).
Tra le cause che determinano la comparsa di
disturbi alimentari, oltre a fattori biologici (fame
risultante da un'alterazione della regolazione del
senso di sazietà), vengono citati soprattutto fattori
sociali e culturali (ideale di magrezza, spinta al
successo) e fattori psicologici. In particolare si
tratta di persone che non hanno adeguate
strategie di coping dello stress, e il cui senso di
identità e la cui autostima sono carenti (Johnson
1994). Inoltre, queste persone tendono a
presentare una percezione alterata del proprio
corpo, perfezionismo ed un senso di perdita di
controllo. Secondo Lindman (1994), nello sport di
alto livello persone che presentano queste
caratteristiche non sono rare. Gli atleti hanno
un’elevata consapevolezza di sé, soprattutto del
proprio corpo e dei suoi limiti di prestazione,
attribuiscono un valore elevato alla vittoria e
vengono influenzati, nel loro comportamento e nei
loro obiettivi, sia dal loro livello di prestazione, sia
dagli allenatori, dai genitori, dagli insegnanti, dai
dirigenti, dai compagni di squadra e dagli amici.
Diminuire l'alimentazione ed una iperattività fisica
rappresentano per gli atleti una possibilità di
esercitare un controllo compensativo su se stessi.
Se questo controllo viene minacciato, ad esempio
da un trauma o dal cambiamento di allenatore, il
senso di perdita di controllo può condurre a
praticare forme insane di regolazione del peso
come digiuno, vomito provocato ed abuso di
lassativi,
diuretici
e
anoressizzanti.
Tra
un'alimentazione restrittiva e un disturbo
alimentare manifesto non c'è soluzione di
continuità. Il disturbo alimentare viene vissuto
come ulteriore perdita di controllo, e la percezione
di sempre maggiore perdita di controllo può far
arrivare a fenomeni depressivi ed in casi estremi a
rischio di suicidio.
In quegli atleti che non presentano caratteristiche
predisponenti,
come
quelle
descritte
precedentemente, sapere che possono migliorare
17
Allenatri
Vol.2 No.2
i loro risultati con una (moderata) riduzione del
peso può provocare anche alterazioni del
comportamento alimentare, però senza che
queste evolvano fino a diventare disturbi
alimentari manifesti (Clasing et al. 1997).
I criteri IDC-10 per quanto riguarda la bulimia
nervosa sono:
1. continua attenzione per il cibo ed attacchi di
avidità di cibo, durante i quali vengono
consumate grandi quantità di alimenti in
periodi di tempo molto brevi;
2. tentativo di opporsi all’effetto d’ingrassamento
provocato dal mangiare attraverso varie
modalità di comportamento;
3. timore patologico di ingrassare;
4. frequenti episodi passati di anoressia.
Definizione dei concetti
Negli Stati Uniti, per la diagnosi dei disturbi
alimentari viene utilizzata la 4° edizione del
Diagnostic and Statistical Manual of Mental
Disorders (DSM-IV). Questo manuale della
Società Americana di Psichiatria nel 1994 ha
sostituito la 3° edizione riveduta del 1987 (DSMIII-R), che, a sua volta, si era sostituita alla 3°
edizione (DSM-III) del 1980. I criteri attuali per la
diagnosi dell'anoressia nervosa comprendono
insufficienza di peso (oltre il 15% inferiore alla
norma), paura di aumentare di peso, alterazione
della percezione del corpo, dismenorrea e
amenorrea (assenza o scomparsa del flusso
mestruale mensile).
In Germania i disturbi alimentari, normalmente,
vengono diagnosticati servendosi della 10°
edizione dell'International Classification of Mental
Disorders (ICD-10) (Dilling et al. 1993). I criteri per
identificare l'anoressia nervosa sono:
1. un peso corporeo del 15% inferiore alla norma
od un indice di massa corporea (Body Mass
Index, BMI) inferiore a 17,5 kg/m2.
2. Perdita di peso auto-indotta evitando di
assumere alimenti ad elevato contenuto
calorico ed auto-provocando conati di vomito,
facendo abuso di lassativi, di diuretici, di
farmaci che riducono l'appetito e/o praticando
iperattivitià fisica.
3. Disturbi dello schema corporeo e convinzione
ossessiva d’essere grasso/a.
4. Disturbi di natura endocrina
ipotalamo-ipofisario-gonadico,
Ambedue i sistemi di classificazione distinguono,
all’interno del concetto di anoressia, un sottotipo
di anoressia restrittiva ed un sottotipo bulimico
(binge-purge). Nell’anoressia bulimica si ricorre a
metodi attivi di riduzione del peso come vomito
auto-indotto, uso di purganti, a volte collegati ad
attacchi di avidità di cibo. Nell’anoressia restrittiva
questi metodi di dimagrimento sono assenti.Per
quanto riguarda l’anoressia atletica - descritta per
la prima volta come digiuno degli atleti da Smidt
(1980) - non ci sono criteri ufficiali. In linea di
principio si tratta di una reazione anoressica in
atleti/e (Steinacker et al. 1996) inserita all’interno
di un continuum che va da comportamenti
alimentari normali (non alterati) all’anoressia
(restrittiva o bulimica). La tabella 1 mostra undici
possibili criteri, assoluti e relativi, per identificare
l’anoressia atletica. Questi criteri, originariamente
elaborati da Pugliese (1983) per i bambini in età
scolare, sono stati ripresi da Sundogot-Borgen
(1993) e sottoposti a nuova ponderazione per
adattarli agli atleti. Tali criteri devono
assolutamente comprendere: un peso inferiore
alla norma (più del 5% al di sotto della norma),
l’assenza di patologie organiche che giustifichino
il calo di peso, un eccessivo timore di ingrassare,
restrizioni alimentari e disturbi del tratto gastrointestinale. Secondo McArdle et al. (1999) come
criterio assoluto sarebbe sufficiente anche
l’utilizzazione di uno solo dei metodi insani di
controllo del peso, quale il digiuno, il vomito, l’uso
di purganti, ecc. Neumärker, Bartsch (1998) non
accettano
“questo
tipo
di
tentativi
di
classificazione” in quanto “è evidente la
confusione che ne risulta”.
dell’asse
5. Nel caso in cui la malattia inizi prima della
pubertà: alterazioni dello sviluppo puberale,
incluso l’accrescimento somatico, spesso
reversibili con la ripresa di un’alimentazione
regolare.
18
Allenatri
Tabella 1 - Criteri di diagnosi dell’anoressia
atletica (secondo Sundgot-Borgen 1993a)
Criteri assoluti:
• Una perdita di peso che porta ad un peso
corporeo del 5% inferiore al peso minimo normale
per una data età e statura.
• La mancanza di malattie organiche o d’altri
disturbi, che possano spiegare la perdita di peso.
• Timore eccessivo di ingrassare.
• Rifiuto di alimentarsi (restrizione dell’apporto
energetico a meno di 1200 kcal al giorno)
• Disturbi gastroenterici
Criteri relativi:
• Alterazione dello schema corporeo
• Comportamento diretto ad eliminare cibi solidi e
fluidi ingeriti (vomito auto-indotto, lassativi,
diuretici, ecc.).
• Attacchi di voracità
• Disturbi mestruali (oligorrea/amenorrea).
• Pubertà ritardata
• Forzata iperattività fisica
Neumärker, Bartsch (1998) invitano a non
considerare l’indice di massa corporea (Body
Mass Index, BMI) a prescindere dalla costituzione
fisica, raccomandando una “oggettivazione
somatometrica della tipologia costituzionale
attraverso l’indice metrico”. L’articolo di G.
Fröhner, T. Bartsch pubblicato nel n. 53 di questa
rivista, tratta ampiamente l’influenza della
tipologia costituzionale sul rischio di anoressia. In
breve, gli atleti che presentano una costituzione
metromorfa ed un BMI inferiore a 18 sono
maggiormente a rischio di anoressia degli atleti
che, a parità di BMI, hanno una costituzione
leptomorfa. Storlie (1991) propone di tenere conto
della percentuale di grasso corporeo. Per quanto
concerne gli uomini, la percentuale di grasso
corporeo non dovrebbe scendere al di sotto del 510% nei ginnasti, corridori, nuotatori, lottatori,
tennisti, calciatori e giocatori di pallacanestro e
dell’11-15% negli atleti dell’atletica leggera, nei
pesisti, nei giocatori di baseball e di football
americano. Per quanto concerne le donne, Storlie
consiglia una percentuale di grasso corporeo del
12-15%, se praticano ginnastica, balletto classico
o corsa e del 15-20% se praticano altri sport.
