Anno VI Pubblicazione numero 2 2010 GiustiziaSportiva.it Rivista Giuridica Direzione e Fondatori Enrico Crocetti Bernardi Antonino de Silvestri Enrico Lubrano Paolo Moro Jacopo Tognon Comitato di Redazione Giuseppe Agostini Alessia Bellomo Marco Mazzucato Emanuele Paolucci Michela Pigato Jacopo Tognon Direttore Responsabile Mario Liccardo _____________________________________________________________ Autorizzazione del Tribunale di Padova in data 1 ottobre 2004 al numero 1902 del Registro Stampa - Periodico quadrimestrale – - ISSN 1974-5230 1 INDICE DEL FASCICOLO 2° PARTE PRIMA DOTTRINA ANTONINO DE SILVESTRI, La mission impossibile del legislatore di conversione e pag.4 la progressiva demolizione del sistema sportivo ALESSIO PISCINI , L'impianto sportivo pubblico: i principi di buon funzionamento pag.15 dell'impianto tra interesse pubblico e normativa settoriale PARTE SECONDA NOTE A SENTENZA MARIO VIGNA, L'art. R 57 del Codice TAS e le controverse sorti del giudizio "de pag.27 novo" nella procedura d'appello - nota a Lodo TAS, Goitre & Stefanini / CONI del 3 settembre 2010 , (non pubblicato) DOMENICO ZINNARI, Svincoli perigliosi - nota alle Ordinanze del Tribunale di pag.37 Saluzzo del 12 giugno 2010 e del Tribunale di Gorizia del 27 agosto 2010 ANDREA PETRETTO, L'illecito sportivo e la valutazione delle presunzioni - nota a pag.58 Lodo Arbitrale TNAS del 1 aprile 2010 tra Potenza sport club srl e FIGC CARMINE FABIO LA TORRE, Una sentenza “Pilato” del Tribunale di Milano sul pag.78 lavoro sportivo dilettantistico – nota a sentenza del Tribunale di Milano sez. lavoro del 24 marzo 2010 n. 1302,( nel prossimo numero) PARTE TERZA GIURISPRUDENZA IL REVIREMENT DELLA SUPREMA CORTE SULLA PATTUIZIONE DI UN COMPENSO E LA FORMA SCRITTA? - Cassazione Civile sez. II, del 27 gennaio 2010, n. 1713 pag.86 PARTE QUARTA SAGGI MICHELA CHIARINI, Donne per uno sport migliore: quando uno sport discrimina MARIO TOCCI, I soggetti fisici dell'ordinamento sportivo sanmarinese 2 pag.93 pag.103 PARTE PRIMA DOTTRINA SOMMARIO: ANTONINO DE SILVESTRI, La mission impossibile del legislatore di conversione e pag.4 la progressiva demolizione del sistema sportivo ALESSIO PISCINI , L'impianto sportivo pubblico: i principi di buon funzionamento dell'impianto tra interesse pubblico e normativa settoriale 3 pag.15 La Mission impossibile del legislatore…… LA MISSION IMPOSSIBILE DEL LEGISLATORE DI CONVERSIONE E LA PROGRESSIVA DEMOLIZIONE DEL SISTEMA SPORTIVO di Antonino De Silvestri (*) Sommario: 1 . La graduale vanificazione del significato precettivo del decreto Melandri-Pescante ed il ruolo della legge n. 280/2003; 2. Le esigenze di tutela delle pretese sportive e l’attuale situazione di generale “incertezza” del diritto; 3. L’inconciliabilità tra separatezza ed integrazione e l’equivoco della “doppia giuridicità” 1 . La graduale vanificazione del significato precettivo del decreto Melandri-Pescante ed il ruolo della legge n. 280/2003. Se al decreto legislativo n. 242/1999 come modificato da quello successivo n. 15/2004, la legge fondamentale dello Stato in tema di sport istituzionalizzato, spetta il duplice merito di avere inserito le federazioni (e le altre organizzazioni sportive) nel sistema della legalità costituzionale ed in quello delle relative istituzioni sovranazionali, alla legge n. 280/2003 va riconosciuto l’opposto demerito di averne provocato la progressiva fuoriuscita da entrambi. Inaugurando il trend del contemperamento tra le peculiarissime esigenze di autodichia sportiva e l’irrinunciabile sovranità dello Stato, che avevano offerto troppo spazio alla lacerante contrapposizione tra le “due giustizie” il legislatore, con quel decreto, ha infatti indotto le federazioni, che si sono subito adeguate modificando di conseguenza i relativi statuti, ad abbandonare ogni anacronistica pretesa di autoreferenzialità riconoscendo loro però, tramite l’attribuzione della qualifica statuale di persone giuridiche di diritto privato il potere, peraltro già 4 DOTTRINA La Mission impossibile del legislatore…… costituzionalmente tutelato, di organizzare in via configurativa le corrispondenti strutture, anche giustiziali, più confacenti alla realizzazione dei loro collettivi, ma pur sempre privati interessi. Il garante del “contemperamento” avrebbe dovuto essere il CONI, nella sua doppia veste di assegnatario, quale ente pubblico, della funzione sportiva statuale nonché, quale fiduciario del CIO e di Confederazione delle federazioni sportive nazionali di custode, al tempo stesso, dei valori di queste ultime, anche in ragione del loro inserimento nell’ordinamento sportivo sovranazionale. Tale doppia funzione il CONI avrebbe dovuto svolgere sia tramite il proprio potere regolamentare di “conformare” l’autonomia organizzativa delle federazioni al rispetto degli anzidetti valori che tramite quello statutario, all’uopo conferitogli dall’art. 2 del decreto legislativo. Era stato proprio in attuazione dell’art. 12 del proprio statuto che l’Ente, infatti, aveva provveduto ad istituire la Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo sport che avrebbe dovuto consentire di apprestare un valido strumento giustiziale alternativo alla giurisdizione permettendo nel contempo alle federazioni, tenute a svolgere l’attività sportiva “in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi” non solo del CONI, ma anche del CIO e delle Federazioni internazionali, di adeguarsi anche al modello di tutela di queste ultime, unanimi nell’imporre due gradi di giudizio endofederali ed un definitivo ricorso ad una camera arbitrale (vedi, ad es., gli artt. 61 St. UEFA e 60 n. 2 lett. c) St. FIFA). Benché l’esplicito riconoscimento della natura di associazioni private delle federazioni (che non sono state in realtà privatizzate, in quanto tale era già la loro natura) non sembrasse offrire larghi spazi di intervento alla magistratura amministrativa era stata invece proprio questa, enfatizzando i propri abituali schemi culturali di giudici d’annullamento, e comunque ostinandosi nel ri-pubblicizzare ciò che il legislatore aveva privatizzato, a compiere una prima “operazione di pubblicizzazione giurisprudenziale” ed a dare così inizio ad una sorta di “domino impazzito” destinato, nel giro di pochi anni, a mettere in scacco l’intero sistema giustiziale statual-sportivo. Utilizzando il grimaldello della “valenza pubblicistica” di talune attività (manipolato sino a far rivivere, ampliandolo tra l’altro a dismisura a discapito del “privato”, ridotto praticamente al mero contenzioso patrimoniale, la non più sostenibile tesi della natura anfibia delle federazioni sportive) un numero sempre crescente di tribunali amministrativi, confortato da quella parte della dottrina che stentava a rassegnarsi alla scelta operata dal legislatore, ha ritenuto di doversi attribuire la giurisdizione nelle più svariate controversie in cui non vi era però traccia alcuna di interessi legittimi finendo, così, con il ripristinare proprio quella situazione di incertezza di regime giuridico che il legislatore si era proposto di eliminare. 5 DOTTRINA La Mission impossibile del legislatore…… Anche il legislatore costituzionale ha avuto un ruolo non certo voluto in tal senso perché, ricorrendo inopportunamente al concetto di ordinamento sportivo al solo scopo di coordinare il potere legislativo tra Stato e Regioni in tema di sport, ha fatto balenare agli occhi degli osservatori meno avveduti la possibilità di un qualche contraddittorio recupero del non più predicabile tratto della “separatezza” sul quale faceva leva la teoria pluralistica classica. Gutta cavat lapidem Non può sorprendere, perciò, la circostanza che il decretatore d’urgenza del 2003, immerso in siffatto contesto culturale, apertamente evocato nella relazione d’accompagnamento, dichiaratemente ispirata alla “nota” teoria del pluralismo degli ordinamenti giuridici, abbia “costretto” il legislatore, per motivi di opportunità politica, ad emanare, in sede di conversione, una legge sulla giurisdizione viziata da intime contraddizioni che, non foss’altro per la materia, avrebbe comunque meritato ben altra riflessione. Personalmente ho immediatamente denunciato la sua incoerenza con la disciplina sostanziale delle federazioni, la sua ambiguità ed in ogni caso la sua pretenziosità, avendola giudicata ictu oculi inidonea al raggiungimento del dichiarato obbiettivo di porre definitivamente un discrimine tra le pretese sportive meramente endoassociative e quelle, invece, statualmente rilevanti e quindi insuscettive, come tali, di essere deprivate di tutela giurisdizionale. La stessa legge è stata invece accolta trionfalmente dai “panamministrativisti” i quali, enfatizzando i principi, di cui dirò in seguito, di “autonomia” e di “rilevanza”, hanno glorificato la sua emanazione come un momento fondamentale nell’evoluzione dei rapporti tra i “due ordinamenti”, spingendosi persino a sostenere, con evidente miopia, che i suoi contenuti avrebbero finalmente offerto “certezze” agli operatori del settore. Il suo dettato, in realtà, è stato oggetto di immediate e fondate critiche, prime tra tutte quelle che ne hanno messo in discussione la stessa legittimità costituzionale sotto vari profili, tra i quali quello che aveva indotto il legislatore a ritenere sussistenti, nella specie, le “particolari” esigenze che sole consentono, a norma dell’art. 103 della Costituzione, di ricorrere alla “giurisdizione esclusiva”. Dopo lo storico intervento “demolitivo” della Corte Costituzionale, effettuato con la sentenza 6 luglio 2004 n. 204, ribadito peraltro in due ulteriori pronunce (n. 281/2004 e 191/2006), non avevo infatti mancato di ribadire come la scelta del legislatore non apparisse affatto in linea con la necessità che tale tipo di giurisdizione fosse unicamente riservato alla risoluzione di controversie comunque insorte con una pubblica amministrazione in veste autoritativa 6 DOTTRINA La Mission impossibile del legislatore…… Non a caso, del resto, il Tribunale di Genova, aveva avvertito meno di due anni dopo la sua emanazione l’esigenza di esaminare d’ufficio la questione di legittimità, omettendo di sollevarla esclusivamente sotto il profilo della irrilevanza ai fini del decidere (sull’erroneo presupposto dell’effettiva vigenza della riserva all’ordinamento sportivo della materia disciplinare), ma non anche sotto quello della fondatezza. Avevano infatti osservato all’epoca i giudici liguri come nel dettato della legge si ravvisasse, anzi, una insolita inversione tra giurisdizione ordinaria (circoscritta a particolari categorie di controversie) e giurisdizione amministrativa esclusiva, trasformata in giurisdizione generale non in base alla natura specifica delle controversie, bensì soltanto in relazione ai soggetti che avevano posto in essere gli atti sui quali verteva la causa. Quanto ai contenuti, la legge di conversione ha comunque subito diviso dottrina e giurisprudenza sul già evidenziato problema, evidentemente centrale, dell’actio finium regundorum tra giurisdizione e autodichia sportiva. Avevo al proposito subito rilevato come ogni giudizio circa la giustiziabilità statuale di pretese comunque sorte nell’ambito dello sport istituzionalizzato non potesse prescindere dai principi del codice civile in materia associativa e, soprattutto, dagli articoli 2,4,18,24,41 e 113 della Costituzione. Mi era infatti apparso evidente che l’attività professionistica impingeva necessariamente su valori costituzionalmente tutelati, quali il diritto al lavoro e la libertà di iniziativa economica a fini di lucro delle società e che anche lo sport dilettantistico, incentrato su valori inviolabili della persona e sull’esercizio di libertà fondamentali, non avrebbe potuto parimenti tollerare compressioni di tutela giurisdizionale. Non appena si sono verificati i primi, prevedibili, contenziosi, un tale ordine concettuale è stato fatto immediatamente proprio dal Tar Lazio il quale, all’evidente scopo di salvaguardare la tenuta della legge e di scongiurare l’altrimenti inevitabile questione di legittimità, ne ha subito patrocinato un’interpretazione “costituzionalmente orientata”, fondata sul combinato disposto della norma di salvaguardia di qui all’art. 2 con il generale precetto di rilevanza delle situazioni “connesse” di cui all’art. 1. Anche la dottrina, aldilà della posizione di chi, evidentemente fuorviato dall’ambigua restaurazione del paradigma pluralistico, ha ritenuto di poter addirittura fondare il dettato dell’articolo 2 della legge sullo sfondo di un inammissibile “primato” dell’ordinamento sportivo, si è generalmente mostrata favorevole all’interpretazione abbracciata dai giudici amministrativi, anche se non ha mancato di rilevare, in ogni caso, come le stessa si fondasse più su criteri “politici” 7 DOTTRINA La Mission impossibile del legislatore…… che giuridici, e come risultasse comunque “inafferrabile” il parametro da utilizzare per individuare la rilevanza esterna del contenzioso sportivo. In senso opposto si sono però schierati i giudici civili i quali, fondandosi sull’autorevolissimo convincimento della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (n. 5775/2004, successivamente ribadito dalla sentenza n. 18919/2005), in più circostanze hanno sostenuto la legittimità della riserva in favore dell’autodichia sportiva proprio nei termini fissati dalla legge. Oltre al già citato Tribunale di Genova (decreto 18 agosto 2005, conseguente all’impugnativa del Genoa avverso la mancata iscrizione al Campionato di Serie A), va infatti ricordato il più recente arresto del Tribunale di Trento (ordinanza 4 dicembre 2008, est Gilardi, TS c/ FIPAV) il quale, chiamato a decidere sull’appartenenza o meno alla propria cognizione del contenzioso in tema di attività discriminatoria, ha ritenuto che il legislatore, “regolando in via innovativa ed esclusiva i rapporti tra i due ordinamenti”, abbia appunto assegnato a quello sportivo la cognizione dell “intero, relativo settore di materie”. In un contesto così ambiguo e progressivamente diversificato, anche le certezze salvifiche del giudice amministrativo hanno finito però con il vacillare, sino ad arrivare all’aperto sconfessamento delle posizioni iniziali. Il relativo, tormentato percorso è esaustivamente documentato dalla decisione n. 5782 del Consiglio di Stato (Sez. VI, 25 novembre 2008), che costituisce il background dell’ordinanza in commento, in cui il massimo organo di giustizia amministrativa ha denunciato apertamente il fallimento del tentativo, operato dal legislatore, “di tracciare una linea di confine netta tra i territori rispettivamente riservati all’ordinamento sportivo e ai suoi organi di giustizia e quelli nei quali è possibile l’intervento della giurisdizione statale”. Ripercorrendo il contrasto tra la propria, precedente linea correttiva di “salvataggio” della legge e quella, già patrocinata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia (sentenza 8 novembre 2007 n. 1048), che aveva invece ritenuto che la “discrezionalità interpretativa” sino ad allora patrocinata si sarebbe illegittimamente sovrapposta “a quella legislativamente esercitata dal Parlamento”, il Consiglio ha finito con l’aderire a quest’ultima, ritenendola come la “più aderente alla formulazione letterale degli artt. 2 e 3”. Anche perché, ha ancora osservato, allorquando sono stati emanati decreto e legge di conversione, il legislatore non poteva aver ignorato la circostanza che, all’irrogazione di gravi sanzioni disciplinari, non potevano non conseguire quasi sempre conseguenze patrimoniali “indirette” di rilevantissima entità. 8 DOTTRINA La Mission impossibile del legislatore…… Non essendo stata sollevata l’eccezione di illegittimità costituzionale perché irrilevante in quel processo, tramite il quale non risultava più possibile restituire alla società reclamante, a campionato concluso, il “bene della vita” dell’ammissione a quello superiore, mi era stato perciò facile prevedere che la legge n. 280/2003, pretendendo di riservare un trattamento privilegiato alle federazioni sino a concedere alle stesse quell’autodichia, sostanzialmente equivalente ad immunità giurisdizionale, negata ad altri gruppi sociali (partiti, sindacati, per tacere della Chiesa Cattolica) che godono peraltro di una tutela costituzionale sicuramente più intensa., avrebbe avuto i giorni contati. 2) Le esigenze di tutela delle pretese sportive e l’attuale situazione di generale “incertezza” del diritto. L’eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dall’ordinanza in commento, che sino alla pronuncia della Corte non potrà non provocare una situazione di stallo sulla giustiziabilità statuale delle pretese sportive, si inserisce peraltro in un contesto già di per se stesso ambiguo ed incerto, per la cui comprensione occorre tornare al modello di tutela delle pretese sportive come strutturato all’epoca dal regolatore CONI incentrato, cioè, sul doppio grado di giustizia endoassociativa e sul lodo camerale quale strumento alternativo alla giurisdizione. La Suprema Corte, occorre dirlo subito, nel fornire il proprio autorevole avallo all’anzidetto modello di tutela ha senz’altro peccato per eccesso, finendo con l’assimilare ad arbitrato irrituale l’intero sistema giustiziale endoassociativo in realtà difettante, oltre che di una convenzione arbitrale di fondo realmente devolutiva (tale non potendo considerarsi il vincolo di giustizia), dell’imprescindibile requisito di “terzietà” dei propri organi giudicanti, tutti di nomina federale o di lega. I giudici amministrativi, compiendo un’evidente operazione di “pubblicizzazione giurisprudenziale” della materia, sono però incorsi nel devastante errore per certi versi opposto, quello cioè di negare la natura di lodo a quello camerale, cagionando così il duplice effetto di provocare il default dell’anzidetto modello di tutela e di “scollegare” le federazioni, trascinate in un “innaturale” background pubblicistico, sia dal sistema della legalità costituzionale che da quello pacificamente vigente in ambito sovranazionale. 9 DOTTRINA La Mission impossibile del legislatore…… La svolta è avvenuta con la decisione n. 527 dell’ 8 novembre 2005 – 9 febbraio 2006 con le quale il Consiglio di Stato, ponendo fine ad un articolato avvicendamento giurisprudenziale caratterizzato da numerose “ribellioni”, ha convinto i giudici di primo grado ad assecondare la propria funzione nomofilattica secondo la quale al lodo camerale, al di là della forma, doveva essere assegnata natura sostanziale di “terzo grado” di giustizia sportiva. Tale arresto non solo ha consentito ai panamministrativisti di elevare ulteriormente il tasso di pubblicità delle federazioni, avendo a loro modo di vedere fornito argomenti per riconoscere medesima natura amministrativa all’intero sistema di giustizia sportiva, (tali avrebbero dovuto essere considerate, infatti, tutte le determinazioni degli organi endofederali ed i rimedi contro le stesse, apertamente assimilati a ricorsi gerarchici), ma ha costretto il CONI a sopprimere la Camera di Conciliazione e Arbitrato ed a ripensare un nuovo modello di tutela, necessariamente adeguato all’ormai consolidato indirizzo, incentrato sulle nuove istanze di giustizia esofederale quali risultano disciplinate dagli artt. 12, 12 bis e 12 ter del nuovo Statuto CONI adottato il 26 febbraio 2008. Anche in questo caso, come avvenuto per il legislatore di conversione (amplius sub 3), il Regolatore è stato “costretto” a compiere una missione impossibile per l’evidente ambiguità del quadro di riferimento e dei parametri adottati. Il sistema attuale, infatti, risulta fondato sull’alternatività tra il Tribunale Nazionale Arbitrale per lo Sport (TNAS), una sorta di erede della soppressa Camera di Conciliazione e Arbitrato e l’Alta Corte di Giustizia Sportiva (ACGS) istituita invece, secondo le indicazioni dei giudici amministrativi, quale “terzo grado” di giustizia in seno al CONI. Sta di fatto, però, che i precetti discretivi da utilizzare per qualificare le anzidette istanze giustiziali, oltre che per fissare in concreto le relative attribuzioni, rimandano a generalissime e tuttora irrisolte questioni di teoria generale sulle quali è impossibile fondare certezze, quali la differenza tra situazioni giuridiche disponibili e indisponibili e, ancora più a monte, tra diritti soggettivi e interessi legittimi, finendo così con il riproporre, ancora una volta, l’annosa alternativa pubblico-privato. Per tornare allo specifico, le sanzioni disciplinari sono espressione di pubblici poteri, come i panamministrativisti hanno sempre sostenuto con il conforto della giurisprudenza dell’epoca, e continuano ancora a sostenere, ovvero, come (giustamente) pare ora, pene private in ambito endoassociativo? E, posto che nelle attività federali siano individuabili posizioni di interesse legittimo, le stesse devono ritenersi indisponibili come ritiene il regolatore CONI, ovvero disponibili, come ormai larga parte della dottrina amministrativistica sembra essere orientata ? 10 DOTTRINA La Mission impossibile del legislatore…… E quali i rapporti tra l’arbitrato del TNAS, che attiene peraltro anche a ipotesi di contenzioso non giuridico, e la giurisdizione amministrativa come istituita dalla legge n. 280/2003 ? Non è perciò un caso che, anche alla luce del nuovo modello di tutela, si sia riproposto il problema della natura del nuovo lodo: arbitrale nella sostanza, solo nella forma, ma in realtà terzo grado di giustizia esofederale, ovvero addirittura anfibia, come ha sostenuto di recente un giurista del calibro di Luiso ? 3) L’inconciliabilità tra separatezza ed integrazione e l’equivoco della “doppia giuridicità”. Non occorre spendere molte parole per dimostrare l’assoluta fondatezza della questione sollevata, risolvendosi l’interpretazione “costituzionalmente” orientata in un mero espediente salvifico destinato non a “correggere”, secondo le intenzioni, ma bensì ad eludere il preciso e voluto significato precettivo della riserva in materia disciplinare, ispirata all’anzidetto canone della separatezza. La stessa, però, non ha retto e non poteva reggere in termini di “diritto vivente” anche alla luce della stessa giurisprudenza amministrativa, che in nome dell’esegesi “correttiva”, ha finito con l’affermare la propria giurisdizione persino su sanzioni disciplinari non ritenute impugnabili in precedenza quali quelle pecuniarie, quando si avvaleva al proposito del criterio discriminante dell’alterazione di status (emblematico il caso di quella inflitta all’ex Presidente della F.I.G.C. Franco Carraro). L’attenzione deve invece piuttosto essere rivolta agli inemendabili vizi di fondo che hanno reso impossibile al legislatore di conversione, in quel momento storico, il mantenimento dell’impianto del decreto nell’alveo della legalità costituzionale. A fronte della consapevolezza di non poter procedere ad una soluzione radicalmente sconfessoria del decreto, non è da credere che in sede di discussione non sia stata percepita l’inadeguatezza dei principi adottati, e del travaglio del legislatore di conversione è del resto larga traccia negli atti parlamentari, se si considera che la legge è stata licenziata dalla Camera con il voto contrario di ben 170 deputati e con l’astensione di un intero gruppo, e che in Senato sono state inoltre avanzate espresse perplessità d’ordine costituzionale, incentrate sul timore che si sarebbe finito con il prevaricare diritti ed interessi privandoli di tutela. 11 DOTTRINA La Mission impossibile del legislatore…… Emblematica, al proposito, è la circostanza che siano stati presentati specifici emandamenti che miravano non a correggere, ma addirittura a sopprimere totalmente sia l’art. 1 che l’art. 2 del testo, quelli cioè fondativi dell’ intero impianto. La realtà è che il nodo da sciogliere non atteneva affatto al quantum delle questioni riservabili all’autodichia sportiva, anche se era comunque apparsa ictu oculi esorbitante la riserva concessa in prima battuta, ma si risolveva nella ben diversa mission impossible di creare zone franche dalla giurisdizione postulando l’esistenza di due giuridicità parallele, quella dell’ordinamento statuale e quella del (c.d.) ordinamento sportivo. Mutuando il paradigma separatista della teoria pluralistica, senza peraltro poter rinnegare l’ovvia sovranità statuale, il decretatore d’urgenza non si è evidentemente reso conto di aver fatto uso di un falso sillogismo, quello denominato dei “quattro termini”, che conduce a risultati fuorvianti perché attribuisce al termine medio, quello che fa da raccordo, due significati diversi fra loro. Coma a dire: l‘ordinamento giuridico (in senso classico, quale superiorem non recognosens) ha una propria giuridicità, l’ordinamento sportivo è un ordinamento giuridico (in tal caso derivato, però !), quindi l’ordinamento sportivo risulta dotato ex se di una giuridicità diversa da quella statuale, con la quale occorrerebbe dunque misurarsi. E’ sulla perpetuazione dello stesso equivoco, che pretende l’impossibile coesistenza tra integrazione (che rinvia imprescindibilmente alla giurisdizione) e separazione (che presuppone invece un’ “altra” giuridicità) che si fondano gli enfatizzati principi di “rilevanza” e di “autonomia”. In tale ambiguo contesto, la logica sottesa alle riserve di cui all’art. 2 (non solo quella in materia disciplinare, ma anche quella di cui alla lett. a) sarebbe dunque quella dell’ “autonoma” giuridicità delle relative questioni, come tale “rispettata” dal legislatore, mentre l’art. 1 avrebbe all’opposto la funzione di “recuperare” la sovranità statuale, riconsegnando alla giurisdizione le questioni riservate nel caso di asserito collegamento tra queste con diritti ed interessi insuscettibili di essere privati di tutela. Ho già osservato altrove come il diritto dello sport in ambito nazionale, sia sinonimo di diritto statuale dello sport, con la conseguenza che l’autodichia non può che essere una risultante di sistema, e non una concessione che prescinda dai principi costituzionali, nella specie quello generalissimo di azionabilità delle pretese fondate su diritti ed interessi legittimi, come ha ritenuto invece il legislatore del 2003. 12 DOTTRINA La Mission impossibile del legislatore…… Tale ultimo modo di argomentare, fondato dunque su due separate e distinte giuridicità, è fonte di un ulteriore equivoco, corrente sia in dottrina (con l’eccezione di Ferrara) che in giurisprudenza (anche nell’ordinanza in commento), quello secondo cui le attività federali, in particolare quelle di giustizia irrogative di sanzioni disciplinari, produrrebbero effetti “diretti” in ambito sportivo e “indiretti” in quello statuale, considerato evidentemente separato. Occorre dunque ripensare l’intera materia, e non è questa ovviamente la sede. Da una considerazione non può comunque prescindersi, quella secondo cui l’autodichia (rectius la gestione del contenzioso nell’ambito dello sport istituzionalizzato) non può che riguardarsi in termini di alternatività con la giurisdizione, pena la fuoriuscita del sistema della legalità costituzionale. Quanto al contenzioso irrilevante statualmente, del resto, non si avverte l’esigenza di alcun intervento superfluo del legislatore, mentre per quello rilevante l’unica strada realisticamente percorribile, per non creare più problemi di quanti non se ne vogliano risolvere, è quella di considerare tutte le controversie sportive afferenti indistintamente a materie disponibili, risolvendosi comunque le stesse in liti in ambito endoassociativo, e non tra estranei, in modo tale da fondare istanze arbitrali ricomprese nel sistema della legalità costituzionale perché realmente alternative alla giurisdizione. (*)Avvocato, Consulente della Lega Nazionale Dilettanti, esperto di diritto sportivo 13 DOTTRINA La Mission impossibile del legislatore…… La nota riproduce sostanzialmente i contenuti di una conferenza tenuta il 24 giugno 2010 presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Padova, e ciò rende conto del tono discorsivo, privo di richiami bibliografici, rimasto sostanzialmente inalterato. Le opinioni che in essa ho esposto sono comunque complessivamente riportate, in larga parta e più in dettaglio, con relativi richiami di dottrina e giurisprudenza, in tutti i precedenti saggi da me pubblicati in questa Rivista, oltre che, più in generale, in quanto ho scritto in AAVV, Diritto dello Sport, Le Monnier, Firenze, 2008. Per vicinanza di pensiero e per ampiezza di respiro segnalo, inoltre, l’ottima voce di L. FERRARA, Giustizia sportiva, in Enc. Dir. Annali 2009. Sul lodo del TNAS vedi, infine, A.M. MARZOCCO, Sulla natura e sul regime di impugnazione del lodo reso negli arbitrati presso il Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport e F.P. LUISO, Il Tribunale Nazionale Arbitrale per lo Sport, Il punto di vista del processualista, entrambi in Judicium, Il processo civile in Italia ed in Europa, www.judicium.it Per l’ordinanza di rimessione del Tar del Lazio alla Corte Costituzionale vedi nel n. 1/2010 di questa rivista. 14 DOTTRINA L'impianto sportivo pubblico…… L' IMPIANTO SPORTIVO PUBBLICO: I PRINCIPI DI BUON FUNZIONAMENTO DELL'IMPIANTO TRA INTERESSE PUBBLICO E NORMATIVA SETTORIALE di Alessio Piscini (*) Sommario: 1. Introduzione e quadro normativo 2. La ripartizione delle competenze in materia di impiantistica sportiva 3. I criteri di buona gestione di un impianto sportivo 4. I conflitti tra interesse pubblico e diritto sportivo 5. Conclusioni (brevissime e incomplete) 1. Introduzione e quadro normativo. Molto si è scritto in tema di impiantistica sportiva. Solitamente i motivi di interesse – sia per ragioni squisitamente dottrinali sia per gli interessi pratici degli operatori del diritto – si concentrano sulla responsabilità degli organizzatori di eventi sportivi o dei gestori di impianti1, o, nel caso di eventi di alto livello, sull’incidenza della normativa in materia di sicurezza e salubrità nei luoghi di lavoro, anche in funzione di prevenzione di fenomeni violenti2. Minor attenzione – è un dato oggettivo –ottiene un aspetto che pure unisce l’intero panorama sportivo, senza distinzione territoriale, tipologico o di livello d’attività sportiva, ovverosia l’incidenza della normativa sportiva nella buona gestione (giuridicamente intendendo) di un impianto. 1 A titolo esemplificativo, M. Conte, Il Risarcimento del danno nello sport, Torino, 2004, ppgg. 32 e ss. 2 Recentemente spicca il bel volume L. Bauccio, E. Crocetti Bernardi, S. Dambruoso, L. Musumarra, S. Scarfone, La gestione della sicurezza negli impianti sportivi, Forlì, 2009. 15 DOTTRINA L'impianto sportivo pubblico…… Una premessa è necessaria: nel panorama italiano, è pressoché totale la diversificazione tra il proprietario dell’impianto (un Ente pubblico nella quasi totalità dei casi) e il conduttore-gestore del medesimo (un’associazione sportiva, dilettantistica, professionistica o puramente amatoriale solitamente). La questione non è oziosa, tuttavia: nella dinamica (e nella statica) dei rapporti tra proprietario pubblico e conduttore passa, da un lato, la capacità di ben organizzare le competizioni sportive e, dall’altro, il concreto atteggiarsi degli interessi pubblici in materia di attività sportiva. Motivi (teorici) di frizione ve ne sono, e la posta in palio è alta: da una parte vi è la necessità di gestione di un patrimonio immobiliare nel rispetto dei criteri di legge, ivi comprese le istanze federalistiche di autonomia economica e amministrativa; dall’altra, l’interesse dell’ordinamento settoriale sportivo alla difesa della propria coerenza interna e autodichia. Parlando di massimi sistemi, pare opportuno premettere alcune parole sull’annosa questione della copertura costituzionale dello sport, nonché sulla competenza in materia di impiantistica sportiva. Pur in carenza di una disciplina pubblicistica in materia di sport, è costantemente ritenuto da dottrina e giurisprudenza che vi sia, in capo ad ogni cittadino, un diritto costituzionalmente garantito all’esercizio della pratica sportiva (recte, situazione soggettiva costituzionalmente raccomandata3) sorto dal combinato disposto degli artt. 2 e 18 del testo costituzionale 4. In tal senso, la violazione delle leggi dell’ordinamento sportivo (e, comunque, in material sportiva), costituirebbero una violazione costituzionale, se incidenti sul diritto di singoli e associazioni al libero esercizio della pratica sportiva agonistica, ovvero dell’attività motoria5. Tale situazione giuridica soggettiva viene concretizzata dalla nozione di sport come emergente, in sede europea, dal combinato disposto della Carta Europea dello Sport, emanata dal Consiglio d’Europa in Rodi il 15 maggio 1992, secondo cui sport è “qualsiasi forma di attività fisica che, attraverso una partecipazione organizzata o non, abbia per obiettivo l’espressione o il miglioramento della condizione fisica e psichica, lo sviluppo delle relazioni sociali o l’ottenimento di risultati in competizioni di tutti i livelli.” 3 4 Tribunale Milano, 17 luglio 1967. G. Amato, Problemi costituzionali connessi all’attuale disciplina del CONI, nota a sent. Cass. Civ., S.U., 25/6/1965 n. 1067 in Giur. It., 1966, I, 913. 5 B. Lavagna, Basi per uno studio delle figure giuridiche soggettive contenute nella Costituzione Italiana, Padova, 1953. 16 DOTTRINA L'impianto sportivo pubblico…… Secondo tale interpretazione, il medesimo Consiglio, nella dichiarazione sullo sport – allegato IV alla riunione di Nizza del 10 dicembre 2000, ha chiarito che le federazioni sportive (organi dell’ordinamento di settore sportivo) “svolgono un ruolo centrale nella solidarietà necessaria tra vari livelli di attività(amatoriale, dilettantistica, di alto livello e professionistica, ndr)” e che “consentono l’accesso di un vasto pubblico alle manifestazioni sportive, il sostegno umano e finanziario alle pratiche dilettantistiche…tali funzioni sociali comportano responsabilità particolari per le federazioni e basano il riconoscimento della loro competenza sull’organizzazione delle competizioni”. Simile – e cogente – indicazione dell’Unione Europea è confermata in totodal legislatore italiano, che fornisce di personalità giuridica di diritto pubblico il Comitato Olimpico Nazionale Italiano, o CONI, (ente avente la finalità di “curare l’organizzazione ed il potenziamento dello sport nazionale, e in particolare la preparazione degli atleti e l’approntamento dei mezzi idonei per le Olimpiadi e per tutte le altre manifestazioni sportive nazionali o internazionali….nonché la promozione della massima diffusione della pratica sportiva”, art. 2, D.Lgs. 23 luglio 1999, n. 242) e “riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale…i rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo” (art. 1, Legge 17 ottobre 2003, n. 280). 