programma diritto liceo socio psico pedagogico

PROGRAMMA DIRITTO
LICEO SOCIO PSICO PEDAGOGICO
CLASSE V
MODULO 1: I SOGGETTI DEL DIRITTO
UD1: Le persone nel diritto civile: capacita giuridica e capacita d’agire,
incapacità (inabilitazione, interdizione), emancipazione.
UD2: La nascita della persona fisica
UD3: La sede della persona fisica: residenza, domicilio e dimora
UD4: La morte della persona fisica e commorienza
UD5: L’estinzione della persona fisica: la scomparsa, l’assenza e la morte
presunta
UD6: Le persone giuridiche: nascita della persona giuridica
MODULO 2: DIRITTO DEL LAVORO
UD1: Le fonti del diritto del lavoro
UD2: Il contratto di lavoro
UD3: La legge Biagi
UD4: Oblighi del lavoratore e del datore di lavoro
UD5: I diritti del lavoratore
UD6: Il lavoro a domicilio
UD7: Status di disoccupazione
UD8: La tutela del minore
UD9: La tutela del lavoro femminile
UD10: Il periodo di prova
UD11: Il TFR
UD12: I sindacati
UD13: La serrata
UD14: Il libretto di lavoro
UD15: L’assunzione
UD16: Classificazione dei lavoratori
UD17: Lo statuto dei lavoratori
UD18: La nuova legge sui congedi parentali
UD19: Il processo del lavoro
UD20: Il rapporto di pubblico impiego
UD21: Statuto dei lavoratori
UD22: Mobbing, bossing, bullyng, stalking
MODULO 3: LINEAMENTI DEL SISTEMA PREVIDENZIALE E
ASSISTENZIALE
UD1: La previdenza e le assicurazioni sociali
UD2: Il lavoro delle donne e dei minori
MODULO 4: LE FUNZIONI DELLO STATO
UD1: Funzione legislativa
UD2: Funzione amministrativa
UD3: Funzione giudiziaria
MODULO 5: LA PUBBLICA AMMINISTRAZINE
UD1: Articolazione
UD2: Decentramento
UD3: Lineamenti del processo amministrativo
MODULO 6: IL DIRITTO DI FAMIGLIA
UD1: La famiglia
UD2: Il matrimonio
UD3: La separazione e il divorzio
UD4: Il regime patrimoniale della famiglia
UD5: Filiazione, adozione e affidamento
MODULO 7: LINEAMENTI GENERALI DELLA
LEGISLAZIONE SCOLASTICA
UD1: La Scuola italiana: storia, attualità e prospettive
UD2: Gli organi collegiali della scuola
MODULO 1: I SOGGETTI DEL DIRITTO
UD1: Le persone nel diritto civile: capacità giuridica e
capacità di agire
In diritto, la capacità giuridica è l'attitudine di un soggetto ad
essere titolare di diritti e doveri o più in generale di situazioni
giuridiche soggettive. Non va confusa con la capacità di agire,
che precisa chi possa validamente compiere azioni, atti e fatti
per l'esercizio dei diritti spettantigli o per l'adempimento dei
doveri cui sia tenuto. La capacità giuridica, in quando modo
d'essere del soggetto giuridico, rientra tra le qualità giuridiche.
Nell'ordinamento giuridico italiano, la capacità giuridica si
acquista con la venuta ad esistenza, è cioè riconosciuta a tutti i
soggetti di diritto per il solo fatto della nascita (art. 1 c.c.), cioè
per il solo fatto del distacco del nato dal grembo materno,
quand'anche immediatamente dopo la nascita segua la morte,
quand'anche il nato sia destinato a morte sicura.
Anche al nascituro è riconosciuta una particolare capacità
giuridica, che distingue se si tratti di nascituro concepito o
nascituro non concepito. La questione, che interessa diversi
aspetti della definizione del soggetto giuridico e diverse
concezioni della rilevanza giuridica della vita, è fonte di nutrite
disquisizioni dottrinali e di qualche incertezza applicativa
pratica.
•
Il nascituro concepito, cioè il feto nel grembo materno (si
discute da quale momento della suddivisione embrionale),
ha titolo a concorrere alla successione mortis causa ed a
ricevere donazioni; è inoltre discusso se per questa ragione
possa anche esso stesso dare origine ad un'eventuale linea
successoria (le classiche ipotesi di scuola prevedono sia un
feto divenuto erede per la premorienza del padre e
successivamente morto ancora in fase fetale, sia il feto in
•
grembo a madre morta e morto dopo di questa, prima di un
parto ancorché forzoso). Questo concetto si basa sul
brocardo medievale Conceptus pro iam nato habetur si de
eius commodo agitur (il concepito è considerato nato
quando trattasi dei suoi interessi).
Il nascituro non concepito, ovvero l'ipotetico figlio che
potrebbe nascere ad un dato potenziale genitore, ha la
capacità di ricevere successioni e donazioni, come nel
classico caso di disposizioni testamentarie che dispongano
l'attribuzione di beni a condizione della nascita; le
disposizioni per questo tipo particolarissimo di soggetto
giuridico
sono
quindi
sottoposte
al
vincolo
dell'avveramento della condizione di venuta ad esistenza.
Con la capacità giuridica, che si acquista alla nascita, si è
astrattamente titolari di beni e di diritti, e si possono compiere
solo atti di ordinaria amministrazione, ma non quelli di
straordinaria amministrazione, che devono essere compiuti
avendo la delega di un adulto, o devono essere svolti da un
tutore a nome della persona interessata.
La capacità giuridica si perde per morte (anche per morte
presunta), e vi sono casi particolari che la limitano in caso di
assenza o scomparsa (rileva talvolta se volontarie).
In alcuni ordinamenti del passato la capacità non veniva
riconosciuta ad ogni uomo. Tale era la situazione degli schiavi
nell'ordinamento romano, assimilati, quando al diritto alle res.
In passato vi era inoltre una particolare causa di estinzione della
capacità giuridica: la morte civile.
In diritto la capacità di agire è la idoneità di un soggetto a porre
in essere atti giuridicamente validi. Non va confusa con la
capacità giuridica, che è l'idoneità di un soggetto a essere
titolare di diritti e doveri. La capacità di agire, in quando modo
d'essere del soggetto giuridico, rientra tra le qualità giuridiche.
Nell'ordinamento italiano tutti coloro che si trovano sul
territorio dello Stato, anche se stranieri, hanno piena capacità
giuridica, mentre la capacità di agire si raggiunge con il
compimento della cosiddetta maggiore età e può essere limitata
o revocata in sede giurisdizionale (per esempio interdizione).
La maggiore età sino al 1975 si acquistava al compimento del
21º anno; con l'entrata in vigore dalla riforma del diritto di
famiglia è stata portata al 18º. La legge, che se ne occupa all'art.
2 del codice civile, presume che, compiuti i 18 anni, il soggetto
sia legalmente capace di agire, ossia abbia raggiunto quella
necessaria maturazione psico-fisica che lo renderebbe idoneo ad
esercitare autonomamente i diritti e ad adempiere gli obblighi
senza turbare il corretto andamento ordinamentale.
Un caso particolare riguarda il matrimonio del minore, che al
compimento del 16º anno acquista una limitata e circostanziata
capacitas agendi attraverso l'emancipazione.
La capacità di agire si estingue per morte o per interdizione (la
quale può essere dichiarata anche prima del raggiungimento
della maggiore età).
Interdizione e inabilitazione
Interdizione e inabilitazione In diritto, condizione di una
persona priva della capacità di agire, o per le sue condizioni
fisiche e mentali, o perché condannata a una pena detentiva
superiore a cinque anni.
Il codice civile italiano prevede l’interdizione “giudiziale” per la
persona che si trovi in condizioni di grave infermità mentale e
non sia in grado di tutelare i propri interessi. La sentenza di
interdizione viene pronunciata dal giudice su richiesta dei
genitori, del coniuge, di altri parenti o del pubblico ministero.
All'interdetto viene affidato un tutore che compie tutti gli atti di
ordinaria e straordinaria amministrazione in nome e per conto
dell'interdetto. Fino al 1978 era previsto l'internamento in
manicomio per gli interdetti in condizioni più gravi.
L'interdizione “legale” è invece prevista dalla legge penale
come conseguenza di una condanna alla reclusione per un tempo
non inferiore a 5 anni; in questo caso è una pena accessoria che
si applica per tutta la durata della pena principale. L’interdetto
legale può tuttavia contrarre matrimonio, riconoscere un figlio
naturale e fare testamento.
L’inabilitazione è invece prevista: 1) per le persone maggiorenni
che si trovino in condizioni di infermità di mente non così gravi
da richiedere l'interdizione; 2) per chi sperpera le proprie risorse
economiche; 3) per i consumatori abituali di bevande alcoliche o
stupefacenti; 4) per i sordomuti e i ciechi che non abbiano
ricevuto un’educazione specifica. A differenza dell'interdetto,
l'inabilitato può compiere gli atti di ordinaria amministrazione
ma per quelli di straordinaria amministrazione (cioè gli atti di
disposizione del patrimonio, come ad esempio la compravendita
di immobili) è necessaria l'assistenza del curatore nominato dal
giudice ed eventualmente l'autorizzazione del tribunale.
UD2: La nascita della persona fisica
Persona fisica e persona giuridica Nel linguaggio giuridico come
in quello comune, diritti, doveri e rapporti giuridici possono
essere riferiti non solo alle persone fisiche ma anche a quelle
giuridiche, cioè a enti che, sul piano giuridico, vengono
equiparati quasi integralmente alle persone fisiche. Perché ciò
avvenga è però necessario che all'ente venga attribuito il
riconoscimento da parte dello stato; solo in seguito a tale
riconoscimento si può parlare di ente titolare di una vera e
propria personalità giuridica. Di fatto però al giorno d'oggi c'è la
tendenza al moltiplicarsi di organismi che, pur non richiedendo
o non ottenendo il riconoscimento da parte dello stato, operano
attivamente nella società e in ambito economico; si tratta, ad
esempio, delle associazioni e delle fondazioni che sono persone
giuridiche di fatto.
Elemento fondamentale e caratterizzante della persona giuridica
è la sua autonomia patrimoniale. Il patrimonio dell'ente è
autonomo e indipendente dai patrimoni privati di tutti coloro che
ne fanno parte: da ciò discende che i creditori dell'ente o della
società non possono rivalersi sui patrimoni personali dei soci o
degli associati. Lo stesso discorso non può essere fatto per le
persone giuridiche di fatto – che sono quelle che non hanno
richiesto oppure non hanno ottenuto il riconoscimento da parte
dello stato – in quanto queste hanno un'autonomia patrimoniale
imperfetta, vale a dire che per le obbligazioni assunte dalla
società rispondono personalmente e solidalmente coloro che
hanno agito in nome e per conto della stessa.
UD3: La sede della persona fisica: residenza, domicilio e
dimora
Residenza Luogo nel quale una persona vive abitualmente. La
residenza determina l'appartenenza della persona a un
determinato comune; acquista un rilievo giuridico particolare in
relazione alle pubblicazioni e alla celebrazione del matrimonio e
all’adozione. Può essere liberamente cambiata, posto che ne
venga data comunicazione al comune di appartenenza nei modi
previsti dalla legge.
Dalla residenza si distinguono il domicilio, che è il luogo dove
una persona ha la sede principale dei suoi interessi, e la dimora,
che è il luogo dove una persona vive temporaneamente od
occasionalmente e ha scarso valore giuridico, salvo che per
alcuni atti processuali.
Domicilio Luogo dove una persona ha la sede principale dei
suoi interessi e affari, non necessariamente di sola natura
economica ma anche personale. A differenza della residenza,
che è il luogo in cui una persona vive abitualmente, il domicilio
non si identifica con una situazione materiale ben definita e la
sua individuazione può quindi presentare qualche difficoltà. Il
domicilio può infatti non coincidere con la residenza ed essere
ad esempio anche una stanza d'albergo; non è necessario che la
persona abiti di fatto in quel luogo.
Dal domicilio inteso in senso generale si distinguono il
domicilio legale, che si ha quando il domicilio di una persona
viene stabilito dalla legge (si pensi al caso del minore,
domiciliato presso la residenza della sua famiglia o
dell’eventuale tutore), e il domicilio speciale che si ha quando,
per determinati affari, una persona sceglie attraverso una
dichiarazione detta “elezione di domicilio” un domicilio
differente dal luogo che è la sede principale dei suoi interessi.
La Privata dimora è un luogo dove un soggetto si sofferma per
compiere atti della vita privata.
È un concetto di notevole rilevanza giuridica in quanto
determina la possibilità o l'impossibilità per i pubblici ufficiali
di svolgere attività ispettive.
Il concetto di luogo dove si svolge un'attività privata, seppur
lecita, non è limitato alla propria abitazione; non è quindi
limitato alla definizione di residenza o domicilio.
Vi rientrano tutti quei luoghi dove il privato può svolgere
un'attività privata, come lo studio, un'attività culturale o di
svago, un'attività professionale, artigianale o commerciale, od
anche un'attività politica. La scelta del luogo può essere
determinata anche da fattori contingenti o momentanei.
Per questa definzione rientrano nel concetto di privata dimora:
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la casa, compreso il cortile, il garage, la cantina, l’orto, il
terrazzo;
la roulotte o tenda;
uno studio professionale (Cass. Pen. 27/11/1996);
una camera d’albergo;
il laboratorio artigiano;
un circolo privato;
le aziende commerciali e industriali (Cass. Pen.
26/09/1978);
le sedi dei partiti politici o associazioni culturali (Cass.
Pen. 17/2/1970).
UD4: La morte della persona fisica e commorienza
Ogni essere umano ha una vita limitata. Così come con la
nascita si acquista la capacità giuridica, con la cessazione della
persona fisica, in termini più comuni morte, si ha l’effetto
inverso: l’estinzione della capacità giuridica.
Tuttavia con la morte sussistono ancora dei diritti,
principalmente patrimoniali.
La prima cosa da fare in questi casi è stabilire chi è morto per
primo, perché gli eredi di colui che è morto successivamente
hanno interesse ha dimostrare che il proprio parente ha ereditato,
totalmente o in parte, i diritti del parente deceduto prima e li ha
trasmessi hai suoi ereditieri.
Se non risulta possibile stabilire chi è deceduto per primo si
applica l’articolo 4 del codice civile:
“quando un effetto giuridico dipende dalla sopravvivenza di
una persona a un’altra e non consta quale di esse sia morta
prima, tutte si considerano morte nello stesso momento.”
Per il diritto italiano la commorienza è un istituto giuridico che
risolve problemi di incertezza nell'acquisto di diritti derivanti da
successione a causa di morte di più persone aventi tra loro
legami di parentela. La commorienza viene in essere quando la
morte dei soggetti avviene per effetto di un unico incidente o
infortunio senza che sia possibile individuare con certezza il
preciso momento del decesso di ciascuna di esse.
L'esempio tipico è quello di due fratelli che nel medesimo
incidente o infortunio perdono la vita. Quando è possibile a
determinare chi dei due è morto per primo allora l'altro, sia pur
per poco tempo o istanti, ne è stato erede. Se la cosa può non
toccare i due sfortunati, per l'accertamento delle quote ereditarie
è fondamentale sapere se vi è stata contemporaneità nella morte
(appunto commorienza) oppure vi è stato un tempo o istante
diverso del decesso nel medesimo incidente o infortunio.
Qualora non fosse possibile una tale determinazione, la legge
italiana assume che tali persone siano decedute nello stesso
momento (presunzione di commorienza). Chi intende fondare un
proprio diritto sulla maggiore sopravvivenza di una delle
persone decedute deve fornirne la prova.
Il termine "presunzione" è in questo caso improprio, visto che
nel diritto la presunzione è l'argomentazione logico-giuridico
che permette di risalire da un fatto noto ad un fatto ignoto. Ora,
nell'esempio il fatto noto manca, e cioè si sa che i soggetti sono
entrambi deceduti nello stesso incidente ma non si sa chi per
primo o se in contemporanea, mentre il fatto ignoto rimane
appunto ignoto. È più corretto quindi parlare di finzione
giuridica più che di presunzione
UD5: L’estinzione della persona fisica: la scomparsa,
l’assenza e la morte presunta
Questo articolo è detto presunzione di commorienza. La
commorienza si riferisce alla morte di più persone. Si dice
presunzione perché questa norma può essere “scavalcata”:
infatti se uno dei parenti riesce a dimostrare l’ordine di morte
dei parenti questa norma viene meno. Per far ciò bisogna portare
davanti al giudice prove certe.
Tutto quanto detto sin da ora parte da una premessa, che non
sempre si verifica: l’esistenza di un cadavere su cui effettuare
accertamenti. Se il cadavere non viene ritrovato non si pone il
“quando” della morte, ma il “se”.
Come deve regolarsi il diritto in ipotesi di questo genere?
Il diritto cerca di plasmare le sue regole sulla realtà naturale. Ciò
non sempre è possibile perché sono gli stessi mezzi conoscitivi
alcune volte difettano. Il diritto deve far corrispondere effetti
giuridici nell’arco di tempo di una vita umana.
In questo caso il diritto pone tre livelli: la scomparsa, l’assenza
e la morte presunta.
L’ordinamento giuridico si preoccupa in primo luogo della
conservazione del patrimonio di una persona scomparsa.
Una persona è definita scomparsa se sussistono queste due
condizioni:
a) allontanamento dal luogo del suo ultimo domicilio o della
sua ultima residenza;
b) mancanza di notizie ( s’ignora cioè, se sia in vita e dove
sia la persona di cui si tratta.
