la mission impossibile del legislatore di conversione e la

Anno VI
Pubblicazione numero 2
2010
GiustiziaSportiva.it
Rivista Giuridica
Direzione e Fondatori
Enrico Crocetti Bernardi
Antonino de Silvestri
Enrico Lubrano
Paolo Moro
Jacopo Tognon
Comitato di Redazione
Giuseppe Agostini
Alessia Bellomo
Marco Mazzucato
Emanuele Paolucci
Michela Pigato
Jacopo Tognon
Direttore Responsabile
Mario Liccardo
_____________________________________________________________
Autorizzazione del Tribunale di Padova in data 1 ottobre 2004
al numero 1902 del Registro Stampa
- Periodico quadrimestrale –
- ISSN 1974-5230 1
INDICE DEL FASCICOLO 2°
PARTE PRIMA
DOTTRINA
ANTONINO DE SILVESTRI, La mission impossibile del legislatore di conversione e
pag.4
la progressiva demolizione del sistema sportivo
ALESSIO PISCINI , L'impianto sportivo pubblico: i principi di buon funzionamento
pag.15
dell'impianto tra interesse pubblico e normativa settoriale
PARTE SECONDA
NOTE A SENTENZA
MARIO VIGNA, L'art. R 57 del Codice TAS e le controverse sorti del giudizio "de
pag.27
novo" nella procedura d'appello - nota a Lodo TAS, Goitre & Stefanini / CONI del
3 settembre 2010 , (non pubblicato)
DOMENICO ZINNARI, Svincoli perigliosi - nota alle Ordinanze del Tribunale di
pag.37
Saluzzo del 12 giugno 2010 e del Tribunale di Gorizia del 27 agosto 2010
ANDREA PETRETTO, L'illecito sportivo e la valutazione delle presunzioni - nota a
pag.58
Lodo Arbitrale TNAS del 1 aprile 2010 tra Potenza sport club srl e FIGC
CARMINE FABIO LA TORRE, Una sentenza “Pilato” del Tribunale di Milano sul
pag.78
lavoro sportivo dilettantistico – nota a sentenza del Tribunale di Milano sez. lavoro
del 24 marzo 2010 n. 1302,( nel prossimo numero)
PARTE TERZA
GIURISPRUDENZA
IL REVIREMENT DELLA SUPREMA CORTE SULLA PATTUIZIONE DI
UN COMPENSO E LA FORMA SCRITTA? - Cassazione Civile sez. II, del 27
gennaio 2010, n. 1713
pag.86
PARTE QUARTA
SAGGI
MICHELA CHIARINI, Donne per uno sport migliore: quando uno sport discrimina
MARIO TOCCI, I soggetti fisici dell'ordinamento sportivo sanmarinese
2
pag.93
pag.103
PARTE PRIMA
DOTTRINA
SOMMARIO:
ANTONINO DE SILVESTRI, La mission impossibile del legislatore di conversione e
pag.4
la progressiva demolizione del sistema sportivo
ALESSIO PISCINI , L'impianto sportivo pubblico: i principi di buon funzionamento
dell'impianto tra interesse pubblico e normativa settoriale
3
pag.15
La Mission impossibile del legislatore……
LA MISSION IMPOSSIBILE DEL LEGISLATORE DI
CONVERSIONE E LA PROGRESSIVA DEMOLIZIONE
DEL SISTEMA SPORTIVO
di Antonino De Silvestri (*)
Sommario:
1 . La graduale vanificazione del significato precettivo del decreto Melandri-Pescante ed il
ruolo della legge n. 280/2003;
2. Le esigenze di tutela delle pretese sportive e l’attuale situazione di generale “incertezza” del
diritto;
3. L’inconciliabilità tra separatezza ed integrazione e l’equivoco della “doppia giuridicità”
1 . La graduale vanificazione del significato precettivo del decreto Melandri-Pescante ed
il ruolo della legge n. 280/2003.
Se al decreto legislativo n. 242/1999 come modificato da quello successivo n. 15/2004, la
legge fondamentale dello Stato in tema di sport istituzionalizzato, spetta il duplice merito di avere
inserito le federazioni (e le altre organizzazioni sportive) nel sistema della legalità costituzionale ed
in quello delle relative istituzioni sovranazionali, alla legge n. 280/2003 va riconosciuto l’opposto
demerito di averne provocato la progressiva fuoriuscita da entrambi.
Inaugurando il trend del contemperamento tra le peculiarissime esigenze di autodichia
sportiva e l’irrinunciabile sovranità dello Stato, che avevano offerto troppo spazio alla lacerante
contrapposizione tra le “due giustizie” il legislatore, con quel decreto, ha infatti indotto le
federazioni, che si sono subito adeguate modificando di conseguenza i relativi statuti, ad
abbandonare ogni anacronistica pretesa di autoreferenzialità riconoscendo loro però, tramite
l’attribuzione della qualifica statuale di persone giuridiche di diritto privato il potere, peraltro già
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DOTTRINA
La Mission impossibile del legislatore……
costituzionalmente tutelato, di organizzare in via configurativa le corrispondenti strutture, anche
giustiziali, più confacenti alla realizzazione dei loro collettivi, ma pur sempre privati interessi.
Il garante del “contemperamento” avrebbe dovuto essere il CONI, nella sua doppia veste di
assegnatario, quale ente pubblico, della funzione sportiva statuale nonché, quale fiduciario del CIO
e di Confederazione delle federazioni sportive nazionali di custode, al tempo stesso, dei valori di
queste ultime, anche in ragione del loro inserimento nell’ordinamento sportivo sovranazionale.
Tale doppia funzione il CONI avrebbe dovuto svolgere sia tramite il proprio potere
regolamentare di “conformare” l’autonomia organizzativa delle federazioni al rispetto degli
anzidetti valori che tramite quello statutario, all’uopo conferitogli dall’art. 2 del decreto legislativo.
Era stato proprio in attuazione dell’art. 12 del proprio statuto che l’Ente, infatti, aveva
provveduto ad istituire la Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo sport che avrebbe dovuto
consentire di apprestare un valido strumento giustiziale alternativo alla giurisdizione permettendo
nel contempo alle federazioni, tenute a svolgere l’attività sportiva “in armonia con le deliberazioni e
gli indirizzi” non solo del CONI, ma anche del CIO e delle Federazioni internazionali, di adeguarsi
anche al modello di tutela di queste ultime, unanimi nell’imporre due gradi di giudizio endofederali
ed un definitivo ricorso ad una camera arbitrale (vedi, ad es., gli artt. 61 St. UEFA e 60 n. 2 lett. c)
St. FIFA).
Benché l’esplicito riconoscimento della natura di associazioni private delle federazioni (che
non sono state in realtà privatizzate, in quanto tale era già la loro natura) non sembrasse offrire
larghi spazi di intervento alla magistratura amministrativa era stata invece proprio questa,
enfatizzando i propri abituali schemi culturali di giudici d’annullamento, e comunque ostinandosi
nel ri-pubblicizzare ciò che il legislatore aveva privatizzato, a compiere una prima “operazione di
pubblicizzazione giurisprudenziale” ed a dare così inizio ad una sorta di “domino impazzito”
destinato, nel giro di pochi anni, a mettere in scacco l’intero sistema giustiziale statual-sportivo.
Utilizzando il grimaldello della “valenza pubblicistica” di talune attività (manipolato sino a
far rivivere, ampliandolo tra l’altro a dismisura a discapito del “privato”, ridotto praticamente al
mero contenzioso patrimoniale, la non più sostenibile tesi della natura anfibia delle federazioni
sportive) un numero sempre crescente di tribunali amministrativi, confortato da quella parte della
dottrina che stentava a rassegnarsi alla scelta operata dal legislatore, ha ritenuto di doversi attribuire
la giurisdizione nelle più svariate controversie in cui non vi era però traccia alcuna di interessi
legittimi finendo, così, con il ripristinare proprio quella situazione di incertezza di regime giuridico
che il legislatore si era proposto di eliminare.
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DOTTRINA
La Mission impossibile del legislatore……
Anche il legislatore costituzionale ha avuto un ruolo non certo voluto in tal senso perché,
ricorrendo inopportunamente al concetto di ordinamento sportivo al solo scopo di coordinare il
potere legislativo tra Stato e Regioni in tema di sport, ha fatto balenare agli occhi degli osservatori
meno avveduti la possibilità di un qualche contraddittorio recupero del non più predicabile tratto
della “separatezza” sul quale faceva leva la teoria pluralistica classica.
Gutta cavat lapidem
Non può sorprendere, perciò, la circostanza che il decretatore d’urgenza del 2003, immerso in
siffatto
contesto
culturale,
apertamente
evocato
nella
relazione
d’accompagnamento,
dichiaratemente ispirata alla “nota” teoria del pluralismo degli ordinamenti giuridici, abbia
“costretto” il legislatore, per motivi di opportunità politica, ad emanare, in sede di conversione, una
legge sulla giurisdizione viziata da intime contraddizioni che, non foss’altro per la materia, avrebbe
comunque meritato ben altra riflessione.
Personalmente ho immediatamente denunciato la sua incoerenza con la disciplina sostanziale
delle federazioni, la sua ambiguità ed in ogni caso la sua pretenziosità, avendola giudicata ictu oculi
inidonea al raggiungimento del dichiarato obbiettivo di porre definitivamente un discrimine tra le
pretese sportive meramente endoassociative e quelle, invece, statualmente rilevanti e quindi
insuscettive, come tali, di essere deprivate di tutela giurisdizionale.
La stessa legge è stata invece accolta trionfalmente dai
“panamministrativisti” i quali,
enfatizzando i principi, di cui dirò in seguito, di “autonomia” e di “rilevanza”, hanno glorificato la
sua emanazione come un momento fondamentale nell’evoluzione dei rapporti tra i “due
ordinamenti”, spingendosi persino a sostenere, con evidente miopia, che i suoi contenuti avrebbero
finalmente offerto “certezze” agli operatori del settore.
Il suo dettato, in realtà, è stato oggetto di immediate e fondate critiche, prime tra tutte quelle
che ne hanno messo in discussione la stessa legittimità costituzionale sotto vari profili, tra i quali
quello che aveva indotto il legislatore a ritenere sussistenti, nella specie, le “particolari” esigenze
che sole consentono, a norma dell’art. 103 della Costituzione, di ricorrere alla “giurisdizione
esclusiva”.
Dopo lo storico intervento “demolitivo” della Corte Costituzionale, effettuato con la
sentenza 6 luglio 2004 n. 204, ribadito peraltro in due ulteriori pronunce (n. 281/2004 e 191/2006),
non avevo infatti mancato di ribadire come la scelta del legislatore non apparisse affatto in linea
con la necessità che tale tipo di giurisdizione fosse unicamente riservato alla risoluzione di
controversie comunque insorte con una pubblica amministrazione in veste autoritativa
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DOTTRINA
La Mission impossibile del legislatore……
Non a caso, del resto, il Tribunale di Genova, aveva avvertito meno di due anni dopo la sua
emanazione l’esigenza di esaminare d’ufficio la questione di legittimità, omettendo di sollevarla
esclusivamente sotto il profilo della irrilevanza ai fini del decidere (sull’erroneo presupposto
dell’effettiva vigenza della riserva all’ordinamento sportivo della materia disciplinare), ma non
anche sotto quello della fondatezza. Avevano infatti osservato all’epoca i giudici liguri come nel
dettato della legge si ravvisasse, anzi, una insolita inversione tra giurisdizione ordinaria (circoscritta
a particolari categorie di controversie) e giurisdizione amministrativa esclusiva, trasformata in
giurisdizione generale non in base alla natura specifica delle controversie, bensì soltanto in
relazione ai soggetti che avevano posto in essere gli atti sui quali verteva la causa.
Quanto ai contenuti, la legge di conversione ha comunque subito diviso dottrina e
giurisprudenza sul già evidenziato problema, evidentemente centrale, dell’actio finium regundorum
tra giurisdizione e autodichia sportiva.
Avevo al proposito subito rilevato come ogni giudizio circa la giustiziabilità statuale di
pretese comunque sorte nell’ambito dello sport istituzionalizzato non potesse prescindere dai
principi del codice civile in materia associativa e, soprattutto, dagli articoli 2,4,18,24,41 e 113 della
Costituzione.
Mi era infatti apparso evidente che l’attività professionistica impingeva
necessariamente su valori costituzionalmente tutelati, quali il diritto al lavoro e la libertà di
iniziativa economica a fini di lucro delle società e che anche lo sport dilettantistico, incentrato su
valori inviolabili della persona e sull’esercizio di libertà fondamentali, non avrebbe potuto
parimenti tollerare compressioni di tutela giurisdizionale.
Non appena si sono verificati i primi, prevedibili, contenziosi, un tale ordine concettuale è
stato fatto immediatamente proprio dal Tar Lazio il quale, all’evidente scopo di salvaguardare la
tenuta della legge e di scongiurare l’altrimenti inevitabile questione di legittimità, ne ha subito
patrocinato un’interpretazione “costituzionalmente orientata”, fondata sul combinato disposto della
norma di salvaguardia di qui all’art. 2 con il generale precetto di rilevanza delle situazioni
“connesse” di cui all’art. 1.
Anche la dottrina, aldilà della posizione di chi, evidentemente fuorviato dall’ambigua
restaurazione del paradigma pluralistico, ha ritenuto di poter addirittura fondare il dettato
dell’articolo 2 della legge sullo sfondo di un inammissibile “primato” dell’ordinamento sportivo, si
è generalmente mostrata
favorevole all’interpretazione abbracciata dai giudici amministrativi,
anche se non ha mancato di rilevare, in ogni caso, come le stessa si fondasse più su criteri “politici”
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DOTTRINA
La Mission impossibile del legislatore……
che giuridici, e come risultasse comunque “inafferrabile” il parametro da utilizzare per individuare
la rilevanza esterna del contenzioso sportivo.
In senso opposto si sono però schierati i giudici civili i quali,
fondandosi
sull’autorevolissimo convincimento della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (n. 5775/2004,
successivamente ribadito dalla sentenza n. 18919/2005), in più circostanze hanno sostenuto la
legittimità della riserva in favore dell’autodichia sportiva proprio nei termini fissati dalla legge.
Oltre al già citato Tribunale di Genova (decreto 18 agosto 2005, conseguente all’impugnativa del
Genoa avverso la mancata iscrizione al Campionato di Serie A), va infatti ricordato il più recente
arresto del Tribunale di Trento (ordinanza 4 dicembre 2008, est Gilardi, TS c/ FIPAV) il quale,
chiamato a decidere sull’appartenenza o meno alla propria cognizione del contenzioso in tema di
attività discriminatoria, ha ritenuto che il legislatore, “regolando in via innovativa ed esclusiva i
rapporti tra i due ordinamenti”, abbia appunto assegnato a quello sportivo la cognizione dell “intero,
relativo settore di materie”.
In un contesto così ambiguo e progressivamente diversificato, anche le certezze salvifiche del
giudice amministrativo hanno finito però con il vacillare, sino ad arrivare all’aperto sconfessamento
delle posizioni iniziali.
Il relativo, tormentato percorso è esaustivamente documentato dalla decisione n. 5782 del
Consiglio di Stato (Sez. VI, 25 novembre 2008), che costituisce il background dell’ordinanza in
commento, in cui il massimo organo di giustizia amministrativa ha denunciato apertamente il
fallimento del tentativo, operato dal legislatore, “di tracciare una linea di confine netta tra i territori
rispettivamente riservati all’ordinamento sportivo e ai suoi organi di giustizia e quelli nei quali è
possibile l’intervento della giurisdizione statale”.
Ripercorrendo il contrasto tra la propria,
precedente linea correttiva di “salvataggio” della legge e quella, già patrocinata dal Consiglio di
Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia (sentenza 8 novembre 2007 n. 1048), che aveva
invece ritenuto che la “discrezionalità interpretativa” sino ad allora patrocinata si sarebbe
illegittimamente sovrapposta “a quella legislativamente esercitata dal Parlamento”, il Consiglio ha
finito con l’aderire a quest’ultima, ritenendola come la “più aderente alla formulazione letterale
degli artt. 2 e 3”. Anche perché, ha ancora osservato, allorquando sono stati emanati decreto e legge
di conversione, il legislatore non poteva aver ignorato la circostanza che, all’irrogazione di gravi
sanzioni disciplinari, non potevano non conseguire quasi sempre conseguenze patrimoniali
“indirette” di rilevantissima entità.
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DOTTRINA
La Mission impossibile del legislatore……
Non essendo stata sollevata l’eccezione di illegittimità costituzionale perché irrilevante in
quel processo, tramite il quale non risultava più possibile restituire alla società reclamante, a
campionato concluso, il “bene della vita” dell’ammissione a quello superiore, mi era stato perciò
facile prevedere che la legge n. 280/2003, pretendendo di riservare un trattamento privilegiato alle
federazioni sino a concedere alle stesse quell’autodichia, sostanzialmente equivalente ad immunità
giurisdizionale, negata ad altri gruppi sociali (partiti, sindacati, per tacere della Chiesa Cattolica)
che godono peraltro di una tutela costituzionale sicuramente più intensa., avrebbe avuto i giorni
contati.
2) Le esigenze di tutela delle pretese sportive e l’attuale situazione di generale
“incertezza” del diritto.
L’eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dall’ordinanza in commento, che sino alla
pronuncia della Corte non potrà non provocare una situazione di stallo sulla giustiziabilità statuale
delle pretese sportive, si inserisce peraltro in un contesto già di per se stesso ambiguo ed incerto, per
la cui comprensione occorre tornare al modello di tutela delle pretese sportive come strutturato
all’epoca dal regolatore CONI incentrato, cioè, sul doppio grado di giustizia endoassociativa e sul
lodo camerale quale strumento alternativo alla giurisdizione.
La Suprema Corte, occorre dirlo subito, nel fornire il proprio autorevole avallo all’anzidetto
modello di tutela ha senz’altro peccato per eccesso, finendo con l’assimilare ad arbitrato irrituale
l’intero sistema giustiziale endoassociativo in realtà difettante, oltre che di una convenzione
arbitrale di fondo realmente devolutiva (tale non potendo considerarsi il vincolo di giustizia),
dell’imprescindibile requisito di “terzietà” dei propri organi giudicanti, tutti di nomina federale o di
lega.
I
giudici
amministrativi,
compiendo
un’evidente
operazione
di
“pubblicizzazione
giurisprudenziale” della materia, sono però incorsi nel devastante errore per certi versi opposto,
quello cioè di negare la natura di lodo a quello camerale, cagionando così il duplice effetto di
provocare il default dell’anzidetto modello di tutela e di “scollegare” le federazioni, trascinate in un
“innaturale” background pubblicistico, sia dal sistema della legalità costituzionale che da quello
pacificamente vigente in ambito sovranazionale.
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DOTTRINA
La Mission impossibile del legislatore……
La svolta è avvenuta con la decisione n. 527 dell’ 8 novembre 2005 – 9 febbraio 2006 con le
quale il Consiglio di Stato, ponendo fine ad un articolato avvicendamento giurisprudenziale
caratterizzato da numerose “ribellioni”, ha convinto i giudici di primo grado ad assecondare la
propria funzione nomofilattica secondo la quale al lodo camerale, al di là della forma, doveva essere
assegnata natura sostanziale di “terzo grado” di giustizia sportiva.
Tale arresto non solo ha consentito ai panamministrativisti di elevare ulteriormente il tasso di
pubblicità delle federazioni, avendo a loro modo di vedere fornito argomenti per riconoscere
medesima natura amministrativa all’intero sistema di giustizia sportiva, (tali avrebbero dovuto
essere considerate, infatti, tutte le determinazioni degli organi endofederali ed i rimedi contro le
stesse, apertamente assimilati a ricorsi gerarchici), ma ha costretto il CONI a sopprimere la Camera
di Conciliazione e Arbitrato ed a ripensare un nuovo modello di tutela, necessariamente adeguato
all’ormai consolidato indirizzo, incentrato sulle nuove istanze di giustizia esofederale quali risultano
disciplinate dagli artt. 12, 12 bis e 12 ter del nuovo Statuto CONI adottato il 26 febbraio 2008.
Anche in questo caso, come avvenuto per il legislatore di conversione (amplius sub 3), il
Regolatore è stato “costretto” a compiere una missione impossibile per l’evidente ambiguità del
quadro di riferimento e dei parametri adottati.
Il sistema attuale, infatti, risulta fondato sull’alternatività tra il Tribunale Nazionale Arbitrale
per lo Sport (TNAS), una sorta di erede della soppressa Camera di Conciliazione e Arbitrato e
l’Alta Corte di Giustizia Sportiva (ACGS) istituita invece, secondo le indicazioni dei giudici
amministrativi, quale “terzo grado” di giustizia in seno al CONI.
Sta di fatto, però, che i precetti discretivi da utilizzare per qualificare le anzidette istanze
giustiziali, oltre che per fissare in concreto le relative attribuzioni, rimandano a generalissime e
tuttora irrisolte questioni di teoria generale sulle quali è impossibile fondare certezze, quali la
differenza tra situazioni giuridiche disponibili e indisponibili e, ancora più a monte, tra diritti
soggettivi e interessi legittimi, finendo così con il riproporre, ancora una volta, l’annosa alternativa
pubblico-privato.
Per tornare allo specifico, le sanzioni disciplinari sono espressione di pubblici poteri, come i
panamministrativisti hanno sempre sostenuto con il conforto della giurisprudenza dell’epoca, e
continuano ancora a sostenere, ovvero, come (giustamente) pare ora, pene private in ambito
endoassociativo? E, posto che nelle attività federali siano individuabili posizioni di interesse
legittimo, le stesse devono ritenersi indisponibili come ritiene il regolatore CONI, ovvero
disponibili, come ormai larga parte della dottrina amministrativistica sembra essere orientata ?
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DOTTRINA
La Mission impossibile del legislatore……
E quali i rapporti tra l’arbitrato del TNAS, che attiene peraltro anche a ipotesi di contenzioso
non giuridico, e la giurisdizione amministrativa come istituita dalla legge n. 280/2003 ?
Non è perciò un caso che, anche alla luce del nuovo modello di tutela, si sia riproposto il
problema della natura del nuovo lodo: arbitrale nella sostanza, solo nella forma, ma in realtà terzo
grado di giustizia esofederale, ovvero addirittura anfibia, come ha sostenuto di recente un giurista
del calibro di Luiso ?
3) L’inconciliabilità tra separatezza ed integrazione
e l’equivoco della “doppia
giuridicità”.
Non occorre spendere molte parole per dimostrare l’assoluta fondatezza della questione
sollevata, risolvendosi l’interpretazione “costituzionalmente” orientata in un mero espediente
salvifico destinato non a “correggere”, secondo le intenzioni, ma bensì ad eludere il preciso e voluto
significato precettivo della riserva in materia disciplinare, ispirata all’anzidetto canone della
separatezza.
La stessa, però, non ha retto e non poteva reggere in termini di “diritto vivente” anche alla
luce della stessa giurisprudenza amministrativa, che in nome dell’esegesi “correttiva”, ha finito con
l’affermare la propria giurisdizione persino su sanzioni disciplinari non ritenute impugnabili in
precedenza quali quelle pecuniarie, quando si avvaleva al proposito del criterio discriminante
dell’alterazione di status (emblematico il caso di quella inflitta all’ex Presidente della F.I.G.C.
Franco Carraro).
L’attenzione deve invece piuttosto essere rivolta agli inemendabili vizi di fondo che hanno
reso impossibile al legislatore di conversione, in quel momento storico, il mantenimento
dell’impianto del decreto nell’alveo della legalità costituzionale.
A fronte della consapevolezza di non poter procedere ad una soluzione radicalmente
sconfessoria del decreto, non è da credere che in sede di discussione non sia stata percepita
l’inadeguatezza dei principi adottati, e del travaglio del legislatore di conversione è del resto larga
traccia negli atti parlamentari, se si considera che la legge è stata licenziata dalla Camera con il voto
contrario di ben 170 deputati e con l’astensione di un intero gruppo, e che in Senato sono state
inoltre avanzate espresse perplessità d’ordine costituzionale, incentrate sul timore che si sarebbe
finito con il prevaricare diritti ed interessi privandoli di tutela.
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DOTTRINA
La Mission impossibile del legislatore……
Emblematica, al proposito, è la circostanza che siano stati presentati specifici emandamenti
che miravano non a correggere, ma addirittura a sopprimere totalmente sia l’art. 1 che l’art. 2 del
testo, quelli cioè fondativi dell’ intero impianto.
La realtà è che il nodo da sciogliere non atteneva affatto al quantum delle questioni riservabili
all’autodichia sportiva, anche se era comunque apparsa ictu oculi esorbitante la riserva concessa in
prima battuta, ma si risolveva nella ben diversa mission impossible di creare zone franche dalla
giurisdizione postulando l’esistenza di due giuridicità parallele, quella dell’ordinamento statuale e
quella del (c.d.) ordinamento sportivo.
Mutuando il paradigma separatista della teoria pluralistica, senza peraltro poter rinnegare
l’ovvia sovranità statuale, il decretatore d’urgenza non si è evidentemente reso conto di aver fatto
uso di un falso sillogismo, quello denominato dei “quattro termini”, che conduce a risultati
fuorvianti perché attribuisce al termine medio, quello che fa da raccordo, due significati diversi fra
loro.
Coma a dire: l‘ordinamento giuridico (in senso classico, quale superiorem non recognosens)
ha una propria giuridicità, l’ordinamento sportivo è un ordinamento giuridico (in tal caso derivato,
però !), quindi l’ordinamento sportivo risulta dotato ex se di una giuridicità diversa da quella
statuale, con la quale occorrerebbe dunque misurarsi. E’ sulla perpetuazione dello stesso equivoco,
che pretende l’impossibile coesistenza tra integrazione (che rinvia imprescindibilmente alla
giurisdizione) e separazione (che presuppone invece un’ “altra” giuridicità) che si fondano gli
enfatizzati principi di “rilevanza” e di “autonomia”. In tale ambiguo contesto, la logica sottesa alle
riserve di cui all’art. 2 (non solo quella in materia disciplinare, ma anche quella di cui alla lett. a)
sarebbe dunque quella dell’ “autonoma” giuridicità delle relative questioni, come tale “rispettata”
dal legislatore, mentre l’art. 1 avrebbe all’opposto la funzione di “recuperare” la sovranità statuale,
riconsegnando alla giurisdizione le questioni riservate nel caso di asserito collegamento tra queste
con diritti ed interessi insuscettibili di essere privati di tutela.
Ho già osservato altrove come il diritto dello sport in ambito nazionale, sia sinonimo di diritto
statuale dello sport, con la conseguenza che l’autodichia non può che essere una risultante di
sistema, e non una concessione che prescinda dai principi costituzionali, nella specie quello
generalissimo di azionabilità delle pretese fondate su diritti ed interessi legittimi, come ha ritenuto
invece il legislatore del 2003.
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DOTTRINA
La Mission impossibile del legislatore……
Tale ultimo modo di argomentare, fondato dunque su due separate e distinte giuridicità, è
fonte di un ulteriore equivoco, corrente sia in dottrina (con l’eccezione di Ferrara) che in
giurisprudenza (anche nell’ordinanza in commento), quello secondo cui le attività federali, in
particolare quelle di giustizia irrogative di sanzioni disciplinari, produrrebbero effetti “diretti” in
ambito sportivo e “indiretti” in quello statuale, considerato evidentemente separato.
Occorre dunque ripensare l’intera materia, e non è questa ovviamente la sede.
Da una considerazione non può comunque prescindersi, quella secondo cui l’autodichia
(rectius la gestione del contenzioso nell’ambito dello sport istituzionalizzato) non può che
riguardarsi in termini di alternatività con la giurisdizione, pena la fuoriuscita del sistema della
legalità costituzionale.
Quanto al contenzioso irrilevante statualmente, del resto, non si avverte l’esigenza di alcun
intervento superfluo del legislatore, mentre per quello rilevante l’unica strada realisticamente
percorribile, per non creare più problemi di quanti non se ne vogliano risolvere, è quella di
considerare tutte le controversie sportive afferenti
indistintamente a materie disponibili,
risolvendosi comunque le stesse in liti in ambito endoassociativo, e non tra estranei, in modo tale da
fondare istanze arbitrali ricomprese nel sistema della legalità costituzionale perché realmente
alternative alla giurisdizione.
(*)Avvocato, Consulente della Lega Nazionale Dilettanti, esperto di diritto sportivo
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DOTTRINA
La Mission impossibile del legislatore……
La nota riproduce sostanzialmente i contenuti di una conferenza tenuta il 24 giugno 2010
presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Padova, e ciò rende conto del tono discorsivo,
privo di richiami bibliografici, rimasto sostanzialmente inalterato.
Le opinioni che in essa ho esposto sono comunque complessivamente riportate, in larga parta
e più in dettaglio, con relativi richiami di dottrina e giurisprudenza, in tutti i precedenti saggi da me
pubblicati in questa Rivista, oltre che, più in generale, in quanto ho scritto in AAVV, Diritto dello
Sport, Le Monnier, Firenze, 2008.
Per vicinanza di pensiero e per ampiezza di respiro segnalo, inoltre, l’ottima voce di L.
FERRARA, Giustizia sportiva, in Enc. Dir. Annali 2009.
Sul lodo del TNAS vedi, infine, A.M. MARZOCCO, Sulla natura e sul regime di
impugnazione del lodo reso negli arbitrati presso il Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport e
F.P. LUISO, Il Tribunale Nazionale Arbitrale per lo Sport, Il punto di vista del processualista,
entrambi in Judicium, Il processo civile in Italia ed in Europa, www.judicium.it
Per l’ordinanza di rimessione del Tar del Lazio alla Corte Costituzionale vedi nel n. 1/2010 di
questa rivista.
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DOTTRINA
L'impianto sportivo pubblico……
L' IMPIANTO SPORTIVO PUBBLICO:
I PRINCIPI DI BUON FUNZIONAMENTO DELL'IMPIANTO
TRA INTERESSE PUBBLICO E NORMATIVA SETTORIALE
di Alessio Piscini (*)
Sommario:
1. Introduzione e quadro normativo
2. La ripartizione delle competenze in materia di impiantistica sportiva
3. I criteri di buona gestione di un impianto sportivo
4. I conflitti tra interesse pubblico e diritto sportivo
5. Conclusioni (brevissime e incomplete)
1. Introduzione e quadro normativo.
Molto si è scritto in tema di impiantistica sportiva.
Solitamente i motivi di interesse – sia per ragioni squisitamente dottrinali sia per gli interessi
pratici degli operatori del diritto – si concentrano sulla responsabilità degli organizzatori di eventi
sportivi o dei gestori di impianti1, o, nel caso di eventi di alto livello, sull’incidenza della normativa
in materia di sicurezza e salubrità nei luoghi di lavoro, anche in funzione di prevenzione di
fenomeni violenti2.
Minor attenzione – è un dato oggettivo –ottiene un aspetto che pure unisce l’intero panorama
sportivo, senza distinzione territoriale, tipologico o di livello d’attività sportiva, ovverosia
l’incidenza della normativa sportiva nella buona gestione (giuridicamente intendendo) di un
impianto.
1
A titolo esemplificativo, M. Conte, Il Risarcimento del danno nello sport, Torino, 2004, ppgg. 32 e ss.
2
Recentemente spicca il bel volume L. Bauccio, E. Crocetti Bernardi, S. Dambruoso, L. Musumarra,
S. Scarfone, La gestione della sicurezza negli impianti sportivi, Forlì, 2009.
15
DOTTRINA
L'impianto sportivo pubblico……
Una premessa è necessaria: nel panorama italiano, è pressoché totale la diversificazione tra il
proprietario dell’impianto (un Ente pubblico nella quasi totalità dei casi) e il conduttore-gestore del
medesimo (un’associazione sportiva, dilettantistica, professionistica o puramente amatoriale
solitamente).
La questione non è oziosa, tuttavia: nella dinamica (e nella statica) dei rapporti tra proprietario
pubblico e conduttore passa, da un lato, la capacità di ben organizzare le competizioni sportive e,
dall’altro, il concreto atteggiarsi degli interessi pubblici in materia di attività sportiva.
Motivi (teorici) di frizione ve ne sono, e la posta in palio è alta: da una parte vi è la necessità
di gestione di un patrimonio immobiliare nel rispetto dei criteri di legge, ivi comprese le istanze
federalistiche di autonomia economica e amministrativa; dall’altra, l’interesse dell’ordinamento
settoriale sportivo alla difesa della propria coerenza interna e autodichia.
Parlando di massimi sistemi, pare opportuno premettere alcune parole sull’annosa questione
della copertura costituzionale dello sport, nonché sulla competenza in materia di impiantistica
sportiva.
Pur in carenza di una disciplina pubblicistica in materia di sport, è costantemente ritenuto da
dottrina e giurisprudenza che vi sia, in capo ad ogni cittadino, un diritto costituzionalmente
garantito all’esercizio della pratica sportiva (recte, situazione soggettiva costituzionalmente
raccomandata3) sorto dal combinato disposto degli artt. 2 e 18 del testo costituzionale 4. In tal senso,
la violazione delle leggi dell’ordinamento sportivo (e, comunque, in material sportiva),
costituirebbero una violazione costituzionale, se incidenti sul diritto di singoli e associazioni al
libero esercizio della pratica sportiva agonistica, ovvero dell’attività motoria5.
Tale situazione giuridica soggettiva viene concretizzata dalla nozione di sport come
emergente, in sede europea, dal combinato disposto della Carta Europea dello Sport, emanata dal
Consiglio d’Europa in Rodi il 15 maggio 1992, secondo cui sport è “qualsiasi forma di attività
fisica che, attraverso una partecipazione organizzata o non, abbia per obiettivo l’espressione o il
miglioramento della condizione fisica e psichica, lo sviluppo delle relazioni sociali o l’ottenimento
di risultati in competizioni di tutti i livelli.”
3
4
Tribunale Milano, 17 luglio 1967.
G. Amato, Problemi costituzionali connessi all’attuale disciplina del CONI, nota a sent. Cass. Civ., S.U.,
25/6/1965 n. 1067 in Giur. It., 1966, I, 913.
5
B. Lavagna, Basi per uno studio delle figure giuridiche soggettive contenute nella Costituzione Italiana,
Padova, 1953.
16
DOTTRINA
L'impianto sportivo pubblico……
Secondo tale interpretazione, il medesimo Consiglio, nella dichiarazione sullo sport – allegato
IV alla riunione di Nizza del 10 dicembre 2000, ha chiarito che le federazioni sportive (organi
dell’ordinamento di settore sportivo) “svolgono un ruolo centrale nella solidarietà necessaria tra
vari livelli di attività(amatoriale, dilettantistica, di alto livello e professionistica, ndr)” e che
“consentono l’accesso di un vasto pubblico alle manifestazioni sportive, il sostegno umano e
finanziario alle pratiche dilettantistiche…tali funzioni sociali comportano responsabilità
particolari per le federazioni e basano il riconoscimento della loro competenza sull’organizzazione
delle competizioni”.