2. La ripartizione delle competenze in materia di impiantistica sportiva A tale scacchiera di ripartizioni tra ordinamenti si aggiunge la delega di competenze tra Stato e enti locali. In punto di ordinamento sportivo, peraltro, vi è competenza legislativa concorrente di Stato, Regioni ed enti locali (artt. 117, comma terzo, e 118 Costituzione della Repubblica Italiana), queste ultime con particolar riferimento (nell’ambito dei generali principi sopra menzionati) alla promozione, diffusione ed organizzazione della pratica sportiva diffusa (così, artt. 56 e 60, d.P.R. 616/1977). In tale, generale, groviglio di rapporti e interessi pubblici in punto di sport e attività fisica dei cittadini, si inserisce la normativa specifica in punto di impiantistica sportiva. 17 DOTTRINA L'impianto sportivo pubblico…… In particolare, gli artt. 56 e 60, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, prevede l’attribuzione delle funzioni amministrative alle Regioni e ai Comuni, in materia di turismo, ivi compresa la “promozione di attività sportive e ricreative e la realizzazione dei relativi impianti e attrezzature”; vengono comunque fatte salve “le attribuzioni del CONI per l’organizzazione delle attività agonistiche di ogni livello e le relative attività promozionali”. In tal senso, il Consiglio di Stato (sent. n. 343 del 3 luglio 2001) ha riconosciuto che tale nozione comprende la funzione di “dare impulso e stimolo ad un determinato settore di attività sportiva….mediante il finanziamento di iniziative assunte da singoli operatori, adeguatamente selezionate e vagliate secondo parametri di pubblico interesse”. La competenza in materia di programmi d’impianti sportivi è stata specificamente trasferita alle Regioni dall’art. 157, D. Lgs. 112/1998 (oltre all’art. 2, lett. l, d.P.R. 15 gennaio 1972 n. 8, in materia di attrezzature sportive), ovvero ai Comuni. I progetti per la costruzione, l’acquisto, l’ampliamento e le modifiche degli impianti sportivi, disposti dall’Ente locale, sono soggetti alla necessaria approvazione (recte, parere positivo) del Comitato Provinciale del CONI ovvero della Commissione Impianti Sportivi del CONI, in dipendenza del valore del progetto (art. 1, R.D.L. 2 febbraio 1939, n. 302, mai abrogato) e devono soddisfare i requisiti e le direttive emanate dal servizio impianti sportivi del CONI, nonché le misure di sicurezza per gli impianti sportivi vigenti per legge. Qualora non venga acquisito detto parere-approvazione, la dichiarazione di pubblica utilità per la costruzione di un impianto è da ritenersi illegittima6. Incidenter tantum, si precisa che per ragioni squisitamente scientifiche (la residenza dello scrivente) verrà analizzata la normativa toscana in materia di impiantistica. D’altro canto, le possibili differenze tra le normative regionali difficilmente possono incidere sul bilanciamento dei primari interessi statali e ordina mentali, come sopra descritti. Ciò posto, la Regione Toscana ha determinato autonomamente i requisiti per l’apertura e la gestione degli impianti e delle attrezzature motorie, ricreative e sportive a mezzo della Legge Regionale Toscana 31 agosto 2000 n. 72, legge che chiarisce come la gestione degli impianti debba esser informata dalla “conformità con i requisiti tecnici, igienico-sanitari e di sicurezza degli impianti e delle attrezzature”, la cui valutazione deve esser presa con la “consulenza tecnica del CONI” (art. 10, L.R.T. n. 72/2000). 6 così, Consiglio di Stato, IV, 23 novembre 1988, n. 884. 18 DOTTRINA L'impianto sportivo pubblico…… V’è da ricordare che una specifica categoria di impianti sportivi è quella soggetta all’applicazione del Decreto Ministero interno 18 marzo 1996, ovverosia quei “complessi e impianti…nei quali si svolgono manifestazioni e/o attività sportive regolate dal CONI e dalle Federazioni Sportive Nazionali riconosciute dal CONI, ove è prevista la presenza di spettatori in numero superiore a 100” (art. 1), impianti soggetti a vincolo strutturale e teleologico all’uso interno all’agonismo programmatico (art. 3, Decreto Ministeriale). La differenziazione tra impianti sportivi “di uso federale” e di altro tipo è chiarita con ogni conseguenza di legge dal Decreto Regionale Toscana n. 7/R del 13 febbraio 2007, “Regolamento di attuazione della Legge Regionale Toscana 31 agosto 2000 n. 72”, per cui vi sono due tipi di attività (“attività motorio-ricreative: non disciplinate da norme approvate dalle federazioni sportive nazionali; attività sportive: attività disciplinate da norme approvate dalle federazioni sportive nazionali e come tali riconosciute dal CONI”, art. 2). Va da sé che è particolarmente difficile distinguere le due tipologie d’impianto, laddove la maggior parte degli sport praticati è comunque “coperta” dalle attività delle FSN e degli Enti di Promozione Sportiva, comunque legati all’agonismo del CONI. Riguardo gli impianti sportivi comunali, questi fanno pacificamente parte del patrimonio indisponibile dell’Ente exart. 826 c.c., essendo destinati ad un pubblico servizio, dovendosi ritenere pubblico servizio il soddisfacimento dell’interesse, proprio della comunità, all’espletamento delle attività che si svolgono negli impianti sportivi7. Gli enti sono tenuti alla “concessione di aree e di impianti sportivi…in favore delle associazioni dilettantistiche e senza scopo di lucro, affiliate al Comitato Olimpico Nazionale Italiano o agli enti di promozione sportiva” (art. 2, comma 66, legge 28 dicembre 1995, n. 549). Tale destinazione è prioritaria anche sia in caso di gestione diretta sia in caso di concessione in gestione (art. 90, commi 24 e 25, Legge 27 dicembre 2002, n. 289, secondo cui “l’uso degli impianti sportivi in esercizio da parte degli enti territoriali locali è aperto a tutti i cittadini e deve essere garantito, sulla base di criteri obiettivi, a tutte le associazioni sportive”; in ambito toscano, Legge Regionale Toscana 3 gennaio 2005, n. 6). 7 così, Consiglio di Stato, V, 16 aprile 2003, n. 1991 19 DOTTRINA L'impianto sportivo pubblico…… Dalla generale ricognizione sopra esposta possono evincersi due principi – alla stregua di interesse pubblico: 1) connessione genetica e funzionale degli impianti sportivi pubblici – salvo rare eccezioni – alle discipline sportive come suddivise e normate nell’ordinamento autonomo e settoriale CONI- Federazioni Sportive Nazionali, o FSN8; 2) necessità di garantire l’uso di detti impianti, anche in ottemperanza ai generali obblighi di economicità, trasparenza ed efficacia della P.A., in dipendenza della loro conformità alle regole endo-ordinamentali sportive per il tramite di associazioni affiliate alla struttura CONI-FSN. 3. I criteri di buona gestione di un impianto sportivo I confini della questione si sono pertanto delineati con precisione. La proprietà di un impianto sportivo non può mai prescindere dalla specificità del bene, e dalla necessità di gestione unitaria con la struttura CONI-FSN, cui lo Stato ha demandato (recte, il cui ordinamento ha pari dignità di quello statale) la struttura sportiva, sia agonistica sia amatoriale (per il tramite degli enti di promozione sportiva). Come già argomentato, pacifico è che l’impiantistica sportiva faccia parte del patrimonio indisponibile dello Stato (o dell’ente locale) e che debba esser destinato ad un pubblico servizio, dovendosi ritenere pubblico servizio il soddisfacimento dell’interesse proprio dell’ente esponenziale e dell’intera comunità, all’espletamento delle attività che si svolgono negli impianti: non vi può dunque esser neppure dubbio circa la natura di servizio pubblico non essenziale dello sport, quale attività preordinata al benessere sociale della comunità9. In tal senso, l’uso degli impianti sportivi viene aperto a tutti i cittadini e deve esser garantito, sulla base dei criteri obiettivi, a tutte le società e le associazioni sportive: l’art. 3, comma 66, legge 28 dicembre 1995 così si esprime: “la concessione di aree e di impianti sportivi comunali anche scolastici, da parte dei comuni e delle province in favore della associazioni o società sportive dilettantistiche e senza scopo di lucro, affiliate al Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) o 8 che, giova ricordarlo, fanno parte del CONI, ex art. 1, Statuto CONI, e svolgono attività a valenza pubblicistica ai sensi dell’art. 16, comma 1, D.Lgs. 23 luglio 1999 n. 242. 9 In tal senso, lo sport è statao inserito tra i “ servizi” oggetto della Direttiva n. 92/50/CEE in materia di appalti pubblici; una sintetica ma esauriente esposizione dei rapporti tra servizio pubblico e sport in V. Suster, Analisi delle problematiche giuridiche connesse alla gestione di impianti sportivi di proprietà pubblica in Quaderni del Master in Management delle organizzazioni sportive, n. 2/2000, ppgg. 11 e ss. 20 DOTTRINA L'impianto sportivo pubblico…… agli enti di promozione sportiva, può essere fatta applicando le norme relative ai canoni ricognitori”. Giova rammentare che la gestione di un servizio pubblico può avvenire in varie modalità: gestione diretta o in economia; concessione a terzi; a mezzo azienda speciale; istituzione o società. Non è questa la sede per affrontare le problematiche sottese alle varie modalità di gestione: sia sufficiente, per quanto ci occupa, sapere che, concretamente, gli impianti pubblici sono gestiti al 67% mediante concessione ad associazione sportiva o privati e per il 26% mediante gestione diretta10; in entrambi i casi, il potere pubblicistico si estrinseca per il tramite di un bando (per la concessione o per l’affidamento orario) nel quale il sopra esposto principio di prevalenza della finalità sportiva deve agire come informatore, tanto che la Regione Toscana ha emanato una specifica legge (n. 6 del 3 gennaio 2005, “Disciplina delle modalità di affidamento di impianti sportivi da parte degli enti pubblici territoriali della Toscana”), secondo cui “gli enti pubblici territoriali che non intendano gestire direttamente i propri impianti sportivi ne affidano in via preferenziale la gestione a società e associazioni sportive dilettantistiche, enti di promozione sportiva, discipline sportive associate e federazioni sportive nazionali” (art. 2, comma 1). La chiarezza di detto principio viene sfumata tuttavia dall’impalpabile concetto di canone ricognitore, concetto nei fatti sostanziato dalle singole normative regionali in punto di “indirizzi e criteri per la definizione del fabbisogno di spazi, impianti ed attrezzature per la pratica di attività motorie, ricreative e sportive, e per la ottimizzazione delle condizioni di esercizio” (art. 2, comma 2, L.R.T. 72/2000). Nel caso toscano, la specifica legge sopra citata si limita alla generica previsione che “la scelta dell’affidatario tenga conto dell’esperienza nel settore, del radicamento sul territorio nel bacino di utenza dell’impianto, dell’affidabilità economica, della qualificazione professionale degli istruttori e allenatori utilizzati, della compatibilità dell’attività sportiva esercitata con quella praticabile nell’impianto e dell’eventuale organizzazione di attività a favore dei giovani, dei diversamente abili e degli anziani” (art. 3, comma 1, lett. e), e niente viene specificato neppure in sede di triennale (lasciando piuttosto, questo documento, spazio all’auspicio di “iniziative finalizzate alla realizzazione, all'adeguamento ed al pieno utilizzo degli impianti e delle attrezzature necessarie per lo svolgimento delle attività motorie, ricreative e sportive”11. 10 così i dati dell’Indagine sull’impiantistica sportiva in Italia, CNEL-Ministero Beni e Attività Culturali, Roma, 2003. 11 Piano Regionale dello Sport 2008/2010 come approvato dalla Giunta Regionale Toscana in data 22 marzo 2008, nel quale si scrive, ad esempio, che “inoltre è fondamentale ricordare la oramai consolidata esperienza, sorta sulla base di quanto disposto dall’articolo 3 della legge regionale 72/2000, dei Piani Provinciali per lo 21 DOTTRINA L'impianto sportivo pubblico…… Ciò posto, unica certezza nella fattispecie è che non v’è certezza, potendo l’analisi delle norme esclusivamente indicare il generale (e riconosciuto) obbligo di affidamento preminente ad attore dell’ordinamento sportivo, lasciando di volta in volta ai singoli bandi l’effettiva descrizione dei requisiti, con eccessivo spazio di movimento anche per l’estrema vaghezza dei concetti di “attività sportiva” e “attività motoria”12, nonché della “compatibilità” tra attività sportiva e impianto. 4. I conflitti tra interesse pubblico e diritto sportivo Ecco dunque che sino state compiutamente evocate tre aree di frizione (recte, tangenza) tra le esigenze dominicali della Pubblica Amministrazione in punto di buona gestione dell’impianto secondo i criteri di legge13 e gli interessi settoriali dell’ordinamento: il vincolo dell’impianto alla conformità alla regolamentazione sportiva; la concreta incidenza del riconoscimento sportivo – affiliazione – e dell’attività prestata nell’affidamento dell’impianto; il ruolo delle FSN nella gestione dell’impiantistica pubblica. Brevemente, riguardo la prima questione la necessità del parere emanato dal C.O.N.I. (localmente o da parte della competente Commissione impianti sportivi) ai sensi della legge 6 marzo 1987 n. 65, costituisce attività amministrativa-pubblicistica che viene riconosciuta come “espressione di consulenza tecnico-sportiva”14; in tal senso, non sostituisce né si sovrappone alle competenze di programmazione regionale o ai pareri degli organi preposti alle opere pubbliche a livello regionale o locale, “i quali possiedono un carattere eminentemente tecnico-amministrativo”. Sport, quali strumenti di programmazione territoriale, al fine di favorire lo sviluppo della pratica motoria elaborati tenendo conto di: - bisogni e vocazioni già espressi dal territorio; - impiantistica e attività presenti; bacini di utenza potenziale; - integrazione con altri strumenti di programmazione locale; - organizzazione e strutture scolastiche. Nell'attuazione del Piano regionale per la promozione della cultura e della pratica delle attività motorie e sportive, il sostegno alla programmazione locale si realizza attraverso i Piani provinciali per lo sport che hanno carattere pluriennale e sviluppano la propria azione per un periodo coerente con quello abbracciato dal presente piano regionale. Essi si sviluppano attraverso la governante istituzionale che si prospetta nel quadro ordinamentale vigente e nella specificità del modello regionale della concertazione e del modello di governance cooperativa, con i Comuni, le Province e le Aree metropolitane. In particolare le Province sono valorizzate nelle loro funzioni di soggetti intermedi della programmazione e individuate come sede di coordinamento e di concertazione della programmazione a scala locale, nel quadro delle funzioni ad esse attribuite dalla legislazione regionale di programmazione.” 12 Sul punto si veda l’art. 2 del Decreto del Presidente della Giunta Regionale Toscana 13 febbraio 2007 n. 7R, Regolamento di attuazione della Legge Regionale 31 agosto 2000 n. 72, citato. 13 Esigenze che devono necessariamente esser aderenti al generale principio di economicità, efficacia, pubblicità e trasparenza dell’attività amministrativa ex art. 1, Legge 7 agosto 1990 n. 241. 14 Cassazione Civile, sez. I, 2 febbraio 2007 n. 2257. 22 DOTTRINA L'impianto sportivo pubblico…… Simile norma, nei fatti, diviene una sorta di Generalklausel in materia impiantistico-sportiva, ed è pietra angolare del bilanciamento tra i compiti istituzionalmente affidati al CONI, tra cui l’emanazione dei principi generali per la disciplina delle attività sportive (art. 2, comma 2, Statuto), e i generali doveri in materia di gestione della res publica in capo a Stato e enti locali, bilanciamento che non viene considerato in contrasto con le competenze legislative regionali e neppure con la competenza legislativa primaria in materia di lavori pubblici in capo alle Regioni a statuto speciale15. Proprio tale interpretazione del rapporto Stato-CONI in materia di impiantistica fa discendere i due corollari già rammentati, scarsamente dibattuti (e questo intervento vuole esser stimolo in proposito) ma fondamentali per la tenuta dell’intero assetto sportivo: la preferenza nella gestione degli impianti alle società affiliate alla Federazioni o agli Enti di promozione sportiva e la necessità di adeguamento dell’impiantistica alla normativa nazionale e internazionale delle Federazioni per la regolarità delle competizioni sportive. Riguardo il primo aspetto, ormai per costante giurisprudenza la previsione, in un bando di gara per il conferimento in gestione di un impianto sportivo, della presenza di associazione sportiva abilitata “si deve intendere riferita soltanto ad un soggetto affiliato ad una Federazione sportiva nazionale in quanto l’affiliazione è in grado di garantire più di ogni altra qualità materialmente posseduta, la correttezza dell’attività sportiva”16; in altre parole, il conferimento dello status di attore dell’ordinamento sportivo incide direttamente nella capacità dell’associazione di ottenere la gestione (o, comunque, la disponibilità) degli impianti pubblici per una riconosciuta tangenza tra le finalità istituzionali (e agonistiche) della struttura CONI-FSN e i criteri di buona gestione degli impianti. Simile tangenza di interessi comporta, pertanto, che il sopra indicato parere tecnico-sportivo del CONI sia valutazione circa la conformità dell’impianto ai regolamenti sportivi (in materia di regolarità delle gare, uniformità dei campi di giuoco e sicurezza) emanati dalle varie Federazioni Sportive Internazionali per consentire l’agonismo programmatico e il confronto tra atleti. 15 Così Corte Costituzionale, n. 517 del 1987. T.A.R. Sicilia Catania, sezione III, 3 febbraio 2009, n. 258 e così Consiglio di Stato, sez. V, 12 aprile 2005 n. 1636. 16 23 DOTTRINA L'impianto sportivo pubblico…… Detta conformità viene poi accertata direttamente dalla Federazione, che frequentemente richiede la disponibilità di un impianto quale condizione per la partecipazione ai campionati17, per il tramite della c.d. “omologazione”. A tacere da ogni considerazione se sia corretto, in termini squisitamente amministrativistici, giungere così lontano nell’interferenza dell’ordinamento settoriale nei criteri di gestione di un servizio pubblico non essenziale (e sinanco nella gestione di un lavoro pubblico), la sopra esposta conclusione è particolarmente interessante perché ha più volte fondato prognosi (pur contestate) di responsabilità civile in capo alle Federazioni per sinistri occorsi durante un evento agonistico in impianti di proprietà statale, in forza della “indiscussa titolarità dell’attività ispettiva e di controllo che si esplica attraverso l’omologazione del campo di gioco a termine del regolamento esecutivo”18, con pieno riconoscimento dell’attività a valenza pubblicistica delle FSN. Ciò posto, l’intera costruzione che abbiamo descritto conduce al risultato della fusione dell’interesse pubblicistico alla buona gestione dell’impianto e privatistico-sportivo alla corretta organizzazione dell’evento sportivo, fusione da avvenire tramite l’inserimento nella procedura amministrativa dell’attività tecnico-consultiva da parte del CONI e FSN: simile conclusione è peraltro suffragata da recente giurisprudenza19. 5. Conclusioni (brevissime e incomplete) Prendendo a prestito un concetto matematico, l’iterlogico dell’intervento ha svelato un assioma pure celato dal quadro normativo, e cioè l’incidenza della normativa squisitamente sportiva nella realizzazione e gestione di un impianto sportivo. 17 A titolo meramente esemplificativo, art. 59 Norme Organizzative Interne Federali della F.I.G.C. e Criteri Infrastrutturali per gli stadi delle società di I e II divisione come da Comunicato Ufficiale F.I.G.C. n. 117 del 25 maggio 2010. 18 Tribunale Milano, sez. X, 23 febbraio 2009 n. 2430. 19 “se il bando di gara prescrive che l’aggiudicatario deve essere un’associazione sportiva abilitata tale prescrizione si deve intendere riferita soltanto a un soggetto affiliato ad una federazione sportiva in quanto l’affiliazione è in grado di garantire, più di ogni altra qualità materialmente posseduta, la correttezza dell’attività sportiva ed il buon funzionamento dell’impianto e delle di lui risorse, non potendosi ridurre l’aspetto dell’abilitazione alla mera e generica conformità della disciplina e degli scopi associativi alle finalità generali perseguite dall’appaltante”, così Consiglio di Stato, sez. V, 12 aprile 2005, n. 1636. 24 DOTTRINA L'impianto sportivo pubblico…… Questa considerazione potrebbe essere punto di partenza per un’analisi dell’intera disciplina non soltanto limitata alla coerenza del settore con i principi del diritto amministrativo quanto alla compatibilità dei rapporti Stato-sport (oltre la stretta questione dell’impiantistica) con il complessivo assetto giuridico che la pratica sportiva assume nel superiore livello comunitario. Non vi può esser dubbio circa la valenza economica dell’attività sportiva, sin dalla celeberrima sentenza Bosman ed anche prima20; posto questo e posta la natura di servizio pubblico non essenziale dell’attività sportiva (motoria? O fisico-sportiva?), è comunque auspicabile una complessiva rivisitazione della disciplina, in uno con l’intero assetto dei rapporti tra ordinamento di settore e stato, anche al fine di evitare anomalie del sistema, da comprendere poi frettolosamente nel provvidenziale calderone della specificità dello sport. A tal proposito, l’ultima notazione riguardi la curiosa (ma corretta) argomentazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che ha ritenuto legittimo un comportamento della Federazione Italiana Sport Equestri volto ad escludere altre associazioni dall’organizzazione eventi o gestione impianti nello sport di competenza, quali la possibilità di operare per escludere dagli impianti società non affiliate, in virtù della peculiare natura della Federazione come associazione di associazioni dilettantistiche, dall’attività effettuata tale per cui le “competenze federali possono estendersi oltre le attività prettamente olimpico agonistiche”21. (*)Avvocato del Foro di Firenze; Docente Master in Diritto ed Economia dello Sport presso la facoltà di Economia e Commercio, Università di Firenze 20 Sentenza Corte di Giustizia UE 15 dicembre 1995, Causa C-415/1993; in ogni caso, sin dalla nota vicenda Walrave/UCI, la Corte di Giustizia aveva ravvisato, con sentenza 12 dicembre 1974, causa n. 36/1974, la possibile configurazione dello sport come attività economica. 21 Provvedimento Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, 15 maggio 2008, n. 18285. 25 DOTTRINA PARTE SECONDA NOTE A SENTENZA SOMMARIO: MARIO VIGNA , L'art. R 57 del Codice TAS e le controverse sorti del giudizio "de pag.27 novo" nella procedura d'appello - nota a Lodo TAS, Goitre & Stefanini / CONI del 3 settembre 2010 , (non pubblicato) DOMENICO ZINNARI , Svincoli perigliosi - nota alle Ordinanze del Tribunale di pag.37 Saluzzo del 12 giugno 2010 e del Tribunale di Gorizia del 27 agosto 2010 ANDREA PETRETTO , L'illecito sportivo e la valutazione delle presunzioni - nota a pag.58 Lodo Arbitrale TNAS del 1 aprile 2010 tra Potenza sport club srl e FIGC CARMINE FABIO LA TORRE, Una sentenza “Pilato” del Tribunale di Milano sul lavoro sportivo dilettantistico – nota a sentenza del Tribunale di Milano sez. lavoro del 24 marzo 2010 n. 1302,( nel prossimo numero) 26 pag.78 L'art R57 del codice TAS.... L’ART. R57 DEL CODICE TAS E LE CONTROVERSE SORTI DEL GIUDIZIO “DE NOVO” NELLA PROCEDURA DI APPELLO di Mario Vigna (*) Con il lodo in esame il Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna (di seguito “TAS”) ha statuito come i medici della Juventus Dott. Bartolomeo Goitre e Dott. Luca Stefanini fossero stati non correttamente sanzionati dal CONI per la loro asserita responsabilità “burocratica” attinente una richiesta di Therapeutic Use Exemption (“TUE”) per il calciatore Fabio Cannavaro, a sua volta sottoposto a procedimento disciplinare per un esito avverso in un controllo in competition. In particolare, il Collegio ha ritenuto come quanto avvenuto in relazione alla procedura burocratica della TUE non potesse costituire una “mancata collaborazione per il rispetto delle Norme Sportive Antidoping”. Al di là del merito della decisione, ciò che nel lodo in esame desta maggiormente interesse è stata l’impostazione del Collegio relativa al proprio compito. Infatti, il Collegio ha inteso basare l’accoglimento dell’appello sull’erroneità di motivazione della decisione appellata, senza tuttavia riconsiderare completamente “de novo” la condotta dei medici. In particolare, il Collegio non ha ritenuto suo compito valutare altri profili di responsabilità della condotta dei medici quali ad esempio il rapporto professionale tra medico ed atleta, così come evidenziato dal CONI nell’ambito del giudizio d’appello. Tale auto-limitazione del Collegio, il quale cassa la decisione ritenuta erronea senza però esprimersi sulla riqualificazione giuridica della condotta, pone delle perplessità sulla reale portata dell’art. R571 del Codice TAS e degli effettivi poteri degli arbitri, i quali non dovrebbero essere vincolati ad un giudizio sulla correttezza della decisione appellata, quanto piuttosto, come da giurisprudenza consolidata, “examine the case ab novo and, accordingly, must consider all of the evidence and arguments”.2 1 2 L’art. R57 (Scope of Panel’s Review, Hearing) del Codice TAS recita “The Panel shall have full power to review the facts and the law. It may issue a new decision which replaces the decision challenged or annul the decision and refer the case back to the previous instance. …” ed è disponibile al link http://www.tas-cas.org/en/arbitrage_reglement.asp/4-0-1031-4-1-1/5-0-1089-7-11/. Così lodo CAS 2000/A/274 del 19 ottobre 2000, Susin vs FINA, in Rec., II, p. 401 § 39 in cui il collegio più diffusamente afferma: « Under art. R57 of the CAS Code, the Panel is expressly granted full power to review the facts and the law. It follows from this broad scope of review that the parties are not restricted to the evidence adduced, or bound by the arguments advanced, in the proceedings below. The Panel must examine the case ab novo and, accordingly, must consider all of the evidence and arguments before it »; analogamente Lodo CAS 94/129 del 23 maggio 1995, USA Shooting & Q,, in REEB, Recueil des sentences du TAS / Digest of CAS Awards (1986-1998), Bern, 1998, p. 187 ss.; Lodo CAS 98/208 del 22 dicembre 1998, Wang Lu Na vs NOTE A SENTENZA 27 L'art R57 del codice TAS.... Sommario: 1. Il caso di specie. 2. La natura del giudizio d’appello e l’art. R57 del Codice TAS. 3. Il “de novo ruling” e la riqualificazione della condotta: il caso “Ribery”. 4. Conclusioni. 1. Il caso di specie. La vicenda disciplinare che ha visto coinvolti i medici della Juventus scaturisce dalla positività per Betametasone del calciatore Fabio Cannavaro ad un controllo antidoping incompetiton al termine della gara di Serie A Roma – Juventus del 30 agosto 2009. A seguito dell’istruttoria, emergeva che in data 29 agosto i medici avevano somministrato al giocatore una di Bentelan 4 mg per via intramuscolo al fine di curare gli effetti di una puntura di insetto. Lo stesso giorno il giocatore, assistito dai due medici, aveva inviato la documentazione relativa alla richiesta di TUE per la suddetta necessità terapeutica d’urgenza. Quando il difensore azzurro risultò positivo, emerse che l’organo competente a decidere sulla TUE, il Comitato per l’Esenzione a Fini Terapeutici del CONI (“CEFT”) aveva inviato, esclusivamente al giocatore, una missiva ove richiedeva un’integrazione di documentazione al fine di poter statuire sulla concessione o meno della TUE stessa. Tale comunicazione del CEFT, per questioni legate allo smistamento della corrispondenza della società Juventus, non era pervenuta al giocatore se non dopo la notifica dell’esito avverso. La posizione del Giocatore veniva sostanzialmente archiviata, riconoscendosi allo stesso “nessuna colpa o negligenza” ai sensi dell’art. 10.5.1.3 Ad ogni buon conto, i medici provvedevano comunque ad integrare la documentazione relativa alla TUE presentata. Ciononostante, il CEFT provvedeva a negare la richiesta di TUE in quanto i medici avevano somministrato all’atleta un farmaco con emivita 36/72 ore, il che avrebbe costretto lo stesso a sospendere l’attività agonistica sino al rientro dei valori nei limiti.4 FINA, cit., p. 234 ss.; Lodo CAS 98/211 del 7 giugno 1999, Smith De Bruin vs FINA, in REEB, Recueil des sentences du TAS / Digest of CAS Awards (1998-2000), II, The Hague, 2002, p. 255 ss.; Vedi anche F UMAGALLI , La giurisdizione sportiva internazionale, in VELLANO - GREPPI (a cura di), Diritto internazionale dello Sport, Torino 2005, p. 130. 3 4 A tal proposito, potrebbe discutersi sull’appropriatezza del nomen iuris “archiviazione” per il giocatore anziché di una pronuncia con sostazionale “azzeramento” della sanzione ai sensi dell’art. 10.5.1, ma ciò non rileva per il lodo qui in esame. L’art. 4.3 (Criteria for Granting a Therapeutic Use Exemption) degli International Standard For Therapeutic Use Exemption (versione applicabile 2009) dispone “The therapeutic Use of the Prohibited Substance or Prohibited Method would produce no additional enhancement of performance other than that which might be anticipated by a return to a state of normal health following the treatment of a legitimate medical condition. The Use of any Prohibited Substance or Prohibited Method to increase “low-normal” levels of any endogenous hormone is not considered an acceptable therapeutic intervention.” Il testo complete è NOTE A SENTENZA 28 L'art R57 del codice TAS.... In sostanza, con il diniego della TUE, veniva acclarato che i medici, i quali avevano dato il proprio placet professionale per schierare il giocatore nell’incontro Roma-Juventus, avevano di fatto indotto l’atleta a commettere una violazione la normativa antidoping (di seguito anche “responsabilità professionale”). Essenzialmente per supposte negligenze relative al procedimento burocratico TUE, i medici venivano deferiti ai sensi dell’art. 3.3 (Altre violazioni delle Norme Sportive Antidoping) delle Norme Sportive Antidoping (“NSA”), il quale recita “Le seguenti voci costituiscono altre violazioni delle Norme Sportive Antidoping…la mancata collaborazione di qualunque soggetto anche non tesserato e/o di nazionalità straniera, per il rispetto delle Norme Sportive Antidoping. Tale violazione prevede la sanzione della squalifica e/o inibizione da un minimo di una nota di biasimo a un massimo di sei (6) mesi.”5 A seguito del deferimento, il Tribunale Nazionale Antidoping del CONI (“TNA”) sanzionava i medici stante la loro mancata collaborazione “nell’iter previsto per la richiesta TUE, ovvero a rendere completo l’iter procedimentale della stessa”. Con il lodo in esame, a seguito dell’appello presentato dal Dott. Goitre e dal Dott. Stefanini avverso la decisione del TNA, il TAS ha sancito la non correttezza della decisione emessa del giudice sportivo italiano in quanto nessuna responsabilità “burocratica” poteva attribuirsi ai due sanitari. Il Collegio riteneva altresì di non entrare nel merito dei rilievi mossi dal CONI in sede di appello sulla cosiddetta responsabilità professionale. L’UPA-CONI aveva infatti argomentato come l’assistenza prestata dai medici, la quale aveva causato la violazione antidoping da parte del calciatore, ben potesse rientrare nell’alveo dell’art. 3.3. delle NSA come mancata collaborazione per il rispetto della normativa antidoping. Viceversa, il Collegio TAS ha ritenuto di non valutare tale aspetto poiché “la sentenza emessa dal TNA, qui appellata, si limita ad affermare la responsabilità dei Ricorrenti basandosi sulla loro condotta nel procedimento “burocratico”, relativo al TUE, e non su di una loro presunta imperizia in ambito prettamente tecnico e visto che detta sentenza non si pronuncia sulle questioni menzionate”.6 2. La natura del giudizio d’appello e l’art. R57 del Codice TAS. 5 6 disponibile al link http://www.wada-ama.org/Documents/World_Anti-Doping_Program/WADP-ISTUE/WADA_Int.Standard_TUE_2009_EN.pdf Il testo è disponibile al link http://www.coni.it/fileadmin/antidoping/ProgrammaMondialeAntidoping2010.pdf Si veda paragrafo 9.26 del lodo qui esaminato. NOTE A SENTENZA 29 L'art R57 del codice TAS.... L’elemento che desta maggiore interesse nel lodo in esame è legato al compito che un Collegio TAS riveste nel giudizio arbitrale d’appello. Nello stesso lodo qui esaminato si legge “Il compito del Collegio si determina, in via di principio, in base all’articolo R57 del Codice TAS, il quale stabilisce che il Collegio ha pieni poteri di riesaminare la controversia in fatto ed in diritto, Lo stesso articolo, inoltre, stabilisce che il Collegio può emanare una nuova decisione che sostituisce quella impugnata oppure annullare quest’ultima e rinviare la controversia all’autorità che ha emanato il provvedimento nel grado precedente. Le parti hanno espressamente attribuito al Collegio, in udienza, il compito di decidere la controversia in maniera definitiva.”7 Tale impostazione sul compito di un collegio arbitrale TAS ricalca in sostanza l’art. R57 del Codice ed è richiamata nella costante giurisprudenza del TAS. Tuttavia, può notarsi che la reale portata dello “scope of review” non riveste per tutti i collegi TAS un uniforme ed omogeneo spazio di manovra. Se per alcuni “the scope of review of the CAS Panel as provided under Art. R57 of the CAS Code is not limited”8 e “As repeatedly stated in CAS jurisprudence, this means that the CAS appellate arbitration procedure entails a de novo review that it is not confined to deciding whether the body that issued the appealed ruling was correct or not. Accordingly, it is the mission of this Panel to make its independent determination as to whether the parties’ contentions are inherently correct rather than to assess the correctness of the Appealed Decision”9, per altri “It is true that pursuant to art. 57 of the CAS Code the Panel has the full power to review the facts and the law and to issue a decision de novo. However, when a CAS Panel is acting following an appeal against a decision of a federation, association or sports-related body, the power of such a Panel to rule is also determined by the relevant statutory legal basis and, therefore, is limited with regard to the appeal against and the review of the appealed decision, both form an objective and a subjective point of view”.10 In sostanza, pare che il nodo gordiano investa l’interpretazione del legame tra il giudizio d’appello e la sentenza di primo grado da cui tale appello ha origine. Secondo un’estensiva interpretazione dell’art. R57, il Collegio – mediante il potere di riesaminare pienamente la questione in fatto e in diritto – avrebbe titolo per verificare sia di vizi in senso specifico che inficiano la sentenza di primo grado (i.e. “errores in judicando” e “errores in procedendo”), sia di vizi in senso 7 8 9 10 Si veda paragrafo 6 (Compito del Collegio) del lodo qui esaminato. A proposito del riferimento all’udienza, si noti che nel caso in esame non si è tenuta alcuna udienza ma si è deliberato sulla sola base delle memorie scritte delle parti. Si veda paragrafo 4.8 del Lodo CAS 2009/A/1926 International Tennis Federation v. Richard Gasquet CAS 2009/A/1930 WADA v. ITF & Richard Gasquet. Si veda paragrafo 77 del Lodo CAS 2009/A/1912 Claudia Pechstein v/International Skating Union CAS 2009/A/1913 Deutsche Eisschnelllauf Gemeinschaft e.V. v/International Skating Union; nonché paragrafo 21 del Lodo CAS 2007/A/1394 Landis v. USADA. Si veda paragrafo 61 del Lodo CAS 2007/A/1426 Giuseppe Gibilisco v/ CONI; NOTE A SENTENZA 30 L'art R57 del codice TAS.... lato, che attengono alla mera ingiustizia del provvedimento emesso in primo grado. Con l’appello si avrebbe dunque un totale riesame della controversia e non soltanto un controllo dei vizi. Secondo l’interpretazione più restrittiva l’appello dovrebbe in ogni caso considerarsi un mezzo di gravame, ovvero un mezzo devolutivo in cui il Collegio, giudicando in appello, viene sì investito del potere di riesaminare ciò che è già stato oggetto di esame da parte del giudice di prima istanza, ma tale devoluzione è tuttavia potenziale e non automatica. In altre parole, il Collegio dovrebbe limitarsi ad esaminare le questioni che le parti hanno presentato nel primo grado e devoluto in appello. Probabilmente il differente orientamento ha radici antiche e si fonda sulla diversa impostazione circa la natura dell’appello. In linea generale, l’appello è un mezzo di impugnazione con il quale si demanda a un giudice superiore di pronunciarsi su una controversia che sia stata decisa in una sentenza o decisione precedente e di cui una delle parti si ritenga insoddisfatta. Nei diversi campi del diritto tuttavia l’appello si connota di differenti peculiarità. Ad esempio, nel diritto amministrativo italiano l’appello è definito un mezzo di impugnazione di tipo “rinnovatorio” perché consiste nell’espressione di un nuovo giudizio sulla stessa questione. Si differenzia in tal senso dai cosiddetto gravame “impugnatorio” – ad esempio in materia civile – che invece verte sulla decisione di primo grado come atto e quindi come riesame critico della medesima. Dalla distinzione tra innovatorio ed impugnatorio potrebbe nascere la diversa impostazione dei Collegi circa la portata del giudizio d’appello TAS. Nel cercare di dare soluzione a tale discrepanza interpretativa sul giudizio d’appello, probabilmente è la stessa giurisprudenza TAS a fornirci le risposte. Va ricordato che la Divisione d’Appello fu creata nel 1994 sulla scia del modello d’arbitrato istituito dal CAS nel 1991 e poi fatto proprio da molte federazioni sportive. In poco tempo i casi di natura disciplinare, particolarmente quelli riguardanti il doping, aumentarono tanto da rendere necessaria una procedura ad hoc per i casi d’appello.11 La vasta casistica mostra come l’attitudine principale dei Collegi TAS è quella di emettere una nuova decisione che sostituisca quella appellata, sostanzialmente dando seguito a quel potere di riesaminare il caso senza essere vincolati alla decisione presa da un altro organo giurisdizionale.12 Assai meno frequente è il caso in cui il Collegio annulli la decisione appellata e rinvii la questione al giudice di primo grado per un riesame della questione. 