Metodi di ricerca
Lo strumento di screening, abitualmente usato per
individuare atleti a rischio di comportamento
Vol.2 No.2
alimentare disturbato, è rappresentato da
questionari standardizzati. Tali questionari sono
composti da 64 domande a risposta chiusa sulla
frequenza di determinate azioni e reazioni; per
ciascuna domanda le persone devono fare una
croce su una delle sei risposte possibili, che
vanno da “sempre” a “mai”. Successivamente, le
risposte vengono valutate assegnando un
punteggio a ciascuna di esse. Le persone che
superano un punteggio prestabilito, o che
ottengono un punteggio simile ad un gruppo di
controllo costituito da pazienti che presentano
disturbi alimentari, vengono considerati “a rischio”.
Lo Eating Attitude Test (EAT) rileva il rischio di
anoressia restrittiva o bulimica, mentre lo Eating
Disorder Inventory (EDI) rileva quello di
comportamento anoressico o bulimico. Comunque
non è possibile riuscire a fare una distinzione
netta tra bulimia ed anoressia bulimica, per cui
con le domande sul comportamento anoressico
vengono rilevati solo i soggetti che presentano
anoressia restrittiva (Walberg, Johnston 1991). Un
altro svantaggio del metodo dei questionari è che
non riesce a rilevare tutti coloro che sono colpiti
da disturbi alimentari, poiché coloro che
presentano disturbi alimentari manifesti, sono
proprio quelli che più frequentemente forniscono
risposte false o evitano di partecipare (O’Connor
et al. 1995). In questo modo si finisce per
sottostimare il numero delle persone a rischio. Di
contro, utilizzando il concetto di soggetti “a
rischio” si sopravvaluta l’esistenza di disturbi
alimentari manifesti, in quanto non tutte le
persone a rischio rispondono ai criteri diagnostici
dei disturbi alimentari (Sundgot-Borgen, Larsen
1993a). Perciò per validare i risultati dell’Eating
Disorder Inventory o dell’Eating Attitude Test
viene raccomandata la combinazione con una
intervista sulla base dei criteri del DSM o dell’IDC
(Dale, Landers 1999) o con una intervista semistrutturata come la Eating Disorder Examination
(Cooper, Fairburn 1987).
Diffusione dei disturbi alimentari e sport a
rischio
La frequenza con la quale si presenta l’anoressia
nervosa nelle adolescenti e nelle giovani donne
dell’Europa occidentale viene stimata dallo 0,25
allo 0,5. Il rapporto tra uomini e donne va da 1 su
2 a 1 su 10 (Barry, Lippmann 1990), con una
tendenza all’aumento. Di regola, le persone
affette da questo disturbo cercano di conformarsi
all’ideale corrente di magrezza. La diffusione della
bulimia nervosa viene stimata dall’1,5 al 2,5%.
Anche in questo caso le donne sono più colpite
degli uomini. Generalmente mancano loro
strategie adeguate di soluzione dei problemi della
vita quotidiana. Informazioni più dettagliate su
19
Allenatri
Vol.2 No.2
questa problematica si possono trovare in Schek
(2001).
Nello sport di alto livello sembra che i disturbi del
comportamento alimentare si presentino con
maggiore frequenza che nella popolazione
normale. Anche qui, le più colpite sono le
adolescenti e le giovani donne, ma l’obiettivo non
è l’ideale di magrezza, quanto invece la
prestazione sportiva. Dati attendibili sulla maggior
frequenza di occorrenza di questo disturbo nelle
atlete di alto livello emergono finora dall’unico
studio controllato noto in letteratura, effettuato su
un vasto campione di 522 atlete di alto livello
norvegesi, appartenenti a trentacinque sport
diversi e su 448 non-atlete, mediante la
somministrazione di due questionari e lo
svolgimento di un’intervista personale e di una
indagine clinica (Sundgot-Borgen 1993). Oltre che
dei criteri del DMS-III-R per diagnosticare
l’anoressia e la bulimia nervosa, si è tenuto conto
anche di criteri per diagnosticare l’anoressia
atletica (tabella 1). Però i risultati vanno
interpretati con una certa cautela per una serie di
ragioni:
1. la definizione di anoressia atletica non ha
una validità assoluta
2. le atlete sono state intervistate solo
durante, ma non al di fuori, della stagione
di gara e
3. a quanto pare sono state categorizzate
come anoressiche solo le atlete affette da
anoressia restrittiva.
Nella tabella 2 viene fornito un quadro dettagliato
dei risultati, mentre qui di seguito sono riportati
solo i risultati più importanti: mentre l’11% delle
non-atlete ed il 12% delle atlete nel questionario
autonomamente compilato avevano indicato che
soffrivano di disturbi alimentari, dall’intervista
risultava che solo il 5% delle non-atlete, rispetto al
18% delle atlete, di fatto soffriva di disturbi
alimentari: delle atlete, l’1,3% rispondeva ai criteri
dell’anoressia nervosa, l’8% a quelli della bulimia
nervosa ed l’8,2% a quelli dell’anoressia atletica.
Secondo l’EDI il 22% delle atlete erano a rischio
di sviluppare disturbi alimentari, ed il rischio più
elevato si presentava negli sport “estetici” (34%),
seguiti dagli sport in cui ci sono classi di peso
(27%) e dagli sport di resistenza (20%). Negli
stessi tipi di sport oltre il 50% delle donne soffriva
di disfunzioni mestruali. Perciò l’Autrice arriva alla
conclusione che le donne che praticano sport a
livello agonistico nei quali viene richiesta
magrezza o un determinato peso corporeo,
rischiano di sviluppare disturbi alimentari e
dismenorrea più delle donne che praticano altri
sport o non praticano sport. Clasing et al. (1997)
sono della stessa opinione, motivandola con il
fatto che la prestazione in questi tipi di sport
dipende, tra gli altri fattori, dal peso corporeo, che
quindi deve essere mantenuto sotto controllo.
Negli sport “estetici”, come la ginnastica e la
danza, uno scarso peso corporeo favorisce
l’esecuzione dei movimenti. Inoltre esiste la
convinzione che con un corpo snello si possa
ottenere un punteggio maggiore da parte della
giuria. Negli sport di resistenza, come la corsa,
uno scarso peso corporeo - o più precisamente
una minore percentuale di grasso corporeo - a
parità di VO2max assoluto significa un VO2max
relativo più elevato e, quindi, un miglioramento
della capacità di resistenza. Invece negli sport in
cui ci sono classi di peso, come la lotta,
diminuendo il peso si può ottenere un vantaggio,
se
l’avversario
nella
classe
di
peso
immediatamente inferiore è relativamente più
debole.
Anche gli studi condotti negli anni ‘90 con un
valido disegno sperimentale in alcune discipline
sportive permettono di concludere che le atlete di
alto livello degli sport “estetici”, degli sport di
resistenza e di quelli con categorie di peso
incorrono più frequentemente in disturbi alimentari
e mestruali. Inoltre, le donne corrono
maggiormente il rischio di essere sottopeso per
lunghi periodi di tempo. Gli atleti che durante la
stagione agonistica vogliono ridurre il proprio
peso, come gli atleti degli sport di combattimento,
i canottieri della categoria pesi leggeri, i fantini od
i saltatori con gli sci, terminata la stagione
generalmente aumentano di nuovo di peso. Solo
saltuariamente vengono utilizzati metodi non
salutari per ridurre il peso. Il comportamento
alimentare dei culturisti e ciò che essi fanno per la
loro immagine esteriore, in molti casi, sono simili a
quelli delle persone che soffrono di disturbi
alimentari. Però, a differenza di queste ultime, i
culturisti attribuiscono maggiore importanza
all’aumento della massa muscolare anziché che
alla diminuzione del grasso corporeo. Per
descrivere questo fenomeno è stato coniato il
concetto di reverse anorexia (Pope et al 1993).
Tabella 2 - Risultati di uno studio su atlete e non-atlete norvegesi realizzato nel 1993
Campione
Risultati
20
Allenatri
Vol.2 No.2
• il 31% delle atlete ed il 27% delle non praticanti seguivano una dieta, perché il
73% delle atlete voleva migliorare i suoi risultati e l’83% delle non praticanti voleva
migliorare il loro aspetto.