Simile – e cogente – indicazione dell’Unione Europea è confermata in totodal legislatore
italiano, che fornisce di personalità giuridica di diritto pubblico il Comitato Olimpico Nazionale
Italiano, o CONI, (ente avente la finalità di “curare l’organizzazione ed il potenziamento dello sport
nazionale, e in particolare la preparazione degli atleti e l’approntamento dei mezzi idonei per le
Olimpiadi e per tutte le altre manifestazioni sportive nazionali o internazionali….nonché la
promozione della massima diffusione della pratica sportiva”, art. 2, D.Lgs. 23 luglio 1999, n. 242) e
“riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione
dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale…i
rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento della Repubblica sono regolati in base al
principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di
situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo” (art. 1, Legge 17 ottobre
2003, n. 280).
2. La ripartizione delle competenze in materia di impiantistica sportiva
A tale scacchiera di ripartizioni tra ordinamenti si aggiunge la delega di competenze tra Stato
e enti locali.
In punto di ordinamento sportivo, peraltro, vi è competenza legislativa concorrente di Stato,
Regioni ed enti locali (artt. 117, comma terzo, e 118 Costituzione della Repubblica Italiana), queste
ultime con particolar riferimento (nell’ambito dei generali principi sopra menzionati) alla
promozione, diffusione ed organizzazione della pratica sportiva diffusa (così, artt. 56 e 60, d.P.R.
616/1977).
In tale, generale, groviglio di rapporti e interessi pubblici in punto di sport e attività fisica dei
cittadini, si inserisce la normativa specifica in punto di impiantistica sportiva.
17
DOTTRINA
L'impianto sportivo pubblico……
In particolare, gli artt. 56 e 60, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, prevede l’attribuzione delle
funzioni amministrative alle Regioni e ai Comuni, in materia di turismo, ivi compresa la
“promozione di attività sportive e ricreative e la realizzazione dei relativi impianti e attrezzature”;
vengono comunque fatte salve “le attribuzioni del CONI per l’organizzazione delle attività
agonistiche di ogni livello e le relative attività promozionali”. In tal senso, il Consiglio di Stato
(sent. n. 343 del 3 luglio 2001) ha riconosciuto che tale nozione comprende la funzione di “dare
impulso e stimolo ad un determinato settore di attività sportiva….mediante il finanziamento di
iniziative assunte da singoli operatori, adeguatamente selezionate e vagliate secondo parametri di
pubblico interesse”.
La competenza in materia di programmi d’impianti sportivi è stata specificamente trasferita
alle Regioni dall’art. 157, D. Lgs. 112/1998 (oltre all’art. 2, lett. l, d.P.R. 15 gennaio 1972 n. 8, in
materia di attrezzature sportive), ovvero ai Comuni.
I progetti per la costruzione, l’acquisto, l’ampliamento e le modifiche degli impianti sportivi,
disposti dall’Ente locale, sono soggetti alla necessaria approvazione (recte, parere positivo) del
Comitato Provinciale del CONI ovvero della Commissione Impianti Sportivi del CONI, in
dipendenza del valore del progetto (art. 1, R.D.L. 2 febbraio 1939, n. 302, mai abrogato) e devono
soddisfare i requisiti e le direttive emanate dal servizio impianti sportivi del CONI, nonché le
misure di sicurezza per gli impianti sportivi vigenti per legge.
Qualora non venga acquisito detto parere-approvazione, la dichiarazione di pubblica utilità
per la costruzione di un impianto è da ritenersi illegittima6.
Incidenter tantum, si precisa che per ragioni squisitamente scientifiche (la residenza dello
scrivente) verrà analizzata la normativa toscana in materia di impiantistica. D’altro canto, le
possibili differenze tra le normative regionali difficilmente possono incidere sul bilanciamento dei
primari interessi statali e ordina mentali, come sopra descritti.
Ciò posto, la Regione Toscana ha determinato autonomamente i requisiti per l’apertura e la
gestione degli impianti e delle attrezzature motorie, ricreative e sportive a mezzo della Legge
Regionale Toscana 31 agosto 2000 n. 72, legge che chiarisce come la gestione degli impianti debba
esser informata dalla “conformità con i requisiti tecnici, igienico-sanitari e di sicurezza degli
impianti e delle attrezzature”, la cui valutazione deve esser presa con la “consulenza tecnica del
CONI” (art. 10, L.R.T. n. 72/2000).
6
così, Consiglio di Stato, IV, 23 novembre 1988, n. 884.
18
DOTTRINA
L'impianto sportivo pubblico……
V’è da ricordare che una specifica categoria di impianti sportivi è quella soggetta
all’applicazione del Decreto Ministero interno 18 marzo 1996, ovverosia quei “complessi e
impianti…nei quali si svolgono manifestazioni e/o attività sportive regolate dal CONI e dalle
Federazioni Sportive Nazionali riconosciute dal CONI, ove è prevista la presenza di spettatori in
numero superiore a 100” (art. 1), impianti soggetti a vincolo strutturale e teleologico all’uso interno
all’agonismo programmatico (art. 3, Decreto Ministeriale).
La differenziazione tra impianti sportivi “di uso federale” e di altro tipo è chiarita con ogni
conseguenza di legge dal Decreto Regionale Toscana n. 7/R del 13 febbraio 2007, “Regolamento di
attuazione della Legge Regionale Toscana 31 agosto 2000 n. 72”, per cui vi sono due tipi di attività
(“attività motorio-ricreative: non disciplinate da norme approvate dalle federazioni sportive
nazionali; attività sportive: attività disciplinate da norme approvate dalle federazioni sportive
nazionali e come tali riconosciute dal CONI”, art. 2).
Va da sé che è particolarmente difficile distinguere le due tipologie d’impianto, laddove la
maggior parte degli sport praticati è comunque “coperta” dalle attività delle FSN e degli Enti di
Promozione Sportiva, comunque legati all’agonismo del CONI.
Riguardo gli impianti sportivi comunali, questi fanno pacificamente parte del patrimonio
indisponibile dell’Ente exart. 826 c.c., essendo destinati ad un pubblico servizio, dovendosi ritenere
pubblico servizio il soddisfacimento dell’interesse, proprio della comunità, all’espletamento delle
attività che si svolgono negli impianti sportivi7.
Gli enti sono tenuti alla “concessione di aree e di impianti sportivi…in favore delle
associazioni dilettantistiche e senza scopo di lucro, affiliate al Comitato Olimpico Nazionale
Italiano o agli enti di promozione sportiva” (art. 2, comma 66, legge 28 dicembre 1995, n. 549).
Tale destinazione è prioritaria anche sia in caso di gestione diretta sia in caso di concessione in
gestione (art. 90, commi 24 e 25, Legge 27 dicembre 2002, n. 289, secondo cui “l’uso degli
impianti sportivi in esercizio da parte degli enti territoriali locali è aperto a tutti i cittadini e deve
essere garantito, sulla base di criteri obiettivi, a tutte le associazioni sportive”; in ambito toscano,
Legge Regionale Toscana 3 gennaio 2005, n. 6).
7
così, Consiglio di Stato, V, 16 aprile 2003, n. 1991
19
DOTTRINA
L'impianto sportivo pubblico……
Dalla generale ricognizione sopra esposta possono evincersi due principi – alla stregua di
interesse pubblico:
1) connessione genetica e funzionale degli impianti sportivi pubblici – salvo rare eccezioni –
alle discipline sportive come suddivise e normate nell’ordinamento autonomo e settoriale
CONI- Federazioni Sportive Nazionali, o FSN8;
2) necessità di garantire l’uso di detti impianti, anche in ottemperanza ai generali obblighi di
economicità, trasparenza ed efficacia della P.A., in dipendenza della loro conformità alle regole
endo-ordinamentali sportive per il tramite di associazioni affiliate alla struttura CONI-FSN.
3. I criteri di buona gestione di un impianto sportivo
I confini della questione si sono pertanto delineati con precisione.
La proprietà di un impianto sportivo non può mai prescindere dalla specificità del bene, e
dalla necessità di gestione unitaria con la struttura CONI-FSN, cui lo Stato ha demandato (recte, il
cui ordinamento ha pari dignità di quello statale) la struttura sportiva, sia agonistica sia amatoriale
(per il tramite degli enti di promozione sportiva).
Come già argomentato, pacifico è che l’impiantistica sportiva faccia parte del patrimonio
indisponibile dello Stato (o dell’ente locale) e che debba esser destinato ad un pubblico servizio,
dovendosi ritenere pubblico servizio il soddisfacimento dell’interesse proprio dell’ente esponenziale
e dell’intera comunità, all’espletamento delle attività che si svolgono negli impianti: non vi può
dunque esser neppure dubbio circa la natura di servizio pubblico non essenziale dello sport, quale
attività preordinata al benessere sociale della comunità9.
In tal senso, l’uso degli impianti sportivi viene aperto a tutti i cittadini e deve esser garantito,
sulla base dei criteri obiettivi, a tutte le società e le associazioni sportive: l’art. 3, comma 66, legge
28 dicembre 1995 così si esprime: “la concessione di aree e di impianti sportivi comunali anche
scolastici, da parte dei comuni e delle province in favore della associazioni o società sportive
dilettantistiche e senza scopo di lucro, affiliate al Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) o
8
che, giova ricordarlo, fanno parte del CONI, ex art. 1, Statuto CONI, e svolgono attività a valenza
pubblicistica ai sensi dell’art. 16, comma 1, D.Lgs. 23 luglio 1999 n. 242.
9
In tal senso, lo sport è statao inserito tra i “ servizi” oggetto della Direttiva n. 92/50/CEE in materia di
appalti pubblici; una sintetica ma esauriente esposizione dei rapporti tra servizio pubblico e sport in V. Suster,
Analisi delle problematiche giuridiche connesse alla gestione di impianti sportivi di proprietà pubblica in
Quaderni del Master in Management delle organizzazioni sportive, n. 2/2000, ppgg. 11 e ss.
20
DOTTRINA
L'impianto sportivo pubblico……
agli enti di promozione sportiva, può essere fatta applicando le norme relative ai canoni
ricognitori”.
Giova rammentare che la gestione di un servizio pubblico può avvenire in varie modalità:
gestione diretta o in economia; concessione a terzi; a mezzo azienda speciale; istituzione o società.
Non è questa la sede per affrontare le problematiche sottese alle varie modalità di gestione: sia
sufficiente, per quanto ci occupa, sapere che, concretamente, gli impianti pubblici sono gestiti al
67% mediante concessione ad associazione sportiva o privati e per il 26% mediante gestione
diretta10; in entrambi i casi, il potere pubblicistico si estrinseca per il tramite di un bando (per la
concessione o per l’affidamento orario) nel quale il sopra esposto principio di prevalenza della
finalità sportiva deve agire come informatore, tanto che la Regione Toscana ha emanato una
specifica legge (n. 6 del 3 gennaio 2005, “Disciplina delle modalità di affidamento di impianti
sportivi da parte degli enti pubblici territoriali della Toscana”), secondo cui “gli enti pubblici
territoriali che non intendano gestire direttamente i propri impianti sportivi ne affidano in via
preferenziale la gestione a società e associazioni sportive dilettantistiche, enti di promozione
sportiva, discipline sportive associate e federazioni sportive nazionali” (art. 2, comma 1).
La chiarezza di detto principio viene sfumata tuttavia dall’impalpabile concetto di canone
ricognitore, concetto nei fatti sostanziato dalle singole normative regionali in punto di “indirizzi e
criteri per la definizione del fabbisogno di spazi, impianti ed attrezzature per la pratica di attività
motorie, ricreative e sportive, e per la ottimizzazione delle condizioni di esercizio” (art. 2, comma 2,
L.R.T. 72/2000).
Nel caso toscano, la specifica legge sopra citata si limita alla generica previsione che “la
scelta dell’affidatario tenga conto dell’esperienza nel settore, del radicamento sul territorio nel
bacino di utenza dell’impianto, dell’affidabilità economica, della qualificazione professionale degli
istruttori e allenatori utilizzati, della compatibilità dell’attività sportiva esercitata con quella
praticabile nell’impianto e dell’eventuale organizzazione di attività a favore dei giovani, dei
diversamente abili e degli anziani” (art. 3, comma 1, lett. e), e niente viene specificato neppure in
sede di triennale (lasciando piuttosto, questo documento, spazio all’auspicio di “iniziative
finalizzate alla realizzazione, all'adeguamento ed al pieno utilizzo degli impianti e delle
attrezzature necessarie per lo svolgimento delle attività motorie, ricreative e sportive”11.
10
così i dati dell’Indagine sull’impiantistica sportiva in Italia, CNEL-Ministero Beni e Attività
Culturali, Roma, 2003.
11
Piano Regionale dello Sport 2008/2010 come approvato dalla Giunta Regionale Toscana in data 22 marzo
2008, nel quale si scrive, ad esempio, che “inoltre è fondamentale ricordare la oramai consolidata esperienza,
sorta sulla base di quanto disposto dall’articolo 3 della legge regionale 72/2000, dei Piani Provinciali per lo
21
DOTTRINA
L'impianto sportivo pubblico……
Ciò posto, unica certezza nella fattispecie è che non v’è certezza, potendo l’analisi delle
norme esclusivamente indicare il generale (e riconosciuto) obbligo di affidamento preminente ad
attore dell’ordinamento sportivo, lasciando di volta in volta ai singoli bandi l’effettiva descrizione
dei requisiti, con eccessivo spazio di movimento anche per l’estrema vaghezza dei concetti di
“attività sportiva” e “attività motoria”12, nonché della “compatibilità” tra attività sportiva e
impianto.
4. I conflitti tra interesse pubblico e diritto sportivo
Ecco dunque che sino state compiutamente evocate tre aree di frizione (recte, tangenza) tra le
esigenze dominicali della Pubblica Amministrazione in punto di buona gestione dell’impianto
secondo i criteri di legge13 e gli interessi settoriali dell’ordinamento: il vincolo dell’impianto alla
conformità alla regolamentazione sportiva; la concreta incidenza del riconoscimento sportivo –
affiliazione – e dell’attività prestata nell’affidamento dell’impianto; il ruolo delle FSN nella
gestione dell’impiantistica pubblica.
Brevemente, riguardo la prima questione la necessità del parere emanato dal C.O.N.I.
(localmente o da parte della competente Commissione impianti sportivi) ai sensi della legge 6
marzo 1987 n. 65, costituisce attività amministrativa-pubblicistica che viene riconosciuta come
“espressione di consulenza tecnico-sportiva”14; in tal senso, non sostituisce né si sovrappone alle
competenze di programmazione regionale o ai pareri degli organi preposti alle opere pubbliche a
livello regionale o locale, “i quali possiedono un carattere eminentemente tecnico-amministrativo”.
Sport, quali strumenti di programmazione territoriale, al fine di favorire lo sviluppo della pratica motoria
elaborati tenendo conto di: - bisogni e vocazioni già espressi dal territorio; - impiantistica e attività presenti; bacini di utenza potenziale; - integrazione con altri strumenti di programmazione locale; - organizzazione e
strutture scolastiche. Nell'attuazione del Piano regionale per la promozione della cultura e della pratica delle
attività motorie e sportive, il sostegno alla programmazione locale si realizza attraverso i Piani provinciali per
lo sport che hanno carattere pluriennale e sviluppano la propria azione per un periodo coerente con quello
abbracciato dal presente piano regionale. Essi si sviluppano attraverso la governante istituzionale che si
prospetta nel quadro ordinamentale vigente e nella specificità del modello regionale della concertazione e del
modello di governance cooperativa, con i Comuni, le Province e le Aree metropolitane. In particolare le
Province sono valorizzate nelle loro funzioni di soggetti intermedi della programmazione e individuate come
sede di coordinamento e di concertazione della programmazione a scala locale, nel quadro delle funzioni ad esse
attribuite dalla legislazione regionale di programmazione.”
12
Sul punto si veda l’art. 2 del Decreto del Presidente della Giunta Regionale Toscana 13 febbraio
2007 n. 7R, Regolamento di attuazione della Legge Regionale 31 agosto 2000 n. 72, citato.
13
Esigenze che devono necessariamente esser aderenti al generale principio di economicità, efficacia,
pubblicità e trasparenza dell’attività amministrativa ex art. 1, Legge 7 agosto 1990 n. 241.
14
Cassazione Civile, sez. I, 2 febbraio 2007 n. 2257.
22
DOTTRINA
L'impianto sportivo pubblico……
Simile norma, nei fatti, diviene una sorta di Generalklausel in materia impiantistico-sportiva,
ed è pietra angolare del bilanciamento tra i compiti istituzionalmente affidati al CONI, tra cui
l’emanazione dei principi generali per la disciplina delle attività sportive (art. 2, comma 2, Statuto),
e i generali doveri in materia di gestione della res publica in capo a Stato e enti locali,
bilanciamento che non viene considerato in contrasto con le competenze legislative regionali e
neppure con la competenza legislativa primaria in materia di lavori pubblici in capo alle Regioni a
statuto speciale15.
Proprio tale interpretazione del rapporto Stato-CONI in materia di impiantistica fa discendere
i due corollari già rammentati, scarsamente dibattuti (e questo intervento vuole esser stimolo in
proposito) ma fondamentali per la tenuta dell’intero assetto sportivo: la preferenza nella gestione
degli impianti alle società affiliate alla Federazioni o agli Enti di promozione sportiva e la necessità
di adeguamento dell’impiantistica alla normativa nazionale e internazionale delle Federazioni per la
regolarità delle competizioni sportive.
Riguardo il primo aspetto, ormai per costante giurisprudenza la previsione, in
un bando di
gara per il conferimento in gestione di un impianto sportivo, della presenza di associazione sportiva
abilitata “si deve intendere riferita soltanto ad un soggetto affiliato ad una Federazione sportiva
nazionale in quanto l’affiliazione è in grado di garantire più di ogni altra qualità materialmente
posseduta, la correttezza dell’attività sportiva”16; in altre parole, il conferimento dello status di
attore dell’ordinamento sportivo incide direttamente nella capacità dell’associazione di ottenere la
gestione (o, comunque, la disponibilità) degli impianti pubblici per una riconosciuta tangenza tra le
finalità istituzionali (e agonistiche) della struttura CONI-FSN e i criteri di buona gestione degli
impianti.
Simile tangenza di interessi comporta, pertanto, che il sopra indicato parere tecnico-sportivo
del CONI sia valutazione circa la conformità dell’impianto ai regolamenti sportivi (in materia di
regolarità delle gare, uniformità dei campi di giuoco e sicurezza) emanati dalle varie Federazioni
Sportive Internazionali per consentire l’agonismo programmatico e il confronto tra atleti.
15
Così Corte Costituzionale, n. 517 del 1987.
T.A.R. Sicilia Catania, sezione III, 3 febbraio 2009, n. 258 e così Consiglio di Stato, sez. V, 12
aprile 2005 n. 1636.
16
23
DOTTRINA
L'impianto sportivo pubblico……
Detta conformità viene poi accertata direttamente dalla Federazione, che frequentemente
richiede la disponibilità di un impianto quale condizione per la partecipazione ai campionati17, per il
tramite della c.d. “omologazione”.
A tacere da ogni considerazione se sia corretto, in termini squisitamente amministrativistici,
giungere così lontano nell’interferenza dell’ordinamento settoriale nei criteri di gestione di un
servizio pubblico non essenziale (e sinanco nella gestione di un lavoro pubblico), la sopra esposta
conclusione è particolarmente interessante perché ha più volte fondato prognosi (pur contestate) di
responsabilità civile in capo alle Federazioni per sinistri occorsi durante un evento agonistico in
impianti di proprietà statale, in forza della “indiscussa titolarità dell’attività ispettiva e di controllo
che si esplica attraverso l’omologazione del campo di gioco a termine del regolamento esecutivo”18,
con pieno riconoscimento dell’attività a valenza pubblicistica delle FSN.
Ciò posto, l’intera costruzione che abbiamo descritto conduce al risultato della fusione
dell’interesse pubblicistico alla buona gestione dell’impianto e privatistico-sportivo alla corretta
organizzazione dell’evento sportivo, fusione da avvenire tramite l’inserimento nella procedura
amministrativa dell’attività tecnico-consultiva da parte del CONI e FSN: simile conclusione è
peraltro suffragata da recente giurisprudenza19.
5. Conclusioni (brevissime e incomplete)
Prendendo a prestito un concetto matematico, l’iterlogico dell’intervento ha svelato un
assioma pure celato dal quadro normativo, e cioè l’incidenza della normativa squisitamente sportiva
nella realizzazione e gestione di un impianto sportivo.
17
A titolo meramente esemplificativo, art. 59 Norme Organizzative Interne Federali della F.I.G.C. e
Criteri Infrastrutturali per gli stadi delle società di I e II divisione come da Comunicato Ufficiale
F.I.G.C. n. 117 del 25 maggio 2010.
18
Tribunale Milano, sez. X, 23 febbraio 2009 n. 2430.
19
“se il bando di gara prescrive che l’aggiudicatario deve essere un’associazione sportiva abilitata tale
prescrizione si deve intendere riferita soltanto a un soggetto affiliato ad una federazione sportiva in quanto
l’affiliazione è in grado di garantire, più di ogni altra qualità materialmente posseduta, la correttezza
dell’attività sportiva ed il buon funzionamento dell’impianto e delle di lui risorse, non potendosi ridurre l’aspetto
dell’abilitazione alla mera e generica conformità della disciplina e degli scopi associativi alle finalità generali
perseguite dall’appaltante”, così Consiglio di Stato, sez. V, 12 aprile 2005, n. 1636.
24
DOTTRINA
L'impianto sportivo pubblico……
Questa considerazione potrebbe essere punto di partenza per un’analisi dell’intera disciplina
non soltanto limitata alla coerenza del settore con i principi del diritto amministrativo quanto alla
compatibilità dei rapporti Stato-sport (oltre la stretta questione dell’impiantistica) con il
complessivo assetto giuridico che la pratica sportiva assume nel superiore livello comunitario.
Non vi può esser dubbio circa la valenza economica dell’attività sportiva, sin dalla
celeberrima sentenza Bosman ed anche prima20; posto questo e posta la natura di servizio pubblico
non essenziale dell’attività sportiva (motoria? O fisico-sportiva?), è comunque auspicabile una
complessiva rivisitazione della disciplina, in uno con l’intero assetto dei rapporti tra ordinamento di
settore e stato, anche al fine di evitare anomalie del sistema, da comprendere poi frettolosamente nel
provvidenziale calderone della specificità dello sport.
A tal proposito, l’ultima notazione riguardi la curiosa (ma corretta) argomentazione
dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che ha ritenuto legittimo un comportamento
della Federazione Italiana Sport Equestri volto ad escludere altre associazioni dall’organizzazione
eventi o gestione impianti nello sport di competenza, quali la possibilità di operare per escludere
dagli impianti società non affiliate, in virtù della peculiare natura della Federazione come
associazione di associazioni dilettantistiche, dall’attività effettuata tale per cui le “competenze
federali possono estendersi oltre le attività prettamente olimpico agonistiche”21.
(*)Avvocato del Foro di Firenze; Docente Master in Diritto ed Economia dello Sport presso la
facoltà di Economia e Commercio, Università di Firenze
20
Sentenza Corte di Giustizia UE 15 dicembre 1995, Causa C-415/1993; in ogni caso, sin dalla nota
vicenda Walrave/UCI, la Corte di Giustizia aveva ravvisato, con sentenza 12 dicembre 1974, causa n.
36/1974, la possibile configurazione dello sport come attività economica.
21
Provvedimento Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, 15 maggio 2008, n. 18285.
25
DOTTRINA
PARTE SECONDA
NOTE A SENTENZA
SOMMARIO:
MARIO VIGNA , L'art. R 57 del Codice TAS e le controverse sorti del giudizio "de
pag.27
novo" nella procedura d'appello - nota a Lodo TAS, Goitre & Stefanini / CONI del
3 settembre 2010 , (non pubblicato)
DOMENICO ZINNARI , Svincoli perigliosi - nota alle Ordinanze del Tribunale di
pag.37
Saluzzo del 12 giugno 2010 e del Tribunale di Gorizia del 27 agosto 2010
ANDREA PETRETTO , L'illecito sportivo e la valutazione delle presunzioni - nota a
pag.58
Lodo Arbitrale TNAS del 1 aprile 2010 tra Potenza sport club srl e FIGC
CARMINE FABIO LA TORRE, Una sentenza “Pilato” del Tribunale di Milano sul
lavoro sportivo dilettantistico – nota a sentenza del Tribunale di Milano sez. lavoro
del 24 marzo 2010 n. 1302,( nel prossimo numero)
26
pag.78
L'art R57 del codice TAS....
L’ART. R57 DEL CODICE TAS E LE CONTROVERSE
SORTI DEL GIUDIZIO “DE NOVO”
NELLA PROCEDURA DI APPELLO
di Mario Vigna (*)
Con il lodo in esame il Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna (di seguito “TAS”) ha
statuito come i medici della Juventus Dott. Bartolomeo Goitre e Dott. Luca Stefanini fossero stati
non correttamente sanzionati dal CONI per la loro asserita responsabilità “burocratica” attinente una
richiesta di Therapeutic Use Exemption (“TUE”) per il calciatore Fabio Cannavaro, a sua volta
sottoposto a procedimento disciplinare per un esito avverso in un controllo in competition.
In particolare, il Collegio ha ritenuto come quanto avvenuto in relazione alla procedura
burocratica della TUE non potesse costituire una “mancata collaborazione per il rispetto delle
Norme Sportive Antidoping”.
Al di là del merito della decisione, ciò che nel lodo in esame desta maggiormente interesse è
stata l’impostazione del Collegio relativa al proprio compito. Infatti, il Collegio ha inteso basare
l’accoglimento dell’appello sull’erroneità di motivazione della decisione appellata, senza tuttavia
riconsiderare completamente “de novo” la condotta dei medici. In particolare, il Collegio non ha
ritenuto suo compito valutare altri profili di responsabilità della condotta dei medici quali ad
esempio il rapporto professionale tra medico ed atleta, così come evidenziato dal CONI nell’ambito
del giudizio d’appello.
Tale auto-limitazione del Collegio, il quale cassa la decisione ritenuta erronea senza però
esprimersi sulla riqualificazione giuridica della condotta, pone delle perplessità sulla reale portata
dell’art. R571 del Codice TAS e degli effettivi poteri degli arbitri, i quali non dovrebbero essere
vincolati ad un giudizio sulla correttezza della decisione appellata, quanto piuttosto, come da
giurisprudenza consolidata, “examine the case ab novo and, accordingly, must consider all of the
evidence and arguments”.2
1
2
L’art. R57 (Scope of Panel’s Review, Hearing) del Codice TAS recita “The Panel shall have full power to review the facts and
the law. It may issue a new decision which replaces the decision challenged or annul the decision and refer the case back to the
previous instance. …” ed è disponibile al link http://www.tas-cas.org/en/arbitrage_reglement.asp/4-0-1031-4-1-1/5-0-1089-7-11/.
Così lodo CAS 2000/A/274 del 19 ottobre 2000, Susin vs FINA, in Rec., II, p. 401 § 39 in cui il collegio più diffusamente
afferma: « Under art. R57 of the CAS Code, the Panel is expressly granted full power to review the facts and the law. It follows
from this broad scope of review that the parties are not restricted to the evidence adduced, or bound by the arguments advanced,
in the proceedings below. The Panel must examine the case ab novo and, accordingly, must consider all of the evidence and
arguments before it »; analogamente Lodo CAS 94/129 del 23 maggio 1995, USA Shooting & Q,, in REEB, Recueil des sentences
du TAS / Digest of CAS Awards (1986-1998), Bern, 1998, p. 187 ss.; Lodo CAS 98/208 del 22 dicembre 1998, Wang Lu Na vs
NOTE A SENTENZA
27
L'art R57 del codice TAS....
Sommario:
1. Il caso di specie.
2. La natura del giudizio d’appello e l’art. R57 del Codice TAS.
3. Il “de novo ruling” e la riqualificazione della condotta: il caso “Ribery”.
4. Conclusioni.
1.
Il caso di specie.
La vicenda disciplinare che ha visto coinvolti i medici della Juventus scaturisce dalla
positività per Betametasone del calciatore Fabio Cannavaro ad un controllo antidoping incompetiton al termine della gara di Serie A Roma – Juventus del 30 agosto 2009.
A seguito dell’istruttoria, emergeva che in data 29 agosto i medici avevano somministrato al
giocatore una di Bentelan 4 mg per via intramuscolo al fine di curare gli effetti di una puntura di
insetto. Lo stesso giorno il giocatore, assistito dai due medici, aveva inviato la documentazione
relativa alla richiesta di TUE per la suddetta necessità terapeutica d’urgenza.
Quando il difensore azzurro risultò positivo, emerse che l’organo competente a decidere sulla
TUE, il Comitato per l’Esenzione a Fini Terapeutici del CONI (“CEFT”) aveva inviato,
esclusivamente al giocatore, una missiva ove richiedeva un’integrazione di documentazione al fine
di poter statuire sulla concessione o meno della TUE stessa.
Tale comunicazione del CEFT, per questioni legate allo smistamento della corrispondenza
della società Juventus, non era pervenuta al giocatore se non dopo la notifica dell’esito avverso.
La posizione del Giocatore veniva sostanzialmente archiviata, riconoscendosi allo stesso
“nessuna colpa o negligenza” ai sensi dell’art. 10.5.1.3
Ad ogni buon conto, i medici provvedevano comunque ad integrare la documentazione
relativa alla TUE presentata. Ciononostante, il CEFT provvedeva a negare la richiesta di TUE in
quanto i medici avevano somministrato all’atleta un farmaco con emivita 36/72 ore, il che avrebbe
costretto lo stesso a sospendere l’attività agonistica sino al rientro dei valori nei limiti.4
FINA, cit., p. 234 ss.; Lodo CAS 98/211 del 7 giugno 1999, Smith De Bruin vs FINA, in REEB, Recueil des sentences du TAS /
Digest of CAS Awards (1998-2000), II, The Hague, 2002, p. 255 ss.; Vedi anche F UMAGALLI , La giurisdizione
sportiva internazionale, in VELLANO - GREPPI (a cura di), Diritto internazionale dello Sport, Torino 2005, p. 130.
3
4
A tal proposito, potrebbe discutersi sull’appropriatezza del nomen iuris “archiviazione” per il giocatore anziché di una pronuncia
con sostazionale “azzeramento” della sanzione ai sensi dell’art. 10.5.1, ma ciò non rileva per il lodo qui in esame.
L’art. 4.3 (Criteria for Granting a Therapeutic Use Exemption) degli International Standard For Therapeutic Use Exemption
(versione applicabile 2009) dispone “The therapeutic Use of the Prohibited Substance or Prohibited Method would produce no
additional enhancement of performance other than that which might be anticipated by a return to a state of normal health
following the treatment of a legitimate medical condition. The Use of any Prohibited Substance or Prohibited Method to increase
“low-normal” levels of any endogenous hormone is not considered an acceptable therapeutic intervention.” Il testo complete è
NOTE A SENTENZA
28
L'art R57 del codice TAS....
In sostanza, con il diniego della TUE, veniva acclarato che i medici, i quali avevano dato il
proprio placet professionale per schierare il giocatore nell’incontro Roma-Juventus, avevano di
fatto indotto l’atleta a commettere una violazione la normativa antidoping (di seguito anche
“responsabilità professionale”).
Essenzialmente per supposte negligenze relative al procedimento burocratico TUE, i medici
venivano deferiti ai sensi dell’art. 3.3 (Altre violazioni delle Norme Sportive Antidoping) delle
Norme Sportive Antidoping (“NSA”), il quale recita “Le seguenti voci costituiscono altre violazioni
delle Norme Sportive Antidoping…la mancata collaborazione di qualunque soggetto anche non
tesserato e/o di nazionalità straniera, per il rispetto delle Norme Sportive Antidoping. Tale
violazione prevede la sanzione della squalifica e/o inibizione da un minimo di una nota di biasimo
a un massimo di sei (6) mesi.”5
A seguito del deferimento, il Tribunale Nazionale Antidoping del CONI (“TNA”) sanzionava
i medici stante la loro mancata collaborazione “nell’iter previsto per la richiesta TUE, ovvero a
rendere completo l’iter procedimentale della stessa”.
Con il lodo in esame, a seguito dell’appello presentato dal Dott. Goitre e dal Dott. Stefanini
avverso la decisione del TNA, il TAS ha sancito la non correttezza della decisione emessa del
giudice sportivo italiano in quanto nessuna responsabilità “burocratica” poteva attribuirsi ai due
sanitari. Il Collegio riteneva altresì di non entrare nel merito dei rilievi mossi dal CONI in sede di
appello sulla cosiddetta responsabilità professionale. L’UPA-CONI aveva infatti argomentato come
l’assistenza prestata dai medici, la quale aveva causato la violazione antidoping da parte del
calciatore, ben potesse rientrare nell’alveo dell’art. 3.3. delle NSA come mancata collaborazione per
il rispetto della normativa antidoping.
Viceversa, il Collegio TAS ha ritenuto di non valutare tale aspetto poiché “la sentenza emessa
dal TNA, qui appellata, si limita ad affermare la responsabilità dei Ricorrenti basandosi sulla loro
condotta nel procedimento “burocratico”, relativo al TUE, e non su di una loro presunta imperizia
in ambito prettamente tecnico e visto che detta sentenza non si pronuncia sulle questioni
menzionate”.6
2. La natura del giudizio d’appello e l’art. R57 del Codice TAS.
5
6
disponibile
al
link
http://www.wada-ama.org/Documents/World_Anti-Doping_Program/WADP-ISTUE/WADA_Int.Standard_TUE_2009_EN.pdf
Il testo è disponibile al link http://www.coni.it/fileadmin/antidoping/ProgrammaMondialeAntidoping2010.pdf
Si veda paragrafo 9.26 del lodo qui esaminato.
NOTE A SENTENZA
29
L'art R57 del codice TAS....
L’elemento che desta maggiore interesse nel lodo in esame è legato al compito che un
Collegio TAS riveste nel giudizio arbitrale d’appello.