Se sussistono queste due condizioni l’articolo 48, 1°comma, del
codice civile afferma:
“Quando una persona non è più comparsa nel luogo del suo
ultimo domicilio o della sua ultima residenza e non se ne hanno
più notizie, il tribunale dell’ultimo domicilio o della sua ultima
residenza, su istanza degli interessati o presunti successori
legittimi o del pubblico ministero, può nominare un curatore
che rappresenti la persona in giudizio o nella formazione degli
inventari e dei conti e nelle liquidazioni o divisioni in cui sia
interessata, e può dare gli altri provvedimenti necessari alla
conservazione del patrimonio dello scomparso. …”
Questa è una misura provvisoria.
In caso lo scomparso non ricompare ne viene decretata, in base
all’articolo 49 del cod. civ. , l’assenza:
“Trascorsi due anni dal giorni a cui risale l’ultima notizia, i
presunti successori legittimi e chiunque ragionevolmente creda
di avere sui beni dello scomparso diritti dipendenti dalla morte
di lui possono domandare al tribunale competente, secondo
l’articolo precedente, che ne sia dichiarata l’assenza.”
Con questo articolo il tribunale può decidere l’eventuale
apertura dei testamenti, se vi sono, e i presunti eredi, legittimi o
testamentari, sono immessi nel possesso temporaneo dei beni.
La dichiarazione di assenza da luogo soltanto al godimento
provvisorio dei beni a favore di coloro che, se la persona di cui
non si hanno notizie fosse morta ne sarebbero gli eredi.
L’assenza opera limitatamente al campo patrimoniale. Quindi la
dichiarazione di assenza non scioglie i vincoli matrimoniali.
Anche questa è una soluzione temporanea e interinale. Ora si
aprono due strade: il ritorno dello scomparso, o la sua mancanza
per un ulteriore arco di tempo.
Nel primo caso esso rientra in possesso dei suoi beni, nel
secondo caso, in base all’articolo 58 1°comma del cod. civ si ha
la dichiarazione di morte presunta:
“Quando sono trascorsi dieci anni dal giorno a cui risale
l’ultima notizia dell’assente, il tribunale competente secondo
l’articolo 48, su istanza del pubblico ministero o di taluna delle
persone indicate nei capoversi dell’articolo 50, può con
sentenza dichiarare presunta la morte dell’assente nel giorno a
cui risale l’ultima notizia.”
Questa è una certezza legale ma relativa. Non è infatti escluso
che il morto presunto possa ricomparire.
L’effetto della morte presunta è disciplinato negli articoli 63 e
65 del cod civ. :
63 “divenuta eseguibile la sentenza indicata nell’articolo 58,
coloro che ottennero l’immissione nel possesso temporaneo dei
beni dell’assente o i loto successori possono disporre
liberamente dei beni. …”
65 “Divenuta eseguibile la sentenza che dichiara la morte
presunta, il coniuge può contrarre nuovo matrimonio”.
Se il coniuge dichiarato morto presunto ritornasse si hanno
questi effetti, regolati nel campo matrimoniale dall’articolo 68
del cod. civ :
“Il matrimonio contratto a norma dell’articolo 65 è nulla,
qualora la persona della quale fu dichiarata la morte presunta
ritorni o ne sia accertata l’esistenza”.
In campo patrimoniale la situazione non è così semplice come
sembra.
Infatti con la dichiarazione di morte presunta gli eredi sono
entrati in totale possesso dei beni del coniuge ritornato e ne
hanno potuto fare l’uso ritenuto da loro più utile.
UD6: Le persone giuridiche: nascita della persona giuridica
Persona fisica e persona giuridica Nel linguaggio giuridico come
in quello comune, diritti, doveri e rapporti giuridici possono
essere riferiti non solo alle persone fisiche ma anche a quelle
giuridiche, cioè a enti che, sul piano giuridico, vengono
equiparati quasi integralmente alle persone fisiche. Perché ciò
avvenga è però necessario che all'ente venga attribuito il
riconoscimento da parte dello stato; solo in seguito a tale
riconoscimento si può parlare di ente titolare di una vera e
propria personalità giuridica. Di fatto però al giorno d'oggi c'è la
tendenza al moltiplicarsi di organismi che, pur non richiedendo
o non ottenendo il riconoscimento da parte dello stato, operano
attivamente nella società e in ambito economico; si tratta, ad
esempio, delle associazioni e delle fondazioni che sono persone
giuridiche
di
fatto.
Elemento fondamentale e caratterizzante della persona giuridica
è la sua autonomia patrimoniale. Il patrimonio dell'ente è
autonomo e indipendente dai patrimoni privati di tutti coloro che
ne fanno parte: da ciò discende che i creditori dell'ente o della
società non possono rivalersi sui patrimoni personali dei soci o
degli associati. Lo stesso discorso non può essere fatto per le
persone giuridiche di fatto – che sono quelle che non hanno
richiesto oppure non hanno ottenuto il riconoscimento da parte
dello stato – in quanto queste hanno un'autonomia patrimoniale
imperfetta, vale a dire che per le obbligazioni assunte dalla
società rispondono personalmente e solidalmente coloro che
hanno agito in nome e per conto della stessa.
MODULO 2: DIRITTO DEL LAVORO
CENNI SUL DIRITTO DEL LAVORO
Il diritto del lavoro è il complesso delle norme che regolano il rapporto di lavoro
e che tutelano i diritti fondamentali del lavoratore.
E’ composto da norme che disciplinano i rapporti tra lavoratore e datore di
lavoro e dal diritto sindacale, che tratta delle associazioni che rappresentano le
parti del rapporto.
L’oggetto specifico, quindi, del diritto del lavoro, nel suo complesso, è la
disciplina delle relazioni tra datore di lavoro e lavoratore, che ha la propria fonte
in un contratto (anche se, leggendo l’articolo 2126 del codice civile,
sembrerebbe di capire che fonte del rapporto non sia in realtà il contratto di
lavoro, ma la prestazione lavorativa di fatto).
Tenendo conto, infine, che, quanto meno economicamente, il lavoratore si trova
in una posizione di inferiorità con il datore di lavoro e, rispetto a questo, è
sicuramente la parte più debole, il diritto del lavoro ha come fine primario quello
di tutela e di garanzia del prestatore di lavoro.
LE FONTI DEL DIRITTO DEL LAVORO
Le fonti del diritto del lavoro si possono riassumere nei seguenti tre punti, che
qui di seguito andremo ad esaminare:
- fonti statuali o legislative,
- fonti internazionali, o sopranazionali,
- fonti contrattuali e sindacali.
(1) Le fonti statuali o legislative
La Costituzione
- art. 1: l'Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro,
- art. 4: la repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e
promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto,
- art. 35: la repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni,
- art. 36: il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla
quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad
assicurare a se e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa,
- art. 37: parità di trattamento fra uomo e donna e tutela del lavoro dei
minori,
- art. 38: diritto alla previdenza ed assistenza.
Le leggi ordinarie e gli atti aventi forza di legge
e quindi le leggi ordinarie del parlamento e gli atti aventi forza di legge, quali il
decreto legislativo ed i decreti legge.
-1-
Sono da ricordare in particolare:
- il codice civile, che tratta del lavoro nel libro quinto,
- la legge 15/7/1966 n. 604, modificata dalla legge11/5/1990 n. 108 sui
licenziamenti individuali,
- legge 20/5/1970 n. 300, nota come “statuto dei lavoratori”,
- legge 11/8/1973 n. 533 sulle controversie individuali di lavoro,
- legge 9/12/1977 n. 903, integrata poi dalla successiva legge 10/4/1991 n.
125, sulla parità tra uomo e donna in materia di lavoro,
- legge 12/6/1990 n. 146 sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali,
- legge 28/2/1987 n. 56 e legge 27/7/1991 n. 223 sul mercato del lavoro,
- legge 8/8/1995 n. 335 sulla riforma del sistema pensionistico
- legge 30/3/2003, detta anche “riforma Biagi”.
Regolamenti di attuazione o di esecuzione degli atti aventi forza di legge
emanati dal governo o dai ministri o da altre autorità competenti. Tali atti
contengono norme giuridiche con efficacia di atti amministrativi, pur non
essendo leggi in senso formale, né atti con forza di legge.
(2) Fonti internazionali o sovranazionali
Trattati internazionali
(ai sensi art. 35 cost.)
-
carta internazionale del lavoro di Versailles del 1919,
dichiarazione di Filadelfia del 1944,
carta sociale europea di Torino del 1961,
codice europeo di sicurezza sociale del 1964,
patto delle Nazioni Unite del 1966.
Convenzioni dell’O.I.L. (organizzazione internazionale del lavoro)
che sono fonti indirette, poiché necessitano di un intervento legislativo da parte
dello Stato che le ha ratificate, per diventare effettive (come previsto dall’art. 19
della carta costitutiva dell’OIL).
Regolamenti e decisioni della CE (comunità europea) e della CECA (comunità
europea del carbone e dell’acciaio)
tali regolamenti e decisioni costituiscono fonti normative dirette ed obbligano,,
quindi, direttamente gli stati membri, senza dover ricorrere a leggi di ratifica;
ricordiamo, fra i provvedimenti più importanti:
- la libera circolazione dei lavoratori all’interno della comunità,
- la sicurezza sociale dei lavoratori emigrati,
- il fondo sociale europeo.
-2-
(3) Fonti contrattuali e sindacali
Contratto individuale di lavoro
con il quale l’accordo viene raggiunto direttamente tra il singolo datore di lavoro
ed il singolo prestatore di lavoro,
I contratti collettivi di lavoro
ricordiamo, a questo proposito, che possono contenere solo norme più favorevoli
ai lavoratori, rispetto alle leggi, ma non possono peggiorare la disciplina posta
da una legge. E' in sostanza il principio del favore per i lavoratori subordinati.
Ricordiamo che il Ministro del lavoro, nel 2001, ha presentato un progetto per
dare l’addio ai contratti collettivi nazionali, che si vorrebbero sostituire con un
contratto cornice contenente le regole minime sul rapporto di lavoro e dare
quindi via libera alla contrattazione individuale, con salari differenziati a
seconda della produttività aziendale e dell’area geografica.
Nota
l’articolo 2078 del codice civile dispone:
“in mancanza di disposizioni di legge o di contratto collettivo, si applicano gli
usi (consuetudine). Tuttavia, gli usi più favorevoli ai prestatori di lavoro
prevalgono sulle norme dispositive di legge. Gli usi non prevalgono sui contratti
individuali di lavoro”.
Quindi gli usi prevalgono sulle disposizioni di legge se più favorevoli ai
prestatori di lavoro, contrariamente a quanto previsto normalmente dall’art 8
delle disposizioni sulla legge in generale del codice civile.
IL CONTRATTO DI LAVORO
1) II contratto collettivo di lavoro
è un accordo fra una categoria di datori di lavoro ed una associazione di
lavoratori (sindacato) per regolare i rapporti di lavoro di una data categoria di
lavoratori. Ciò che viene deciso vale anche per i lavoratori non iscritti al
sindacato, ma appartenenti al settore produttivo a cui il contratto collettivo si
riferisce. (diciamo meglio che questo tipo di contratto stabilisce le regole
generali di comportamento di una categoria e getta le basi sulle quali poi
impostare i singoli personali contratti);
2) Il contratto individuale di lavoro subordinato
trattasi di accordo privato fra una persona, che si impegna a lavorare alle
dipendenze e sotto la direzione di un datore di lavoro e quest'ultimo appunto,
che si obbliga a pagare una retribuzione (articoli da 2094 a 2134 e articoli
da 2239 a 2246 del codice civile).
-3-
Il contratto di lavoro è:
- a prestazioni corrispettive,
- oneroso, tipico, consensuale,
- a tempo determinato o a tempo indeterminato,
- inter vivos.
Caratteristiche
- occorre l’accordo delle parti,
- l’oggetto (che è la prestazione del lavoro e la relativa retribuzione),
- la retribuzione, che può essere a tempo (per esempio un tanto all’ora o al
mese), oppure a cottimo, se è commisurata al risultato.
- la retribuzione potrebbe anche venire commisurata ai guadagni
dell’imprenditore ed allora si dice che è “con partecipazione agli utili”.
========
LA LEGGE BIAGI
(riforma del lavoro)
(legge 276 del 30/3/2003 – formata da 89 articoli)
Il 24 ottobre 2003 è entrato in vigore, quindici giorni dopo la sua pubblicazione
sulla Gazzetta Ufficiale dello Stato, il decreto legislativo 276/2003, cosiddetto
Legge Biagi. In realtà le nuove disposizioni legislative non prevedono una piena
attuazione fin dalla data annunciata. Il decreto, infatti, in molte sue sezioni, fa
espresso rinvio alla previsione di una normativa di secondo livello da emanarsi
con decreti ministeriali. Vediamo brevemente alcuni di questi casi, fra i più
importanti e significativi, soprattutto in termini operativi:
Le nuove Agenzie per il lavoro
Potranno essere autorizzate solo sulla base di un regolamento, che il Ministero
del Lavoro dovrà emanare con proprio decreto entro 30 giorni. Il regolamento,
previsto dal quinto comma dell’art. 5, disciplinerà tra l’altro:
- modalità di presentazione della richiesta di autorizzazione,
- criteri per la verifica del corretto andamento dell’attività svolta,
- organizzazione e modalità di funzionamento delle Agenzie.
Inoltre, poiché le stesse Agenzie, per i compiti che riguardano intermediazione,
ricerca e selezione del personale, assistenza alla ricollocazione (e quindi non
somministrazione) potranno ottenere anche autorizzazioni a livello regionale,
nei medesimi 30 giorni, sempre a cura del Ministero del Lavoro, è prevista
l’emanazione di un regolamento che detti le modalità di costituzione delle
sezioni regionali dell’albo delle Agenzie e relative procedure.
-4-
A loro volta, le regioni e le province autonome, a cui sono demandate le
operazioni di accreditamento per l’operatività a livello locale delle medesime
Agenzie, dovranno stabilire, con propri provvedimenti:
-
le forme della collaborazione tra soggetti pubblici ed operatori privati
i requisiti minimi richiesti per l’accreditamento a livello regionale
le procedure di accreditamento e per la verifica di efficienza ed efficacia
le modalità di tenuta dei criteri di verifica.
Per l’emanazione dei provvedimenti regionali non sono stabiliti termini
temporali. Invece, sempre entro trenta giorni dall’entrata in vigore del decreto, il
Ministro del Lavoro è tenuto, con apposito provvedimento, a definire la
disciplina transitoria e di raccordo per le società di somministrazione,
intermediazione, ricerca e selezione del personale, ricollocamento professionale
già autorizzate ai sensi della disciplina previgente.
Modalità di trattamento dei dati personali
Ai sensi del secondo comma dell’art. 8, dovranno essere stabilite con decreto del
Ministro del Lavoro98 0 0 13.9442e drsec in 009 Tc 0.4744 Tw 139.98 0 0 13.98 311
alla loro scadenza, ma al massimo non oltre un anno dall’entrata in
vigore del decreto
- che comunque possano essere previsti termini diversi e quindi anche
superiori all’anno, sia pure nell’ottica della fase transitoria, a condizione
che ciò avvenga a mezzo di accordi sindacali, stipulati in sede aziendale,
con le istanze aziendali dei sindacati comparativamente più
rappresentativi sul piano nazionale.
Ma vediamo ora i punti più significativi della riforma Biagi:
(1)
La introduzione di nuovi modelli contrattuali e la modifica di alcuni altri, e
precisamente:
La somministrazione di lavoro
(detta anche “staff leasing”)
sostituisce il lavoro interinale e consiste nella fornitura professionale di
lavoratori (singoli o gruppi); quindi una impresa di fornitura (agenzia di
collocamento privato) che pone uno o più lavoratori, da essa assunti, a
disposizione di un’impresa che ne utilizza la prestazione lavorativa per il
soddisfacimento di esigenze di carattere temporaneo;
Il part-time
Il datore di lavoro ed il lavoratore possono concordare direttamente clausole
elastiche e flessibili, anche in assenza di previsione dei contratti collettivi.
Diventa possibile per il contratto di lavoro a tempo determinato, per la
sostituzione di lavoratrici in maternità e per l’assunzione agevolata di lavoratori
in mobilità. Il “part-time” può essere
- verticale, se prevede l’attività lavorativa a tempo pieno solo in alcuni
giorni (con facoltà di svolgere prestazioni lavorative straordinarie,
applicando ovviamente la disciplina legale e contrattuale vigente in
materia di lavoro straordinario nei rapporti di lavoro a tempo pieno)
- orizzontale, se prevede la riduzione della prestazione lavorativa
giornaliera, che è resa in tutti i giorni (con facoltà del datore del lavoro di
richiedere l’effettuazione di prestazioni di lavoro supplementare, nel
rispetto di quanto previsto nei contratti collettivi)
- misto, se prevede l’abbinamento dei primi due ed è definita dai contratti
collettivi.
Il lavoro intermittente
(detto anche a chiamata o “job on call”)
Con questo contratto il lavoratore (disoccupati con meno di 25 anni o lavoratori
con più di 45 anni iscritti alle liste di collocamento) si mette a disposizione del
datore di lavoro aspettandone la chiamata. Il lavoratore non lavora quindi in via
continuativa, ma svolge prestazioni di carattere discontinuo o intermittente.
-6-
Il lavoro ripartito
(detto anche “job sharing”)
In pratica due lavoratori si ripartiscono un posto di lavoro e, accodandosi con il
datore di lavoro, garantiscono insieme una determinata prestazione di lavoro;
entrambi i lavoratori sono responsabili dell’esecuzione della prestazione (il
datore di lavoro non può sottoscrivere il contratto con più di due persone).
Il lavoro occasionale ed accessorio
Oggetto di questo tipo di contratto sono prestazioni lavorative occasionali di
cura ed assistenza:
piccoli lavori domestici, babysitting, lavoro di badante, lezioni private,
giardinaggio, collaborazioni esterne con organizzazioni di volontariato,
rese da determinati soggetti iscritti in apposite liste tenute presso i centri per
l’impiego e cioè:
i disoccupati, le casalinghe, gli studenti, i pensionati, i disabili, ed i lavoratori
extracomunitari.