• il BMI delle atlete (20,8 kg/m2) era minore di quello delle non praticanti (21,5
522 atlete e 448 non kg/m2);
atlete (sono inclusi
35 sport o 6 tipologie • un numero di atlete (11%) maggiore delle non praticanti (7%) ricorreva a metodi
non salutari di
di sport*)
controllo del peso. Tra essi il più citato era il digiuno
• il 12% delle atlete e l’11% delle non praticanti pensavano di soffrire di disturbi
alimentari.
• il 22% delle atlete ed il 26% delle non-atlete erano a rischio di disturbi alimentari;
• negli sport “estetici” (34%) ed in quelli con categorie di peso (27%) il rischio era
522 atlete e 448 nonpiù elevato che negli sport di resistenza (20%), negli sport tecnici (13%), negli
atlete 6 tipologie di
sport con la palla (11%) e negli sport di forza (6%);
sport
• le atlete più magre si trovavano nel gruppo degli sport estetici (BMI 18,8 kg/m2)
e di resistenza (22%).
348 atlete (67%) e
303 non-atlete
(68%) che non
facevano uso di
contraccettivi orali
• il 54% delle atlete a rischio di disturbi alimentari, il 41% di quelle non a rischio ed
il 36% delle non-atlete a rischio ed il 23% di quelle non a rischio presentavano
disfunzioni mestruali (oligomenorrea/amenorrea);
• le atlete degli sport di resistenza (62%), di quelli estetici (60%) e di quelli con
categorie di peso (50%) risultavano presentare disturbi alimentari piu’
frequentemente delle atlete praticanti sport tecnici (37%), con la palla (28%) o di
forza (22%).
• il 18% delle atlete ed il 5% delle non-atlete presentavano disturbi alimentari;
• le atlete praticanti sport nei quali viene posto l’accento sulla snellezza e su un
103 atlete (20%) e 30 determinato peso, erano più colpite (25%) di quelle praticanti altri sport (12%); 7
non-atlete (7%) a
atlete (1,3%) rispondevano ai criteri dell’anoressia nervosa, 42 (8%) a quelli della
rischio di disturbi
bulimia nervosa e 43 (8,2%) a quelli dell’anoressia atletica; 11 (2,1%) non
alimentari
potevano essere classificate:40 atlete affette da bulimia nervosa e 15 affette da
anoressia atletica riferivano di attacchi di voracita’ e di far uso di mezzi per
eliminare cibi e fluidi ingeriti.
* Sport di tipo tecnico: sci alpino, bowling, golf, equitazione, tiro, vela, paracadutismo, atletica leggera, salto
in alto e in lungo; sport di resistenza: biatlon, sci di fondo, ciclismo, corsa su slitta, orienteering, marcia,
cannottaggio, pattinaggio, nuoto, atletica leggera: fondo e mezzofondo; sport di tipo estetico: tuffi,
Invece, alcuni studi che risalgono agli anni ‘80 delle meta-analisi in proposito si trovano in
McArdle (1999) ed in Wilmore (1991) - forniscono
risultati in parte contrastanti. Nella maggior parte
dei casi ciò è dovuto alla scarsa numerosità del
campione ed alla mancanza di gruppi di controllo.
Conseguenze negative per la salute
I risultati di molti studi permettono di supporre che
gli atleti di alto livello, spesso, con l’alimentazione
assumono la stessa quantità, od addirittura una
quantità minore di energia delle persone di
riferimento della stessa età, sebbene si muovano
di più e quindi utilizzino una maggiore quantità di
energia (tabella 3). In passato, nel caso di atleti il
cui (minore) peso corporeo non diminuiva
malgrado un evidente bilancio energetico
negativo, si supponeva che il loro organismo
utilizzasse l’energia assunta con gli alimenti in
modo più efficace (Brownell et al. 1987). o
oppure che economizzassero l’energia della quale
disponevano (Mulligan, Butterfield 1990). Però ,
non è stato possibile confermare questa ipotesi
della “conservazione dell’energia”, attraverso
ricerche sull’utilizzazione dell’energia durante
l’attività sportiva, il metabolismo basale e l’effetto
termico di un pasto (Wilmore et al. 1992). Gli
Autori attribuiscono la discrepanza tra l’apporto di
energia calcolata in base ad un protocollo
(questionario sull’alimentazione) alimentare e
l’apporto atteso di energia, essenzialmente al fatto
che gli atleti nel riempire questo protocollo
riferiscono meno di ciò che in realtà assumono.
Ma anche se si tiene conto di ciò una parte non
irrilevante degli atleti, che mantengono costante
un peso basso o diminuiscono di peso, assumono
21
Allenatri
Vol.2 No.2
meno energia del quanto sarebbe necessario per
garantire un apporto sufficiente di tutti i nutrienti. A
lungo termine questo rifornimento di energia
inferiore
al
necessario
porta
ad
una
sottoalimentazione o ad una alimentazione
carente. Negli atleti di alto livello è considerato
problematico sopratuttto l’apporto di ferro (Van
Erp-Baart 1989), di calcio e di vitamina D
(Sundgot-Borgen
1993b).
Nelle
praticanti
ginnastica artistica e nelle ballerine, la quantità di
questi micronutrienti che viene assunta non
raggiunge il 67% (Loosli et al. 1986) od il 75%
(Cohen et al. 1985) dei livelli di assunzione
raccomandati. Ciò è provocato dallo scarso
consumo di carne, di latte e latticini, che si può
osservare spesso nelle atlete sottopeso
(alimentazione vegetariana). A lungo andare una
carenza di ferro porta all’anemia, ed una
mancanza di calcio e di vitamina D
all’osteoporosi. Quest’ultima viene rafforzata da
una carenza di estrogeni, come avviene nel caso
di un’oligomenorrea e soprattutto dell’amenorrea.
Queste disfunzioni mestruali, a loro volta,
possono essere la conseguenza di disturbi
alimentari o dello stress psichico e fisico a ciò
collegato (Mansfield, Emans 1989). Nel caso che
si presentino contemporaneamente disturbi
alimentari, amenorrea ed osteoporosi si parla di
triade atletica, descritta dettagliatamente da
Putukian (1994) in un articolo di rassegna.
Un’alimentazione carente in generale, una
diminuzione del contenuto osseo di minerali e la
tendenza a fratture da stress che ne risulta, in
particolare, hanno per conseguenza che non si
riesce a mantenere l’optimum di prestazione. Da
ciò ne può derivare un’interruzione della carriera
sportiva. Come dimostrato dalla casistica: “anche
dopo un trattamento psicosomatico, forme
progredite di anoressia non possono più portare
allo sport di alto livello” (Jakob et al. 1996).
Un allenamento di volume elevato prima del
menarca, cioé un allenamento che preceda l’inizio
della pubertà, può condurre a ritardi nello
sviluppo. Comunque ciò interessa soltanto
ragazze particolarmente snelle e nelle quali, per
fattori genetici, la puberta si presenta in ritardo,
come quelle che si trovano soprattutto negli sport
estetici (Marx 1996).
Nel caso dell’anoressia nervosa, il dimagramento
può arrivare ad un punto tale che si incorre nella
morte per fame. Anche la bulimia nervosa può
condurre alla morte. Le cause possono essere
dovute ad una profonda alterazione del bilancio
degli elettroliti (ad esempio, una diminuzione del
contenuto del potassio nel sangue), come quella
che viene provocata dalla ripetizione quotidiana di
vomito provocato, associata all’abuso di purganti
e diuretici. A causa del vomito di succo gastrico
acido le persone bulimiche soffrono spesso di
infiammazioni dell’esofago, di lesioni dentarie e di
gonfiore delle ghiandole salivari. Le persone
anoressiche mostrano spesso una temperatura
corporea bassa, un abbassamento della
pressione arteriosa, accumulo di acqua nei
tessuti, alterazioni nella crescita dei capelli e delle
unghie e variazioni nell’emogramma (Hänsel
1995). Informazioni più particolareggiate sulle
conseguenze dannose per la salute di questi
disturbi alimentari possono essere reperite in
McArdle et al. (1999) e Johnson (1994).