Nello stesso lodo qui esaminato si legge “Il compito del Collegio si determina, in via di
principio, in base all’articolo R57 del Codice TAS, il quale stabilisce che il Collegio ha pieni poteri
di riesaminare la controversia in fatto ed in diritto, Lo stesso articolo, inoltre, stabilisce che il
Collegio può emanare una nuova decisione che sostituisce quella impugnata oppure annullare
quest’ultima e rinviare la controversia all’autorità che ha emanato il provvedimento nel grado
precedente. Le parti hanno espressamente attribuito al Collegio, in udienza, il compito di decidere
la controversia in maniera definitiva.”7
Tale impostazione sul compito di un collegio arbitrale TAS ricalca in sostanza l’art. R57 del
Codice ed è richiamata nella costante giurisprudenza del TAS. Tuttavia, può notarsi che la reale
portata dello “scope of review” non riveste per tutti i collegi TAS un uniforme ed omogeneo spazio
di manovra. Se per alcuni “the scope of review of the CAS Panel as provided under Art. R57 of the
CAS Code is not limited”8 e “As repeatedly stated in CAS jurisprudence, this means that the CAS
appellate arbitration procedure entails a de novo review that it is not confined to deciding whether
the body that issued the appealed ruling was correct or not. Accordingly, it is the mission of this
Panel to make its independent determination as to whether the parties’ contentions are inherently
correct rather than to assess the correctness of the Appealed Decision”9, per altri “It is true that
pursuant to art. 57 of the CAS Code the Panel has the full power to review the facts and the law
and to issue a decision de novo. However, when a CAS Panel is acting following an appeal against
a decision of a federation, association or sports-related body, the power of such a Panel to rule is
also determined by the relevant statutory legal basis and, therefore, is limited with regard to the
appeal against and the review of the appealed decision, both form an objective and a subjective
point of view”.10
In sostanza, pare che il nodo gordiano investa l’interpretazione del legame tra il giudizio
d’appello e la sentenza di primo grado da cui tale appello ha origine. Secondo un’estensiva
interpretazione dell’art. R57, il Collegio – mediante il potere di riesaminare pienamente la questione
in fatto e in diritto – avrebbe titolo per verificare sia di vizi in senso specifico che inficiano la
sentenza di primo grado (i.e. “errores in judicando” e “errores in procedendo”), sia di vizi in senso
7
8
9
10
Si veda paragrafo 6 (Compito del Collegio) del lodo qui esaminato. A proposito del riferimento all’udienza, si noti che nel caso
in esame non si è tenuta alcuna udienza ma si è deliberato sulla sola base delle memorie scritte delle parti.
Si veda paragrafo 4.8 del Lodo CAS 2009/A/1926 International Tennis Federation v. Richard Gasquet CAS 2009/A/1930 WADA
v. ITF & Richard Gasquet.
Si veda paragrafo 77 del Lodo CAS 2009/A/1912 Claudia Pechstein v/International Skating Union CAS 2009/A/1913 Deutsche
Eisschnelllauf Gemeinschaft e.V. v/International Skating Union; nonché paragrafo 21 del Lodo CAS 2007/A/1394 Landis v.
USADA.
Si veda paragrafo 61 del Lodo CAS 2007/A/1426 Giuseppe Gibilisco v/ CONI;
NOTE A SENTENZA
30
L'art R57 del codice TAS....
lato, che attengono alla mera ingiustizia del provvedimento emesso in primo grado. Con l’appello si
avrebbe dunque un totale riesame della controversia e non soltanto un controllo dei vizi.
Secondo l’interpretazione più restrittiva l’appello dovrebbe in ogni caso considerarsi un
mezzo di gravame, ovvero un mezzo devolutivo in cui il Collegio, giudicando in appello, viene sì
investito del potere di riesaminare ciò che è già stato oggetto di esame da parte del giudice di prima
istanza, ma tale devoluzione è tuttavia potenziale e non automatica. In altre parole, il Collegio
dovrebbe limitarsi ad esaminare le questioni che le parti hanno presentato nel primo grado e
devoluto in appello.
Probabilmente il differente orientamento ha radici antiche e si fonda sulla diversa
impostazione circa la natura dell’appello. In linea generale, l’appello è un mezzo di impugnazione
con il quale si demanda a un giudice superiore di pronunciarsi su una controversia che sia stata
decisa in una sentenza o decisione precedente e di cui una delle parti si ritenga insoddisfatta. Nei
diversi campi del diritto tuttavia l’appello si connota di differenti peculiarità. Ad esempio, nel diritto
amministrativo italiano l’appello è definito un mezzo di impugnazione di tipo “rinnovatorio”
perché consiste nell’espressione di un nuovo giudizio sulla stessa questione. Si differenzia in tal
senso dai cosiddetto gravame “impugnatorio” – ad esempio in materia civile – che invece verte
sulla decisione di primo grado come atto e quindi come riesame critico della medesima.
Dalla distinzione tra innovatorio ed impugnatorio potrebbe nascere la diversa impostazione
dei Collegi circa la portata del giudizio d’appello TAS. Nel cercare di dare soluzione a tale
discrepanza interpretativa sul giudizio d’appello, probabilmente è la stessa giurisprudenza TAS a
fornirci le risposte.
Va ricordato che la Divisione d’Appello fu creata nel 1994 sulla scia del modello d’arbitrato
istituito dal CAS nel 1991 e poi fatto proprio da molte federazioni sportive. In poco tempo i casi di
natura disciplinare, particolarmente quelli riguardanti il doping, aumentarono tanto da rendere
necessaria una procedura ad hoc per i casi d’appello.11
La vasta casistica mostra come l’attitudine principale dei Collegi TAS è quella di emettere
una nuova decisione che sostituisca quella appellata, sostanzialmente dando seguito a quel potere di
riesaminare il caso senza essere vincolati alla decisione presa da un altro organo giurisdizionale.12
Assai meno frequente è il caso in cui il Collegio annulli la decisione appellata e rinvii la
questione al giudice di primo grado per un riesame della questione.
11
12
Negli ultimi anni i procedimenti d’appello sono diventati la stragrande maggioranza. Nel 2008 vi furono 276 casi d’appello e
solamente 26 sottoposti alla Ordinary Division. Fonte al link http://www.lalive.ch/data/publications/beh_gta_CAS_2010.pdf
Tale impostazione ha radici antiche. Si veda in particolare il paragrafo 59 della decisione USA Shooting / UIT, CAS 94 / 129.
NOTE A SENTENZA
31
L'art R57 del codice TAS....
Infatti, a parte una serie di rinvii legati alla carenza di giurisdizione del TAS per il mancato
esaurimento dei mezzi di impugnazione interni di cui all’art. R4713 e rari casi in cui il TAS ha
annullato la decisione di primo grado e rinviato la questione per permettere al giudice di prime cure
di giudicare su nuove questioni14, il rinvio della questione al giudice di primo grado non ha avuto
vasta applicazione. Può notarsi come la stragrande maggioranza dei Collegi abbia ritenuto, in forza
dell’art. R57, di poter esaminare la fattispecie in via del tutto autonoma e di poter giungere ad una
decisione, raramente optando per un rinvio al giudice di primo grado. In altre parole, dalla
prevalente giurisprudenza può desumersi come nei giudizi d’appello il TAS preferisca interpretare il
suo ruolo di “Supreme Court for World Sport” più come giudice di merito che come mero giudice
di legittimità.
Sulla base di quanto esposto in termini generali, resta da affrontare la questione
maggiormente interessante che lodo in esame pone in rilievo, ovvero valutare se un Collegio TAS –
in un caso disciplinare d’appello – possa o meno effettuare una valutazione della condotta del
soggetto incolpato totalmente de novo rispetto a quanto originariamente dedotto nella decisione
disciplinare di primo grado. Se la risposta a questo quesito fosse positiva, potrebbe argomentarsi
che il “full power to review the facts and the law” dovrebbe spingere il Collegio non solo ad
annullare una decisione errata, ma altresì a valutare se la condotta determini altri profili di
responsabilità che il giudice di prima istanza non aveva individuato.
Come sopra esposto, la vicenda disciplinare dei due medici è adesiva alla violazione della
normativa antidoping da parte del calciatore, il quale ha giocato un incontro di campionato
risultando positivo ad una sostanza per la quale non è mai stata accordata una TUE. Al di là delle
questioni afferenti il procedimento burocratico relativo alla TUE, resta il fatto che il diniego della
TUE – per contrarietà all’art. 4.3 degli International Standard For Therapeutic Use Exemption – ha
di fatto reso il giocatore un soggetto in violazione della normativa antidoping. Nella concatenazione
cronologica dei fatti non può ignorarsi che tale violazione deriva dalla condotta dei medici, i quali
diedero il loro via libera allo schieramento del giocatore nell’incontro senza tener conto dell’emivita
del farmaco da loro somministrato.
La domanda è: nel silenzio della decisione TNA sul punto e dopo le contestazioni in appello
presentate dall’UPA-CONI, la superficiale assistenza sanitaria dei medici al calciatore, qualificabile
come responsabilità professionale, avrebbe potuto essere valutata disciplinarmente dal Collegio
TAS ai sensi del medesimo art. 3.3 o, addirittura, di altre previsioni delle NSA?
13
14
L’art. R47 dispone che per proporre appello al TAS l’Appellante deve aver esaurito “the legal remedies available to him prior to
the appeal, in accordante with the statutes or regulations of the said sports-related body”. Si veda ad esempio il Lodo CAS
2007/A/1365 WADA v. FILA & Mohammed Ibrahim Abdelfattah.
Si veda CAS 2006/A/1192 Chelsea v/Mutu.
NOTE A SENTENZA
32
L'art R57 del codice TAS....
Nel cercare di dare una risposta a tale interrogativo, è opportuno valutare quale sia, allo stato
della giurisprudenza TAS, l’effettivo potere di riesame della condotta disciplinare in capo ad un
Collegio.
3. Il “de novo ruling” e la riqualificazione della condotta: il caso “Ribery”.
Come sopra esposto, appare evidente che l’applicazione in concreto dell’art. R57 possa dare
al cosiddetto “de novo ruling” una valenza ogni volta diversa, a seconda della sensibilità del
Collegio deliberante. Se da un lato è abbastanza incontestato che il Collegio possa riesaminare
totalmente la questione, ammettendo e valutando elementi istruttori ulteriori rispetto al primo
grado15, con relativa sanatoria di tutti i vizi procedurali afferenti il giudizio di prime cure 16,
dall’altro non è altrettanto pacifico che nei procedimenti disciplinari il Collegio possa riconsiderare
la condotta e qualificarla de novo, rispetto alla decisione di primo grado, nel framework della
normativa regolamentare applicabile.
In questo secondo sentiero interpretativo si è mosso il Collegio nel recente caso CAS 2010/A/
2114 FC Bayern München AG & Frank Ribéry v/ UEFA, qui di seguito brevemente riassunto.17
Il giocatore francese era stato squalificato dall’UEFA con 3 giornate di squalifica nel corso
della Champions League 2009/2010 per un fallo di gioco di particolare gravità. Nel motivare la
sanzione, la UEFA aveva applicato l’articolo 10, lettera d) delle UEFA Disciplinary Regulations
(“DR”) che prevede una squalifica di 3 giornate in caso di “…assaulting players or others present
at the match”. Il giocatore e la squadra avevano appellato al TAS la decisione UEFA invocando
l’applicazione dell’articolo 10 lett. a), il quale dispone 1 giornata di squalifica per “..rough play”.18
Il Collegio Arbitrale, seppur dichiarandosi d’accordo con la tesi difensiva del rough play, svolgeva
una valutazione della condotta che andava ben oltre quanto dedotto dalle parti. Infatti, gli arbitri
15
16
17
18
Si veda la risalente decisione CAS 98/184 P. v. FEI o la più recente CAS 2008/A/1545 Andrea Anderson, LaTasha Colander
Clark, Jearl Miles-Clark, Torri Edwards, Chryste Gaines, Monique Hennagan, Passion Richardson v/ IOC dove si legge al
paragrafo 78 “There is an established CAS jurisprudence based on Art. R57 of the CAS Code (“The Panel shall have full power
to review the facts and the law”), according to which the CAS appeal arbitration procedure cures any infringement of the right to
be heard or to be fairly treated committed by a sanctioning sports organization during its internal disciplinary proceedings.
Indeed, a CAS appeal arbitration procedure allows a full de novo hearing of a case with all due process guarantees, granting the
parties every opportunity not only to submit written briefs and any kind of evidence, but also to be extensively heard and to
examine and cross-examine witnesses or experts during a hearing”.
Sul punto si veda Richard H. McLaren, CAS Doping jurisprudence: What can we learn?, in Sweet & Maxwell’s International
Sports Law Review, Febbraio 2006, 11.
Lodo in tedesco disponibile al link http://www.tas-cas.org/d2wfiles/document/4357/5048/0/Schiedsspruch2114_FINALE_.pdf
La versione completa delle UEFA Disciplinary Regulations è disponibile al link http://en.uefa.com/MultimediaFiles/Download/
Regulations/uefa/Others/72/95/88/729588_DOWNLOAD.pdf
NOTE A SENTENZA
33
L'art R57 del codice TAS....
qualificavano autonomamente l’intervento del giocatore di particolare rudezza e notavano che in tal
caso l’UEFA – ai sensi dell’art. 17 comma 2 delle DR19 – ben avrebbe potuto aumentare la sanzione
a sua discrezione.
Si noti che il Collegio riteneva di spingersi ancora più avanti. Infatti, il Collegio puntualizzava
che la squalifica per 3 giornate era altresì conforme al dettato dell’art. 18 delle DR, il quale
considera la recidività come un fattore capace di inasprire la sanzione sino a 5 giornate20. Il Collegio
ha quindi valutato come pertinente un trascorso disciplinare di Ribery risalente addirittura al 2005 21,
considerandolo “previous offence of a similar nature” e di fatto ammettendo l’applicazione dell’art.
18 delle DR. Con tale riferimento alla recidiva di cui all’art. 18 delle DR, la querelle “rough play”
vs. “assault” è divenuta per il Collegio sostanzialmente irrilevante.
Ciò che qui interessa sottolineare è l’attitudine del Collegio TAS nei confronti della decisione
appellata emessa dall’organo disciplinare UEFA. Infatti, sebbene tale decisione non trattasse degli
art. 17 e 18 delle DR, il Collegio ha ritenuto che la UEFA ben avrebbe potuto effettuare il
ragionamento giuridico da loro esposto, di fatto ben potendo comminare una sanzione di 3 giornate
per quel tipo di condotta di gioco.
Tale lodo mostra indubbiamente un approccio del Collegio TAS quanto mai “trascendente” e
una visione del giudizio d’appello assolutamente rinnovatoria. Infatti, il comportamento del
giocatore, erroneamente valutato dal giudice di primo grado, è stato sottoposto ad uno nuovo
screening da parte degli arbitri TAS e tale disamina “de novo” ha perfino associato tale condotta a
norme disciplinari nemmeno invocate dalle parti. Tale nuova impostazione dello “scope of appeal”
non può che suffragare coloro i quali considerino l’appello innanzi al TAS come un giudizio
devolutivo pieno.
Ovviamente, non può negarsi che la riqualificazione della condotta in sede di appello si
muova su un filo particolarmente sottile.
Infatti, sebbene insista sul medesimo comportamento oggetto di analisi nel primo grado,
qualora sollecitata dal ricorrente la riqualificazione potrebbe essere intesa come facente parte del
vasto genus delle “counterclaims” e quindi in violazione dell’art. R55 del Codice TAS22. Peraltro,
19
20
21
22
L’art. 17 DR dispone “The disciplinary measures enumerated in Articles 10 and 11bis of the present regulations are standard
sanctions. In particular circumstances, they can be either scaled down or increased.”
L’art. 18 DR recita “1. Recidivism occurs if disciplinary measures have to be imposed within five years of a previous offence of
a similar nature. 2. Recidivism counts as an aggravating circumstance.”
L’episodio fa riferimento ad un’espulsione del 23 agosto 2005 nell’incontro Olympique Marseilles - Deportivo la Coruna
durante la UEFA Intertoto Cup Final.
Così come modificato dal 1 gennaio 2010.
NOTE A SENTENZA
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L'art R57 del codice TAS....
uno spazio di “review” troppo ampio a favore degli arbitri potrebbe addirittura causare l’alterazione
del petitum o della causa petendi, determinando una violazione del principio ne eat iudex extra
petita partium.
Ad ogni buon conto, con le dovute cautele di cui sopra, ben può sostenersi come nel caso dei
medici l’orientamento “Ribery” avrebbe potuto portare il Collegio a pronunciarsi anche sulla
responsabilità professionale e sulla sua eventuale rilevanza ai fini disciplinari, inserendo tale profilo
di responsabilità nel contesto normativo dell’art. 3.3 o di addirittura altre previsioni delle NSA.
4. Conclusioni.
Può osservasi come la presente decisione rappresenti un orientamento tradizionalista rispetto
alle potenzialità che l’art. R57 dà ad un Collegio TAS.
Nella sua indubbia facoltà di annullare una decisione errata, il Collegio ha optato per non
valutare completamente “de novo” la condotta dei medici, limitandosi esclusivamente a confutare i
profili di responsabilità che erano stati posti alla base della decisione appellata.
Se il suddetto approccio trascendente del caso Ribery – peraltro afferente questioni “di gioco”
in cui il TAS è solitamente recalcitrante ad entrare – è sicuramente avanguardista e meritevole di
ulteriori approfondimenti, nel caso in esame il Collegio avrebbe comunque potuto intraprendere la
via intermedia prevista dall’art. R57, rinviando al TNA la questione sul merito della responsabilità
professionale.
Limitandosi a statuire sull’erroneità della decisione appellata e non riesaminando a 360° la
condotta dei medici nel merito, il Collegio ha di fatto svolto un compito diligente ma non certo proactive come in passato. Ad esempio, nel precedente CAS 2007/A/1426 Giuseppe Gibilisco v/
CONI, il Collegio aveva riscontrato che la condotta dell’atleta era suscettibile di sanzione, ma ai
sensi di una norma diversa rispetto a quella per la quale era stato squalificato. In quell’occasione il
Collegio, seppur non applicando il rinvio indietro di cui all’art. R57, aveva però chiaramente
statuito come l’autorità sportiva italiana ben potesse valutare se procedere contro l’atleta ai sensi
della norma sanzionatoria effettivamente applicabile.23
Nel presente caso, con il sostanziale silenzio sulla responsabilità professionale, il Collegio
non dà indicazioni di sorta, limitando il thema decidendum alle sole motivazioni della decisione
appellata e non fornendo indicazioni.
23
Si veda paragrafo 62 del Lodo CAS 2007/A/1426 Giuseppe Gibilisco v/ CONI il quale recita “…It will be for the competent
Italian authorities to decide whether to open or not disciplinary proceedings against Gibilisco for a possible violation of doping
rules by the Athlete in connection with the use of the assistance of the Doctor.”
NOTE A SENTENZA
35
L'art R57 del codice TAS....
Ovviamente, come nel caso Gibilisco, potrebbe ipotizzarsi un nuovo procedimento
disciplinare per la responsabilità professionale dei medici. Tuttavia, qualora dovesse applicarsi a
tale responsabilità professionale sempre l’art. 3.3 delle NSA, la difesa dei medici potrebbe
probabilmente invocare la violazione del ne bis in idem.
In conclusione, è indubbio che con questa pronuncia il TAS abbia avvalorato l’impostazione
classicistica alla spinosa questione del “de novo ruling”. Ovviamente, se tale prospettiva dovesse
radicarsi in seno al TAS, anche in connessione con il recente divieto di porre counterclaim in
appello, potrebbe rischiarsi una deriva reazionaria del “power to review” di cui all’art. R57.
In materie quali il doping in cui, nonostante l’uniformità del Codice WADA, a volte le
decisioni dei vari organi giudicanti nazionali seguono differenti sentieri interpretativi, tale visione
potrebbe pregiudicare in futuro quella armonizzazione di giudicati di cui il TAS, come tribunale
mondiale di ultima istanza in materia di doping, dovrebbe farsi portatore.
Di fatto, nel non valutare de novo la condotta dei medici, questa decisione del TAS lascia uno
spazio bianco che probabilmente non potrà più “colorarsi” giuridicamente per il suddetto principio
del ne bis in idem.
Per evitare tali evenienze in futuro, è auspicabile che l’approccio trascendente del giudizio
d’appello “Ribery” possa essere sviluppato e adottato maggiormente dal CAS, magari attraverso
una maggiore applicazione del rinvio indietro. In tal modo potrà darsi pieno vigore ai poteri
attribuiti dall’art. R57.
Diversamente, non potendosi più confidare nel giudizio d’appello TAS come una sorta di
nuovo ed autonomo grado di giudizio, maggior peso assumeranno le decisioni dagli organi
giudicanti nazionali. Se così fosse, è indubbio che i vari soggetti del procedimento disciplinare
dovranno porre ab origine la massima attenzione nella propria condotta processuale, non più
confidando in un giudizio d’appello TAS che sani i vizi processuali e permetta facilmente alle parti
di “lavarsi di dosso i propri peccati”.
(*) Avvocato, associato dello Studio Coccia – De Angelis & Associati, procuratore Antidoping
del CONI.
NOTE A SENTENZA
36
Svincoli perigliosi…
TRIBUNALE di SALUZZO
R.G. n. 150/2010
IL GIUDICE
Sentite le parti comparse all’udienza del 9.6.2010;
letti gli atti di causa;
visto l’art. 700 c.p.c.;
sciogliendo la riserva,
così decide in ordine al ricorso d’urgenza n. 150/2010 R.G., depositato in data 24.5.2010 da:
M.L., rappresentato e difeso dall’Avv. P.M.;
CONTRO
U.S.D. S., rappresentata e difesa dall’Avv. I.S.D.M.
OSSERVA
Preliminarmente deve essere rigettata l’eccezione di difetto di giurisdizione eccepito da parte
resistente.
Nel caso concreto, infatti, non può parlarsi di giurisdizione, ma occorre avere riguardo
all’esistenza di clausole compromissorie, quale quella presente sul modulo di tesseramento
sottoscritto dai genitori del ricorrente, le quali, come statuito dalla Cassazione, concretizzano un
arbitrato ..................., che trova il proprio fondamento in un atto di investitura privata rispetto al
quale non è possibile parlare di giurisdizione e competenza in senso tecnico, essendo demandata
agli arbitri un’attività negoziale e non una funzione giurisdizionale (Cass. Sez. U, Ordinanza n.
6423/08).
Dispone infatti l’art. 3 della L. n. 280/03 di conversione del D.L. 220/03, che: “Esauriti i gradi
della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti
patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del
Comitato Olimpico Nazionale Italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di
giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’articolo 2, è devoluta alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo.
37
NOTE A SENTENZA
Svincoli perigliosi…
In ogni caso e fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie
previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato Olimpico Nazionale Italiano e delle
Federazioni sportive di cui all’articolo 2, comma 2, nonchè quelle inserite nei contratti di cui
all’articolo 4 della legge 23 marzo 1981 n. 91”.
Sempre la Corte di Cassazione ha affermato tale carattere nella sentenza n. 1819/05, nella
quale si legge che: “L’art. 24 dello Statuto della Federazione Italiana Giuoco Calcio (associazione
con personalità giuridica di diritto privato) – il quale prevede l’impegno di tutti coloro che operano
all’interno della Federazione ad accettare la piena e definitiva efficacia di tutti i provvedimenti
generali e di tutte le decisioni particolari adottati dalla stessa F.I.G.C., dai suoi organi e soggetti
delegati, nelle materie comunque attinenti all’attività sportiva e nelle relative vertenze di carattere
tecnico, disciplinare ed economico, impegno dal quale è desumibile un divieto, salva specifica
approvazione, di devolvere le relative controversie all’autorità giudiziaria statuale – integra una
clausola compromissoria per arbitrato irrituale, fondata, come tale, sul consenso delle parti, le quali
aderendo in piena autonomia agli stauti federali, accettano anche la soggezione agli organi interni di
giustizia.
Siffatto vincolo, cui l’affiliazione delle società e degli sportivi alle diverse federazioni
comporta volontaria adesione, ripete, altresì, la propria legittimità da una fonte legislativa per
effetto delle disposizioni del decreto legge n. 220 del 2003, converito, con modificazioni, nella
legge n. 280 del 2003, che, all’art. 2 comma secondo, prevede l’onere di adire gli organi della
giustizia sportiva nelle materie di esclusiva competenza dell’ordinamento sportivo, che sono, a
mente del comma primo dello stesso art. 2, quelle aventi ad oggetto l’osservanza e l’applicazione
delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle
sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive ed agonistiche,
nonchè i comportamenti rilevanti sul piano disicplinare e l’irrogazione delle relative sanzioni;
mentre subordina, come è desumibile dalla formulazione dell’art. 3, comma primo, al previo
esaurimento dei gradi della giustizia sportiva anche il ricorso a quella statuale nelle materie ad essa
riservate”.
Il fondamento della legittimazione degli organi sportivi e della devoluzione loro riconosciuta
in determinate materie, si fonda dunque sulla autonomia delle parti e sull’accettazione della clausola
compromissoria; nel caso di specie, si ritiene tuttavia che tale clausola non possa essere vincolante
per il giocatore.
38
NOTE A SENTENZA
Svincoli perigliosi…
Il modulo di tesseramento del ricorrente nel quale è contenuta la clausola compromissoria con
il richiamo dell’art. 27 dello Statuto della FIGC (oggi divenuto art. 30), sottoscritto in data
25.8.2005 quando lo stesso aveva 15 anni dai genitori esercenti la potestà sullo stesso, si ritiene
infatti non possa impegnare il giocatore oltre il 18° anno di età; sebbene anche il minorenne abbia
sottoscritto il modulo, la presunzione di incapacità che sorregge il nostro ordinamento giuridico per
i soggetti minori di 16 anni, non consente di considerare il calciatore vincolato alla clausola
suddetta, potendosi configurare al più come una presa d’atto, con la conseguenza che
legittimamente il ricorrente ha adito l’autorità giudiziaria ordinaria.
Nel merito il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni di seguito indicate.
La richiesta di una tutela cautelare d’urgenza postula la valutazione dei requisiti del fumus
boni iuris e del periculum in mora, tenendo conto delle situazioni giuridiche sostanziali coinvolte.
Nel caso che ci occupa con riferimento al fumus, deve evidenziarsi che il vincolo di
tesseramento a favore della S...., risulta eccessivamente oneroso per il giocatore, laddove di fatto lo
stesso limita la libertà di prestare l’attività in favore di altre squadre per 10 anni.
Non sono condivisibili i rilievi di parte resistente laddove afferma che il giocatore non è
limitato e che egli potrebbe giocare per altre squadre in orari ed occasioni diverse da quelli nei quali
gioca per la S..., atteso che la possibilità di giocare per una squadra è subordinata al tesseramento
presso la società stessa e che non si può essere tesserati contemporaneamente per più squadre.
Si deve ritenere che la volontà espressa dal calciatore di non voler prestare la propria attività
per la S...., e la contemporanea volontà espressa dalla società sportiva di considerare il giocatore
inadempiente, possano giustificare la risoluzione del vincolo contrattuale per mutuo consenso,
provato peraltro dalla richiesta di restituzione del materiale sportivo dato al giocatore; la stessa
società sportiva infatti afferma nel proprio atto che è il giocatore a non aver adempiuto la sua
prestazione consistente nell’allenarsi e giocare le partite di calcio, con ciò rendendensi
inottemperante agli impegni assunti.
Nè si ritiene sussistente un interesse da parte della S.... di ritenere il giocatore, peraltro
definito “di scarso rendimento”, il quale ha manifestato la volontà di non giocare per la squadra
stessa; deve infatti evidenziarsi che l’art. 6 co. I° L. 91/1981 prevede solo con riguardo agli sportivi
professionisti, una volta cessato un rapporto contrattuale, la possibilità per le federazioni sportive
nazionali, di stabilire il versamento, da parte della società firmataria del nuovo contratto alla società
sportiva titolare del precedente contratto, di una indennità di preparazione e di promozione
dell’atleta professionista, da determinare secondo coefficienti e parametri fissati dalla stessa
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NOTE A SENTENZA
Svincoli perigliosi…
federazione in relazione alla natura ed alle esigenze dei singoli sport, possibilità che non è prevista
per gli sportivi dilettanti, così che il richiamo ad una “donazione” da parte del giocatore della
propria prestazione a favore di un’altra squadra, è inconferente, laddove non vengono in mente
aspetti patrimoniali.
L’art. 2 della Costituzione, afferma la libertà di conseguire lo sviluppo della propria
personalità all’interno delle formazioni sociali, fra le quali devono ritenersi comprese le società
sportive, riconosciute come associazioni; si deve ritenere al limite della costituzionalità e della
legittimità la volontà di ritenere il cartellino di un giocatore che la parte considera non
professionista e non legato ad alcun contratto corrispettivo, contro la volontà dello stesso,
impedendogli di fatto di giocare per qualcun altro.
A ciò si aggiunga che, come già evidenziato, il vincolo di tesseramento è stato sottoscritto dai
genitori del ricorrente quando lo stesso aveva 15 anni e che la loro volontà non avrebbe potuto
vincolare il figlio per 10 anni, per un tempo così superiore alla maggiore età, a fronte di una
manifesta volontà contraria del ricorrente divenuto maggiorenne.
Con riguardo al periculum in mora deve evidenziarsi l’urgenza per il giocatore di potersi
tesserare con un’altra squadra in vista delle preparazioni atletiche, che come noto hanno inizio nel
periodo estivo ormai prossimo, e delle scadenze che le norme della FIGC impongono per i
tesseramenti; si deve poi evidenziare che la documentazione prodotta dal ricorrente
sull’interessamento della S...C... (doc. 10), subordinata al suo svincolo dalla S..., giustifica
l’urgenza dello svincolo stesso, potendo nel frattempo la società sportiva interessarsi ad altri
giocatori e potendo perdere il giocatore la possibilità di giocare nel prossimo campionato.
L’accoglimento del ricorso comporta la condanna alle spese di lite a carico del resistente,
liquidate come in dispositivo, per il principio di soccombenza.
P.Q.M.
Ordina alla U.S.D. S. ... C. .... il rilascio entro cinque giorni dalla comunicazione del presente
provvedimento del nulla osta al tesseramento e/o trasferimento ad altra società sportiva affiliata alla
Federazione Italiana Giuoco Calcio e di gradimento del ricorrente M .... L. ... mediante
sottoscrizione dell’apposista lista di trasferimento e con l’adempimento degli incombenti necesssari
a consentire il tesseramento e/o trasferimento ad altra società calcistica;
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NOTE A SENTENZA
Svincoli perigliosi…
Condanna U.S.D. S. ..... C. ...... a rifondere a M. ..... L. .... le spese di lite del presente giudizio
cautelare, che liquida in € 1.500,00 di cui € 700,00 per diritti ed € 800,00 per onorari, oltre rimborso
forfettario spese generali, IVA e CPA se dovute nella misura di legge.
Manda alla Cancelleria per le comunicazioni alle parti anche a mezzo fax.
Saluzzo, lì 11.6.2010
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NOTE A SENTENZA
Svincoli perigliosi…
TRIBUNALE di GORIZIA
ORDINANZA
Il Giudice
a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 26.8.2010 nel procedimento d’urgenza ex
art. 700 c.p.c. n. 1230/10 R.G.,
letti gli atti di causa ed esaminata la documentazione prodotta,
PREMESSO, in linea di principio, CHE:
- le federazioni sportive nazionali svolgono l’attività sportiva in armonia con le deliberazioni
e gli indirizzi del Coni, anche in considerazione della valenza pubblicistica di specifici aspetti di
tale attività; hanno natura di associazioni con personalità giuridica di diritto privato; non
perseguono fini di lucro e sono regolate, per quanto non espressamente previsto dalla disciplina
specialistica, dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo; ad esse partecipano
società ed associazioni sportive di diritto privato;
- nell’ordinamento sportivo, con il tesseramento e l’affiliazione gli atleti e le società diventano
titolari di diritti nei confronti di tutti i soggetti di detto ordinamento e vengono a sottoporsi
consapevolmente all’ossservanza dello statuto e del regolamento delle rispettive federazioni,
accettando anche che, in caso di violazioni di tali previsioni, tutti gli atti ed i comportamenti
strettamente riguardanti l’esercizio dell’attività agonistica vengono accertati e giudicati dagli organi
della giustizia sportiva;
- in tema di rapporti fra società sportive e tesserati con le relative federazioni, deve ritenersi
valida la clausola di durata del “vincolo sportivo” inserita nello statuto e/o nel regolamento federale
che stabilisce un “rapporto di esclusiva” a favore del soggetto associato al quale è legato l’atleta
tesserato; nè, rileva, per la validità di tale clausola, la eventuale mancanza di specifica approvazione
per iscritto, ex art. 1341 c.c., in quanto l’efficacia del “vincolo di durata” non discende
dall’attuazione di “condizioni generali” di contratto predisposte da una delle parti, ma dall’adesione
di entrambi i contraenti all’organizzazione sportiva e alla consequenziale applicazione dei vincoli
che ne nascono;
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NOTE A SENTENZA
Svincoli perigliosi…
- al rapporto tra la federazione sportiva ed i suoi iscritti non è applicabile neppure la disciplina
di cui agli artt. 1469 bis e segg. c.c., venendo in rilievo un tipico rapporto associativo volto al
perseguimento di uno scopo comune; inoltre, l’atleta tesserato non potrebbe certo qualificarsi come
“consumatore”, così come la federazione non potrebbe assimilarsi ad un “professionista”;
- l’ormai indiscusso stato giuridico di associazioni/persone giuridiche di diritto privato
assunto dalle federazioni sportive rende insindacabile l’autoregolamentazione datasi da queste
ultime, autonormazione comunque soggettta ai principi di ordine pubblico che fungono da limite di
qualunque attività negoziale privata;
- nella previsione della durata del “vincolo sportivo” a seconda dell’età dell’atleta manca un
qualunque intento vessatorio e discriminatorio, essendo finalizzato detto vincolo degli atleti
tesserati alla società/associazione di appartenenza alla protezione dei vivai giovanili ed alla
formazione negli anni di squadre o gruppi davvero competitive/i a livello nazionale ed
internazionale;
- se è vero che l’attività delle federazioni sportive è svolta in armonia con le deliberazioni e
gli indirizzi del Coni, tuttavia la disciplina relativa al tesseramento degli atleti non pare coinvolgere
direttamente deliberazioni e indirizzi fissati specificatamente dal Coni ed esaurisce la sua funzione
all’interno della sfera di ciascuna federazione, conformemente alla legislazione civilistica in tema di
associazioni private;
- peraltro, il controllo esercitato sulle federazioni sportive dal Coni non sembra contemplare
espressamente il tesseramento degli atleti, perchè consiste innanzitutto nella verifica della regolarità
della gestione delle federazioni, perchè si riferisce all’approvazione dei bilanci e prevede
l’erogazione di contributi finanziari;
RITENUTO pertanto CHE, alla luce delle considerazioni di cui sopra, la situazione
denunciata dalle odierni ricorrenti si configura come diritto soggettivo rispetto al quale ricorre
senz’altro la giurisdizione dell’adito Giudice Onorario;
ATTESO CHE le giovani atlete ricorrenti, nel momento in cui (pare nell’estate del 2008,
quando all’età di 12-13 anni hanno sottoscritto con i rispettivi genitori i c.d. moduli di
tesseramento) hanno chiesto ed ottenuto la tessera della FIPAV (v. Federazioni Italiana Pallavolo)
alla quale è affiliata anche l’associazione sportiva dilettantistica odierna resistente di cui le stesse
fanno parte, potevano e dovevano essere a conoscenza (v. onere di diligenza nell’informarsi) del
fatto che il vincolo con la citata associazione affiliata sarebbe diventato di dieci anni (ossia fino al
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NOTE A SENTENZA
Svincoli perigliosi…
24° anno di età) al compimento del 14° anno di età, in forza del richiamato Statuto FIPAV (v. art. 10
ter) e del richiamato Regolamento di Affiliazione e Tesseramento (v. R.A.T. art. 32);
RILEVATO, infine, CHE i moduli di “primo tesseramento” prodotti dalle ricorrenti
contengono tutti nell’intestazione la seguente frase: “I sottoscritti, firmando il presente modulo,
dichiarano la propria cittadinanza italiana e di conoscere ed accettare la normativa vigente sul
vincolo degli atleti”, che costituisce un evidente riferimento alla disciplina appena citata;
PRESO ATTO CHE il “vincolo sportivo” in discussione può venire meno solo per le ragioni
elencate al 5° comma dell’art. 10 ter dello Statuto FIPAV ed al 2° comma dell’art. 34 del R.A.T. che
sono –in sintesi- : l’estinzione o la cessazione dell’attività dell’associato (v. società odierna
resistente); la mancata adesione dell’atleta all’assorbimento o alla fusione dell’associato; il
consenso dell’associato; il mancato rinnovo del tesseramento dell’atleta da parte dell’associato; la
mancata partecipazione dell’associato all’attività federale di settore e per fascia di età con
pregiudizio a carico dell’atleta; il riscatto dell’atleta partecipante al campionato nazionale di serie
A/1 e A/2 femminile; la giusta causa; la cessione del diritto sportivo o la rinuncia all’iscrizione ad
un campionato da parte dell’associato; il ritiro dal campionato dell’associato entro il girone di
andata;
OSSERVATO CHE, nel caso delle ricorrenti, non ricorre nessuna delle ipotesi previste e, in
particolare, il consenso negato dalla resistente non è in alcun modo sindacabile, come nulla si può
rilevare in ordine all’indisponibilità delle giovani atlete ad avvalersi della possibilità di “riscatto”
offerta loro dall’associazione sportiva di appartenenza;
RILEVATO CHE il comportamento della parte resistente appare corretto in quanto conforme
alle previsioni dello statuto FIPAV e del R.A.T. a cui hanno aderito le medesime ricorrenti;
RITENUTO CHE tali disposizioni di cui si è avvalsa la resistente risultano immuni da vizi di
legittimità anche di rilievo costituzionale, perchè sono volte semplicemente a favorire un rapporto
continuativo – e quindi esclusivo – fondato sulla fedeltà reciproca negli anni tra il singolo atleta
dilettante e l’associazione privata che investe sulle sue capacità sportive adoperandosi per
accrescerne le qualità, dal momento che – com’è noto – soprattutto a livello dilettantistico i migliori
risultati di squadra ed individuali in ambito sportivo si ottengono solo a distanza di diverso tempo
quando l’attività preparatoria (intesa in senso lato), gli allenamenti e le competizioni hanno fatto sì
che l’atleta si sia perfettamente integrato nel gruppo che è riuscito negli anni a valorizzare e a
migliorare le potenzialità dei singoli;
44
NOTE A SENTENZA
Svincoli perigliosi…
REPUTATO CHE non può, dunque, trovare spazio in questa sede l’invocata libertà delle
ricorrenti di cambiare società di pallavolo per il semplice desiderio sopravvenuto di passare ad
un’altra compagine sportiva;
ATTESO CHE il difetto del presupposto del fumus boni iuris ha portata assorbente e rende di
per sè superflua ogni valutazione in punto periculum in mora;
tutto ciò premesso, e considerato,
visto l’art. 669 septies c.p.c.,
RIGETTA integralmente il ricorso proposto in quanto infondato;
CONDANNA la parte ricorrente a rifondere alla controparte le spese di lite che liquida nella
misura di € 1.700#, di cui € 800# di diritti, € 800# di onorari, € 100# di esborsi, oltre oneri accessori
dovuti come per legge.