11 12 Negli ultimi anni i procedimenti d’appello sono diventati la stragrande maggioranza. Nel 2008 vi furono 276 casi d’appello e solamente 26 sottoposti alla Ordinary Division. Fonte al link http://www.lalive.ch/data/publications/beh_gta_CAS_2010.pdf Tale impostazione ha radici antiche. Si veda in particolare il paragrafo 59 della decisione USA Shooting / UIT, CAS 94 / 129. NOTE A SENTENZA 31 L'art R57 del codice TAS.... Infatti, a parte una serie di rinvii legati alla carenza di giurisdizione del TAS per il mancato esaurimento dei mezzi di impugnazione interni di cui all’art. R4713 e rari casi in cui il TAS ha annullato la decisione di primo grado e rinviato la questione per permettere al giudice di prime cure di giudicare su nuove questioni14, il rinvio della questione al giudice di primo grado non ha avuto vasta applicazione. Può notarsi come la stragrande maggioranza dei Collegi abbia ritenuto, in forza dell’art. R57, di poter esaminare la fattispecie in via del tutto autonoma e di poter giungere ad una decisione, raramente optando per un rinvio al giudice di primo grado. In altre parole, dalla prevalente giurisprudenza può desumersi come nei giudizi d’appello il TAS preferisca interpretare il suo ruolo di “Supreme Court for World Sport” più come giudice di merito che come mero giudice di legittimità. Sulla base di quanto esposto in termini generali, resta da affrontare la questione maggiormente interessante che lodo in esame pone in rilievo, ovvero valutare se un Collegio TAS – in un caso disciplinare d’appello – possa o meno effettuare una valutazione della condotta del soggetto incolpato totalmente de novo rispetto a quanto originariamente dedotto nella decisione disciplinare di primo grado. Se la risposta a questo quesito fosse positiva, potrebbe argomentarsi che il “full power to review the facts and the law” dovrebbe spingere il Collegio non solo ad annullare una decisione errata, ma altresì a valutare se la condotta determini altri profili di responsabilità che il giudice di prima istanza non aveva individuato. Come sopra esposto, la vicenda disciplinare dei due medici è adesiva alla violazione della normativa antidoping da parte del calciatore, il quale ha giocato un incontro di campionato risultando positivo ad una sostanza per la quale non è mai stata accordata una TUE. Al di là delle questioni afferenti il procedimento burocratico relativo alla TUE, resta il fatto che il diniego della TUE – per contrarietà all’art. 4.3 degli International Standard For Therapeutic Use Exemption – ha di fatto reso il giocatore un soggetto in violazione della normativa antidoping. Nella concatenazione cronologica dei fatti non può ignorarsi che tale violazione deriva dalla condotta dei medici, i quali diedero il loro via libera allo schieramento del giocatore nell’incontro senza tener conto dell’emivita del farmaco da loro somministrato. La domanda è: nel silenzio della decisione TNA sul punto e dopo le contestazioni in appello presentate dall’UPA-CONI, la superficiale assistenza sanitaria dei medici al calciatore, qualificabile come responsabilità professionale, avrebbe potuto essere valutata disciplinarmente dal Collegio TAS ai sensi del medesimo art. 3.3 o, addirittura, di altre previsioni delle NSA? 13 14 L’art. R47 dispone che per proporre appello al TAS l’Appellante deve aver esaurito “the legal remedies available to him prior to the appeal, in accordante with the statutes or regulations of the said sports-related body”. Si veda ad esempio il Lodo CAS 2007/A/1365 WADA v. FILA & Mohammed Ibrahim Abdelfattah. Si veda CAS 2006/A/1192 Chelsea v/Mutu. NOTE A SENTENZA 32 L'art R57 del codice TAS.... Nel cercare di dare una risposta a tale interrogativo, è opportuno valutare quale sia, allo stato della giurisprudenza TAS, l’effettivo potere di riesame della condotta disciplinare in capo ad un Collegio. 3. Il “de novo ruling” e la riqualificazione della condotta: il caso “Ribery”. Come sopra esposto, appare evidente che l’applicazione in concreto dell’art. R57 possa dare al cosiddetto “de novo ruling” una valenza ogni volta diversa, a seconda della sensibilità del Collegio deliberante. Se da un lato è abbastanza incontestato che il Collegio possa riesaminare totalmente la questione, ammettendo e valutando elementi istruttori ulteriori rispetto al primo grado15, con relativa sanatoria di tutti i vizi procedurali afferenti il giudizio di prime cure 16, dall’altro non è altrettanto pacifico che nei procedimenti disciplinari il Collegio possa riconsiderare la condotta e qualificarla de novo, rispetto alla decisione di primo grado, nel framework della normativa regolamentare applicabile. In questo secondo sentiero interpretativo si è mosso il Collegio nel recente caso CAS 2010/A/ 2114 FC Bayern München AG & Frank Ribéry v/ UEFA, qui di seguito brevemente riassunto.17 Il giocatore francese era stato squalificato dall’UEFA con 3 giornate di squalifica nel corso della Champions League 2009/2010 per un fallo di gioco di particolare gravità. Nel motivare la sanzione, la UEFA aveva applicato l’articolo 10, lettera d) delle UEFA Disciplinary Regulations (“DR”) che prevede una squalifica di 3 giornate in caso di “…assaulting players or others present at the match”. Il giocatore e la squadra avevano appellato al TAS la decisione UEFA invocando l’applicazione dell’articolo 10 lett. a), il quale dispone 1 giornata di squalifica per “..rough play”.18 Il Collegio Arbitrale, seppur dichiarandosi d’accordo con la tesi difensiva del rough play, svolgeva una valutazione della condotta che andava ben oltre quanto dedotto dalle parti. Infatti, gli arbitri 15 16 17 18 Si veda la risalente decisione CAS 98/184 P. v. FEI o la più recente CAS 2008/A/1545 Andrea Anderson, LaTasha Colander Clark, Jearl Miles-Clark, Torri Edwards, Chryste Gaines, Monique Hennagan, Passion Richardson v/ IOC dove si legge al paragrafo 78 “There is an established CAS jurisprudence based on Art. R57 of the CAS Code (“The Panel shall have full power to review the facts and the law”), according to which the CAS appeal arbitration procedure cures any infringement of the right to be heard or to be fairly treated committed by a sanctioning sports organization during its internal disciplinary proceedings. Indeed, a CAS appeal arbitration procedure allows a full de novo hearing of a case with all due process guarantees, granting the parties every opportunity not only to submit written briefs and any kind of evidence, but also to be extensively heard and to examine and cross-examine witnesses or experts during a hearing”. Sul punto si veda Richard H. McLaren, CAS Doping jurisprudence: What can we learn?, in Sweet & Maxwell’s International Sports Law Review, Febbraio 2006, 11. Lodo in tedesco disponibile al link http://www.tas-cas.org/d2wfiles/document/4357/5048/0/Schiedsspruch2114_FINALE_.pdf La versione completa delle UEFA Disciplinary Regulations è disponibile al link http://en.uefa.com/MultimediaFiles/Download/ Regulations/uefa/Others/72/95/88/729588_DOWNLOAD.pdf NOTE A SENTENZA 33 L'art R57 del codice TAS.... qualificavano autonomamente l’intervento del giocatore di particolare rudezza e notavano che in tal caso l’UEFA – ai sensi dell’art. 17 comma 2 delle DR19 – ben avrebbe potuto aumentare la sanzione a sua discrezione. Si noti che il Collegio riteneva di spingersi ancora più avanti. Infatti, il Collegio puntualizzava che la squalifica per 3 giornate era altresì conforme al dettato dell’art. 18 delle DR, il quale considera la recidività come un fattore capace di inasprire la sanzione sino a 5 giornate20. Il Collegio ha quindi valutato come pertinente un trascorso disciplinare di Ribery risalente addirittura al 2005 21, considerandolo “previous offence of a similar nature” e di fatto ammettendo l’applicazione dell’art. 18 delle DR. Con tale riferimento alla recidiva di cui all’art. 18 delle DR, la querelle “rough play” vs. “assault” è divenuta per il Collegio sostanzialmente irrilevante. Ciò che qui interessa sottolineare è l’attitudine del Collegio TAS nei confronti della decisione appellata emessa dall’organo disciplinare UEFA. Infatti, sebbene tale decisione non trattasse degli art. 17 e 18 delle DR, il Collegio ha ritenuto che la UEFA ben avrebbe potuto effettuare il ragionamento giuridico da loro esposto, di fatto ben potendo comminare una sanzione di 3 giornate per quel tipo di condotta di gioco. Tale lodo mostra indubbiamente un approccio del Collegio TAS quanto mai “trascendente” e una visione del giudizio d’appello assolutamente rinnovatoria. Infatti, il comportamento del giocatore, erroneamente valutato dal giudice di primo grado, è stato sottoposto ad uno nuovo screening da parte degli arbitri TAS e tale disamina “de novo” ha perfino associato tale condotta a norme disciplinari nemmeno invocate dalle parti. Tale nuova impostazione dello “scope of appeal” non può che suffragare coloro i quali considerino l’appello innanzi al TAS come un giudizio devolutivo pieno. Ovviamente, non può negarsi che la riqualificazione della condotta in sede di appello si muova su un filo particolarmente sottile. Infatti, sebbene insista sul medesimo comportamento oggetto di analisi nel primo grado, qualora sollecitata dal ricorrente la riqualificazione potrebbe essere intesa come facente parte del vasto genus delle “counterclaims” e quindi in violazione dell’art. R55 del Codice TAS22. Peraltro, 19 20 21 22 L’art. 17 DR dispone “The disciplinary measures enumerated in Articles 10 and 11bis of the present regulations are standard sanctions. In particular circumstances, they can be either scaled down or increased.” L’art. 18 DR recita “1. Recidivism occurs if disciplinary measures have to be imposed within five years of a previous offence of a similar nature. 2. Recidivism counts as an aggravating circumstance.” L’episodio fa riferimento ad un’espulsione del 23 agosto 2005 nell’incontro Olympique Marseilles - Deportivo la Coruna durante la UEFA Intertoto Cup Final. Così come modificato dal 1 gennaio 2010. NOTE A SENTENZA 34 L'art R57 del codice TAS.... uno spazio di “review” troppo ampio a favore degli arbitri potrebbe addirittura causare l’alterazione del petitum o della causa petendi, determinando una violazione del principio ne eat iudex extra petita partium. Ad ogni buon conto, con le dovute cautele di cui sopra, ben può sostenersi come nel caso dei medici l’orientamento “Ribery” avrebbe potuto portare il Collegio a pronunciarsi anche sulla responsabilità professionale e sulla sua eventuale rilevanza ai fini disciplinari, inserendo tale profilo di responsabilità nel contesto normativo dell’art. 3.3 o di addirittura altre previsioni delle NSA. 4. Conclusioni. Può osservasi come la presente decisione rappresenti un orientamento tradizionalista rispetto alle potenzialità che l’art. R57 dà ad un Collegio TAS. Nella sua indubbia facoltà di annullare una decisione errata, il Collegio ha optato per non valutare completamente “de novo” la condotta dei medici, limitandosi esclusivamente a confutare i profili di responsabilità che erano stati posti alla base della decisione appellata. Se il suddetto approccio trascendente del caso Ribery – peraltro afferente questioni “di gioco” in cui il TAS è solitamente recalcitrante ad entrare – è sicuramente avanguardista e meritevole di ulteriori approfondimenti, nel caso in esame il Collegio avrebbe comunque potuto intraprendere la via intermedia prevista dall’art. R57, rinviando al TNA la questione sul merito della responsabilità professionale. Limitandosi a statuire sull’erroneità della decisione appellata e non riesaminando a 360° la condotta dei medici nel merito, il Collegio ha di fatto svolto un compito diligente ma non certo proactive come in passato. Ad esempio, nel precedente CAS 2007/A/1426 Giuseppe Gibilisco v/ CONI, il Collegio aveva riscontrato che la condotta dell’atleta era suscettibile di sanzione, ma ai sensi di una norma diversa rispetto a quella per la quale era stato squalificato. In quell’occasione il Collegio, seppur non applicando il rinvio indietro di cui all’art. R57, aveva però chiaramente statuito come l’autorità sportiva italiana ben potesse valutare se procedere contro l’atleta ai sensi della norma sanzionatoria effettivamente applicabile.23 Nel presente caso, con il sostanziale silenzio sulla responsabilità professionale, il Collegio non dà indicazioni di sorta, limitando il thema decidendum alle sole motivazioni della decisione appellata e non fornendo indicazioni. 23 Si veda paragrafo 62 del Lodo CAS 2007/A/1426 Giuseppe Gibilisco v/ CONI il quale recita “…It will be for the competent Italian authorities to decide whether to open or not disciplinary proceedings against Gibilisco for a possible violation of doping rules by the Athlete in connection with the use of the assistance of the Doctor.” NOTE A SENTENZA 35 L'art R57 del codice TAS.... Ovviamente, come nel caso Gibilisco, potrebbe ipotizzarsi un nuovo procedimento disciplinare per la responsabilità professionale dei medici. Tuttavia, qualora dovesse applicarsi a tale responsabilità professionale sempre l’art. 3.3 delle NSA, la difesa dei medici potrebbe probabilmente invocare la violazione del ne bis in idem. In conclusione, è indubbio che con questa pronuncia il TAS abbia avvalorato l’impostazione classicistica alla spinosa questione del “de novo ruling”. Ovviamente, se tale prospettiva dovesse radicarsi in seno al TAS, anche in connessione con il recente divieto di porre counterclaim in appello, potrebbe rischiarsi una deriva reazionaria del “power to review” di cui all’art. R57. In materie quali il doping in cui, nonostante l’uniformità del Codice WADA, a volte le decisioni dei vari organi giudicanti nazionali seguono differenti sentieri interpretativi, tale visione potrebbe pregiudicare in futuro quella armonizzazione di giudicati di cui il TAS, come tribunale mondiale di ultima istanza in materia di doping, dovrebbe farsi portatore. Di fatto, nel non valutare de novo la condotta dei medici, questa decisione del TAS lascia uno spazio bianco che probabilmente non potrà più “colorarsi” giuridicamente per il suddetto principio del ne bis in idem. Per evitare tali evenienze in futuro, è auspicabile che l’approccio trascendente del giudizio d’appello “Ribery” possa essere sviluppato e adottato maggiormente dal CAS, magari attraverso una maggiore applicazione del rinvio indietro. In tal modo potrà darsi pieno vigore ai poteri attribuiti dall’art. R57. Diversamente, non potendosi più confidare nel giudizio d’appello TAS come una sorta di nuovo ed autonomo grado di giudizio, maggior peso assumeranno le decisioni dagli organi giudicanti nazionali. Se così fosse, è indubbio che i vari soggetti del procedimento disciplinare dovranno porre ab origine la massima attenzione nella propria condotta processuale, non più confidando in un giudizio d’appello TAS che sani i vizi processuali e permetta facilmente alle parti di “lavarsi di dosso i propri peccati”. (*) Avvocato, associato dello Studio Coccia – De Angelis & Associati, procuratore Antidoping del CONI. NOTE A SENTENZA 36 Svincoli perigliosi… TRIBUNALE di SALUZZO R.G. n. 150/2010 IL GIUDICE Sentite le parti comparse all’udienza del 9.6.2010; letti gli atti di causa; visto l’art. 700 c.p.c.; sciogliendo la riserva, così decide in ordine al ricorso d’urgenza n. 150/2010 R.G., depositato in data 24.5.2010 da: M.L., rappresentato e difeso dall’Avv. P.M.; CONTRO U.S.D. S., rappresentata e difesa dall’Avv. I.S.D.M. OSSERVA Preliminarmente deve essere rigettata l’eccezione di difetto di giurisdizione eccepito da parte resistente. Nel caso concreto, infatti, non può parlarsi di giurisdizione, ma occorre avere riguardo all’esistenza di clausole compromissorie, quale quella presente sul modulo di tesseramento sottoscritto dai genitori del ricorrente, le quali, come statuito dalla Cassazione, concretizzano un arbitrato ..................., che trova il proprio fondamento in un atto di investitura privata rispetto al quale non è possibile parlare di giurisdizione e competenza in senso tecnico, essendo demandata agli arbitri un’attività negoziale e non una funzione giurisdizionale (Cass. Sez. U, Ordinanza n. 6423/08). Dispone infatti l’art. 3 della L. n. 280/03 di conversione del D.L. 220/03, che: “Esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato Olimpico Nazionale Italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’articolo 2, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 37 NOTE A SENTENZA Svincoli perigliosi… In ogni caso e fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato Olimpico Nazionale Italiano e delle Federazioni sportive di cui all’articolo 2, comma 2, nonchè quelle inserite nei contratti di cui all’articolo 4 della legge 23 marzo 1981 n. 91”. Sempre la Corte di Cassazione ha affermato tale carattere nella sentenza n. 1819/05, nella quale si legge che: “L’art. 24 dello Statuto della Federazione Italiana Giuoco Calcio (associazione con personalità giuridica di diritto privato) – il quale prevede l’impegno di tutti coloro che operano all’interno della Federazione ad accettare la piena e definitiva efficacia di tutti i provvedimenti generali e di tutte le decisioni particolari adottati dalla stessa F.I.G.C., dai suoi organi e soggetti delegati, nelle materie comunque attinenti all’attività sportiva e nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico, impegno dal quale è desumibile un divieto, salva specifica approvazione, di devolvere le relative controversie all’autorità giudiziaria statuale – integra una clausola compromissoria per arbitrato irrituale, fondata, come tale, sul consenso delle parti, le quali aderendo in piena autonomia agli stauti federali, accettano anche la soggezione agli organi interni di giustizia. Siffatto vincolo, cui l’affiliazione delle società e degli sportivi alle diverse federazioni comporta volontaria adesione, ripete, altresì, la propria legittimità da una fonte legislativa per effetto delle disposizioni del decreto legge n. 220 del 2003, converito, con modificazioni, nella legge n. 280 del 2003, che, all’art. 2 comma secondo, prevede l’onere di adire gli organi della giustizia sportiva nelle materie di esclusiva competenza dell’ordinamento sportivo, che sono, a mente del comma primo dello stesso art. 2, quelle aventi ad oggetto l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive ed agonistiche, nonchè i comportamenti rilevanti sul piano disicplinare e l’irrogazione delle relative sanzioni; mentre subordina, come è desumibile dalla formulazione dell’art. 3, comma primo, al previo esaurimento dei gradi della giustizia sportiva anche il ricorso a quella statuale nelle materie ad essa riservate”. Il fondamento della legittimazione degli organi sportivi e della devoluzione loro riconosciuta in determinate materie, si fonda dunque sulla autonomia delle parti e sull’accettazione della clausola compromissoria; nel caso di specie, si ritiene tuttavia che tale clausola non possa essere vincolante per il giocatore. 38 NOTE A SENTENZA Svincoli perigliosi… Il modulo di tesseramento del ricorrente nel quale è contenuta la clausola compromissoria con il richiamo dell’art. 27 dello Statuto della FIGC (oggi divenuto art. 30), sottoscritto in data 25.8.2005 quando lo stesso aveva 15 anni dai genitori esercenti la potestà sullo stesso, si ritiene infatti non possa impegnare il giocatore oltre il 18° anno di età; sebbene anche il minorenne abbia sottoscritto il modulo, la presunzione di incapacità che sorregge il nostro ordinamento giuridico per i soggetti minori di 16 anni, non consente di considerare il calciatore vincolato alla clausola suddetta, potendosi configurare al più come una presa d’atto, con la conseguenza che legittimamente il ricorrente ha adito l’autorità giudiziaria ordinaria. Nel merito il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni di seguito indicate. La richiesta di una tutela cautelare d’urgenza postula la valutazione dei requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora, tenendo conto delle situazioni giuridiche sostanziali coinvolte. Nel caso che ci occupa con riferimento al fumus, deve evidenziarsi che il vincolo di tesseramento a favore della S...., risulta eccessivamente oneroso per il giocatore, laddove di fatto lo stesso limita la libertà di prestare l’attività in favore di altre squadre per 10 anni. Non sono condivisibili i rilievi di parte resistente laddove afferma che il giocatore non è limitato e che egli potrebbe giocare per altre squadre in orari ed occasioni diverse da quelli nei quali gioca per la S..., atteso che la possibilità di giocare per una squadra è subordinata al tesseramento presso la società stessa e che non si può essere tesserati contemporaneamente per più squadre. Si deve ritenere che la volontà espressa dal calciatore di non voler prestare la propria attività per la S...., e la contemporanea volontà espressa dalla società sportiva di considerare il giocatore inadempiente, possano giustificare la risoluzione del vincolo contrattuale per mutuo consenso, provato peraltro dalla richiesta di restituzione del materiale sportivo dato al giocatore; la stessa società sportiva infatti afferma nel proprio atto che è il giocatore a non aver adempiuto la sua prestazione consistente nell’allenarsi e giocare le partite di calcio, con ciò rendendensi inottemperante agli impegni assunti. Nè si ritiene sussistente un interesse da parte della S.... di ritenere il giocatore, peraltro definito “di scarso rendimento”, il quale ha manifestato la volontà di non giocare per la squadra stessa; deve infatti evidenziarsi che l’art. 6 co. I° L. 91/1981 prevede solo con riguardo agli sportivi professionisti, una volta cessato un rapporto contrattuale, la possibilità per le federazioni sportive nazionali, di stabilire il versamento, da parte della società firmataria del nuovo contratto alla società sportiva titolare del precedente contratto, di una indennità di preparazione e di promozione dell’atleta professionista, da determinare secondo coefficienti e parametri fissati dalla stessa 39 NOTE A SENTENZA Svincoli perigliosi… federazione in relazione alla natura ed alle esigenze dei singoli sport, possibilità che non è prevista per gli sportivi dilettanti, così che il richiamo ad una “donazione” da parte del giocatore della propria prestazione a favore di un’altra squadra, è inconferente, laddove non vengono in mente aspetti patrimoniali. L’art. 2 della Costituzione, afferma la libertà di conseguire lo sviluppo della propria personalità all’interno delle formazioni sociali, fra le quali devono ritenersi comprese le società sportive, riconosciute come associazioni; si deve ritenere al limite della costituzionalità e della legittimità la volontà di ritenere il cartellino di un giocatore che la parte considera non professionista e non legato ad alcun contratto corrispettivo, contro la volontà dello stesso, impedendogli di fatto di giocare per qualcun altro. A ciò si aggiunga che, come già evidenziato, il vincolo di tesseramento è stato sottoscritto dai genitori del ricorrente quando lo stesso aveva 15 anni e che la loro volontà non avrebbe potuto vincolare il figlio per 10 anni, per un tempo così superiore alla maggiore età, a fronte di una manifesta volontà contraria del ricorrente divenuto maggiorenne. Con riguardo al periculum in mora deve evidenziarsi l’urgenza per il giocatore di potersi tesserare con un’altra squadra in vista delle preparazioni atletiche, che come noto hanno inizio nel periodo estivo ormai prossimo, e delle scadenze che le norme della FIGC impongono per i tesseramenti; si deve poi evidenziare che la documentazione prodotta dal ricorrente sull’interessamento della S...C... (doc. 10), subordinata al suo svincolo dalla S..., giustifica l’urgenza dello svincolo stesso, potendo nel frattempo la società sportiva interessarsi ad altri giocatori e potendo perdere il giocatore la possibilità di giocare nel prossimo campionato. L’accoglimento del ricorso comporta la condanna alle spese di lite a carico del resistente, liquidate come in dispositivo, per il principio di soccombenza. P.Q.M. Ordina alla U.S.D. S. ... C. .... il rilascio entro cinque giorni dalla comunicazione del presente provvedimento del nulla osta al tesseramento e/o trasferimento ad altra società sportiva affiliata alla Federazione Italiana Giuoco Calcio e di gradimento del ricorrente M .... L. ... mediante sottoscrizione dell’apposista lista di trasferimento e con l’adempimento degli incombenti necesssari a consentire il tesseramento e/o trasferimento ad altra società calcistica; 40 NOTE A SENTENZA Svincoli perigliosi… Condanna U.S.D. S. ..... C. ...... a rifondere a M. ..... L. .... le spese di lite del presente giudizio cautelare, che liquida in € 1.500,00 di cui € 700,00 per diritti ed € 800,00 per onorari, oltre rimborso forfettario spese generali, IVA e CPA se dovute nella misura di legge. Manda alla Cancelleria per le comunicazioni alle parti anche a mezzo fax. Saluzzo, lì 11.6.2010 41 NOTE A SENTENZA Svincoli perigliosi… TRIBUNALE di GORIZIA ORDINANZA Il Giudice a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 26.8.2010 nel procedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. n. 1230/10 R.G., letti gli atti di causa ed esaminata la documentazione prodotta, PREMESSO, in linea di principio, CHE: - le federazioni sportive nazionali svolgono l’attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del Coni, anche in considerazione della valenza pubblicistica di specifici aspetti di tale attività; hanno natura di associazioni con personalità giuridica di diritto privato; non perseguono fini di lucro e sono regolate, per quanto non espressamente previsto dalla disciplina specialistica, dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo; ad esse partecipano società ed associazioni sportive di diritto privato; - nell’ordinamento sportivo, con il tesseramento e l’affiliazione gli atleti e le società diventano titolari di diritti nei confronti di tutti i soggetti di detto ordinamento e vengono a sottoporsi consapevolmente all’ossservanza dello statuto e del regolamento delle rispettive federazioni, accettando anche che, in caso di violazioni di tali previsioni, tutti gli atti ed i comportamenti strettamente riguardanti l’esercizio dell’attività agonistica vengono accertati e giudicati dagli organi della giustizia sportiva; - in tema di rapporti fra società sportive e tesserati con le relative federazioni, deve ritenersi valida la clausola di durata del “vincolo sportivo” inserita nello statuto e/o nel regolamento federale che stabilisce un “rapporto di esclusiva” a favore del soggetto associato al quale è legato l’atleta tesserato; nè, rileva, per la validità di tale clausola, la eventuale mancanza di specifica approvazione per iscritto, ex art. 1341 c.c., in quanto l’efficacia del “vincolo di durata” non discende dall’attuazione di “condizioni generali” di contratto predisposte da una delle parti, ma dall’adesione di entrambi i contraenti all’organizzazione sportiva e alla consequenziale applicazione dei vincoli che ne nascono; 42 NOTE A SENTENZA Svincoli perigliosi… - al rapporto tra la federazione sportiva ed i suoi iscritti non è applicabile neppure la disciplina di cui agli artt. 1469 bis e segg. c.c., venendo in rilievo un tipico rapporto associativo volto al perseguimento di uno scopo comune; inoltre, l’atleta tesserato non potrebbe certo qualificarsi come “consumatore”, così come la federazione non potrebbe assimilarsi ad un “professionista”; - l’ormai indiscusso stato giuridico di associazioni/persone giuridiche di diritto privato assunto dalle federazioni sportive rende insindacabile l’autoregolamentazione datasi da queste ultime, autonormazione comunque soggettta ai principi di ordine pubblico che fungono da limite di qualunque attività negoziale privata; - nella previsione della durata del “vincolo sportivo” a seconda dell’età dell’atleta manca un qualunque intento vessatorio e discriminatorio, essendo finalizzato detto vincolo degli atleti tesserati alla società/associazione di appartenenza alla protezione dei vivai giovanili ed alla formazione negli anni di squadre o gruppi davvero competitive/i a livello nazionale ed internazionale; - se è vero che l’attività delle federazioni sportive è svolta in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del Coni, tuttavia la disciplina relativa al tesseramento degli atleti non pare coinvolgere direttamente deliberazioni e indirizzi fissati specificatamente dal Coni ed esaurisce la sua funzione all’interno della sfera di ciascuna federazione, conformemente alla legislazione civilistica in tema di associazioni private; - peraltro, il controllo esercitato sulle federazioni sportive dal Coni non sembra contemplare espressamente il tesseramento degli atleti, perchè consiste innanzitutto nella verifica della regolarità della gestione delle federazioni, perchè si riferisce all’approvazione dei bilanci e prevede l’erogazione di contributi finanziari; RITENUTO pertanto CHE, alla luce delle considerazioni di cui sopra, la situazione denunciata dalle odierni ricorrenti si configura come diritto soggettivo rispetto al quale ricorre senz’altro la giurisdizione dell’adito Giudice Onorario; ATTESO CHE le giovani atlete ricorrenti, nel momento in cui (pare nell’estate del 2008, quando all’età di 12-13 anni hanno sottoscritto con i rispettivi genitori i c.d. moduli di tesseramento) hanno chiesto ed ottenuto la tessera della FIPAV (v. Federazioni Italiana Pallavolo) alla quale è affiliata anche l’associazione sportiva dilettantistica odierna resistente di cui le stesse fanno parte, potevano e dovevano essere a conoscenza (v. onere di diligenza nell’informarsi) del fatto che il vincolo con la citata associazione affiliata sarebbe diventato di dieci anni (ossia fino al 43 NOTE A SENTENZA Svincoli perigliosi… 24° anno di età) al compimento del 14° anno di età, in forza del richiamato Statuto FIPAV (v. art. 10 ter) e del richiamato Regolamento di Affiliazione e Tesseramento (v. R.A.T. art. 32); RILEVATO, infine, CHE i moduli di “primo tesseramento” prodotti dalle ricorrenti contengono tutti nell’intestazione