Il nuovo lavoro occasionale
prestazione *
lavoro accessorio
Reddito massimo
conseguibile
nell’anno solare
Limite massimo dei
giorni lavorati
nell’anno solare
Soggetti che
possono
esercitare la
prestazione di
lavoro
prestazione **
occasionale generica
3.000 euro
5.000 euro
30 giorni totali
30 giorni con
lo stesso
committente
Non
-disoccupati da oltre un anno,
-casalinghe, studenti, pensionati, specificati
-disabili e soggetti in comunità
di recupero,
-lavoratori extracomunitari nei
sei mesi successivi alla perdita
del lavoro.
Tipologia di attività -piccoli lavori domestici a Non
specificate
esercitabili
carattere straordinario,
-insegnamento privato
supplementare,
-piccoli lavori di giardinaggio,
pulizia e manutenzione di edifici
e monumenti,
-realizzazioni di manifestazioni
sociali, sportive, ecc.,
-collaborazione con enti pubblici
ed associazioni di volontariato.
-7-
lavoro a progetto
(ex co.co.co)
Non specificato
Non specificati
Sono
esclusi
i
soggetti titolari di
pensione di
vecchiaia e coloro
che esercitano
attività sotto
riportate
Sono escluse le
professioni
intellettuali iscritte in
appositi albi; le
co.co.co. rese ad
associazioni
e società sportive
dilettantistiche; la
amministrazione ed
il controllo delle
società e le
partecipazioni a
collegi e
commissioni.
Trattamento IRPEF Non assoggettata
Assoggettato:
assimilato ai redditi
da lavoro dipendente
Trattamento
ed INAIL
Assoggettato:
-INPS (percentuale
prevista del 17, 39%)
-INAIL (percentuale
variabile a seconda
del rischio specifico
del tipo di lavoro)
Assoggettata a
ritenuta di
acconto del
20 % (art. 25,
comma 1 dpr
600/73). Detti
redditi rientra
no nell’art. 81
comma 1 Tuir
redditidiversi.
Non
INPS Assoggettata:
-INPS un euro sui 7,5 di ogni assoggettata
buono (13,33 %),
-INAIL 0,5 euro sui 7,5 di ogni
buono (6,67 %)
* Si intende per lavoro accessorio l’attività lavorativa di natura meramente occasionale resa da
soggetti a rischio di esclusione sociale, non ancora entrati nel mercato del lavoro oppure in
procinto di uscirne.
** Si intendono per prestazioni occasionali generiche i rapporti di durata complessiva non
superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente. Quindi possono
essere effettuati da chiunque non possegga una partita IVA. I compensi non devono superare i
5.000 euro per anno solare (limite inteso come somma percepita da tutti i committenti). Detti
compensi non saranno da assoggettare né ad INPS e né ad INAIL, mentre resterà dovuta la
ritenuta IRPEF a titolo di acconto pari al 20 %. I compensi continueranno ad essere dichiarati
nei modelli 770 delle imprese committenti, mentre per il percettore continueranno ad essere
computati fra i “redditi diversi”, da inserire nel quadro L del modello Unico.
Il contratto di inserimento
destinato a sostituire il contratto di formazione e lavoro.
I nuovi percorsi dell’apprendistato
I cui contenuti precisi saranno definiti dalle Regioni e dalle Province
Autonome di Bolzano e di Trento. Sono previsti tre differenti casi:
- 1) apprendistato per istruzione e formazione (fra i 15 ed i 18 anni e con
durata non superiore ai tre anni)
- 2) apprendistato professionalizzante, che è rivolto ai giovani fra i 18 ed i
29 anni; si tratta di una specializzazione o approfondimento e può
durare dai 2 ai 6 anni)
- 3) apprendistato per ottenere un diploma o una alta formazione
universitaria (età fra i 18 ed i 29 anni.
Il tirocinio estivo di orientamento
In sostanza, gli adolescenti ed i giovani, iscritti regolarmente presso scuole
superiori od università, possono svolgere un tirocinio estivo presso un’azienda,
per una durata non superiore a tre mesi. Tale tirocinio non costituisce un
rapporto di lavoro. (adolescenti con età tra i 15 ed i 25 anni – giovani con età tra
i 18 ed i 29 anni).
-8-
(2)
Apertura del collocamento ai privati
I centri per l’impiego vengono modificati e le vecchie strutture lasciano il posto
ad “agenzie per il lavoro”, che avranno il ruolo di operatori polifunzionali
collegati fra loro in rete, facendo nascere una vera e propria borsa del lavoro.
Ora quindi i servizi privati potranno affiancare il pubblico nel facilitare
l’incontro tra la domanda e l’offerta del lavoro, ma anche nel fornire ai
lavoratori attività di sostegno e di orientamento.
(3)
Modifica delle collaborazioni coordinate e continuative (co.co.co.)
Tali collaborazioni dovranno essere legate ad un progetto, specificato in forma
scritta, così come la sua durata ed il relativo corrispettivo. In tal modo, tutto ciò
che non rientra in questa formula sarà considerato lavoro subordinato, a tempo
determinato o a tempo indeterminato (vengono esclusi dalle nuove regole: i
pensionati di vecchiaia, le professioni intellettuali con iscrizioni in albi
professionali, le co.co.co rese ad associazioni e società sportive, i componenti di
organi di amministrazione di società, i partecipanti a commissioni e collegi).
(4)
Staff leasing
Strumento assai diffuso negli USA. Si tratta cioè della possibilità di ricorrere
all’affitto di manodopera a tempo indeterminato e per interi staff. Ricorso che
può scattare solo in presenza di ragioni di carattere tecnico produttivo ed
organizzativo, individuate dalla legge e dai contratti collettivi.
Nota del ministero del lavoro e delle politiche sociali sulla riforma Biagi
La riforma Biagi vuole aumentare in tempi brevi il numero delle persone che
lavorano regolarmente. Lo sviluppo economico si deve infatti accompagnare ad
una più elevata capacità di produrre posti di lavoro aggiuntivi. Le regole attuali
hanno in parte la responsabilità di avere fatto dell’Italia il Paese con il più basso
tasso di occupazione regolare ed il più alto numero di lavoratori “in nero” in
tutta Europa. La riforma Biagi vuole occupare in particolare più giovani nel
Mezzogiorno, e più donne e più anziani nell’intero Paese.Questo obiettivo si
realizza con un mercato del lavoro trasparente, nel quale viene tempestivamente
monitorata la condizione di ciascuna persona in età di lavoro, e con un sistema
di servizi pubblici e privati che, in rete tra di loro, accompagnano e facilitano
l’incontro tra coloro che cercano lavoro e coloro che cercano lavoratori. Regole
-9-
più moderne e più europee vogliono favorire il reciproco adattamento fra le
esigenze dei lavoratori e quelle delle imprese, con particolare riguardo all’orario
di lavoro. In ogni caso, la riforma Biagi ha lo scopo di promuovere un lavoro
regolare e non precario e di fornire tutele effettive. Al contrario, le regole
tradizionali hanno nei fatti prodotto tanti lavori “in nero” od insicuri, come nel
caso di molte collaborazioni coordinate e continuative.
In Italia lavora regolarmente solo un cittadino su due tra 15 e 65 anni e solo il 42
per cento delle donne: le percentuali più basse d’Europa. Solo un cittadino su
due paga il sistema previdenziale, mentre nei Paesi più evoluti si raggiungono
livelli superiori al 70 per cento. In Italia sono disoccupate 9 persone su 100 (18
in alcune aree del Mezzogiorno); in particolare, molto debole è nel mercato del
lavoro la condizione delle donne, degli adulti over 45 e dei giovani. I giovani
italiani abbandonano precocemente i percorsi scolastici e partecipano ad attività
formative meno dei coetanei europei, ma in Italia la disoccupazione giovanile e
la disoccupazione di lungo periodo (più di dodici mesi senza lavoro o
formazione) è a livelli tra i più alti d’Europa. L’Italia senza lavoratori del Nord
Est si contrappone all’Italia senza lavoro del Mezzogiorno; l’assenza di adeguati
servizi all’impiego aggrava le caratteristiche strutturali e permanenti nel tempo
della disoccupazione meridionale. Il lavoro nero ed irregolare assume in Italia
dimensioni molto superiori rispetto alla media degli altri Paesi europei,
superando, secondo stime recenti, i cinque milioni di posizioni lavorative.
In Italia solo il 4 per cento dei rapporti di lavoro passa dagli attuali servizi per
l’impiego, nati recentemente dal monopolio pubblico degli uffici di
collocamento dedicati solo a pratiche burocratiche. Gli operatori privati sono
rappresentati quasi soltanto dalle agenzie che forniscono lavoro in affitto a
tempo determinato. Così, chi cerca lavoro o cerca lavoratori brancola nel buio e
si affida a meccanismi inefficienti (le reti degli amici, i passaparola, le
conoscenze dei genitori, ecc.). Con il decreto legge 297 del dicembre 2002,
anch’esso disegnato da Marco Biagi, è stata prioritariamente riformata la
funzione pubblica dei servizi all’impiego. Sono finiti i libretti di lavoro e le
vecchie procedure burocratiche di autorizzazione, per fare posto all’anagrafe del
lavoratore. La conoscenza immediata della posizione di ciascuno rispetto al
lavoro consente di erogare tempestivi servizi di orientamento a chi cerca lavoro
e di indirizzare le attività di formazione secondo gli effettivi bisogni prioritari
dei cittadini e delle imprese. Il decreto legislativo di attuazione consentirà ora lo
sviluppo e la diffusione degli operatori privati, cui sarà consentito, a determinate
condizioni, di erogare tutti i servizi (collocamento, ricerca e selezione,
orientamento e formazione, somministrazione di lavoro, ecc.) nella nuova
denominazione di agenzie per il lavoro. I Comuni potranno fare collocamento
con particolare attenzione ai soggetti svantaggiati, per i quali sono incentivate le
forme di collaborazione con gli operatori privati e privato/sociale. Scuole ed
Università potranno collocare i propri allievi nel mercato del lavoro attraverso
tirocini e contratti di lavoro, sviluppando le relazioni con le attività produttive
- 10 -
del territorio e realizzando progetti di trasferimento tecnologico con dotazione di
risorse umane. I servizi privati sono gratuiti per i lavoratori ed onerosi solo per
le imprese. Operatori pubblici e privati saranno presto collegati tra di loro
attraverso un sistema informatico nella borsa continua nazionale del lavoro…….
============
OBBLIGHI
DEL LAVORATORE E DEL DATORE DI LAVORO
Del lavoratore
- eseguire con diligenza e correttezza la prestazione stabilita nel contratto,
- obbligo di obbedienza alle direttive di lavoro,
- obbligo di fedeltà all'azienda, e quindi anche divieto di fare concorrenza,
- osservare il segreto professionale e non divulgare, quindi. ad estranei notizie
fatti od atti che riguardano l'attività di lavoro.
Del datore di lavoro
- servirsi dell'ufficio di collocamento,
- verificare che il lavoratore abbia il libretto di lavoro,
- pagare la retribuzione stabilita,
- rispettare le ore di lavoro stabilite,
- concedere le ferie annuali,
- rispettare le assicurazioni di legge,
- pagare il trattamento di fine rapporto.
Nota
a proposito di ferie annuali, ricordiamo la sentenza numero 14020/2001 delle
sezioni unite della corte di cassazione, depositata il 12 novembre 2001. In
sostanza, ai fini del calcolo delle ferie, i giorni trascorsi in malattia vanno
equiparati a quelli di lavoro effettivamente svolto. Sono quindi illegittime tutte
le disposizioni contrattuali che stabiliscono il contrario. E le imprese dovranno
allora riconoscere e ricostruire ai lavoratori il monte ferie annuale maturato.
Il rapporto di lavoro autonomo (art. 2222 del codice civile)
una persona, professionista o artigiano, si obbliga a compiere, verso
corrispettivo, un’opera o un servizio, con lavoro proprio e senza subordinazione,
nei confronti di un committente. Tale rapporto, di regola, non forma oggetto del
diritto del lavoro, ma viene disciplinato normalmente dal diritto commerciale.
I DIRITTI DEL LAVORATORE
Libertà di opinione
L'articolo 21 della Costituzione e l’articolo 1 della legge 300/1970 (detta anche
"statuto dei lavoratori") dicono che ognuno può liberamente manifestare il
- 11 -
proprio pensiero nei luoghi di lavoro. Sono vietati da parte del datore di lavoro
atti discriminatori (cioè vendette personali, dettate da antipatia, pregiudizio,
intolleranza, arroganza, eccetera),
Diritto alla salute
vedi articoli 32 e 38 della Costituzione e la citata legge 300/1970. Inoltre, sul
supplemento ordinario n. 226 alla gazzetta ufficiale 8/9/2001 n. 209, è stato
pubblicato il decreto ministeriale 2/5/2001, che definisce i criteri per
l’individuazione e l’uso di dispositivi di protezione individuale (Dpi) e quindi
qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore per
proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la
salute durante il lavoro, nonché ogni complemento od accessorio destinato a tale
scopo. Tra le figure professionali interessate all’uso dei dispositivi di protezione
individuale, in un ente locale, possiamo menzionare: l’elettricista, il
manutentore, il disinfestatore, l’idraulico, l’addetto ai servizi cimiteriali,
l’addetto agli impianti di depurazione, il magazziniere, eccetera. Per quanto
riguarda le sanzioni, il datore di lavoro ed il dirigente sono puniti con l’arresto
da tre a sei mesi o con l’ammenda da lire tre milioni a lire otto milioni, se non
forniscono i lavoratori di dispositivi di protezione individuale, se questi non
sono conformi alla normativa vigente e se non vengono addestrati all’uso degli
stessi; mentre sono puniti con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda
da lire un milione a lire cinque milioni, se non forniscono istruzioni
comprensibili e se il lavoratore non viene informato preliminarmente dei rischi,
dai quali il dispositivo di protezione individuale lo protegge.
Privacy: i dati sanitari del dipendente
Il garante, per la protezione dei dati personali, ha stabilito che le informazioni
sullo stato di salute del dipendente devono essere conservati separatamente dalle
altre di natura personale. Il fascicolo del lavoratore, che raccoglie gli atti relativi
alla nomina, al percorso professionale ed ai fatti più significativi della carriera
individuale, può mantenere la sua unitarietà, purché si adottino particolari
cautele. Il garante ha sottolineato che la normativa vigente, pur non arrivando a
stabilire un obbligo del datore di lavoro di provvedere all’assoluta ed integrale
segregazione dei dati sensibili dei dipendenti, ha introdotto una serie di obblighi
e cautele da rispettare nel trattamento dei dati personali. I datori di lavoro sono
quindi tenuti ad impiegare tecniche, codici, o altri sistemi che permettano di
identificare gli interessati solo in caso di necessità ed unicamente per lo
svolgimento di rilevanti finalità di interesse pubblico (articolo 3 del decreto
legislativo numero 135199).
Diritto di svolgere attività sindacale
Interessante ricordare che la corte di cassazione, con la sentenza numero 7091,
ha stabilito che rischia il licenziamento il rappresentante sindacale, che
distribuisce volantini contro il datore di lavoro, rappresentandolo con vignette
ingiuriose. Ancora, la suprema corte afferma che le norme del codice civile, ed
- 12 -
in particolare l'articolo 2043, contemplano una tutela più ampia della persona
offesa, rispetto alle norme del codice penale.
Diritto di sciopero
La legge vuole comunque che siano assicurati sempre i servizi vitali ed
essenziali dei cittadini,
Diritto alla retribuzione
- il datore di lavoro deve consegnare il prospetto paga (“busta paga”) e la paga
minima è fissata dai contratti collettivi,
- l’articolo 36 della Costituzione dice, inoltre, che la retribuzione deve
assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa,
- elementi della retribuzione sono:
la paga base, che è fissata dai contratti di lavoro; l'indennità di contingenza,
che è un elemento che varia con il variare del costo della vita; gli scatti di
anzianità, che sono calcolati sulla anzianità di servizio; il premio di
produzione, che è un premio per la operosità dei lavoratori, con lo scopo
di stimolare l'aumento della produttività aziendale.
Nota
nel caso che un lavoratore debba essere punito, per scorrettezze od altro, esiste sempre il diritto alla
difesa e quindi di essere sentito a discolpa. Qualsiasi tipo di sanzioni, che un datore di lavoro ritenga di
dover applicare nei confronti dei dipendenti, deve essere portato a conoscenza di tutti i lavoratori
dell'azienda, mediante affissione di appositi manifesti in una bacheca..Infine, nessun provvedimento
disciplinare può essere applicato prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto
del fatto.
IL LAVORO A DOMICILIO
legge 18/12/1973 n. 877 – legge 16/12/1980 n. 858
Lavoratore di questo tipo è considerato chiunque, con vincolo di subordinazione,
esegue nel proprio domicilio o in un locale di cui abbia la disponibilità, anche
con l’aiuto di membri della sua famiglia conviventi a carico (ma con esclusione
di manodopera salariata e di apprendisti), un lavoro retribuito per conto di uno o
più imprenditori, utilizzando materie prime ed attrezzature proprie o dello stesso
imprenditore, anche se fornite da terzi. Il lavoratore a domicilio deve possedere,
a cura dell’imprenditore, uno speciale libretto di controllo, che deve contenere la
data e l’ora di consegna del lavoro a lui affidato, la descrizione del lavoro, la
qualità e la quantità del lavoro da eseguire, la quantità e la qualità dei materiali
consegnati, l’indicazione della misura della retribuzione, dell’ammontare delle
eventuali anticipazioni, nonché la data e l’ora della riconsegna del lavoro
eseguito con specificazione della quantità e qualità, degli altri materiali
eventualmente restituiti e l’indicazione della retribuzione corrisposta, dei singoli
elementi di cui questa si compone e delle singole trattenute. Il libretto personale
di controllo, sia all’atto della consegna del lavoro affidato, che all’atto della
- 13 -
riconsegna del lavoro eseguito, deve essere firmato dall’imprenditore o da chi ne
fa le veci e dal lavoratore a domicilio. Il libretto personale di controllo
sostituisce a tutti gli effetti il prospetto di paga ed è l’unico sistema valido, per
l’imprenditore, per poter verificare con esattezza le ore impiegate per lo
svolgimento del lavoro e di conseguenza calcolare la retribuzione spettante al
lavoratore. Le varie festività esistenti nell’annata hanno lo stesso valore ed
efficacia anche per i lavoratori a domicilio.