Tabella 3 – Studi attuali sull’assunzione di calorie in vari sport
Sport
Valori consigliati
a sportivi
Campione
Uomini (15-24 anni)
Donne (15-24 anni)
Sport di resistenza
24 donne
Corse di fondo
33 donne con ciclo regolare
Corse di fondo
14 amenorroiche
Sport estetici
22 donne
Ginnastica ritmica
12 donne
Ginnastica artistica
11 donne
Balletto
10 donne con ciclo regolare
Balletto
10 amenorroiche
Sport tecnici
13 donne
Sport con categorie di peso 11 donne
Culturismo
4 donne
Culturismo
8 uomini
Judo
4 uomini
Sport con la palla
21 donne
IMC
kg/m2
23,0
21,5
Ass. giornaliera di energia
kcal/kg
42-46
39-42
18,7
19,0
18'0
16,2
16,2
18,8
19,1
18.5
19,3
21,2
21,4
28,6
25,9
21,3
41,6
37.3
33,7
36,3
35,5
37,7
33,2
30,1
38,1
38,2
26,3
37,5
37,5
42,5
22
Allenatri
Pallavolo
9 donne
Pallamano
8 donne
Hockey
9 donne
(Van Erp-Baart et al. 1989)
Prognosi e terapia
Nel caso dell’anoressia atletica la remissione è
sicuramente possibile, anche senza ricorrere ad
un medico (Jakob et al. 1996). La prognosi di
recupero di un peso corporeo normale è molto
buona, in quanto, a differenza dall’anoressia
nervosa la perdità di peso corporeo non è
riconducibile a profondi problemi cronici (Smith
1980). Il quadro è diverso nei disturbi alimentari.
Si può calcolare che la guarigione dall’anoressia
nervosa sia possibile al massimo per solo il 35%
delle persone che ne sono affette. Un
miglioramento dei sintomi si presenta nel 30-40%
dei casi. La sua cronicizzazione viene calcolata al
20-40%, e la mortalità al 15%. Una prognosi
negativa è rappresentata, tra l’altro, da un inizio
della malattia dopo i 18 anni d’età , un suo
decorso prolungato e la mancanza di un suo
trattamento. Lo stesso vale per la bulimia
nervosa, che, in particolare, rende necessario un
allontanamento dalla famiglia d’origine. Senza un
aiuto qualificato le possibilità di guarigione sono
molto scarse (Hänsel 1995).
La terapia dei disturbi alimentari richiede un
intervento interdisciplinare, nel quale vi deve
Diagnosi precoce e prevenzione
Se si vuole aiutare rapidamente un/a atleta che
tende a disturbi del comportamento alimentare è
necessario riconoscerne correttamente i primi
segni e prenderli sul serio. Nella tabella 4 sono
riassunti i segnali d’allarme di un comportamento
anoressico o bulimico. Se vengono rilevati, l’atleta
deve confrontarsi con essi ed essere inviato a
specialisti qualificati. Poiché atleti anoressici, il cui
peso corporeo non è più conciliabile con una
prestazione sportiva ad alto livello, si allontana
dallo sport e, tra l’altro, deve essere sottoposto ad
una terapia a lungo termine sono assolutamente
necessarie delle misure preventive. Al primo
posto c’è la necessità che l’atleta sia cosciente di
quanto è importante, per la sua salute e la sua
capacità
di
prestazione
sportiva,
una
alimentazione che copra il suo fabbisogno di
energia, che sia ricca di carboidrati e varia.
Questa spiegazione può
essere fornita dai
genitori, dall’allenatore dagli insegnanti o dal
medico. Per controllarne l’applicazione è
opportuno controllare l’apporto di calorie e di
nutrienti, eventualmente sotto forma di un diario
alimentare giornaliero, la cui valutazione dovrebbe
Vol.2 No.2
21,8
22,9
22,5
33,4
33,9
34,6
essere una collaborazione tra psicoterapeuta,
dietologo e medico. Nel trattamento dei problemi
psichici che ne sono alla base si è mostrata
efficace la terapia comportamentale, che va
preferita alla psicoanalisi (Hänsel 1995).
Per la normalizzazione del peso corporeo e del
rapporto con gli alimenti si possono utilizzare
protocolli alimentari per il self monitoring
soprattutto dell’apporto calorico combinati con un
corso anti-dieta, che migliorano la parcezione
della sensazione di fame e di sazietà e
dovrebbero liberare i comportamenti alimentari
dall’influenza di fattori (emotivi) esterni (Rief et al.
1991). Per la rimineralizzazione delle ossa, anche
nelle atlete con anoressia atletica, si consiglia una
terapia sostitutiva con ormoni sessuali femminili
(estrogeni) calcio e vitamina D (Platen et al.
1991), anche se le perdite di massa ossea non
sono completamente reversibili (Putukian 1994).
In ogni caso occorre fare molta attenzione che
l’ambiente che circonda i pazienti li tratti con
rispetto, tolleranza, correttezza e sopratutto con
pazienza e non esprima nè comprensione nè
disapprovazione (McArdle et al. 1999).
essere affidata a degli specialisti in alimentazione.
Tutti gli interessati dovrebbero evitare
assolutamente
di
pesarsi
regolarmente,
soprattutto in gruppo e di commentare il peso
corporeo e la figura.
Se per migliorare la prestazione è inevitabile una
moderata riduzione di peso, è opportuna la
consulenza di uno specialista in alimentazione ed
il peso che si deve raggiungere non deve essere
troppo basso. É auspicabile che una moderata
riduzione dell’energia assunta avvenga sotto
forma di incremento del consumo di ortaggi,
insalata, frutta con una contemporanea riduzione
dell’assunzione di grassi. Va evitato di digiunare,
di fare diete molto restrittive e calcoli delle calorie,
come vanno vietate tutte quelle misure, come
purghe e lassativi, dirette a “fare il peso”, prima
delle gare (Lindman 1994). Nella tabella 5, ancora
una volta, sono riassunti questi consigli per
l’allenatore.
23
Allenatri
Lo sport, ad un livello elevato di prestazione,
soprattutto in quelle discipline nelle quali l’accento
viene posto sulla snellezza può portare alla
fissazione verso un basso peso corporeo e ne
possono derivare disturbi del comportamento
alimentare (che comprendono anche mezzi non
sani di controllo del peso). Questa cosidetta
anoressia atletica non deve essere confusa con
l’anoressia nervosa (restrittiva o bulimica), una
malattia psicosomatica, che è anch’essa legata ad
un peso inferiore al normale, ma si presenta solo
in persone predisposte verso di essa, che del
Vol.2 No.2
resto si trovano anche in ambiente sportivo.
Rispetto all’anoressia nervosa, che non sempre
può essere curata anche con un trattamento
psicoterapeutico, l’anoressia atletica è di natura
transitoria. Fuori dalla stagione di gara, al più tardi
alla fine della sua carriera sportiva, l’atleta ritorna
ad un comportamento alimentare “normale”. Però,
non si debbono sottovalutate le conseguenze
sulla salute, soprattutto sulla densità delle ossa,
di una sottoalimentazione protratta per vari anni.
Perciò una persona interessata da questi problemi
è sempre una di troppo! Per riassumere: non si
deve né fare finta di nulla né creare tabù, ma
occorre discutere ed informare!
24
Allenatri
Vol.2 No.2
Tabella 4 – Segnali di disturbi alimentari
Comportamento anoressico
Comportamento bulimico
Diminuzione del peso fino a quello inferiore al peso Ampie e ripetute oscillazioni del peso in periodi
ideale di gara, che rimane costante anche fuori della brevi di tempo.
stagione di gara.
Continui commenti sul proprio essere grassi anche
se il peso è al di sotto della norma.
Autocritiche crescenti per il proprio aspetto ed il
proprio peso
Insoddisfazione per il proprio aspetto (cosce, glutei, Occuparsi eccessivamente del peso, del volume e
anche) e per proprio peso corporeo, dei quali si parla della composizione del corpo.
continuamente.
Azioni rituali e continua preoccupazione per gli
alimenti, le diete ed il numero di calorie.
Non mangiare con gli altri e rubare alimenti
Tentativi di evitare ogni occasione di mangiare
Nessuna “orgia” di cibo in presenza di altre persone
insieme agli altri (ad esempio, compagni di squadra
Riferire di sensi di colpa dopo avere mangiato
Paura di non riuscire a smettere di mangiare.
Estremo interesse per le abitudini alimentari altrui.
Assentarsi regolarmente poco dopo mangiato,
soprattutto dopo avere mangiato grandi quantità di
cibo.
Rifiuto di mangiare quantità maggiori per aumentare Occhi arrossati, soprattutto dopo essere andati
di peso.
nella stanza da bagno, nella doccia, alla pattumiera,
ecc.