la seguente frase: “I sottoscritti, firmando il presente modulo, dichiarano la propria cittadinanza italiana e di conoscere ed accettare la normativa vigente sul vincolo degli atleti”, che costituisce un evidente riferimento alla disciplina appena citata; PRESO ATTO CHE il “vincolo sportivo” in discussione può venire meno solo per le ragioni elencate al 5° comma dell’art. 10 ter dello Statuto FIPAV ed al 2° comma dell’art. 34 del R.A.T. che sono –in sintesi- : l’estinzione o la cessazione dell’attività dell’associato (v. società odierna resistente); la mancata adesione dell’atleta all’assorbimento o alla fusione dell’associato; il consenso dell’associato; il mancato rinnovo del tesseramento dell’atleta da parte dell’associato; la mancata partecipazione dell’associato all’attività federale di settore e per fascia di età con pregiudizio a carico dell’atleta; il riscatto dell’atleta partecipante al campionato nazionale di serie A/1 e A/2 femminile; la giusta causa; la cessione del diritto sportivo o la rinuncia all’iscrizione ad un campionato da parte dell’associato; il ritiro dal campionato dell’associato entro il girone di andata; OSSERVATO CHE, nel caso delle ricorrenti, non ricorre nessuna delle ipotesi previste e, in particolare, il consenso negato dalla resistente non è in alcun modo sindacabile, come nulla si può rilevare in ordine all’indisponibilità delle giovani atlete ad avvalersi della possibilità di “riscatto” offerta loro dall’associazione sportiva di appartenenza; RILEVATO CHE il comportamento della parte resistente appare corretto in quanto conforme alle previsioni dello statuto FIPAV e del R.A.T. a cui hanno aderito le medesime ricorrenti; RITENUTO CHE tali disposizioni di cui si è avvalsa la resistente risultano immuni da vizi di legittimità anche di rilievo costituzionale, perchè sono volte semplicemente a favorire un rapporto continuativo – e quindi esclusivo – fondato sulla fedeltà reciproca negli anni tra il singolo atleta dilettante e l’associazione privata che investe sulle sue capacità sportive adoperandosi per accrescerne le qualità, dal momento che – com’è noto – soprattutto a livello dilettantistico i migliori risultati di squadra ed individuali in ambito sportivo si ottengono solo a distanza di diverso tempo quando l’attività preparatoria (intesa in senso lato), gli allenamenti e le competizioni hanno fatto sì che l’atleta si sia perfettamente integrato nel gruppo che è riuscito negli anni a valorizzare e a migliorare le potenzialità dei singoli; 44 NOTE A SENTENZA Svincoli perigliosi… REPUTATO CHE non può, dunque, trovare spazio in questa sede l’invocata libertà delle ricorrenti di cambiare società di pallavolo per il semplice desiderio sopravvenuto di passare ad un’altra compagine sportiva; ATTESO CHE il difetto del presupposto del fumus boni iuris ha portata assorbente e rende di per sè superflua ogni valutazione in punto periculum in mora; tutto ciò premesso, e considerato, visto l’art. 669 septies c.p.c., RIGETTA integralmente il ricorso proposto in quanto infondato; CONDANNA la parte ricorrente a rifondere alla controparte le spese di lite che liquida nella misura di € 1.700#, di cui € 800# di diritti, € 800# di onorari, € 100# di esborsi, oltre oneri accessori dovuti come per legge. Si comunichi. Gorizia, 27.8.2010 45 NOTE A SENTENZA Svincoli perigliosi… SVINCOLI PERIGLIOSI BREVE COMMENTO ALL’ ORDINANZA DEL TRIBUNALE DI SALUZZO DEL 12 GIUGNO 2010 ED ALL’ORDINANZA DEL TRIBUNALE DI GORIZIA DEL 27 AGOSTO 2010. di Domenico Zinnari (*) Plurimi appaiono gli spunti di riflessioni ricavabili dalle Ordinanza rese in sede cautelare dal dal Tribunale di Saluzzo e dal Tribunale di Padova seppur contraddistinte da esiti e motivazioni difformi. A fronte della lungamente auspicata rivisitazione dell’istituto del vincolo sportivo ed ai concreti interventi nell’ambito degli ordinamenti delle singole federazioni tesi ad limitare la durata dello stesso, il tema della disciplina dei rapporti tra atleti non professionisti ed associazioni/società sportive continua a presentare numerosi profili di criticità. Emblematica a riguardo l’interrogazione scritta alla Commissione Europea formulata da un corposo gruppo di parlamentari in data 23 novembre 2009 afferente la pretesa illegittimità delle normative endoassociative della Federazione Italiana Giuoco Calcio per contrasto con le norme comunitarie in tema di libera circolazione e concorrenza.1 Al di là però dei potenziali risvolti anche comunitari della questione, le vicenda sottese, come desumibili dai testi dei provvedimenti, paiono porsi quale archetipi caratterizzanti l’ intero universo non professionistico.2 1 2 All’interrogazione ha fatto seguito la risposta della Commissione Europea secondo cui: “Lo sport rientra nel campo d'applicazione del diritto dell'Unione ai sensi dell'articolo 165 TFUE e delle altre disposizioni attinenti segnatamente alle libertà di circolazione nel mercato interno e alle regole europee in materia di concorrenza. In conformità con una giurisprudenza costante della Corte, i regolamenti adottati dalle federazioni sportive devono rispettare le libertà fondamentali previste dal trattato e, in particolare, il principio della libera circolazione sancito dagli articoli 21, 45 e 56 del TFUE (ex articoli 18, 39 e 49 del trattato CE). La compatibilità con il diritto dell'Unione delle NOIF della FIGC, alle quali fanno riferimento gli onorevoli parlamentari, deve essere analizzata tenendo conto degli eventuali ostacoli che le NOIF possono determinare impedendo la libera circolazione dei cittadini e dei lavoratori all'interno dell'UE. La Commissione vuole continuare a svolgere tale analisi anche con riferimento ad una denuncia recentemente presentata ai suoi servizi su tale soggetto. La Commissione ricorda parimenti che la decisione della Corte di giustizia, in relazione alla richiesta di pronuncia pregiudiziale presentata dalla Corte di Cassazione francese in data 17 luglio 2008 (causa C 325/08), potrà fornire elementi utili ai fini dello svolgimento dell'analisi suindicata”. Lo sviluppo di un rilevante contenzioso in materia è testimoniato anche dalla recente Ordinanza del Tribunale di Venezia, Sez. Lav., del 13 agosto 2009 in GiustiziaSportiva.it - Rivista Internet di diritto dello sport, anno2009, n.3 con Nota di A. Scarcello e A. Tommasi, Il tramonto del vincolo sportivo. Nota alla decisione del Tribunale di Venezia, Giudice del Lavoro, 13 agosto 2009. 46 NOTE A SENTENZA Svincoli perigliosi… In termini estremamente sintetici le vicende attengono alla fase “patologica” del rapporto sportivo/società; connotato caratterizzante, infatti, ambedue le fattispecie è l’evidente conflittualità insorta tra le parti in conseguenza della inequivoca manifestazione di volontà degli atleti, pur in costanza di vincolo, di svolgere attività sportiva presso altro sodalizio affiliato in difetto di “accordo” con la società di appartenenza, o comunque al di fuori delle ipotesi di svincolo “tipizzate” dai singoli ordinamenti federali. Così succintamente sunteggiate le fattispecie, evidente come le stesse evochino problematiche riguardanti la sussistenza di situazione soggettive tutelabili in capo agli atleti non professionisti ed in particolare a quelli minorenni, attesa l’inferenza delle normative in tema di vincolo con libertà nell’esercizio dell’attività sportiva in tutte le sue potenziali declinazioni. La centralità del tema sopra evidenziato si appalesa muovendo dalla disamina, per quanto qui rileva, dell’intervento legislativo rappresentato dalla L. 23 marzo 1981 n. 91. A monte è da premettersi che la tematica della qualificazione dell’istituto del vincolo sportivo ha storicamente rappresentato profilo complementare nell’ambito del dibattito dottrinario relativo all’inquadramento giuridico del rapporto tra atleti e società/associazioni sportive. Solo nell’ultimo trentennio il dibattito pare utilmente orientato a definire con nettezza i contorni dell’istituto, sì da innescare in concreto un processo ancora in fieri che, preso atto dei profili di illegittimità dello stesso, ha avuto come conseguenza una complessiva, seppur parziale, rivisitazione delle discipline positivamente previste in ambito federale.3 Il termine temporale su menzionato coincide sostanzialmente con l’entrata in vigore della L.23 Marzo 1981 n.91 che, intervenendo sulla vexata questio qualificazione in termini lavoristici del rapporto tra atleti professionisti e società sportive, ha previsto esplicitamente come il rapporto de quo si costituisca a mezzo di un contratto di lavoro di natura subordinata (salve le tassative ipotesi previste ex. art.3 in cui è ammessa la stipula di un contratto d’opera) attraendone in tal modo la disciplina nell’alveo del diritto del lavoro. 3 In tale Occasione il Giudicante - ritenendo, quanto al fumus bonis iuris, provati i fatti posto a fondamento della domanda e l’inadempimento (contrattuale) della società sportiva convenuta, e accertando, altresì, la sussistenza del periculum in mora derivante dal rischio di perdere la possibilità di disputare il campionato con un’altra squadra nelle more del giudizio ordinario ordinava “all’Associazione Calcio San Donà 1922 Srl il rilascio del nulla osta al tesseramento e/o trasferimento ad altra società sportiva affiliata alla Federazione Italiana Giuoco Calcio e di gradimento dell’istante Giuseppe Lorecchio mediante sottoscrizione dell’apposita lista di trasferimento e con l’adempimento degli ulteriori incombenti necessari a consentire il tesseramento e/o trasferimento ad altra società associazione calcistica”. Sul punto da notarsi la Delibera del Consiglio Nazionale del Coni adottata il 24 marzo 2004 in tema di “Principi fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali ,delle Discipline Sportive Associate e delle Associazioni Benemerite” circa la limitazione della durata del vincolo sportivo oggetto di necessario e progressivo recepimento negli Statuti delle singole Federazioni. 47 NOTE A SENTENZA Svincoli perigliosi… L’intervento in materia, ispirato nelle sue linee guida alla tutela della libertà contrattuale dell’atleta professionista, ha comportato l’abolizione in forma graduale del vincolo sportivo ai sensi dell’art.16 della L.91/81, nella sostanza, offrendo una pragmatica soluzione nel precipuo campo applicativo (così come individuato dall’art.2 della L.91/81), operandosi una riduzione su scala temporale dello stesso alla durata del contratto di lavoro.4 Tale parzialità è giustificata dall’assunzione del vincolo nella sua espressione effettuale di limitazione della libertà negoziale degli atleti piuttosto che nella sua reale natura giuridica di limitazione della libera esplicazione dell’attività sportiva, solo di riflesso contrattuale.5 A conferma della viziata ottica visuale assunta dal legislatore all’abolizione del vincolo sportivo ex art. 16 L. n. 91 individuato sul piano delle conseguenze che il regime vincolisticoassociativo determinava nei rapporti contrattuali tra società e sportivi, si pone simmetricamente e con analoga ratio, la norma che vieta la stipula di patti di non concorrenza per il periodo successivo alla risoluzione del contratto. Specificatamente in tal senso l’art. 4 comma 6 previene la possibilità di reintroduzione in sede di accordi collettivi o contratti individuali, in via surrettizia, di regimi legittimanti limitazioni della libertà contrattuale degli sportivi, ponendosi, dunque, quale corollario logico applicativo alla abolizione del vincolo associativo con la società di appartenenza. Sul punto, sia detto in via incidentale, le problematiche della tutela dell’atleta-lavoratore, quanto alle limitazioni alla libertà negoziale, non paiono essersi esaurite con l’entrata in vigore della l.91/81. 4 Sul punto da ultimo A.DE SILVESTRI,Giustizia sportiva,in AAVV., Diritto dello sport, Le Monnier,2004 pag.127 ove :” Il vincolo, che comporta sostanzialmente il diritto della società di appartenenza pretendere l’esclusiva delle prestazioni dell’atleta, in origine a tempo indeterminato sia per i dilettanti che per i professionisti per questi coincidente attualmente con la durata del contratto da essi stipulato che ,ai sensi dell’art.5 della Legge n.91/81 non può eccedere i cinque anni”. In realtà è da notarsi come la l’art.5 comma. 1 della l.91/81 disponga che “ il contratto di cui all'articolo precedente può contenere l'apposizione di un termine risolutivo, non superiore a cinque anni dalla data di inizio del rapporto. È ammessa la successione di contratto a termine fra gli stessi soggetti”. In altri termini il legislatore non esclude la possibile pattuizione di contratti di lavoro a tempo indeterminato, in vero non ricorrenti nella prassi, tra atleti professionisti e società sportive costituite nella forma della società a responsabilità limitata e della società per azioni, giusto disposto dell’art.10 co.1. Per quanto attiene l’ipotesi di stipulazione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato il legislatore (art. 4co.8) relativamente alla risoluzione del rapporto per recesso datoriale ha esplicitamente previsto l’esclusione dell’applicazione delle norme fondamentali in materia di limiti sostanziali al potere di licenziare (art. 1, 2, 3, 5, 6, 7, 8 L. 15 luglio 1966 n. 604, art. 18 L. 20 maggio 1070 n. 300), sostanzialmente facendo riemergere il principio della libera recedibilità con conseguente applicazione degli art. art. 2118. 5 Nella fase anteriore alla l.91/81 la dinamica dei rapporti tra atleti professionisti e le società sportive era caratterizzata, sul piano cronologico, dalla presupposizione del tesseramento e la conseguente assunzione del vincolo a tempo indeterminato , alla stipula dell’accordo disciplinate gli aspetti economici del rapporto di norma di durata annuale. All’ estinzione dell’accordo per decorrenza del termine pattuito non corrispondeva la libertà contrattuale dell’atleta di stipulare accordi con altre società rimando egli vincolato ingenerandosi pertanto un perverso fenomeni di reificazione dell’atleta. 48 NOTE A SENTENZA Svincoli perigliosi… La natura “emergenziale“dell’intervento legislativo lasciava irrisolti i nodi interpretativi legati al vincolo a tempo indeterminato nell’area non professionistica; malgrado, infatti, l’affermazione di principio consacrata dall’art. 1 circa la libertà dell’esercizio dell’attività sportiva, incoerentemente con tale assunto il legislatore non ha inteso operare alcun intervento nell’ambito estraneo al campo applicativo della legge.6 Tali discrasie possono trovare un razionale giustificazione, ad un primo livello, in valutazioni di opportunità operate da legislatore tendenti a salvaguardare i profili di autodisciplina federale, e ad secondo livello, nella scarsa consapevolezza del legislatore circa la natura giuridica del vincolo. L’erronea prospettiva assunta nell’ambito dell’intervento legislativo del 1981 lasciava sostanzialmente irrisolto il tema del vincolo nell’ambito dilettantistico. Prescindendo dai rilievi operabili nei riguardi delle diverse tesi proposte in ordine all’inquadramento dogmatico dell’istituto nella fase anteriore all’entrata in vigore della L. 23 marzo 1981 n. 917, condivisibile pare l’opinione che ravvede nel vincolo sportivo, in origine a tempo indeterminato, una peculiare clausola del contratto associativo concluso all’atto del tesseramento per effetto della quale è precluso all’atleta il diritto di recedere dal medesimo contratto associativo in forza di un atto unilaterale di volontà.8 La valorizzazione dell’elemento volontaristico ed associativo quale caratterizzante il vincolo sportivo, già timidamente prospettata anteriormente alla entrata in vigore della L. 91/81, trova ulteriori conferme a seguito della riduzione del campo di indagine all’ambito propriamente non professionistico. 6 Rimettendo agli ordinamenti federali la distinzione tra l’attività professionistica e dilettantistica, il legislatore ha inteso avallare la tendenza a perpetrare una linea di demarcazione tra attività dilettantistica,teoricamente rispondente allo spirito olimpico, e professionistica fondata più che su riscontri fattuali su circostanze formali e valutazioni di opportunità delle singole federazioni. Il far dipendere l’acquisizione di uno status da un elemento astratto quale è la qualificazione, ha però ingenerato profonde disparità di trattamento nei riguardi di atleti formalmente dilettante ma di fatto professionisti con riferimento in generale alla tutela dell’atleta dilettante e del rilievo economico delle prestazioni rese e soprattutto alla disciplina del vincolo sportivo. Ex plurimis sulle tematiche della qualificazione federale ed in particolare sul ruolo delle direttive del Coni E.CROCETTI BERNARDI, Giustizia ordinaria e lavoro sportivo,in AAVV,La giustizia sportiva analisi critica della legge 17 ottobre 2003 n.280, Experta,2004 pag.134 seg. Non che il legislatore statuale non si sia reso interprete delle esigenze di addivenire ad una complessiva rivalutazione della disciplina del vincolo in ambito non professionistico. Sul punto esemplificativamente il Progetto di Legge n. 4633 del 10 marzo 1998 «Norme in materia di limiti al tesseramento degli atleti in società sportive non professionistiche» orientato ad introdurre un regime normativo atto a garantire la facoltà degli atleti di recedere dal rapporto con l’associazione sportiva decorso un periodo variabile , in rapporto all’età ed al livello di attività,dall’inizio del rapporto. 7 8 Per la prospettazione delle varie tesi succedutesi anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 91/1981 sia consentito un rinvio a D.Zinnari, Percorsi dottrinari in tema di vincolo sportivo, in GiustiziaSportiva.it - Rivista Internet di diritto dello sport, anno2005, n.1, pag. 54 seg. ma anche a E. Indraccolo, Rapporti e tutele nel dilettantismo sportivo, ESI, 2008, pag.130 seg. Circa la natura associativa del rapporto per tutti da ultimo P. Moro, Vincolo sportivo e rimedi giudiziali, in GiustiziaSportiva.it - Rivista Internet di diritto dello sport, anno 2009, n.3; E.Lubrano, Vincolo Sportivo pluriennale: verso una fine annunciata?, in GiustiziaSportiva.it - Rivista Internet di diritto dello sport, anno 2005, n.3, pag. 40 seg. Contra sul punto E. Indraccolo, op.cit., pag.172 seg.. L’Autore propende per l’idea in virtù della quale il rapporto atleta non professionista ed associazione sia connotato da caratteri di atipicità non potendosi configurare in capo allo sportivo lo status di socio quanto piuttosto di fruitore di servizi sportivi. 49 NOTE A SENTENZA Svincoli perigliosi… Evidente come tale teorizzazione sul piano concettuale necessiti di una attenta qualificazione dell’atto di tesseramento tematica, quest’ultima, che involge i più generali profili legati alla natura giuridica delle federazioni sportive. Non è questa la sede per evidenziare le direttrici del dibattito dottrinario e giurisprudenziale unltracinquantennale la natura degli enti federali e la consequenziale qualificazione degli atti risultando evidente il rapporto di presupposizione. Il dato normativo vigente le Federazioni sportive quali associazioni con personalità giuridica di diritto privato non aventi finalità lucrative, in sé non supera definitivamente la tesi della natura provvedimentale dell’atto di tesseramento. Nel quadro, infatti, della impropriamente definita “privatizzazione” degli enti federali, il legislatore riconosce valenza pubblicistica a specifiche tipologie dell’attività federale operando al fine della loro individuazione all’autonomia statutaria del CONI. Di guisa l’art. 23 comma 1 dello Statuto Coni ricomprende tra le attività a valenza pubblicistica anche quelle relative al tesseramento quantunque la legge non le qualifichi come attività delegate dal Coni (a differenza di quanto accade per altre tipologie di attività). In vero se è dubitabile che un atto quale lo Statuto del Coni, espressione ad un tempo di autonomia privata e di potestà regolamentare, possa valere di per sé ad attribuire natura pubblicistica a dati atti delle Federazioni, atteso che la materia provvedimentale è retta dai principi di legalità e tipicità 9, vi è da sottolinearsi come la valenza pubblicistica di specifiche attività non sia di per sé atta ad attribuire natura pubblica ad esse10 ma piuttosto giustifichi le rigorose limitazioni che le federazioni subiscono nell’esplicazione della loro autonomia privata dovendo armonizzare il loro agire, giusto disposto dell’art.15 d.lgs.242/99, le deliberazione del CIO e del CONI. In linea con la migliore dottrina civilistica non pare dubitabile la qualificazione del tesseramento quale contratto associativo ed in particolare quale contratto aperto a formazione progressiva. Il tesseramento si configura quale adesione successiva all’associazione avente la medesima natura giuridica dell’originaria partecipazione al contratto ponendosi l’aderente al pari delle parti originarie nella posizione di contraente del contratto di associazione ( art. 1332 c.c.). 11 9 10 11 Cfr. C.ALVISI, Autonomia privata e autodisciplina sportiva, Milano, 2000, pag. 158 nota n. 153 Esplicitamente sul punto l’art.23 co 1 bis del Nuovo Statuto Coni deliberato dal Consiglio Nazionale del CONI il 23 marzo 2004, approvato con Decreto Ministeriale del 23 giugno 2004 che si premura di evidenziare come la valenza pubblicistica di specifiche tipologie di attività individuate dallo Statuto del CONI non sia atta a sottrarre all’ordinario regime privatistico dei singoli atti e delle situazioni giuridiche soggettive connesse. Cfr. F.GALGANO, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, in Commentario al Codice civile a cura di Scialoja Branca, Bologna, 1976, pag. 53. L’Autore sottolinea come riguardo alla struttura aperta dei contratti associativi, contrapposti ai contratti 50 NOTE A SENTENZA Svincoli perigliosi… Configurazione questa che implica una struttura aperta (c.d. principio della porta aperta) atta a soddisfare in astratto lo stesso bisogno di un numero indeterminato di persone.12 Il tesseramento, sotto un profilo squisitamente tecnico, è atto formale che garantisce l’imputazione ad ogni atleta dei suoi risultati , la sua classificazione nelle graduatorie e la documentazione delle vicende della sua carriera sportiva. Il tesseramento consente i risultati, per gli sport individuali, o le attività, per gli sport di squadra, di ogni atleta siano valutati a beneficio delle collettività alle quali egli appartiene, ai fini della compilazione delle graduatorie del merito sportivo di queste collettività. Il singolo acquista lo statusdi atleta, ovvero diventa titolare di un fascio di rapporti giuridici che creano reciproci diritti e doveri nei confronti degli altri atleti, della società sportiva, della Federazione Nazionale, risultando il tesseramento dunque requisito necessario di ammissione alle competizioni ed alle classifiche ufficiali, cioè alle vicende che caratterizzano l’agonismo programmatico. L’atto formale di tesseramento consiste nella semplice apposizione di una firma da parte dell’atleta, accompagnata nel caso di minori dalla firma dell’esercente la potestà genitoriale13, nonché da quella del legale rappresentante della società, su moduli predisposti dalle Federazioni. La manifestazione di volontà estrinsecata con l’apposizione della firma costituisce un negozio giuridico complesso; in essa infatti possono individuarsi due distinte dichiarazioni sebbene concorrenti e connesse per la congruenza delle rispettive funzioni. Con la prima il giocatore chiede di essere tesserato presso la Federazione Sportiva, chiede cioè di entrare a far parte della comunità sportiva facente capo alla Federazione; con la seconda il giocatore dichiara di volersi vincolare all’ associazione salve le rare ipotesi in cui sia ammessa il tesseramento individuale dell’atleta presso la federazione. E’ quindi da sottolinearsi, pur nella complessità del negozio, come l’atleta per mezzo del tesseramento divenga parte di due distinti, seppur intersecatesi, rapporti:uno relativo alla società od associazione che assume carattere associativo, l’altro viene ad istaurarsi con la federazione la quale 12 13 di scambio a struttura chiusa, occorra distinguere tra contratto di associazione e contratto di società. Entrambi infatti sono da qualificare quali contratti aperti riconducibili allo schema ex art. 1332 c.c., ma il significato assunto da tale aggettivo è molto diverso nelle due categorie. il criterio distintivo da adottarsi sarebbe quello relativo alla variabilità senza alcun limite del numero dei membri. A tal criterio è connesso quello che della distinzione tra interesse di gruppo ed interesse di serie. All’interesse di gruppo corrisponde una struttura chiusa (es. società di capitali in cui il numero di soci non può superare il numero di azioni):a quello di serie una struttura aperta caratterizzanti il contratto di associazione. Per le problematiche inerenti la configurabilità del diritto di accesso alle federazioni sportive vedi tra gli altri R. CAPRIOLi,. L’autonomia normativa delle federazioni sportive nazionali nel diritto privato, Napoli, 1997 ,pag.111 seg. Per il tesseramento minorile vedi P.MORO, Questioni di dirittosportivo.Casi controversi dell’attività dei dilettanti,Pordenone,1999;A. De Silvestri,Potestà genitoriale e tesseramento minorile,in Riv.dir.sport.,1991,pag.297 51 NOTE A SENTENZA Svincoli perigliosi… per mezzo di un formale atto conferisce all’atleta lo status di tesserato ovvero di centro di imputazione di situazioni soggettive attive e passive in ambito endoassociativo. Sussiste pertanto una pluralità di rapporti (associativi, od eventualmente associativilavoristici14), la cui differenziazione appare talvolta problematica data la prassi di identificarli in un'unica fattispecie. Tale pluralità di rapporti è generata dalla cennata natura delle federazioni quali associazioni di secondo grado; in tal senso il rapporto che lega l’atleta a ciascuna associazione o società di base coesiste con quello che vincola lo stesso nell’organizzazione di grado maggiore (la Federazione)1516. Pertanto con il tesseramento l’atleta entra a far parte dell’organizzazione federale accettando di esser soggetto di tutti i diritti e gli obblighi discendenti dallo statuto e dai regolamenti federali, e, sul piano giuridico, instaura un rapporto contrattuale con la Federazione Sportiva con la conseguente accettazione delle clausole statutarie e regolamentari richiamate espressamente nei moduli sui quali viene apposta la firma, tra le quali sono da ricomprendersi quelle norme inerenti il vincolo che disciplinano il rapporto tra sportivo ed associazione “intermedia”. Gli effetti derivanti dal vincolo sono infatti da ricondursi essenzialmente: 1. al diritto dell’associazione sportiva di utilizzare le prestazioni dell’atleta ed il potere di inibire allo stesso di prestare la propria attività a favore di altra associazione; 2. al dovere dell’atleta di fornire le proprie prestazioni alla società per cui è vincolato (dovere di natura positiva) di fatto incoercibile non potendosi in alcun modo precludere allo stesso l’eventuale astensione dalle prestazioni, e al dovere di non prestare la propria attività senza il consenso della società per la quale è vincolato(dovere di natura negativo), sanzionabili, in caso di violazione, essendo chiamati a rispondere disciplinarmente sia l’atleta autore del doppio tesseramento sia le società. 14 15 16 Per il potenziale rilevo lavoristico delle prestazioni rese dagli atleti non professionisti ai sensi dell’art.2 l.91/81 G.MARTINELLI,Il rapporto di lavoro nello sport dilettantistico,in GiustiziaSportiva.it - Rivista Internet di diritto dello sport,anno 2005 ,n.1. Sul punto ampiamente CAPRIOLI,op.cit.pag. 91 seg. il quale nota come stante il tenore letterale dell’art. 14 comma 1 l. n. 91/81 «le federazioni dovrebbero esser classificate tra le associazioni complesse che sono formate non da persone fisiche ma da altre associazioni;tuttavia la circostanza che risultino tesserate presso le singole persone fisiche e il fatto che a queste ultime siano direttamente rivolte numerose disposizioni degli statuti e dei regolamenti induce a classificarle tra le associazioni parallele, in cui i componenti le associazioni minori sono, al tempo stesso, membri dell’associazione maggiore In realtà, nelle concrete dinamiche, occorre distinguere almeno a seguito dell’entrata in vigore della l.91/81,la situazione dell’atleta professionista da quello non professionista, nel primo caso l’atleta stipula un contratto di lavoro, con il quale si vincola alla società datrice, cui consegue, dopo il riscontro circa la conformità alle proprie prescrizioni il conseguente tesseramento presso la federazione;gli atleti non professionisti di contro con il tesseramento presso la Federazione per tramite della società interessata manifestano la volontà di acquisire lo status di membro della federazione, di accettarne lo statuto e le norme tra le quali quelle che prevedono l’assunzione del vincolo a favore della associazione per tramite della quale è stata inoltrata la domanda di tesseramento. 52 NOTE A SENTENZA Svincoli perigliosi… Il vincolo dunque si sostanzia in un obbligo di esclusiva del giocatore a favore dell’associazione sportiva per il quale è tesserato. L’analisi degli Statuti e delle norme federali consente di esplicita le modalità attraverso le quali tale diritto di esclusiva si sostanzi,prescindendo dalla durata temporale di esso. Le disposizioni degli Statuti e delle Norme Federali inerenti in vincolo sportivo si configurano infatti quali particolari clausole del contratto associativo introdotte al fine di tutelare gli interessi sportivi delle associazioni, limitando o, rectius, tassativamente “procedimentalizzano” il diritto di recesso dell’atleta associato. De facto, l’atleta non professionista con il tesseramento assume un vincolo associativo che può esser sciolto esclusivamente nelle ipotesi previste tassativamente dalle norme organizzative federali accettate in sede di tesseramento. Dall’analisi delle singole ipotesi previste dai vari regolamenti federali17, pur nella non omogeneità delle discipline endoassociative, può comunque affermarsi che la risoluzione del rapporto associativo è di norma subordinata alla volontà dell’ associazione nelle forme della rinuncia unilaterale esplicita o tacita a mezzo di mancata richiesta di rinnovo, alla risoluzione per mutuo consenso, al recesso unilaterale subordinato al riscontro di obiettive condizioni che rendano impossibile o estremamente gravoso la prosecuzione del rapporto associativo, alle ipotesi di risoluzione per giusta causa non tipizzate e rimesse all’apprezzamento di organi associativi permanenti. Tale regime del recesso che non può non essere oggetto di attenta valutazione, alla luce della natura negoziale di contratto associativo aperto del tesseramento, che, liberamente determinabile dalle parti nel suo contenuto, incontra nel suo esplicarsi i limiti imposti dalla legge. Il divieto di recesso dal vincolo sembra infatti contrastante con fondamentali principi dell’ordinamento statuale.18 In via preliminare non può tralasciarsi sul punto come lo svolgimento dell’attività sportiva, anche agonistica, debba considerasi quale attività realizzatrice della personalità umana ex art.2 Cost. e che le strutture federali siano da ricomprendersi nell’ambito delle formazioni sociali ove si svolge la personalità dell’individuo. 17 18 Per cui si rinvia a P.MORO,Natura e limiti del vincolo sportivo,in Riv.dir. econ.sport.,anno2005, n.2,pag.8 seg Per i profili più strettamente riguardanti la non conformità delle discipline federali a convenzioni internazionali ed alla specifiche normative nazionali ed internazionali in tema di tutela dell’infanzia nell’ambito del tesseramento di atleti minorenni vedi P.MORO,Vincolo sportivo e diritti fondamentali del minore,in AA.VV.,Vincolo sportivo e diritti fondamentali,Pordenone,2002,pag.9 e seg. 53 NOTE A SENTENZA Svincoli perigliosi… Con particolar riferimento alla libertà di associazione riconosciuta e garantita dall’art. 18 Cost. si sostanzia in diversi aspetti quali ad esempio “nella libertà di costituire un associazione, in quella di aderire o di non aderire ad un’associazione già costituita (c.d. libertà negativa di associazione19), ed infine nella libertà di recedere da un’associazione”. Ai sensi dell’art. 24 c.c., le norme associative, possono eventualmente prevedere, senza che sia violata la libertà negativa di associazione, che per un periodo determinato negozialmente o statutariamente stabilito il differimento dell’efficacia dell’atto di recesso dell’associato e, quindi, la permanenza dell’associato nell’associazione per tale periodo con conseguente persistenza di tutti gli obblighi associativi (e non solo quelli eventualmente di natura finanziaria) anche in presenza del dissenso sopravvenuto dell’associato dagli scopi e dalle modalità operative dell’associazione . Ti tutta evidenza però come la durata del vincolo non possa essere tale da rendere sostanzialmente, in relazione allo specifico ambito sportivo, gravoso, impeditivo e preclusivo dell’esercizio del diritto i recesso. 20 Il tema del recesso dell’associato è di particolare rilevanza in considerazione del fatto che la deroga del principio generale ex art. 1372 c.c., nell’ambito contratto associativo, trova la sua giustificazione in un’esigenza di tutela della libertà individuale. In questo senso la giurisprudenza di legittimità si è espressa statuendo in ordine alla nullità di clausole del contratto associativo che escludano o rendano oneroso in modo abnorme il recesso21. Pur in tal sede tralasciandosi anche ulteriori profili di rilievo inerenti quei fenomeni ufficialmente non riconosciuti né tutelati dagli ordinamenti federali di reificazione dell’atleta 19 Vedi tra l’altro art. 20 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di riunione e di associazione pacifica. Nessuno può esser costretto a far parte di un’associazione». In questo senso la Corte Costituzionale Sent. n. 239 1984 ove: «Il precetto costituzionale contenuto nell’art. 18 deve esser interpretato nel quadro del contesto storico che l’ha visto nascere e che porta a considerare della proclamata libertà di associazione, non soltanto l’aspetto che è stato definito positivo, ma anche quello negativo che si risolve nella libertà di non associarsi che dovette apparire al Costituente non meno essenziale dell’altra dopo un periodo storico nel quale la politica legislativa di un regime totalitario aveva mirato ad inquadrare i fenomeni associativi nell’ambito di strutture pubblicistiche sotto il controllo dello Stato». 