Il lavoratore a domicilio può gestirsi in maniera elastica l’orario di lavoro,
organizzandosi al meglio. E’ infine vietato alla aziende, interessate da
programmi di ristrutturazione riorganizzazione e di conversione, che abbiano
comportato licenziamenti o sospensioni dal lavoro, affidare lavoro a domicilio
per la durata di un anno, rispettivamente dall’ultimo provvedimento di
licenziamento o dalla cessazione delle sospensioni.
“STATUS” DI DISOCCUPAZIONE
Nella primavera del 2000, il consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva
il decreto legislativo che fissa la definizione di "status di disoccupazione" e mira
a coinvolgere sempre più i disoccupati di lunga durata in iniziative di
formazione e di lavoro.
Disoccupato di lunga durata è chi ha perso il lavoro o cessato un'attività e cerca
nuova occupazione da più di dodici mesi.
La condizione di disoccupazione, però, verrà riconosciuta solo se le persone
interessate si presenteranno agli uffici di collocamento entro 180 giorni
dall'entrata in vigore del decreto.
Solo da allora scatteranno tutti i benefici previsti dalla legge e si potrà usufruire
dei colloqui di orientamento e dei corsi di formazione e riqualificazione
professionale che i servizi all'impiego dovranno organizzare. I colloqui
dovranno avvenire entro sei mesi dall'inizio dello stato di disoccupazione.
Severe le norme nei confronti di chi non si presenterà al colloquio di
orientamento e di chi rifiuterà un'offerta di lavoro a tempo pieno e
indeterminato, o determinato, o di missione superiore almeno a quattro mesi e
con sede lavorativa nel raggio di 50 chilometri dal suo domicilio (perderà
l'anzianità nello stato di disoccupazione).
In vista del riordino degli incentivi all'occupazione e della riforma degli
ammortizzatori sociali - si legge in una nota del ministero del lavoro - il decreto
contribuisce a cambiare radicalmente le politiche dell'impiego, in linea con la
riforma del collocamento. In particolare - prosegue la nota - si passa ad una
politica attiva, al centro della quale i servizi per l'impiego, decentrati alle
competenze regionali, opereranno per far incrociare la domanda e l'offerta di
lavoro e quindi per prevenire sia la disoccupazione giovanile che quella di lunga
durata.
- 14 -
Nota
Il decreto legge n. 346/2000 stabilisce che l’assegno di disoccupazione passi dal
30% al 40% e ripristina il diritto alla pensione di reversibilità.
La retribuzione cui si deve fare riferimento per la determinazione
dell’indennizzo è quella media goduta nei tre mesi precedenti l’inizio del
periodo di disoccupazione. L’ammontare dell’assegno mensile non può
comunque superare un determinato tetto prestabilito dalle leggi in materia.
Il diritto all’indennità giornaliera sorge con il concorso di due requisiti
contributivi: almeno due anni di assicurazione per la disoccupazione ed almeno
52 contributi settimanali nel biennio precedente la data di cessazione del
rapporto di lavoro.
Il trattamento spetta per un periodo massimo di 180 giorni (sei mesi quindi) al
dipendente rimasto senza lavoro in seguito a licenziamento.
Dal primo gennaio 1999 non è più riconosciuto nei confronti di chi si dimette
volontariamente. Dal primo dicembre 2000, altra novità, per i soggetti con età
anagrafica pari o superiore a 50 anni, il periodo massimo indennizzabile sale a
nove mesi. Infine è bene ricordare che se si perde il lavoro, sia in caso di
licenziamento che di sospensione, occorre iscriversi subito al “servizio per
l’impiego” (ex ufficio di collocamento), sia per il diritto di precedenza che per
l’eventuale diritto alla disoccupazione. Quando, infatti, termina il periodo di
lavoro, si può usufruire di determinati sussidi economici.
Un decreto, infine, del consiglio dei ministri, di data 11/4/2002, ha stabilito che
sono considerati disoccupati di lunga durata i soggetti alla ricerca di una
occupazione da più di 12 mesi (sei mesi se giovani con meno di 25 anni) e che
spetterà alle regioni stabilire i modi di accertamento e di verifica periodica dello
stato di disoccupazione.
LA TUTELA DEL MINORE
legge 17/10/1967 n. 977
dpr. 432/1976 – dlgs 9/9/1994 n. 566
La legge citata opera una distinzione fra fanciulli ed adolescenti, intendendosi
per fanciulli i minori che non hanno compiuto i 15 anni e per adolescenti coloro
che hanno una età compresa fra i 15 ed i 18 anni.
Le particolarità di rilievo sono le seguenti:
- a parità di inquadramento formale del minore, deve essere garantito un
trattamento economico pari a quello spettante al lavoratore adulto; come pure
un periodo minimo di ferie annuali retribuite, indipendentemente
dall’anzianità di servizio,
- una visita medica deve sempre precedere l’assunzione e nel corso del
rapporto lavorativo vanno effettuate periodicamente ulteriori visite,
- 15 -
- per quanto riguarda l’attività lavorativa, è prevista l’età di 14 anni per
l’agricoltura e per i servizi familiari; 15 anni per gli altri lavori, a condizione
che si tuteli la salute e l’obbligo scolastico; 18 anni per i lavori sotterranei
(miniere), per la somministrazione di bevande alcoliche e per i lavori
notturni.
LA TUTELA DEL LAVORO FEMMINILE
L 'articolo 37 della Costituzione dice che deve essere garantita l'uguaglianza fra
uomo e donna.
Tutte le attività che hanno come scopo quello di favorire l'uguaglianza fra uomo
e donna nell'ambiente di lavoro si chiamano: "azioni positive".
- ad uomo e donna, a parità di lavoro, deve essere garantita la stessa
retribuzione,
- la donna lavoratrice ha diritto, nel primo anno di vita del bambino, alla
astensione facoltativa dal posto di lavoro, con conservazione di detto posto, e
così per malattie del bimbo fino ai tre anni di vita,
- è vietato licenziare una lavoratrice durante il periodo della maternità (vedasi
la legge del 30 dicembre 1971 n. 1204 sulla tutela delle lavoratrici madri),
- è vietato pure licenziare una lavoratrice per matrimonio della stessa, ed i
licenziamenti fino ad un anno dalle nozze si presumono fatti per questo
motivo (il periodo di un anno dal matrimonio si chiama anno sospetto).
Nota
una lavoratrice incinta non sempre appare ben vista dal datore di lavoro. La legge
però la tutela in modo particolare, proprio contro il licenziamento. La protezione
offerta alla donna incinta contro il licenziamento è considerevole. Essa, infatti, non
può essere licenziata per tutto il periodo che va dall’inizio della gestazione e fino ad
un anno dal parto.
Il datore di lavoro può, tuttavia, procedere al licenziamento quando ricorrono le
seguenti circostanze:
- per gravi e comprovate negligenze nel lavoro,
- se l’Azienda cessa la propria attività,
- se l’assunzione è stata a tempo determinato.
Per lo stesso periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice
non può neppure essere sospesa dal lavoro, a meno che lo stesso provvedimento
non riguardi l’intera Azienda o l’intero reparto.
Per poter godere dei benefici garantiti dalla legge, la lavoratrice deve far
pervenire al suo datore di lavoro un certificato di gravidanza che, tra gli altri,
deve riportare il mese di gestazione e la data presunta del parto.
- 16 -
Se la lavoratrice viene illecitamente licenziata, ha diritto ad essere reintegrata
nel proprio posto.
A questo scopo, entro novanta giorni dal suo allontanamento dal lavoro deve
presentare un certificato, dal quale risulti che al momento del licenziamento la
gravidanza era già in corso.
Un sistema piuttosto usato, per aggirare le norme sul licenziamento, era quello
di far firmare alla donna, al momento dell’assunzione, una lettera di dimissioni
in bianco, da usare in seguito al momento opportuno.
Ecco perché la legge sulla tutela delle lavoratrici madri prevede che le
dimissioni volontarie, presentate durante il periodo di gravidanza, debbano
essere sempre convalidate dall’Ispettorato del Lavoro.
In caso contrario, il contratto di lavoro rimane in vigore. Eventuali dimissioni
devono essere confermate dalla stessa interessata all’Ispettorato del Lavoro.
Il lavoro durante la gravidanza
- nel periodo della gravidanza è vietato assegnare alla lavoratrice mansioni
pesanti. Se queste fanno parte del lavoro abituale della lavoratrice, il suo
compito deve essere momentaneamente cambiato,
- nel periodo in cui la lavoratrice viene assegnata a mansioni diverse, deve
comunque mantenere la qualifica e la retribuzione originale,
- l'ispettorato del lavoro può anticipare il periodo di assenza obbligatoria se ci
sono complicazioni nella gestazione o se le condizioni ambientali o di
lavoro pregiudicano la salute della donna o del bambino o se non è
possibile assegnare la lavoratrice ad altre mansioni,
- anche nei primi periodi successivi al parto (e comunque nei mesi stabiliti dalla
legge), si deve rispettare il divieto di assegnare la lavoratrice al trasporto o al
sollevamento di pesi, a lavori pesanti, faticosi ed insalubri.
Nota
con il decreto 26/3/2001, recante il testo unico delle disposizioni legislative in
materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (che riassume ed
ordina la disciplina della legge 53/2000), è stata estesa alla lavoratrice domestica
la tutela prevista per le lavoratrici madri, in materia di astensione obbligatoria e
facoltativa nel periodo di gravidanza e puerperio ed in materia di divieto di
licenziamento durante lo stesso periodo.
Anche il collaboratore domestico, inoltre, ha diritto alle ferie e non possono
computarsi come ferie il periodo di preavviso, i giorni di malattia ed il congedo
matrimoniale.
Il mancato godimento delle ferie è considerato un illecito arricchimento del
datore di lavoro. Infine, anche i lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari,
sono soggetti alle prestazioni previdenziali di legge.
- 17 -
Come funziona la copertura economica in caso di maternità?
Dipendenti
l’indennità per il periodo di riposo obbligatorio, 2 mesi prima e 3 mesi dopo il
parto, è pari all’80 % della retribuzione (ma con l’intervento del datore di lavoro
si arriva quasi sempre al 100 %). L’assegno per astensione facoltativa, fino a sei
mesi entro l’anno di vita del bambino, è pari al 30 % dello stipendio.
Autonome
l’indennità spetta per i 2 mesi antecedenti la data presunta del parto e per i 3
mesi successivi a quella effettiva. Le giornate indennizzabili sono tutte quelle
che cadono nel periodo, tranne domeniche e festività infrasettimanali.
L’assegno per le coltivatrici dirette è di 48.785 al giorno; per le artigiane di
51.105 lire; per le commercianti di 43.905.
Professioniste
l’assegno di parto spetta alle iscritte alla gestione del 13 %, se hanno almeno tre
contributi mensili nei 14 mesi precedenti la data dell’evento. L’indennizzo viene
corrisposto una tantum, ed è pari ad una percentuale del massimale di
contribuzione, variabile in base all’anzianità fatta valere nei 14 mesi precedenti
l’evento: 0,60 % fino a quattro mensilità; 1,20 % da 5 a 8 mensilità; 2,40 % da 9
a 12 mensilità. La somma può raggiungere un massimo di tre milioni e mezzo.
Nota
le lavoratrici europee incinte devono essere tutelate nei confronti del licenziamento, anche se
il loro è un contratto a tempo determinato. Il principio è stato riaffermato dalla corte di
giustizia europea con due sentenze: la numero C/438/99 e la numero C/109/00 (Spagna e
Danimarca i Paesi interessati), che rappresentano un importante passo in avanti nella tutela
delle lavoratrici flessibili. Nella gravidanza si amplia, quindi, la tutela nel lavoro a tempo
determinato, poiché viene affermato e sottolineato dalla magistratura il principio che il
licenziamento viola la parità tra uomo e donna.
LE CONQUISTE DELLE DONNE
NEL VENTESIMO SECOLO
(1) il 2/6/1946, per la prima volta, viene esteso alle donne il diritto di voto,
(2) viene attuata da una legge del 1957, e successivamente con la legge 7/1963,
la parità salariale prevista già dall’art. 37 della Costituzione,
(3) viene introdotto il divorzio negli anni ’70, confermato poi da un referendum
del 12 maggio 1974,
(4) con leggi successive, dal 1950 in poi, viene tutelata la maternità delle
lavoratrici madri, con divieto di licenziamento entro il primo anno di vita
del bambino e vengono definite le assenze per maternità,
(5) con la legge sugli asili nido del 1971, viene favorita la permanenza nel
mondo del lavoro, anche dopo la nascita dei figli,
- 18 -
(6) con la riforma del diritto di famiglia del 1975, viene introdotta la parità tra
uomini e donne nell’ambito familiare, la potestà sui figli ad entrambi i
coniugi, con identici diritti e doveri,
(7) nel marzo 2000, con la legge n. 53 sui “congedi parentali”, viene introdotta
la parità fra uomo e donna in materia di assenza facoltativa,
(8) nel 1978 viene introdotta la legge sull’interruzione volontaria della
gravidanza, con lo scopo di prevenire le gravidanze indesiderate e
contrastare l’aborto clandestino,
(9) nel 1991 esce la legge sulle pari opportunità, che ha come scopo quello di
intervenire e rimuovere le discriminazioni sul lavoro fra uomo e donna,
(10) nel 1996 una legge stabilisce che la violenza sessuale non è più un delitto
contro la morale, ma contro la persona,
(11) nel 1998 la legge stabilisce il divieto assoluto per le donne al lavoro
notturno, durante la maternità e sino al compimento di un anno di vita del
bambino ed il non obbligo fino a che il bambino ha 3 anni, nel caso di
genitore unico, fino a 12 anni,
(12) nel 1999 viene prevista un’indennità di maternità per le donne che non
lavorano, o che svolgano il cosiddetto lavoro familiare. Con la finanziaria
del 2000, questo diritto viene esteso alle cittadine dell’unione europea ed
extracomunitarie con carta di soggiorno,
(13) nel 1999 la legge riconosce il lavoro in ambito domestico. Le persone tra i
18 ed i 65 anni, che svolgono in via non occasionale, gratuitamente e senza
vincolo di subordinazione, il lavoro domestico, hanno diritto
all’assicurazione contro gli infortuni.
IL PERIODO DI PROVA
art. 2096 del codice civile
Al lavoratore appena assunto si dà un periodo di prova, che deve risultare da un
atto scritto, con indicazione della durata.
Il patto di prova deve essere accettato e firmato da entrambi (il lavoratore ed il
datore di lavoro). Lo scopo del periodo di prova è, per il datore di lavoro, quello
di verificare la capacità professionale del lavoratore appena assunto; per il
prestatore di lavoro, invece, la prova ha la finalità di valutare la sua convenienza
o meno ad occupare quel determinato posto di lavoro.
Il periodo di prova ha una durata massima non prorogabile, normalmente
stabilità nei contratti collettivi, ed in genere non superiore ai sei mesi, secondo la
categoria. Durante tale periodo, il datore di lavoro può in ogni momento
recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso, salvo accordi diversi.
Il datore di lavoro, quindi, ha una facoltà di recesso insindacabile, con ampia
discrezionalità di valutazione e non vi è nemmeno l’obbligo di fornire una
valutazione; l’unico limite a tale facoltà di recesso è costituito dal motivo
- 19 -
illecito. Viene comunque garantito il trattamento di fine rapporto, come pure le
ferie retribuite o la relativa indennità sostitutiva.
Al termine del periodo di prova, il datore di lavoro può decidere di non
assumere il lavoratore, ma in questo caso deve dare una giustificare per iscritto.
Compiuto, pertanto, il periodo di prova, senza recesso da entrambe le parti, il
rapporto diventa definitivo ed il servizio prestato, a norma dell’articolo citato di p006j0.00011
Nota
ai sensi dell’art. 2118 del codice civile, è consentito ai contraenti del contratto di
lavoro a tempo indeterminato di recedere dallo stesso, dando preavviso scritto a
mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, nel termine e nei modi
stabiliti dagli usi o secondo equità. Il successivo articolo 2119 del codice civile
prevede che ciascuno dei contraenti possa recedere dal contratto di lavoro, prima
della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato o senza
preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa
che non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro
(fenomeno che viene conosciuto con il nome di “giusta causa”).
IL TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO
detto anche: “TFR”
art. 2120 del codice civile - legge 29/5/1982 n. 297
E' il compenso per la cessazione del lavoro, chiamato anche "liquidazione" o
"buona uscita" o meglio e più tecnicamente "TFR." (che significa "trattamento
di fine rapporto"). Il trattamento si calcola accantonando, al termine di ciascun
anno di servizio, una quota pari, e comunque non superiore, all’importo della
retribuzione dovuta per l’anno stesso, diviso per 13,5 (quindi il 7,40 % di tale
retribuzione). Si devono considerare tutte le somme corrisposte in dipendenza
del rapporto di lavoro a titolo non occasionale. Recita, inoltre, l’articolo 2948
numero 5 del codice civile, che il diritto al TFR si prescrive in cinque anni.