Bere continuamente limonate leggere od acqua ,
Cattivo odore dopo avere vomitato nella toiletta
pattumiera, ecc.
Masticare gomma nella stanza da bagno, nella
doccia.
Allenamento forzato, anche al di là della quantità di
allenamento stabilita.
Fasi d’eccessiva restrizione d’assunzione di calorie
e/o attività sportiva eccessiva.
Lamentele frequenti di stitichezza.
Uso eccessivo di lassativi e diuretici.
Senso di vertigine, disturbi dell’equilibrio,
Mangiare quando si è di cattivo umore, ad esempio
per senso di solitudine.
Cambiamenti frequenti d’umore senza una ragione
evidente.
Ritenzione idrica, che non è spiegabile con l’edema Problemi personali o familiari di alcool o droga.
premestruale.
Amenorrea; fratture da stress.
Oligomenorrea
Tabella 5 - I consigli per l’allenatore formulati dal Comitato Olimpico Statunitense
Ø
Non sopravvalutare gli effetti positivi di uno
scarso peso corporeo sulla prestazione
sportiva.
Ø
Porre obiettivi realistici per quanto riguarda
il peso da raggiungere, i metodi e la
velocità della riduzione del peso.
Ø
Mettere in risalto il ruolo svolto da
un’alimentazione corretta e completa per la
capacità di prestazione e la carriera
dell’atleta.
Ø
Non parlare mai in termini positivi di
diuretici e lassativi.
25
Allenatri
Vol.2 No.2
Conoscere gli elementi psicofisiologici di prevenzione di comportamenti a rischio.
La regolazione degli stati corporei interni
Gli stati interni sono in un equilibrio "dinamico"
ovvero sono sempre in atto dei meccanismi di
regolazione ed aggiustamento.
Il metabolismo basale è la quantità di energia che
il corpo utilizza quando è a riposo.
Per i mammiferi e per gli esseri umani è piuttosto
alto in quanto viene spesa tanta energia per
mantenere costante la temperatura corporea.
Altre Classi di animali come ad esempio i pesci, i
rettili e gli anfibi, che non devono mantenere
costante la temperatura corporea bruciano meno
energia per il metabolismo basale, andando
incontro a tutta una serie di "problemi" diversi.
OMEOSTASI
Insieme di processi biologici che operano al fine di
mantenere costanti certe variabili del corpo
all’interno di un intervallo di riferimento.
In alcuni casi abbiamo un intervallo di riferimento,
in altri casi appena la variabile si allontana dal
valore di riferimento, si mettono in azione dei
meccanismi di tipo compensatorio.
In questo caso si parla di vero e proprio punto
stabilito. Es. meccanismi che mantengono
costanti nel sangue i livelli di acqua, ossigeno,
glucosio, cloruro di sodio, proteine, lipidi, pH.
Nei mammiferi la regolazione della temperatura,
della sete e della fame sono processi in parte
omeostatici. Infatti non solo agiscono per
mantenere l’equilibrio ma spesso anticipano
bisogni futuri in maniera tale da prevenire grossi
squilibri che richiedono grossi sforzi per la
compensazione.
Es. se vi trovate in una situazione pericolosa che
potrebbe richiedere al vostro corpo un aumento di
attività notevole, iniziate a sudare ancor prima di
cominciare a muovervi (sudore freddo).
I valori di riferimento per la temperatura del corpo,
per la quantità di grassi e per le altre variabili non
sono fissi ma cambiano a seconda del momento
della giornata, del periodo dell’anno e di altri
fattori.
Esiste anche una notevole variabilità da specie a
specie e da classe a classe, legata ai diversi
habitat e abitudini e alle caratteristiche fisiologiche
peculiari di ogni gruppo.
Es. uccelli – elevato metabolismo e temperatura
media di circa 40-41°C contro i 37°C dei
mammiferi.
Variabilità del range di temperatura anche a
seconda del tipo di cellule prese in
considerazione. Es. cellule riproduttive richiedono
un ambiente leggermente più freddo. In molti
mammiferi lo scroto si trova all’esterno del corpo. I
criptorchidi
manifestano
problemi
comportamentali. Antichi metodi contraccettivi del
1800 prevedevano il riscaldamento dello scroto al
fine di evitare il concepimento. Le donne incinte
non devono fare bagni troppo caldi e dovrebbero
evitare di esporre il feto ad un calore eccessivo.
REGOLAZIONE DELLA NUTRIZIONE
La regolazione dell’assunzione di cibo nell’uomo è
un compito complicato poiché abbiamo bisogno di
una dieta equilibrata e di diverse sostanze
nutritive.
APPARATO DIGERENTE
Bocca, lingua, denti, ghiandole salivari, esofago,
stomaco, fegato e cistifellea, pancreas, intestino
tenue, intestino crasso.
La funzione dell’apparato digerente è quella di
scindere gli alimenti in molecole facilmente
utilizzabili.
La digestione inizia in bocca dove la saliva
contiene degli enzimi capaci di scindere i
carboidrati. Il cibo viaggia verso lo stomaco
attraverso l’esofago. Nello stomaco viene
mescolato con l’HCl e altri enzimi, efficaci nella
digestione delle proteine. Il materiale gastrico
passa a livello intestinale un po’ alla volta. Lo
stomaco quindi serve sia come organo di
digestione che come organo di deposito del cibo.
A livello di intestino tenue si ha la digestione dei
grassi delle proteine e dei carboidrati. E’ anche il
tratto dell’apparato digerente lungo il quale
avviene l’assorbimento dei principi nutritivi che
passano quindi a livello ematico. L’intestino
crasso assorbe acqua ed elettroliti e lubrifica i
materiali di rifiuto che vengono eliminati sotto
forma di feci.
Se viene assorbita una quantità di carboidrati, di
proteine e di grassi superiore a quello che il corpo
può
utilizzare,
questo
eccesso
viene
immagazzinato sotto forma di tessuto adiposo.
Il tessuto adiposo è soggetto ad un continuo
ricambio ed il suo mantenimento rappresenta in
ogni modo un costo metabolico per l'organismo.
FISIOLOGIA DELLA FAME E DELLA SAZIETA’
Abbiamo dei meccanismi endogeni che ci dicono
quando iniziare a mangiare e quando smettere.
Funzionano bene nella maggior parte dei casi
anche se un eccesso di disponibilità alimentare fa
sì che certi individui non riescano ad adattare
l’assunzione di cibo ai loro effettivi bisogni.
26
Allenatri
Stimoli dal cavo orale
Quando un animale mastica non giungono solo
informazioni di tipo gustativo ma anche di tipo
tattile che si originano dalla mucosa orofaringea.
Stimoli dallo stomaco
Effetto stomaco pieno si manifesta molto prima
che i principi nutritivi ingeriti passino a livello
ematico. Quindi dallo stomaco partono segnali
nervosi che originano a livello cerebrale una
sensazione di sazietà anche se il cibo non è
ancora arrivato a livello di tenue.
In ogni caso ci si sente più sazi quando si
mangiano cibi ipercalorici rispetto a quando si
mangia un’insalata. Ciò è legato al tempo di
permanenza a livello stomacale e anche al fatto
che lo stomaco rileva il loro contenuto nutritivo.
Stimoli a livello d’intestino tenue (duodeno)
Tenue preposto all’assimilazione di vari principi
nutritivi. Quando il contenuto gastrico inizia a
passare nel tenue di solito si smette di mangiare.
Il tenue rilascia la colecistochinina (CCK) che
gioca un ruolo importante nella sensazione di
sazietà e inoltre blocca un ulteriore reflusso di
contenuto gastrico a livello intestinale.
Vol.2 No.2
MECCANISMI
CEREBRALI
CHE
CONTROLLANO L’ASSUNZIONE DI CIBO
Lesione all’ipotalamo laterale: diminuzione
dell’assunzione di cibo e perdita di peso. Questa
struttura influenza altre aree del cervello che
controllano il gusto, la salivazione, l’ingestione e
la deglutizione, i comportamenti appetitivi di
ricerca del cibo.
Lesione ipotalamo ventromediale fa aumentare la
frequenza dei pasti.
Lesione nucleo paraventricolare fa aumentare la
quantità di cibo ingerito ad ogni pasto.
L’assunzione di cibo, almeno per i carboidrati,
dipende
dalla
competizione
fra
vari
neurotrasmettitori e diversi ormoni i cui effetti
sull’ipotalamo sono in competizione uno con
l’altro.