20 Cass. 14 maggio 1997 n. 4244, in Foro it., 1997, I, pag. 2484 ove: sia la disciplina normativa, sia l'autonomia negoziale (che di tale situazione è espressione la norma statutaria) possono comportare un vincolo temporale alla permanenza dell'associato nel rapporto associativo, anche in caso di sopravvenuto dissenso del singolo partecipe, senza che per questo soltanto la sua libertà associativa, espressa anche nella forma negativa della dissociazione, venga violata dalla regolamentazione, normativa o pattizia, che di essa regoli le modalità di esercizio, in armonia con le posizioni e gli interessi degli altri associati e dell'associazione stessa. D'altronde rientra nella funzione del legislatore ordinario la regolamentazione dell'esercizio anche dei diritti costituzionalmente garantiti, quando la relativa disciplina dettata dalla legge ordinaria, o quella pattizia da essa consentita, non sopprimano il diritto o ne rendano oltremodo ostico l'esercizio con modalità oggettivamente coercitive, impeditive o preclusive. 21 Cfr. Cass., sez. I, 9 maggio 1991, n. 5191, in Nuov. giur. civ. comm. 1992, I, pag. 615. “La facoltà di recesso è riconosciuta all’associato in deroga al generale principio, codificato nell’art. 1372, secondo il quale il contratto non può esser sciolto che per mutuo consenso:a ciascuna delle parti del contratto è qui dato di provocare con propria unilaterale dichiarazione di volontà, lo scioglimento del vincolo che la unisce alle altre part. La deroga al principio generale trova, in questa come nelle altre figure contrattuali per le quali è prevista la propria giustificazione in un’esigenza della tutela della libertà individuale:ed in rapporto al contratto di associazione un aspetto della tutela della stessa libertà di associazione.” 54 NOTE A SENTENZA Svincoli perigliosi… dilettante a mezzo della conclusione di negozi atipici di cessione del diritto di utilizzo esclusivo delle prestazioni sportive ed al possibile rilievo anche lavoristico22 delle questioni, la forza di tali argomentazioni ha indotto talune federazioni, motu proprio, ad un processo di rivisitazione dell’istituto finalizzato a contenerlo entro limiti di tempo preordinati.23 Così ispirandosi al contemperamento del diritto degli atleti ad esercitare liberamente la pratica sportiva e le opposte esigenze delle società a non vedersi private troppo presto delle loro prestazioni, la Federazione italiana Giuoco calcio nel maggio 2002 ha provveduto ad una modifica regolamentare tesa a riconoscere lo svincolo per decadenza, su richiesta dell’atleta, al termine della stagione sportiva di compimento anagrafico del venticinquesimo anno di età24. L’intervento del Coni25, in ottemperanza a quanto disposto dall’art. 4 co.6 lett.i) del proprio Statuto, con il quale si è provveduto ad emanare direttive in tema richiamando genericamente la necessità della temporaneità del vincolo, in realtà si pone in un solco già tracciato, rilevando esclusivamente nei confronti degli enti federali maggiormente “riottosi” ad addivenire all’abrogazione del vincolo a tempo indeterminato26. Sul piano storico non può non tralasciarsi la portata innovativa delle modificazioni statutarie e regolamentari. Occorre però analizzare se tale regime normativo sia atto a garantire l’effettività del godimento del diritto di praticare liberamente l’attività sportiva. Il profilo temporale del vincolo, per quanto rilevante, rappresenta sempre e comunque un corollario al diritto di recedere dal contratto associativo giusto disposto dell’art.24 c.c. 22 Non è da trascurasi sul punto il potenziale intersecarsi delle problematiche del vincolo a tempo indeterminato con quello della qualificazione in termini di lavoro subordinato del rapporto tra atleti non professionisti e società sportive.Sul tema A.DE SILVESTRI La riforma del calcio dilettantistico in tema di vincolo e accordi economici,in AA.VV,Vincolo sportivo e diritti fondamentali,Pordenone,2002,pag.41 23 A testimonianza di nuovo approccio alla tematica del vincolo nell’ambito dell’attività dilettantistica , una pronuncia resa dalla Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport (Lodo Arbitrale 5 Novembre 2002 Hockey Club Gherdëina c. Federazione Italiana Sport Ghiaccio) che ha avuto modo di sottolineare come” va valutato con favore l’atteggiamento di una federazione che in punto di fatto consenta l’ottenimento dello svincolo da parte di atleti che ne hanno diritto ai sensi delle stesse regole federali senza trincerarsi dietro formalismi procedurali”. Sul punto anche il TAR Lazio,sez.III ter,4 maggio 2003,n.4103 ove si segnalano le evidenti distorsioni derivanti dalla mancata applicazione della L.91/81 nel settore femminile della FIP e si sottolinea come«l’art. 56-bis, specie negli attuali equilibri societari e finanziari del basket femminile, tiene propriamente conto anche di questi elementi e cerca di porre un limite ai casi più evidenti di iniquità al perdurare di un vincolo sportivo contro la volontà degli interessati, quando si risolve in un manifestamente iniquo limite alla libertà contrattuale delle atlete» , nonché il carattere recessivo sul piano dei valori costituzionali dell’istituto. 24 Così il combinato disposto dell’ art.32 bis delle NOIF ed art.36 del Regolamento Lega Nazionale Dilettanti. Così anche la Federazione Italiana Pallacanestro che con delibera n.320 del 17 luglio 2003 ha introdotto lo svincolo automatico al compimento del trentaduesimo anno di età. 25 Delibera del Consiglio Nazionale del Coni adottata il 24 marzo 2004 in tema di «Principi fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali ,delle Discipline Sportive Associate e delle Associazioni Benemerite» 26 Così la FIPAV in sede di adeguamento statutario alle direttive del CONI in sede di assemblea nazionale straordinaria del 7 novembre 2004 ha previsto lo svincolo automatico al compimento del ventiquattresimo anno di età, la durata quinquennale del vincolo tra i ventiquattro ed i trentaquattro anni di età. 55 NOTE A SENTENZA Svincoli perigliosi… Occorre in altri termini domandarsi se possa ritenersi compatibile con il disposto codicistico e risponda alla funzione del contratto associativo in ambito sportivo una normativa tendente al differimento dell’efficacia dell’atto di recesso per un arco temporale eccessivamente lungo per quanto predeterminato. In punto di fatto esemplificativamente dal combinato disposto degli artt.32 e 32 bis delle Norme Organizzative Interne della FIGC il “giovane dilettante” che al compimento del quattordicesimo anno di età si sarà vincolato con una società affiliata alla Lega Nazionale Dilettanti, avrà come prospettiva quella di “svincolarsi” decorsi circa undici anni. La valutazione della validità di una siffatta clausola contrattuale che escluda l’esercizio del diritto di recesso da un’associazione per un termine determinato è secondo l’autorevole indirizzo della Corte di Cassazione “subordinata alla verifica della sussistenza di un termine compatibile con la natura e la funzione del contratto associativo e dall’altra alla insussistenza di lesione di diritti costituzionalmente garantiti”27. Tali sommarie annotazioni lasciano presagire la parzialità ed insufficienza degli interventi posti in essere e la necessità di una più ampia riflessione che tenda a superare la prospettiva in virtù della quale, attraverso il meccanismo imperniato sul collegamento tesseramento-vincolo e dietro il rilievo civilistico attribuito non già alla persona dell’atleta quanto alla res commerciabilerappresentata dal c.d. cartellino,” l’ esclusività “del rapporto atleta non professionista- associazione perdurante negli anni costituisca unico mezzo di salvaguardia del movimento sportivo dilettantistico28 Sul piano sociologico tale approccio cela una visione essenzialmente “paternalistica” del rapporto tra società ed atleti. E’ evidente come il pieno riconoscimento in ambito non professionistico del principio di libertà nello svolgimento dell’attività sportiva di cui all’art.1 L.91/81 debba necessariamente essere contemperato con la tutela degli interessi societari e le peculiarità delle singole discipline.29 27 Cass., 4 giugno 1998, n.5476, in Giur.it.,1999, pag.488. Occorre sottolineare come l'esorbitanza del termine, rispetto agli scopi associativi, non sia da valutarsi in re ipsa, quanto piuttosto in relazione al carattere delle posizioni coinvolte dall'accordo associativo considerando l'eventualità di un'incidenza su diritti indisponibili della clausola di rinuncia (temporanea) al recesso in relazione agli effetti prodotti dal perdurare del rapporto associativo.Il differimento della facoltà di recesso potrebbe tradursi in una menomazione o compressione delle libertà Costituzionali. Quando invece l'associazione abbia compiti e fini esclusivamente economici, la menzionata evenienza deve essere in radice negata, rientrando nell'autonomia contrattuale dei partecipanti la fissazione della durata di diritti ed obblighi disponibili, in armonia con la causa negoziale. 28 In tal senso pare esprimersi l’Ordinanza del Tribunale di Gorizia del 27.08.2010 secondo cui le norme in tema di vincolo sono “volte a favorire un rapporto continuativo- e quindi esclusivo- fondato sulla reciproca fedeltà negli anni tra il singolo atleta dilettante e l’associazione privata che investe sulle sue capacità sportive adoperandosi per accrescere le qualità.” 29 56 NOTE A SENTENZA Svincoli perigliosi… In tale processo un ruolo fondamentale gioca la corretta valutazione dell’esercizio dell’attività sportiva e conseguenzialmente l’oggetto dell’attività sociale; l’incidenza su libertà incomprimibile dovrebbe suggerire soluzioni tese alla massima garanzia dell’associato e comunque al coordinamento tra il diritto negativo di associazione del singolo e gli interessi sociali. Dovrebbe a riguardo addivenirsi ad una riduzione del vincolo sportivo al termine annuale coincidente con il decorrere della stagione sportiva, sviluppando dei meccanismi di compensazione che garantiscano un virtuoso flusso di danaro nelle casse sociali delle società sportive dilettantistiche che abbiano curato la formazione dell’atleta nell’ipotesi di trasferimento dello stesso entro un congruo arco temporale. Meccanismi operanti in senso verticale con redistribuzione della ricchezza in forma di mutualità,ed orizzontali nelle forme di indennità parametrate ai costi di formazione da versarsi in sede di nuovo tesseramento. Sorprende, pertanto, l’argomentare del Tribunale di Gorizia, da un lato, nella parte in cui l’esercizio del diritto di recesso viene semplicisticamente ridotto al “desiderio sopravvenuto di passare ad un’altra compagine”, e dall’altro, nella misura in cui alla pur puntuale ricognizione delle normative associative in tema di svincolo, non faccia seguito una valutazione approfondita in ordine alla legittimità delle stesse. (*) Avvocato del foro di Lecce 57 NOTE A SENTENZA L'illecito sportivo e la valutazione… Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport IL COLLEGIO ARBITRALE Prof. Avv. Massimo Zaccheo Presidente Prof. Avv. Tommaso Edoardo Frosini Arbitro Prof. Avv. Maurizio Benincasa Arbitro riunito in conferenza personale in data 1 aprile 2010 presso la sede dell’Arbitrato in Roma, ha pronunciato all’unanimità il seguente LODO nel procedimento di arbitrato (prot. n. 0645 del 22 marzo 2010) promosso dal: Potenza Sport Club s.r.l., con sede in Potenza, viale Marconi n. 189, C.F./P.IVA 01477250763, in persona del suo Amministratore unico e legale rappresentante pro tempore, dott. Donato Arcieri, rappresentata e difesa dagli avv.ti Eduardo Chiacchio, prof. Francesco di Ciommo e Michele Cozzone ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Napoli, al Centro Direzionale – Isola A/7. Contro Federazione Italiana Giuoco Calcio, con sede in Roma, via Gregorio Allegri n. 14, in persona del presidente pro tempore, dott. Giancarlo Abete, Stadio Olimpico – Tribuna Tevere - Gate 37 - 1° piano – stanza 1.54 Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport 00194 Roma tel. +39 06 3685 7801 +39 06 3685 7802 + 39 06 3685 7910 - fax +39 06 3685 7104 presso il Coni [email protected] -www.coni.it rappresentata e difesa dagli avv.ti Mario Gallavotti e Luigi Medugno ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, in Roma via Po n. 9. 58 NOTE A SENTENZA L'illecito sportivo e la valutazione… IN FATTO A) Con atto depositato il 22.03.2010 presso la segreteria del TNAS (Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport), Potenza Sport Club s.r.l. (di seguito, per brevità, Potenza) ha così riassunto i fatti di causa: 1) in data 24.07.2008, il Procuratore Federale ha deferito il Potenza dinanzi alla Commissione Nazionale della FIGC, a titolo di responsabilità diretta, per una serie di violazioni al Codice di Giustizia Sportiva (artt. 7, commi 1 e 6, e 1, comma 1) ascritte ai suoi legali rappresentanti pro tempore, sigg.ri Giuseppe Postiglione e Pasquale Guizio, accusati di concorso in illecito sportivo, per aver posto in essere condotte dirette ad alterare il regolare svolgimento della gara Potenza – Salernitana del 20.04.2008, nonché di inadempienza ai doveri di lealtà, correttezza e probità in riferimento all’atteggiamento dai medesimi tenuto in sede di audizione dinanzi agli organi inquirenti; 2) con delibera del 07.08.2008, la Commissione Disciplinare Nazionale ha prosciolto i sigg.ri Postiglione e Guizio (ed, in via diretta, il Potenza) per gli addebiti relativi alla partecipazione al contestato illecito sportivo, riconoscendo i medesimi colpevoli della sola violazione dell’art. 1, comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva, per non aver schierato la miglior formazione in occasione della gara Potenza – Salernitana sopra citata; conseguentemente, ai due dirigenti sono state rispettivamente inflitte le inibizioni fino al 5.02.2009 e fino al 5.05.2009, mentre il Potenza ha subito una penalizzazione di tre punti in classifica e un’ammenda di € 50.000,00; 3) in data 9.01.2010, il Procuratore Federale ha proposto, dinanzi alla Corte di Giustizia Federale, ricorso per revocazione ex art. 39, comma 1 lett. d) del C.G.S., in quanto, a seguito della notizia dell’arresto dei sigg.ri Postiglione e Guizio e dell’acquisizione degli atti del procedimento penale in corso presso la Procura della Repubblica di Potenza, sarebbero emersi fatti nuovi; 4) con pronuncia del 19.03.2010, la Corte di Giustizia Federale ha dichiarato ammissibile la revocazione nei confronti del solo sig. Postiglione e della società Potenza Sport Club s.r.l. e, nel merito, ha accolto il reclamo, escludendo il Potenza dal Campionato di competenza, con assegnazione della medesima società, con successivo provvedimento del Consiglio Federale, ad uno dei Campionati di categoria inferiore. 5) Così descritti i fatti, il Potenza ha formulato l’istanza per cui è arbitrato, chiedendo di: 59 NOTE A SENTENZA L'illecito sportivo e la valutazione… “A) accertare e dichiarare l’illegittimità e l’infondatezza della decisione della Corte di Giustizia Federale della FIGC, assunta nella riunione del 19.03.2010 e pubblicata, limitatamente al dispositivo, sul C.U. n. 200/CGF, con cui, in accoglimento del ricorso per revocazione ex art. 39 comma 1 lettera d) del Codice di Giustizia Sportiva proposto in data 9 Gennaio 2010 dal Procuratore Federale avverso la delibera della Commissione Disciplinare Nazionale, pubblicata sul C.U. n. 14/CDN del 07 Agosto 2008, in esito al deferimento dello stesso Organo requirente del 24 Luglio 2008 (Prot. n. 448/1173pf07-08/SP/ma) a carico dell’odierna istante, a titolo di responsabilità diretta, ai sensi dell’art. 4 comma 1 del C.G.S., in ordine alle presunte violazioni (art. 7 commi 1 e 6 ed art. 1 comma 1 dl C.G.S.) ascritte al suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, sig. Giuseppe Postiglione, veniva comminata alla Società Potenza Sport Club s.r.l. la sanzione della esclusione del Campionato di competenza con assegnazione, ad opera del Consiglio Federale, ad uno dei Campionati di Calciatori inferiore; B) per l’effetto, annullare, in parte qua, l’impugnata decisione e la relativa sanzione, con integrale ripristino della pronuncia di primo grado della Commissione Disciplinare Nazionale; C) in subordine, irrogare alla Società lucana la sola penalizzazione in classifica, ovvero, in via estremamente gradata, la retrocessione al Campionato Lega Pro di Seconda Divisione, in luogo della statuita sanzione della esclusione dal Campionato di competenza; D) previa, in ogni caso, la sospensione cautelare del provvedimento in questione, con effetto dalla data della sua emanazione (19 marzo 2010), ai sensi dell’art. 23 commi 1 e 2 del Codice dei Giudizi innanzi al Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport e Disciplina degli Arbitri, ricorrendo entrambi i presupposti (fumus boni iuris e pericolo di danno grave ed irreparabile) all’uopo richiesti; E) con vittoria di spese, diritti, onorari ed accessori di causa ovvero, in subordine, con compensazione delle spese stesse tra le parti costituite”. B) La Federazione Italiana Giuoco Calcio si è costituita in giudizio nello stesso giorno al fine di ovviare alle esigenze di celerità richieste dalla peculiarità della controversia, riservandosi di svolgere le proprie difese entro i termini di rito. C) In data 23.03.2010 si è quindi costituito il Collegio arbitrale, composto dal prof. avv. Tommaso Edoardo Frosini e dal prof. avv. Maurizio Benincasa, nonchè dal prof. avv. Massimo Zaccheo, dai primi due nominato quale terzo arbitro con funzioni di presidente. In data 25.03.2010 si è tenuta la prima udienza nel corso della quale il Collegio ha preso atto della rinuncia di parte istante alla domanda cautelare dalla medesima proposta ed ha concesso ad entrambe le parti termine 60 NOTE A SENTENZA L'illecito sportivo e la valutazione… fino al 31.03.2010 per il deposito di memorie, fissando l’udienza di discussione al 1.04.2010. D) In ottemperanza al suddetto termine le parti hanno provveduto a depositare le rispettive memorie difensive. Parte istante ha sostanzialmente reiterato le deduzioni già formulate nell’istanza arbitrale, mentre la FIGC ha ampiamente contestato le tesi avversarie, sottolineando l’assoluta correttezza delle decisioni adottate dalla Corte di Giustizia Federale. E) All’udienza dell’1.04.2010, entrambe le parti hanno provveduto al deposito di nuovi documenti ed il Collegio, all’esito della discussione, ha emesso il solo dispositivo, riservandosi di comunicare successivamente il testo integrale del lodo. IN DIRITTO 1) Il Collegio valuta opportuno muovere dalle eccezioni preliminari proposte dalla difesa del Potenza avverso il provvedimento reso dalla Corte di Giustizia Federale. A tal riguardo, il Potenza ha sollevato tre diversi ordini di eccezione. 1.1.) Nella prima, viene contestata la tardività del ricorso per revocazione proposto innanzi alla Corte di Giustizia Federale, a causa del mancato rispetto del termine previsto dall’art. 39, comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva. Secondo la disposizione da ultimo citata, infatti, le decisioni inappellabili o irrevocabili possono essere impugnate per revocazione entro trenta giorni dalla scoperta del fatto o dal rinvenimento dei documenti. Ebbene, secondo la tesi sostenuta dall’istante, il Procuratore Federale avrebbe avuto contezza dei fatti utilizzati a sostegno della propria istanza di revocazione fin dal 23.11.2009; data in cui ha provveduto ad aprire apposito fascicolo relativo all’avvenuto arresto del presidente del Potenza, sig. Postiglione, per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva. Ciò nonostante, la Procura Federale ha provveduto ad inoltrare il ricorso per revocazione solo in data 9.01.2010 e, quindi, decorsi i trenta giorni stabiliti dal citato art. 39, comma 1, C.G.S. Ad avviso del Collegio, la tesi sostenuta dal Potenza non è condivisibile. Come correttamente affermato dalla Corte di Giustizia Federale nel provvedimento oggetto della presente controversia, nonché dalla difesa della FIGC, il termine di trenta giorni previsto dall’art. 39, comma 1, C.G.S., non può decorrere dal momento nel quale il ricorrente ha ottenuto le sommarie informazioni circa l’esistenza di fatti o documenti idonei a comportare, ove precedentemente acquisiti, una diversa pronuncia. 61 NOTE A SENTENZA L'illecito sportivo e la valutazione… Il momento dal quale far decorrere il termine di trenta giorni, al contrario, deve coincidere con la data nella quale la Procura Federale ha ottenuto dalla Procura della Repubblica la copia degli atti del procedimento penale. È solo in questo momento, infatti, che la Procura Federale ha potuto acquisire una conoscenza piena dei fatti e dei documenti sui quali ha, successivamente, fondato il proprio ricorso per revocazione. Ciò premesso, si osserva che la Procura Federale è entrata in possesso degli atti relativi al procedimento penale solo in data 11.12.2009; pertanto, il ricorso per revocazione dalla medesima inoltrato in data 9.01.2010 è assolutamente tempestivo ex art. 39, comma 1, C.G.S. 1.2.) Con specifico riguardo alla seconda eccezione preliminare, la società istante sostiene l’inammissibilità del ricorso per revocazione per assenza dei requisiti richiesti dall’art. 39, comma 1, lettera d), secondo il quale è possibile agire per revocazione nel caso in cui sia stato omesso l’esame di un fatto decisivo che non è stato possibile conoscere nel precedente procedimento oppure nel caso in cui siano emersi fatti nuovi, la cui conoscenza avrebbe comportato una diversa pronuncia. In particolare, la difesa del Potenza sostiene la tesi della inidoneità dei fatti allegati nel ricorso dalla Procura Federale circa una diversa pronuncia rispetto a quella resa dalla Commissione disciplinare nazionale. Per sostenere ciò, tuttavia, muove dalla circostanza che i fatti posti a fondamento del ricorso per revocazione coinvolgerebbero anche il sig. Luca Evangelisti, soggetto che non era destinatario dell’originario deferimento. Secondo la società istante, infatti, l’utilizzazione dei suddetti eventi comporterebbe la compromissione del diritto di difesa del citato Evangelisti, nonché la possibilità di giudicati contrastanti nel caso in cui il medesimo tesserato venisse assolto dalla giustizia sportiva. Ad avviso del Collegio, la tesi sostenuta dal Potenza non è, al pari della precedente, condivisibile. Il procedimento di revocazione, infatti, coinvolge esclusivamente gli originari deferiti a nulla rilevando la circostanza che i fatti che giustificano il riesame della pronuncia coinvolgano anche altro tesserato; il quale, essendo terzo rispetto al giudizio davanti alla Commissione Disciplinare Nazionale e, a fortiori, davanti alla Corte di Giustizia Federale, non subisce alcun pregiudizio dall’esito del procedimento in corso. 62 NOTE A SENTENZA L'illecito sportivo e la valutazione… 1.3.) L’ultima delle eccezioni preliminari sollevate dalla difesa del Potenza attiene ad una pretesa nullità del giudizio di revocazione per il mancato rispetto dei termini previsti dagli artt. 41 e 42 del Codice di Giustizia Sportiva. In particolare, le suddette disposizioni stabiliscono che il termine per comparire innanzi all’Organo di giustizia sportiva non può essere inferiore a 10 giorni liberi decorrenti dalla data di ricezione dell’avviso di convocazione e che tale termine si estende anche ai gravami. Con specifico riguardo al giudizio di revocazione, l’art. 39 C.G.S. stabilisce che a tali procedimenti si applicano, in quanto compatibili, le norme procedurali dei giudizi di ultima istanza. Da ciò discenderebbe, secondo la società istante, la nullità del giudizio di revocazione, atteso che i termini sopra richiamati non sarebbero stati rispettati, con conseguente lesione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio. Ad avviso del Collegio, anche quest’ultima eccezione non merita accoglimento. Premesso che il Potenza si è regolarmente costituito nel giudizio davanti alla Corte di Giustizia Federale, è bene considerare che la norma sul giudizio di revocazione è contenuta nel Titolo IV del Codice di Giustizia Sportiva ed assume la posizione logica di norma generale. Rispetto a questo Titolo, le norme contenute al Titolo V, che riguardano specificamente il termine per comparire innanzi all’Organo di giustizia sportiva, hanno una portata eccezionale che non consente la loro applicazione oltre i casi e i tempi considerati. Ne discende che la norma sul giudizio di revocazione non soggiace ai termini indicati dall’art. 41, essendo del tutto irrilevante la circostanza che il giudizio di revocazione trovi il suo presupposto in un illecito sportivo. 2) Passando ora al merito della controversia, il Collegio valuta opportuno individuare, in primo luogo, i fatti oggetto del giudizio di revocazione, per un più attento scrutinio della decisione resa dalla Corte di Giustizia Federale in data 19.03.2010. Le circostanze di fatto sulle quali si fonda la decisione del giudice della revocazione possono così riassumersi: ì) la mancata partecipazione alla gara Potenza – Salernitana del 20.04.2008 di tre titolari del Potenza e consegna agli stessi di un ingente somma di denaro; ìì) la consegna, dopo la suddetta gara, da parte del sig. Evangelisti al sig. Postiglione, all’epoca presidente del Potenza, di una busta contenente una rilevante somma di denaro contante; ììì) la ricezione, da parte del presidente Postiglione, di un sms di minaccia, inviato da un indirizzo 63 NOTE A SENTENZA L'illecito sportivo e la valutazione… IP collegato ad un’utenza telefonica intestata ad una società riconducibile alla famiglia del medesimo Postiglione. 2.1.) Con specifico riguardo alla mancata partecipazione alla gara Potenza – Salernitana del 20.04.2008, di tre giocatori titolari della squadra locale, occorre riepilogare brevemente le contrapposte posizioni delle parti. Secondo la tesi sostenuta dalla difesa della società istante, l’esclusione dei tre titolari sarebbe dovuta esclusivamente a ragioni di opportunità e sicurezza. L’origine salernitana dei suddetti calciatori avrebbe potuto, infatti, inasprire gli animi della tifoseria della squadra ospite, provocando possibili ritorsioni nei confronti dei medesimi giocatori in caso di vittoria del Potenza. Con riferimento, invece, all’avvenuto pagamento in favore dei medesimi calciatori di un’ingente somma di denaro in contanti nei giorni immediatamente successivi alla partita, la società istante sostiene che tali importi siano stati corrisposti a titolo di rimborso spese, nonchè a titolo di corrispettivo per un contratto di cessione di diritti di immagine. Secondo la difesa della FIGC, invece, l’avvenuta esclusione dalla partita dei tre giocatori del Potenza dimostrerebbe la chiara volontà di indebolire la squadra e favorire la vittoria della Salernitana. La suddetta volontà risulterebbe dimostrata, secondo parte convenuta, da una serie di circostanze. In primo luogo, la difesa della FIGC riporta le dichiarazioni dei sigg.ri Lopiano e De Angelis, che, all’epoca, gestivano il settore giovanile del Potenza. I suddetti dirigenti, nel corso del procedimento penale sulle cui risultanze probatorie si è fondato il ricorso per revocazione, hanno riferito della intenzione, più volte manifestata dal Presidente in vista della gara contro la Salernitana, di trovare alternative alla migliore formazione del Potenza. Ebbene, secondo la FIGC, la credibilità di tali affermazioni discenderebbe, sul piano oggettivo, dalla effettiva e ingiustificata esclusione dalla gara dei tre giocatori titolari, mentre sul piano soggettivo, dalla attendibilità dei sigg.ri Lopiano e De Angelis, i quali erano legati al pres. Postiglione da assidui rapporti di frequentazione e non nutrivano alcuna ragione di ostilità nei riguardi del medesimo. A conferma di quanto sopra esposto, la difesa della FIGC valuta poi rilevante l’avvenuta consegna ai tre calciatori esclusi dalla gara di un’ingente somma di denaro in contanti. 64 NOTE A SENTENZA L'illecito sportivo e la valutazione… Tale pagamento, infatti, per il periodo in cui lo stesso è avvenuto, per la forma utilizzata, nonchè per la genericità della giustificazione addotta dal Potenza, potrebbe rappresentare il compenso stabilito in favore dei giocatori esclusi per il sacrificio ai medesimi imposto. Altra circostanza emersa nell’ambito delle indagini penali e oggetto di ricorso per revocazione è poi l’incontro tra il presidente Postiglione ed il sig. Evangelisti, all’epoca direttore sportivo del Martina Franca, subito dopo la conclusione della gara Potenza – Salernitana del 20.04.2008. Secondo quanto emerso dalle intercettazioni telefoniche, nonché dalle dichiarazioni rese dai sigg.ri Lopiano e De Angelis, Postiglione ed Evangelisti si sarebbero incontrati dopo la gara presso un’area di servizio e, in tale occasione, il secondo avrebbe corrisposto al primo una somma di denaro in contanti pari a circa 150.000 euro. La suddetta circostanza dimostrerebbe, sempre secondo la difesa della FIGC, l’intenzione del presidente Postiglione di favorire la vittoria della Salernitana, ottenendo in cambio un corrispettivo in denaro, che avrebbe poi distribuito in parte ai giocatori esclusi dalla gara a titolo di ricompensa. Secondo la difesa della società istante, invece, le intercettazioni telefoniche richiamate dalla convenuta non dimostrerebbero affatto la preesistenza di un accordo tra i due tesserati, il cui incontro, al contrario di quanto sostenuto dalla FIGC, appare casuale e dal contenuto affatto inattendibile. Per di più sarebbero del tutto contraddittorie le versioni del medesimo fornite da Lopiano e De Angelis, sia con riguardo al numero di partecipanti all’incontro, sia con riguardo al tipo di autovettura utilizzata, sia, infine, con riguardo al luogo nel quale l’incontro si sarebbe tenuto. Fatti questi dai quali emergerebbe la totale inattendibilità dei testi, mossi solo dall’obiettivo di screditare il Postiglione, il quale non avrebbe rinnovato ai medesimi il contratto di collaborazione sportiva. La difesa del Potenza sottolinea, infatti, la circostanza che i sigg.ri Lopiano e De Angelis, già ascoltati in qualità di testimoni nel momento in cui ricoprivano il ruolo di gestori del settore giovanile del Potenza, hanno rilasciato le richiamate dichiarazioni solo successivamente alla conclusione, nient’affatto consensuale, del citato rapporto di collaborazione. Infine, sottolinea il Potenza, le dichiarazioni dei sigg.ri Lopiano e De Angelis circa lo scambio della somma di denaro sarebbero contraddittorie e poco attendibili. L’ultima delle circostanze richiamate dalla Procura Federale nel proprio ricorso per revocazione concerne, invece, la ricezione di un sms di minacce da parte del presidente Postiglione, inviato da un’utenza telefonica intestata ad una società riconducibile alla famiglia del medesimo dirigente del Potenza. 65 NOTE A SENTENZA L'illecito sportivo e la valutazione… Con riferimento a tale circostanza, la difesa della FIGC ha sostenuto che l’invio dell’sms fosse stato effettuato dal medesimo Postiglione, al fine di indurre l’opinione pubblica a credere che prima della gara con la Salernitana vi fosse uno stato di tensione tale da rendere necessario escludere dalla partita i tre giocatori del Potenza con origini salernitane. In questo modo, infatti, la sostituzione, altrimenti inspiegabile, dei tre giocatori titolari avrebbe trovato una plausibile spiegazione, senza far sorgere sospetti circa l’esistenza di un accordo finalizzato a favorire la Salernitana. In risposta alle deduzioni della FIGC, la difesa del Potenza ha però sostenuto l’insussistenza di elementi oggettivamente idonei a dimostrare che il messaggio di testo ricevuto dal presidente Postiglione sia stato effettivamente inviato dall’utenza telefonica intestata ad una società riconducibile alla sua famiglia. Da alcuni accertamenti tecnici, infatti, risulterebbero delle incongruenze nella procedura di registrazione al portale dal quale la società riconducibile alla famiglia del presidente Postiglione avrebbe inviato a quest’ultimo il messaggio di cui si discute. L’inserimento del codice inviato all’utente, e necessario all’invio degli sms, sarebbe avvenuto, infatti, prima che lo stesso sia stato ricevuto dall’utente medesimo. 3) Alla luce delle circostanze sopra riportate, il Collegio valuta opportuno svolgere una serie di considerazioni. In primo luogo, si osserva che le circostanze di fatto sulle quali si fonda il provvedimento del giudice della revocazione non possono essere valutate separatamente, ma devono necessariamente essere esaminate nel loro complesso, in modo tale da individuare il legame esistente tra le stesse. D’altro canto, non bisogna commettere l’errore di inserire determinati elementi o condotte all’interno di un sistema probatorio complesso, al solo fine di avvalorare una determinata tesi. È bene chiarire fin da subito, infatti, che non tutti i fatti emersi nell’ambito del processo penale, e oggetto del giudizio per revocazione, sono stati provati allo stesso modo. Alcuni di essi risultano effettivamente dimostrati, altri, al contrario, si fondano su elementi probatori poco attendibili. Ciò premesso, osserva il Collegio, con riguardo alla prima delle richiamate circostanze, che, se da un lato risultano certi sia l’esclusione dei tre giocatori titolari, sia la corresponsione in favore di questi ultimi di un’ingente somma di denaro, dall’altro lato, non vi è alcuna certezza circa l’effettiva causale del pagamento. 