- non esiste più distinzione fra operai ed impiegati per il calcolo del
trattamento di fine rapporto,
- è previsto che si possa chiedere al datore di lavoro una anticipazione sul
trattamento di fine rapporto per motivi di salute o per acquistare la prima
casa di abitazione, per se o per i propri figli,
- ogni anno, poi, il datore di lavoro deve provvedere a far rivalutare il
trattamento di fine rapporto maturato, tenendo conto del costo della vita.
- gli infortuni, la gravidanza, il servizio militare (che ora è destinato a
diventare volontario), non toccano la liquidazione.
Un po’ di storia del trattamento di fine rapporto
(TFR)
1919: compaiono le prime forme di indennità di fine rapporto, ma solo per gli
impiegati,
1926: la contrattazione collettiva comincia ad estendere a tutti gli appartenenti
ad una determinata categoria l’indennità di fine lavoro,
1942: si inserisce l’istituto contrattuale nel nuovo codice civile. La
decisiva generalizzazione a tutti i lavoratori dipendenti viene decisa con
una legge nell’anno 1966,
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1977: un apposito decreto legge esclude dall’indennità la scala mobile maturata,
a partire dal 1° febbraio 1977,
1981: viene presentato un progetto abrogativo della legge del 1977,
1982: il legislatore interviene ancora con un ulteriore provvedimento, che viene
ritenuto idoneo a sospendere il referendum abrogativo. Viene, così,
approvata la legge n. 297, che ancora oggi regola il trattamento di fine
rapporto di lavoro,
2000: in data 2 febbraio, il governo presenta un disegno di legge di riforma del
trattamento di fine rapporto.
Fondo di garanzia
per garantire ai dipendenti la possibilità di riscuotere il trattamento di fine
rapporto, anche nei casi di insolvenza dei datori di lavoro, è stato istituito presso
l’INPS (art. 2 legge 297/1982) il “fondo di garanzia per il trattamento di fine
rapporto”, che si sostituisce al datore di lavoro, in caso di insolvenza del
medesimo, nella corresponsione del trattamento spettante ai lavoratori o ai loro
aventi diritto. Il fondo è alimentato con un apposito contributo, a carico dei
datori di lavoro, pari allo 0,15 % delle retribuzioni.
I SINDACATI
e l’articolo 39 della Costituzione
I sindacati sono associazioni di lavoratori, che agiscono per tutelare i comuni
interessi degli stessi; vanno inquadrati nell’ambito delle “associazioni non
riconosciute” e ad essi si applicano gli articoli 36 e seguenti del codice civile. Il
sindacato raggruppa tutti coloro che prestano la loro opera in imprese del
medesimo settore produttivo e merceologico. I sindacati possono avere un loro
fondo, che è alimentato soprattutto dai contributi dei lavoratori. L’articolo 39
della Costituzione garantisce la libertà di organizzazione sindacale e stabilisce
quindi che ogni lavoratore ha il diritto, se vuole, di aderire ad un sindacato di
suo gradimento. I sindacati devono essere registrati presso appositi uffici
centrali; devono avere un ordinamento democratico e possono stipulare contratti
collettivi con valore per tutti.
LA SERRATA
E' la chiusura da parte del datore di lavoro dei luoghi di lavoro, per rendere
impossibile il lavoro stesso, generalmente allo scopo di prevenire occupazioni,
danneggiamenti e boicottaggi. La Costituzione non prevede espressamente la
"serrata", ma nonostante ciò la serrata non è considerata delitto e quindi non è
punibile, anche perché la stessa Costituzione, all'articolo 41, garantisce ampia
libertà economica all'iniziativa privata. Ma la risposta definitiva sulla
- 22 -
applicabilità o meno della serrata sta in una decisione interpretativa della corte
di cassazione (che è il massimo organo di giustizia esistente in Italia e che ha
sede in Roma), che ha ammesso la serrata e quindi la sua legittimità solo in caso
di ritorsione, cioè nel caso che la serrata costituisca una risposta ad uno sciopero
illegittimo.
IL LIBRETTO DI LAVORO
che si è deciso di sostituire con la “scheda professionale”
E' un documento da cui risultano gli aspetti fondamentali della prestazione di
ogni lavoratore dipendente e precisamente:
- le generalità del lavoratore e del datore di lavoro,
- la qualifica professionale,
- i passaggi di categoria,
- la data di inizio e di cessazione del rapporto di lavoro.
Il libretto di lavoro è rilasciato dal sindaco del comune di residenza e serve per
iscriversi nelle liste di collocamento. Viene consegnato al datore di lavoro nel
momento dell'assunzione. Il libretto viene conservato dal datore di lavoro fino
alla fine del rapporto di lavoro. Il lavoratore ne può prendere visione in qualsiasi
momento. Contro ciò che il datore di lavoro può avere scritto nel libretto, si può
fare ricorso all'ispettorato del lavoro.
la scheda professionale
sostituirà il libretto di lavoro e darà attuazione al nuovo elenco anagrafico unico.
Con decreto ministeriale 30/5/2001, infatti, il ministero del lavoro ha provveduto
ad approvare il modello di scheda in base alle disposizioni del dpr (decreto
Presidente Repubblica) n. 442/2000, ed il regolamento di semplificazione del
collocamento, entrato in vigore in data 28/2/2001, e che ha abolito gli obblighi
per i datori di lavoro inerenti al libretto di lavoro.
Per quanto concerne la nuova scheda professionale, il citato dpr ha previsto
anche l’istituzione di un elenco anagrafico unico , contenenti i dati anagrafici
completi del lavoratore.
L’elenco è indispensabile per le persone che sono in cerca di lavoro, perché non
occupate, disoccupate o occupate ed in cerca d’altro lavoro.
E’ integrato ed aggiornato sulla base delle informazioni fornite dal lavoratore e,
d’ufficio, sulla base delle comunicazioni obbligatorie provenienti dai datori di
lavoro.
L’approvazione del modello di scheda professionale rappresenta un primo passo
per l’attuazione del nuovo elenco anagrafico; tra l’altro, conterrà le informazioni
relative alle esperienze formative e professionali ed alla disponibilità del
lavoratore.
L’ASSUNZIONE
(Vedasi anche la riforma Biagi di cui sopra)
- 23 -
Il contratto di lavoro individuale subordinato si crea con un contratto, che viene
chiamato: "contratto individuale di lavoro". La disciplina dell'avviamento al
lavoro è contenuta principalmente in due leggi, del 1949 e del 1987, ora
ampiamente superate con la nuova riforma del collocamento, deliberata dal
consiglio dei ministri in data 11/4/2002 (vedasi pure la riforma Biagi del
30/3/2003).
Vediamo, quindi, in sintesi le principali novità recentemente introdotte:
prima della citata riforma
chi cercava lavoro, doveva iscriversi presso l'ufficio del lavoro, che provvedeva
al collocamento nel mercato del lavoro. I datori di lavoro dovevano inoltrare qui
le loro richieste di assunzione e l'ufficio di collocamento rilasciava un
documento, chiamato "nulla osta" (parole che nella lingua latina significano: "va
bene"). Questa prassi non valeva per il pubblico impiego e per quelle attività che
erano regolate in maniera diversa;
dopo la riforma dell’11/4/2002
Liste di collocamento
il decreto sopprime le liste di collocamento ordinarie e speciali, ad esclusione
della gente di mare, di quella dello spettacolo e degli elenchi dei disabili. Per chi
è senza lavoro od ha intenzione di cambiarlo, vi è un elenco anagrafico per
contenere i dati del lavoratore, senza però che abbia importanza la data di
iscrizione, come accadeva per la lista di collocamento. Rimane in vigore anche
la lista dei lavoratori in mobilità, perché per questa è più opportuno intervenire
con la delega di riforma degli ammortizzatori sociali.
Chiamata diretta per tutti
si estende il principio della assunzione diretta. Non serve rivolgersi al
collocamento per trovare la persona interessata. La chiamata è nominativa e sarà
sufficiente una comunicazione per dare notizia dell’avvenuta assunzione.
Stato di disoccupazione
sono considerati disoccupati di lunga durata i soggetti alla ricerca di una
occupazione da più di 12 mesi (sei mesi se giovani con meno di 25 anni). Le
regioni stabiliscono i modi di accertamento e di verifica periodica dello stato di
disoccupazione. In sostanza, la disoccupazione è la condizione di una persona
priva di lavoro, che sia immediatamente disponibile allo svolgimento o alla
ricerca di una attività lavorativa.
Scheda professionale
con un nuovo decreto del ministero, sarà definito il formato di trasmissione ed il
sistema di classificazione dei dati contenuti nella scheda professionale del
lavoratore (che sostituisce il vecchio libretto di lavoro). I dati della scheda
saranno la base per la costituzione del sistema informativo lavoro (SIL).
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Lo sciopero, che è una astensione autorizzata dal lavoro, è un mezzo di lotta
sindacale ed è la principale forma di autotutela del lavoratore.
Lo sciopero è un diritto riconosciuto al lavoratore dall’art. 40 della Costituzione.
E’ un diritto individuale riconosciuto ad ogni singolo lavoratore e finalizzato
alla tutela degli interessi economici ed ambientali dei lavoratori.
Lo sciopero, oltre ad astensione totale del lavoro, può anche essere fatto a
singhiozzo (astensione discontinua ed a intervalli) oppure a scacchiera (sciopero
non di tutta la ditta, ma di un settore o di un ufficio, in giorni ed orari diversi).
La legge 146/1996 ha regolamentato lo sciopero nei servizi pubblici essenziali e
precisamente: per conciliare il diritto di sciopero con l'uguale esigenza di non
creare troppo disagio al pubblico, è indispensabile che un minimo di lavoratori
garantisca sempre i servizi essenziali e l'utenza deve sempre essere avvisata per
tempo prima dello sciopero.
I servizi pubblici considerati importanti e vitali, per tale legge, sono i seguenti:
-
la sanità,
la protezione civile,
la raccolta dei rifiuti,
l'energia elettrica,
vendita e confezionamento di beni di prima necessità,
i trasporti ferroviari aerei e marittimi,
pagamenti di stipendi da parte di pubblici uffici,
pagamenti di pensioni,
esami e scrutini nelle scuole pubbliche.
La legge sui servizi pubblici essenziali viene controllata da una apposita
commissione chiamata: "commissione di garanzia".
Per gravi motivi di sicurezza e di ordine pubblico, il capo del governo e le
prefetture possono ordinare ai lavoratori di non fare lo sciopero.
L’ordine si chiama “precettazione”. Durante lo sciopero viene sospesa la
retribuzione.
CLASSIFICAZIONE DEI LAVORATORI
- Dirigenti: sono collaboratori diretti del datore di lavoro, ai quali la legge
attribuisce poteri organizzativi.
. Quadri: sono collaboratori del datore di lavoro, con minor potere dei dirigenti,
ma che hanno nell'azienda compiti di particolare responsabilità.
- Impiegati: collaborano nell'organizzazione della produzione, ma senza compiti
di comando. Impiegati “di concetto” sono quelli che possono avere
autonomia di iniziativa nell'organizzazione del lavoro. Impiegati
“d'ordine” sono quelli che hanno solo mansioni esecutive.
- 26 -
- Operai: svolgono una attività prevalentemente manuale e si dividono in operai
specializzati (che hanno seguìto, per esempio, un corso di
addestramento o che hanno conseguito una qualifica) ed operai
comuni, che sono quindi generici.
Il lavoratore ha diritto di essere assegnato alle mansioni, per le quali è stato
assunto, oppure a quelle superiori, se abbia ottenuto successivamente il diploma
o la qualifica prevista. Notiamo che dal 1973, quasi sempre, è stato adottato nei
contratti collettivi di lavoro un inquadramento unico di operai ed impiegati,
articolato in diversi livelli, a ciascuno dei quali corrisponde un certo grado di
professionalità ed un medesimo ammontare della retribuzione base.
Dal Quotidiano "Il Sole 24 Ore" del 18/11/2000
Lo sciopero non dà il diritto di insultare
(pronuncia n. 14828 e n. 11845 della corte di cassazione)
Diritto di protesta, ma senza esagerare. Dalla corte di cassazione istruzioni per
l'uso su scioperi e manifestazioni. E con due sentenze ravvicinate, la corte si
pronuncia a favore dei datori di lavoro.
Domeniche senza paga
La pronuncia 14828 della sezione lavoro stabilisce che non hanno diritto alla
retribuzione domenicale i dipendenti in sciopero per 15 giorni consecutivi. E'
successo ai lavoratori di una società di trasporti di Potenza che, dopo uno
sciopero di due settimane, nella paga del mese successivo, non hanno trovato la
somma relativa alle domeniche incluse nel periodo di astensione dal lavoro.
Giustamente, secondo la corte di cassazione. Per i giudici di legittimità, infatti,
così come non è dovuta la paga per i giorni lavorativi che cadono nel periodo di
sciopero, allo stesso modo non spetta la retribuzione per le giornate di riposo
comprese in quell'arco di tempo. Quindi, essendo capitati i giorni festivi nel
periodo, "ininterrotto" sottolinea la corte, nel quale i lavoratori hanno deciso di
incrociare le braccia, l'obbligo retributivo del datore di lavoro è venuto meno.
Risarcimento al datore
E' andata peggio, invece, ad alcuni sindacalisti dei Cobas (nome di un sindacato)
dell'Alfa Romeo di Arese, anche loro in protesta contro dei provvedimenti
dell'azienda. In questo caso, i lavoratori si sono ritrovati in debito nei confronti
del datore, per aver espresso le loro doglianze senza il dovuto controllo. Nel
gennaio del '92 sei dipendenti hanno scritto e affisso due manifesti decisamente
aggressivi, per i quali sono stati riconosciuti colpevoli del reato di diffamazione
a mezzo stampa.
Sebbene il reato sia caduto in prescrizione, i lavoratori hanno dovuto comunque
risarcire il danno. Con la pronuncia 11845, i giudici della quinta sezione hanno
annullato la condanna penale per l'estinzione del reato, fatte salve le statuizioni
- 27 -
civili affermate in primo grado e confermate in appello. Poiché, infatti, con la
prescrizione si dà per scontato che il fatto delittuoso sia stato commesso, anche
se la sentenza non produce effetti in sede penale, restano in piedi le conseguenze
in materia civile. Perciò, la corte di cassazione ha confermato il risarcimento per
i danni da diffamazione, lasciando immutata la decisione del tribunale di
Milano, nella parte in cui liquida in 30 milioni la somma che i sindacalisti
devono alla propria società.
LO STATUTO DEI LAVORATORI
legge 300 del 20/5/1970
E’ un complesso di norme, di determinante importanza, che regolano i princìpi
basilari del lavoro.
Vediamo in sintesi le principali disposizioni:
- diritto di libertà sindacale,
- diritto di propaganda nei luoghi di lavoro,
- divieto di ritorsioni (minacce) da parte dei datori di lavoro,
- divieto da parte dei datori di lavoro di creare sindacati di comodo, da essi
stessi controllati (i così detti falsi sindacati fantocci),
- divieto di licenziamento dei sindacalisti,
- diritto di assemblea nei luoghi di lavoro,
- diritto di permessi retribuiti ai sindacalisti,
- diritto di affissione di comunicati all'albo sindacale,
- diritto dei lavoratori di pagare contributi sindacali, mediante trattenute sulla
busta paga,
- divieto, da parte dei datori di lavoro, di repressione della condotta sindacale
nei luoghi di lavoro
Nota
si riportano più oltre, alla fine di questo capitolo, i passi più significativi della legge 20 maggio 1970 n. 300,
denominata: “statuto dei lavoratori”. Il governo intende modificare, in via sperimentale e parziale, l’articolo 18 dello
statuto dei lavoratori (riportato interamente più avanti). Si vorrebbe sostituire l’obbligo di reintegro, nei casi di
licenziamento illegittimo, con un risarcimento, per le aziende che emergono dal sommerso. Vi è pure intenzione di
trasformare i contratti da tempo determinato a tempo indeterminato e per le imprese che operano nuove
assunzioni, superando la soglia dei 15 addetti.
Numero di dipendenti (più o meno di 15) nelle imprese, secondo l’area di attività, nel 2001.
(fonte. Istat)
dipendenti
fino a 15 lavoratori
oltre a 15 lavoratori
industria
1.527.752
3.370.999
commercio
718.668
621.528
Dal Quotidiano "Alto Adige" del 22/12/2000
un assegno familiare anche per i papà single
sentenza della Cassazione sul caso di un Altoatesino
- 28 -
servizi
935.584
2.282.682
Assegni dell'INPS, a sostegno del nucleo familiare, anche nelle buste paga dei
papà non sposati e non conviventi col figlio legalmente riconosciuto, che vive
con la mamma naturale.
Dando ragione ai diritti dei padri single, dipendenti a basso reddito, la
cassazione ha respinto una serie di ricorsi con i quali l'INPS contestava le loro
pretese. La suprema corte ha confermato l'orientamento espresso dal tribunale
del lavoro di Bolzano, che aveva accolto la richiesta di un altoatesino di ottenere
dall'INPS, che non voleva darglieli, gli assegni per il nucleo familiare in seguito
alla nascita, nel '93, del figlio.
Il bimbo non viveva con lui, ma con la mamma: i due genitori non erano sposati,
ma avevano entrambi riconosciuto il piccolo e si erano lasciati per
incompatibilità di carattere.
L'INPS si opponeva, sottolineando il fatto che, se il padre lavoratore non viveva
col figlio, questo era un elemento preclusivo al diritto di avere l'assegno in
discussione.
Ma la corte di cassazione ha respinto le obiezioni dell'INPS, rilevando che la
legge 153 del 1988 ha integrato il reddito del nucleo familiare considerato nel
suo complesso e non già la retribuzione del capo famiglia. Per cui quel che conta
- ai fini dell'erogazione - sono il numero dei componenti il nucleo e le entrate
complessive e non è richiesta alcuna convivenza.