Il controllo del peso
Il controllo del proprio peso deve essere
un'operazione normale senza diventare
ossessiva. Non si controlla il peso per il timore di
essere aumentati (posizione negativa), ma per la
GLICEMIA
Molti dei principi nutritivi che vengono assimilati
entrano nel flusso ematico sotto forma di glucosio,
il quale rappresenta un’importante fonte di energia
per il corpo ma soprattutto per il cervello.
L’assunzione di cibo è in gran parte controllata
dalla disponibilità di glucosio e di altre sostanze
nutritive nelle cellule. La fame e la sazietà quindi
si basano sulla disponibilità di tutti i tipi di
sostanze nutritive.
Per quanto riguarda il glucosio i suoi livelli sono
tenuti costanti attraverso dei meccanismi ormonali
legati a due ormoni pancreatici. L’insulina facilita
l’ingresso nelle cellule di glucosio le quali lo
utilizzano o lo immagazzinano sotto forma di
glicogeno o lipidi mentre il glucagone ha l’effetto
contrario, ovvero stimola il fegato a convertire il
glucosio in glicogeno immagazzinato e fa
aumentare la glicemia.
Metabolismo basale
Peso corporeo = rapporto tra energia utilizzata e
curiosità scientifica di scoprire come lavora il
proprio corpo e sapere quindi gestirlo a meglio.
Il nostro corpo è infatti costituito da:
• ossa e organi interni,
• muscoli,
• riserve di carboidrati (glicogeno),
• grasso,
• acqua.
Ossa e organi interni
Nel breve-medio periodo il peso delle ossa e degli
organi interni è costante e non ha senso quindi
considerarlo potenzialmente variabile nel controllo
della propria massa. Ciò che può cambiare è il
contenuto dell'intestino: se un soggetto a dieta si
abbuffa, il giorno dopo rileverà un aumento
principi nutritivi ingeriti.
considerevole di peso. In realtà questo aumento è
La maggior parte delle calorie che consuma il
nostro corpo è utilizzata per il metabolismo
basale.
fittizio, perché in gran parte è dovuto al maggior
contenuto intestinale (rispetto alla situazione di
normalità). L'intestino risulta cioè sovraccarico
27
Allenatri
Vol.2 No.2
rispetto alla situazione standard e il peso aumenta
tutta l'acqua legata ai muscoli persi. Ovviamente
finché non si sia ristabilita la situazione (cioè
non è una buona strategia. Quindi:ogni individuo
praticamente non si pesano solo le calorie dei cibi
dovrebbe conoscere la propria percentuale di
assunti in più, ma anche le scorie che le
massa grassa.
accompagnano negli alimenti). Il discorso può
essere ulteriormente compreso se il soggetto si
pesa dopo aver mangiato 2 kg di mele (ammesso
che ci riesca!). Le mele apportano circa 900 kcal
che tradotti in grassi fanno 100 g; considerando
Non hanno pregio metodi che usano misurazioni
alla vita, alle cosce ecc. perché danno per
scontato che la muscolatura del soggetto non
cambi. Questi metodi volumetrici non fanno cioè
differenza fra grasso e muscolo.
l'acqua che resterà legata ai grassi il soggetto
Riserve di carboidrati (glicogeno)
aumenta di 200 g e non dei 2 kg che segna la
Questa variabile è considerata da pochi perché il
bilancia appena finito il pasto. Nel tempo verranno
glicogeno immagazzinato nei muscoli e nel fegato
eliminate le sostanze non necessarie (acqua,
non supera in genere lo 0,7% del peso corporeo
fibre, prodotti di rifiuto della digestione delle mele
dell'individuo. Il corpo è cioè in grado di
ecc.).
immagazzinare carboidrati in quantità limitata,
Muscoli
Sono funzione della dieta (se per esempio è
ipocalorica si bruciano anche i muscoli) e
dell'esercizio fisico che tende a incrementarli. La
percentuale di massa magra deve essere stimata
con precisione usando una bilancia impedenzometrica affidabile. Solo così si può realmente
valutare se un dimagrimento è reale (perdita di
grasso) o è fittizio (perdita di muscoli, l'individuo
diventa magro, ma "debole"). Questo concetto
sfugge alle mentalità anoressiche che
considerano solo il peso e non la percentuale di
grasso del proprio corpo. Occorre tener presente
che nei muscoli l'acqua arriva al 65-70% per cui
se si usa una dieta ipocalorica che fa perdere
muscoli si perde peso facilmente perché si perde
sufficiente per esempio per compiere uno sforzo
pari a una corsa di circa 30 km. Quando queste
riserve diminuiscono il soggetto spesso si sente
stanco e svuotato. Anche in questo caso, diete
ipocaloriche possono portare a una condizione
permanente di riserve di glicogeno basse. Ciò
crea una condizione di dimagramento fittizia.
Infatti supponiamo un atleta che compia un
grosso sforzo fisico, per esempio corra al
massimo delle sue possibilità per 10 km; se lo
sforzo è molto intenso, il substrato utilizzato è
rappresentato quasi totalmente dai carboidrati.
Poiché un g di glicogeno lega 2,7 g di acqua e
apporta 4 kcal, un atleta di 70 kg che consuma
per la gara sui 10 km 700 kcal ca. avrà bisogno di
175 g di glicogeno, cioè perderà circa 650 g
28
Allenatri
Vol.2 No.2
(considerando anche l'acqua legata al glicogeno),
dimagrire facendo sport si legga l'articolo
a prescindere dall'acqua che perderà per problemi
corrispondente.
di termoregolazione (quantità che per sforzi
massimali è sicuramente notevole, cioè l'atleta
suderà molto). Per sforzi massimali pertanto si
vedrà un dimagramento fittizio notevole, in quanto
Grasso
Chi controlla frequentemente il peso corporeo lo
il glicogeno viene ripristinato solo dopo un certo
fa spesso nel timore di ingrassare molto. Questo
tempo.
timore a breve è del tutto infondato. Poiché un g
Se lo reintegro con le stesse calorie perse dopo
di grasso lega il 50% di acqua e apporta 9 kcal,
parecchie ore (diciamo un giorno al massimo,
per ingrassare di 3 kg occorre immagazzinare 1,5
dipende dall'indice glicemico degli alimenti),
kg di grasso, cioè assumere 1.500*9=13.500 kcal.
ritorno al peso iniziale. Se reintegro con meno
Assumere 13.500 kcal in più (rispetto alla normale
calorie, le scorte si rigenereranno con minore
alimentazione) in una settimana (cioè circa 2.000
velocità (e in questo periodo le prestazioni
kcal al giorno) è praticamente impossibile, a meno
saranno inferiori per motivi energetici, soprattutto
di non partecipare a cenoni, matrimoni e abbuffate
se lo sforzo è prolungato), verranno bruciati grassi
varie.
per le attività meno intense e si dimagrirà
stabilmente, ma meno di quanto verificato
Acqua
La quantità d'acqua che è presente nel nostro
immediatamente dopo lo sforzo. Per concludere
corpo è notevole per cui, nonostante i meccanismi
l'esempio se il nostro atleta che ha speso 700
di regolazione, è possibile avere una certa
calorie, appena reidratato (cioè dopo che ha
variabilità senza che il soggetto manifesti sintomi
bevuto e ha recuperato l'acqua persa) vedrà un
preoccupanti. Un modo (stupido) di barare sul
dimagramento fittizio di 650 g; se ripristina
proprio peso è forzarsi a non bere oppure fare
solamente 400 kcal, quando le varie
attività fisica coprendosi moltissimo per sudare il
trasformazioni fra macronutrienti che l'organismo
più possibile. Barando sull'acqua, si può variare il
sa gestire si sono concluse, avrà perso solo 66 g
proprio perso in su (si beve troppo, il che accade
(infatti 700-400 kcal=300 kcal; poiché 300 kcal
molto raramente) o in giù (si beve troppo poco e
equivalgono a 300/9=33 g di grassi, con l'acqua
non si reintegra il sudore perso) fino
legata dai grassi si arriva a 66 g). Come si vede il
2 kg per un soggetto di circa 70 kg.
dimagramento fittizio è notevole. Per capire come
Esistono anche altri fattori oltre al semplice bere
che possono agire sull'acqua del nostro corpo:
29
Allenatri
Ø
l'assunzione di integratori volumizzanti (che
causano un incremento di volume delle
cellule ritenendo acqua) come la creatina e
la glutammina;
Ø
l'assunzione di cibi (in particolare quelli
salati o ricchi di glutammato di sodio, tipico
per esempio della cucina cinese) che
inducono un maggior consumo d'acqua che
verrà poi eliminata una volta eliminato il
sodio contenuto negli alimenti.