66 NOTE A SENTENZA L'illecito sportivo e la valutazione… Con specifico riguardo a quest’ultimo elemento, infatti, la difesa del Potenza ha sostenuto trattarsi di somme corrisposte a titolo di rimborso spese e di corrispettivo di un contratto di cessione di diritti di immagine, mentre in sede di processo penale si era pensato che i suddetti importi fossero stati elargiti a saldo di alcuni stipendi arretrati. In conclusione, se per un verso sussistono una serie di elementi probatori idonei a dimostrare la volontà del presidente del Potenza di escludere tre giocatori dalla formazione da impiegare nella gara con la Salernitana, da altro verso, non vi è analoga certezza circa le ragioni del pagamento effettuato in favore dei medesimi calciatori a breve distanza dalla partita. La tesi del corrispettivo, accordato ai tre giocatori in cambio dell’accettazione della loro esclusione, non risulta, infatti, adeguatamente dimostrata. Analogo discorso può poi essere svolto relativamente alla consegna in favore del presidente del Potenza di una ingente somma di denaro, pari a circa 150.000 euro, a pochi minuti dalla conclusione della gara vinta dalla Salernitana. Con riguardo a tale circostanza, infatti, risulta adeguatamente provato l’incontro tra il presidente Postiglione e il sig. Evangelisti poco dopo la conclusione della partita; anche la consegna della somma di denaro risulta del pari provata attraverso la deposizione di Lopiano e De Angelis; sussistono, invece, oggettive incertezze circa il ruolo svolto dal soggetto che avrebbe consegnato il denaro, nonché le ragioni sottese a tale consegna. Dalle intercettazioni telefoniche raccolte dagli inquirenti, nonché dalle dichiarazioni rese dai più volte citati sigg.ri Lopiano e De Angelis, risulta esclusivamente che, poco dopo la conclusione della gara con la Salernitana, il presidente Postiglione abbia contattato il sig. Evangelisti, al fine di incontrarsi in un’area di servizio nella zona di Foggia. Secondo quanto affermato dai sigg.ri Lopiano e De Angelis, poi, il sig. Postiglione, allontanatosi dall’auto per incontrarsi con il sig. Evangelisti, sarebbe tornato in macchina ed avrebbe contato davanti ai medesimi le banconote appena ricevute. Da quanto sopra esposto, quindi, il momento in cui è avvenuta la consegna di denaro (poco dopo la fine della partita), nonché le modalità della stessa (consegna avvenuta in contanti e in un’area di servizio), lasciano presumere trattarsi di un pagamento illecito, non sussistono certezze assolute circa il titolo della consegna della somma. Del resto, mentre le dichiarazioni rese dai sigg.ri Lopiano e De Angelis, nonché le intercettazioni telefoniche risultano al riguardo poco chiare, è opportuno rilevare che il sig. Evangelisti, che di fatto avrebbe provveduto alla consegna del denaro, non aveva, almeno in 67 NOTE A SENTENZA L'illecito sportivo e la valutazione… apparenza, alcun collegamento con la Salernitana, ricoprendo, all’epoca dei fatti, il ruolo di direttore sportivo del Martina Franca. È opportuno osservare, infine, che non risulta agli atti alcuna prova o indizio dai quali poter presumere che vi sia stato un contatto tra il Potenza e la Salernitana o, quantomeno, tra quest’ultima società e il sig. Evangelisti. Analogo discorso deve, infine, essere svolto relativamente alla ricezione da parte del presidente del Potenza di un sms inviato da un’utenza telefonica intestata ad una società riconducibile alla sua famiglia. A tal riguardo, infatti, le considerazioni svolte dalla difesa del Potenza risultano potenzialmente idonee a confutare la tesi sostenuta dalla FIGC. La procedura di registrazione al portale attraverso il quale la società riconducibile alla famiglia del Postiglione avrebbe inviato al medesimo l’sms di minacce, sembra, infatti, viziata da alcune incongruenze. La conferma della registrazione al portale risulta avvenuta successivamente al completamento dell’iscrizione della società; l’inserimento del codice inviato all’utente sarebbe cioè avvenuto prima che lo stesso sia stato ricevuto dall’utente medesimo. 4) Alla luce dell’esame dei principali fatti oggetto di controversia, il Collegio valuta corretto, ai fini della decisione, esaminare le suddette circostanze nel loro complesso. Da quanto sopra esposto, nonché dalle altre circostanze di fatto raccolte dagli organi inquirenti, emerge quanto segue. In primo luogo, non vi è dubbio che il presidente del Potenza abbia inciso sulla scelta della formazione impiegata nella gara contro la Salernitana. La decisione di escludere tre giocatori dalla formazione è riconducibile, infatti, al solo presidente; e ciò risulta adeguatamente dimostrato dagli elementi raccolti nel corso delle indagini penali. Le ragioni sottese a tale scelta risultano tuttavia poco chiare, anche se sussistono una serie di circostanze piuttosto univoche che lasciano presumere esservi stato, da parte del presidente, l’intento di favorire la vittoria della Salernitana. A tal riguardo, si osserva, inoltre, che altri calciatori di origini salernitane sono stati regolarmente impiegati nella formazione del Potenza, facendo così venir meno la teoria della necessaria esclusione dei tre calciatori originari di Salerno per ragioni di sicurezza. Per quanto concerne, invece, l’ipotetico profitto conseguito dal presidente del Potenza per aver favorito la vittoria della Salernitana nella gara del 20.04.2008, non è stata offerta una prova soddisfacente. 68 NOTE A SENTENZA L'illecito sportivo e la valutazione… Se da un lato, infatti, non sussistono dubbi circa il carattere anomalo dei pagamenti, sia per il momento in cui gli stessi sono avvenuti, sia per la forma utilizzata, non vi sono, tuttavia, elementi probatori idonei a dimostrare che le somme di denaro ricevute dal sig. Evangelisti, nonché quelle consegnate ai tre giocatori esclusi, siano effettivamente riconducibili al risultato della richiamata partita del 20.04.2008. In ragione di quanto sopra esposto, il Collegio valuta opportuno riformare la decisione assunta dalla Corte di Giustizia Federale della FIGC nella riunione del 19.03.2010 (C.U. n. 200/CGF), con conseguente modifica della sanzione della esclusione del Potenza dal Campionato di competenza con assegnazione ad uno dei Campionati di Categoria inferiore. Ad avviso del Collegio, infatti, la richiamata sanzione risulta eccessiva e non giustificata dalle risultanze probatorie emerse nel corso dei procedimenti penali e disciplinari che hanno coinvolto i dirigenti del Potenza. Per tali motivi, il Collegio, in riforma della decisione della Corte di Giustizia Federale del 19.03.2010, condanna il Potenza Sport Club s.r.l. alla retrocessione diretta al Campionato di Seconda Divisione. 5) Quanto alle spese, il Collegio pone a carico del Potenza Sport s.r.l. i 2/3 delle spese di lite e a carico della FIGC il restante terzo. 6) Il Collegio ritiene di determinare nella misura di € 6.000 i propri onorari, ponendo i 2/3 a carico del Potenza Sport s.r.l. ed il restante terzo a carico della FIGC. PQM IL COLLEGIO ARBITRALE all’unanimità e definitivamente pronunciando, accoglie in parte l’istanza d’arbitrato in epigrafe e per l’effetto così dispone per quanto di ragione e nei sensi di cui in motivazione: a) in parziale riforma dell’impugnata decisione della Corte di Giustizia Federale della Federazione Italiana Giuoco Calcio, retrocede Potenza Sport Srl all’ultimo posto in classifica del Campionato Lega Pro di Prima Divisione a.s. 2009 / 2010 a norma dell’art. 18, lett. h) del Codice di Giustizia Sportiva; b) pone a carico del Potenza Sport Srl i 2/3 delle spese di lite che liquida, per questa quota, in € 1.300 e compensa il restante terzo; c) pone a carico del Potenza Sport Srl i 2/3 e a carico della Federazione Italiana Giuoco Calcio il restante terzo delle spese e degli onorari degli Arbitri, liquidati complessivamente in € 6.000 con il vincolo di solidarietà; 69 NOTE A SENTENZA L'illecito sportivo e la valutazione… d) pone a carico del Potenza Sport Srl i 2/3 e a carico della Federazione Italiana Giuoco Calcio il restante terzo dei diritti amministrativi per il Tribunale nazionale di arbitrato per lo Sport; e) dispone che i diritti amministrativi versati dalle parti siano incamerati dal Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport. Così deliberato in data 1 aprile 2010 e sottoscritto in numero di tre originali nei luoghi e nelle date di seguito indicati. 70 NOTE A SENTENZA L'illecito sportivo e la valutazione… L’ILLECITO SPORTIVO E LA VALUTAZIONE DELLE PRESUNZIONI NOTA A TRA LODO ARBITRALE T.N.A.S . DEL 1.4.2010 POTENZA SPORT CLUB S.R.L. E F. I.G.C. di Andrea Petretto (*) I – Il caso Il lodo in analisi scaturisce dall’iniziale deferimento da parte del Procuratore Federale innanzi alla Commissione Nazionale della F.I.G.C. del Potenza Sport Club S.r.l. (breviter Potenza) a titolo di responsabilità diretta per la violazione degli artt. 7, comma 1, e 6, comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva, conseguentemente ai comportamenti adottati dai propri rappresentanti pro tempore, i Sigg.ri Giuseppe Postiglione e Pasquale Guizio, a seguito della partita Potenza – Salernitana del 20.4.2008. In tale occasione, infatti, i medesimi rappresentanti avrebbero adottato delle condotte volte all’alterazione del regolare svolgimento della gara sopra menzionata venendo così accusati di concorso in illecito sportivo, nonché di inadempienza ai doveri di lealtà, correttezza e probità degli stessi in sede di audizione innanzi agli organi competenti. A conclusione di quanto sopra, la Commissione Disciplinare Nazionale emetteva una delibera con cui proscioglieva i Sigg.ri Giuseppe Postiglione e Pasquale Guizio per gli addebiti relativi alla partecipazione al contestato illecito sportivo riconoscendoli, però, colpevoli della sola violazione dell’art. 1, comma 1, Codice di Giustizia Sportiva con conseguente inibizione e una penalizzazione di tre punti in classifica al Potenza oltre ad un’ammenda di € 50.000,00. 71 NOTE A SENTENZA L'illecito sportivo e la valutazione… Successivamente, a seguito della notizia dell’arresto dei Sigg.ri Postiglione e Guizio unitamente al’acquisizione degli atti del procedimento penale in corso presso la Procura della Repubblica di Potenza, il Procuratore Federale, in data 9.1.2010, proponeva ricorso per revocazione ex art. 39, comma 1 lett. d) del C.G.S.. La Corte di Giustizia Federale, con pronuncia del 19.3.2010, riteneva ammissibile il suddetto ricorso solo nei confronti del Sig. Postiglione e del Potenza escludendo quest’ultima dal Campionato di propria competenza e susseguente richiesta di assegnazione ad uno dei Campionati di categoria inferiore. Il Potenza, quindi, impugnava il provvedimento così adottato dalla Corte di Giustizia Federale richiedendone l’accertamento e la dichiarazione di illegittimità e di infondatezza presso la competente sede del Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport che, in parziale riforma della decisione della Corte di Giustizia Federale della F.I.G.C. retrocedeva il Potenza all’ultimo posto in classifica del Campionato Lega Pro di Prima Divisione a.s. 2009/2010 a norma dell’art. 18, lett. h) del C.G.S.. II – L’art. 7 del Codice di Giustizia Sportiva e le presunzioni In prima istanza, dunque, il T.N.A.S. analizza puntualmente, e conseguentemente respinge, le eccezioni preliminari mosse dalla difesa del Potenza in ordine alla proponibilità, nonché tardività, del ricorso per revocazione presentato dal Procuratore Federale a seguito della conoscenza dei fatti posti a fondamento del proprio ricorso e riguardanti l’arresto del Presidente del Potenza, il Sig. Postiglione, per il reato di associazione per delinquere finalizzata ala frode sportiva. Il Collegio del T.N.A.S., riportandosi a quanto già chiaramente dedotto dalla Corte di Giustizia Federale nella motivazione della propria pronuncia, rileva in modo esplicito come il momento dal quale decorrono i termini di trenta giorni per la presentazione di tale tipo di ricorso devono decorrere dalla data in cui la Procura federale ha ottenuto dalla Procura della Repubblica la copia degli atti del procedimento penale e non, come conteggiato dalla difesa del Potenza, dall’acquisizione della stessa Procura Federale delle sommarie informazioni. È solo dal suddetto momento, infatti, che si sarà nella possibilità di conoscere pienamente dei fatti e dei documenti sui quali poi si potrà effettivamente fondare il ricorso per revocazione. 72 NOTE A SENTENZA L'illecito sportivo e la valutazione… Esaurita la dovuta e prodromica considerazione in ordine all’ammissibilità del ricorso per revocazione, e, dunque, inammissibilità delle eccezioni opposte da parte istante, il T.N.A.S. entra nel merito della controversia. In particolare da subito rileva come le circostanze di fatto sulle quali si fonda il provvedimento del giudice della revocazione devono essere esaminate e valutate nel loro insieme e nella relazione intercorrente tra le stesse. In modo piuttosto inequivoco, infatti, statuisce come “non tutti i fatti emersi nell’ambito del processo penale e oggetto del giudizio per revocazione, sono stati provati allo stesso modo. Alcuni di essi risultano effettivamente dimostrati, altri al contrario, si fondano su elementi probatori poco attendibili” e ponderati, dunque, in maniera adeguata. Da subito, dunque, si è ritenuto di dover motivare detta posizione anticipando al contempo quanto contenuto nel dispositivo finale. Il Collegio Arbitrale, infatti, a fondamento di quanto deciso ha da subito precisato come non vi fossero chiari, fondati e dimostrati presupposti al fine di provvedere in modo tale da confermare la precedente decisione ritenuta dallo stesso Collegio del T.N.A.S. eccessiva. Nel corpo del lodo il Collegio argomenta, infatti, come non si possa dedurre in modo univoco il nesso causale tra gli eventi verificati e il risultato della gara tra Potenza e Salernitana. L’esclusione dei giocatori, la corresponsione in favore degli stessi di una somma cospicua di denaro nonché della somma di € 150.000,00 corrisposta al presidente del Potenza a pochi minuti dalla gara vinta dalla Salernitana non risultano, secondo il Collegio, collegate da un reale nesso causale, indispensabile al fine di poter dimostrare come quanto effettivamente accaduto in corso di gara sia stato quanto stabilito e artatamente deciso. Il T.N.A.S., infatti, evidenzia come seppur la consegna di una somma denaro, l’entità della stessa e la modalità in cui è avvenuta lasciano presumere un pagamento illecito, non sussistono, però, certezze assolute in merito alle stesse. Nella parte conclusiva del lodo, infatti, il Collegio Arbitrale chiamato a decidere della sottesa controversia manifestamente afferma come le circostanze tutte facciano presumere l’esistenza e l’attuazione di un illecito sportivo volto all’alterazione dello svolgimento della gara e, dunque, del Campionato, ma, allo stesso modo, valutate nel loro complesso e concordemente ad altre e contrastanti non sia possibile rilevare elementi probatori idonei a dimostrarne l’esistenza dello stesso. 73 NOTE A SENTENZA L'illecito sportivo e la valutazione… In particolare, l’ipotetico profitto conseguito dal Presidente del Potenza non può ritenersi dimostrato, poiché altri giocatori di origine salernitana sono stati comunque impiegati nella suddetta gara, così come il pagamento anomalo sia per entità e per modalità possano richiamare come effetto il risultato della gara sottesa. Più volte, dunque, nel caso de quo, il T.N.A.S. parla ed usa il termine presumere e specificamente deduce l’impossibilità di poter usare alcuni fatti e, o circostanze di fatto idonee a poter confermare la precedente decisione. Rileva, a questo punto, richiamare quanto contenuto nell’art. 7, comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva, e in particolare all’uso dell’espressione “atti diretti” cui conducono alla identificazione di un illecito sportivo. L’utilizzo di detta espressione conferisce all’illecito sportivo una sorta di aleatorietà circa l’effettivo verificarsi dell’evento dannoso con l’inevitabile conseguente interpretazione di avvicinare quanto in esso contenuto alla struttura del reato di attentato o consumazione anticipata a prescindere dall’effettivo conseguimento di un qualche vantaggio. Il parlare di atti diretti presuppone, infatti, un richiamo all’art. 56 Cod. Pen. disciplinante il tentativo di reato il che porta ad un’ulteriore considerazione: nel Codice Giustizia Sportiva manca non solo il requisito dell’idoneità, ma anche quello dell’univocità, elementi fondamentali perché venga configurato un delitto tentato. Ebbene, pur mancando dei requisiti dell’idoneità e dell’univocità tipici dell’art. 56 Cod. Pen. cui l’art. 7 richiamato viene affiancato, giurisprudenza di settore ha in via interpretativa avvicinato proprio in questo senso i due articoli richiedendo ai fini dell’integrazione dell’illecito sportivo anche il requisito della idoneità degli atti. Nella cosiddetta “idoneità”, come detto non contemplata quale elemento essenziale nell’art. 7 Cod. Giustizia Sportiva, si ravvisa, infatti, il requisito della minaccia, o della messa in pericolo, obiettivamente accertabile, che deve provocare un’effettiva lesione del protetto. Ebbene, essendo proprio questo ciò cui mira il “legislatore sportivo” laddove inserisce la specifica “con qualsiasi mezzo”, gli atti, oltre ad essere diretti e mirare ad ottenere un’alterazione dello svolgimento della gara, come nel caso de quo, devono essere anche ritenuti idonei a tale scopo che poi verrà o meno raggiunto. 74 NOTE A SENTENZA L'illecito sportivo e la valutazione… Il lodo qui in analisi parte proprio da detti presupposti lì dove nella ricerca delle basi su cui fondare il proprio convincimento non ritiene vi siano gli estremi affinché i comportamenti adottati siano da ritenersi diretti e idonei ai fini della comprovata alterazione del regolare svolgimento della gara e sussistano, dunque, gli estremi dell’illecito sportivo. Secondo l’orientamento dottrinale penalistico adottato per l’art. 56 Cod. Pen., da recepire qui in via analogica, idonei, pertanto, saranno gli atti che manifestano un potenziale offensivo il cui effetto non si è concretizzato solo per ragioni indipendenti dalla volontà del colpevole. Un’importante considerazione da fare, dunque, è sul fatto che la presenza di detto requisito potrà e dovrà ricercarsi e trovarsi sempre e comunque in relazione al caso concreto. Gli atti, infatti, dovranno essere considerati nel contesto in cui si inseriscono. Solo così si potrà accertare la potenziale capacità lesiva delle condotte poste in essere, non potendo prescindere da una comparazione delle stesse con il complesso delle circostanze sottese. L’illecito sportivo, dunque, si ritiene perfezionato non necessariamente con il conseguente evento in senso naturalistico che si consuma anche con il semplice tentativo di corruzione, bensì basta la mera messa in opera di atti diretti ad alterare il fisiologico svolgimento della gara. Ebbene, l’apprezzabile lavoro svolto dal Collegio arbitrale qui chiamato a decidere della sottesa controversia, è elogiabile proprio per aver abbracciato pienamente detta posizione e aver seguito un iter di ricerca ed analisi proprio nel senso appena indicato. Secondo quanto rilevato dal Collegio Arbitrale del T.N.A.S., infatti, non si ravvisano gli elementi necessari ai fini dell’integrazione dello stesso illecito quale, appunto, il nesso tra quanto verificato e quanto poi accaduto. Inoltre, secondo quanto statuito dalla C.A.F. stessa, ad avvalorare così la posizione adottata dal T.N.A.S., l’illecito per essere tale deve essere provato oltre ogni dubbio dovendo giungere ad un giudizio di proscioglimento degli addebiti pur in presenza di indizi di reità non caratterizzati da precisi e concordanti elementi probatori. Di tal guisa si entrerà e si dovrà tenere in debita considerazione tutto il campo delle presunzioni al quale anche il legislatore statuale si è ispirato per disciplinare proprio il reato di frode in competizioni sportive introdotto con la L. n.. 401 del 19891. Le presunzioni, dunque, quali operazioni di elaborazione logica della prova che possono essere utilizzate dal giudice a fondamento della propria decisione in presenza di determinati requisiti acquisiscono un ruolo tanto importante quanto delicato ai fini proprio della loro valutazione e adozione. 75 NOTE A SENTENZA L'illecito sportivo e la valutazione… Si è osservato, dunque, come nell’ordinamento sportivo queste non possono essere altro che semplici o di fatto e quindi non predeterminate dal legislatore. Per tale motivo le presunzioni che verranno, e che potranno, essere utilizzate nell’ambito che qui interessa, saranno soggette a quanto contenuto nell’art. 2729 Cod. Civ. secondo il quale “le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti”. La loro utilizzazione a fini probatori, pertanto, rappresenta il risultato del libero apprezzamento del giudice compiuto sulla base delle regole di esperienza. I requisiti della gravità, precisione e concordanza, contrariamente a quanto risulta dall’art. 2729 Cod. Civ. non devono riferirsi, però, alle presunzioni in senso stretto, ma, piuttosto, agli elementi o indizi in base ai quali è possibile pervenire alla presunzione. La presunzione, infatti, altro non è che un processo dinamico, un ragionamento e la forza della conclusione cui il giudice perviene dipende proprio dalle basi del ragionamento stesso e dalla presenza di elementi che presentino le caratteristiche richieste. Ciò che la legge richiede è, dunque, l’univocità di conclusioni determinate da elementi indiziari gravi, precisi e concordanti. La presunzione, quindi, è in ambito sportivo un efficace, se non il più efficace quanto necessario mezzo probatorio al fine di delineare l’accusa di illecito sportivo. Ebbene, proprio sulla base anche di quanto appena accennato risulta ancora più condivisibile quanto adottato, o meglio, i criteri adottati dal Collegio Arbitrale del T.N.A.S. al fine di giungere alla decisione qui in analisi. Nonostante questo, però, emergono delle problematiche che rimangono ancora aperte e irrisolte e che dovrebbero offrire spunti per ulteriori approfondimenti ed eventuali, quanto auspicabili, interventi nel campo della giustizia sportiva. Seppur l’ordinamento sportivo ha, infatti, inteso istituire un proprio sistema di giustizia, strutturato in modo analogo a quello statale, con la funzione di risolvere in tempi brevi e in maniera competente le controversie tra i suoi esponenti con l’intento di evitare ogni sorta di influenza sulla giurisdizione statale, talvolta, come nel caso qui in esame, si verifica la situazione opposta in cui decisioni dell’ordinamento statale vadano ad influenzare necessariamente quanto disposto all’interno dei regolamenti federali e dell’ordinamento sportivo. 76 NOTE A SENTENZA L'illecito sportivo e la valutazione… Di certo non è un campo di facile trattazione poiché in merito al rapporto fra illecito sportivo e penale possono verificarsi diverse possibili soluzioni come ad esempio che il fatto costituisca solo un illecito sportivo, e in tal caso verrà perseguito solo dal giudice sportivo oppure che il fatto costituisca illecito sportivo e penale, caso questo in cui sentenzieranno entrambi ed in piena autonomia ed entrambe le sanzioni, siano esse concordi o discordi, passeranno in giudicato. Ebbene è proprio nella seconda ipotesi che si ritiene di dover in qualche modo intervenire poiché, se in astratto i due ordinamenti e conseguenti decisioni sono autonome ed indipendenti di fatto non risulta essere in questo modo come si evince dal caso qui in considerazione. Nella vicenda sottesa, infatti, successivamente a quanto emerso in sede penale si sono verificati ulteriori sviluppi in sede sportiva a discapito, però, di alcuni elementi caratterizzanti e tipici dell’ordinamento sportivo quali l’autonomia, da un lato, e la celerità, dall’altro, insita nelle esigenze dello stesso. L’ordinamento sportivo, invero, nasce proprio dall’esigenza di vedere giudicate e sanzionate determinate condotte in modo certo, competente quanto univoco, ma in termini ristretti al fine di non vedere falsati i reali interessi dello sport e di non innescare ulteriori meccanismi estranei alla materia sportiva, ma che inevitabilmente esistono e vi si combinano. Seppur, dunque, quanto posto in essere, da un lato, rispecchia la regolare adozione dell’attuale normativa, dall’altro, evidenzia come nella stessa vi sia ancora qualche falla da colmare non potendosi condividere l’attesa di un periodo di due anni per la definizione di una vicenda che è comunque da ritenersi sportiva. (*) Dottore, praticante abilitato, assistente Università degli Studi del Foro Italico, Roma 77 NOTE A SENTENZA Una sentenza “Pilato”... UNA SENTENZA “PILATO” DEL TRIBUNALE DI MILANO SUL LAVORO SPORTIVO DILETTANTISTICO NOTA A SENTENZA DEL TRIBUNALE DI MILANO SEZIONE LAVORO – DEL 24 MARZO 2010 n. 1302 di Carmine Fabio La Torre (*) Sommario: 1. Premessa 2. Il Fatto 3. La non deducibilità in arbitrato delle controversie di lavoro sportivo dilettantistico 4. L'equivoco del lavoro gratuito 5. Il diritto alla prova 6. Conclusioni 1. Premessa La sentenza n. 1302/2010 del Tribunale di Milano sul rapporto di lavoro sportivo dilettantistico ha tradito le forti aspettative “emozionali” degli esperti di settore, poiché a parere dello scrivente la decisione ha fallito tutti gli obiettivi di carattere logico-giuridico che il giudicante avrebbe dovuto perseguire, per poter essere definito “organo di terza parte” che risolve realmente i problemi di dubbia applicabilità della normativa “effettiva” allorquando si è in presenza di un dualismo tra norme di diritto comune e norme di carattere endoassociativo. In ogni caso, la pronuncia è fondamentale perché evidenzia non solo il disinteresse del giudice del lavoro ad affrontare una tematica di grande attualità ma anche la non conoscenza del sistema Sport rapportato al diritto comune. NOTE A SENTENZA 78 Una sentenza “Pilato”... 2. Il Fatto Il caso concreto, portato all’attenzione del giudice del lavoro di Milano, riguarda un lavoratore che dichiara di aver svolto una prestazione di fatto con qualifica di allenatore dilettante presso un’associazione polisportiva dilettantistica. In particolare, il ricorrente ha chiesto al giudice del lavoro di accertare la natura subordinata della prestazione resa, mentre, la resistente si è difesa eccependo, in primo luogo, il difetto di giurisdizione del giudicante, in secondo luogo, la gratuità della prestazione lavorativa. Particolare attenzione deve essere attribuita alle prove precostituite fornite dalle parti. Tant’è che il ricorrente ha fornito (tra le tante) dei referti di gara ed un attestato di “allenatore di base” rilasciato dalla F.I.G.C., mentre la resistente ha solo offerto lo stralcio dei regolamenti F.I.G.C. Sulla base di tali fatti il giudice del lavoro non ha espletato alcuna istruttoria, rigettando però la domanda perché “nulla risulta circa quell’assoggettamento alle direttive impartite dal datore di lavoro per determinare le modalità, anche di tempo e di luogo, della prestazione in cui si concreta la subordinazione, secondo la tesi c.d. sussuntiva dominante nella giurisprudenza di legittimità”. Alla luce di tali osservazioni si fonda il presente commento che, senza voler sposare né le ragioni dell’una né le ragioni dell’altra, altro non è che un semplice chiarimento sulle questioni giuridiche disattese dal giudicante. 3. La non deducibilità in arbitrato delle controversie di lavoro sportivo dilettantistico Nel caso di specie l’associazione polisportiva dilettantistica C. ha sollevato l’eccezione del difetto di giurisdizione dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria poiché competente a decidere la controversia, in virtù della clausola compromissoria, è il collegio arbitrale in base all’art. 30 Statuto F.I.G.C. A tal proposito è appena il caso di fare un breve chiarimento circa la reale natura dell’art. 30 dello Statuto F.I.G.C. e, in particolare, sulla possibile deducibilità in arbitrato della presente controversia. In via di prima approssimazione può ricordarsi che l’art. 30 dello Statuto F.I.G.C. non solo non prevede ma nemmeno contiene alcun tipo di clausola compromissoria. Tale disposizione evidenzia solo l’accettazione di provvedimenti e decisioni già emessi e non impone ai soggetti dell’ordinamento federale di rimettere la risoluzione delle loro controversie NOTE A SENTENZA 79 Una sentenza “Pilato”... ad un giudizio arbitrale (salvo l’ipotesi indicata dal comma 3 dell’art. 30 concernente le controversie, non di lavoro, tra tesserati – affiliati – federazione). In tale disposizione, invero, non esiste il c.d. vincolo di giustizia che di solito le federazioni sportive impongono ai loro associati. Il vincolo di giustizia, in altre parole, può sussistere soltanto se gli statuti e i regolamenti federali prevedono clausole compromissorie che impongono ai soggetti operanti in quello specifico ordinamento di non rivolgersi direttamente ai giudici statali per la risoluzione delle controversie. Alla luce di ciò è allora opportuno soffermare l’attenzione sulla dubbia deducibilità in arbitrato delle controversie di lavoro sportivo dilettantistico. In particolare, il sistema sportivo è dotato di regole a valenza endoassociativa che consentono, in virtù del c.d. vincolo sportivo, la devoluzione in arbitrato1 di eventuali controversie insorte tra tesserati ed affiliati. Tale arbitrato ha la caratteristica che, da un lato, affida la decisione della lite a persone di fiducia dotate di competenze tecniche (c.d. organi di giustizia sportiva) e, dall’altro, giunge alla risoluzione della stessa in tempi più rapidi rispetto alla via giudiziaria ordinaria. L’accordo attraverso il quale le parti deferiscono ad arbitri la decisione di una controversia è definito convenzione arbitrale che, nel caso di specie, prende il nome di clausola compromissoria ovvero quell’accordo inserito in un contratto con cui le parti preventivamente si impegnano affinché una probabile e futura controversia che possa insorgere venga decisa da arbitri. Tale clausola, per essere ritenuta valida ed efficace, deve essere approvata per iscritto2. A differenza di quanto avviene nello sport professionistico in cui la deducibilità in arbitrato delle controversie di lavoro è approvata per iscritto, perché prevista per legge3 e per accordo collettivo4, nello sport dilettantistico questa possibilità non esiste. Tale ratio è peraltro confermata dal legislatore che, in tema di controversie di lavoro, riconosce la possibile deducibilità in arbitrato solo se prevista dalla legge o dai contratti o accordi collettivi. 1 Sulla natura giuridica dell’arbitrato sportivo cfr. Cass. Civ., sez. I, 28 settembre 2005, n. 18919; Cass. Civ., S.U., 27 aprile 1993, n. 2889; Cass. Civ., sez. lav., 6 aprile 1990, n. 2889. 2 Cfr. Trib. Monza, sez. IV, 16 giugno 2005, n. 1830. 3 Cfr. art. 4, comma 5, legge 23 marzo 1981 n. 91. 4 Cfr. Accordi Collettivi sottoscritti tra F.I.G.C., leghe professionistiche (Lega Calcio – Lega Pro) e associazioni di categoria (Associazione Italiana Calciatori – Associazione Italiana Allenatori di Calcio – Associazione Direttori sportivi e Segretari). NOTE A SENTENZA 80 Una sentenza “Pilato”... Basti pensare che l’art. 806, comma 2, c.p.c. prescrive che “le controversie di cui all’art. 409 c.p.c. possono essere decise da arbitri solo se previste dalla legge o negli accordi collettivi di lavoro”; l’art. 412-ter c.p.c. riconosce l’arbitrato irrituale in materia di lavoro solo “se i contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro prevedono tale facoltà”; l’art. 5, comma 1, legge 11 agosto 1973 ammette l’eventuale deducibilità in arbitrato irrituale alle controversie individuali di lavoro “soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero dai contratti e accordi collettivi” e, comunque, senza arrecare pregiudizio alle parti di adire l’autorità giudiziaria. Da ultimo si ricorda che l’art. 3, comma 1, legge 17 ottobre 2003 n. 280 tiene ferma la giurisdizione del giudice ordinario (specializzato) sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, mentre, alla giustizia sportiva resta il compito di decidere eventuali sanzioni per l’inosservanza delle disposizioni federali o comunque facenti parte dell’ordinamento sportivo. Ad ogni modo la giurisprudenza ritiene che, in caso di controversie di lavoro sportivo dilettantistico, il compito del giudice è proprio quello di verificare che l’invocata clausola compromissoria (prevista dall’art. 30 dello Statuto F.I.G.C.) non si pone affatto da ostacolo alla cognizione dell’A.G.O.5. In conclusione è possibile ritenere che le controversie ricomprese nei numeri 1 e 3 dell’art. 409 c.p.c., allorché rapportate allo sport dilettantistico, non sono affatto deducibili in arbitrato. 4. L'equivoco del lavoro gratuito Altro aspetto di particolare interesse è quello concernente la gratuità della prestazione lavorativa. L’associazione polisportiva dilettantistica C., infatti, ritiene che l’attività svolta dal ricorrente non può essere di tipo oneroso perché, secondo quanto sostenuto dall’art. 42 del Regolamento della Lega Nazionale Dilettanti F.I.G.C., “gli allenatori dilettanti svolgono la propria attività a titolo gratuito”. Sul punto giova ricordare che i regolamenti federali, benché clausole contrattuali aventi natura associativa, non costituiscono atti normativi primari e, quindi, non possono in nessun modo derogare le norme statali6. 5 6 Cfr. Trib. Forlì, sez. lav., 14 settembre 2007, n. 149; Trib. Bari, sez. lav., 10 marzo 2003, n. 6270; Trib. Modena, sez. lav., 20 febbraio 2003, n. 90; Trib. Rovigo, sez. lav., 16 giugno 2000, n. 441. Cfr. Cass. Civ., S.U., 5 settembre 1986, n. 5430. NOTE A SENTENZA 81 Una sentenza “Pilato”... L’unico criterio che distingue il lavoro gratuito dal lavoro subordinato è l’utilizzo delle norme di diritto comune e non i regolamenti della F.I.G.C. La prestazione di lavoro, sebbene si presuma a titolo oneroso (art. 2094 c.c.), può essere di tipo gratuito solo in vista di: rapporti di cortesia; rapporti di alto valore morale, solidaristico o ideale; ragioni di tipo affettivo; vantaggi indiretti che il prestatore può trarre dalla prestazione. Appare quindi alquanto improbabile che la prestazione resa da un allenatore dilettante in favore di un’associazione sportiva dilettantistica possa ritenersi conforme a tali elementi. Cosicché per far valere la tesi del lavoro gratuito non bisogna limitarsi, con interpretazioni di sorta, ad evidenziare la gratuità della prestazione per espressa disposizione dei regolamenti federali bensì fornire una rigorosa prova contraria in merito7. Diversamente da ciò, chi intende agire in giudizio per l’accertamento della natura subordinata della prestazione lavorativa deve provare l’esistenza degli indici rivelatori elaborati dalla giurisprudenza8 quali unici elementi idonei a qualificare il rapporto intercorso tra le parti, anche a prescindere dalla qualificazione formale data dalla federazione. In altre parole, un allenatore dilettante che agisce in giudizio deve fornire la prova della sottoposizione al potere direttivo, disciplinare e organizzativo del datore di lavoro9. Nel caso in cui detti indici non emergano con sufficiente chiarezza è opportuno che il lavoratore dia anche prova dell’esistenza degli indici a carattere indiziario o sussidiario10. Più in particolare, il lavoratore deve dimostrare: l’inserimento nell’organizzazione imprenditoriale del datore di lavoro; la continuità nel tempo della prestazione lavorativa; l’assenza in capo al lavoratore del rischio d’impresa; l’assenza di una struttura imprenditoriale riferibile al lavoratore; i vincoli di luogo e di orario; la presunzione di onerosità della prestazione lavorativa. 