LA NUOVA LEGGE SUI CONGEDI PARENTALI
legge n. 53 del marzo 2000
(per mamma e papà più tempo per i figli)
Finalmente non si parlerà più di "assenza per maternità " ma di "congedo dei
genitori": E' stata varata la legge - 28 articoli - che permette anche ai padri di
occuparsi dei figli, garantendo loro gli stessi diritti e tutele delle madri. In
sintesi, adesso, sia la madre che il padre potranno chiedere l'aspettativa per sei
mesi, per un massimo di dieci mesi complessivi, fino agli otto anni di vita del
bambino.
Tali diritti vengono riconosciuti anche alle coppie conviventi, ai single ed ai
genitori adottivi.
Ma la legge introduce novità anche nella qualità e nei tempi di vita delle
persone: il periodo per fare formazione, i piani dei Comuni per coordinare orari
di negozi e servizi pubblici, le campagne di informazione.
La legge non riguarda solo la cura dei bambini: l'articolo 20 estende le
agevolazioni dei congedi ai genitori ed ai familiari lavoratori (pubblici o privati)
che assistono "con continuità ed in via esclusiva un parente o un affine, entro il
terzo grado, portatore di handicap, anche se non convivente".
Questo significa che i benefici della legge sono estesi anche ai familiari che
assistono gli anziani non auto sufficienti.
La legge, inoltre, con gli articoli 5 e 6, introduce una disciplina dei congedi per
la formazione. Al fine di facilitare l'accesso ai corsi di formazione (per
- 29 -
completare la scuola dell'obbligo, per conseguire il titolo di studio di secondo
grado, del diploma universitario o di laurea, ecc.), se il lavoratore ha almeno 5
anni di servizio, gli è consentito di sospendere il rapporto di lavoro per un
periodo non superiore a 11 mesi, continuativo o frazionato nell'arco dell'intera
vita lavorativa, senza retribuzione, ma con il mantenimento del posto.
Tale periodo non è cumulabile con le ferie, la malattia o altri congedi e non fa
maturare anzianità di servizio.
Le novità della legge
Da oggi in poi saranno entrambi i genitori e non soltanto le madri ad aver diritto
di assentarsi dal lavoro, per occuparsi dei figli, per assisterli quando si
ammalano, per aiutarli negli studi, per giocare con loro e portarli a spasso.
E i padri non dovranno più barcamenarsi implorando, perché il datore di lavoro
conceda ferie o permessi: finalmente è stata approvata la legge "sui congedi
parentali e sui tempi di vita della città", che estende a loro tutele e diritti fino ad
ora esclusivo appannaggio delle madri.
Ma non solo:
- la legge estende tale sostegno anche a chi assiste i portatori di handicap,
- introduce novità nel campo della formazione, concedendo appositi periodi,
- indica nuovi compiti alle regioni ed ai comuni, per tempi, considerati più
sostenibili, delle città,
- mette in bilancio massicce campagne di informazione e preannuncia un testo
unico delle leggi vigenti in materia.
Non c'è dubbio che questo provvedimento - che modifica le forme di tutela
previste dalla legge 1204 del 30 dicembre 1971 - sia un vantaggio per le
famiglie, per il sostegno che dà alla maternità e alla paternità responsabili, ed
inoltre rappresenti una svolta culturale che, si prevede, potrà avere nel tempo
l'effetto di invertire l'attuale tendenza al calo demografico.
Chi è interessato?
Oltre ad estendere ai padri il diritto ai congedi dal lavoro per la cura dei figli - e
questa è la prima grande novità - la legge (art.3) attribuisce tale diritto anche ai
single (il genitore solo, infatti, può usufruire dell'intero periodo di 10 mesi) ed ai
genitori adottivi ed affidatari, i quali, se il figlio ha fra i 6 e i 12 anni, all'atto
dell'adozione e dell'affidamento, possono assentarsi dal lavoro "nei primi tre
anni dall'ingresso del minore nel nucleo familiare".
La legge non fa mai riferimento esplicito alla coppia "tradizionale" e chiama in
causa i conviventi (art.4), e quindi estende le sue tutele anche a chi non è
coniugato.Anche commercianti ed artigiani potranno usufruire dei congedi
facoltativi, ma solo durante il primo anno di vita del figlio e per un massimo di
tre mesi.
La durata dei congedi
I tempi da dedicare alla famiglia raddoppiano: è previsto un periodo,
continuativo o frazionato, non superiore complessivamente a 10 mesi (e per un
- 30 -
massimo di 6 mesi ciascuno) di congedo, per padre e madre, entro gli otto anni
di vita del bambino.
I mesi possono diventare 11 per i due genitori, e questo è un “bonus” per i padri,
se il padre ha scelto di stare a casa con la prole per almeno 3 mesi; e questo
porta a 7 mesi il termine massimo di astensione dal lavoro.
In caso di parto gemellare, le ore di permesso per allattamento raddoppiano
(anche per i papà); in caso di parto prematuro "i giorni non goduti di astensione
obbligatoria, prima del parto, vengono aggiunti al periodo di astensione
obbligatoria dopo il parto" (art.11).
Maternità flessibile (art.12): non c'è più la divisione rigida dei due mesi prima e
dei tre dopo il parto e 1a madre può decidere di frammentarli come vuole. In
caso di malattia del bambino, fino ai primi tre anni non ci sono limiti di tempo
per fruire dell'astensione, mentre dai tre fino agli otto anni d'età ciascun genitore
potrà assentarsi dal lavoro con permessi non retribuiti fino ad un massimo di
cinque giorni per ciascun anno.
Inoltre, sia per l'astensione facoltativa, sia per i permessi per malattia, e questa è
un'altra novità, si abolisce il principio che il padre possa chiederli solo a
condizione che la madre sia lavoratrice dipendente.
E' stato infatti aggiunto alla legge 1204 del 1971 un comma: "il diritto di
astenersi dal lavoro ...ed il relativo trattamento economico sono riconosciuti
anche se l'altro genitore non ne ha diritto".
L'astensione obbligatoria per maternità viene estesa anche al padre lavoratore, in
caso di morte o di infermità della madre (art.4) o quando questa abbandoni il
figlio (art.13).
C'è da dire che la legge non specifica la decorrenza degli eventi verificatisi
successivamente e perciò si può interpretare in maniera estensiva.
E quindi, anche i genitori di bambini, che abbiano meno di otto anni, e che non
hanno usufruito di periodi di astensione facoltativa, come previsti dall'attuale
legge, possono utilizzare i periodi mancanti.
Quali indennità
L'astensione obbligatoria della lavoratrice (e del padre lavoratore in caso di
morte o grave infermità della madre o di abbandono e di affidamento esclusivo)
è risarcita con l'80 % della retribuzione (art.3).
L'astensione facoltativa di entrambi i genitori è rimborsata al 30 % della
retribuzione fino a tre anni di vita del bambino, per un periodo complessivo
massimo, fra tutti e due, di sei mesi (art.3).
Per i bassi redditi: rimborso del 30 % della retribuzione fino agli otto anni di vita
del bambino, se il reddito individuale del genitore è inferiore a 2,5 volte il
trattamento minimo di pensione, a carico dell'assicurazione obbligatoria (art.3).
Inoltre (art.7), si può chiedere un anticipo del trattamento di fine rapporto (TFR)
per sostenere le spese durante i periodi di congedo.
Licenziamento
Quando è collegato a questi congedi, il licenziamento è nullo (art.18) e anche la
richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice o dal lavoratore, durante il
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primo anno di vita del bambino, o nel primo anno di adozione o di affidamento,
deve essere convalidata dal “servizio ispezione della direzione provinciale del
lavoro”.
Inoltre, il genitore non può essere trasferito prima di un anno dal rientro.
Incentivi per le aziende
Per le aziende ci saranno solo i costi organizzativi, perché gli oneri legati
all'applicazione della legge saranno a carico dello Stato.
Sono previste, inoltre (art. 9 e 10), misure a sostegno della flessibilità dell'orario
ed incentivi a quelle imprese che organizzino progetti, per armonizzare i tempi
di lavoro con i tempi di vita ed anche sgravi contributivi.
I tempi delle città
Le regioni (art.20), entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge, dovranno
definire le norme per i comuni, i quali dovranno coordinare gli orari del
commercio, dei servizi pubblici e degli uffici. per migliorare i tempi delle città.
E, per favorire lo scambio di servizi di vicinato, per facilitare l'utilizzo dei
servizi ed il rapporto con le pubbliche amministrazioni. per estendere la
solidarietà, incentivando lo "scambio del tempo", la legge (art.27) fa riferimento
alla possibilità, per i comuni, di favorire e sostenere quelle associazioni
denominate "banche dei tempi", stipulando con esse accordi, che prevedano
scambi di prestazioni di mutuo aiuto a favore dei cittadini.
Congedi parentali per l’affidamento
In caso di adozione o affidamento, il congedo parentale può essere fruito ed è
indennizzabile fino agli otto anni d’età del minore, a condizione che sia richiesto
entro tre anni dall’ingresso in famiglia. E’ quanto precisa l’Inps nella circolare n.
33 di ieri, modificando parzialmente le istruzioni della circolare n. 8/03.
Adozione ed affidamento
l’argomento concerne il congedo parentale cui, in via generale, hanno diritto i
genitori per un totale di 11 mesi cumulativamente fino a che il figlio non compie
gli otto anni di età. Il permesso è concesso anche in caso di adozione o
affidamento, in base alle disposizioni recate ora dall’articolo 36 del dlgs n.
151/01 /T.U. maternità).
Bambini fino a sei anni
quando l’adozione o l’affidamento riguarda bambini fino a sei anni di età, l’Inps
precisa che, indipendentemente dalle condizioni di reddito, il congedo spetta per
un periodo complessivo (tra i due genitori) di sei mesi, retribuito con l’indennità
pari al 30 % della retribuzione, fino a quando il bimbo non compie gli otto anni
d’età, a condizione che venga richiesto e fruito nei primi tre anni dall’ingresso
in famiglia del minore. Per periodi ulteriori (cioè oltre i sei e fino a 11 mesi)
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spetta certamente il congedo, ma l’indennità è subordinata alle condizioni
reddituali; pertanto, se il reddito del richiedente soddisfa il limite fissato dalla
legge, il richiedente ha diritto oltre che al permesso anche alla relativa indennità;
se non lo soddisfa ha titolo esclusivamente al congedo. Laddove il congedo
parentale venga richiesto dopo i tre anni dall’ingresso in famiglia del minore,
ogni (vale a dire, sia che si tratti dei primi sei mesi, sia dei periodi eccedenti
fino agli 11 mesi) è indennizzabile subordinatamente alle condizioni reddituali;
se il reddito risulta superiore ai limiti, si ha diritto al congedo ma non
all’indennità.
Bambini tra i sei ed i dodici anni
quando l’adozione o l’affidamento riguarda bambini con età compresa tra i sei
ed i dodici anni, il congedo parentale e la relativa indennità spettano nella sola
ipotesi in cui il congedo sia richiesto entro i tre anni dall’ingresso in famiglia del
minore adottato o affidato per complessivi sei mesi, indipendentemente dalle
condizioni reddituali. Per periodi eccedenti i sei mesi, è necessario soddisfare le
condizioni reddituali. Oltre il periodo di tre anni dall’ingresso, non spetta né il
congedo e né l’indennità.
Dal quotidiano “Il Sole 24 Ore” del 22 marzo 2001 n. 80
Testo unico per la maternità
(con un “taglio” di venti leggi)
Il consiglio dei ministri ha approvato il “testo unico”, che riunisce tutte le
disposizioni legislative vigenti in materia di tutela e di sostegno della maternità e
della paternità. Basta, quindi, con i continui rinvii a leggi che risalgono a dieci,
venti anni fa, se non ancora più lontano…..una prima importante novità è che
nel “testo unico”….non c’è solo la disciplina del lavoro dipendente, ma anche
quello del lavoro autonomo, libere professioni, delle collaborazioni coordinate e
continuative, per arrivare fino agli assegni di maternità per le casalinghe e le
lavoratrici atipiche e discontinue. In particolare, il testo riordina e disciplina
ciascun congedo: di maternità, di paternità, parentale, per la cura dei figli, oltre
che i permessi e i riposi. Sono stati precisati anche alcuni punti non chiari: per
esempio, è stato riconosciuto espressamente che il congedo parentale spetta per
ogni figlio, anche nel caso dei gemelli; inoltre è messa ben in evidenza la
disciplina che spetta in caso di adozione e di affidamento preadottivo, sia
nazionale che internazionale. Sono state anche precisate meglio le condizioni
che occorrono, per usufruire del congedo per la malattia del figlio, che deve
essere certificato non dal pediatra di famiglia ma dalla ASL o da medico
convenzionato, ma che non può essere sottoposto alla visita fiscale, prevista per
la malattia del lavoratore……(omissis).
Si è coordinata la disciplina che regola permessi, riposi e congedi, per i figli con
handicap grave….e si è dato anche rilievo ad una disposizione sul lavoro
notturno…..in tutti i settori resta il divieto di lavoro notturno, per la madre
- 33 -
durante la gravidanza e il primo anno del figlio. Se l’uno o l’altro genitore
assiste un figlio, ha diritto, per un certo periodo di tempo, a non lavorare la
notte. Sintetizzando…è previsto il congedo parentale fino agli otto anni di vita
del bambino; il diritto del padre al congedo parentale, a prescindere dalla
situazione della madre e il prolungamento del congedo straordinario, nel caso di
figli disabili.
IL PROCESSO DEL LAVORO
Il nuovo processo è stato introdotto nel 1973, con la legge n. 533 di quell’anno,
ed è ispirato a criteri di snellezza e semplicità. E' poco costoso e molto più breve
rispetto ad un processo normale.
Il Giudice è competente per qualsiasi genere di lavoro e quindi non solo per
quello subordinato.
Il Giudice ha competenza a giudicare e può, quindi, intervenire solo per la
località dove il lavoratore si trova occupato. La domanda al Giudice si propone
con un ricorso scritto, indicante:
-
il giudice più vicino al luogo di lavoro,
le parti (cioè il lavoratore e l'azienda in cui lavora),
i fatti che sono successi,
le prove, sia scritte che per testimoni.
Le parti, cioè il lavoratore ed il rappresentante dell'azienda , devono comparire
(cioè presentarsi) personalmente all'udienza fissata dal Giudice, che può tentare
di conciliare le parti ed ha ampi poteri per quanto riguarda la decisione della
causa. La decisione finale si chiama “sentenza”.
Ricordiamo che la stessa Costituzione dà al cittadino il diritto di fare sempre
appello contro le decisioni di un Giudice e tale meccanismo viene tecnicamente
chiamato: "diritto al grado di giurisdizione".
Dal quotidiano “Alto Adige” del 23/2/2001
Le ferie non si toccano
(parola della Suprema Corte)
I lavoratori possono chiedere di fruire delle ferie, non godute, nell’anno
successivo a quello nel quale le avevano maturate ed il datore di lavoro non può
imporre la monetizzazione delle vacanze non fruite. Lo ha stabilito la Corte di
Cassazione, accogliendo il ricorso di un ingegnere, che non voleva soldi, ma
giorni liberi. In particolare, i supremi Giudici, con la sentenza numero 2569,
hanno rilevato, in contrasto col Tribunale di Milano, che il riposo va goduto per
ritemprare le energie psicofisiche e non è monetizzabile, attesa la sua funzione
- 34 -
reintegratrice. Per la Corte di Cassazione, infatti, nell’attuale società c’è una
crescente valorizzazione del tempo libero.
Perciò, devono considerarsi nulle le clausole contrattuali, anche collettive, che
prevedono, in via esclusiva, l’indennità sostitutiva.
Insomma, spetta solo al lavoratore decidere se volere soldi in cambio delle
vacanze non effettuate o se prendere il meritato riposo se, per motivi imputabili
a forza maggiore (come una malattia) o all’organizzazione aziendale, non è
potuto andare in ferie.
Nota
Anche il detenuto lavoratore ha diritto alle ferie. E ne può godere, sia se svolge
il lavoro all’interno del penitenziario (ad esempio trascorrendo il tempo libero in
biblioteca, in palestra, o semplicemente rimanendo in cella), sia se lavora
all’esterno o in situazione di semilibertà.
Lo ha stabilito la corte costituzionale, nella sentenza 158/2000, che ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 20, sedicesimo comma, della legge
354/75 (norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure
privative e limitative della libertà), nella parte in cui non riconosce il diritto al
riposo annuale retribuito al detenuto che presti attività lavorativa alle dipendenze
dell'amministrazione carceraria. La sentenza si basa sull’analisi degli articoli 35
e 36 della Costituzione
IL RAPPORTO DI PUBBLICO IMPIEGO
Le principali differenze fra l’impiego privato e l’impiego pubblico sono:
- il rapporto di impiego pubblico è disciplinato, oltre che dal codice civile e dai
contratti collettivi di lavoro, anche da leggi speciali,
- le controversie che nascono da un rapporto di pubblico impiego sono di
competenza del TAR e non del giudice ordinario,
- al pubblico impiego si accede di solito attraverso un pubblico concorso, e
non attraverso le liste di collocamento,
- il pubblico dipendente ha una serie di diritti ed obblighi che non sono quelli
del lavoratore subordinato.
Nel pubblico impiego vi sono, inoltre, varie categorie di dipendenti, che sono:
- il pubblico funzionario, che è colui che svolge un’attività a capo di una
amministrazione e che consente l'esercizio di poteri (ad esempio il prefetto,
che rappresenta a livello provinciale il ministro degli interni),
- il pubblico impiegato, che è colui che svolge un'attività lavorativa
subordinata, senza però esercitare funzioni con pubblici poteri (ad esempio
un insegnante, un dipendente comunale, un bidello),
- il funzionario onorario, che è una persona che riveste una funzione pubblica
in modo temporaneo, o attraverso una elezione (esempio il sindaco) o
- 35 -
attraverso una nomina che non dipende da un concorso (esempio il giudice di
pace, che rimane in carica solo alcuni anni).