Ø
l'assunzione di farmaci (per esempio gli
antinfiammatori che inibendo l'azione delle
prostaglandine facilitano la ritenzione
idrica).
Le tre leggi dell'alimentazione
Non è possibile proporre un modello alimentare
valido demonizzando un cibo o un gruppo di cibi.
Infatti ogni cibo ha proprietà che si perdono una
volta che venga demonizzato. Troppi studi
scientifici dicono cosa fa male: è banale
dimostrare che ogni cibo ha controindicazioni,
proprio come i farmaci. Solo che ragionando in
termini negativi non si fa altro che disorientare il
consumatore. Una ricerca seria deve trovare leggi
alimentari che non demonizzano, ma che, se
seguite, risolvono AUTOMATICAMENTE ogni
problema. Lo scopo di quest’articolo è appunto di
proporne un insieme coerente e concreto.
Prima legge dell'alimentazione - Il regime
alimentare deve portare il soggetto ad avere una
massa grassa inferiore al limite di sovrappeso.
Questa legge sembra semplice e banale, ma è la
legge antiobesità: è inutile fare esperimenti e
statistiche su soggetti sovrappeso, quando si sa
ormai per certo che l'obesità è un fattore di rischio
per moltissime patologie. Uno stesso alimento
assunto da persone obese fa maggiori danni che
se assunto da persone con la corretta massa
grassa. Ciò evita di demonizzare un alimento,
come per esempio i grassi saturi di origine
animale: per avere una massa grassa corretta
non è possibile che il soggetto assuma una
quantità pericolosa di grassi saturi,
comportamento tipico di chi normalmente ha
un'alimentazione errata. Qual è il limite di
sovrappeso? È su questo limite che gli scienziati
devono discutere. La dieta italiana fissa parametri
molto precisi.
Seconda legge dell'alimentazione - Il regime
alimentare deve rispettare la corretta ripartizione
dei macronutrienti.
Vol.2 No.2
Anche in questo caso non si demonizza nessun
cibo, ma si stabiliscono intervalli ragionevoli in cui
il soggetto può muoversi. Compito dello studioso
è fissare per le caratteristiche del soggetto la sua
ripartizione ottimale, all'interno della quale il
soggetto è libero di muoversi. Non è sensata
l'affermazione (negativa): "Mangiate pochi grassi",
perché ottiene lo scopo di portare il soggetto ad
abbuffarsi di carboidrati, tanto "sono i grassi che
fanno ingrassare". È invece sensata
un'affermazione del tipo: "la percentuale di grassi
nella dieta deve essere del 30%". Per esempio la
dieta italiana consiglia una ripartizione del tipo
50% carboidrati, 20% proteine, 30% grassi. Si può
discutere la ripartizione, ma non il singolo
alimento!
Terza legge dell'alimentazione - Il regime
alimentare deve rispettare gli intervalli consigliati
per i micronutrienti.
La situazione attuale è di fissare per i
micronutrienti (vitamine, minerali ecc.) una dose
giornaliera consigliata. Quando si fa un esame del
sangue, vicino ai nostri valori troviamo un
intervallo di normalità. L'errore che molti
commettono quando parlano di integrazione è che
per una data sostanza danno un valore fisso,
come se tutti noi fossimo uguali. La glicemia può
variare di quasi un 100% in un individuo giudicato
normale (da 60 a 110 mg/dl). Perché la RDA di
vitamina E deve essere 30 mg? A prescindere dal
valore, è sbagliato il concetto: a causa delle
differenze fra gli individui (e del loro metabolismo)
non è scientifico fissare un valore consigliato.
Cosa cambia fissando un intervallo? Se il valore
di normalità della glicemia fosse 80, praticamente
tutti dovrebbero ricorrere al medico, o perché
sotto tale valore o perché sopra. Fissando un
intervallo, il soggetto è libero di muoversi senza
dover far caso a ricerche assurde, tipo quelle che
dicono che se si mangia un piatto di pasta il
rischio di cancro all'organo x è del 12%, se se ne
mangiano due è del 12,5%! Grande scoperta o
giochino per scienziati che non vinceranno mai il
Nobel? Fate voi.
Anche in questo caso, compito dello scienziato
non è demonizzare questo o quel cibo, quanto
fissare intervalli di normalità per i micronutrienti.
Concludendo, solo con affermazioni positive (con
le negazioni implicite nel rispetto delle
affermazioni positive), senza demonizzare nulla, è
possibile fare una seria e proficua informazione
alimentare.
30
Allenatri
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Caterina Pesce.
I meccanismi psicofisiologici della regolazione del
peso.
32
Allenatri
Vol.2 No.2
IL MODELLO FISIOLOGICO DEL TRIATHLETA MODERNO (FRAZIONE PODISTICA)
di Paolo Scalabrini – Tecnico Fitri
INTRODUZIONE
Lo scopo della trattazione è di svolgere una breve
analisi
dei
concetti
fondamentali
che
caratterizzano gli aspetti fisiologici coinvolti nella
specialità dei 10.000 metri dell’atletica leggera e
le differenze peculiari presenti nella stessa
distanza del triathlon su distanza olimpica.
1. Atletica
allenamento
leggera
maestra
Gare tattiche o con finale veloce richiedono lo
sviluppo consistente anche dei sistemi energetici
anaerobici, sia lattacido che alattacido. Il loro
contributo
diventa
quindi
importante
e
l’allenamento specialistico deve essere orientato a
sviluppare anche queste componenti orientandosi
verso i valori tipici dei 5.000/1500 metri (Fig. 2,3).
d’
Si può sicuramente dire che l’atletica leggera con
le metodiche d’ allenamento sviluppate per le
proprie specialità del fondo e mezzofondo ha
insegnato, a partire dagli anni 80, a tutti gli altri
sport ciclici un metodo scientifico d’ allenamento
introducendo concetti come “soglia anaerobica”,
“produzione di lattato” e “massimo consumo di
ossigeno (Vo2max)”; anche nuoto e ciclismo,
discipline insieme alla corsa componenti il
triathlon, hanno fatto propri questi concetti
adattandoli alle peculiarità delle proprie specialità.
La soglia anaerobica e il Vo2max sono
caratteristiche fisiologiche dell’atleta legate a
fattori genetici e sono comunque entrambe
notevolmente migliorabili con l’allenamento e
direttamente correlabili con la prestazione
dell’atleta in particolare per prove su medie e
lunghe distanze come la corsa dai 10 km alla
maratona, 50km fondo, ora in pista nel ciclismo,
ecc;.
La distanza dei 10.000 metri si basa
prevalentemente
sull’impiego
del
sistema
aerobico (95%) per fornire l’energia richiesta (fig.
1).
Figura 1: Percentuale della componente aerobica
in funzione della varie distanze di corsa.
Figura 2: Contributo percentuale delle componenti
energetiche lattacide e alattacide nelle varie
distanze
Figura 3: Livelli tipici di lattacidemia nei 10.000,
5.000 e 1.500 metri di corsa
33
Allenatri
2. Come valutare il motore dell’atleta
Vi è quindi la sempre maggior necessità di
rendere specifico l’allenamento che attribuisce la
massima importanza alla scelta corretta
dell’intensità dello stimolo. Per rendere quindi più
efficace l’allenamento specifico dell’atleta si è
reso necessario quindi valutare la “cilindrata” del
suo motore, il grado di allenamento e il suo
rendimento. In atletica leggera si è passati dal
tradizionale test Conconi nato nei primi anni 80 e
ancor oggi pur sempre valido per semplicità e non
invasività, alla determinazione, con l’avvento
dell’elettronica e dell’informatica, del massimo
consumo di ossigeno direttamente sul campo
(Fig. 4,5)
Figura 4: Grafico del test Conconi che correla
velocità
(Km/h)
e
frequenza
cardiaca
(pulsazioni/minuto) individuando la V.d. che
corrisponde alla velocità di soglia anerobica
Figura 5: Valutazione sul campo del massimo
consumo di ossigeno
Con questi strumenti i tecnici hanno potuto
iniziare a confrontare in modo obiettivo lavori
proposti ed effetti migliorativi delle varie
componenti energetiche.