Si comunichi.
Gorizia, 27.8.2010
45
NOTE A SENTENZA
Svincoli perigliosi…
SVINCOLI PERIGLIOSI
BREVE COMMENTO ALL’ ORDINANZA DEL TRIBUNALE DI SALUZZO DEL 12 GIUGNO
2010 ED ALL’ORDINANZA DEL TRIBUNALE DI GORIZIA DEL 27 AGOSTO 2010.
di Domenico Zinnari (*)
Plurimi appaiono gli spunti di riflessioni ricavabili dalle Ordinanza rese in sede cautelare dal
dal Tribunale di Saluzzo e dal Tribunale di Padova seppur contraddistinte da esiti e motivazioni
difformi.
A fronte della lungamente auspicata rivisitazione dell’istituto del vincolo sportivo ed ai
concreti interventi nell’ambito degli ordinamenti delle singole federazioni tesi ad limitare la durata
dello stesso, il tema della disciplina dei rapporti tra atleti non professionisti ed associazioni/società
sportive continua a presentare numerosi profili di criticità.
Emblematica a riguardo l’interrogazione scritta alla Commissione Europea formulata da un
corposo gruppo di parlamentari in data 23 novembre 2009 afferente la pretesa illegittimità delle
normative endoassociative della Federazione Italiana Giuoco Calcio per contrasto con le norme
comunitarie in tema di libera circolazione e concorrenza.1
Al di là però dei potenziali risvolti anche comunitari della questione, le vicenda sottese, come
desumibili dai testi dei provvedimenti, paiono porsi quale archetipi caratterizzanti l’ intero universo
non professionistico.2
1
2
All’interrogazione ha fatto seguito la risposta della Commissione Europea secondo cui: “Lo sport rientra nel campo
d'applicazione del diritto dell'Unione ai sensi dell'articolo 165 TFUE e delle altre disposizioni attinenti segnatamente alle libertà
di circolazione nel mercato interno e alle regole europee in materia di concorrenza. In conformità con una giurisprudenza
costante della Corte, i regolamenti adottati dalle federazioni sportive devono rispettare le libertà fondamentali previste dal trattato
e, in particolare, il principio della libera circolazione sancito dagli articoli 21, 45 e 56 del TFUE (ex articoli 18, 39 e 49 del
trattato CE). La compatibilità con il diritto dell'Unione delle NOIF della FIGC, alle quali fanno riferimento gli onorevoli
parlamentari, deve essere analizzata tenendo conto degli eventuali ostacoli che le NOIF possono determinare impedendo la libera
circolazione dei cittadini e dei lavoratori all'interno dell'UE. La Commissione vuole continuare a svolgere tale analisi anche con
riferimento ad una denuncia recentemente presentata ai suoi servizi su tale soggetto. La Commissione ricorda parimenti che la
decisione della Corte di giustizia, in relazione alla richiesta di pronuncia pregiudiziale presentata dalla Corte di Cassazione
francese in data 17 luglio 2008 (causa C 325/08), potrà fornire elementi utili ai fini dello svolgimento dell'analisi suindicata”.
Lo sviluppo di un rilevante contenzioso in materia è testimoniato anche dalla recente Ordinanza del Tribunale di Venezia, Sez.
Lav., del 13 agosto 2009 in GiustiziaSportiva.it - Rivista Internet di diritto dello sport, anno2009, n.3 con Nota di A. Scarcello e
A. Tommasi, Il tramonto del vincolo sportivo. Nota alla decisione del Tribunale di Venezia, Giudice del Lavoro, 13 agosto 2009.
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NOTE A SENTENZA
Svincoli perigliosi…
In termini estremamente sintetici le vicende attengono alla fase “patologica” del rapporto
sportivo/società; connotato caratterizzante, infatti, ambedue le fattispecie è l’evidente conflittualità
insorta tra le parti in conseguenza della inequivoca manifestazione di volontà degli atleti, pur in
costanza di vincolo, di
svolgere attività sportiva presso altro sodalizio affiliato in difetto di
“accordo” con la società di appartenenza, o comunque al di fuori delle ipotesi di svincolo
“tipizzate” dai singoli ordinamenti federali.
Così succintamente sunteggiate le fattispecie,
evidente come le stesse evochino
problematiche riguardanti la sussistenza di situazione soggettive tutelabili in capo agli atleti non
professionisti ed in particolare a quelli minorenni,
attesa l’inferenza delle normative in tema di
vincolo con libertà nell’esercizio dell’attività sportiva in tutte le sue potenziali declinazioni.
La centralità del tema sopra evidenziato si appalesa muovendo dalla disamina, per quanto qui
rileva, dell’intervento legislativo rappresentato dalla L. 23 marzo 1981 n. 91.
A monte è da premettersi che la tematica della qualificazione dell’istituto del vincolo sportivo
ha storicamente rappresentato profilo complementare nell’ambito del dibattito dottrinario relativo
all’inquadramento giuridico del rapporto tra atleti e società/associazioni sportive.
Solo nell’ultimo trentennio il dibattito pare utilmente orientato a definire con nettezza i
contorni dell’istituto, sì da innescare in concreto un processo ancora in fieri che, preso atto dei
profili di illegittimità dello stesso, ha avuto come conseguenza una complessiva, seppur parziale,
rivisitazione delle discipline positivamente previste in ambito federale.3
Il termine temporale su menzionato coincide sostanzialmente con l’entrata in vigore della
L.23 Marzo 1981 n.91 che, intervenendo sulla vexata questio qualificazione in termini lavoristici
del rapporto tra atleti professionisti e società sportive, ha previsto esplicitamente come il rapporto
de quo si costituisca a mezzo di un contratto di lavoro di natura subordinata (salve le tassative
ipotesi previste ex. art.3 in cui è ammessa la stipula di un contratto d’opera) attraendone in tal modo
la disciplina nell’alveo del diritto del lavoro.
3
In tale Occasione il Giudicante - ritenendo, quanto al fumus bonis iuris, provati i fatti posto a fondamento della domanda e
l’inadempimento (contrattuale) della società sportiva convenuta, e accertando, altresì, la sussistenza del periculum in mora
derivante dal rischio di perdere la possibilità di disputare il campionato con un’altra squadra nelle more del giudizio ordinario ordinava “all’Associazione Calcio San Donà 1922 Srl il rilascio del nulla osta al tesseramento e/o trasferimento ad altra società
sportiva affiliata alla Federazione Italiana Giuoco Calcio e di gradimento dell’istante Giuseppe Lorecchio mediante
sottoscrizione dell’apposita lista di trasferimento e con l’adempimento degli ulteriori incombenti necessari a consentire il
tesseramento e/o trasferimento ad altra società associazione calcistica”.
Sul punto da notarsi la Delibera del Consiglio Nazionale del Coni adottata il 24 marzo 2004 in tema di “Principi fondamentali
degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali ,delle Discipline Sportive Associate e delle Associazioni Benemerite” circa la
limitazione della durata del vincolo sportivo oggetto di necessario e progressivo recepimento negli Statuti delle singole
Federazioni.
47
NOTE A SENTENZA
Svincoli perigliosi…
L’intervento in materia, ispirato nelle sue linee guida alla tutela della libertà contrattuale
dell’atleta professionista, ha comportato l’abolizione in forma graduale del vincolo sportivo ai sensi
dell’art.16 della L.91/81, nella sostanza, offrendo una pragmatica soluzione nel precipuo campo
applicativo (così come individuato dall’art.2 della L.91/81), operandosi una riduzione su scala
temporale dello stesso alla durata del contratto di lavoro.4
Tale parzialità è giustificata dall’assunzione del vincolo nella sua espressione effettuale di
limitazione della libertà negoziale degli atleti piuttosto che nella sua reale natura giuridica di
limitazione della libera esplicazione dell’attività sportiva, solo di riflesso contrattuale.5
A conferma della viziata ottica visuale assunta dal legislatore all’abolizione del vincolo
sportivo ex art. 16 L. n. 91 individuato sul piano delle conseguenze che il regime vincolisticoassociativo determinava nei rapporti contrattuali tra società e sportivi, si pone simmetricamente e
con analoga ratio, la norma che vieta la stipula di patti di non concorrenza per il periodo successivo
alla risoluzione del contratto.
Specificatamente in tal senso l’art. 4 comma 6 previene la possibilità di reintroduzione in sede
di accordi collettivi o contratti individuali, in via surrettizia, di regimi legittimanti limitazioni della
libertà contrattuale degli sportivi, ponendosi, dunque,
quale corollario logico applicativo alla
abolizione del vincolo associativo con la società di appartenenza.
Sul punto, sia detto in via incidentale, le problematiche della tutela dell’atleta-lavoratore,
quanto alle limitazioni alla libertà negoziale, non paiono essersi esaurite con l’entrata in vigore della
l.91/81.
4
Sul punto da ultimo A.DE SILVESTRI,Giustizia sportiva,in AAVV., Diritto dello sport, Le Monnier,2004 pag.127 ove :” Il vincolo,
che comporta sostanzialmente il diritto della società di appartenenza pretendere l’esclusiva delle prestazioni dell’atleta, in origine
a tempo indeterminato sia per i dilettanti che per i professionisti per questi coincidente attualmente con la durata del contratto da
essi stipulato che ,ai sensi dell’art.5 della Legge n.91/81 non può eccedere i cinque anni”.
In realtà è da notarsi come la l’art.5 comma. 1 della l.91/81 disponga che “ il contratto di cui all'articolo precedente può contenere
l'apposizione di un termine risolutivo, non superiore a cinque anni dalla data di inizio del rapporto. È ammessa la successione di
contratto a termine fra gli stessi soggetti”.
In altri termini il legislatore non esclude la possibile pattuizione di contratti di lavoro a tempo indeterminato, in vero non ricorrenti
nella prassi, tra atleti professionisti e società sportive costituite nella forma della società a responsabilità limitata e della società
per azioni, giusto disposto dell’art.10 co.1. Per quanto attiene l’ipotesi di stipulazione di un contratto di lavoro a tempo
indeterminato il legislatore (art. 4co.8) relativamente alla risoluzione del rapporto per recesso datoriale ha esplicitamente previsto
l’esclusione dell’applicazione delle norme fondamentali in materia di limiti sostanziali al potere di licenziare (art. 1, 2, 3, 5, 6, 7,
8 L. 15 luglio 1966 n. 604, art. 18 L. 20 maggio 1070 n. 300), sostanzialmente facendo riemergere il principio della libera
recedibilità con conseguente applicazione degli art. art. 2118.
5
Nella fase anteriore alla l.91/81 la dinamica dei rapporti tra atleti professionisti e le società sportive era caratterizzata, sul piano
cronologico, dalla presupposizione del tesseramento e la conseguente assunzione del vincolo a tempo indeterminato , alla stipula
dell’accordo disciplinate gli aspetti economici del rapporto di norma di durata annuale.
All’ estinzione dell’accordo per decorrenza del termine pattuito non corrispondeva la libertà contrattuale dell’atleta di stipulare
accordi con altre società rimando egli vincolato ingenerandosi pertanto un perverso fenomeni di reificazione dell’atleta.
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NOTE A SENTENZA
Svincoli perigliosi…
La natura “emergenziale“dell’intervento legislativo lasciava irrisolti i nodi interpretativi legati
al vincolo a tempo indeterminato nell’area non professionistica; malgrado, infatti, l’affermazione
di principio consacrata dall’art. 1 circa la libertà dell’esercizio dell’attività sportiva,
incoerentemente con tale assunto il legislatore non ha inteso operare alcun intervento nell’ambito
estraneo al campo applicativo della legge.6
Tali discrasie possono trovare un razionale giustificazione, ad un primo livello, in valutazioni
di opportunità operate da legislatore tendenti a salvaguardare i profili di autodisciplina federale, e
ad secondo livello, nella scarsa consapevolezza del legislatore circa la natura giuridica del vincolo.
L’erronea prospettiva assunta nell’ambito dell’intervento legislativo del 1981 lasciava
sostanzialmente irrisolto il tema del vincolo nell’ambito dilettantistico.
Prescindendo dai rilievi operabili nei riguardi delle diverse tesi
proposte in ordine
all’inquadramento dogmatico dell’istituto nella fase anteriore all’entrata in vigore della L. 23 marzo
1981 n. 917, condivisibile pare l’opinione che ravvede nel vincolo sportivo, in origine a tempo
indeterminato, una peculiare clausola del contratto associativo concluso all’atto del tesseramento
per effetto della quale è precluso all’atleta il diritto di recedere dal medesimo contratto associativo
in forza di un atto unilaterale di volontà.8
La valorizzazione dell’elemento volontaristico ed associativo quale caratterizzante il vincolo
sportivo, già timidamente prospettata anteriormente alla entrata in vigore della L. 91/81, trova
ulteriori conferme a seguito della riduzione del campo di indagine all’ambito propriamente non
professionistico.
6
Rimettendo agli ordinamenti federali la distinzione tra l’attività professionistica e dilettantistica, il legislatore ha inteso avallare
la tendenza a perpetrare una linea di demarcazione tra attività dilettantistica,teoricamente rispondente allo spirito olimpico, e
professionistica fondata più che su riscontri fattuali su circostanze formali e valutazioni di opportunità delle singole federazioni.
Il far dipendere l’acquisizione di uno status da un elemento astratto quale è la qualificazione, ha però ingenerato profonde disparità di
trattamento nei riguardi di atleti formalmente dilettante ma di fatto professionisti con riferimento in generale alla tutela dell’atleta
dilettante e del rilievo economico delle prestazioni rese e soprattutto alla disciplina del vincolo sportivo. Ex plurimis sulle tematiche
della qualificazione federale ed in particolare sul ruolo delle direttive del Coni E.CROCETTI BERNARDI, Giustizia ordinaria e lavoro
sportivo,in AAVV,La giustizia sportiva analisi critica della legge 17 ottobre 2003 n.280, Experta,2004 pag.134 seg. Non che il
legislatore statuale non si sia reso interprete delle esigenze di addivenire ad una complessiva rivalutazione della disciplina del
vincolo in ambito non professionistico. Sul punto esemplificativamente il Progetto di Legge n. 4633 del 10 marzo 1998 «Norme in
materia di limiti al tesseramento degli atleti in società sportive non professionistiche» orientato ad introdurre un regime normativo
atto a garantire la facoltà degli atleti di recedere dal rapporto con l’associazione sportiva decorso un periodo variabile , in rapporto
all’età ed al livello di attività,dall’inizio del rapporto.
7
8
Per la prospettazione delle varie tesi succedutesi anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 91/1981 sia consentito un rinvio a
D.Zinnari, Percorsi dottrinari in tema di vincolo sportivo, in GiustiziaSportiva.it - Rivista Internet di diritto dello sport,
anno2005, n.1, pag. 54 seg. ma anche a E. Indraccolo, Rapporti e tutele nel dilettantismo sportivo, ESI, 2008, pag.130 seg.
Circa la natura associativa del rapporto per tutti da ultimo P. Moro, Vincolo sportivo e rimedi giudiziali, in
GiustiziaSportiva.it - Rivista Internet di diritto dello sport, anno 2009, n.3; E.Lubrano, Vincolo Sportivo pluriennale: verso una
fine annunciata?, in GiustiziaSportiva.it - Rivista Internet di diritto dello sport, anno 2005, n.3, pag. 40 seg. Contra sul punto E.
Indraccolo, op.cit., pag.172 seg.. L’Autore propende per l’idea in virtù della quale il rapporto atleta non professionista ed
associazione sia connotato da caratteri di atipicità non potendosi configurare in capo allo sportivo lo status di socio quanto
piuttosto di fruitore di servizi sportivi.
49
NOTE A SENTENZA
Svincoli perigliosi…
Evidente come tale teorizzazione sul piano concettuale necessiti di una attenta qualificazione
dell’atto di tesseramento tematica, quest’ultima, che involge i più generali profili legati alla natura
giuridica delle federazioni sportive.
Non è questa la sede per evidenziare le direttrici del dibattito dottrinario e giurisprudenziale
unltracinquantennale la natura degli enti federali e la consequenziale qualificazione degli atti
risultando evidente il rapporto di presupposizione.
Il dato normativo vigente le Federazioni sportive quali associazioni con personalità giuridica
di diritto privato non aventi finalità lucrative, in sé non supera definitivamente la tesi della natura
provvedimentale dell’atto di tesseramento.
Nel quadro, infatti, della impropriamente definita “privatizzazione” degli enti federali, il
legislatore riconosce valenza pubblicistica a specifiche tipologie dell’attività federale operando al
fine della loro individuazione all’autonomia statutaria del CONI.
Di guisa l’art. 23 comma 1 dello Statuto Coni ricomprende tra le attività a valenza
pubblicistica anche quelle relative al tesseramento quantunque la legge non le qualifichi come
attività delegate dal Coni (a differenza di quanto accade per altre tipologie di attività).
In vero se è dubitabile che un atto quale lo Statuto del Coni, espressione ad un tempo di
autonomia privata e di potestà regolamentare, possa valere di per sé ad attribuire natura
pubblicistica a dati atti delle Federazioni, atteso che la materia provvedimentale è retta dai principi
di legalità e tipicità 9, vi è da sottolinearsi come la valenza pubblicistica di specifiche attività non sia
di per sé atta ad attribuire natura pubblica ad esse10 ma piuttosto giustifichi le rigorose limitazioni
che le federazioni subiscono nell’esplicazione della loro autonomia privata dovendo armonizzare il
loro agire, giusto disposto dell’art.15 d.lgs.242/99, le deliberazione del CIO e del CONI.
In linea con la migliore dottrina civilistica non pare dubitabile la qualificazione
del
tesseramento quale contratto associativo ed in particolare quale contratto aperto a formazione
progressiva.
Il tesseramento si configura quale adesione successiva all’associazione avente la medesima
natura giuridica dell’originaria partecipazione al contratto ponendosi l’aderente al pari delle parti
originarie nella posizione di contraente del contratto di associazione ( art. 1332 c.c.). 11
9
10
11
Cfr. C.ALVISI, Autonomia privata e autodisciplina sportiva, Milano, 2000, pag. 158 nota n. 153
Esplicitamente sul punto l’art.23 co 1 bis del Nuovo Statuto Coni deliberato dal Consiglio Nazionale del CONI il 23 marzo
2004, approvato con Decreto Ministeriale del 23 giugno 2004 che si premura di evidenziare come la valenza pubblicistica di
specifiche tipologie di attività individuate dallo Statuto del CONI non sia atta a sottrarre all’ordinario regime privatistico dei
singoli atti e delle situazioni giuridiche soggettive connesse.
Cfr. F.GALGANO, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, in Commentario al Codice civile a cura di Scialoja Branca,
Bologna, 1976, pag. 53. L’Autore sottolinea come riguardo alla struttura aperta dei contratti associativi, contrapposti ai contratti
50
NOTE A SENTENZA
Svincoli perigliosi…
Configurazione questa che implica una struttura aperta (c.d. principio della porta aperta) atta a
soddisfare in astratto lo stesso bisogno di un numero indeterminato di persone.12
Il tesseramento, sotto un profilo squisitamente tecnico, è atto formale che garantisce
l’imputazione ad ogni atleta dei suoi risultati , la sua classificazione nelle graduatorie e la
documentazione delle vicende della sua carriera sportiva.
Il tesseramento consente i risultati, per gli sport individuali, o le attività, per gli sport di
squadra, di ogni atleta siano valutati a beneficio delle collettività alle quali egli appartiene, ai fini
della compilazione delle graduatorie del merito sportivo di queste collettività.
Il singolo acquista lo statusdi atleta, ovvero diventa titolare di un fascio di rapporti giuridici
che creano reciproci diritti e doveri nei confronti degli altri atleti, della società sportiva, della
Federazione Nazionale, risultando il tesseramento dunque requisito necessario di ammissione alle
competizioni ed alle classifiche ufficiali, cioè alle vicende che caratterizzano l’agonismo
programmatico.
L’atto formale di tesseramento consiste nella semplice apposizione di una firma da parte
dell’atleta, accompagnata nel caso di minori dalla firma dell’esercente la potestà genitoriale13,
nonché da quella del legale rappresentante della società, su moduli predisposti dalle Federazioni.
La manifestazione di volontà estrinsecata con l’apposizione della firma costituisce un negozio
giuridico complesso; in essa infatti possono individuarsi due distinte dichiarazioni sebbene
concorrenti e connesse per la congruenza delle rispettive funzioni.
Con la prima il giocatore chiede di essere tesserato presso la Federazione Sportiva, chiede
cioè di entrare a far parte della comunità sportiva facente capo alla Federazione; con la seconda il
giocatore dichiara di volersi vincolare all’ associazione salve le rare ipotesi in cui sia ammessa il
tesseramento individuale dell’atleta presso la federazione.
E’ quindi da sottolinearsi, pur nella complessità del negozio, come l’atleta per mezzo del
tesseramento divenga parte di due distinti, seppur intersecatesi, rapporti:uno relativo alla società od
associazione che assume carattere associativo, l’altro viene ad istaurarsi con la federazione la quale
12
13
di scambio a struttura chiusa, occorra distinguere tra contratto di associazione e contratto di società. Entrambi infatti sono da
qualificare quali contratti aperti riconducibili allo schema ex art. 1332 c.c., ma il significato assunto da tale aggettivo è molto
diverso nelle due categorie. il criterio distintivo da adottarsi sarebbe quello relativo alla variabilità senza alcun limite del numero
dei membri. A tal criterio è connesso quello che della distinzione tra interesse di gruppo ed interesse di serie. All’interesse di
gruppo corrisponde una struttura chiusa (es. società di capitali in cui il numero di soci non può superare il numero di azioni):a
quello di serie una struttura aperta caratterizzanti il contratto di associazione.
Per le problematiche inerenti la configurabilità del diritto di accesso alle federazioni sportive vedi tra gli altri R. CAPRIOLi,.
L’autonomia normativa delle federazioni sportive nazionali nel diritto privato, Napoli, 1997 ,pag.111 seg.
Per il tesseramento minorile vedi P.MORO, Questioni di dirittosportivo.Casi controversi dell’attività dei
dilettanti,Pordenone,1999;A. De Silvestri,Potestà genitoriale e tesseramento minorile,in Riv.dir.sport.,1991,pag.297
51
NOTE A SENTENZA
Svincoli perigliosi…
per mezzo di un formale atto conferisce all’atleta lo status di tesserato ovvero di centro di
imputazione di situazioni soggettive attive e passive in ambito endoassociativo.
Sussiste pertanto una pluralità di rapporti (associativi, od eventualmente associativilavoristici14), la cui differenziazione appare talvolta problematica data la prassi di identificarli in
un'unica fattispecie.
Tale pluralità di rapporti è generata dalla cennata natura delle federazioni quali associazioni di
secondo grado; in tal senso il rapporto che lega l’atleta a ciascuna associazione o società di base
coesiste con quello che vincola lo stesso nell’organizzazione di grado maggiore (la Federazione)1516.
Pertanto con il tesseramento l’atleta entra a far parte dell’organizzazione federale accettando
di esser soggetto di tutti i diritti e gli obblighi discendenti dallo statuto e dai regolamenti federali, e,
sul piano giuridico, instaura un rapporto contrattuale con la Federazione Sportiva con la
conseguente accettazione delle clausole statutarie e regolamentari richiamate espressamente nei
moduli sui quali viene apposta la firma, tra le quali sono da ricomprendersi quelle norme inerenti il
vincolo che disciplinano il rapporto tra sportivo ed associazione “intermedia”.
Gli effetti derivanti dal vincolo sono infatti da ricondursi essenzialmente:
1. al diritto dell’associazione sportiva di utilizzare le prestazioni dell’atleta ed il potere di
inibire allo stesso di prestare la propria attività a favore di altra associazione;
2. al dovere dell’atleta di fornire le proprie prestazioni alla società per cui è vincolato (dovere
di natura positiva) di fatto incoercibile non potendosi in alcun modo precludere allo stesso
l’eventuale astensione dalle prestazioni, e al dovere di non prestare la propria attività senza il
consenso della società per la quale è vincolato(dovere di natura negativo), sanzionabili, in caso di
violazione, essendo chiamati a rispondere disciplinarmente sia l’atleta autore del doppio
tesseramento sia le società.
14
15
16
Per il potenziale rilevo lavoristico delle prestazioni rese dagli atleti non professionisti ai sensi dell’art.2 l.91/81 G.MARTINELLI,Il
rapporto di lavoro nello sport dilettantistico,in GiustiziaSportiva.it - Rivista Internet di diritto dello sport,anno 2005 ,n.1.
Sul punto ampiamente CAPRIOLI,op.cit.pag. 91 seg. il quale nota come stante il tenore letterale dell’art. 14 comma 1 l. n. 91/81
«le federazioni dovrebbero esser classificate tra le associazioni complesse che sono formate non da persone fisiche ma da altre
associazioni;tuttavia la circostanza che risultino tesserate presso le singole persone fisiche e il fatto che a queste ultime siano
direttamente rivolte numerose disposizioni degli statuti e dei regolamenti induce a classificarle tra le associazioni parallele, in cui
i componenti le associazioni minori sono, al tempo stesso, membri dell’associazione maggiore
In realtà, nelle concrete dinamiche, occorre distinguere almeno a seguito dell’entrata in vigore della l.91/81,la situazione
dell’atleta professionista da quello non professionista, nel primo caso l’atleta stipula un contratto di lavoro, con il quale si vincola
alla società datrice, cui consegue, dopo il riscontro circa la conformità alle proprie prescrizioni il conseguente tesseramento
presso la federazione;gli atleti non professionisti di contro con il tesseramento presso la Federazione per tramite della società
interessata manifestano la volontà di acquisire lo status di membro della federazione, di accettarne lo statuto e le norme tra le
quali quelle che prevedono l’assunzione del vincolo a favore della associazione per tramite della quale è stata inoltrata la
domanda di tesseramento.
52
NOTE A SENTENZA
Svincoli perigliosi…
Il vincolo dunque si sostanzia in un obbligo di esclusiva del giocatore a favore
dell’associazione sportiva per il quale è tesserato.
L’analisi degli Statuti e delle norme federali consente di esplicita le modalità attraverso le
quali tale diritto di esclusiva si sostanzi,prescindendo dalla durata temporale di esso.
Le disposizioni degli Statuti e delle Norme Federali inerenti in vincolo sportivo si
configurano infatti quali particolari clausole del contratto associativo introdotte al fine di tutelare gli
interessi sportivi delle associazioni, limitando o, rectius, tassativamente “procedimentalizzano” il
diritto di recesso dell’atleta associato.
De facto, l’atleta non professionista con il tesseramento assume un vincolo associativo che
può esser sciolto esclusivamente nelle ipotesi previste tassativamente dalle norme organizzative
federali accettate in sede di tesseramento.
Dall’analisi delle singole ipotesi previste dai vari regolamenti federali17, pur nella non
omogeneità delle discipline endoassociative, può comunque affermarsi che la risoluzione del
rapporto associativo è di norma subordinata alla volontà dell’ associazione nelle forme della
rinuncia unilaterale esplicita o tacita a mezzo di mancata richiesta di rinnovo, alla risoluzione per
mutuo consenso, al recesso unilaterale subordinato al riscontro di obiettive condizioni che rendano
impossibile o estremamente gravoso la prosecuzione del rapporto associativo, alle ipotesi di
risoluzione per
giusta causa non tipizzate e rimesse all’apprezzamento di organi associativi
permanenti.
Tale regime del recesso che non può non essere oggetto di attenta valutazione, alla luce della
natura negoziale di contratto associativo aperto del tesseramento, che, liberamente determinabile
dalle parti nel suo contenuto, incontra nel suo esplicarsi i limiti imposti dalla legge.
Il divieto di recesso dal vincolo sembra infatti contrastante con fondamentali principi
dell’ordinamento statuale.18
In via preliminare non può tralasciarsi sul punto come lo svolgimento dell’attività sportiva,
anche agonistica, debba considerasi quale attività realizzatrice della personalità umana ex art.2
Cost. e che le strutture federali siano da ricomprendersi nell’ambito delle formazioni sociali ove si
svolge la personalità dell’individuo.
17
18
Per cui si rinvia a P.MORO,Natura e limiti del vincolo sportivo,in Riv.dir. econ.sport.,anno2005, n.2,pag.8 seg
Per i profili più strettamente riguardanti la non conformità delle discipline federali a convenzioni internazionali ed
alla specifiche normative nazionali ed internazionali in tema di tutela dell’infanzia nell’ambito del tesseramento di
atleti minorenni vedi P.MORO,Vincolo sportivo e diritti fondamentali del minore,in AA.VV.,Vincolo sportivo e diritti
fondamentali,Pordenone,2002,pag.9 e seg.
53
NOTE A SENTENZA
Svincoli perigliosi…
Con particolar riferimento alla libertà di associazione riconosciuta e garantita dall’art. 18
Cost. si sostanzia in diversi aspetti quali ad esempio “nella libertà di costituire un associazione, in
quella di aderire o di non aderire ad un’associazione già costituita (c.d. libertà negativa di
associazione19), ed infine nella libertà di recedere da un’associazione”.
Ai sensi dell’art. 24 c.c., le norme associative, possono eventualmente prevedere, senza che
sia violata la libertà negativa di associazione, che per un periodo determinato negozialmente o
statutariamente stabilito il differimento dell’efficacia dell’atto di recesso dell’associato e, quindi, la
permanenza dell’associato nell’associazione per tale periodo con conseguente persistenza di tutti gli
obblighi associativi (e non solo quelli eventualmente di natura finanziaria) anche in presenza del
dissenso sopravvenuto dell’associato dagli scopi e dalle modalità operative dell’associazione .
Ti tutta evidenza però come la
durata del vincolo non possa essere tale da rendere
sostanzialmente, in relazione allo specifico ambito sportivo, gravoso, impeditivo e preclusivo
dell’esercizio del diritto i recesso. 20
Il tema del recesso dell’associato è di particolare rilevanza in considerazione del fatto che la
deroga del principio generale ex art. 1372 c.c., nell’ambito contratto associativo, trova la sua
giustificazione in un’esigenza di tutela della libertà individuale.
In questo senso la giurisprudenza di legittimità si è espressa statuendo in ordine alla nullità di
clausole del contratto associativo che escludano o rendano oneroso in modo abnorme il recesso21.
Pur in tal sede tralasciandosi anche ulteriori profili di rilievo inerenti quei fenomeni
ufficialmente non riconosciuti né tutelati dagli ordinamenti federali di reificazione dell’atleta
19
Vedi tra l’altro art. 20 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di riunione e di
associazione pacifica. Nessuno può esser costretto a far parte di un’associazione».
In questo senso la Corte Costituzionale Sent. n. 239 1984 ove: «Il precetto costituzionale contenuto nell’art. 18 deve esser
interpretato nel quadro del contesto storico che l’ha visto nascere e che porta a considerare della proclamata libertà di associazione,
non soltanto l’aspetto che è stato definito positivo, ma anche quello negativo che si risolve nella libertà di non associarsi che dovette
apparire al Costituente non meno essenziale dell’altra dopo un periodo storico nel quale la politica legislativa di un regime totalitario
aveva mirato ad inquadrare i fenomeni associativi nell’ambito di strutture pubblicistiche sotto il controllo dello Stato».
20
Cass. 14 maggio 1997 n. 4244, in Foro it., 1997, I, pag. 2484 ove: sia la disciplina normativa, sia l'autonomia negoziale (che di
tale situazione è espressione la norma statutaria) possono comportare un vincolo temporale alla permanenza dell'associato nel
rapporto associativo, anche in caso di sopravvenuto dissenso del singolo partecipe, senza che per questo soltanto la sua libertà
associativa, espressa anche nella forma negativa della dissociazione, venga violata dalla regolamentazione, normativa o pattizia,
che di essa regoli le modalità di esercizio, in armonia con le posizioni e gli interessi degli altri associati e dell'associazione stessa.