Assunzione ed inquadramento
l’articolo 97 della Costituzione stabilisce che all'impiego nella pubblica
amministrazione si accede per pubblico concorso (sono esclusi dal pubblico
concorso i massimi dirigenti dello Stato, che vengono nominati direttamente dal
consiglio dei ministeri e pensiamo ad esempio ad un commissario del governo o
al governatore della banca d’Italia).
Tale metodo di assunzione risponde ai princìpi generali che regolano l'attività
amministrativa e cioè:
- imparzialità: con il concorso pubblico si dovrebbero evitare discriminazioni
e favoritismi,
- efficienza: tale metodo consentirebbe alla pubblica amministrazione di avere
fra i propri dipendenti i più capaci e produttivi.
Il bando di concorso specifica i requisiti per la partecipazione, i contenuti per la
prova di esame ed il numero di posti di ruolo disponibili presso la pubblica
amministrazione. La pubblicazione sulla “gazzetta ufficiale” dello Stato
consente a tutti di poter partecipare in condizioni di uguaglianza. I vincitori del
concorso vengono assunti come impiegati di ruolo. Secondo la legge n. 312 del
1980, tutti i pubblici dipendenti sono inquadrati in categorie professionali, a
seconda delle funzioni da loro svolte. Ad ogni categoria corrisponde un
determinato livello retributivo e lo svolgimento di determinate mansioni e, per
passare da una categoria all’altra, è necessario sostenere un nuovo concorso
pubblico.
Diritti e doveri dei pubblici impiegati
L'art. 28 della Costituzione stabilisce che i funzionari ed i dipendenti dello Stato
sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative,
degli atti compiuti in violazione dei diritti.
Diritti
(che sono simili al rapporto di lavoro subordinato del diritto privato)
-
diritto alla retribuzione,
diritto al riposo settimanale,
diritto alle ferie,
diritto alla conservazione del posto di lavoro.
Sono estesi ai pubblici dipendenti i princìpi enunciati dallo “statuto dei
lavoratori”, per quello che riguarda le attività sindacali, mentre l'articolo 40
della Costituzione, che tutela il diritto di sciopero, viene esercitato entro
determinati limiti. Un limite al diritto di sciopero è posto dal codice di
- 36 -
autoregolamentazione, per coloro che svolgono servizi pubblici essenziali e che
devono garantire un livello minimo di servizio all'utenza, dando anche un
congruo preavviso dello sciopero.
Doveri
- dovere di fedeltà (svolgere l'attività nell'interesse dell'ente),
- mantenere il segreto d'ufficio su quanto si viene a conoscere per servizio,
- osservare gli orari e giustificare le assenze,
- rispettare le direttive dei superiori,
- mantenere una condotta conforme alla dignità, richiesta per la propria attività
e posizione professionale.
Il dipendente pubblico ha tre tipi di responsabilità:
1) responsabilità penale: nel caso che commetta un reato nell'esercizio delle
proprie funzioni (ad esempio la corruzione),
2) responsabilità civile: nel caso che la propria attività causi danni ai diritti di
terzi per dolo (cioè intenzionalmente) o colpa grave (per
la quale il pubblico dipendente risponde con l'intero
proprio patrimonio presente e futuro). L’articolo 28
della Costituzione stabilisce che, quando il pubblico
dipendente causi un danno a terzi ed il suo patrimonio
sia insufficiente per risarcirli, la responsabilità civile si
estende anche allo Stato o all'ente pubblico, di cui il
dipendente fa parte. Il danneggiato, quindi, potrà
richiedere i danni in solido (cioè assieme) al pubblico
impiegato ed alla pubblica amministrazione, alla quale
il medesimo appartiene.
3) responsabilità amministrativa: avviene quando la pubblica amministrazione
eroga nei confronti del proprio impiegato,
sanzioni di natura disciplinare, che possono
andare da una semplice lettera di
ammonizione del superiore gerarchico, e fino
alla sospensione dello stipendio o alla
destituzione.
Le leggi di riforma del pubblico impiego
La legge 421/1992 ed il decreto legge 29/1993 hanno riformato la disciplina del
pubblico impiego, con l'intenzione di avvicinare il rapporto di pubblico impiego
a quello del lavoro dipendente. Questa nuova definizione legislativa è stata
denominata "privatizzazione del pubblico impiego".
L'ambito di applicazione di tali norme esclude alcuni particolari settori, come ad
esempio quello dei magistrati e degli avvocati dello Stato, dei militari, dei
- 37 -
dipendenti di polizia, delle ambasciate, dei prefetti e di alcuni enti di credito e
risparmio, che sono regolamentati con apposita legislazione.
La legge ha voluto creare, quindi, maggiore efficienza, contenimento della spesa
per il personale, avvicinamento graduale della disciplina del lavoro pubblico a
quello privato.
Le innovazione principali introdotte sono:
-
separazione fra politica e amministrazione,
massimo rigore di imparzialità ed oggettività nelle assunzioni,
applicazione del principio della mobilità,
corsi di formazione professionale per dirigenti,
maggiore autonomia alle amministrazioni nel valutare l'efficienza e la
produttività dei singoli impiegati,
- stipula di contratti collettivi, che conterranno principi validi per tutti i settori,
- le competenze per le controversie del pubblico impiego passeranno dal
giudice amministrativo (TAR) al giudice ordinario.
Le ultime novità sono state apportate alla materia del pubblico impiego con la
legge n. 59/97 ed il decreto legge n. 80/98. Le finalità di tali norme sono di
garantire al massimo la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti
pubblici e le pari opportunità fra lavoratori e lavoratrici, applicando le stesse
condizioni del lavoro privato.
Inoltre si è cercato di armonizzare gli orari di servizio e di apertura dei pubblici
uffici con le esigenze dell'utenza e con gli orari delle amministrazioni pubbliche
degli altri paesi della unione europea.
Un punto importante è, tra l'altro, quello che consente alle pubbliche
amministrazioni di creare appositi uffici per conciliare le controversie, prima di
accedere alle vie giudiziali.
LEGGE 20 MAGGIO 1970 n. 300
“Statuto dei Lavoratori”
norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale
e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento
Questa legge risulta molto importante per tutti i lavoratori in relazione alla loro
libertà, dignità e tutela, nonché in merito all’attività sindacale sul posto di
lavoro. La libertà di opinione sul posto di lavoro è garantita quanto al pari
dell’aderenza sindacale ed al diritto di sciopero. Gli impianti audiovisivi di
controllo possono essere impiegati solo in casi eccezionali e con il consenso dei
delegati sindacali, oppure del competente ispettorato del lavoro. Le visite di
controllo, in caso di malattia ed infortunio di lavoro, non possono essere
effettuate dal datore di lavoro ed a questo scopo sono autorizzati solamente i
medici competenti dell’unità sanitaria. Le sanzioni disciplinari devono essere
- 38 -
comunicate ai lavoratori, che possono ricorrere all’assistenza del sindacato. Ai
datori di lavoro è fatto divieto d’indagare sulle opinioni politiche, religiose e
sindacali dei lavoratori. I lavoratori hanno facoltà di studiare ed aggiornarsi, e
tale diritto è stato ampliato dalla legge numero 53 del 2000. Con un numero
minimo di 16 lavoratori, all’interno di un’impresa può essere nominata la
rappresentanza sindacale. Si possono utilizzare sino a 10 ore l’anno, per
assemblee sindacali. Nel caso il datore di lavoro svolgesse attività antisindacale,
il giudice del tribunale del lavoro, su segnalazione del sindacato, può ordinare
l’immediata sospensione delle predette attività.
Elenchiamo i passi più significativi:
articolo 1
(libertà di opinione)
i lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa,
hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente
il proprio pensiero, nel rispetto dei princìpi della Costituzione e delle norme
della presente legge.
.…omissis….
articolo 5
(accertamenti sanitari)
sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla
infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente. Il controllo delle
assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi
degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo, quando il
datore di lavoro lo richieda. Il datore di lavoro ha la facoltà di far controllare
l’idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di
diritto pubblico.
….omissis….
articolo 8
(divieto di indagini sulle opinioni)
è fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso dello
svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di
terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti
non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore.
articolo 9
(tutela della salute e dell’integrità fisica)
i lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare
l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie
professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le
misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica.
articolo 10
(lavoratori studenti)
- 39 -
i lavoratori studenti, iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole di
istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali,
pareggiate o legalmente riconosciute, o comunque abilitate al rilascio di titoli di
studio legali, hanno diritto a turni di lavoro, che agevolino la frequenza ai corsi e
la preparazione agli esami e non sono obbligati a prestazioni di lavoro
straordinario durante i riposi settimanali. I lavoratori studenti, compresi quelli
universitari, che devono sostenere prove di esame, hanno diritto a fruire di
Le disposizioni, di cui al comma precedente, si applicano altresì ai patti o atti
diretti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso.
….omissis.…
articolo 17
(sindacati di comodo)
è fatto divieto ai datori di lavoro ed alle associazioni di datori di lavoro di
costituire o sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di
lavoratori.
articolo 18
che il Governo intenderebbe modificare;
nonostante il dissenso delle organizzazioni sindacali dei lavoratori
(secondo quanto stabilito dalla legge 604/66, il licenziamento nei rapporti di lavoro a
tempo indeterminato può avvenire per giusta causa o giustificato motivo. Nelle aziende
con oltre 15 dipendenti, a fronte di licenziamento dichiarato illegittimo, il discusso
articolo 18 dello statuto dei lavoratori prevede l’obbligo di reintegro)
ferma restando l’esperibilità delle procedure previste dall’art. 7 della legge 15
luglio 1966, n. 604, il giudice, con la sentenza con cui dichiara inefficace il
licenziamento, ai sensi dell’art. 2 della predetta legge o annulla il licenziamento
intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a
norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non
imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto
autonomo, nel quale ha avuto luogo il licenziamento, occupa alle sue
dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di
imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro.
Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non
imprenditori, che nell’ambito dello stesso comune occupano più di quindici
dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale
occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva,
singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, ed in ogni caso al datore
di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più
di sessanta prestatori di lavoro.
Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro, di cui al primo comma,
si tiene conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro,
dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota
di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo
delle unità lavorative fa riferimento all’orario previsto dalla contrattazione
collettiva del settore.
Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo
grado in linea diretta ed in linea collaterale. Il computo dei limiti occupazionali,
di cui al secondo comma, non incide su norme o istituti, che prevedono
agevolazioni finanziarie o creditizie.
Il giudice, con la sentenza di cui al primo comma, condanna il datore di lavoro
al risarcimento del danno subito dal lavoratore, per il licenziamento di cui sia
stata accertata l’inefficacia o l’invalidità, stabilendo un’indennità commisurata
- 41 -
alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello
dell’effettiva reintegrazione ed al versamento dei contributi assistenziali e
previdenziali, dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva
reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere
inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto.
Fermo restando il diritto al risarcimento del danno, così come previsto dal
quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di
lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità
pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore,
entro trenta giorni dal ricevimento dell’invito del datore di lavoro, non abbia
ripreso servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del
deposito della sentenza il pagamento dell’indennità di cui al presente comma, il
rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti. La
sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente
esecutiva.
Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori, di cui all’art.22, su istanza
congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisce
mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre
con ordinanza, quando ritenga irrilevanti od insufficienti gli elementi di prova
forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.
L’ordinanza, di cui al comma precedente, può essere impugnata con reclamo
immediato al giudice medesimo che l’ha pronunciata. Si applicano le
disposizioni dell’art.178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di
procedura civile. L’ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la
causa.
Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori, di cui all’art.22, il datore di lavoro
che non ottempera alla sentenza, di cui al primo comma ovvero all’ordinanza di
cui al quarto comma, non impugnata o confermata dal giudice che l’ha
pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore
del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all’importo della
retribuzione dovuta al lavoratore.
….omissis…
articolo 20
(assemblea)
i lavoratori hanno diritto di riunirsi, nella unità produttiva in cui prestano la loro
opera, fuori dell’orario di lavoro, , nonché durante l’orario di lavoro, nei limiti di
dieci ore annue, per le quali verrà corrisposta la normale retribuzione. Migliori
condizioni possono essere stabilite dalla contrattazione collettiva.
Le riunioni, che possono riguardare la generalità dei lavoratori o gruppi di essi,
sono indette, singolarmente o congiuntamente, dalle rappresentanze sindacali
aziendali nell’unità produttiva, con ordine del giorno su materie di interesse
sindacale e del lavoro, e secondo l’ordine di precedenza delle convocazioni,
comunicate al datore di lavoro.
Alle riunioni possono partecipare, previo preavviso al datore di lavoro, dirigenti
esterni del sindacato che ha costituito la rappresentanza sindacale aziendale.
- 42 -
Ulteriori modalità, per l’esercizio del diritto di assemblea, possono essere
stabilite dai contratti collettivi di lavoro, anche aziendali.
….omissis…
articolo 25
(diritto di affissione)
le rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto di affiggere, su appositi spazi,
che il datore di lavoro ha l’obbligo di predisporre in luoghi accessibili a tutti i
lavoratori all’interno dell’unità produttiva, pubblicazioni, testi e comunicati
inerenti a materie sindacale e del lavoro.
….omissis….
articolo 37
(applicazione ai dipendenti da enti pubblici)
le disposizioni della presente legge si applicano anche ai rapporti di lavoro e di
impiego dei dipendenti da enti pubblici che svolgono esclusivamente o
prevalentemente attività economica.
Le disposizioni della presente legge si applicano altresì ai rapporti di impiego
dei dipendenti dagli enti pubblici, salvo che la materia sia diversamente regolata
da norme speciali.
….omissis….
Nota:
la lavoratrice o il lavoratore, che si vede inflitta una multa o sospensione dal lavoro, potrà
richiedere, attraverso le organizzazioni sindacali, la convocazione di un collegio di
conciliazione ed arbitrato (procedura gratuita) presso gli uffici provinciali del lavoro, entro
20 giorni dalla comunicazione del provvedimento disciplinare.
Il collegio di arbitrato si compone di un rappresentante delle organizzazioni sindacali, dei
datori di lavoro ed un terzo membro nominato congiuntamente.
In assenza d’accordo fra le parti, l’ufficio provinciale del lavoro nomina un rappresentante
come membro in più.
La sanzione rimane sospesa fino alla pronuncia del collegio arbitrale. Il procedimento
disciplinare è da ritenersi nullo, se il datore di lavoro non comunica, entro 10 giorni
dall’invito dell’ufficio del lavoro competente, il nome del proprio rappresentante.
Decorsi due anni dalla sua applicazione, la sanzione disciplinare verrà a decadere e non
potrà essere ulteriormente impiegata dal datore di lavoro in maniera persecutoria, nei
confronti del lavoratore o lavoratrice.
Al datore di lavoro non è in nessun caso consentito applicare un provvedimento disciplinare,
senza che questo sia comunicato preventivamente al lavoratore o lavoratrice e senza averne
sentito le argomentazioni difensive.
In caso di contestazione inviata per iscritto al lavoratore o lavoratrice, lo stesso potrà farsi
assistere da un’organizzazione sindacale e rispondere con lettera raccomandata a/r entro
cinque giorni dal ricevimento della stessa.
Le sanzioni disciplinari adottate non possono comunque essere tali da mutare radicalmente il
rapporto di lavoro in essere.
Il pronto soccorso entra in azienda
arrivano pacchetto di medicazione e servizi di primo intervento
decreto 15/7/2003 n. 388, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 27 del 3/2/2004
- 43 -
A distanza di quasi dieci anni dal decreto legislativo 626/94 che ha disciplinato
la sicurezza sul lavoro, esce uno dei più attesi regolamenti di attuazione con il
quale si fissano le caratteristiche minime delle attrezzature di pronto soccorso
aziendale ed i requisiti del personale addetto. Il provvedimento distingue i
sistemi di prima cura, a seconda del livello di rischio presente in azienda:
Nel gruppo “A”
sono comprese le imprese a rischio di incidente rilevante, quelle con indice
infortunistico di inabilità permanente superiore a quattro e le aziende agricole
con oltre cinque dipendenti a tempo indeterminato. In questi casi, il datore di
lavoro dovrà darne comunicazione alla ASL competente, per la predisposizione
di eventuali interventi di emergenza. Dovrà inoltre essere predisposta la cassetta
del pronto soccorso, contenente una dotazione minima prestabilita, da integrare
sulla base dei rischi specifici presenti sul luogo di lavoro. Deve inoltre essere
previsto un mezzo di comunicazione idoneo ad attivare rapidamente il sistema di
emergenza del servizio sanitario nazionale.
Nel gruppo “B”
rientrano invece tutte le restanti imprese od unità produttive con più di cinque
dipendenti. Anche qui dovrà essere prevista la cassetta del pronto soccorso
contenente la dotazione minima prestabilita, da integrare sulla base dei rischi
specifici presenti sul luogo di lavoro.
Nel gruppo “C”
Vi rientrano le aziende più piccole. In questi casi, la cassetta del pronto soccorso
lascia il posto al pacchetto di medicazione.
A gestire il sistema di pronto soccorso saranno lavoratori appositamente
designati dall’imprenditore, formati con istruzione teorica e pratica, per
l’attuazione delle misure di primo intervento e per l’attivazione degli interventi
di emergenza. La formazione dovrà essere svolta da personale medico, in
collaborazione con il sistema di emergenza del servizio sanitario nazionale,
mentre per la parte pratica il medico potrà fare ricorso anche alla collaborazione
di personale infermieristico.