5. Il diritto alla prova Ultima questione da affrontare è il procedimento logico-giuridico adottato dal giudice del lavoro che dimostra, con estrema semplicità, disinteresse all’istruzione del giudizio. Nella sentenza, infatti, si legge che il giudice ha rigettato la domanda non sul difetto di giurisdizione dell’A.G.O. bensì perché ha ritenuto che nel ricorso nulla “risulta circa 7 8 9 10 Cfr. Cass. Civ., sez. lav., 20 febbraio 2006 n. 3602. Cfr. Ordinanza Trib. Roma, 11 ottobre 2008, n. 101; Trib. Roma, 12 aprile 2007, n. 13406; Trib. Forlì, sez. lav., 14 settembre 2007, n. 149; Trib. Ancona, sez. lav., 4 luglio 2001, n. 147. Cfr. Cass. Civ., sez. lav., 8 febbraio 2010 n. 2728. Cfr. Cass. Civ., sez. lav., 19 aprile 2010 n. 9251. NOTE A SENTENZA 82 Una sentenza “Pilato”... quell’assoggettamento alle direttive impartite dal datore di lavoro per determinare le modalità, anche in tempo e di luogo, della prestazione in cui si concreta la subordinazione, secondo la tesi c.d. sussuntiva dominante nella giurisprudenza di legittimità”. Tale assunto appare del tutto inconferente con gli atti di causa, atteso che dalla lettura del ricorso, in estrema sintesi, emerge che il ricorrente ha dichiarato: • di essere stato sottoposto al potere direttivo, disciplinare ed organizzativo dell’A.P.D.C. nonché dei suoi superiori gerarchici; • di aver svolto la propria attività lavorativa presso il centro sportivo dell’A.P.D.C. secondo un orario prestabilito; • che era tenuto, in base alle direttive impartite dal direttore tecnico dell’A.P.D.C., a predisporre il programma di allenamento da eseguire durante tutta la stagione sportiva e, in particolare, a curare la preparazione teorica e tecnico-pratica degli allievi mediante l’utilizzo del materiale didattico messo a disposizione dall’A.P.D.C.; che era tenuto a prendere parte alle riunioni tecniche, svolte con cadenza mensile alla presenza del Presidente e dello staff dirigenziale dell’A.P.D.C., nelle quali il Presidente dell’A.P.D.C. constatava e contestava le modalità di allenamento attuate dagli allenatori appartenenti all’A.P.D.C. (ivi compreso il ricorrente). L’operato del ricorrente, inoltre, veniva contestato anche in presenza non solo degli atleti ma dei genitori degli stessi. Alla luce di tali precisazioni sembra chiaro che nel ricorso risultano alquanto evidenti gli indici tipici della subordinazione, tanto invocati dal giudicante. In altri termini, il giudice avrebbe dovuto concedere al ricorrente il diritto a “provare i fatti che ne costituiscono il proprio fondamento” (art. 2697 c.c.) alla luce delle questioni giuridiche evidenziate. Contrariamente a ciò, lo stesso, ha ritenuto di rigettare la domanda con un procedimento logico-giuridico del tutto immotivato e peraltro contrario al principio della disponibilità delle prove (art. 115 c.p.c.). È superfluo ricordare che tale principio, da un lato, riconosce alle parti il diritto alla prova (quando questa è l’unico strumento diretto a dimostrare gli elementi decisivi della controversia) che trova riscontro nelle garanzie del diritto di difesa (art. 24 Cost.) nell’ambito del giusto processo (art. 111 comma 1 e 2 Cost.), dall’altro fa obbligo al giudice di decidere iuxta allegata et probata. In tale prospettiva è plausibile ritenere che il mero rifiuto all’ammissione dei mezzi istruttori è da ritenersi illegittimo, tanto da tradursi in un vero e proprio vizio della sentenza11. 11 Cfr. Cass. Civ., sez. III, 21 aprile 2005 n. 8357. NOTE A SENTENZA 83 Una sentenza “Pilato”... La decisione quindi è da ritenersi insufficiente di motivazione, visto il procedimento logicogiuridico adottato anche alla luce della mancata ammissione dei mezzi istruttori che, nel caso di specie, avrebbero rappresentato elementi decisivi della controversia (gli indici della subordinazione)12. 6. Conclusioni La decisione del giudice del lavoro di Milano ha fallito in toto la possibilità di precisare principi inderogabili peraltro già sanciti dal legislatore. La sentenza, infatti, non chiarisce alcunché né in tema di procedimento logico-giuridico da tenere sull’arbitrato del lavoro applicato allo sport né sull’effettiva normativa da applicare in tema di dualismo tra norme di diritto comune e norme di carattere endoassociativo. A parere dello scrivente non resta che lasciare “ai posteri l’ardua sentenza”, posto che il giudice del lavoro si è “lavato le mani” a non voler istruire il giudizio. (*) Dottore, praticante Avvocato 12 Cfr. Cass. Civ., sez. lav., 29 settembre 2009 n. 20845. NOTE A SENTENZA 84 PARTE TERZA GIURISPRUDENZA SOMMARIO: IL REVIREMENT DELLA SUPREMA CORTE SULLA PATTUIZIONE DI UN COMPENSO E LA FORMA SCRITTA? - Cassazione Civile sez. II, del 27 gennaio 2010, n. 1713 85 pag.86 Il revirement della... Cassazione civile sez. III n.1713 del 27 gennaio 2010. IL REVIREMENT DELLA SUPREMA CORTE SULLA PATTUIZIONE DI COMPENSO E LA FORMA SCRITTA? LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MORELLI Mario Rosario Dott. UCCELLA Fulvio - Presidente - Consigliere - Dott. CALABRESE Donato - Consigliere - Dott. CHIARINI Maria Margherita - Consigliere - Dott. AMENDOLA Adelaide - rel. Consigliere - ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso 19737/2005 proposto da: C.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso da BELTRAME Alessandro con studio in 33044 MANZANO, VIA ROMA 13 giusta delega a margine del ricorso; - ricorrente contro F.R.; - intimato avverso la sentenza n. 33/2005 della corte D'APPELLO di TRIESTE, Sezione Prima Civile, emessa il 3/12/2004, depositata il 21/01/2005, R.G.N. 124/C/02; 86 GIURISPRUDENZA Il revirement della... udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 10/12/2009 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per l'accoglimento del (1 motivo) del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO C.R. e l'Associazione Calcio Pro (OMISSIS) convenivano in giudizio F.R. chiedendo la restituzione della somma di L. 30.000.000 dal convenuto indebitamente acquisita. Esponevano che il C. era presidente dell'Associazione che, in data (OMISSIS), aveva provveduto a tesserare in qualità di allenatore il F.. Questi, al momento del tesseramento, aveva preteso la consegna di quattro assegni posdatati dell'ammontare complessivo di L. quaranta milioni, intestati allo stesso traente e girati in bianco. Il F. aveva poi risolto il rapporto con l'Associazione a far tempo dal (OMISSIS), e da allora non aveva fornito alcuna prestazione. Assumevano gli attori che, quand'anche la dazione degli assegni fosse stata effettuata in esecuzione di un obbligo contrattualmente assunto dall'Associazione Pro (OMISSIS), si sarebbe comunque trattato di un pagamento indebito: e invero la pattuizione era radicalmente nulla, ex art. 1418 cod. civ., comma 2, per mancanza della forma scritta richiesta dall'art. 44 del Regolamento della Lega Nazionale Dilettanti, nonchè, ex art. 1322 cod. civ., in quanto diretta a realizzare interessi non meritevoli di tutela, secondo l'ordinamento giuridico. Essendo nullo il rapporto sottostante alla dazione degli assegni, il C. aveva diritto alla restituzione dell'importo dei tre titoli effettivamente negoziati dal F.. Resisteva il convenuto, che contestava l'avversa pretesa. Con sentenza del 17 maggio 2001 il Tribunale di Gorizia rigettava la domanda, compensando integralmente tra le parti le spese di causa. Proposto gravame in via principale dal C. e dall'Associazione Calcio Pro (OMISSIS) e incidentale dal F., la Corte d'appello di Trieste, con sentenza del 21 gennaio 2005, li respingeva entrambi. Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione C. R., articolando tre motivi e notificando l'atto a F. R. il quale non ha svolto alcuna attività difensiva. Il ricorrente ha altresì depositato memoria. 87 GIURISPRUDENZA Il revirement della... MOTIVI DELLA DECISIONE 1.1 Col primo motivo l'impugnante denuncia violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1322 cod. civ., ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3, per avere il giudice di merito rigettato la domanda, benchè l'accordo verbale stipulato tra il Presidente pro tempore dell'Associazione e il F., avente ad oggetto la corresponsione del compenso di L. 40.000.000 dovesse ritenersi nullo. E invero, a norma dell'art. 44 del Regolamento della Lega Nazionale Dilettanti, gli allenatori svolgono la propria attività a titolo gratuito e possono avere diritto solo a un rimborso spese purchè pattuito per iscritto. Erroneamente il giudice di merito aveva escluso che la violazione di norme regolamentari interne dell'ordinamento F.I.G.C. potesse comportare la nullità del patto, così facendo malgoverno di principi reiteratamente affermati dalla Corte Regolatrice. 1.2 La doglianza è infondata. L'assunto che qualsivoglia violazione delle regole dell'ordinamento sportivo comporti tout court la nullità dei contratti conclusi tra società o associazioni e sportivi non ha alcuna base normativa. Il collegio non ignora che questa Corte, in un non remoto arresto, ha affermato che le violazioni di norme dell'ordinamento sportivo possono incidere sulla validità di un contratto concluso tra soggetti assoggettati alle regole di tale ordinamento, determinandone la nullità sotto il profilo della inidoneità del contratto stesso a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico, ma tanto con riguardo a un caso di accertata frode alle regole dell'ordinamento sportivo, realizzata attraverso il simulato trasferimento di un calciatore, con contestuale violazione del disposto della L. 23 marzo 1981, n. 91, art. 4, a tenor del quale devono stipularsi per iscritto, a pena di nullità, i contratti di costituzione di rapporti a titolo oneroso tra sportivo professionista e società destinataria delle relative prestazioni (confr. Cass. civ., 3, 23 febbraio 2004, n. 3545). Sennonchè, riguardando la fattispecie dedotta in giudizio rapporti di carattere dilettantistico, le norme con le quali è necessario confrontarsi sono gli artt. 4 e 44 del Regolamento della Lega Nazionale Dilettanti. Ne deriva che correttamente il giudice di merito ha escluso sia la nullità per mancata osservanza della forma vincolata - non potendo la violazione di una disposizione regolamentare trovare sanzione nell'ordinamento statale, governato dal principio generale della libertà delle forme 88 GIURISPRUDENZA Il revirement della... - sia la nullità per la pattuizione di un compenso, non violando l'onerosità della prestazione alcuna norma imperativa. 2.1 Col secondo mezzo l'impugnante lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2033 e 2697 cod. civ., ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3, per non avere il giudice di merito considerato che un mese dopo l'ingaggio (e l'incameramento degli assegni). Il F. aveva abbandonato la squadra e non aveva reso più alcuna prestazione in favore della Associazione, così tenendo un comportamento che o configurava una risoluzione consensuale del contratto, ovvero un inadempimento idoneo a determinare il venir meno del diritto al compenso dell'allenatore. Deduce segnatamente l'esponente l'erroneità del giudizio espresso dal decidente, secondo cui, vertendosi in tema di ripetizione dell'indebito, incombeva all'attore l'onere di provare l'inesistenza originaria o sopravvenuta del vincolo giuridico idoneo a giustificare il pagamento, laddove l'istruttoria espletata non aveva consentito di appurare se l'interruzione del rapporto fosse imputabile alla società o all'allenatore. Il giudice di merito aveva così fatto malgoverno degli artt. 1218, 1453, 1460 e 2697 cod. civ., nonchè della regola generale, da essi estrapolabile, per cui, a fronte del mancato adempimento della prestazione da parte dell'obbligato, spetta al convenuto provare o che inadempimento non vi è stato, ovvero che esso è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. 2.2 Le doglianze proposte sono infondate, ancorchè la motivazione della sentenza impugnata debba, sotto certi profili, essere integrata e corretta, ex art. 384 cod. proc. civ., u.c.. E invero, mentre in ordine all'azione di ripetizione dell'indebito grava certamente su chi la invoca l'onere di dimostrare non solo l'esecuzione del pagamento, ma anche la mancanza di una causa che lo giustifichi, e ciò quand'anche si tratti di dimostrare fatti negativi, (confr. Cass. civ., sez. lav. 9 giugno 2008, n. 15162; Cass. civ., sez. lav. 17 luglio 2008, n. 19762), rimasta inadempiuta una obbligazione, il creditore il quale agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, ovvero dall'impossibilità dello stesso derivante da causa a lui non imputabile (confr. Cass. civ., sez. unite, 30 ottobre 2001, n. 13533). 89 GIURISPRUDENZA Il revirement della... 2.3 In realtà il caso di specie appare irrimediabilmente minato dalla prospettazione, in maniera confusa e contraddittoria, anche in sede di ricorso, di una duplice causa petendi della domanda di restituzione, ora assumendosi che il pagamento di trenta milioni di lire fu indebito, ora invocandosi le norme in tema di adempimento (e inadempimento) delle obbligazioni. Sotto il primo profilo, e quindi con riguardo all'evocazione della disciplina dell'indebito (art. 2033 cod. civ.), non è meritevole di censura l'assunto della Corte territoriale secondo cui l'attore non aveva dimostrato nè l'inesistenza del vincolo giuridico idoneo a giustificarlo, nè il successivo venir meno della causa debendi. E' sufficiente all'uopo rilevare che la stessa deduzione del tesseramento del F. in qualità di allenatore, smentisce l'assunto che gli assegni, dallo stesso successivamente negoziati, furono a lui rilasciati sine causa. n Per altro verso, la correttezza del rilievo che il rischio della mancata prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa grava sul debitore convenuto, non giova all'impugnante per la dirimente considerazione che il richiamo all'istituto dell'inadempimento, e ai relativi oneri probatori, avrebbe dovuto essere accompagnato da una ben più dettagliata esplicitazione dei termini dell'accordo, a partire dalla sua durata e dallo sforzo adempitivo richiesto, tanto più che il pagamento di una prestazione non ancora adempiuta è quanto meno inusuale, oltre che in contrasto con criteri di comune buon senso. A fronte di tale carenza espositiva e probatoria - la quale, insieme alla prospettazione di due diverse causae petendi - è stata probabilmente all'origine dell'insufficiente approccio del giudice di merito, non può sostenersi che il creditore abbia adeguatamente dimostrato i fatti costitutivi del suo diritto. 3.1 Col terzo motivo il ricorrente denuncia omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte territoriale affermato che il C. aveva consegnato gli assegni per cui è causa quale Presidente dell'Associazione Pro (OMISSIS), respingendo la tesi che, quand'anche si fosse dovuto ritenere valido ed efficace il rapporto tra l'Associazione e il F., il pagamento effettuato dal C. uti singulus era indebito, perchè privo di causa. Il giudice di merito avrebbe così fatto malgoverno del materiale probatorio acquisito, univocamente dimostrativo del fatto che il pagamento (atto diverso dalla stipula dell'accordo), era stato effettuato dal C. in proprio. 3.2 Le critiche sono destituite di fondamento. 90 GIURISPRUDENZA Il revirement della... Il giudice di merito non ha affatto ignorato che gli assegni furono tratti sul conto personale del C.. Ha tuttavia ritenuto che la circostanza avesse rilevanza solo nell'ambito dei rapporti interni tra il C. e l'Associazione, nei cui confronti il primo bene potrà far valere di avere, in sostanza, anticipato un esborso di sua competenza. A ben vedere, escludendo la ripetizione, il giudice di merito ha fatto corretta applicazione dei principi in tema di tutela dell'affidamento e di apparenza del diritto, avendo condivisibilmente ritenuto che la dazione degli assegni fosse avvenuta in un contesto tale da ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il pagamento venisse effettuato dal C. quale presidente e rappresentante della Associazione Pro (OMISSIS) e da tanto argomentandone l'irripetibilità (Cass. civ., sez. 3^, 12 gennaio 2006, n. 408). Il ricorso deve, in definitiva, essere rigettato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese. Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009. Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2010 91 GIURISPRUDENZA PARTE QUARTA SAGGI SOMMARIO: MICHELA CHIARINI, Donne per uno sport migliore: quando uno sport discrimina MARIO TOCCI, I soggetti fisici dell'ordinamento sportivo sanmarinese 92 pag.93 pag.103 Donne per uno sport migliore ... DONNE PER UNO SPORT MIGLIORE: QUANDO UNO SPORT DISCRIMINA di Michela Chiarini (*) Piccoli passi nella storia … lo sport praticato dalle donne. La storia della partecipazione delle donne alle attività sportive costituisce un capitolo a sé nella storia dello sport. I primissimi passi si ebbero nell’antico Egitto più di 2.000 anni prima di Cristo. Tuttavia, è nell’Antica Grecia che le donne iniziarono ad avere un ruolo, anche se defilato e decisamente minoritario, rispetto ai colleghi maschi. Atalanta, figlia di Iasio, re di Arcadia, si dedicò alla caccia nei boschi e riportò premi nella corsa fino alla vittoria nella lotta con Peleo nel 1.000 a.c.. Nel 440 a.c. Callipatea partecipò ai Giochi Olimpici “di nascosto”, ed in quel contesto si praticarono i primi “test di femminilità” per evitare che delle donne potessero partecipare ai Giochi. Nel 396 a.c. la principessa Kyniska di Sparta nella quadriga vinse una corsa di carri e divenne la prima campionessa. Solo nel 1900 le donne vennero ammesse alle gare dei Giochi Olimpici moderni, ma unicamente nelle gare di golf e tennis e solamente nel 1921 si tennero a Montecarlo i primi giochi mondiali femminili. E’ di tutta evidenza che i tentativi delle donne di conquistare un proprio spazio ed un maggior coinvolgimento nello sport furono fin dalle origini una dura battaglia contro il predominio maschile, una battaglia che continua anche ai giorni nostri in tutte le discipline sportive. Ad oggi le problematiche da affrontare sono molteplici, diverse le peculiarità delle stesse, soprattutto in relazione allo sport praticato. Il calcio femminile, in particolare, rispetto a quello maschile, non è da meno. Solo in tempi relativamente recenti e precisamente nel 1930 possiamo rinvenire le prime notizie relative al calcio femminile, a Milano in via Stoppani, 12 viene fondato il Gruppo 93 SAGGI Donne per uno sport migliore ... Femminile Calcistico. Le calciatrici italiane giocano indossando gonne. Successivamente, nel 1968 a Viareggio, nasce la Federazione Italiana Calcio Femminile. Nel 1970 si realizza una divisione all’interno della FICF e nasce la Federazione Femminile Italiana Giuoco Calcio. Si disputano pertanto 2 campionati italiani: uno della FICF e l’altro della FFIGC. La FFIGC diventa FIGCF nel 1976. Solo nel 1980 la FIGCF entra a far parte della FIGC come “affiliata” per iniziare un quadriennio sperimentale e nasce l’Associazione Italiana Giocatrici di Calcio. Il CONI nel 1983 riconosce la FIGCF, ma ciò non viene attuato pienamente dalla FIGC. Finalmente la situazione cambia nel 1986, anno in cui la FIGCF confluisce definitivamente nella FIGC e viene inquadrata nella LND e cioè nella Lega Nazionale Dilettanti come Comitato Nazionale Calcio Femminile. Quest’ultimo diviene Divisione Calcio Femminile, sempre all’interno della LND, 3 anni dopo. Questa tribolata e lunga evoluzione trova il suo evento culmine nel 2000 quando il nuovo statuto FIGC (art. 7 punto 2) riconosce esplicitamente il calcio femminile: “ … la divisione Calcio a 5 e la Divisione Calcio Femminile, formate dalle Società e dalle Associazioni disputanti i campionati corrispondenti a livello Nazionale, sono inquadrate, con autonomia amministrativa e gestionale ed organi direttivi di natura elettiva, nella Lega Nazionale Dilettanti, salva diversa determinazione del Consiglio Federale adottata a maggioranza qualificata ...”. Un’altra novità rilevante si ravvisa nel successivo art. 8 ove si specifica che i calciatori facciano ingresso nel Consiglio. E visto che uno dei requisiti delle associazioni dei calciatori è la rappresentanza equa di calciatori e calciatrici, vi è un riconoscimento espresso del calcio femminile. Infine nell’articolo 17 si richiede esplicitamente che, per quanto concerne l’Assemblea Federale, la rappresentanza degli atleti debba essere composta anche dalle atlete. Si creano le basi (almeno in linea teorica) per dare al calcio femminile quella maggiore autonomia che gli è dovuta all’interno della Federazione stessa. Ad oggi, però, il paradosso sconvolgente è che nessuna delle atlete italiane, a prescindere dallo sport di riferimento, è considerata sportiva professionista, anche se l’unica attività praticata è quella sportiva, solo 6 sport sono considerati come attività professionistica e sono tutti declinati al maschile. Tale assunto comporta una analisi complessa sotto diversi profili. Possiamo osservare in primis che la legge n. 91 del 1981 recante : “Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti” costituisce il primo peculiare e vero intervento legislativo in materia sportiva e costituisce la base di qualsivoglia analisi. 94 SAGGI Donne per uno sport migliore ... L’art. 2 della citata legge definisce, infatti, il professionismo sportivo statuendo come: “ ai fini dell’applicazione della presente legge, sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica”. La stessa prosegue analizzando e definendo vari ed importanti aspetti del rapporto tra società e sportivi professionisti tra cui: la prestazione sportiva dell’atleta stesso (art. 3); la disciplina del lavoro subordinato sportivo (art. 4); la tutela sanitaria (art. 7); l’assicurazione contro i rischi (art. 8); il trattamento pensionistico (art. 9) ed il relativo trattamento tributario (art. 15). Vengono in tal senso statuiti alcuni capisaldi dell’attuale distinzione tra professionismo e dilettantismo che, tuttavia, devono essere letti necessariamente comparandoli con altre disposizioni in materia; queste ultime sono contenute tra le altre: sia nelle statuizioni dell’Accordo collettivo stipulato tra la Federazione Italiana Giuoco Calcio, La Lega Nazionale Professionisti e l’Associazione Italiana Calciatori, ex art.4 della legge 23 marzo 1981 n.91 e successive modificazioni, sia in alcune norme dello Statuto del Comitato Olimpico Nazionale Italiano, sia nei Principi Fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline sportive Associate (la cui ultima edizione è stata approvata dal Consiglio Nazionale del CONI con deliberazione n. 1410 del 19 maggio 2010). All’uopo si osservano, in particolare, per la loro specifica rilevanza, due articoli inseriti all’interno dello Statuto CONI: Art.6, lett. d) Il Consiglio Nazionale: “stabilisce, in armonia con i principi dell’ordinamento sportivo internazionale e nell’ambito di ciascuna federazione sportiva nazionale e delle Discipline Sportive Associate, i criteri per la distinzione dell’attività sportiva dilettantistica o comunque non professionistica da quella professionistica”; Art. 22, comma 1: “Gli Statuti delle Federazioni sportive nazionali devono rispettare i principi fondamentali emanati dal Consiglio Nazionale, e devono in particolare ispirarsi al costante equilibrio di diritti e doveri professionistici e non professionistici, nonché tra le diverse categorie nell’ambito del medesimo settore”; Parimenti, nei “Principi Fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate” rinveniamo : 95 SAGGI Donne per uno sport migliore ... Art. 13 “Principio di distinzione tra attività professionistiche e attività non professionistiche”: “In considerazione delle specifiche esigenze delle singole discipline afferenti alle Federazioni Sportive Nazionali e alle Discipline Sportive Associate, anche connesse alle normative delle Federazioni internazionali, i criteri per la distinzione tra attività professionistica e non professionistica sono rimessi alla autonomia statutaria nel rispetto dei principi posti dalla legge 23/3/1981 n. 91 e successive modificazioni” (comma 2); “L’istituzione del settore professionistico da parte di una Federazione Sportiva Nazionale o Disciplina Sportiva Associata è possibile, mediante specifica previsione statutaria, in presenza di una notevole rilevanza economica del fenomeno e a condizione che l’attività in questione sia ammessa dalla rispettiva Federazione Nazionale” (comma 3). Orbene, queste osservazioni costituiscono solamente brevi spunti di riflessione per rilevare come vi siano molteplici interrogativi irrisolti in materia i quali rappresentano la base di tutte le problematiche nate successivamente. Inevitabile che anche il ruolo della donna nello sport e nel calcio in particolare ne fosse coinvolto. Infatti, considerato il vuoto normativo e legislativo, attesa la mancata chiarezza per quanto concerne una qualificazione giuridica “corretta e reale” tra sportivi professionisti e dilettanti (“dilettanti di diritto” ma “professionisti di fatto”?) e conseguentemente visti i minori diritti e la minor tutela di questi ultimi come è possibile non ravvisare discriminazioni per le donne all’interno dell’universo sportivo? Dottrina e giurisprudenza non hanno un orientamento prevalente e non forniscono mezzi idonei e certi, quantomeno con riferimento ai principi di base, per dirimere, una volta per tutte le controversie, con criteri di diritto uguali per le varie discipline sportive; ogni situazione fa storia a sé e la conseguenza immediata di ciò non può essere che una discriminazione generalizzata ed indefinita. La donna, di conseguenza, ne paga il prezzo più alto. Di fatto ad essa è impedito l’accesso al mondo professionistico. Le atlete siano esse podiste, cestiste, calciatrici, sciatrici, ginnaste o nuotatrici sono considerate sportive dilettanti (anche se campionesse olimpioniche) e non hanno accesso alla già citata legge n. 91 del 1981 e alla tutela statuita “in generale” per il mondo dei professionisti. Di fatto la retribuzione prevista è “notevolmente” inferiore a quella dei colleghi sia negli sport che al maschile possono essere considerati sport di massa sia in quelli “minori”; infatti in Italia il compenso delle calciatrici, anche quelle al top, non è molto distante da quello di un impiegato, negli 96 SAGGI Donne per uno sport migliore ... altri paesi Europei, invece, in sostanza, si può equiparare a quello di un calciatore di medio valore. Di fatto i fondi stanziati per sostenere “il calcio in rosa”, “il calcio con i tacchi a spillo” come affermato da taluni, e tutto lo sport al femminile sono insufficienti e spesso attesi per lungo tempo dagli addetti ai lavori. Ne è un esempio lampante il fatto per cui nel 2005 furono stanziati € 1.770.000 a sostegno delle realtà calcistiche femminili e ad oggi parte della somma erogata, una parte rilevante, non è pervenuta alle società. La situazione economica di conseguenza è divenuta, in generale, sempre più preoccupante. Forse se, anche il calcio femminile costituisse una Lega propria potrebbe concorrere alla ripartizione dei fondi del CONI o delle scommesse con pari dignità rispetto alle altre Leghe. In altri paesi europei, invece, quali ad esempio l’Inghilterra, si stanno facendo notevoli sforzi per ottenere maggiori investimenti economici nel settore al fine di sostenere e promuovere il calcio femminile, fin dalla più tenera età, cercando di coinvolgere sia i bambini che le bambine in età scolare, sia le strutture scolastiche, sia gli organi competenti. La stessa cosa avviene in Svezia ove le ragazze che praticano il calcio sono moltissime rispetto agli altri paesi. Se si considera in fenomeno negli USA la situazione poi si capovolge radicalmente rispetto all’Italia. Le imprese sportive delle atlete e delle calciatrici in particolare attirano sempre più consensi, una maggiore attenzione mediatica e quindi una maggiore visibilità, maggiori investimenti e di conseguenza un maggior risalto del calcio femminile. Ciò comporta conseguenze rilevanti anche per quanto concerne la regolamentazione del settore da un punto di vista giuridico e di tutela. Nella finale disputata nel 1999 al Rose Bowl di Pasadena tra Cina ed America vi erano 90.000 spettatori presenti ed un miliardo davanti ai teleschermi. Questi sono numeri che dovrebbero farci riflettere. In Italia, di fatto, l’interesse dei mass media per lo sport al femminile è molto esiguo per non dire quasi totalmente assente; infatti, anche gli eventi più rilevanti a livello Europeo o Mondiale non vengono trasmessi e la carta stampata non dedica lo stesso spazio alle notizie relative al calcio femminile come a quello maschile. Le donne hanno diritto solo ad uno spazio marginale e di “nicchia”. Quale è la motivazione di ciò? Nell’anno dedicato alle pari opportunità forse questo problema di vera e propria discriminazione dovrebbe essere affrontato con coscienza e risolto. 97 SAGGI Donne per uno sport migliore ... Parlare a giovani calciatrici di concetti quali: smarcamento, finte o dribbling, passaggi, schemi o più in generale di tattica di gioco , di contrasti, etc… non è impossibile. La donna non è inferiore e non deve più subire tali pregiudizi. Non devono esistere sport “più o meno femminili”, ma solo sport. Ciò sia per la pratica vera e propria sia per gli addetti ai lavori. Si auspica al riguardo che l’attività svolta nell’ambito del settore giovanile e scolastico, in collaborazione con le scuole o le istituzioni, possa aiutare a superare queste problematiche e a cambiare la coscienza sociale sul tema eliminando una volta per tutte, col tempo, i pregiudizi e le disparità. Solo in un momento successivo sarà possibile pensare ai passaggi ulteriori, anche a livello legislativo. Non si dimentichi poi l’aspetto della tutela assicurativa contro i rischi e quella sanitaria assolutamente non paragonabili a quelle dei colleghi maschi. Per quanto concerne il primo aspetto l’art. 8 della già citata legge n. 91 del 1981 statuisce come“Le società sportive devono stipulare una polizza assicurativa individuale a favore degli sportivi professionisti contro il rischio di morte e contro gli infortuni, che possono pregiudicare il proseguimento dell’attività sportiva professionistica, nei limiti assicurativi stabiliti, in relazione all’età ed al contenuto patrimoniale del contratto, dalle federazioni sportive nazionali, d’intesa con i rappresentanti delle categorie interessate”. Tale previsione ricomprende anche eventi estranei all’esercizio delle attività sportive dai quali, tuttavia, possa derivare una invalidità sportiva permanente. Le Federazioni sportive nazionali, quindi, debbono verificare attraverso controlli specifici che tale obbligo venga ottemperato. Sono, tuttavia, esonerate le società che assicurano i loro sportivi all’INAIL. L’Istituto di Nazionale per le Assicurazioni e gli Infortuni sul Lavoro in merito ha precisato che: La tutela riguarda non solo l’evento agonistico settimanale, ma anche le sedute di allenamento e preparazione e tutte le attività cui l’atleta e il calciatore in particolare sia tenuto per contratto; Le retribuzioni stabilite per la quantificazione del premio valgono anche ai fini della liquidazione giornaliera di inabilità temporanea assoluta; La retribuzione da considerare per il calcolo del premio di assicurazione e il tasso applicabile sono stati individuati con Decreto Ministeriale (D.M. 79/2002); 98 SAGGI Donne per uno sport migliore ... L’assicurazione INAIL deve essere rispettata anche dagli sportivi professionisti dipendenti da soggetti obbligati all’assicurazione ; tale obbligo sussiste anche in presenza di previsioni, siano esse di legge o contrattuali, ed nel caso di polizze private. Appare chiaro come tutti i criteri sopra citati se contestualizzati nel mondo del calcio femminile subiscano variazioni in relazione proprio al settore stesso cui si riferiscono ed è di ovvia deduzione come i valori dei premi siano infinitamente inferiori; raramente le atlete stipulano polizze private, proprio a causa dei relativi costi, comparati con i guadagni e se lo fanno non riescono ad ottenere i relativi rimborsi, così come accade per tutte le spese sostenute dalle atlete stesse. Per le società è molto oneroso sostenere un obbligo di tal genere sommato a tutte le altre spese di gestione della società, a causa della mancanza di fondi adeguati sia privati (sponsor) che pubblici. Un altro aspetto rilevante è quello della tutela sanitaria di cui all’art. 7 della Legge n. 91 del 1981. Tale norma prevede norme severe, nel merito, per salvaguardare la salute degli sportivi: Istituzione di una scheda sanitaria relativa all’atleta; Aggiornamento almeno semestrale della stessa, con indicazione di eventuali accertamenti sanitari richiesti ed il loro responso, con ripetizione di quelli richiesti dal Decreto del Ministro della Salute; e nel caso di esito negativo degli accertamenti comunicazione all’interessato e al competente ufficio regionale in termini brevi, con possibilità per l’atleta di proporre ricorso entro 30 giorni alla commissione regionale competente; Deposito di una copia della scheda presso la Federazione Nazionale di appartenenza; L’istituzione e l’aggiornamento della scheda sanitaria costituiscono condizione per l’autorizzazione da parte delle singole Federazioni allo svolgimento dell’attività degli sportivi professionisti. Tuttavia, nel concreto, la situazione è impari tra il mondo del calcio maschile e quello femminile; atteso che vi è disparità di mezzi, anche e forse soprattutto, di carattere economico, e di strutture mediche proprie di ciascun settore. Per tale ragione tra gli obiettivi che l’AIC (l’Associazione Italiana Calciatori/ calciatrici) si propone di raggiungere vi sono tra gli altri: In caso di infortunio delle calciatrici nazionali ripartizione dell’invalidità al 50% tra atleta e società di appartenenza; Possibilità per le calciatrici di denunciare direttamente l’infortunio subito e in caso di liquidazione la possibilità per le stesse di farsi intestare il relativo assegno; 99 SAGGI Donne per uno sport migliore ... Non da meno è apparso necessario cercare di abbassare l’età minima per ottenere lo svincolo dalle società di appartenenza che ad oggi è fissato a 25 anni, anche se in Europa il limite minimo è 18 anni. L’ultimo aspetto rilevante è rappresentato dal valore discriminante della L. n. 91/1981 per quanto concerne le atlete madri e di conseguenza per ciò che ci riguarda le calciatrici. Queste ultime infatti essendo considerate dilettanti, in caso di gravidanza, possono subire la risoluzione del contratto di prestazione sportiva per inadempimento dell’atleta. Perciò essere madre non appare essere un diritto, ma un privilegio. In via generale possiamo riportarci al combinato disposto degli artt. 31 e 37 della nostra Carta Costituzionale, i quali tutelano la maternità e le lavoratrici madri e all’art. 2110 c.c. il quale considera l’ipotesi dell’infortunio, della malattia, ma altresì della gravidanza e del puerperio statuendo che: “In caso di infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, se la legge o le norme corporative non stabiliscono forme equivalenti di previdenza o assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un’indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità ...”