D'altronde rientra nella funzione del legislatore ordinario la regolamentazione dell'esercizio anche dei diritti costituzionalmente
garantiti, quando la relativa disciplina dettata dalla legge ordinaria, o quella pattizia da essa consentita, non sopprimano il diritto
o ne rendano oltremodo ostico l'esercizio con modalità oggettivamente coercitive, impeditive o preclusive.
21
Cfr. Cass., sez. I, 9 maggio 1991, n. 5191, in Nuov. giur. civ. comm. 1992, I, pag. 615. “La facoltà di recesso è riconosciuta
all’associato in deroga al generale principio, codificato nell’art. 1372, secondo il quale il contratto non può esser sciolto che per
mutuo consenso:a ciascuna delle parti del contratto è qui dato di provocare con propria unilaterale dichiarazione di volontà, lo
scioglimento del vincolo che la unisce alle altre part. La deroga al principio generale trova, in questa come nelle altre figure
contrattuali per le quali è prevista la propria giustificazione in un’esigenza della tutela della libertà individuale:ed in rapporto al
contratto di associazione un aspetto della tutela della stessa libertà di associazione.”
54
NOTE A SENTENZA
Svincoli perigliosi…
dilettante a mezzo della conclusione di negozi atipici di cessione del diritto di utilizzo esclusivo
delle prestazioni sportive ed al possibile rilievo anche lavoristico22 delle questioni, la forza di tali
argomentazioni ha indotto talune federazioni, motu proprio, ad un processo di rivisitazione
dell’istituto finalizzato a contenerlo entro limiti di tempo preordinati.23
Così ispirandosi al contemperamento del diritto degli atleti ad esercitare liberamente la pratica
sportiva e le opposte esigenze delle società a non vedersi private troppo presto delle loro
prestazioni, la Federazione italiana Giuoco calcio nel maggio 2002 ha provveduto ad una modifica
regolamentare tesa a riconoscere lo svincolo per decadenza, su richiesta dell’atleta, al termine della
stagione sportiva di compimento anagrafico del venticinquesimo anno di età24.
L’intervento del Coni25, in ottemperanza a quanto disposto dall’art. 4 co.6 lett.i) del proprio
Statuto, con il quale si è provveduto ad emanare direttive in tema richiamando genericamente la
necessità della temporaneità del vincolo, in realtà si pone in un solco già tracciato, rilevando
esclusivamente nei confronti degli enti federali maggiormente “riottosi” ad addivenire
all’abrogazione del vincolo a tempo indeterminato26.
Sul piano storico non può non tralasciarsi la portata innovativa delle modificazioni statutarie e
regolamentari.
Occorre però analizzare se tale regime normativo sia atto a garantire l’effettività del
godimento del diritto di praticare liberamente l’attività sportiva.
Il profilo temporale del vincolo, per quanto rilevante, rappresenta sempre e comunque un
corollario al diritto di recedere dal contratto associativo giusto disposto dell’art.24 c.c.
22
Non è da trascurasi sul punto il potenziale intersecarsi delle problematiche del vincolo a tempo indeterminato con quello della
qualificazione in termini di lavoro subordinato del rapporto tra atleti non professionisti e società sportive.Sul tema A.DE SILVESTRI
La riforma del calcio dilettantistico in tema di vincolo e accordi economici,in AA.VV,Vincolo sportivo e diritti
fondamentali,Pordenone,2002,pag.41
23
A testimonianza di nuovo approccio alla tematica del vincolo nell’ambito dell’attività dilettantistica , una pronuncia resa dalla
Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport (Lodo Arbitrale 5 Novembre 2002 Hockey Club Gherdëina c. Federazione
Italiana Sport Ghiaccio) che ha avuto modo di sottolineare come” va valutato con favore l’atteggiamento di una federazione che
in punto di fatto consenta l’ottenimento dello svincolo da parte di atleti che ne hanno diritto ai sensi delle stesse regole federali
senza trincerarsi dietro formalismi procedurali”.
Sul punto anche il TAR Lazio,sez.III ter,4 maggio 2003,n.4103 ove si segnalano le evidenti distorsioni derivanti dalla mancata
applicazione della L.91/81 nel settore femminile della FIP e si sottolinea come«l’art. 56-bis, specie negli attuali equilibri
societari e finanziari del basket femminile, tiene propriamente conto anche di questi elementi e cerca di porre un limite ai casi più
evidenti di iniquità al perdurare di un vincolo sportivo contro la volontà degli interessati, quando si risolve in un manifestamente
iniquo limite alla libertà contrattuale delle atlete» , nonché il carattere recessivo sul piano dei valori costituzionali dell’istituto.
24
Così il combinato disposto dell’ art.32 bis delle NOIF ed art.36 del Regolamento Lega Nazionale Dilettanti. Così anche la
Federazione Italiana Pallacanestro che con delibera n.320 del 17 luglio 2003 ha introdotto lo svincolo automatico al compimento
del trentaduesimo anno di età.
25
Delibera del Consiglio Nazionale del Coni adottata il 24 marzo 2004 in tema di «Principi fondamentali degli Statuti delle
Federazioni Sportive Nazionali ,delle Discipline Sportive Associate e delle Associazioni Benemerite»
26
Così la FIPAV in sede di adeguamento statutario alle direttive del CONI in sede di assemblea nazionale straordinaria del 7
novembre 2004 ha previsto lo svincolo automatico al compimento del ventiquattresimo anno di età, la durata quinquennale del
vincolo tra i ventiquattro ed i trentaquattro anni di età.
55
NOTE A SENTENZA
Svincoli perigliosi…
Occorre in altri termini domandarsi se possa ritenersi compatibile con il disposto codicistico
e risponda alla funzione del contratto associativo in ambito sportivo una normativa tendente al
differimento dell’efficacia dell’atto di recesso per un arco temporale eccessivamente lungo per
quanto predeterminato.
In punto di fatto esemplificativamente dal combinato disposto degli artt.32 e 32 bis delle
Norme Organizzative Interne della FIGC il “giovane dilettante” che al compimento del
quattordicesimo anno di età si sarà vincolato con una società affiliata alla Lega Nazionale Dilettanti,
avrà come prospettiva quella di “svincolarsi” decorsi circa undici anni.
La valutazione della validità di una siffatta clausola contrattuale che escluda l’esercizio del
diritto di recesso da un’associazione per un termine determinato è secondo l’autorevole indirizzo
della Corte di Cassazione “subordinata alla verifica della sussistenza di un termine compatibile con
la natura e la funzione del contratto associativo e dall’altra alla insussistenza di lesione di diritti
costituzionalmente garantiti”27.
Tali sommarie annotazioni lasciano presagire la parzialità ed insufficienza degli interventi
posti in essere e la necessità di una più ampia riflessione che tenda a superare la prospettiva in virtù
della quale, attraverso il meccanismo imperniato sul collegamento tesseramento-vincolo e dietro il
rilievo
civilistico
attribuito
non
già
alla
persona
dell’atleta
quanto
alla
res
commerciabilerappresentata dal c.d. cartellino,” l’ esclusività “del rapporto atleta non
professionista- associazione perdurante negli anni costituisca unico mezzo di salvaguardia del
movimento sportivo dilettantistico28
Sul piano sociologico tale approccio cela una visione essenzialmente “paternalistica” del
rapporto tra società ed atleti.
E’ evidente come il pieno riconoscimento in ambito non professionistico del principio di
libertà nello svolgimento dell’attività sportiva di cui all’art.1 L.91/81 debba necessariamente essere
contemperato con la tutela degli interessi societari e le peculiarità delle singole discipline.29
27
Cass., 4 giugno 1998, n.5476, in Giur.it.,1999, pag.488. Occorre sottolineare come l'esorbitanza del termine, rispetto agli scopi
associativi, non sia da valutarsi in re ipsa, quanto piuttosto in relazione al carattere delle posizioni coinvolte dall'accordo
associativo considerando l'eventualità di un'incidenza su diritti indisponibili della clausola di rinuncia (temporanea) al recesso in
relazione agli effetti prodotti dal perdurare del rapporto associativo.Il differimento della facoltà di recesso potrebbe tradursi in
una menomazione o compressione delle libertà Costituzionali.
Quando invece l'associazione abbia compiti e fini esclusivamente economici, la menzionata evenienza deve essere in radice negata,
rientrando nell'autonomia contrattuale dei partecipanti la fissazione della durata di diritti ed obblighi disponibili, in armonia con
la causa negoziale.
28
In tal senso pare esprimersi l’Ordinanza del Tribunale di Gorizia del 27.08.2010 secondo cui le norme in tema di vincolo sono
“volte a favorire un rapporto continuativo- e quindi esclusivo- fondato sulla reciproca fedeltà negli anni tra il singolo atleta
dilettante e l’associazione privata che investe sulle sue capacità sportive adoperandosi per accrescere le qualità.”
29
56
NOTE A SENTENZA
Svincoli perigliosi…
In tale processo un ruolo fondamentale gioca la corretta valutazione dell’esercizio dell’attività
sportiva e conseguenzialmente l’oggetto dell’attività sociale; l’incidenza su libertà incomprimibile
dovrebbe suggerire soluzioni tese alla massima garanzia dell’associato
e comunque al
coordinamento tra il diritto negativo di associazione del singolo e gli interessi sociali.
Dovrebbe a riguardo addivenirsi ad una riduzione del vincolo sportivo al termine annuale
coincidente con il decorrere della stagione sportiva, sviluppando dei meccanismi di compensazione
che garantiscano
un virtuoso flusso di danaro nelle casse sociali delle società sportive
dilettantistiche che abbiano curato la formazione dell’atleta nell’ipotesi di trasferimento dello
stesso entro un congruo arco temporale.
Meccanismi operanti in senso verticale con redistribuzione della ricchezza in forma di
mutualità,ed orizzontali nelle forme di indennità parametrate ai costi di formazione da versarsi in
sede di nuovo tesseramento.
Sorprende, pertanto, l’argomentare del Tribunale di Gorizia, da un lato, nella parte in cui
l’esercizio del diritto di recesso viene semplicisticamente ridotto al “desiderio sopravvenuto di
passare ad un’altra compagine”, e dall’altro, nella misura in cui alla pur puntuale ricognizione delle
normative associative in tema di svincolo, non faccia seguito una valutazione approfondita in
ordine alla legittimità delle stesse.
(*) Avvocato del foro di Lecce
57
NOTE A SENTENZA
L'illecito sportivo e la valutazione…
Tribunale Nazionale
di Arbitrato per lo Sport
IL COLLEGIO ARBITRALE
Prof. Avv. Massimo Zaccheo Presidente
Prof. Avv. Tommaso Edoardo Frosini Arbitro
Prof. Avv. Maurizio Benincasa Arbitro
riunito in conferenza personale in data 1 aprile 2010 presso la sede dell’Arbitrato in Roma, ha
pronunciato all’unanimità il seguente
LODO
nel procedimento di arbitrato (prot. n. 0645 del 22 marzo 2010) promosso dal:
Potenza Sport Club s.r.l., con sede in Potenza, viale Marconi n. 189, C.F./P.IVA 01477250763,
in persona del suo Amministratore unico e legale rappresentante pro tempore, dott. Donato Arcieri,
rappresentata e difesa dagli avv.ti Eduardo Chiacchio, prof. Francesco di Ciommo e Michele
Cozzone ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Napoli,
al Centro Direzionale – Isola A/7.
Contro
Federazione Italiana Giuoco Calcio, con sede in Roma, via Gregorio Allegri
n. 14, in persona del presidente pro tempore, dott. Giancarlo Abete,
Stadio Olimpico – Tribuna Tevere - Gate 37 - 1° piano – stanza 1.54
Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport
00194 Roma tel. +39 06 3685 7801 +39 06 3685 7802 + 39 06 3685 7910
- fax +39 06 3685 7104
presso il Coni
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rappresentata e difesa dagli avv.ti Mario Gallavotti e Luigi Medugno ed elettivamente
domiciliata presso lo studio del primo, in Roma via Po n. 9.
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NOTE A SENTENZA
L'illecito sportivo e la valutazione…
IN FATTO
A) Con atto depositato il 22.03.2010 presso la segreteria del TNAS (Tribunale Nazionale di
Arbitrato per lo Sport), Potenza Sport Club s.r.l. (di seguito, per brevità, Potenza) ha così riassunto i
fatti di causa:
1) in data 24.07.2008, il Procuratore Federale ha deferito il Potenza dinanzi alla Commissione
Nazionale della FIGC, a titolo di responsabilità diretta, per una serie di violazioni al Codice di
Giustizia Sportiva (artt. 7, commi 1 e 6, e 1, comma 1) ascritte ai suoi legali rappresentanti pro
tempore, sigg.ri Giuseppe Postiglione e Pasquale Guizio, accusati di concorso in illecito sportivo,
per aver posto in essere condotte dirette ad alterare il regolare svolgimento della gara Potenza –
Salernitana del 20.04.2008, nonché di inadempienza ai doveri di lealtà, correttezza e probità in
riferimento all’atteggiamento dai medesimi tenuto in sede di audizione dinanzi agli organi
inquirenti;
2) con delibera del 07.08.2008, la Commissione Disciplinare Nazionale ha prosciolto i sigg.ri
Postiglione e Guizio (ed, in via diretta, il Potenza) per gli addebiti relativi alla partecipazione al
contestato illecito sportivo, riconoscendo i medesimi colpevoli della sola violazione dell’art. 1,
comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva, per non aver schierato la miglior formazione in
occasione della gara Potenza – Salernitana sopra citata; conseguentemente, ai due dirigenti sono
state rispettivamente inflitte le inibizioni fino al 5.02.2009 e fino al 5.05.2009, mentre il Potenza ha
subito una penalizzazione di tre punti in classifica e un’ammenda di € 50.000,00;
3) in data 9.01.2010, il Procuratore Federale ha proposto, dinanzi alla Corte di Giustizia
Federale, ricorso per revocazione ex art. 39, comma 1 lett. d) del C.G.S., in quanto, a seguito della
notizia dell’arresto dei sigg.ri Postiglione e Guizio e dell’acquisizione degli atti del procedimento
penale in corso presso la Procura della Repubblica di Potenza, sarebbero emersi fatti nuovi;
4) con pronuncia del 19.03.2010, la Corte di Giustizia Federale ha dichiarato ammissibile la
revocazione nei confronti del solo sig. Postiglione e della società Potenza Sport Club s.r.l. e, nel
merito, ha accolto il reclamo, escludendo il Potenza dal Campionato di competenza, con
assegnazione della medesima società, con successivo provvedimento del Consiglio Federale, ad uno
dei Campionati di categoria inferiore.
5) Così descritti i fatti, il Potenza ha formulato l’istanza per cui è arbitrato, chiedendo di:
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NOTE A SENTENZA
L'illecito sportivo e la valutazione…
“A) accertare e dichiarare l’illegittimità e l’infondatezza della decisione della Corte di
Giustizia Federale della FIGC, assunta nella riunione del 19.03.2010 e pubblicata, limitatamente al
dispositivo, sul C.U. n. 200/CGF, con cui, in accoglimento del ricorso per revocazione ex art. 39
comma 1 lettera d) del Codice di Giustizia Sportiva proposto in data 9 Gennaio 2010 dal
Procuratore Federale avverso la delibera della Commissione Disciplinare Nazionale, pubblicata sul
C.U. n. 14/CDN del 07 Agosto 2008, in esito al deferimento dello stesso Organo requirente del 24
Luglio 2008 (Prot. n. 448/1173pf07-08/SP/ma) a carico dell’odierna istante, a titolo di
responsabilità diretta, ai sensi dell’art. 4 comma 1 del C.G.S., in ordine alle presunte violazioni (art.
7 commi 1 e 6 ed art. 1 comma 1 dl C.G.S.) ascritte al suo Presidente e legale rappresentante pro
tempore, sig. Giuseppe Postiglione, veniva comminata alla Società Potenza Sport Club s.r.l. la
sanzione della esclusione del Campionato di competenza con assegnazione, ad opera del Consiglio
Federale, ad uno dei Campionati di Calciatori inferiore;
B) per l’effetto, annullare, in parte qua, l’impugnata decisione e la relativa sanzione, con
integrale ripristino della pronuncia di primo grado della Commissione Disciplinare Nazionale;
C) in subordine, irrogare alla Società lucana la sola penalizzazione in classifica, ovvero, in via
estremamente gradata, la retrocessione al Campionato Lega Pro di Seconda Divisione, in luogo
della statuita sanzione della esclusione dal Campionato di competenza;
D) previa, in ogni caso, la sospensione cautelare del provvedimento in questione, con effetto
dalla data della sua emanazione (19 marzo 2010), ai sensi dell’art. 23 commi 1 e 2 del Codice dei
Giudizi innanzi al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport e Disciplina degli Arbitri,
ricorrendo entrambi i presupposti (fumus boni iuris e pericolo di danno grave ed irreparabile)
all’uopo richiesti;
E) con vittoria di spese, diritti, onorari ed accessori di causa ovvero, in subordine, con
compensazione delle spese stesse tra le parti costituite”.
B) La Federazione Italiana Giuoco Calcio si è costituita in giudizio nello stesso giorno al fine
di ovviare alle esigenze di celerità richieste dalla peculiarità della controversia, riservandosi di
svolgere le proprie difese entro i termini di rito.
C) In data 23.03.2010 si è quindi costituito il Collegio arbitrale, composto dal prof. avv.
Tommaso Edoardo Frosini e dal prof. avv. Maurizio Benincasa, nonchè dal prof. avv. Massimo
Zaccheo, dai primi due nominato quale terzo arbitro con funzioni di presidente. In data 25.03.2010
si è tenuta la prima udienza nel corso della quale il Collegio ha preso atto della rinuncia di parte
istante alla domanda cautelare dalla medesima proposta ed ha concesso ad entrambe le parti termine
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NOTE A SENTENZA
L'illecito sportivo e la valutazione…
fino al 31.03.2010 per il deposito di memorie, fissando l’udienza di discussione al 1.04.2010. D) In
ottemperanza al suddetto termine le parti hanno provveduto a depositare le rispettive memorie
difensive. Parte istante ha sostanzialmente reiterato le deduzioni già formulate nell’istanza arbitrale,
mentre la FIGC ha ampiamente contestato le tesi avversarie, sottolineando l’assoluta correttezza
delle decisioni adottate dalla Corte di Giustizia Federale.
E) All’udienza dell’1.04.2010, entrambe le parti hanno provveduto al deposito di nuovi
documenti ed il Collegio, all’esito della discussione, ha emesso il solo dispositivo, riservandosi di
comunicare successivamente il testo integrale del lodo.
IN DIRITTO
1) Il Collegio valuta opportuno muovere dalle eccezioni preliminari proposte dalla difesa del
Potenza avverso il provvedimento reso dalla Corte di Giustizia Federale. A tal riguardo, il Potenza
ha sollevato tre diversi ordini di eccezione.
1.1.) Nella prima, viene contestata la tardività del ricorso per revocazione proposto innanzi
alla Corte di Giustizia Federale, a causa del mancato rispetto del termine previsto dall’art. 39,
comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva. Secondo la disposizione da ultimo citata, infatti, le
decisioni inappellabili o irrevocabili possono essere impugnate per revocazione entro trenta giorni
dalla scoperta del fatto o dal rinvenimento dei documenti.
Ebbene, secondo la tesi sostenuta dall’istante, il Procuratore Federale avrebbe avuto contezza
dei fatti utilizzati a sostegno della propria istanza di revocazione fin dal 23.11.2009; data in cui ha
provveduto ad aprire apposito fascicolo relativo all’avvenuto arresto del presidente del Potenza, sig.
Postiglione, per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva.
Ciò nonostante, la Procura Federale ha provveduto ad inoltrare il ricorso per revocazione solo
in data 9.01.2010 e, quindi, decorsi i trenta giorni stabiliti dal citato art. 39, comma 1, C.G.S. Ad
avviso del Collegio, la tesi sostenuta dal Potenza non è condivisibile.
Come correttamente affermato dalla Corte di Giustizia Federale nel provvedimento oggetto
della presente controversia, nonché dalla difesa della FIGC, il termine di trenta giorni previsto
dall’art. 39, comma 1, C.G.S., non può decorrere dal momento nel quale il ricorrente ha ottenuto le
sommarie informazioni circa l’esistenza di fatti o documenti idonei a comportare, ove
precedentemente acquisiti, una diversa pronuncia.
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NOTE A SENTENZA
L'illecito sportivo e la valutazione…
Il momento dal quale far decorrere il termine di trenta giorni, al contrario, deve coincidere con
la data nella quale la Procura Federale ha ottenuto dalla Procura della Repubblica la copia degli atti
del procedimento penale.
È solo in questo momento, infatti, che la Procura Federale ha potuto acquisire una conoscenza
piena dei fatti e dei documenti sui quali ha, successivamente, fondato il proprio ricorso per
revocazione.
Ciò premesso, si osserva che la Procura Federale è entrata in possesso degli atti relativi al
procedimento penale solo in data 11.12.2009; pertanto, il ricorso per revocazione dalla medesima
inoltrato in data 9.01.2010 è assolutamente tempestivo ex art. 39, comma 1, C.G.S. 1.2.)
Con specifico riguardo alla seconda eccezione preliminare, la società istante sostiene
l’inammissibilità del ricorso per revocazione per assenza dei requisiti richiesti dall’art. 39, comma
1, lettera d), secondo il quale è possibile agire per revocazione nel caso in cui sia stato omesso
l’esame di un fatto decisivo che non è stato possibile conoscere nel precedente procedimento oppure
nel caso in cui siano emersi fatti nuovi, la cui conoscenza avrebbe comportato una diversa
pronuncia.
In particolare, la difesa del Potenza sostiene la tesi della inidoneità dei fatti allegati nel ricorso
dalla Procura Federale circa una diversa pronuncia rispetto a quella resa dalla Commissione
disciplinare nazionale.
Per sostenere ciò, tuttavia, muove dalla circostanza che i fatti posti a fondamento del ricorso
per revocazione coinvolgerebbero anche il sig. Luca Evangelisti, soggetto che non era destinatario
dell’originario deferimento.
Secondo la società istante, infatti, l’utilizzazione dei suddetti eventi comporterebbe la
compromissione del diritto di difesa del citato Evangelisti, nonché la possibilità di giudicati
contrastanti nel caso in cui il medesimo tesserato venisse assolto dalla giustizia sportiva.
Ad avviso del Collegio, la tesi sostenuta dal Potenza non è, al pari della precedente,
condivisibile.
Il procedimento di revocazione, infatti, coinvolge esclusivamente gli originari deferiti a nulla
rilevando la circostanza che i fatti che giustificano il riesame della pronuncia coinvolgano anche
altro tesserato; il quale, essendo terzo rispetto al giudizio davanti alla Commissione Disciplinare
Nazionale e, a fortiori, davanti alla Corte di Giustizia Federale, non subisce alcun pregiudizio
dall’esito del procedimento in corso.
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NOTE A SENTENZA
L'illecito sportivo e la valutazione…
1.3.) L’ultima delle eccezioni preliminari sollevate dalla difesa del Potenza attiene ad una
pretesa nullità del giudizio di revocazione per il mancato rispetto dei termini previsti dagli artt. 41 e
42 del Codice di Giustizia Sportiva.
In particolare, le suddette disposizioni stabiliscono che il termine per comparire innanzi
all’Organo di giustizia sportiva non può essere inferiore a 10 giorni liberi decorrenti dalla data di
ricezione dell’avviso di convocazione e che tale termine si estende anche ai gravami.
Con specifico riguardo al giudizio di revocazione, l’art. 39 C.G.S. stabilisce che a tali
procedimenti si applicano, in quanto compatibili, le norme procedurali dei giudizi di ultima istanza.
Da ciò discenderebbe, secondo la società istante, la nullità del giudizio di revocazione, atteso che i
termini sopra richiamati non sarebbero stati rispettati, con conseguente lesione del diritto di difesa e
del principio del contraddittorio.
Ad avviso del Collegio, anche quest’ultima eccezione non merita accoglimento. Premesso che
il Potenza si è regolarmente costituito nel giudizio davanti alla Corte di Giustizia Federale, è bene
considerare che la norma sul giudizio di revocazione è contenuta nel Titolo IV del Codice di
Giustizia Sportiva ed assume la posizione logica di norma generale. Rispetto a questo Titolo, le
norme contenute al Titolo V, che riguardano specificamente il termine per comparire innanzi
all’Organo di giustizia sportiva, hanno una portata eccezionale che non consente la loro
applicazione oltre i casi e i tempi considerati.
Ne discende che la norma sul giudizio di revocazione non soggiace ai termini indicati
dall’art. 41, essendo del tutto irrilevante la circostanza che il giudizio di revocazione trovi il suo
presupposto in un illecito sportivo.
2) Passando ora al merito della controversia, il Collegio valuta opportuno individuare, in
primo luogo, i fatti oggetto del giudizio di revocazione, per un più attento scrutinio della decisione
resa dalla Corte di Giustizia Federale in data 19.03.2010.
Le circostanze di fatto sulle quali si fonda la decisione del giudice della revocazione possono
così riassumersi:
ì) la mancata partecipazione alla gara Potenza – Salernitana del 20.04.2008 di tre titolari del
Potenza e consegna agli stessi di un ingente somma di denaro;
ìì) la consegna, dopo la suddetta gara, da parte del sig. Evangelisti al sig. Postiglione,
all’epoca presidente del Potenza, di una busta contenente una rilevante somma di denaro contante;
ììì) la ricezione, da parte del presidente Postiglione, di un sms di minaccia, inviato da un indirizzo
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NOTE A SENTENZA
L'illecito sportivo e la valutazione…
IP collegato ad un’utenza telefonica intestata ad una società riconducibile alla famiglia del
medesimo Postiglione.
2.1.) Con specifico riguardo alla mancata partecipazione alla gara Potenza – Salernitana del
20.04.2008, di tre giocatori titolari della squadra locale, occorre riepilogare brevemente le
contrapposte posizioni delle parti.
Secondo la tesi sostenuta dalla difesa della società istante, l’esclusione dei tre titolari sarebbe
dovuta esclusivamente a ragioni di opportunità e sicurezza. L’origine salernitana dei suddetti
calciatori avrebbe potuto, infatti, inasprire gli animi della tifoseria della squadra ospite, provocando
possibili ritorsioni nei confronti dei medesimi giocatori in caso di vittoria del Potenza.
Con riferimento, invece, all’avvenuto pagamento in favore dei medesimi calciatori di
un’ingente somma di denaro in contanti nei giorni immediatamente successivi alla partita, la società
istante sostiene che tali importi siano stati corrisposti a titolo di rimborso spese, nonchè a titolo di
corrispettivo per un contratto di cessione di diritti di immagine.
Secondo la difesa della FIGC, invece, l’avvenuta esclusione dalla partita dei tre giocatori del
Potenza dimostrerebbe la chiara volontà di indebolire la squadra e favorire la vittoria della
Salernitana.
La suddetta volontà risulterebbe dimostrata, secondo parte convenuta, da una serie di
circostanze.
In primo luogo, la difesa della FIGC riporta le dichiarazioni dei sigg.ri Lopiano e De Angelis,
che, all’epoca, gestivano il settore giovanile del Potenza.
I suddetti dirigenti, nel corso del procedimento penale sulle cui risultanze probatorie si è
fondato il ricorso per revocazione, hanno riferito della intenzione, più volte manifestata dal
Presidente in vista della gara contro la Salernitana, di trovare alternative alla migliore formazione
del Potenza.
Ebbene, secondo la FIGC, la credibilità di tali affermazioni discenderebbe, sul piano
oggettivo, dalla effettiva e ingiustificata esclusione dalla gara dei tre giocatori titolari, mentre sul
piano soggettivo, dalla attendibilità dei sigg.ri Lopiano e De Angelis, i quali erano legati al pres.
Postiglione da assidui rapporti di frequentazione e non nutrivano alcuna ragione di ostilità nei
riguardi del medesimo.
A conferma di quanto sopra esposto, la difesa della FIGC valuta poi rilevante l’avvenuta
consegna ai tre calciatori esclusi dalla gara di un’ingente somma di denaro in contanti.
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NOTE A SENTENZA
L'illecito sportivo e la valutazione…
Tale pagamento, infatti, per il periodo in cui lo stesso è avvenuto, per la forma utilizzata,
nonchè per la genericità della giustificazione addotta dal Potenza, potrebbe rappresentare il
compenso stabilito in favore dei giocatori esclusi per il sacrificio ai medesimi imposto.
Altra circostanza emersa nell’ambito delle indagini penali e oggetto di ricorso per
revocazione è poi l’incontro tra il presidente Postiglione ed il sig. Evangelisti, all’epoca direttore
sportivo del Martina Franca, subito dopo la conclusione della gara Potenza – Salernitana del
20.04.2008. Secondo quanto emerso dalle intercettazioni telefoniche, nonché dalle dichiarazioni
rese dai sigg.ri Lopiano e De Angelis, Postiglione ed Evangelisti si sarebbero incontrati dopo la gara
presso un’area di servizio e, in tale occasione, il secondo avrebbe corrisposto al primo una somma
di denaro in contanti pari a circa 150.000 euro.
La suddetta circostanza dimostrerebbe, sempre secondo la difesa della FIGC, l’intenzione del
presidente Postiglione di favorire la vittoria della Salernitana, ottenendo in cambio un corrispettivo
in denaro, che avrebbe poi distribuito in parte ai giocatori esclusi dalla gara a titolo di ricompensa.
Secondo la difesa della società istante, invece, le intercettazioni telefoniche richiamate dalla
convenuta non dimostrerebbero affatto la preesistenza di un accordo tra i due tesserati, il cui
incontro, al contrario di quanto sostenuto dalla FIGC, appare casuale e dal contenuto affatto
inattendibile.
Per di più sarebbero del tutto contraddittorie le versioni del medesimo fornite da Lopiano e
De Angelis, sia con riguardo al numero di partecipanti all’incontro, sia con riguardo al tipo di
autovettura utilizzata, sia, infine, con riguardo al luogo nel quale l’incontro si sarebbe tenuto. Fatti
questi dai quali emergerebbe la totale inattendibilità dei testi, mossi solo dall’obiettivo di screditare
il Postiglione, il quale non avrebbe rinnovato ai medesimi il contratto di collaborazione sportiva.
La difesa del Potenza sottolinea, infatti, la circostanza che i sigg.ri Lopiano e De Angelis, già
ascoltati in qualità di testimoni nel momento in cui ricoprivano il ruolo di gestori del settore
giovanile del Potenza, hanno rilasciato le richiamate dichiarazioni solo successivamente alla
conclusione, nient’affatto consensuale, del citato rapporto di collaborazione.
Infine, sottolinea il Potenza, le dichiarazioni dei sigg.ri Lopiano e De Angelis circa lo
scambio della somma di denaro sarebbero contraddittorie e poco attendibili.
L’ultima delle circostanze richiamate dalla Procura Federale nel proprio ricorso per
revocazione concerne, invece, la ricezione di un sms di minacce da parte del presidente Postiglione,
inviato da un’utenza telefonica intestata ad una società riconducibile alla famiglia del medesimo
dirigente del Potenza.
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NOTE A SENTENZA
L'illecito sportivo e la valutazione…
Con riferimento a tale circostanza, la difesa della FIGC ha sostenuto che l’invio dell’sms
fosse stato effettuato dal medesimo Postiglione, al fine di indurre l’opinione pubblica a credere che
prima della gara con la Salernitana vi fosse uno stato di tensione tale da rendere necessario
escludere dalla partita i tre giocatori del Potenza con origini salernitane.
In questo modo, infatti, la sostituzione, altrimenti inspiegabile, dei tre giocatori titolari
avrebbe trovato una plausibile spiegazione, senza far sorgere sospetti circa l’esistenza di un accordo
finalizzato a favorire la Salernitana.
In risposta alle deduzioni della FIGC, la difesa del Potenza ha però sostenuto l’insussistenza
di elementi oggettivamente idonei a dimostrare che il messaggio di testo ricevuto dal presidente
Postiglione sia stato effettivamente inviato dall’utenza telefonica intestata ad una società
riconducibile alla sua famiglia.
Da alcuni accertamenti tecnici, infatti, risulterebbero delle incongruenze nella procedura di
registrazione al portale dal quale la società riconducibile alla famiglia del presidente Postiglione
avrebbe inviato a quest’ultimo il messaggio di cui si discute.
L’inserimento del codice inviato all’utente, e necessario all’invio degli sms, sarebbe
avvenuto, infatti, prima che lo stesso sia stato ricevuto dall’utente medesimo.
3) Alla luce delle circostanze sopra riportate, il Collegio valuta opportuno svolgere una serie
di considerazioni.
In primo luogo, si osserva che le circostanze di fatto sulle quali si fonda il provvedimento del
giudice della revocazione non possono essere valutate separatamente, ma devono necessariamente
essere esaminate nel loro complesso, in modo tale da individuare il legame esistente tra le stesse.
D’altro canto, non bisogna commettere l’errore di inserire determinati elementi
o condotte all’interno di un sistema probatorio complesso, al solo fine di avvalorare una
determinata tesi. È bene chiarire fin da subito, infatti, che non tutti i fatti emersi nell’ambito del
processo penale, e oggetto del giudizio per revocazione, sono stati provati allo stesso modo. Alcuni
di essi risultano effettivamente dimostrati, altri, al contrario, si fondano su elementi probatori poco
attendibili.
Ciò premesso, osserva il Collegio, con riguardo alla prima delle richiamate circostanze, che,
se da un lato risultano certi sia l’esclusione dei tre giocatori titolari, sia la corresponsione in favore
di questi ultimi di un’ingente somma di denaro, dall’altro lato, non vi è alcuna certezza circa
l’effettiva causale del pagamento.
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NOTE A SENTENZA
L'illecito sportivo e la valutazione…
Con specifico riguardo a quest’ultimo elemento, infatti, la difesa del Potenza ha sostenuto
trattarsi di somme corrisposte a titolo di rimborso spese e di corrispettivo di un contratto di cessione
di diritti di immagine, mentre in sede di processo penale si era pensato che i suddetti importi fossero
stati elargiti a saldo di alcuni stipendi arretrati.
In conclusione, se per un verso sussistono una serie di elementi probatori idonei a dimostrare
la volontà del presidente del Potenza di escludere tre giocatori dalla formazione da impiegare nella
gara con la Salernitana, da altro verso, non vi è analoga certezza circa le ragioni del pagamento
effettuato in favore dei medesimi calciatori a breve distanza dalla partita.
La tesi del corrispettivo, accordato ai tre giocatori in cambio dell’accettazione della loro
esclusione, non risulta, infatti, adeguatamente dimostrata.
Analogo discorso può poi essere svolto relativamente alla consegna in favore del presidente
del Potenza di una ingente somma di denaro, pari a circa 150.000 euro, a pochi minuti dalla
conclusione della gara vinta dalla Salernitana.