3. L’atletica leggera moderna…. alla
scoperta del pianeta africano
Vol.2 No.2
Gli stessi allenatori del fondo e mezzofondo
considerati pionieri negli anni 80/90 in quanto
promotori delle più svariate metodiche di
allenamento, hanno iniziato ad analizzare le
caratteristiche fisiologiche e le abitudini negli
allenamenti degli atleti africani nelle specialità del
fondo e mezzofondo (solo il Kenia detiene in
questi ultimi anni il 47% dei 50 migliori tempi nei
record mondiali di queste specialità) e si è passati
da un esclusivo concetto di miglioramento della
soglia anaerobica ad un sempre maggior impiego
d’ intensità d’ allenamento vicine o superiori alla
massima potenza aerobica (Canova 2005).
Da studi effettuati sono risultati dati che
riferiscono che gli atleti africani esprimono il 9394% del loro VO2max durante una gara di 10 km
mentre atleti caucasici arrivano solo al 87-88%
(Coetzer P, Noakes et al. 1993). Sempre gli atleti
africani corrono il 36% del loro training ad
intensità attorno all’80% del VO2max rispetto agli
atleti caucasici che ne corrono solo il 14%
(Coetzer).
Sempre con l’esperienza per contro si è
comunque osservato che l’eccessivo impiego
nell’allenamento dei sistemi anaerobici porta ad
una riduzione della soglia stessa e a maggior
stress per l’atleta con calo delle prestazioni
sportive.
4. E la frazione dei 10.000 metri nel
triathlon olimpico?
Svariati sono gli studi che analizzano quali fattori
influiscono la prestazione del triathleta nella
frazione di corsa del triathlon su distanza
olimpica. Vleck (2005) (fig. 6-7-8) analizza una
gara ITU maschile di triathlon olimpico
suddividendo in 2 gruppi gli atleti (12 top e 12
bottom) e correlando la conseguenza di nuoto bici
e corsa sul risultato finale. Le indicazioni che ne
emergono sono:
34
Allenatri
Vol.2 No.2
- partenza veloce nel nuoto per fare selezione (in
questo caso caso 2 giri da 750mt) con la ricerca
della scia nel gruppo di testa sia nella frazione di
nuoto che nella bicicletta per risparmiare energia;
Figura 8: velocità nella frazione podistica
Figura 6: velocità nella frazione di nuoto
- la velocità nella frazione ciclistica aumenta nei
primi 20km per fare ulteriore selezione; gli atleti
bottom percorrono tale tratto mediamente molto
più velocemente per cercare di recuperare il
“gap”;
- la velocità aumenta nel tratto finale del ciclismo
per arrivare per primi all’ingresso in zona cambio;
- percorso ciclistico (pianeggiante con continui
rilanci, con salite o misto);
- tattica seguita dall’atleta (in scia nel gruppo di
testa o ad inseguire).
A livello fisiologico l’intensità della gara fino a quel
momento si riflette sulla prestazione dell’atleta
nella frazione finale di corsa.
Le principali evidenze sono:
- livelli significativi di lattato in funzione del ritmo
gara
e
della
“potenzialità”
dell’atleta;
- affaticamento dei muscoli ventilatori (anche per
diversa postura assunta nella frazione ciclistica);
- affaticamento e danno muscolare degli arti
inferiori (in funzione della condotta di gara,
percorso e rapporti usati);
- parziale svuotamento delle scorte di glicogeno
(almeno già 1h20’ di gara condotti);
- conseguente orientamento del metabolismo
all’utilizzo
dell’energia
proveniente
dalla
ossidazione degli acidi grassi;
- disidratazione.
5. Quali i fattori che interferiscono con
l’esito della prestazione?
Figura 7: velocità nella frazione ciclistica
- nella frazione di corsa vi è mediamente una
partenza veloce nei primi 2 km (circa 3’/km) per
poi scemare lentamente e stabilizzarsi a 3’10’’ fino
agli 8,5 km dove ci si appresta ad affrontare la
volata finale con velocità decisamente inferiori
quasi “ad esaurimento” rispetto alle volate
classiche;
- la distribuzione dello sforzo nel tratto di corsa
non è regolare.
Questa analisi evidenzia che nella frazione di
corsa del triathlon non si parte in condizioni
ottimali ma con un “debito di gara” accumulato
fino a quel momento sia in termini energetici che
meccanici che dipende principalmente da:
- condotta di gara da parte degli avversari
(selezione dal nuoto o condotta tattica per
frazione ciclistica molto impegnativa);
Diventano quindi importanti nella frazione di corsa
alcuni fattori specifici della corsa come:
- economicità di corsa (basso consumo energetico
alla velocità di gara);
- distribuzione corretta dello sforzo nella frazione;
- capacità di correre veloce utilizzando i grassi
(consistente impiego di energia derivante
dall’impiego della potenza lipidica).
Da studi effettuati risulta che il costo energetico è
maggiore dopo la frazione ciclistica durante T2 e
nella successiva frazione di corsa rispetto ai
controlli che hanno svolto la sola corsa con valori
tra l’1 e il 10%. Anche in questo caso risultano
contrastanti i dati (Millet 1999) che riferiscono di
un ridotto interessamento dovuto alle alterazioni
biomeccaniche del diverso gesto atletico nella
sequenza bicicletta-corsa considerando invece
più importante l’influenza del cambiamento
posturale del tronco e la ridistribuzione del flusso
sanguigno dovuto al cambiamento del movimento.
35
Allenatri
Il minor costo energetico risulta quindi legato alle
specifiche abilità sviluppate dagli atleti sia in T2
che nell’ultima frazione di corsa.
Un altro fattore che riveste notevole importanza
nell’esito finale della prestazione agonistica
riguarda la ricerca della cadenza ottimale durante
la frazione ciclistica così da avere un giusto
compromesso tra costo energetico, consumo di
ossigeno, lattato prodotto e velocità espressa
nella frazione podistica.
Anche in questo caso i dati scientifici risultano
contrastanti (Vercruyssen 2004; Ghottsall 2002) e
sembra ricevere maggiore credito l’attività
contrattile muscolare nel cambiamento tra lavoro
concentrico (ciclismo) e eccentrico-concentrico
(corsa).
Vol.2 No.2
- in alternativa alla corsa lenta usare la bicicletta
(anche solo 30’/45’ facile) per defaticare (risulta
un’azione di massaggio detossificante per i
muscoli).
6. Nuove modalità d’ interpretazione
della corsa da parte del triatleta
E’ indubbio che per far crescere il livello prestativo
di un triatleta si continui con l’impiego dei metodi
di allenamento attualmente utilizzati nell’atletica
leggera e con l’incremento “accorto” nel tempo
degli stimoli specifici del carico (quota, lavori in
soglia, salite, gare); questo training deve
comunque essere affiancato da condizionamenti
specifici del triathlon proprio per avere quegli
adattamenti fisiologici, coordinativi e neuromuscolari tipici di tale disciplina. Oltre all’utilizzo di
allenamenti combinati in tutte le forme dovrebbe
diventare “un’ abitudine”, un vero e proprio “stile
sportivo” tipico del triatleta, l’uso del cambio
ciclismo-corsa (e viceversa) proprio per favorire
ulteriormente nel tempo gli adattamenti richiesti.
Di seguito alcuni spunti sviluppati dall’esperienza
personale d’ allenatore sui quali è possibile
lavorare.
- Dopo lavori di ciclismo più o meno intensi far
“comunque” seguire:
- corsa lenta (anche solo 10/15’) per “recuperare”
prima l’utilizzo dei muscoli dedicati alla corsa
(risulta più facile correre nella seduta successiva);
- progressioni brevi (es 10/15 x 100 rec. 100
lento) per migliorare le capacità coordinative della
corsa veloce;
- corsa a ritmo medio o con finale in progressione
(15/30’) per migliorare la capacità dell’organismo
di utilizzare acidi grassi;
- Prima di lavori specifici di corsa:
1) usare la bicicletta (30’/40’ facili anche con brevi
progressivi nel finale) come riscaldamento per la
seduta di corsa e partire subito per il lavoro
(adattamento neuro muscolare);
2) usare la bicicletta (1h/1h30’ a ritmo medio)
come mezzo per svuotare (parzialmente) il
serbatoio glucidico prima di una seduta di potenza
aerobica o fondo veloce;
3) inserire esercitazioni di T2 (anche con impiego
di rulli) durante sedute di prove ripetute tipiche del
mezzofondo;
- Dopo lavori specifici di corsa:
36
Allenatri
BIBLIOGRAFIA
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