. Orbene, “di tali problematiche, sia in tema delle atlete madri che della reale applicazione del divieto di discriminazione e del principio di parità, si è interessato il Ministero per le pari opportunità, il quale assieme all’associazione Nazionale Atlete (ASSIST) ha sollecitato il mondo dello sport, in particolare il CONI, ad affrontare la questione in maniera organica, auspicando per le sportive professioniste tutele che da un lato eliminino eventuali discriminazioni e dall’altro siano mirate allo specifico femminile ….. . La Giunta Nazionale del CONI, nella riunione nazionale del 29 novembre 2006, ha approfondito la predetta tematica, convenendo, in primo luogo, sulla necessità di un adeguamento dell’attuale legislazione statuale, in particolare della L. n. 91/1981, ormai non più rispondente, sotto diversi aspetti, alla realtà dello sport italiano. Allo stesso tempo, la Giunta ha ritenuto opportuno rivolgere un appello a tutte le Federazioni sportive nazionali e delle discipline associate, nonché agli enti di promozione sportiva, affinché nelle rispettive regolamentazioni venga tutelata, dal punto di vista sportivo, la maternità delle atlete dilettanti, sia in relazione al mantenimento del rapporto con la società sportiva di appartenenza sia sotto l’aspetto del merito sportivo….”.1 100 SAGGI Donne per uno sport migliore ... Tale invito è stato recepito solo tramite la disciplina contenuta nei “Principi fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate”, ove all’art. 14 è statuito: “ Gli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate devono garantire la tutela della posizione sportiva delle atlete madri in attività per tutto il periodo della maternità fino al loro rientro all’attività agonistica” (comma 1). Le atlete in maternità che esercitano, anche in modo non esclusivo, attività sportiva dilettantistica anche a fronte di rimborsi o indennità corrisposti ai sensi della vigente normativa, hanno diritto al mantenimento del tesseramento, nonché alla salvaguardia del merito sportivo acquisito, con la conservazione del punteggio maturato nelle classifiche federali, compatibilmente con le relative disposizioni di carattere internazionale e con la specificità della disciplina sportiva praticata” (comma 2). Tale norma, purtroppo, è operativa solo nell’ambito sportivo, ed è pertanto insufficiente a tutelare le atlete. La mancanza di una regolamentazione legislativa ad hoc comporta ad oggi l’applicazione della Legge n. 53/2000: “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi e della città”. Normativa che ha sostituito la Legge n. 1204/1971 e il relativo regolamento di attuazione (DPR 25/11/1976) costituenti il fondamento giuridico a tutela delle lavoratrici madri. Tale vuoto normativo di specie, tuttavia, appare con tutta evidenza preoccupante, proprio perché in mancanza di regole certe la giurisprudenza non fornisce un indirizzo preciso. La tutela apportata, pertanto, è insufficiente e non aderente in tutti i suoi aspetti peculiari al tipo di lavoro svolto. Tuttavia, come ha affermato il Presidente della Commissione UEFA competente per il calcio femminile vi è grande soddisfazione per la crescita di quest’ultimo a livello Europeo. L’avanzata del calcio femminile, pur con le molteplici difficoltà che sta affrontando sia a livello politico, sia a livello pratico e ovviamente anche a livello legislativo non si è fermata. Il Presidente della Commissione ha aggiunto: “la forza fisica non è la stessa (del calcio maschile) ma il livello tecnico attuale è equivalente a quello degli uomini. Dobbiamo continuare a lavorare per far crescere questo sport e sono certo che fra un quinquennio il calcio femminile godrà di grande rispetto”. Lo stesso ha poi ribadito come: “La promozione è un tema che sta molto a cuore alla UEFA. Uno strumento per farlo sono i nostri 101 SAGGI Donne per uno sport migliore ... tornei, ma esortiamo le Federazioni Nazionali a lavorare duro nei loro paesi affinché stabiliscano rapporti con i ministeri dell’istruzione e con i mass- media”2. La Commissione ha poi ricordato come tra le sue responsabilità vi é non solo quella di monitorare concretamente la preparazione e lo svolgimento delle competizioni ufficiali, ma anche quella di istruire i tecnici e le atlete al fine di realizzare una competenza tecnica sempre maggiore. E come si stiano predisponendo nuovi strumenti per coinvolgere sempre di più i vari club. In sostanza, il senso di unione , di appartenenza, la voglia di collaborare e di combattere, le idee e la tenacia hanno rappresentato la base per costruire i diritti e le garanzie conquistati fino ad oggi; ma rappresentano ancora il punto di partenza per proseguire in questo cammino. Un cammino arduo e complesso ma non impossibile. Le battaglie ancora da combattere sono molteplici in un duplice senso: difendere il patrimonio raggiunto e conquistare altri diritti e garanzie che, pur fondamentali, non sono ancora stati riconosciuti, né a livello legislativo, né a livello regolamentare, nonostante i principi contenuti nel Trattato di Lisbona e nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, giuridicamente vincolanti non solo per tutti gli stati membri, ma anche per gli ordinamenti sportivi. Appare chiaro pertanto come sia necessario continuare in questa direzione dando sempre maggior sostegno alle donne che intraprendono la carriera sportiva. (*) Avvocato del foro di Brescia 102 SAGGI I soggetti fisici ... I SOGGETTI FISICI DELL'ORDINAMENTO SPORTIVO SAMMARINESE di Mario Tocci (*) Sommario: 1. Elencazione 2. Gli atleti 3. I dirigenti 3.1 I dirigenti di società sportiva 3.2 I dirigenti di federazione sportiva nazionale 4. I tecnici 5. I collaboratori ausiliari 6. Gli ufficiali di gara 7. I dipendenti del Comitato Olimpico Nazionale 7.1 Gli impiegati 7.1.1 Il coordinatore dei servizi 7.1.2 Il collaboratore tecnico 7.1.3 Il collaboratore amministrativo 7.1.4 L’operatore amministrativo 7.1.5 L’operatore sportivo 7.1.6 Il segretario 7 .1.7 Gli istruttori tecnici sportivi 7.1.8 L’assistente 7.1.9 Gli addetti di segreteria 7.2 I salariati 7.3 I convenzionati 7.4 I distaccati 103 SAGGI I soggetti fisici ... 1. Elencazione Sono soggetti fisici dell’ordinamento sportivo sammarinese, ai sensi del disposto della lettera f) del primo comma dell’articolo 31 della legge 13 marzo 1997 n. 32: gli atleti; i dirigenti; i tecnici; i collaboratori ausiliari. Tali soggetti, quando esplicanti attività in rappresentative nazionali, fruiscono – ex articolo 69 della legge 13 marzo 1997 n. 32 – di congedi retribuiti a carico del Comitato Olimpico Nazionale (commi terzo e quarto), pari a: cinque giorni per anno solare ai fini della partecipazione a gare fuori territorio ovvero riunioni e competizioni di carattere internazionale (comma primo); quindici giorni per anno solare ai fini della partecipazione ai Giochi Olimpici (comma secondo); A tali soggetti devono aggiungersi: gli ufficiali di gara (ex articolo 54 della legge 13 marzo 1997 n. 32); i dipendenti – impiegati, salariati, convenzionati e distaccati – del Comitato Olimpico Nazionale (ex articoli 62, 63, 66, e 67 della legge 13 marzo 1997 n. 32). 2. Gli atleti Per atleta si intende il soggetto che eserciti attività sportiva. Ciascun atleta è imprescindibilmente titolare di questo status ove inquadrato presso, ossia inserito nell’ambito dell’organigramma delle, società affiliate ad una federazione sportiva nazionale (ex articoli 32, comma secondo, e 53, comma terzo, della legge 13 marzo 1997 n. 32). Risulta infatti vietata la diretta iscrizione degli atleti ad una federazione sportiva nazionale (ex articolo 32, comma secondo, della legge 13 marzo 1997 n. 32). L’adesione di un atleta all’ordinamento sportivo si perfeziona all’atto dell’iscrizione dell’inquadramento dello stesso presso una società affiliata ad una federazione sportiva nazionale. La prima distinzione cui si fa luogo con riferimento agli atleti è operata tra atleti professionisti ed atleti non professionisti. 104 SAGGI I soggetti fisici ... Sono atleti professionisti quelli che svolgano attività sportiva a titolo oneroso in modo prevalente (ex articolo 48, comma secondo, della legge 13 marzo 1997 n. 32). Il soggetto che eserciti attività sportiva a titolo gratuito ovvero in modo non prevalente è dunque considerato atleta non professionista. La professionalità dello status dell’atleta discende pertanto dalla sussistenza dell’onerosità e della prevalenza della pratica dell’attività sportiva da parte dello stesso. Alcuni atleti sono altresì definiti di interesse nazionale (ex articolo 47, comma primo, della legge 13 marzo 1997 n. 32), senza tuttavia ulteriori specificazioni. Cosicché, in via eminentemente dottrinaria, potrebbero essere definiti di interesse nazionale gli atleti particolarmente meritevoli da tenere in considerazione ai fini dell’inserimento nelle squadre rappresentative nazionali delle rispettive discipline. Nell’Europa comunista dell’immediato secondo dopoguerra venivano definiti atleti di stato quelli inquadrati e stipendiati all'interno di amministrazioni statali al solo scopo di fare sport e vincere in campo internazionale per lo Stato di appartenenza. Tale definizione potrebbe aver tratto origine dagli studi e dagli scritti di Pierre Arnaud1, che definiva “athlètes de la République” gli atleti coltivati in apposite accademie per vincere, dare lustro al Paese ed alimentare il sentimento nazionalista negli Stati europei occidentali e orientali. Gli atleti di interesse nazionale sono destinatari di appositi programmi, elaborati dal Comitato Olimpico Nazionale e da svolgersi con l’obbligatoria – ove richiesta – collaborazione della Pubblica Amministrazione, di valorizzazione delle prestazioni tecnico-agonistiche e di impulso della crescita sportiva (ex articolo 47, commi secondo e terzo, della legge 13 marzo 1997 n. 32). La regolarità organizzativa, disciplinare ed amministrativa delle attività dell’atleta professionista soggiacciono al controllo ed alla vigilanza della federazione sportiva nazionale di mediata affiliazione nonché del Comitato Olimpico Nazionale e del Deputato allo Sport (ex articolo 50, comma secondo, della legge 13 marzo 1997 n. 32). Il rapporto di lavoro dell’atleta professionista è regolato sulla base di un contratto di lavoro subordinato tra lo stesso e la società di inquadramento (ex articolo 51, comma primo, della legge 13 marzo 1997 n. 32), da redigersi in forma scritta e consegnarsi per conoscenza alla federazione sportiva nazionale di mediata affiliazione ed al Comitato Olimpico Nazionale (ex articolo 51, comma secondo, della legge 13 marzo 1997 n. 32). Ogni atleta è tenuto ad osservare i seguenti principi: principio del rispetto delle disposizioni dell’ordinamento sportivo; 105 SAGGI I soggetti fisici ... principio di lealtà sportiva; principio di astensione dal doping. Il principio del rispetto delle disposizioni dell’ordinamento sportivo è sancito dai disposti del primo comma dell’articolo 50 e del secondo comma dell’articolo 53 della legge 13 marzo 1997 n. 32. Esso è inoltre genericamente richiamato dal disposto del quinto comma dell’articolo 52 della legge 13 marzo 1997 n. 32. All’uopo è opportuno ricordare che l’ordinamento sportivo è disciplinato tanto dalle leggi e dagli atti aventi forza di legge dello Stato quanto dalle disposizioni delle federazioni sportive nazionali di mediata affiliazione di ciascun atleta nonché da quelle dell’ordinamento sportivo internazionale (ex articoli 50, comma terzo, e 53, comma sesto, della legge 13 marzo 1997 n. 32). Il principio di lealtà sportiva, sancito dal disposto del secondo comma dell’articolo 53 della legge 13 marzo 1997 n. 32, esige che l’atleta attui costantemente i valori di prudenza, buon senso, rispetto dell’integrità morale e fisica dell’avversario nella pratica dell’attività sportiva). Il principio di astensione dal doping, sancito dal disposto del terzo comma dell’articolo 53 della legge 13 marzo 1997 n. 32, impone che l’atleta non faccia uso di sostanze atte ad aumentare artificialmente le proprie prestazioni. L’atleta non professionista è invece tenuto, ai sensi del disposto del quinto comma dell’articolo 53 della legge 13 marzo 1997 n. 32, a praticare attività sportiva senza mirare al conseguimento di profitti diretti ed indiretti. 3. I dirigenti Possono intendersi per dirigenti tutti i soggetti che rivestano ruoli di coordinamento e gestione nell’ambito delle società sportive ovvero delle federazioni sportive nazionali. 3.1 I dirigenti di società sportiva Anche con riferimento ai dirigenti delle società sportive si distingue tra professionisti e non professionisti ai sensi del disposto del secondo comma dell’articolo 48 della legge 13 marzo 1997 n. 32. L’attuale formulazione della legge 13 marzo 1997 n. 32 sembrerebbe non precludere a dirigenti professionisti di prestare la propria attività a favore di società non professionistiche. 106 SAGGI I soggetti fisici ... Il dirigente di società sportiva entra a far parte dell’ordinamento sportivo all’atto dell’affiliazione della società medesima alla federazione sportiva nazionale di afferenza. Il dirigente professionista di società sportiva è tenuto a rispettare le disposizioni dell’ordinamento sportivo (ex articolo 50, comma primo, della legge 13 marzo 1997 n. 32). Parimenti il dirigente non professionista di società sportiva (ex articolo 52, comma quinto, della legge 13 marzo 1997 n. 32). Qualsiasi dirigente di società sportiva è tenuto ad evitare che ogni atleta affiliato ad essa si renda inosservante del principio di astensione dal doping (ex articolo 53, comma quarto, della legge 13 marzo 1997 n. 32). La regolarità organizzativa, disciplinare ed amministrativa delle attività del dirigente professionista di società sportiva soggiacciono al controllo ed alla vigilanza della federazione sportiva nazionale di mediata affiliazione nonché del Comitato Olimpico Nazionale e del Deputato allo Sport (ex articolo 50, comma secondo, della legge 13 marzo 1997 n. 32). Il rapporto di lavoro del dirigente professionista di società sportiva è regolato sulla base di un contratto di lavoro subordinato tra lo stesso e la società di inquadramento (ex articolo 51, comma primo, della legge 13 marzo 1997 n. 32), da redigersi in forma scritta e consegnarsi per conoscenza alla federazione sportiva nazionale di mediata affiliazione ed al Comitato Olimpico Nazionale (ex articolo 51, comma secondo, della legge 13 marzo 1997 n. 32). Gli statuti delle singole federazioni sportive nazionali possono prevedere che la nomina del dirigente di società sportiva soggiaccia a a requisiti generici (quali il possesso di determinate caratteristiche di moralità ovvero onorabilità, ecc.) oppure specifica (quali il possesso di determinati titoli professionali ovvero di studio, ecc.). 3.2 I dirigenti di federazione sportiva nazionale I dirigenti di federazione sportiva nazionale entrano a far parte dell’ordinamento sportivo all’atto della nomina in seno alla medesima. La relativa disciplina è contenuta nel disposto dell’articolo 35 della legge 13 marzo 1997 n. 32. La nomina del dirigente di federazione sportiva nazionale avviene per elezione, cui partecipano gli iscritti cittadini sammarinesi o stranieri effettivamente residenti nel territorio statale (ex articolo 35, comma terzo, della legge 13 marzo 1997 n. 32), secondo criteri stabiliti discrezionalmente nei singoli statuti (ex articolo 35, comma quarto, della legge 13 marzo 1997 n. 32). 107 SAGGI I soggetti fisici ... Essa può soggiacere a requisiti generici (quali il possesso di determinate caratteristiche di moralità ovvero onorabilità, ecc.) oppure specifica (quali il possesso di determinati titoli professionali ovvero di studio, ecc.). Quantunque: può assumere l’ufficio di dirigente di federazione sportiva nazionale il cittadino sammarinese o lo straniero effettivamente residente nel territorio statale (ex articolo 35, comma primo, della legge 13 marzo 1997 n. 32); requisito indispensabile per la nomina a presidente di federazione sportiva nazionale è la cittadinanza sammarinese (ex articolo 35, comma primo, della legge 13 marzo 1997 n. 32). 4. I tecnici I tecnici sono tutti quei soggetti incaricati della direzione e del controllo e della preparazione degli atleti sotto il profilo tecnico nonché dell’avviamento dei giovani alla disciplina sportiva. Ai tecnici si applica la stessa disciplina dei dirigenti di società sportive. Ciò vale anche per i tecnici delle federazioni sportive nazionali, atteso che costoro rivestono la qualifica di tecnici delle squadre sportive nazionali. Gli statuti delle singole federazioni sportive nazionali possono prevedere vari livelli di qualificazione dei tecnici. Il tecnico di società sportiva entra a far parte dell’ordinamento sportivo all’atto del tesseramento presso la medesima. Il tecnico di federazione sportiva nazionale entra a far parte dell’ordinamento sportivo all’atto della designazione da parte della stessa. 5. I collaboratori ausiliari Sono da considerarsi collaboratori ausiliari, tanto di società sportiva quanto di federazione sportiva nazionale: gli addetti alla tutela del benessere fisico e psichico degli atleti (medici, paramedici, psicologi, ecc.);i consulenti non diversamente inquadrati; Altresì rivestono questo status i lavoratori delle società sportive non inquadrati come dirigenti. 108 SAGGI I soggetti fisici ... Soltanto i medici, tra i collaboratori ausiliari, sono nominati dalla legge 13 marzo 1997 n. 32: all’articolo 18, comma terzo; all’articolo 29, comma primo; all’articolo 36, comma secondo; all’articolo 52, comma quinto; all’articolo 53, comma quarto. I consulenti non diversamente inquadrati sono invece menzionati (invero velatamente) al terzo comma dell’articolo 18 della legge 13 marzo 1997 n. 32. Il medico sportivo è tenuto a rispettare le disposizioni dell’ordinamento sportivo (ex articolo 52, comma quinto, della legge 13 marzo 1997 n. 32). Parimenti, quantunque alcuna norma lo preveda espressamente, gli altri addetti alla tutela del benessere fisico e psichico degli atleti. Qualsiasi collaboratore ausiliario è tenuto ad evitare che ogni atleta direttamente o indirettamente controllabile (in quanto inquadrato nell’ambito della società sportiva ovvero posto nell’organico della federazione sportiva nazionale di afferenza) si renda inosservante del principio di astensione dal doping (ex articolo 53, comma quarto, della legge 13 marzo 1997 n. 32). Nessuna norma specifica, sicché è da ritenersi che vi si applichino le disposizioni generiche del diritto privato e del diritto del lavoro, è data con riferimento ai consulenti non diversamente inquadrati e ai lavoratori delle società sportive non inquadrati come dirigenti. Il collaboratore ausiliario di società sportiva entra a far parte dell’ordinamento sportivo all’atto del tesseramento presso la medesima. Il collaboratore ausiliario di federazione sportiva nazionale entra a far parte dell’ordinamento sportivo all’atto della designazione da parte della stessa. 6. Gli ufficiali di gara Possono essere definiti ufficiali di gara i soggetti che partecipano alle manifestazioni sportive per dirigerne lo svolgimento nonché assicurarne la regolarità e certificarne i risultati. La disposizione loro dedicata, trasfusa nell’articolo 40 della legge 13 marzo 1997 n. 32, è alquanto sintetica e fa riferimento soltanto ad un generico compito di assicurazione della regolarità delle manifestazioni sportive. 109 SAGGI I soggetti fisici ... Invero, è interessante rilevare come non tutti gli ufficiali di gara abbiano la medesima connotazione. Infatti, in una sola manifestazione sportiva possono coesistere più ufficiali di gara con funzioni specifiche differenti e rapporti gerarchici precisi (si pensi ad una partita di calcio, ove l’arbitro, che è il principale ufficiale di gara, è coadiuvato dagli assistenti di linea e vigilato talvolta da osservatori e commissari di campo). Inoltre, a seconda delle discipline sportive ovvero in base alle diverse funzioni rivestite, possono essere distinti ufficiali aventi poteri meramente accertativi non implicanti apprezzamenti discrezionali ed ufficiali aventi lati poteri sottesi a valutazioni discrezionali più o meno ampie. A parere di chi scrive, l’ufficiale di gara non ha potestà pubblicistiche in quanto non è soggetto attuatore diretto dell’interesse pubblico connesso alla pratica dell’attività sportiva, atteso che il soddisfacimento di tale interesse è immediatamente imputabile alla federazione sportiva nazionale interessata e al Comitato Olimpico Nazionale. 7. I dipendenti del Comitato Olimpico Nazionale I dipendenti del Comitato Olimpico Nazionale si distinguono in: impiegati; salariati; convenzionati; distaccati. Alle modifiche degli organici dei dipendenti impiegati e salariati si fa luogo secondo le normative dettate in materia di pubblico impiego, previa concertazione con le organizzazioni sindacali e stante la positiva verifica della sussistenza della necessaria copertura finanziaria (ex articolo 65 della legge 13 marzo 1997 n. 32). 7.1 Gli impiegati Gli impiegati del Comitato Olimpico Nazionale sono soggetti dipendenti cui, ai sensi del disposto del comma primo dell’articolo 62 della legge 13 marzo 1997 n. 32, possono alternativamente essere demandati compiti: amministrativi; di segreteria; di contabilità; 110 SAGGI I soggetti fisici ... di gestione delle strutture sportive direttamente affidate dallo Stato al Comitato Olimpico Nazionale; di organizzazione di manifestazioni sportive direttamente promosse dal Comitato Olimpico Nazionale; di supporto alle manifestazioni sportive organizzate dalle federazioni sportive nazionali. L'organico degli impiegati è quello risultante dall'Allegato "A" alla legge 17 settembre 1993 n.106. Cosicché sono ivi annoverati: un coordinatore dei servizi, avente la qualifica di esperto amministrativo; un collaboratore tecnico, avente pari qualifica; un collaboratore amministrativo, avente pari qualifica; un operatore amministrativo, avente qualifica di operatore specializzato amministrativo contabile; un operatore sportivo, avente qualifica di operatore specializzato tecnico; un segretario, avente qualifica di operatore amministrativo contabile; quattro istruttori tecnici sportivi, aventi qualifica di operatori tecnici; un assistente, avente qualifica di operatore tecnico; due addetti di segreteria, aventi qualifica di addetti qualificati. La copertura dei posti resisi definitivamente vacanti nel ruolo degli impiegati è effettuata secondo le normative dettate in materia di pubblico impiego (ex articolo 66 della legge 13 marzo 1997 n. 32). 7.1.1 Il coordinatore dei servizi Il coordinatore dei servizi, avente la qualifica di esperto amministrativo, è titolare dell’ottavo livello retributivo. Si tratta di un soggetto in possesso di diploma di laurea in discipline giuridiche ovvero economiche ovvero sociali e di diploma di scuola media superiore nonché di cinque anni di esperienza in ruoli di coordinamento amministrativo. Esso: funge da collegamento tra gli organi decisionali e la struttura tecnico-amministrativa nonché da tramite con le federazioni sportive nazionali; è responsabile dell'organizzazione e della programmazione tecnica e amministrativa; 111 SAGGI I soggetti fisici ... svolge funzioni di coordinamento per la sezione amministrativa, curando e coordinando le pratiche amministrative; redige le proposte di bilancio; effettua ogni operazione contabile; è tenuto a partecipare all'organizzazione delle manifestazioni sportive. Il concorso di selezione è finalizzato ad accertare la conoscenza, da parte del candidato, delle nozioni di: diritto pubblico; diritto amministrativo; contabilità; legislazione sportiva. Indispensabile è la conoscenza di una lingua straniera. 7.1.2 Il collaboratore tecnico Il collaboratore tecnico, avente pari qualifica, è titolare del settimo livello retributivo. Si tratta di un soggetto in possesso del diploma di geometra. Esso: è responsabile della tenuta e della ordinata manutenzione degli impianti; collabora con il coordinatore dei servizi per la gestione degli impianti; esprime il proprio parere tecnico per quanto concerne la manutenzione straordinaria degli impianti; collabora con il settore amministrativo per la gestione del personale; è tenuto a partecipare all'organizzazione delle manifestazioni sportive. Il concorso di selezione è finalizzato ad accertare la conoscenza, da parte del candidato, delle nozioni di legislazione sportiva delle materie professionali specificamente concernenti le mansioni affidate. 7.1.3 Il collaboratore amministrativo Il collaboratore amministrativo, avente pari qualifica, è titolare del settimo livello retributivo. Si tratta di un soggetto in possesso del diploma di ragioneria o di titolo di studio equipollente. Esso: collabora con il coordinatore dei servizi per l'elaborazione di dati e istruzioni di atti di particolare complessità relativi alla gestione contabile; 112 SAGGI I soggetti fisici ... è responsabile dell'organizzazione di tutte le attività relative all'approvvigionamento dei materiali necessari; cura i rapporti con i fornitori, le richieste, offerte e preventivi, le gare di appalto e le aste pubbliche, i contratti e gli ordinativi; è responsabile della gestione dei magazzini; cura la tenuta di tutte le scritture contabili interne nonché degli impianti e delle strutture gestite; cura tutte le attività relative alla gestione del personale; è tenuto a partecipare all'organizzazione delle manifestazioni sportive. Il concorso di selezione è finalizzato ad accertare la conoscenza, da parte del candidato, delle nozioni di: diritto pubblico; diritto amministrativo; contabilità; legislazione sportiva. 7.1.4 L’operatore amministrativo L’operatore amministrativo, avente qualifica di operatore specializzato amministrativo contabile, è titolare del sesto livello retributivo. Si tratta di un soggetto in possesso del diploma di ragioneria o di titolo di studio equipollente. Esso: alle dirette dipendenze del collaboratore amministrativo, esegue attività di promozione, studio ed esecuzione nelle varie competenze istituzionali; esegue attività di carattere contabile amministrativo in esecuzione ai compiti istituzionali con responsabilità ed autonomia operativa; è responsabile della tenuta del carico-scarico dei materiali; provvede alla riscossione degli introiti; provvede ai pagamenti predisposti dal collaboratore amministrativo; è tenuto a partecipare all'organizzazione delle manifestazioni sportive. Il concorso di selezione è finalizzato ad accertare la conoscenza, da parte del candidato, delle nozioni di: diritto amministrativo; contabilità; 113 SAGGI I soggetti fisici ... legislazione sportiva. 7.1.5 L’operatore sportivo L’operatore sportivo, avente qualifica di operatore specializzato tecnico, è titolare del sesto livello retributivo. Si tratta di un soggetto in possesso del diploma di scuola media superiore. Esso cura i rapporti con le federazioni sportive nazionali, effettuando le corrispondenze e quant'altro necessario all'organizzazione delle conseguenti manifestazioni. All’uopo si interfaccia con i segretari generali delle singole federazioni sportive nazionali nonché con il coordinatore dei servizi. Il concorso di selezione è finalizzato ad accertare la conoscenza, da parte del candidato, delle nozioni di: diritto pubblico; legislazione sportiva. 7.1.6 Il segretario Il segretario, avente qualifica di operatore amministrativo contabile, è titolare del quinto livello retributivo. Si tratta di un soggetto titolare del diploma di scuola media inferiore con successiva qualificazione. Svolge prestazioni di carattere amministrativo, contabile, tecnico in esecuzione alle disposizioni emanate. In particolare, svolge attività di dattilografia, duplicazione, tenuta protocolli e registri nonché archiviazione pratiche. È tenuto a partecipare all'organizzazione delle manifestazioni sportive. Il concorso di selezione è finalizzato ad accertare la conoscenza, da parte del candidato, delle nozioni di: steno-dattilografia; materie professionali specificamente concernenti le mansioni affidati. Indispensabile è la conoscenza di una lingua straniera. 114 SAGGI I soggetti fisici ... 7.1.7 Gli istruttori tecnici sportivi I quattro istruttori tecnici sportivi, aventi qualifica di operatori tecnici, sono titolari del quinto livello retributivo. Nulla è specificamente previsto circa il titolo di studio d’accesso al ruolo, ma è ragionevole ritenere che esso corrisponda al diploma di scuola media inferiore con successiva qualificazione. Essi svolgono compiti di preparazione tecnico-sportiva e di complemento specifico degli elementi che frequentano le attività sportive e di accompagnamento degli stessi alle varie gare sportive (anche fuori sede). All’uopo si interfacciano con le singole federazioni sportive nazionali nonché con il coordinatore dei servizi. Collaborano, altresì, nell'organizzazione delle manifestazioni sportive di competenza istituzionale. Il ruolo è ad esaurimento. 7.1.8 L’assistente L’assistente, avente qualifica di operatore tecnico, è titolare del quinto livello retributivo. Nulla è specificamente previsto circa il titolo di studio d’accesso al ruolo, ma è ragionevole ritenere che esso corrisponda al diploma di scuola media inferiore con successiva qualificazione. Esso: cura, alle dipendenze del collaboratore tecnico, tutto ciò che concerne la manutenzione ordinaria degli impianti sportivi e la loro organizzazione; coordina il lavoro degli operatori manuali dei vari impianti sportivi; è tenuto a partecipazione all'organizzazione delle manifestazioni sportive. Il ruolo è ad esaurimento. 7.1.9 Gli addetti di segreteria I due addetti di segreteria, aventi qualifica di addetti qualificati, sono titolari del quarto livello retributivo. Si tratta di soggetti titolari del diploma di scuola media inferiore con successiva qualificazione. Essi: svolgono servizii di dattilografia e segreteria con autonomia operativa; provvedono all'archiviazione delle pratiche, alla tenuta dei protocolli e registri e alla duplicazione dei documenti; 115 SAGGI I soggetti fisici ... eseguono prestazioni di carattere amministrativo, contabile, tecnico che presuppongono prestazione professionale adeguata e adeguate esperienze di lavoro; sono tenuti a partecipare all'organizzazione delle manifestazioni sportive. Il ruolo è ad esaurimento. 7.2 I salariati I salariati sono tutti i dipendenti adibiti a compiti materiali di custodia e manutenzione degli impianti sportivi direttamente gestiti e delle zone adiacenti (ex articolo 63, comma primo, della legge 13 marzo 1997 n. 32). Il rapporto di lavoro dei salariati è regolato secondo normative di dettaglio emanate dal Comitato Olimpico Nazionale previa concertazione con le organizzazioni sindacali ed alla luce delle esigenze istituzionali (ex articolo 63, commi secondo e terzo, della legge 13 marzo 1997 n. 32). 7.3 I convenzionati I convenzionati sono lavoratori autonomi contrattualizzati nel rispetto degli stanziamenti di bilancio all’uopo previsti (ex articolo 66 della legge 13 marzo 1997 n. 32). È da ritenersi che si possa far luogo al reclutamento di dipendenti convenzionati con riferimento a lavoratori in possesso di determinati particolari requisiti di qualificazione professionale e/o per il compimento di precisi progetti. 7.4 I distaccati I distaccati sono dipendenti pubblici ovvero privati posti alle dipendenze del Comitato Olimpico Nazionale in virtù di esigenze organizzative ovvero tecniche ovvero agonistiche, retribuiti a cura e carico dello stesso Comitato (ex articolo 67, commi primo e sesto, della legge 13 marzo 1997 n. 32). Il distacco non può essere negato dal responsabile del servizio del lavoratore, salve restando motivate indilazionabili esigenze di servizio (ex articolo 67, comma secondo, della legge 13 marzo 1997 n. 32). Il lavoratore distaccato ha diritto alla conservazione del posto e del trattamento economico e previdenziale in godimento al momento del distacco (ex articolo 67, comma terzo, della legge 13 marzo 1997 n. 32). Se dipendente pubblico, il lavoratore distaccato mantiene lo stesso livello retributivo di titolarità (ex articolo 67, comma quarto, della legge 13 marzo 1997 n. 32). 116 SAGGI I soggetti fisici ... Se dipendente privato, il lavoratore distaccato ha diritto ad un rimborso forfetario, annualmente stabilito dal Comitato Olimpico Nazionale previo accordo con il Dicastero allo Sport (ex articolo 67, comma quinto, della legge 13 marzo 1997 n. 32). La durata e le modalità di distacco sono stabilite, prima che lo stesso divenga operativo, mercè accordo tra il Comitato Olimpico Nazionale ed il responsabile del servizio del lavoratore (ex articolo 68, comma secondo, della legge 13 marzo 1997 n. 32). Quantunque, il distacco non può protrarsi per un monte ore superiore a quello pari ad un mese per tanti mesi quante siano le federazioni sportive nazionali (ex articolo 68, comma primo, della legge 13 marzo 1997 n. 32). (*)_Avvocato in Cosenza e dottorando di ricerca in “Impresa, Stato e Mercato” nell’Università della Calabria 117 SAGGI