Con riguardo a tale circostanza, infatti, risulta adeguatamente provato l’incontro tra il
presidente Postiglione e il sig. Evangelisti poco dopo la conclusione della partita; anche la consegna
della somma di denaro risulta del pari provata attraverso la deposizione di Lopiano e De Angelis;
sussistono, invece, oggettive incertezze circa il ruolo svolto dal soggetto che avrebbe consegnato il
denaro, nonché le ragioni sottese a tale consegna.
Dalle intercettazioni telefoniche raccolte dagli inquirenti, nonché dalle dichiarazioni rese dai
più volte citati sigg.ri Lopiano e De Angelis, risulta esclusivamente che, poco dopo la conclusione
della gara con la Salernitana, il presidente Postiglione abbia contattato il sig. Evangelisti, al fine di
incontrarsi in un’area di servizio nella zona di Foggia.
Secondo quanto affermato dai sigg.ri Lopiano e De Angelis, poi, il sig. Postiglione,
allontanatosi dall’auto per incontrarsi con il sig. Evangelisti, sarebbe tornato in macchina ed
avrebbe contato davanti ai medesimi le banconote appena ricevute.
Da quanto sopra esposto, quindi, il momento in cui è avvenuta la consegna di denaro (poco
dopo la fine della partita), nonché le modalità della stessa (consegna avvenuta in contanti e in
un’area di servizio), lasciano presumere trattarsi di un pagamento illecito, non sussistono certezze
assolute circa il titolo della consegna della somma.
Del resto, mentre le dichiarazioni rese dai sigg.ri Lopiano e De Angelis, nonché le
intercettazioni telefoniche risultano al riguardo poco chiare, è opportuno rilevare che il sig.
Evangelisti, che di fatto avrebbe provveduto alla consegna del denaro, non aveva, almeno in
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NOTE A SENTENZA
L'illecito sportivo e la valutazione…
apparenza, alcun collegamento con la Salernitana, ricoprendo, all’epoca dei fatti, il ruolo di
direttore sportivo del Martina Franca.
È opportuno osservare, infine, che non risulta agli atti alcuna prova o indizio dai quali poter
presumere che vi sia stato un contatto tra il Potenza e la Salernitana o, quantomeno, tra quest’ultima
società e il sig. Evangelisti. Analogo discorso deve, infine, essere svolto relativamente alla ricezione
da parte del presidente del Potenza di un sms inviato da un’utenza telefonica intestata ad una società
riconducibile alla sua famiglia.
A tal riguardo, infatti, le considerazioni svolte dalla difesa del Potenza risultano
potenzialmente idonee a confutare la tesi sostenuta dalla FIGC. La procedura di registrazione al
portale attraverso il quale la società riconducibile alla famiglia del Postiglione avrebbe inviato al
medesimo l’sms di minacce, sembra, infatti, viziata da alcune incongruenze.
La conferma della registrazione al portale risulta avvenuta successivamente al completamento
dell’iscrizione della società; l’inserimento del codice inviato all’utente sarebbe cioè avvenuto prima
che lo stesso sia stato ricevuto dall’utente medesimo.
4) Alla luce dell’esame dei principali fatti oggetto di controversia, il Collegio valuta corretto,
ai fini della decisione, esaminare le suddette circostanze nel loro complesso.
Da quanto sopra esposto, nonché dalle altre circostanze di fatto raccolte dagli organi
inquirenti, emerge quanto segue. In primo luogo, non vi è dubbio che il presidente del Potenza
abbia inciso sulla scelta della formazione impiegata nella gara contro la Salernitana.
La decisione di escludere tre giocatori dalla formazione è riconducibile, infatti, al solo
presidente; e ciò risulta adeguatamente dimostrato dagli elementi raccolti nel corso delle indagini
penali. Le ragioni sottese a tale scelta risultano tuttavia poco chiare, anche se sussistono una serie di
circostanze piuttosto univoche che lasciano presumere esservi stato, da parte del presidente,
l’intento di favorire la vittoria della Salernitana.
A tal riguardo, si osserva, inoltre, che altri calciatori di origini salernitane sono stati
regolarmente impiegati nella formazione del Potenza, facendo così venir meno la teoria della
necessaria esclusione dei tre calciatori originari di Salerno per ragioni di sicurezza.
Per quanto concerne, invece, l’ipotetico profitto conseguito dal presidente del Potenza per
aver favorito la vittoria della Salernitana nella gara del 20.04.2008, non è stata offerta una prova
soddisfacente.
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NOTE A SENTENZA
L'illecito sportivo e la valutazione…
Se da un lato, infatti, non sussistono dubbi circa il carattere anomalo dei pagamenti, sia per il
momento in cui gli stessi sono avvenuti, sia per la forma utilizzata, non vi sono, tuttavia, elementi
probatori idonei a dimostrare che le somme di denaro ricevute dal sig. Evangelisti, nonché quelle
consegnate ai tre giocatori esclusi, siano effettivamente riconducibili al risultato della richiamata
partita del 20.04.2008.
In ragione di quanto sopra esposto, il Collegio valuta opportuno riformare la decisione assunta
dalla Corte di Giustizia Federale della FIGC nella riunione del 19.03.2010 (C.U. n. 200/CGF), con
conseguente modifica della sanzione della esclusione del Potenza dal Campionato di competenza
con assegnazione ad uno dei Campionati di Categoria inferiore.
Ad avviso del Collegio, infatti, la richiamata sanzione risulta eccessiva e non giustificata
dalle risultanze probatorie emerse nel corso dei procedimenti penali e disciplinari che hanno
coinvolto i dirigenti del Potenza. Per tali motivi, il Collegio, in riforma della decisione della Corte
di Giustizia Federale del 19.03.2010, condanna il Potenza Sport Club s.r.l. alla retrocessione diretta
al Campionato di Seconda Divisione.
5) Quanto alle spese, il Collegio pone a carico del Potenza Sport s.r.l. i 2/3 delle spese di lite e
a carico della FIGC il restante terzo.
6) Il Collegio ritiene di determinare nella misura di € 6.000 i propri onorari, ponendo i 2/3 a
carico del Potenza Sport s.r.l. ed il restante terzo a carico della FIGC.
PQM IL COLLEGIO ARBITRALE
all’unanimità e definitivamente pronunciando, accoglie in parte l’istanza d’arbitrato in
epigrafe e per l’effetto così dispone per quanto di ragione e nei sensi di cui in motivazione:
a) in parziale riforma dell’impugnata decisione della Corte di Giustizia Federale della
Federazione Italiana Giuoco Calcio, retrocede Potenza Sport Srl all’ultimo posto in classifica del
Campionato Lega Pro di Prima Divisione a.s. 2009 / 2010 a norma dell’art. 18, lett. h) del Codice di
Giustizia Sportiva;
b) pone a carico del Potenza Sport Srl i 2/3 delle spese di lite che liquida, per questa quota, in
€ 1.300 e compensa il restante terzo;
c) pone a carico del Potenza Sport Srl i 2/3 e a carico della Federazione Italiana Giuoco
Calcio il restante terzo delle spese e degli onorari degli Arbitri, liquidati complessivamente in €
6.000 con il vincolo di solidarietà;
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NOTE A SENTENZA
L'illecito sportivo e la valutazione…
d) pone a carico del Potenza Sport Srl i 2/3 e a carico della Federazione Italiana Giuoco
Calcio il restante terzo dei diritti amministrativi per il Tribunale nazionale di arbitrato per lo Sport;
e) dispone che i diritti amministrativi versati dalle parti siano incamerati dal Tribunale
nazionale di arbitrato per lo sport.
Così deliberato in data 1 aprile 2010 e sottoscritto in numero di tre originali nei luoghi e nelle
date di seguito indicati.
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NOTE A SENTENZA
L'illecito sportivo e la valutazione…
L’ILLECITO SPORTIVO
E LA VALUTAZIONE DELLE PRESUNZIONI
NOTA
A
TRA
LODO ARBITRALE T.N.A.S . DEL 1.4.2010
POTENZA SPORT CLUB S.R.L. E F. I.G.C.
di Andrea Petretto (*)
I – Il caso
Il lodo in analisi scaturisce dall’iniziale deferimento da parte del Procuratore Federale innanzi
alla Commissione Nazionale della F.I.G.C. del Potenza Sport Club S.r.l. (breviter Potenza) a titolo
di responsabilità diretta per la violazione degli artt. 7, comma 1, e 6, comma 1, del Codice di
Giustizia Sportiva, conseguentemente ai comportamenti adottati dai propri rappresentanti pro
tempore, i Sigg.ri Giuseppe Postiglione e Pasquale Guizio, a seguito della partita Potenza –
Salernitana del 20.4.2008.
In tale occasione, infatti, i medesimi rappresentanti avrebbero adottato delle condotte volte
all’alterazione del regolare svolgimento della gara sopra menzionata venendo così accusati di
concorso in illecito sportivo, nonché di inadempienza ai doveri di lealtà, correttezza e probità degli
stessi in sede di audizione innanzi agli organi competenti.
A conclusione di quanto sopra, la Commissione Disciplinare Nazionale emetteva una delibera
con cui proscioglieva i Sigg.ri Giuseppe Postiglione e Pasquale Guizio per gli addebiti relativi alla
partecipazione al contestato illecito sportivo riconoscendoli, però, colpevoli della sola violazione
dell’art. 1, comma 1, Codice di Giustizia Sportiva con conseguente inibizione e una penalizzazione
di tre punti in classifica al Potenza oltre ad un’ammenda di € 50.000,00.
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NOTE A SENTENZA
L'illecito sportivo e la valutazione…
Successivamente, a seguito della notizia dell’arresto dei Sigg.ri Postiglione e Guizio
unitamente al’acquisizione degli atti del procedimento penale in corso presso la Procura della
Repubblica di Potenza, il Procuratore Federale, in data 9.1.2010, proponeva ricorso per revocazione
ex art. 39, comma 1 lett. d) del C.G.S..
La Corte di Giustizia Federale, con pronuncia del 19.3.2010, riteneva ammissibile il suddetto
ricorso solo nei confronti del Sig. Postiglione e del Potenza escludendo quest’ultima dal
Campionato di propria competenza e susseguente richiesta di assegnazione ad uno dei Campionati
di categoria inferiore.
Il Potenza, quindi, impugnava il provvedimento così adottato dalla Corte di Giustizia Federale
richiedendone l’accertamento e la dichiarazione di illegittimità e di infondatezza presso la
competente sede del Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport che, in parziale riforma della
decisione della Corte di Giustizia Federale della F.I.G.C. retrocedeva il Potenza all’ultimo posto in
classifica del Campionato Lega Pro di Prima Divisione a.s. 2009/2010 a norma dell’art. 18, lett. h)
del C.G.S..
II – L’art. 7 del Codice di Giustizia Sportiva e le presunzioni
In prima istanza, dunque, il T.N.A.S. analizza puntualmente, e conseguentemente respinge, le
eccezioni preliminari mosse dalla difesa del Potenza in ordine alla proponibilità, nonché tardività,
del ricorso per revocazione presentato dal Procuratore Federale a seguito della conoscenza dei fatti
posti a fondamento del proprio ricorso e riguardanti l’arresto del Presidente del Potenza, il Sig.
Postiglione, per il reato di associazione per delinquere finalizzata ala frode sportiva.
Il Collegio del T.N.A.S., riportandosi a quanto già chiaramente dedotto dalla Corte di
Giustizia Federale nella motivazione della propria pronuncia, rileva in modo esplicito come il
momento dal quale decorrono i termini di trenta giorni per la presentazione di tale tipo di ricorso
devono decorrere dalla data in cui la Procura federale ha ottenuto dalla Procura della Repubblica la
copia degli atti del procedimento penale e non, come conteggiato dalla difesa del Potenza,
dall’acquisizione della stessa Procura Federale delle sommarie informazioni.
È solo dal suddetto momento, infatti, che si sarà nella possibilità di conoscere pienamente dei
fatti e dei documenti sui quali poi si potrà effettivamente fondare il ricorso per revocazione.
72
NOTE A SENTENZA
L'illecito sportivo e la valutazione…
Esaurita la dovuta e prodromica considerazione in ordine all’ammissibilità del ricorso per
revocazione, e, dunque, inammissibilità delle eccezioni opposte da parte istante, il T.N.A.S. entra
nel merito della controversia.
In particolare da subito rileva come le circostanze di fatto sulle quali si fonda il
provvedimento del giudice della revocazione devono essere esaminate e valutate nel loro insieme e
nella relazione intercorrente tra le stesse.
In modo piuttosto inequivoco, infatti, statuisce come “non tutti i fatti emersi nell’ambito del
processo penale e oggetto del giudizio per revocazione, sono stati provati allo stesso modo. Alcuni
di essi risultano effettivamente dimostrati, altri al contrario, si fondano su elementi probatori poco
attendibili” e ponderati, dunque, in maniera adeguata.
Da subito, dunque, si è ritenuto di dover motivare detta posizione anticipando al contempo
quanto contenuto nel dispositivo finale.
Il Collegio Arbitrale, infatti, a fondamento di quanto deciso ha da subito precisato come non
vi fossero chiari, fondati e dimostrati presupposti al fine di provvedere in modo tale da confermare
la precedente decisione ritenuta dallo stesso Collegio del T.N.A.S. eccessiva.
Nel corpo del lodo il Collegio argomenta, infatti, come non si possa dedurre in modo univoco
il nesso causale tra gli eventi verificati e il risultato della gara tra Potenza e Salernitana.
L’esclusione dei giocatori, la corresponsione in favore degli stessi di una somma cospicua di
denaro nonché della somma di € 150.000,00 corrisposta al presidente del Potenza a pochi minuti
dalla gara vinta dalla Salernitana non risultano, secondo il Collegio, collegate da un reale nesso
causale, indispensabile al fine di poter dimostrare come quanto effettivamente accaduto in corso di
gara sia stato quanto stabilito e artatamente deciso.
Il T.N.A.S., infatti, evidenzia come seppur la consegna di una somma denaro, l’entità della
stessa e la modalità in cui è avvenuta lasciano presumere un pagamento illecito, non sussistono,
però, certezze assolute in merito alle stesse.
Nella parte conclusiva del lodo, infatti, il Collegio Arbitrale chiamato a decidere della sottesa
controversia manifestamente afferma come le circostanze tutte facciano presumere l’esistenza e
l’attuazione di un illecito sportivo volto all’alterazione dello svolgimento della gara e, dunque, del
Campionato, ma, allo stesso modo, valutate nel loro complesso e concordemente ad altre e
contrastanti non sia possibile rilevare elementi probatori idonei a dimostrarne l’esistenza dello
stesso.
73
NOTE A SENTENZA
L'illecito sportivo e la valutazione…
In particolare, l’ipotetico profitto conseguito dal Presidente del Potenza non può ritenersi
dimostrato, poiché altri giocatori di origine salernitana sono stati comunque impiegati nella suddetta
gara, così come il pagamento anomalo sia per entità e per modalità possano richiamare come effetto
il risultato della gara sottesa.
Più volte, dunque, nel caso de quo, il T.N.A.S. parla ed usa il termine presumere e
specificamente deduce l’impossibilità di poter usare alcuni fatti e, o circostanze di fatto idonee a
poter confermare la precedente decisione.
Rileva, a questo punto, richiamare quanto contenuto nell’art. 7, comma 1, del Codice di
Giustizia Sportiva, e in particolare all’uso dell’espressione “atti diretti” cui conducono alla
identificazione di un illecito sportivo.
L’utilizzo di detta espressione conferisce all’illecito sportivo una sorta di aleatorietà circa
l’effettivo verificarsi dell’evento dannoso con l’inevitabile conseguente interpretazione di
avvicinare quanto in esso contenuto alla struttura del reato di attentato o consumazione anticipata a
prescindere dall’effettivo conseguimento di un qualche vantaggio.
Il parlare di atti diretti presuppone, infatti, un richiamo all’art. 56 Cod. Pen. disciplinante il
tentativo di reato il che porta ad un’ulteriore considerazione: nel Codice Giustizia Sportiva manca
non solo il requisito dell’idoneità, ma anche quello dell’univocità, elementi fondamentali perché
venga configurato un delitto tentato.
Ebbene, pur mancando dei requisiti dell’idoneità e dell’univocità tipici dell’art. 56 Cod. Pen.
cui l’art. 7 richiamato viene affiancato, giurisprudenza di settore ha in via interpretativa avvicinato
proprio in questo senso i due articoli richiedendo ai fini dell’integrazione dell’illecito sportivo
anche il requisito della idoneità degli atti.
Nella cosiddetta “idoneità”, come detto non contemplata quale elemento essenziale nell’art. 7
Cod. Giustizia Sportiva, si ravvisa, infatti, il requisito della minaccia, o della messa in pericolo,
obiettivamente accertabile, che deve provocare un’effettiva lesione del protetto.
Ebbene, essendo proprio questo ciò cui mira il “legislatore sportivo” laddove inserisce la
specifica “con qualsiasi mezzo”, gli atti, oltre ad essere diretti e mirare ad ottenere un’alterazione
dello svolgimento della gara, come nel caso de quo, devono essere anche ritenuti idonei a tale scopo
che poi verrà o meno raggiunto.
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NOTE A SENTENZA
L'illecito sportivo e la valutazione…
Il lodo qui in analisi parte proprio da detti presupposti lì dove nella ricerca delle basi su cui
fondare il proprio convincimento non ritiene vi siano gli estremi affinché i comportamenti adottati
siano da ritenersi diretti e idonei ai fini della comprovata alterazione del regolare svolgimento della
gara e sussistano, dunque, gli estremi dell’illecito sportivo.
Secondo l’orientamento dottrinale penalistico adottato per l’art. 56 Cod. Pen., da recepire qui
in via analogica, idonei, pertanto, saranno gli atti che manifestano un potenziale offensivo il cui
effetto non si è concretizzato solo per ragioni indipendenti dalla volontà del colpevole.
Un’importante considerazione da fare, dunque, è sul fatto che la presenza di detto requisito
potrà e dovrà ricercarsi e trovarsi sempre e comunque in relazione al caso concreto.
Gli atti, infatti, dovranno essere considerati nel contesto in cui si inseriscono. Solo così si
potrà accertare la potenziale capacità lesiva delle condotte poste in essere, non potendo prescindere
da una comparazione delle stesse con il complesso delle circostanze sottese.
L’illecito sportivo, dunque, si ritiene perfezionato non necessariamente con il conseguente
evento in senso naturalistico che si consuma anche con il semplice tentativo di corruzione, bensì
basta la mera messa in opera di atti diretti ad alterare il fisiologico svolgimento della gara.
Ebbene, l’apprezzabile lavoro svolto dal Collegio arbitrale qui chiamato a decidere della
sottesa controversia, è elogiabile proprio per aver abbracciato pienamente detta posizione e aver
seguito un iter di ricerca ed analisi proprio nel senso appena indicato.
Secondo quanto rilevato dal Collegio Arbitrale del T.N.A.S., infatti, non si ravvisano gli
elementi necessari ai fini dell’integrazione dello stesso illecito quale, appunto, il nesso tra quanto
verificato e quanto poi accaduto.
Inoltre, secondo quanto statuito dalla C.A.F. stessa, ad avvalorare così la posizione adottata
dal T.N.A.S., l’illecito per essere tale deve essere provato oltre ogni dubbio dovendo giungere ad un
giudizio di proscioglimento degli addebiti pur in presenza di indizi di reità non caratterizzati da
precisi e concordanti elementi probatori.
Di tal guisa si entrerà e si dovrà tenere in debita considerazione tutto il campo delle
presunzioni al quale anche il legislatore statuale si è ispirato per disciplinare proprio il reato di frode
in competizioni sportive introdotto con la L. n.. 401 del 19891.
Le presunzioni, dunque, quali operazioni di elaborazione logica della prova che possono
essere utilizzate dal giudice a fondamento della propria decisione in presenza di determinati
requisiti acquisiscono un ruolo tanto importante quanto delicato ai fini proprio della loro
valutazione e adozione.
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NOTE A SENTENZA
L'illecito sportivo e la valutazione…
Si è osservato, dunque, come nell’ordinamento sportivo queste non possono essere altro che
semplici o di fatto e quindi non predeterminate dal legislatore.
Per tale motivo le presunzioni che verranno, e che potranno, essere utilizzate nell’ambito che
qui interessa, saranno soggette a quanto contenuto nell’art. 2729 Cod. Civ. secondo il quale “le
presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve
ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti”.
La loro utilizzazione a fini probatori, pertanto, rappresenta il risultato del libero
apprezzamento del giudice compiuto sulla base delle regole di esperienza.
I requisiti della gravità, precisione e concordanza, contrariamente a quanto risulta dall’art.
2729 Cod. Civ. non devono riferirsi, però, alle presunzioni in senso stretto, ma, piuttosto, agli
elementi o indizi in base ai quali è possibile pervenire alla presunzione.
La presunzione, infatti, altro non è che un processo dinamico, un ragionamento e la forza
della conclusione cui il giudice perviene dipende proprio dalle basi del ragionamento stesso e dalla
presenza di elementi che presentino le caratteristiche richieste.
Ciò che la legge richiede è, dunque, l’univocità di conclusioni determinate da elementi
indiziari gravi, precisi e concordanti.
La presunzione, quindi, è in ambito sportivo un efficace, se non il più efficace quanto
necessario mezzo probatorio al fine di delineare l’accusa di illecito sportivo.
Ebbene, proprio sulla base anche di quanto appena accennato risulta ancora più condivisibile
quanto adottato, o meglio, i criteri adottati dal Collegio Arbitrale del T.N.A.S. al fine di giungere
alla decisione qui in analisi.
Nonostante questo, però, emergono delle problematiche che rimangono ancora aperte e
irrisolte e che dovrebbero offrire spunti per ulteriori approfondimenti ed eventuali, quanto
auspicabili, interventi nel campo della giustizia sportiva.
Seppur l’ordinamento sportivo ha, infatti, inteso istituire un proprio sistema di giustizia,
strutturato in modo analogo a quello statale, con la funzione di risolvere in tempi brevi e in maniera
competente le controversie tra i suoi esponenti con l’intento di evitare ogni sorta di influenza sulla
giurisdizione statale, talvolta, come nel caso qui in esame, si verifica la situazione opposta in cui
decisioni dell’ordinamento statale vadano ad influenzare necessariamente quanto disposto
all’interno dei regolamenti federali e dell’ordinamento sportivo.
76
NOTE A SENTENZA
L'illecito sportivo e la valutazione…
Di certo non è un campo di facile trattazione poiché in merito al rapporto fra illecito sportivo
e penale possono verificarsi diverse possibili soluzioni come ad esempio che il fatto costituisca solo
un illecito sportivo, e in tal caso verrà perseguito solo dal giudice sportivo oppure che il fatto
costituisca illecito sportivo e penale, caso questo in cui sentenzieranno entrambi ed in piena
autonomia ed entrambe le sanzioni, siano esse concordi o discordi, passeranno in giudicato.
Ebbene è proprio nella seconda ipotesi che si ritiene di dover in qualche modo intervenire
poiché, se in astratto i due ordinamenti e conseguenti decisioni sono autonome ed indipendenti di
fatto non risulta essere in questo modo come si evince dal caso qui in considerazione.
Nella vicenda sottesa, infatti, successivamente a quanto emerso in sede penale si sono
verificati ulteriori sviluppi in sede sportiva a discapito, però, di alcuni elementi caratterizzanti e
tipici dell’ordinamento sportivo quali l’autonomia, da un lato, e la celerità, dall’altro, insita nelle
esigenze dello stesso.
L’ordinamento sportivo, invero, nasce proprio dall’esigenza di vedere giudicate e sanzionate
determinate condotte in modo certo, competente quanto univoco, ma in termini ristretti al fine di
non vedere falsati i reali interessi dello sport e di non innescare ulteriori meccanismi estranei alla
materia sportiva, ma che inevitabilmente esistono e vi si combinano.
Seppur, dunque, quanto posto in essere, da un lato, rispecchia la regolare adozione dell’attuale
normativa, dall’altro, evidenzia come nella stessa vi sia ancora qualche falla da colmare non
potendosi condividere l’attesa di un periodo di due anni per la definizione di una vicenda che è
comunque da ritenersi sportiva.
(*) Dottore, praticante abilitato, assistente Università degli Studi del Foro Italico, Roma
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NOTE A SENTENZA
Una sentenza “Pilato”...
UNA SENTENZA “PILATO” DEL TRIBUNALE DI
MILANO SUL LAVORO SPORTIVO DILETTANTISTICO
NOTA A SENTENZA DEL TRIBUNALE DI MILANO
SEZIONE LAVORO – DEL 24 MARZO 2010 n. 1302
di Carmine Fabio La Torre (*)
Sommario:
1. Premessa
2. Il Fatto
3. La non deducibilità in arbitrato delle controversie di lavoro sportivo dilettantistico
4. L'equivoco del lavoro gratuito
5. Il diritto alla prova
6. Conclusioni
1. Premessa
La sentenza n. 1302/2010 del Tribunale di Milano sul rapporto di lavoro sportivo
dilettantistico ha tradito le forti aspettative “emozionali” degli esperti di settore, poiché a parere
dello scrivente la decisione ha fallito tutti gli obiettivi di carattere logico-giuridico che il giudicante
avrebbe dovuto perseguire, per poter essere definito “organo di terza parte” che risolve realmente i
problemi di dubbia applicabilità della normativa “effettiva” allorquando si è in presenza di un
dualismo tra norme di diritto comune e norme di carattere endoassociativo.
In ogni caso, la pronuncia è fondamentale perché evidenzia non solo il disinteresse del
giudice del lavoro ad affrontare una tematica di grande attualità ma anche la non conoscenza del
sistema Sport rapportato al diritto comune.
NOTE A SENTENZA
78
Una sentenza “Pilato”...
2. Il Fatto
Il caso concreto, portato all’attenzione del giudice del lavoro di Milano, riguarda un
lavoratore che dichiara di aver svolto una prestazione di fatto con qualifica di allenatore dilettante
presso un’associazione polisportiva dilettantistica.
In particolare, il ricorrente ha chiesto al giudice del lavoro di accertare la natura subordinata
della prestazione resa, mentre, la resistente si è difesa eccependo, in primo luogo, il difetto di
giurisdizione del giudicante, in secondo luogo, la gratuità della prestazione lavorativa.
Particolare attenzione deve essere attribuita alle prove precostituite fornite dalle parti. Tant’è
che il ricorrente ha fornito (tra le tante) dei referti di gara ed un attestato di “allenatore di base”
rilasciato dalla F.I.G.C., mentre la resistente ha solo offerto lo stralcio dei regolamenti F.I.G.C.
Sulla base di tali fatti il giudice del lavoro non ha espletato alcuna istruttoria, rigettando però
la domanda perché “nulla risulta circa quell’assoggettamento alle direttive impartite dal datore di
lavoro per determinare le modalità, anche di tempo e di luogo, della prestazione in cui si concreta
la subordinazione, secondo la tesi c.d. sussuntiva dominante nella giurisprudenza di legittimità”.
Alla luce di tali osservazioni si fonda il presente commento che, senza voler sposare né le
ragioni dell’una né le ragioni dell’altra, altro non è che un semplice chiarimento sulle questioni
giuridiche disattese dal giudicante.
3. La non deducibilità in arbitrato delle controversie di lavoro sportivo dilettantistico
Nel caso di specie l’associazione polisportiva dilettantistica C. ha sollevato l’eccezione del
difetto di giurisdizione dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria poiché competente a decidere la
controversia, in virtù della clausola compromissoria, è il collegio arbitrale in base all’art. 30 Statuto
F.I.G.C.
A tal proposito è appena il caso di fare un breve chiarimento circa la reale natura dell’art. 30
dello Statuto F.I.G.C. e, in particolare, sulla possibile deducibilità in arbitrato della presente
controversia.
In via di prima approssimazione può ricordarsi che l’art. 30 dello Statuto F.I.G.C. non solo
non prevede ma nemmeno contiene alcun tipo di clausola compromissoria.
Tale disposizione evidenzia solo l’accettazione di provvedimenti e decisioni già emessi e
non impone ai soggetti dell’ordinamento federale di rimettere la risoluzione delle loro controversie
NOTE A SENTENZA
79
Una sentenza “Pilato”...
ad un giudizio arbitrale (salvo l’ipotesi indicata dal comma 3 dell’art. 30 concernente le
controversie, non di lavoro, tra tesserati – affiliati – federazione).
In tale disposizione, invero, non esiste il c.d. vincolo di giustizia che di solito le federazioni
sportive impongono ai loro associati.
Il vincolo di giustizia, in altre parole, può sussistere soltanto se gli statuti e i regolamenti
federali prevedono clausole compromissorie che impongono ai soggetti operanti in quello specifico
ordinamento di non rivolgersi direttamente ai giudici statali per la risoluzione delle controversie.
Alla luce di ciò è allora opportuno soffermare l’attenzione sulla dubbia deducibilità in
arbitrato delle controversie di lavoro sportivo dilettantistico.
In particolare, il sistema sportivo è dotato di regole a valenza endoassociativa che
consentono, in virtù del c.d. vincolo sportivo, la devoluzione in arbitrato1 di eventuali controversie
insorte tra tesserati ed affiliati.
Tale arbitrato ha la caratteristica che, da un lato, affida la decisione della lite a persone di
fiducia dotate di competenze tecniche (c.d. organi di giustizia sportiva) e, dall’altro, giunge alla
risoluzione della stessa in tempi più rapidi rispetto alla via giudiziaria ordinaria.
L’accordo attraverso il quale le parti deferiscono ad arbitri la decisione di una controversia è
definito convenzione arbitrale che, nel caso di specie, prende il nome di clausola compromissoria
ovvero quell’accordo inserito in un contratto con cui le parti preventivamente si impegnano affinché
una probabile e futura controversia che possa insorgere venga decisa da arbitri.
Tale clausola, per essere ritenuta valida ed efficace, deve essere approvata per iscritto2.
A differenza di quanto avviene nello sport professionistico in cui la deducibilità in arbitrato
delle controversie di lavoro è approvata per iscritto, perché prevista per legge3 e per accordo
collettivo4, nello sport dilettantistico questa possibilità non esiste.
Tale ratio è peraltro confermata dal legislatore che, in tema di controversie di lavoro,
riconosce la possibile deducibilità in arbitrato solo se prevista dalla legge o dai contratti o accordi
collettivi.
1
Sulla natura giuridica dell’arbitrato sportivo cfr. Cass. Civ., sez. I, 28 settembre 2005, n. 18919; Cass. Civ., S.U., 27 aprile 1993,
n. 2889; Cass. Civ., sez. lav., 6 aprile 1990, n. 2889.
2
Cfr. Trib. Monza, sez. IV, 16 giugno 2005, n. 1830.
3
Cfr. art. 4, comma 5, legge 23 marzo 1981 n. 91.
4
Cfr. Accordi Collettivi sottoscritti tra F.I.G.C., leghe professionistiche (Lega Calcio – Lega Pro) e associazioni di categoria
(Associazione Italiana Calciatori – Associazione Italiana Allenatori di Calcio – Associazione Direttori sportivi e Segretari).
NOTE A SENTENZA
80
Una sentenza “Pilato”...
Basti pensare che l’art. 806, comma 2, c.p.c. prescrive che “le controversie di cui all’art.
409 c.p.c. possono essere decise da arbitri solo se previste dalla legge o negli accordi collettivi di
lavoro”; l’art. 412-ter c.p.c. riconosce l’arbitrato irrituale in materia di lavoro solo “se i contratti o
accordi collettivi nazionali di lavoro prevedono tale facoltà”; l’art. 5, comma 1, legge 11 agosto
1973 ammette l’eventuale deducibilità in arbitrato irrituale alle controversie individuali di lavoro
“soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero dai contratti e accordi collettivi” e, comunque, senza
arrecare pregiudizio alle parti di adire l’autorità giudiziaria.
Da ultimo si ricorda che l’art. 3, comma 1, legge 17 ottobre 2003 n. 280 tiene ferma la
giurisdizione del giudice ordinario (specializzato) sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni
e atleti, mentre, alla giustizia sportiva resta il compito di decidere eventuali sanzioni per
l’inosservanza delle disposizioni federali o comunque facenti parte dell’ordinamento sportivo.
Ad ogni modo la giurisprudenza ritiene che, in caso di controversie di lavoro sportivo
dilettantistico, il compito del giudice è proprio quello di verificare che
l’invocata clausola
compromissoria (prevista dall’art. 30 dello Statuto F.I.G.C.) non si pone affatto da ostacolo alla
cognizione dell’A.G.O.5.
In conclusione è possibile ritenere che le controversie ricomprese nei numeri 1 e 3 dell’art.
409 c.p.c., allorché rapportate allo sport dilettantistico, non sono affatto deducibili in arbitrato.
4. L'equivoco del lavoro gratuito
Altro aspetto di particolare interesse è quello concernente la gratuità della prestazione
lavorativa.
L’associazione polisportiva dilettantistica C., infatti, ritiene che l’attività svolta dal ricorrente
non può essere di tipo oneroso perché, secondo quanto sostenuto dall’art. 42 del Regolamento della
Lega Nazionale Dilettanti F.I.G.C., “gli allenatori dilettanti svolgono la propria attività a titolo
gratuito”.
Sul punto giova ricordare che i regolamenti federali, benché clausole contrattuali aventi
natura associativa, non costituiscono atti normativi primari e, quindi, non possono in nessun modo
derogare le norme statali6.
5
6
Cfr. Trib. Forlì, sez. lav., 14 settembre 2007, n. 149; Trib. Bari, sez. lav., 10 marzo 2003, n. 6270; Trib. Modena, sez. lav., 20
febbraio 2003, n. 90; Trib. Rovigo, sez. lav., 16 giugno 2000, n. 441.
Cfr. Cass. Civ., S.U., 5 settembre 1986, n. 5430.
NOTE A SENTENZA
81
Una sentenza “Pilato”...
L’unico criterio che distingue il lavoro gratuito dal lavoro subordinato è l’utilizzo delle
norme di diritto comune e non i regolamenti della F.I.G.C.
La prestazione di lavoro, sebbene si presuma a titolo oneroso (art. 2094 c.c.), può essere di
tipo gratuito solo in vista di: rapporti di cortesia; rapporti di alto valore morale, solidaristico o
ideale; ragioni di tipo affettivo; vantaggi indiretti che il prestatore può trarre dalla prestazione.
Appare quindi alquanto improbabile che la prestazione resa da un allenatore dilettante in
favore di un’associazione sportiva dilettantistica possa ritenersi conforme a tali elementi. Cosicché
per far valere la tesi del lavoro gratuito non bisogna limitarsi, con interpretazioni di sorta, ad
evidenziare la gratuità della prestazione per espressa disposizione dei regolamenti federali bensì
fornire una rigorosa prova contraria in merito7.
Diversamente da ciò, chi intende agire in giudizio per l’accertamento della natura
subordinata della prestazione lavorativa deve provare l’esistenza degli indici rivelatori elaborati
dalla giurisprudenza8 quali unici elementi idonei a qualificare il rapporto intercorso tra le parti,
anche a prescindere dalla qualificazione formale data dalla federazione. In altre parole, un
allenatore dilettante che agisce in giudizio deve fornire la prova della sottoposizione al potere
direttivo, disciplinare e organizzativo del datore di lavoro9. Nel caso in cui detti indici non
emergano con sufficiente chiarezza è opportuno che il lavoratore dia anche prova dell’esistenza
degli indici a carattere indiziario o sussidiario10. Più in particolare, il lavoratore deve dimostrare:
l’inserimento nell’organizzazione imprenditoriale del datore di lavoro; la continuità nel tempo della
prestazione lavorativa; l’assenza in capo al lavoratore del rischio d’impresa; l’assenza di una
struttura imprenditoriale riferibile al lavoratore; i vincoli di luogo e di orario; la presunzione di
onerosità della prestazione lavorativa.
5. Il diritto alla prova
Ultima questione da affrontare è il procedimento logico-giuridico adottato dal giudice del
lavoro che dimostra, con estrema semplicità, disinteresse all’istruzione del giudizio.
Nella sentenza, infatti, si legge che il giudice ha rigettato la domanda non sul difetto di
giurisdizione dell’A.G.O. bensì perché ha ritenuto che nel ricorso nulla “risulta circa
7
8
9
10
Cfr. Cass. Civ., sez. lav., 20 febbraio 2006 n. 3602.
Cfr. Ordinanza Trib. Roma, 11 ottobre 2008, n. 101; Trib. Roma, 12 aprile 2007, n. 13406; Trib. Forlì, sez. lav., 14 settembre
2007, n. 149; Trib. Ancona, sez. lav., 4 luglio 2001, n. 147.
Cfr. Cass. Civ., sez. lav., 8 febbraio 2010 n. 2728.
Cfr. Cass. Civ., sez. lav., 19 aprile 2010 n. 9251.
NOTE A SENTENZA
82
Una sentenza “Pilato”...
quell’assoggettamento alle direttive impartite dal datore di lavoro per determinare le modalità,
anche in tempo e di luogo, della prestazione in cui si concreta la subordinazione, secondo la tesi
c.d. sussuntiva dominante nella giurisprudenza di legittimità”.
Tale assunto appare del tutto inconferente con gli atti di causa, atteso che dalla lettura del
ricorso, in estrema sintesi, emerge che il ricorrente ha dichiarato:
•
di essere stato sottoposto al potere direttivo, disciplinare ed organizzativo dell’A.P.D.C. nonché
dei suoi superiori gerarchici;
•
di aver svolto la propria attività lavorativa presso il centro sportivo dell’A.P.D.C. secondo un
orario prestabilito;
•
che era tenuto, in base alle direttive impartite dal direttore tecnico dell’A.P.D.C., a predisporre il
programma di allenamento da eseguire durante tutta la stagione sportiva e, in particolare, a
curare la preparazione teorica e tecnico-pratica degli allievi mediante l’utilizzo del materiale
didattico messo a disposizione dall’A.P.D.C.;
che era tenuto a prendere parte alle riunioni tecniche, svolte con cadenza mensile alla
presenza del Presidente e dello staff dirigenziale dell’A.P.D.C., nelle quali il Presidente
dell’A.P.D.C. constatava e contestava le modalità di allenamento attuate dagli allenatori
appartenenti all’A.P.D.C. (ivi compreso il ricorrente). L’operato del ricorrente, inoltre, veniva
contestato anche in presenza non solo degli atleti ma dei genitori degli stessi.
Alla luce di tali precisazioni sembra chiaro che nel ricorso risultano alquanto evidenti gli
indici tipici della subordinazione, tanto invocati dal giudicante.
In altri termini, il giudice avrebbe dovuto concedere al ricorrente il diritto a “provare i fatti
che ne costituiscono il proprio fondamento” (art. 2697 c.c.) alla luce delle questioni giuridiche
evidenziate. Contrariamente a ciò, lo stesso, ha ritenuto di rigettare la domanda con un
procedimento logico-giuridico del tutto immotivato e peraltro contrario al principio della
disponibilità delle prove (art. 115 c.p.c.).
È superfluo ricordare che tale principio, da un lato, riconosce alle parti il diritto alla prova
(quando questa è l’unico strumento diretto a dimostrare gli elementi decisivi della controversia) che
trova riscontro nelle garanzie del diritto di difesa (art. 24 Cost.) nell’ambito del giusto processo (art.
111 comma 1 e 2 Cost.), dall’altro fa obbligo al giudice di decidere iuxta allegata et probata.
In tale prospettiva è plausibile ritenere che il mero rifiuto all’ammissione dei mezzi istruttori
è da ritenersi illegittimo, tanto da tradursi in un vero e proprio vizio della sentenza11.
11
Cfr. Cass. Civ., sez. III, 21 aprile 2005 n. 8357.
NOTE A SENTENZA
83
Una sentenza “Pilato”...
La decisione quindi è da ritenersi insufficiente di motivazione, visto il procedimento logicogiuridico adottato anche alla luce della mancata ammissione dei mezzi istruttori che, nel caso di
specie,
avrebbero
rappresentato
elementi decisivi della controversia (gli indici della
subordinazione)12.
6. Conclusioni
La decisione del giudice del lavoro di Milano ha fallito in toto la possibilità di precisare
principi inderogabili peraltro già sanciti dal legislatore.
La sentenza, infatti, non chiarisce alcunché né in tema di procedimento logico-giuridico da
tenere sull’arbitrato del lavoro applicato allo sport né sull’effettiva normativa da applicare in tema
di dualismo tra norme di diritto comune e norme di carattere endoassociativo.
A parere dello scrivente non resta che lasciare “ai posteri l’ardua sentenza”, posto che il
giudice del lavoro si è “lavato le mani” a non voler istruire il giudizio.
(*) Dottore, praticante Avvocato
12
Cfr. Cass. Civ., sez. lav., 29 settembre 2009 n. 20845.
NOTE A SENTENZA
84
PARTE TERZA
GIURISPRUDENZA
SOMMARIO:
IL REVIREMENT DELLA SUPREMA CORTE SULLA PATTUIZIONE DI
UN COMPENSO E LA FORMA SCRITTA? - Cassazione Civile sez. II, del 27
gennaio 2010, n. 1713
85
pag.86
Il revirement della...
Cassazione civile sez. III n.1713 del 27 gennaio 2010.
IL REVIREMENT DELLA SUPREMA CORTE
SULLA PATTUIZIONE DI COMPENSO
E LA FORMA SCRITTA?
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORELLI Mario Rosario
Dott. UCCELLA Fulvio
- Presidente - Consigliere -
Dott. CALABRESE Donato
- Consigliere -
Dott. CHIARINI Maria Margherita
- Consigliere -
Dott. AMENDOLA Adelaide
- rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 19737/2005 proposto da:
C.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato
in ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso da BELTRAME Alessandro con studio in 33044
MANZANO, VIA ROMA 13 giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente contro
F.R.;
- intimato avverso la sentenza n. 33/2005 della corte D'APPELLO di TRIESTE,
Sezione Prima Civile, emessa il 3/12/2004, depositata il 21/01/2005,
R.G.N. 124/C/02;
86
GIURISPRUDENZA
Il revirement della...
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del
10/12/2009 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
GOLIA Aurelio, che ha concluso per l'accoglimento del (1 motivo) del
ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
C.R. e l'Associazione Calcio Pro (OMISSIS) convenivano in giudizio F.R. chiedendo la
restituzione della somma di L. 30.000.000 dal convenuto indebitamente acquisita.
Esponevano che il C. era presidente dell'Associazione che, in data (OMISSIS), aveva
provveduto a tesserare in qualità di allenatore il F.. Questi, al momento del tesseramento, aveva
preteso la consegna di quattro assegni posdatati dell'ammontare complessivo di L. quaranta milioni,
intestati allo stesso traente e girati in bianco. Il F. aveva poi risolto il rapporto con l'Associazione a
far tempo dal (OMISSIS), e da allora non aveva fornito alcuna prestazione.
Assumevano gli attori che, quand'anche la dazione degli assegni fosse stata effettuata in
esecuzione di un obbligo contrattualmente assunto dall'Associazione Pro (OMISSIS), si sarebbe
comunque trattato di un pagamento indebito: e invero la pattuizione era radicalmente nulla, ex art.
1418 cod. civ., comma 2, per mancanza della forma scritta richiesta dall'art. 44 del Regolamento
della Lega Nazionale Dilettanti, nonchè, ex art. 1322 cod. civ., in quanto diretta a realizzare
interessi non meritevoli di tutela, secondo l'ordinamento giuridico. Essendo nullo il rapporto
sottostante alla dazione degli assegni, il C. aveva diritto alla restituzione dell'importo dei tre titoli
effettivamente negoziati dal F..
Resisteva il convenuto, che contestava l'avversa pretesa.
Con sentenza del 17 maggio 2001 il Tribunale di Gorizia rigettava la domanda, compensando
integralmente tra le parti le spese di causa.
Proposto gravame in via principale dal C. e dall'Associazione Calcio Pro (OMISSIS) e
incidentale dal F., la Corte d'appello di Trieste, con sentenza del 21 gennaio 2005, li respingeva
entrambi.
Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione C. R., articolando tre motivi e
notificando l'atto a F. R. il quale non ha svolto alcuna attività difensiva.
Il ricorrente ha altresì depositato memoria.
87
GIURISPRUDENZA
Il revirement della...
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1 Col primo motivo l'impugnante denuncia violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1322
cod. civ., ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3, per avere il giudice di merito rigettato la domanda, benchè
l'accordo verbale stipulato tra il Presidente pro tempore dell'Associazione e il F., avente ad oggetto
la corresponsione del compenso di L. 40.000.000 dovesse ritenersi nullo. E invero, a norma dell'art.
44 del Regolamento della Lega Nazionale Dilettanti, gli allenatori svolgono la propria attività a
titolo gratuito e possono avere diritto solo a un rimborso spese purchè pattuito per iscritto.
Erroneamente il giudice di merito aveva escluso che la violazione di norme regolamentari interne
dell'ordinamento F.I.G.C. potesse comportare la nullità del patto, così facendo malgoverno di
principi reiteratamente affermati dalla Corte Regolatrice.
1.2 La doglianza è infondata.
L'assunto che qualsivoglia violazione delle regole dell'ordinamento sportivo comporti tout
court la nullità dei contratti conclusi tra società o associazioni e sportivi non ha alcuna base
normativa.
Il collegio non ignora che questa Corte, in un non remoto arresto, ha affermato che le
violazioni di norme dell'ordinamento sportivo possono incidere sulla validità di un contratto
concluso tra soggetti assoggettati alle regole di tale ordinamento, determinandone la nullità sotto il
profilo della inidoneità del contratto stesso a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo
l'ordinamento giuridico, ma tanto con riguardo a un caso di accertata frode alle regole
dell'ordinamento sportivo, realizzata attraverso il simulato trasferimento di un calciatore, con
contestuale violazione del disposto della L. 23 marzo 1981, n. 91, art. 4, a tenor del quale devono
stipularsi per iscritto, a pena di nullità, i contratti di costituzione di rapporti a titolo oneroso tra
sportivo professionista e società destinataria delle relative prestazioni (confr. Cass. civ., 3, 23
febbraio 2004, n. 3545).
Sennonchè, riguardando la fattispecie dedotta in giudizio rapporti di carattere dilettantistico,
le norme con le quali è necessario confrontarsi sono gli artt. 4 e 44 del Regolamento della Lega
Nazionale Dilettanti.
Ne deriva che correttamente il giudice di merito ha escluso sia la nullità per mancata
osservanza della forma vincolata - non potendo la violazione di una disposizione regolamentare
trovare sanzione nell'ordinamento statale, governato dal principio generale della libertà delle forme
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GIURISPRUDENZA
Il revirement della...
- sia la nullità per la pattuizione di un compenso, non violando l'onerosità della prestazione alcuna
norma imperativa.
2.1 Col secondo mezzo l'impugnante lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2033 e
2697 cod. civ., ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3, per non avere il giudice di merito considerato che un
mese dopo l'ingaggio (e l'incameramento degli assegni).
Il F. aveva abbandonato la squadra e non aveva reso più alcuna prestazione in favore della
Associazione, così tenendo un comportamento che o configurava una risoluzione consensuale del
contratto, ovvero un inadempimento idoneo a determinare il venir meno del diritto al compenso
dell'allenatore.
Deduce segnatamente l'esponente l'erroneità del giudizio espresso dal decidente, secondo cui,
vertendosi in tema di ripetizione dell'indebito, incombeva all'attore l'onere di provare l'inesistenza
originaria o sopravvenuta del vincolo giuridico idoneo a giustificare il pagamento, laddove
l'istruttoria espletata non aveva consentito di appurare se l'interruzione del rapporto fosse imputabile
alla società o all'allenatore. Il giudice di merito aveva così fatto malgoverno degli artt. 1218, 1453,
1460 e 2697 cod. civ., nonchè della regola generale, da essi estrapolabile, per cui, a fronte del
mancato adempimento della prestazione da parte dell'obbligato, spetta al convenuto provare o che
inadempimento non vi è stato, ovvero che esso è stato determinato da impossibilità della
prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
2.2 Le doglianze proposte sono infondate, ancorchè la motivazione della sentenza impugnata
debba, sotto certi profili, essere integrata e corretta, ex art. 384 cod. proc. civ., u.c..
E invero, mentre in ordine all'azione di ripetizione dell'indebito grava certamente su chi la
invoca l'onere di dimostrare non solo l'esecuzione del pagamento, ma anche la mancanza di una
causa che lo giustifichi, e ciò quand'anche si tratti di dimostrare fatti negativi, (confr. Cass. civ., sez.
lav. 9 giugno 2008, n. 15162;
Cass. civ., sez. lav. 17 luglio 2008, n. 19762), rimasta inadempiuta una obbligazione, il
creditore il quale agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per
l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo
termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione dell'inadempimento della controparte, mentre
il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito
dall'avvenuto adempimento, ovvero dall'impossibilità dello stesso derivante da causa a lui non
imputabile (confr. Cass. civ., sez. unite, 30 ottobre 2001, n. 13533).
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GIURISPRUDENZA
Il revirement della...
2.3 In realtà il caso di specie appare irrimediabilmente minato dalla prospettazione, in maniera
confusa e contraddittoria, anche in sede di ricorso, di una duplice causa petendi della domanda di
restituzione, ora assumendosi che il pagamento di trenta milioni di lire fu indebito, ora invocandosi
le norme in tema di adempimento (e inadempimento) delle obbligazioni.
Sotto il primo profilo, e quindi con riguardo all'evocazione della disciplina dell'indebito (art.
2033 cod. civ.), non è meritevole di censura l'assunto della Corte territoriale secondo cui l'attore non
aveva dimostrato nè l'inesistenza del vincolo giuridico idoneo a giustificarlo, nè il successivo venir
meno della causa debendi. E' sufficiente all'uopo rilevare che la stessa deduzione del tesseramento
del F. in qualità di allenatore, smentisce l'assunto che gli assegni, dallo stesso successivamente
negoziati, furono a lui rilasciati sine causa.
n Per altro verso, la correttezza del rilievo che il rischio della mancata prova del fatto estintivo
dell'altrui pretesa grava sul debitore convenuto, non giova all'impugnante per la dirimente
considerazione che il richiamo all'istituto dell'inadempimento, e ai relativi oneri probatori, avrebbe
dovuto essere accompagnato da una ben più dettagliata esplicitazione dei termini dell'accordo, a
partire dalla sua durata e dallo sforzo adempitivo richiesto, tanto più che il pagamento di una
prestazione non ancora adempiuta è quanto meno inusuale, oltre che in contrasto con criteri di
comune buon senso.
A fronte di tale carenza espositiva e probatoria - la quale, insieme alla prospettazione di due
diverse causae petendi - è stata probabilmente all'origine dell'insufficiente approccio del giudice di
merito, non può sostenersi che il creditore abbia adeguatamente dimostrato i fatti costitutivi del suo
diritto.
3.1 Col terzo motivo il ricorrente denuncia omessa o insufficiente motivazione su un punto
decisivo della controversia, per avere la Corte territoriale affermato che il C. aveva consegnato gli
assegni per cui è causa quale Presidente dell'Associazione Pro (OMISSIS), respingendo la tesi che,
quand'anche si fosse dovuto ritenere valido ed efficace il rapporto tra l'Associazione e il F., il
pagamento effettuato dal C. uti singulus era indebito, perchè privo di causa. Il giudice di merito
avrebbe così fatto malgoverno del materiale probatorio acquisito, univocamente dimostrativo del
fatto che il pagamento (atto diverso dalla stipula dell'accordo), era stato effettuato dal C. in proprio.
3.2 Le critiche sono destituite di fondamento.
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GIURISPRUDENZA
Il revirement della...
Il giudice di merito non ha affatto ignorato che gli assegni furono tratti sul conto personale del
C.. Ha tuttavia ritenuto che la circostanza avesse rilevanza solo nell'ambito dei rapporti interni tra il
C. e l'Associazione, nei cui confronti il primo bene potrà far valere di avere, in sostanza, anticipato
un esborso di sua competenza.
A ben vedere, escludendo la ripetizione, il giudice di merito ha fatto corretta applicazione dei
principi in tema di tutela dell'affidamento e di apparenza del diritto, avendo condivisibilmente
ritenuto che la dazione degli assegni fosse avvenuta in un contesto tale da ingenerare nel terzo la
ragionevole convinzione che il pagamento venisse effettuato dal C. quale presidente e
rappresentante della Associazione Pro (OMISSIS) e da tanto argomentandone l'irripetibilità (Cass.
civ., sez. 3^, 12 gennaio 2006, n. 408).
Il ricorso deve, in definitiva, essere rigettato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2010
91
GIURISPRUDENZA
PARTE QUARTA
SAGGI
SOMMARIO:
MICHELA CHIARINI, Donne per uno sport migliore: quando uno sport discrimina
MARIO TOCCI, I soggetti fisici dell'ordinamento sportivo sanmarinese
92
pag.93
pag.103
Donne per uno sport migliore ...
DONNE PER UNO SPORT MIGLIORE:
QUANDO UNO SPORT DISCRIMINA
di Michela Chiarini (*)
Piccoli passi nella storia … lo sport praticato dalle donne.
La storia della partecipazione delle donne alle attività sportive costituisce un capitolo a sé
nella storia dello sport. I primissimi passi si ebbero nell’antico Egitto più di 2.000 anni prima di
Cristo. Tuttavia, è nell’Antica Grecia che le donne iniziarono ad avere un ruolo, anche se defilato e
decisamente minoritario, rispetto ai colleghi maschi. Atalanta, figlia di Iasio, re di Arcadia, si dedicò
alla caccia nei boschi e riportò premi nella corsa fino alla vittoria nella lotta con Peleo nel 1.000
a.c..
Nel 440 a.c. Callipatea partecipò ai Giochi Olimpici “di nascosto”, ed in quel contesto si
praticarono i primi “test di femminilità” per evitare che delle donne potessero partecipare ai Giochi.
Nel 396 a.c. la principessa Kyniska di Sparta nella quadriga vinse una corsa di carri e divenne la
prima campionessa.
Solo nel 1900 le donne vennero ammesse alle gare dei Giochi Olimpici moderni, ma
unicamente nelle gare di golf e tennis e solamente nel 1921 si tennero a Montecarlo i primi giochi
mondiali femminili. E’ di tutta evidenza che i tentativi delle donne di conquistare un proprio spazio
ed un maggior coinvolgimento nello sport furono fin dalle origini una dura battaglia contro il
predominio maschile, una battaglia che continua anche ai giorni nostri in tutte le discipline sportive.
Ad oggi le problematiche da affrontare sono molteplici, diverse le peculiarità delle stesse,
soprattutto in relazione allo sport praticato.
Il calcio femminile, in particolare, rispetto a quello maschile, non è da meno.
Solo in tempi relativamente recenti e precisamente nel 1930 possiamo rinvenire le prime
notizie relative al calcio femminile, a Milano in via Stoppani, 12 viene fondato il Gruppo
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SAGGI
Donne per uno sport migliore ...
Femminile Calcistico. Le calciatrici italiane giocano indossando gonne. Successivamente, nel 1968
a Viareggio, nasce la Federazione Italiana Calcio Femminile.
Nel 1970 si realizza una divisione all’interno della FICF e nasce la Federazione Femminile
Italiana Giuoco Calcio. Si disputano pertanto 2 campionati italiani: uno della FICF e l’altro della
FFIGC. La FFIGC diventa FIGCF nel 1976.
Solo nel 1980 la FIGCF entra a far parte della FIGC come “affiliata” per iniziare un
quadriennio sperimentale e nasce l’Associazione Italiana Giocatrici di Calcio.
Il CONI nel 1983 riconosce la FIGCF, ma ciò non viene attuato pienamente dalla FIGC.
Finalmente la situazione cambia nel 1986, anno in cui la FIGCF confluisce definitivamente
nella FIGC e viene inquadrata nella LND e cioè nella Lega Nazionale Dilettanti come Comitato
Nazionale Calcio Femminile. Quest’ultimo diviene Divisione Calcio Femminile, sempre all’interno
della LND, 3 anni dopo. Questa tribolata e lunga evoluzione trova il suo evento culmine nel 2000
quando il nuovo statuto FIGC (art. 7 punto 2) riconosce esplicitamente il calcio femminile: “ … la
divisione Calcio a 5 e la Divisione Calcio Femminile, formate dalle Società e dalle Associazioni
disputanti i campionati corrispondenti a livello Nazionale, sono inquadrate, con autonomia
amministrativa e gestionale ed organi direttivi di natura elettiva, nella Lega Nazionale Dilettanti,
salva diversa determinazione del Consiglio Federale adottata a maggioranza qualificata ...”.
Un’altra novità rilevante si ravvisa nel successivo art. 8 ove si specifica che i calciatori
facciano ingresso nel Consiglio. E visto che uno dei requisiti delle associazioni dei calciatori è la
rappresentanza equa di calciatori e calciatrici, vi è un riconoscimento espresso del calcio femminile.
Infine nell’articolo 17 si richiede esplicitamente che, per quanto concerne l’Assemblea Federale, la
rappresentanza degli atleti debba essere composta anche dalle atlete. Si creano le basi (almeno in
linea teorica) per dare al calcio femminile quella maggiore autonomia che gli è dovuta all’interno
della Federazione stessa.
Ad oggi, però, il paradosso sconvolgente è che nessuna delle atlete italiane, a prescindere
dallo sport di riferimento, è considerata sportiva professionista, anche se l’unica attività praticata è
quella sportiva, solo 6 sport sono considerati come attività professionistica e sono tutti declinati al
maschile.
Tale assunto comporta una analisi complessa sotto diversi profili.
Possiamo osservare in primis che la legge n. 91 del 1981 recante : “Norme in materia di
rapporti tra società e sportivi professionisti” costituisce il primo peculiare e vero intervento
legislativo in materia sportiva e costituisce la base di qualsivoglia analisi.
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Donne per uno sport migliore ...
L’art. 2 della citata legge definisce, infatti, il professionismo sportivo statuendo come: “ ai fini
dell’applicazione della presente legge, sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori
tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con
carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la
qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni
stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività
dilettantistica da quella professionistica”.
La stessa prosegue analizzando e definendo vari ed importanti aspetti del rapporto tra società
e sportivi professionisti tra cui: la prestazione sportiva dell’atleta stesso (art. 3); la disciplina del
lavoro subordinato sportivo (art. 4); la tutela sanitaria (art. 7); l’assicurazione contro i rischi (art. 8);
il trattamento pensionistico (art. 9) ed il relativo trattamento tributario (art. 15). Vengono in tal
senso statuiti alcuni capisaldi dell’attuale distinzione tra professionismo e dilettantismo che,
tuttavia, devono essere letti necessariamente comparandoli con altre disposizioni in materia; queste
ultime sono contenute tra le altre: sia nelle statuizioni dell’Accordo collettivo stipulato tra la
Federazione Italiana Giuoco Calcio, La Lega Nazionale Professionisti e l’Associazione Italiana
Calciatori, ex art.4 della legge 23 marzo 1981 n.91 e successive modificazioni, sia in alcune norme
dello Statuto del Comitato Olimpico Nazionale Italiano, sia nei Principi Fondamentali degli Statuti
delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline sportive Associate (la cui ultima edizione è
stata approvata dal Consiglio Nazionale del CONI con deliberazione n. 1410 del 19 maggio 2010).
All’uopo si osservano, in particolare, per la loro specifica rilevanza, due articoli inseriti all’interno
dello Statuto CONI:
Art.6, lett. d) Il Consiglio Nazionale: “stabilisce, in armonia con i principi dell’ordinamento
sportivo internazionale e nell’ambito di ciascuna federazione sportiva nazionale e delle Discipline
Sportive Associate, i criteri per la distinzione dell’attività sportiva dilettantistica o comunque non
professionistica da quella professionistica”;
Art. 22, comma 1: “Gli Statuti delle Federazioni sportive nazionali devono rispettare i principi
fondamentali emanati dal Consiglio Nazionale, e devono in particolare ispirarsi al costante
equilibrio di diritti e doveri professionistici e non professionistici, nonché tra le diverse categorie
nell’ambito del medesimo settore”;
Parimenti, nei “Principi Fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e
delle Discipline Sportive Associate” rinveniamo :
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Donne per uno sport migliore ...
Art. 13 “Principio di distinzione tra attività professionistiche e attività non professionistiche”:
“In considerazione delle specifiche esigenze delle singole discipline afferenti alle Federazioni
Sportive Nazionali e alle Discipline Sportive Associate, anche connesse alle normative delle
Federazioni internazionali, i criteri per la distinzione tra attività professionistica e non
professionistica sono rimessi alla autonomia statutaria nel rispetto dei principi posti dalla legge
23/3/1981 n. 91 e successive modificazioni” (comma 2);
“L’istituzione del settore professionistico da parte di una Federazione Sportiva Nazionale o
Disciplina Sportiva Associata è possibile, mediante specifica previsione statutaria, in presenza di
una notevole rilevanza economica del fenomeno e a condizione che l’attività in questione sia
ammessa dalla rispettiva Federazione Nazionale” (comma 3).
Orbene, queste osservazioni costituiscono solamente brevi spunti di riflessione per rilevare
come vi siano molteplici interrogativi irrisolti in materia i quali rappresentano la base di tutte le
problematiche nate successivamente.
Inevitabile che anche il ruolo della donna nello sport e nel calcio in particolare ne fosse
coinvolto.
Infatti, considerato il vuoto normativo e legislativo, attesa la mancata chiarezza per quanto
concerne una qualificazione giuridica “corretta e reale” tra sportivi professionisti e dilettanti
(“dilettanti di diritto” ma “professionisti di fatto”?) e conseguentemente visti i minori diritti e la
minor tutela di questi ultimi come è possibile non ravvisare discriminazioni per le donne all’interno
dell’universo sportivo?
Dottrina e giurisprudenza non hanno un orientamento prevalente e non forniscono mezzi
idonei e certi, quantomeno con riferimento ai principi di base, per dirimere, una volta per tutte le
controversie, con criteri di diritto uguali per le varie discipline sportive; ogni situazione fa storia a
sé e la conseguenza immediata di ciò non può essere che una discriminazione generalizzata ed
indefinita. La donna, di conseguenza, ne paga il prezzo più alto.
Di fatto ad essa è impedito l’accesso al mondo professionistico. Le atlete siano esse podiste,
cestiste, calciatrici, sciatrici, ginnaste o nuotatrici sono considerate sportive dilettanti (anche se
campionesse olimpioniche) e non hanno accesso alla già citata legge n. 91 del 1981 e alla tutela
statuita “in generale” per il mondo dei professionisti.
Di fatto la retribuzione prevista è “notevolmente” inferiore a quella dei colleghi sia negli sport
che al maschile possono essere considerati sport di massa sia in quelli “minori”; infatti in Italia il
compenso delle calciatrici, anche quelle al top, non è molto distante da quello di un impiegato, negli
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SAGGI
Donne per uno sport migliore ...
altri paesi Europei, invece, in sostanza, si può equiparare a quello di un calciatore di medio valore.
Di fatto i fondi stanziati per sostenere “il calcio in rosa”, “il calcio con i tacchi a spillo” come
affermato da taluni, e tutto lo sport al femminile sono insufficienti e spesso attesi per lungo tempo
dagli addetti ai lavori.
Ne è un esempio lampante il fatto per cui nel 2005 furono stanziati € 1.770.000 a sostegno
delle realtà calcistiche femminili e ad oggi parte della somma erogata, una parte rilevante, non è
pervenuta alle società. La situazione economica di conseguenza è divenuta, in generale, sempre più
preoccupante.
Forse se, anche il calcio femminile costituisse una Lega propria potrebbe concorrere alla
ripartizione dei fondi del CONI o delle scommesse con pari dignità rispetto alle altre Leghe. In altri
paesi europei, invece, quali ad esempio l’Inghilterra, si stanno facendo notevoli sforzi per ottenere
maggiori investimenti economici nel settore al fine di sostenere e promuovere il calcio femminile,
fin dalla più tenera età, cercando di coinvolgere sia i bambini che le bambine in età scolare, sia le
strutture scolastiche, sia gli organi competenti.
La stessa cosa avviene in Svezia ove le ragazze che praticano il calcio sono moltissime
rispetto agli altri paesi.
Se si considera in fenomeno negli USA la situazione poi si capovolge radicalmente rispetto
all’Italia. Le imprese sportive delle atlete e delle calciatrici in particolare attirano sempre più
consensi, una maggiore attenzione mediatica e quindi una maggiore visibilità, maggiori
investimenti e di conseguenza un maggior risalto del calcio femminile.
Ciò comporta conseguenze rilevanti anche per quanto concerne la regolamentazione del
settore da un punto di vista giuridico e di tutela. Nella finale disputata nel 1999 al Rose Bowl di
Pasadena tra Cina ed America vi erano 90.000 spettatori presenti ed un miliardo davanti ai
teleschermi.
Questi sono numeri che dovrebbero farci riflettere. In Italia, di fatto, l’interesse dei mass
media per lo sport al femminile è molto esiguo per non dire quasi totalmente assente; infatti, anche
gli eventi più rilevanti a livello Europeo o Mondiale non vengono trasmessi e la carta stampata non
dedica lo stesso spazio alle notizie relative al calcio femminile come a quello maschile.
Le donne hanno diritto solo ad uno spazio marginale e di “nicchia”. Quale è la motivazione di
ciò? Nell’anno dedicato alle pari opportunità forse questo problema di vera e propria
discriminazione dovrebbe essere affrontato con coscienza e risolto.
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Parlare a giovani calciatrici di concetti quali: smarcamento, finte o dribbling, passaggi, schemi
o più in generale di tattica di gioco , di contrasti, etc… non è impossibile. La donna non è inferiore
e non deve più subire tali pregiudizi. Non devono esistere sport “più o meno femminili”, ma solo
sport.
Ciò sia per la pratica vera e propria sia per gli addetti ai lavori.
Si auspica al riguardo che l’attività svolta nell’ambito del settore giovanile e scolastico, in
collaborazione con le scuole o le istituzioni, possa aiutare a superare queste problematiche e a
cambiare la coscienza sociale sul tema eliminando una volta per tutte, col tempo, i pregiudizi e le
disparità. Solo in un momento successivo sarà possibile pensare ai passaggi ulteriori, anche a livello
legislativo.
Non si dimentichi poi l’aspetto della tutela assicurativa contro i rischi e quella sanitaria
assolutamente non paragonabili a quelle dei colleghi maschi.
Per quanto concerne il primo aspetto l’art. 8 della già citata legge n. 91 del 1981 statuisce
come“Le società sportive devono stipulare una polizza assicurativa individuale a favore degli
sportivi professionisti contro il rischio di morte e contro gli infortuni, che possono pregiudicare il
proseguimento dell’attività sportiva professionistica, nei limiti assicurativi stabiliti, in relazione
all’età ed al contenuto patrimoniale del contratto, dalle federazioni sportive nazionali, d’intesa con i
rappresentanti delle categorie interessate”.
Tale previsione ricomprende anche eventi estranei all’esercizio delle attività sportive dai
quali, tuttavia, possa derivare una invalidità sportiva permanente.
Le Federazioni sportive nazionali, quindi, debbono verificare attraverso controlli specifici che
tale obbligo venga ottemperato. Sono, tuttavia, esonerate le società che assicurano i loro sportivi
all’INAIL.
L’Istituto di Nazionale per le Assicurazioni e gli Infortuni sul Lavoro in merito ha precisato
che:
La tutela riguarda non solo l’evento agonistico settimanale, ma anche le sedute di allenamento
e preparazione e tutte le attività cui l’atleta e il calciatore in particolare sia tenuto per contratto;
Le retribuzioni stabilite per la quantificazione del premio valgono anche ai fini della
liquidazione giornaliera di inabilità temporanea assoluta;
La retribuzione da considerare per il calcolo del premio di assicurazione e il tasso applicabile
sono stati individuati con Decreto Ministeriale (D.M. 79/2002);
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L’assicurazione INAIL deve essere rispettata anche dagli sportivi professionisti dipendenti da
soggetti obbligati all’assicurazione ; tale obbligo sussiste anche in presenza di previsioni, siano esse
di legge o contrattuali, ed nel caso di polizze private.
Appare chiaro come tutti i criteri sopra citati se contestualizzati nel mondo del calcio
femminile subiscano variazioni in relazione proprio al settore stesso cui si riferiscono ed è di ovvia
deduzione come i valori dei premi siano infinitamente inferiori; raramente le atlete stipulano polizze
private, proprio a causa dei relativi costi, comparati con i guadagni e se lo fanno non riescono ad
ottenere i relativi rimborsi, così come accade per tutte le spese sostenute dalle atlete stesse.
Per le società è molto oneroso sostenere un obbligo di tal genere sommato a tutte le altre
spese di gestione della società, a causa della mancanza di fondi adeguati sia privati (sponsor) che
pubblici.
Un altro aspetto rilevante è quello della tutela sanitaria di cui all’art. 7 della Legge n. 91 del
1981. Tale norma prevede norme severe, nel merito, per salvaguardare la salute degli sportivi:
Istituzione di una scheda sanitaria relativa all’atleta;
Aggiornamento almeno semestrale della stessa, con indicazione di eventuali accertamenti
sanitari richiesti ed il loro responso, con ripetizione di quelli richiesti dal Decreto del Ministro della
Salute; e nel caso di esito negativo degli accertamenti comunicazione all’interessato e al competente
ufficio regionale in termini brevi, con possibilità per l’atleta di proporre ricorso entro 30 giorni alla
commissione regionale competente;
Deposito di una copia della scheda presso la Federazione Nazionale di appartenenza;
L’istituzione e l’aggiornamento della scheda sanitaria costituiscono condizione per
l’autorizzazione da parte delle singole Federazioni allo svolgimento dell’attività degli sportivi
professionisti.
Tuttavia, nel concreto, la situazione è impari tra il mondo del calcio maschile e quello
femminile; atteso che vi è disparità di mezzi, anche e forse soprattutto, di carattere economico, e di
strutture mediche proprie di ciascun settore. Per tale ragione tra gli obiettivi che l’AIC
(l’Associazione Italiana Calciatori/ calciatrici) si propone di raggiungere vi sono tra gli altri:
In caso di infortunio delle calciatrici nazionali ripartizione dell’invalidità al 50% tra atleta e
società di appartenenza;
Possibilità per le calciatrici di denunciare direttamente l’infortunio subito e in caso di
liquidazione la possibilità per le stesse di farsi intestare il relativo assegno;
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Non da meno è apparso necessario cercare di abbassare l’età minima per ottenere lo svincolo
dalle società di appartenenza che ad oggi è fissato a 25 anni, anche se in Europa il limite minimo è
18 anni.
L’ultimo aspetto rilevante è rappresentato dal valore discriminante della L. n. 91/1981 per
quanto concerne le atlete madri e di conseguenza per ciò che ci riguarda le calciatrici. Queste ultime
infatti essendo considerate dilettanti, in caso di gravidanza, possono subire la risoluzione del
contratto di prestazione sportiva per inadempimento dell’atleta. Perciò essere madre non appare
essere un diritto, ma un privilegio.
In via generale possiamo riportarci al combinato disposto degli artt. 31 e 37 della nostra Carta
Costituzionale, i quali tutelano la maternità e le lavoratrici madri e all’art. 2110 c.c. il quale
considera l’ipotesi dell’infortunio, della malattia, ma altresì della gravidanza e del puerperio
statuendo che: “In caso di infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, se la legge o le
norme corporative non stabiliscono forme equivalenti di previdenza o assistenza, è dovuta al
prestatore di lavoro la retribuzione o un’indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi
speciali, dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità ...”.
Orbene, “di tali problematiche, sia in tema delle atlete madri che della reale applicazione del
divieto di discriminazione e del principio di parità, si è interessato il Ministero per le pari
opportunità, il quale assieme all’associazione Nazionale Atlete (ASSIST) ha sollecitato il mondo
dello sport, in particolare il CONI, ad affrontare la questione in maniera organica, auspicando per le
sportive professioniste tutele che da un lato eliminino eventuali discriminazioni e dall’altro siano
mirate allo specifico femminile ….. .
La Giunta Nazionale del CONI, nella riunione nazionale del 29 novembre 2006, ha
approfondito la predetta tematica, convenendo, in primo luogo, sulla necessità di un adeguamento
dell’attuale legislazione statuale, in particolare della L. n. 91/1981, ormai non più rispondente, sotto
diversi aspetti, alla realtà dello sport italiano.
Allo stesso tempo, la Giunta ha ritenuto opportuno rivolgere un appello a tutte le Federazioni
sportive nazionali e delle discipline associate, nonché agli enti di promozione sportiva, affinché
nelle rispettive regolamentazioni venga tutelata, dal punto di vista sportivo, la maternità delle atlete
dilettanti, sia in relazione al mantenimento del rapporto con la società sportiva di appartenenza sia
sotto l’aspetto del merito sportivo….”.1
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Tale invito è stato recepito solo tramite la disciplina contenuta nei “Principi fondamentali
degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate”, ove all’art.
14 è statuito: “ Gli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive
Associate devono garantire la tutela della posizione sportiva delle atlete madri in attività per tutto il
periodo della maternità fino al loro rientro all’attività agonistica” (comma 1).
Le atlete in maternità che esercitano, anche in modo non esclusivo, attività sportiva
dilettantistica anche a fronte di rimborsi o indennità corrisposti ai sensi della vigente normativa,
hanno diritto al mantenimento del tesseramento, nonché alla salvaguardia del merito sportivo
acquisito, con la conservazione del punteggio maturato nelle classifiche federali, compatibilmente
con le relative disposizioni di carattere internazionale e con la specificità della disciplina sportiva
praticata” (comma 2).
Tale norma, purtroppo, è operativa solo nell’ambito sportivo, ed è pertanto insufficiente a
tutelare le atlete.
La mancanza di una regolamentazione legislativa ad hoc comporta ad oggi l’applicazione
della Legge n. 53/2000: “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto
alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi e della città”. Normativa che ha
sostituito la Legge n. 1204/1971 e il relativo regolamento di attuazione (DPR 25/11/1976)
costituenti il fondamento giuridico a tutela delle lavoratrici madri.
Tale vuoto normativo di specie, tuttavia, appare con tutta evidenza preoccupante, proprio
perché in mancanza di regole certe la giurisprudenza non fornisce un indirizzo preciso. La tutela
apportata, pertanto, è insufficiente e non aderente in tutti i suoi aspetti peculiari al tipo di lavoro
svolto.
Tuttavia, come ha affermato il Presidente della Commissione UEFA competente per il calcio
femminile vi è grande soddisfazione per la crescita di quest’ultimo a livello Europeo.
L’avanzata del calcio femminile, pur con le molteplici difficoltà che sta affrontando sia a
livello politico, sia a livello pratico e ovviamente anche a livello legislativo non si è fermata.
Il Presidente della Commissione ha aggiunto: “la forza fisica non è la stessa (del calcio
maschile) ma il livello tecnico attuale è equivalente a quello degli uomini.
Dobbiamo continuare a lavorare per far crescere questo sport e sono certo che fra un
quinquennio il calcio femminile godrà di grande rispetto”. Lo stesso ha poi ribadito come: “La
promozione è un tema che sta molto a cuore alla UEFA. Uno strumento per farlo sono i nostri
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tornei, ma esortiamo le Federazioni Nazionali a lavorare duro nei loro paesi affinché stabiliscano
rapporti con i ministeri dell’istruzione e con i mass- media”2.
La Commissione ha poi ricordato come tra le sue responsabilità vi é non solo quella di
monitorare concretamente la preparazione e lo svolgimento delle competizioni ufficiali, ma anche
quella di istruire i tecnici e le atlete al fine di realizzare una competenza tecnica sempre maggiore. E
come si stiano predisponendo nuovi strumenti per coinvolgere sempre di più i vari club.
In sostanza, il senso di unione , di appartenenza, la voglia di collaborare e di combattere, le
idee e la tenacia hanno rappresentato la base per costruire i diritti e le garanzie conquistati fino ad
oggi; ma rappresentano ancora il punto di partenza per proseguire in questo cammino.
Un cammino arduo e complesso ma non impossibile.
Le battaglie ancora da combattere sono molteplici in un duplice senso: difendere il
patrimonio raggiunto e conquistare altri diritti e garanzie che, pur fondamentali, non sono ancora
stati riconosciuti, né a livello legislativo, né a livello regolamentare, nonostante i principi contenuti
nel Trattato di Lisbona e nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, giuridicamente
vincolanti non solo per tutti gli stati membri, ma anche per gli ordinamenti sportivi.
Appare chiaro pertanto come sia necessario continuare in questa direzione dando sempre
maggior sostegno alle donne che intraprendono la carriera sportiva.
(*) Avvocato del foro di Brescia
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I soggetti fisici ...
I SOGGETTI FISICI DELL'ORDINAMENTO
SPORTIVO SAMMARINESE
di Mario Tocci (*)
Sommario:
1. Elencazione
2. Gli atleti
3. I dirigenti
3.1 I dirigenti di società sportiva
3.2 I dirigenti di federazione sportiva nazionale
4. I tecnici
5. I collaboratori ausiliari
6. Gli ufficiali di gara
7. I dipendenti del Comitato Olimpico Nazionale
7.1 Gli impiegati
7.1.1 Il coordinatore dei servizi
7.1.2 Il collaboratore tecnico
7.1.3 Il collaboratore amministrativo
7.1.4 L’operatore amministrativo
7.1.5 L’operatore sportivo
7.1.6 Il segretario 7
.1.7 Gli istruttori tecnici sportivi
7.1.8 L’assistente
7.1.9 Gli addetti di segreteria
7.2 I salariati
7.3 I convenzionati
7.4 I distaccati
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I soggetti fisici ...
1. Elencazione
Sono soggetti fisici dell’ordinamento sportivo sammarinese, ai sensi del disposto della lettera
f) del primo comma dell’articolo 31 della legge 13 marzo 1997 n. 32:
gli atleti;
i dirigenti;
i tecnici;
i collaboratori ausiliari.
Tali soggetti, quando esplicanti attività in rappresentative nazionali, fruiscono – ex articolo 69
della legge 13 marzo 1997 n. 32 – di congedi retribuiti a carico del Comitato Olimpico Nazionale
(commi terzo e quarto), pari a:
cinque giorni per anno solare ai fini della partecipazione a gare fuori territorio ovvero riunioni
e competizioni di carattere internazionale (comma primo);
quindici giorni per anno solare ai fini della partecipazione ai Giochi Olimpici (comma
secondo);
A tali soggetti devono aggiungersi:
gli ufficiali di gara (ex articolo 54 della legge 13 marzo 1997 n. 32);
i dipendenti – impiegati, salariati, convenzionati e distaccati – del Comitato Olimpico
Nazionale (ex articoli 62, 63, 66, e 67 della legge 13 marzo 1997 n. 32).
2. Gli atleti
Per atleta si intende il soggetto che eserciti attività sportiva.
Ciascun atleta è imprescindibilmente titolare di questo status ove inquadrato presso, ossia
inserito nell’ambito dell’organigramma delle, società affiliate ad una federazione sportiva nazionale
(ex articoli 32, comma secondo, e 53, comma terzo, della legge 13 marzo 1997 n. 32).
Risulta infatti vietata la diretta iscrizione degli atleti ad una federazione sportiva nazionale (ex
articolo 32, comma secondo, della legge 13 marzo 1997 n. 32).
L’adesione di un atleta all’ordinamento sportivo si perfeziona all’atto dell’iscrizione
dell’inquadramento dello stesso presso una società affiliata ad una federazione sportiva nazionale.
La prima distinzione cui si fa luogo con riferimento agli atleti è operata tra atleti professionisti
ed atleti non professionisti.
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I soggetti fisici ...
Sono atleti professionisti quelli che svolgano attività sportiva a titolo oneroso in modo
prevalente (ex articolo 48, comma secondo, della legge 13 marzo 1997 n. 32).
Il soggetto che eserciti attività sportiva a titolo gratuito ovvero in modo non prevalente è
dunque considerato atleta non professionista.
La professionalità dello status dell’atleta discende pertanto dalla sussistenza dell’onerosità e
della prevalenza della pratica dell’attività sportiva da parte dello stesso.
Alcuni atleti sono altresì definiti di interesse nazionale (ex articolo 47, comma primo, della
legge 13 marzo 1997 n. 32), senza tuttavia ulteriori specificazioni.
Cosicché, in via eminentemente dottrinaria, potrebbero essere definiti di interesse nazionale
gli atleti particolarmente meritevoli da tenere in considerazione ai fini dell’inserimento nelle
squadre rappresentative nazionali delle rispettive discipline.
Nell’Europa comunista dell’immediato secondo dopoguerra venivano definiti atleti di stato
quelli inquadrati e stipendiati all'interno di amministrazioni statali al solo scopo di fare sport e
vincere in campo internazionale per lo Stato di appartenenza.
Tale definizione potrebbe aver tratto origine dagli studi e dagli scritti di Pierre Arnaud1, che
definiva “athlètes de la République” gli atleti coltivati in apposite accademie per vincere, dare lustro
al Paese ed alimentare il sentimento nazionalista negli Stati europei occidentali e orientali.
Gli atleti di interesse nazionale sono destinatari di appositi programmi, elaborati dal Comitato
Olimpico Nazionale e da svolgersi con l’obbligatoria – ove richiesta – collaborazione della Pubblica
Amministrazione, di valorizzazione delle prestazioni tecnico-agonistiche e di impulso della crescita
sportiva (ex articolo 47, commi secondo e terzo, della legge 13 marzo 1997 n. 32).
La regolarità organizzativa, disciplinare ed amministrativa delle attività dell’atleta
professionista soggiacciono al controllo ed alla vigilanza della federazione sportiva nazionale di
mediata affiliazione nonché del Comitato Olimpico Nazionale e del Deputato allo Sport (ex articolo
50, comma secondo, della legge 13 marzo 1997 n. 32).
Il rapporto di lavoro dell’atleta professionista è regolato sulla base di un contratto di lavoro
subordinato tra lo stesso e la società di inquadramento (ex articolo 51, comma primo, della legge 13
marzo 1997 n. 32), da redigersi in forma scritta e consegnarsi per conoscenza alla federazione
sportiva nazionale di mediata affiliazione ed al Comitato Olimpico Nazionale (ex articolo 51,
comma secondo, della legge 13 marzo 1997 n. 32).
Ogni atleta è tenuto ad osservare i seguenti principi:
principio del rispetto delle disposizioni dell’ordinamento sportivo;
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I soggetti fisici ...
principio di lealtà sportiva;
principio di astensione dal doping.
Il principio del rispetto delle disposizioni dell’ordinamento sportivo è sancito dai disposti del
primo comma dell’articolo 50 e del secondo comma dell’articolo 53 della legge 13 marzo 1997 n.
32.
Esso è inoltre genericamente richiamato dal disposto del quinto comma dell’articolo 52 della
legge 13 marzo 1997 n. 32.
All’uopo è opportuno ricordare che l’ordinamento sportivo è disciplinato tanto dalle leggi e
dagli atti aventi forza di legge dello Stato quanto dalle disposizioni delle federazioni sportive
nazionali di mediata affiliazione di ciascun atleta nonché da quelle dell’ordinamento sportivo
internazionale (ex articoli 50, comma terzo, e 53, comma sesto, della legge 13 marzo 1997 n. 32).
Il principio di lealtà sportiva, sancito dal disposto del secondo comma dell’articolo 53 della
legge 13 marzo 1997 n. 32, esige che l’atleta attui costantemente i valori di prudenza, buon senso,
rispetto dell’integrità morale e fisica dell’avversario nella pratica dell’attività sportiva).
Il principio di astensione dal doping, sancito dal disposto del terzo comma dell’articolo 53
della legge 13 marzo 1997 n. 32, impone che l’atleta non faccia uso di sostanze atte ad aumentare
artificialmente le proprie prestazioni.
L’atleta non professionista è invece tenuto, ai sensi del disposto del quinto comma
dell’articolo 53 della legge 13 marzo 1997 n. 32, a praticare attività sportiva senza mirare al
conseguimento di profitti diretti ed indiretti.
3. I dirigenti
Possono intendersi per dirigenti tutti i soggetti che rivestano ruoli di coordinamento e gestione
nell’ambito delle società sportive ovvero delle federazioni sportive nazionali.
3.1 I dirigenti di società sportiva
Anche con riferimento ai dirigenti delle società sportive si distingue tra professionisti e non
professionisti ai sensi del disposto del secondo comma dell’articolo 48 della legge 13 marzo 1997 n.
32.
L’attuale formulazione della legge 13 marzo 1997 n. 32 sembrerebbe non precludere a
dirigenti professionisti di prestare la propria attività a favore di società non professionistiche.
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I soggetti fisici ...
Il dirigente di società sportiva entra a far parte dell’ordinamento sportivo all’atto
dell’affiliazione della società medesima alla federazione sportiva nazionale di afferenza.
Il dirigente professionista di società sportiva è tenuto a rispettare le disposizioni
dell’ordinamento sportivo (ex articolo 50, comma primo, della legge 13 marzo 1997 n. 32).
Parimenti il dirigente non professionista di società sportiva (ex articolo 52, comma quinto,
della legge 13 marzo 1997 n. 32).
Qualsiasi dirigente di società sportiva è tenuto ad evitare che ogni atleta affiliato ad essa si
renda inosservante del principio di astensione dal doping (ex articolo 53, comma quarto, della legge
13 marzo 1997 n. 32).
La regolarità organizzativa, disciplinare ed amministrativa delle attività del dirigente
professionista di società sportiva soggiacciono al controllo ed alla vigilanza della federazione
sportiva nazionale di mediata affiliazione nonché del Comitato Olimpico Nazionale e del Deputato
allo Sport (ex articolo 50, comma secondo, della legge 13 marzo 1997 n. 32).
Il rapporto di lavoro del dirigente professionista di società sportiva è regolato sulla base di un
contratto di lavoro subordinato tra lo stesso e la società di inquadramento (ex articolo 51, comma
primo, della legge 13 marzo 1997 n. 32), da redigersi in forma scritta e consegnarsi per conoscenza
alla federazione sportiva nazionale di mediata affiliazione ed al Comitato Olimpico Nazionale (ex
articolo 51, comma secondo, della legge 13 marzo 1997 n. 32).
Gli statuti delle singole federazioni sportive nazionali possono prevedere che la nomina del
dirigente di società sportiva soggiaccia a a requisiti generici (quali il possesso di determinate
caratteristiche di moralità ovvero onorabilità, ecc.) oppure specifica (quali il possesso di determinati
titoli professionali ovvero di studio, ecc.).
3.2 I dirigenti di federazione sportiva nazionale
I dirigenti di federazione sportiva nazionale entrano a far parte dell’ordinamento sportivo
all’atto della nomina in seno alla medesima.
La relativa disciplina è contenuta nel disposto dell’articolo 35 della legge 13 marzo 1997 n.
32.
La nomina del dirigente di federazione sportiva nazionale avviene per elezione, cui
partecipano gli iscritti cittadini sammarinesi o stranieri effettivamente residenti nel territorio statale
(ex articolo 35, comma terzo, della legge 13 marzo 1997 n. 32), secondo criteri stabiliti
discrezionalmente nei singoli statuti (ex articolo 35, comma quarto, della legge 13 marzo 1997 n.
32).
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I soggetti fisici ...
Essa può soggiacere a requisiti generici (quali il possesso di determinate caratteristiche di
moralità ovvero onorabilità, ecc.) oppure specifica (quali il possesso di determinati titoli
professionali ovvero di studio, ecc.).
Quantunque:
può assumere l’ufficio di dirigente di federazione sportiva nazionale il cittadino sammarinese
o lo straniero effettivamente residente nel territorio statale (ex articolo 35, comma primo, della
legge 13 marzo 1997 n. 32);
requisito indispensabile per la nomina a presidente di federazione sportiva nazionale è la
cittadinanza sammarinese (ex articolo 35, comma primo, della legge 13 marzo 1997 n. 32).
4. I tecnici
I tecnici sono tutti quei soggetti incaricati della direzione e del controllo e della preparazione
degli atleti sotto il profilo tecnico nonché dell’avviamento dei giovani alla disciplina sportiva.
Ai tecnici si applica la stessa disciplina dei dirigenti di società sportive.
Ciò vale anche per i tecnici delle federazioni sportive nazionali, atteso che costoro rivestono
la qualifica di tecnici delle squadre sportive nazionali.
Gli statuti delle singole federazioni sportive nazionali possono prevedere vari livelli di
qualificazione dei tecnici.
Il tecnico di società sportiva entra a far parte dell’ordinamento sportivo all’atto del
tesseramento presso la medesima.
Il tecnico di federazione sportiva nazionale entra a far parte dell’ordinamento sportivo all’atto
della designazione da parte della stessa.
5. I collaboratori ausiliari
Sono da considerarsi collaboratori ausiliari, tanto di società sportiva quanto di federazione
sportiva nazionale:
gli addetti alla tutela del benessere fisico e psichico degli atleti (medici, paramedici, psicologi,
ecc.);i consulenti non diversamente inquadrati;
Altresì rivestono questo status i lavoratori delle società sportive non inquadrati come
dirigenti.
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Soltanto i medici, tra i collaboratori ausiliari, sono nominati dalla legge 13 marzo 1997 n. 32:
all’articolo 18, comma terzo;
all’articolo 29, comma primo;
all’articolo 36, comma secondo;
all’articolo 52, comma quinto;
all’articolo 53, comma quarto.
I consulenti non diversamente inquadrati sono invece menzionati (invero velatamente) al terzo
comma dell’articolo 18 della legge 13 marzo 1997 n. 32.
Il medico sportivo è tenuto a rispettare le disposizioni dell’ordinamento sportivo (ex articolo
52, comma quinto, della legge 13 marzo 1997 n. 32).
Parimenti, quantunque alcuna norma lo preveda espressamente, gli altri addetti alla tutela del
benessere fisico e psichico degli atleti.
Qualsiasi collaboratore ausiliario è tenuto ad evitare che ogni atleta direttamente o
indirettamente controllabile (in quanto inquadrato nell’ambito della società sportiva ovvero posto
nell’organico della federazione sportiva nazionale di afferenza) si renda inosservante del principio
di astensione dal doping (ex articolo 53, comma quarto, della legge 13 marzo 1997 n. 32).
Nessuna norma specifica, sicché è da ritenersi che vi si applichino le disposizioni generiche
del diritto privato e del diritto del lavoro, è data con riferimento ai consulenti non diversamente
inquadrati e ai lavoratori delle società sportive non inquadrati come dirigenti.
Il collaboratore ausiliario di società sportiva entra a far parte dell’ordinamento sportivo
all’atto del tesseramento presso la medesima.
Il collaboratore ausiliario di federazione sportiva nazionale entra a far parte dell’ordinamento
sportivo all’atto della designazione da parte della stessa.
6. Gli ufficiali di gara
Possono essere definiti ufficiali di gara i soggetti che partecipano alle manifestazioni sportive
per dirigerne lo svolgimento nonché assicurarne la regolarità e certificarne i risultati.
La disposizione loro dedicata, trasfusa nell’articolo 40 della legge 13 marzo 1997 n. 32, è
alquanto sintetica e fa riferimento soltanto ad un generico compito di assicurazione della regolarità
delle manifestazioni sportive.
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I soggetti fisici ...
Invero, è interessante rilevare come non tutti gli ufficiali di gara abbiano la medesima
connotazione.
Infatti, in una sola manifestazione sportiva possono coesistere più ufficiali di gara con
funzioni specifiche differenti e rapporti gerarchici precisi (si pensi ad una partita di calcio, ove
l’arbitro, che è il principale ufficiale di gara, è coadiuvato dagli assistenti di linea e vigilato talvolta
da osservatori e commissari di campo).
Inoltre, a seconda delle discipline sportive ovvero in base alle diverse funzioni rivestite,
possono essere distinti ufficiali aventi poteri meramente accertativi non implicanti apprezzamenti
discrezionali ed ufficiali aventi lati poteri sottesi a valutazioni discrezionali più o meno ampie.
A parere di chi scrive, l’ufficiale di gara non ha potestà pubblicistiche in quanto non è
soggetto attuatore diretto dell’interesse pubblico connesso alla pratica dell’attività sportiva, atteso
che il soddisfacimento di tale interesse è immediatamente imputabile alla federazione sportiva
nazionale interessata e al Comitato Olimpico Nazionale.
7. I dipendenti del Comitato Olimpico Nazionale
I dipendenti del Comitato Olimpico Nazionale si distinguono in:
impiegati;
salariati;
convenzionati;
distaccati.
Alle modifiche degli organici dei dipendenti impiegati e salariati si fa luogo secondo le
normative dettate in materia di pubblico impiego, previa concertazione con le organizzazioni
sindacali e stante la positiva verifica della sussistenza della necessaria copertura finanziaria (ex
articolo 65 della legge 13 marzo 1997 n. 32).
7.1 Gli impiegati
Gli impiegati del Comitato Olimpico Nazionale sono soggetti dipendenti cui, ai sensi del
disposto del comma primo dell’articolo 62 della legge 13 marzo 1997 n. 32, possono
alternativamente essere demandati compiti:
amministrativi;
di segreteria;
di contabilità;
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I soggetti fisici ...
di gestione delle strutture sportive direttamente affidate dallo Stato al Comitato Olimpico
Nazionale;
di organizzazione di manifestazioni sportive direttamente promosse dal Comitato Olimpico
Nazionale;
di supporto alle manifestazioni sportive organizzate dalle federazioni sportive nazionali.
L'organico degli impiegati è quello risultante dall'Allegato "A" alla legge 17 settembre 1993
n.106.
Cosicché sono ivi annoverati:
un coordinatore dei servizi, avente la qualifica di esperto amministrativo;
un collaboratore tecnico, avente pari qualifica;
un collaboratore amministrativo, avente pari qualifica;
un operatore amministrativo, avente qualifica di operatore specializzato amministrativo
contabile;
un operatore sportivo, avente qualifica di operatore specializzato tecnico;
un segretario, avente qualifica di operatore amministrativo contabile;
quattro istruttori tecnici sportivi, aventi qualifica di operatori tecnici;
un assistente, avente qualifica di operatore tecnico;
due addetti di segreteria, aventi qualifica di addetti qualificati.
La copertura dei posti resisi definitivamente vacanti nel ruolo degli impiegati è effettuata
secondo le normative dettate in materia di pubblico impiego (ex articolo 66 della legge 13 marzo
1997 n. 32).
7.1.1 Il coordinatore dei servizi
Il coordinatore dei servizi, avente la qualifica di esperto amministrativo, è titolare dell’ottavo
livello retributivo.
Si tratta di un soggetto in possesso di diploma di laurea in discipline giuridiche ovvero
economiche ovvero sociali e di diploma di scuola media superiore nonché di cinque anni di
esperienza in ruoli di coordinamento amministrativo.
Esso:
funge da collegamento tra gli organi decisionali e la struttura tecnico-amministrativa nonché
da tramite con le federazioni sportive nazionali;
è responsabile dell'organizzazione e della programmazione tecnica e amministrativa;
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I soggetti fisici ...
svolge funzioni di coordinamento per la sezione amministrativa, curando e coordinando le
pratiche amministrative;
redige le proposte di bilancio;
effettua ogni operazione contabile;
è tenuto a partecipare all'organizzazione delle manifestazioni sportive.
Il concorso di selezione è finalizzato ad accertare la conoscenza, da parte del candidato, delle
nozioni di:
diritto pubblico;
diritto amministrativo;
contabilità;
legislazione sportiva.
Indispensabile è la conoscenza di una lingua straniera.
7.1.2 Il collaboratore tecnico
Il collaboratore tecnico, avente pari qualifica, è titolare del settimo livello retributivo.
Si tratta di un soggetto in possesso del diploma di geometra.
Esso:
è responsabile della tenuta e della ordinata manutenzione degli impianti;
collabora con il coordinatore dei servizi per la gestione degli impianti;
esprime il proprio parere tecnico per quanto concerne la manutenzione straordinaria degli
impianti;
collabora con il settore amministrativo per la gestione del personale;
è tenuto a partecipare all'organizzazione delle manifestazioni sportive.
Il concorso di selezione è finalizzato ad accertare la conoscenza, da parte del candidato, delle
nozioni di legislazione sportiva delle materie professionali specificamente concernenti le mansioni
affidate.
7.1.3 Il collaboratore amministrativo
Il collaboratore amministrativo, avente pari qualifica, è titolare del settimo livello retributivo.
Si tratta di un soggetto in possesso del diploma di ragioneria o di titolo di studio equipollente.
Esso:
collabora con il coordinatore dei servizi per l'elaborazione di dati e istruzioni di atti di
particolare complessità relativi alla gestione contabile;
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SAGGI
I soggetti fisici ...
è responsabile dell'organizzazione di tutte le attività relative all'approvvigionamento dei
materiali necessari;
cura i rapporti con i fornitori, le richieste, offerte e preventivi, le gare di appalto e le aste
pubbliche, i contratti e gli ordinativi;
è responsabile della gestione dei magazzini;
cura la tenuta di tutte le scritture contabili interne nonché degli impianti e delle strutture
gestite;
cura tutte le attività relative alla gestione del personale;
è tenuto a partecipare all'organizzazione delle manifestazioni sportive.
Il concorso di selezione è finalizzato ad accertare la conoscenza, da parte del candidato, delle
nozioni di:
diritto pubblico;
diritto amministrativo;
contabilità;
legislazione sportiva.
7.1.4 L’operatore amministrativo
L’operatore amministrativo, avente qualifica di operatore specializzato amministrativo
contabile, è titolare del sesto livello retributivo.
Si tratta di un soggetto in possesso del diploma di ragioneria o di titolo di studio equipollente.
Esso:
alle dirette dipendenze del collaboratore amministrativo, esegue attività di promozione, studio
ed esecuzione nelle varie competenze istituzionali;
esegue attività di carattere contabile amministrativo in esecuzione ai compiti istituzionali con
responsabilità ed autonomia operativa;
è responsabile della tenuta del carico-scarico dei materiali;
provvede alla riscossione degli introiti;
provvede ai pagamenti predisposti dal collaboratore amministrativo;
è tenuto a partecipare all'organizzazione delle manifestazioni sportive.
Il concorso di selezione è finalizzato ad accertare la conoscenza, da parte del candidato, delle
nozioni di:
diritto amministrativo;
contabilità;
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SAGGI
I soggetti fisici ...
legislazione sportiva.
7.1.5 L’operatore sportivo
L’operatore sportivo, avente qualifica di operatore specializzato tecnico, è titolare del sesto
livello retributivo.
Si tratta di un soggetto in possesso del diploma di scuola media superiore.
Esso cura i rapporti con le federazioni sportive nazionali, effettuando le corrispondenze e
quant'altro necessario all'organizzazione delle conseguenti manifestazioni.
All’uopo si interfaccia con i segretari generali delle singole federazioni sportive nazionali
nonché con il coordinatore dei servizi.
Il concorso di selezione è finalizzato ad accertare la conoscenza, da parte del candidato, delle
nozioni di:
diritto pubblico;
legislazione sportiva.
7.1.6 Il segretario
Il segretario, avente qualifica di operatore amministrativo contabile, è titolare del quinto
livello retributivo.
Si tratta di un soggetto titolare del diploma di scuola media inferiore con successiva
qualificazione.
Svolge prestazioni di carattere amministrativo, contabile, tecnico in esecuzione alle
disposizioni emanate.
In particolare, svolge attività di dattilografia, duplicazione, tenuta protocolli e registri nonché
archiviazione pratiche.
È tenuto a partecipare all'organizzazione delle manifestazioni sportive.
Il concorso di selezione è finalizzato ad accertare la conoscenza, da parte del candidato, delle
nozioni di:
steno-dattilografia;
materie professionali specificamente concernenti le mansioni affidati.
Indispensabile è la conoscenza di una lingua straniera.
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SAGGI
I soggetti fisici ...
7.1.7 Gli istruttori tecnici sportivi
I quattro istruttori tecnici sportivi, aventi qualifica di operatori tecnici, sono titolari del quinto
livello retributivo.
Nulla è specificamente previsto circa il titolo di studio d’accesso al ruolo, ma è ragionevole
ritenere che esso corrisponda al diploma di scuola media inferiore con successiva qualificazione.
Essi svolgono compiti di preparazione tecnico-sportiva e di complemento specifico degli
elementi che frequentano le attività sportive e di accompagnamento degli stessi alle varie gare
sportive (anche fuori sede).
All’uopo si interfacciano con le singole federazioni sportive nazionali nonché con il
coordinatore dei servizi.
Collaborano, altresì, nell'organizzazione delle manifestazioni sportive di competenza
istituzionale.
Il ruolo è ad esaurimento.
7.1.8 L’assistente
L’assistente, avente qualifica di operatore tecnico, è titolare del quinto livello retributivo.
Nulla è specificamente previsto circa il titolo di studio d’accesso al ruolo, ma è ragionevole
ritenere che esso corrisponda al diploma di scuola media inferiore con successiva qualificazione.
Esso:
cura, alle dipendenze del collaboratore tecnico, tutto ciò che concerne la manutenzione
ordinaria degli impianti sportivi e la loro organizzazione;
coordina il lavoro degli operatori manuali dei vari impianti sportivi;
è tenuto a partecipazione all'organizzazione delle manifestazioni sportive.
Il ruolo è ad esaurimento.
7.1.9 Gli addetti di segreteria
I due addetti di segreteria, aventi qualifica di addetti qualificati, sono titolari del quarto livello
retributivo.
Si tratta di soggetti titolari del diploma di scuola media inferiore con successiva
qualificazione.
Essi:
svolgono servizii di dattilografia e segreteria con autonomia operativa;
provvedono all'archiviazione delle pratiche, alla tenuta dei protocolli e registri e alla
duplicazione dei documenti;
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I soggetti fisici ...
eseguono prestazioni di carattere amministrativo, contabile, tecnico che presuppongono
prestazione professionale adeguata e adeguate esperienze di lavoro;
sono tenuti a partecipare all'organizzazione delle manifestazioni sportive.
Il ruolo è ad esaurimento.
7.2 I salariati
I salariati sono tutti i dipendenti adibiti a compiti materiali di custodia e manutenzione degli
impianti sportivi direttamente gestiti e delle zone adiacenti (ex articolo 63, comma primo, della
legge 13 marzo 1997 n. 32).
Il rapporto di lavoro dei salariati è regolato secondo normative di dettaglio emanate dal
Comitato Olimpico Nazionale previa concertazione con le organizzazioni sindacali ed alla luce
delle esigenze istituzionali (ex articolo 63, commi secondo e terzo, della legge 13 marzo 1997 n.
32).
7.3 I convenzionati
I convenzionati sono lavoratori autonomi contrattualizzati nel rispetto degli stanziamenti di
bilancio all’uopo previsti (ex articolo 66 della legge 13 marzo 1997 n. 32).
È da ritenersi che si possa far luogo al reclutamento di dipendenti convenzionati con
riferimento a lavoratori in possesso di determinati particolari requisiti di qualificazione
professionale e/o per il compimento di precisi progetti.
7.4 I distaccati
I distaccati sono dipendenti pubblici ovvero privati posti alle dipendenze del Comitato
Olimpico Nazionale in virtù di esigenze organizzative ovvero tecniche ovvero agonistiche, retribuiti
a cura e carico dello stesso Comitato (ex articolo 67, commi primo e sesto, della legge 13 marzo
1997 n. 32).
Il distacco non può essere negato dal responsabile del servizio del lavoratore, salve restando
motivate indilazionabili esigenze di servizio (ex articolo 67, comma secondo, della legge 13 marzo
1997 n. 32).
Il lavoratore distaccato ha diritto alla conservazione del posto e del trattamento economico e
previdenziale in godimento al momento del distacco (ex articolo 67, comma terzo, della legge 13
marzo 1997 n. 32).
Se dipendente pubblico, il lavoratore distaccato mantiene lo stesso livello retributivo di
titolarità (ex articolo 67, comma quarto, della legge 13 marzo 1997 n. 32).
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I soggetti fisici ...
Se dipendente privato, il lavoratore distaccato ha diritto ad un rimborso forfetario,
annualmente stabilito dal Comitato Olimpico Nazionale previo accordo con il Dicastero allo Sport
(ex articolo 67, comma quinto, della legge 13 marzo 1997 n. 32).
La durata e le modalità di distacco sono stabilite, prima che lo stesso divenga operativo,
mercè accordo tra il Comitato Olimpico Nazionale ed il responsabile del servizio del lavoratore (ex
articolo 68, comma secondo, della legge 13 marzo 1997 n. 32).
Quantunque, il distacco non può protrarsi per un monte ore superiore a quello pari ad un mese
per tanti mesi quante siano le federazioni sportive nazionali (ex articolo 68, comma primo, della
legge 13 marzo 1997 n. 32).
(*)_Avvocato in Cosenza e dottorando di ricerca in “Impresa, Stato e Mercato”
nell’Università della Calabria
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