La durata del periodo di formazione varia a seconda delle dimensioni delle
aziende. Per quelle più grandi e più pericolose, dovrà essere previsto un minimo
di 16 ore, articolate in tre moduli, che scendono a 12 per le aziende dei gruppi
“B” e “C”. Identici invece i contenuti. Il lavoratore dovrà essere messo in grado
di allertare il sistema di soccorso, riconoscere l’emergenza sanitaria attraverso
l’accertamento delle condizioni psico fisiche dell’infortunato ed attuare gli
interventi di primo soccorso, dal posizionamento del lavoratore alla respirazione
artificiale ed al massaggio cardiaco. Quattro ore di lezione dovranno essere
dedicate allo studio dei traumi e delle patologie specifiche in ambiente di lavoro;
mentre la terza giornata del corso sarà utilizzata per acquisire capacità di
intervento pratico, dalla comunicazione con il sistema di emergenza del servizio
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sanitario, alle tecniche di rianimazione cardiopolmonare e di primo soccorso in
caso di esposizione ad agenti chimici.
MOBBING – BOSSING – BULLYNG – STALKING
sono termini inglesi, ma qual è il loro reale significato?
strategie aziendali che tendono ad allontanare il lavoratore, rendergli la vita difficile,
eliminare le persone scomode.
Mobbing
La parola “mobbing” (assalire con violenza) indica la pressione ed il terrorismo
psicologico esercitati contro un lavoratore, al fine di isolarlo ed indurlo alle
dimissioni. Trattasi dunque di persecuzione, protratta nel tempo, nel luogo di
lavoro. Può essere esercitata ad opera di un superiore, di colleghi di lavoro
singoli od in gruppo. Si presenta come emarginazione, diffusione di maldicenze,
sistematiche critiche all’esecuzione del lavoro svolto, assegnazione di compiti
dequalificanti, compromissione dell’immagine sociale nel confronto di superiori
e clienti. La persona soggetta al mobbing può presentare disturbi vari, che nel
tempo possono assumere forme di preoccupante gravità.
Pare che il mobbing sia un fenomeno in crescita ed affrontarlo non è certamente
una impresa facile. I motivi di innesco del mobbing possono essere tanti: dalle
motivazioni più banali, al desiderio di prevaricare gli altri per fare carriera o
accumulare denaro o, peggio ancora, per crudele divertimento. La vittima,
quindi, accumula sempre più rabbia, frustrazione ed ansia.
Se il tutto viene poi a conoscenza dell’amministrazione del personale, le
eventuali soluzioni adottate non potranno fare altro che aggravare ulteriormente
la situazione, nello stato d’animo già provato del perseguitato. Le conseguenze
del mobbing sono gravi, sia per chi le subisce e sia per l’azienda e la sua
organizzazione. Nel primo caso si crea uno stato di grave sofferenza, perché,
inevitabilmente, chi ne è vittima viene fatto passare per responsabile di qualsiasi
cosa non funzioni, con inevitabile riduzione, così, delle prestazioni lavorative.
Nel secondo caso, turnazione di personale ed atmosfera pesante generano
ricadute negative, quali ad esempio l’assenteismo.
Ai certificati di malattia si possono, inoltre, aggiungere lo scarso rendimento, un
“turn over” senza apparenti ragioni, ed ancora facili dimissioni volontarie. Vi
sono poi gli inevitabili costi aziendali e sociali. Per prevenire o curare il
mobbing, occorre investire sulle capacità di gestire i litigi ed i conflitti, attivando
quindi negli ambienti di lavoro un’adeguata formazione, mirata alla capacità di
instaurare rapporti rispettosi, trasparenti e civili.
Tipi di “mobbing”:
- mobbing orizzontale, se è messo in atto dai colleghi,
- 45 -
-
mobbing individuale, quando il colpito è un singolo lavoratore,
mobbing collettivo, se si esercita su gruppi di lavoratori,
mobbing dal basso, se viene messa in discussione l’autorità del superiore,
mobbing sessuale, che può avvenire anche senza necessariamente un
contatto fisico, ma con insinuazioni o sgradevoli battute
Il mobbing nasce, quindi, dal lavoro e la patologia prodotta è in relazione
appunto con il lavoro. Perciò molti lavoratori chiedono la rendita all’INAIL, per
il mobbing come malattia professionale. Il mobbing, però, pur apparendo sempre
minaccioso ed insopportabile a chi lo subisce, quando deve essere tradotto in
oggetto di assicurazione sociale perde i suoi contorni e si confonde con molti
stress e non manifesta malattie caratteristiche e riconoscibili. Diventa un
fenomeno non chiaramente inquadrabile fra le malattie professionali e crea
ulteriore sofferenza al lavoratore che ne è colpito.
La circolare INAIL n. 71/ 2003
con tale circolare l’INAIL dà via libera al risarcimento danni da mobbing sul
lavoro e rientrano quindi nel rischio tutelato tutte le situazioni di costrittività
organizzativa (come è scritto nella sentenza n. 179/88 della Corte Costituzionale
e nel decreto legislativo 38/2000), e quindi, sempre secondo l’INAIL, scatta il
danno biologico in questi casi:
-
marginalizzazione dall’attività lavorativa,
svuotamento delle mansioni,
mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata,
mancata assegnazione degli strumenti di lavoro,
ripetuti trasferimenti ingiustificati,
prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo
professionale posseduto,
prolungata attribuzione di compiti esorbitanti od eccessivi anche in relazione
ad eventuali condizioni di handicap psico-fisici,
impedimento sistematico e strutturale all’accesso a notizie,
inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti
all’ordinaria attività di lavoro,
esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di
riqualificazione ed aggiornamento professionale,
esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo.
L’INAIL spiega – con la citata circolare – che, ai fini della prova, ricade sul
lavoratore l’obbligo di produrre la documentazione idonea a supportare la sua
richiesta, sia in relazione al rischio, sia per quanto concerne la malattia. Inoltre
l’Istituto, sempre secondo la circolare, ha il potere-dovere di verificare
l’esistenza dei presupposti. A tal fine, l’INAIL procederà con indagini ispettive
per raccogliere le prove testimoniali dei colleghi di lavoro, del datore di lavoro,
del responsabile dei servizi di prevenzione e protezione delle aziende e di ogni
- 46 -
persona informata sui fatti, allo scopo di acquisire riscontri oggettivi a quanto
dichiarato dall’assicurato ed integrare gli elementi probatori dallo stesso
prodotti. Ai fini di una uniforme trattazione medico-legale, inoltre, l’INAIL
suggerisce un particolare e dettagliato iter diagnostico.
Il mobbing, dunque, per diventare malattia professionale, deve attraversare il
difficile momento della prova da parte del lavoratore. Il lavoratore dovrà in
genere dimostrare, come prova:
- l’esistenza del fattore nocivo lavorativo riconoscibile come mobbing,
- l’esistenza di una patologia certa e che abbia prodotto un danno biologico
indennizzabile (la giurisprudenza recente ha individuato anche la possibilità
di danni alla professionalità, danni alla personalità, danno morale, danno
esistenziale e danno patrimoniale),
- il nesso di causalità tra mobbing e patologia.
L’esistenza del fattore nocivo lavorativo, riconoscibile come mobbing, è
veramente particolare e per i seguenti motivi:
- non si ha a che fare con una lavorazione già riconosciuta come pericolosa;
ogni luogo di lavoro ed ogni tipo di lavoro può generare mobbing,
- il fattore nocivo mobbing non ha caratteristiche fisico chimiche e quindi non
è identificabile e misurabile con i normali mezzi di indagine,
- il fattore nocivo mobbing solo talvolta si manifesta per fatti constatabili e
documentabili,
- il fattore nocivo mobbing agisce selettivamente nei confronti di un singolo
lavoratore ed è causato dal datore di lavoro o da uno o più colleghi di lavoro,
- il fattore nocivo mobbing ha un connotato di volontarietà nociva e di dolo
non episodico, ma continuato nel tempo. Si parla di un’accanimento, che
deve durare almeno sei mesi. Il tutto, naturalmente, da provare.
Ancora, a proposito di “mobbimg”, è il caso di ricordare il parere del giudice
Guariniello, secondo cui il ”mobbing” può causare malattie professionali e
quindi può costituire reato e cioè il delitto di lesione personale colposa, che è
previsto e punito dall’articolo 590 del codice penale.
Anche la magistratura si è spesso occupata del “mobbing”; ricordiamo le più
importanti sentenze:
- sentenza 16/11/99 del tribunale di Torino, che ha sanzionato la responsabilità
del datore di lavoro, ai sensi dell’articolo 2087 del codice civile, per accertate
azioni di “mobbing” all’interno dell’azienda, essendo questi tenuto a
garantire l’integrità fisica e psichica dei propri dipendenti e, quindi, ad
impedire e scoraggiare eventuali contegni aggressivi e vessatori da parte di
preposti e responsabili, nei confronti dei rispettivi sottoposti,
- sentenza della corte di cassazione, sezione lavoro, nr. 14760 del 15/11/2000,
nonché nr. 831 del 20/1/2001 e cassazione penale sesta sezione nr. 10090 del
- 47 -
12/3/2001, che prevede particolarità di reato di “mobbing” e la punibilità dei
colpevoli con la reclusione.
- articolo 2103 del codice civile, con combinato disposto art. 1460 codice
civile, in uno con sentenza della corte suprema di cassazione sezione lavoro
dell’8/2/99 nr. 1074 sui trasferimenti senza comprovate ragioni.
Bossing
strategia aziendale, per cui per accampati motivi di riorganizzazione interna,
ringiovanimento delle energie, si procede alla riduzione di personale e
conseguente eliminazione di lavoratori scomodi.
Bullyng
trattasi di comportamenti vessatori, messi in atto da un singolo capo / superiore.
Stalking
violenza morale che si esprime nel controllo costante del lavoratore, mirando
alla riduzione dei tempi morti
Nota
i lavoratori giudicati incapaci non possono essere automaticamente licenziati. Il
loro comportamento non equivale per forza ad un illecito disciplinare, né ad
un’inosservanza contrattuale. Conta insomma anche la buona volontà e non
solo il risultato che il capo si aspetta dall’impiegato. E’ quanto ha stabilito la
corte di cassazione, nella sentenza n. 14604/2000, rigettando il ricorso di
un’azienda. Al centro della questione decisa dai giudici è la vicenda di un
dipendente accusato dall’azienda di aver perso un cliente, per un’offerta
commerciale fatta con tale approssimazione e negligenza da impedire al
possibile compratore di prenderla anche solo in considerazione. Il dipendente,
insomma, è obbligato ad un “fare” e non ad un risultato, spiega la suprema
corte, che, aggiunge: l’inadeguatezza della prestazione può essere imputabile
anche alla stessa organizzazione dell’impresa od a fattori non dipendenti dal
lavoratore. Così, se si tratta di scarso rendimento di un lavoratore, il capo che
voglia farlo valere, per licenziare il suo sottoposto, non può limitarsi a provare
solo il mancato raggiungimento del risultato che si aspettava di ottenere. Deve
anche dimostrare che l’incapacità contestata sia dovuta al mancato rispetto
degli obblighi contrattuali. Non solo, nel valutare la situazione, bisogna tenere
conto anche del grado di buona volontà (o diligenza) dell’impiegato, dei fattori
sociali ed ambientali e dell’incidenza dell’organizzazione di tutta l’impresa sul
lavoro svolto dal dipendente accusato.
Le principali legislazioni a confronto su:
licenziamenti, contratti a termine,
lavoro temporaneo, part time:
- 48 -
Germania
- licenziamento - dal giorno del licenziamento, il lavoratore ha tre settimane di
tempo per adire il tribunale del lavoro. In caso di pronuncia favorevole al
lavoratore, il licenziamento è dichiarato nullo. Il datore di lavoro può
ottenere che il licenziamento, pur in assenza di giusta causa, sia dichiarato
valido se dimostra l’impossibilità di mantenere in organico il dipendente;
- contratto a termine – normalmente i contratti di lavoro sono conclusi per una
durata indeterminata, ma è tuttavia possibile assumere una persona a tempo
determinato in alcuni casi previsti dalla legge;
- lavoro temporaneo – si può trovare un lavoro temporaneo rivolgendosi alle
agenzie presenti sul territorio, che possono operare previa autorizzazione
amministrativa. Il contratto ha la durata massima di dodici mesi;
- part time – la legge sul lavoro a tempo parziale ha, tra i suoi scopi, proprio
quello di promuoverlo e di garantire che chi lavora con questa formula non
sia discriminato. Ogni persona ha il diritto di chiedere di poter lavorare a
tempo parziale ed il datore di lavoro può rifiutarlo solo nel caso in cui la
concessione del “part time” porti danno al regolare svolgersi del lavoro od
alla sicurezza dell’azienda. Esiste una forma speciale di “part time”, destinata
a favorire il passaggio progressivo della vita lavorativa alla pensione, per
lavoratori di almeno 55 anni di età.
Francia
- licenziamento – deve avvenire per seri e gravi motivi di carattere economico
o personale, quali ad esempio l’assenteismo od errori o mancato rispetto
degli obblighi contrattuali. Se i motivi sono economici, la procedura è più
complessa, a tutela dei lavoratori, ove il licenziamento coinvolga più di dieci
lavoratori. Qualora vi sia una contestazione ed il giudice dia ragione la
lavoratore licenziato, il datore di lavoro non può venire obbligato al
reintegro, ma dovrà versare un’indennità;
- contratto a termine – così come il contratto di lavoro interinale, anche quello
a durata determinata è considerato un contratto precario. I casi in cui si può
ricorrere a questa forma di assunzione sono gli stessi validi per il lavoro
interinale e la sua durata non può eccedere, normalmente, i 18 mesi. A fine
contratto si versa un’indennità pari al 10% della retribuzione;
- lavoro temporaneo – le imprese possono ricorrere a questi lavoratori solo per
casi determinanti, quali la sostituzione, il contratto stagionale, surplus di
lavoro e, salvo alcuni casi particolari, per non oltre i 18 mesi. Una legge del
18/1/2002 scoraggia comunque lo sviluppo di contratti precari;
- part time – dopo l’entrata in vigore della legge sulle 35 ore, si considerano a
tempo parziale quei contratti con durata settimanale inferiore appunto a 35
ore. Il contratto, sempre scritto, deve indicare il volume di ore lavorate e la
loro ripartizione. Esiste un principio di uguaglianza di trattamento tra
lavoratori “part time” e lavoratori “full time”, proporzionale, ed un obbligo di
priorità nell’accesso ad un lavoro a tempo pieno in azienda.
- 49 -
Inghilterra (detta anche: Regno Unito o Gran Bretagna)
- licenziamento – può avvenire per valide ragioni oggettive o soggettive. In
caso di contestazione, il giudice potrebbe pronunciare anche l’obbligo di
reintegro, ma il datore di lavoro potrebbe rifiutarsi pagando un’indennità;
- contratto a termine – è un contratto ammesso ed utilizzato;
- lavoro temporaneo – anche questo contratto è ampiamente utilizzato e la
normativa è la stessa che regola il contratto a termine;
- part time – una legge del 2000 assicura che i cittadini britannici, che lavorano
“part time”, non subiscano discriminazioni rispetto agli altri lavoratori.
Olanda (detta anche: Paesi Bassi)
- licenziamento – il lavoratore può chiedere un risarcimento danni, invocando
il licenziamento ingiustificato;
- contratto a termine – la legge lo consente e si conclude senza bisogno di
formalità particolari, allo spirare del termine stabilito dalle parti. E’ data la
possibilità di concludere fino a tre contratti a termine con la stessa persona,
per un periodo non superiore a tre anni;
- lavoro temporaneo – attualmente non vi è un limite temporale di durata del
contratto tra il lavoratore temporaneo e l’azienda, mentre in precedenza la
durata massima era di un anno. Anche i settori in cui si può utilizzare questa
forma di reclutamento non hanno limitazioni;
- part time – la legge olandese stabilisce il diritto per i lavoratori di aumentare
o diminuire le loro ore lavorative. Queste disposizioni si inquadrano in un più
ampio scenario, in cui si cerca di conciliare il lavoro con la vita familiare e
l’ammontare delle ore è stabilito liberamente dalle parti;
Spagna
- licenziamento – sono tre i tipi di licenziamento possibili: (1) il licenziamento
collettivo, per il quale l’autorità competente stabilirà un’indennità a favore
dei lavoratori; (2) il licenziamento per cause oggettive (ad esempio
l’inefficienza del lavoratore) con un’indennità pari a 20 giorni di retribuzione
per ogni anno di anzianità; (3) il licenziamento disciplinare. - In tutti e tre
questi casi, il lavoratore può dimostrare l’immotivato licenziamento, che
porta alla reintegrazione o ad un risarcimento, se vi è rifiuto del datore;
- contratto a termine – la possibilità di ricorrere a tale tipo di contratto è
regolata dal decreto reale 1/1995 ed i casi sono predeterminati dalla legge;
- lavoro temporaneo – il lavoratore può essere assunto dal fornitore con
contratti a durata determinata od indeterminata, mentre le missioni possono
durare da un minimo di tre mesi ad un massimo di sei mesi, salvo alcune
eccezioni (ad esempio la sostituzione di un lavoratore assente). La legge è del
1994, ma solo dal 1999 i lavoratori temporanei godono dello stesso
trattamento retributivo spettante al livello di appartenenza;
- part time – viene regolato da una legge del 1995, modificata nel 2001. Si
tratta di un contratto che consente di lavorare per un numero di ore
settimanali, mensili od annuali, inferiore alla durata ordinaria dell’orario di
- 50 -
lavoro, che è pari a 40 ore settimanali. Il lavoratore a tempo parziale non può
effettuare straordinari, ma tuttavia è possibile lavorare ore supplementari,
fino al raggiungimento delle 40 ore settimanali, cosa che dà diritto solo a
retribuzione aggiuntiva in misura ordinaria.
In ITALIA
riassumendo quanto in precedenza già trattato
licenziamento
secondo quanto stabilito dalla legge 604/66, il licenziamento nei rapporti di
lavoro a tempo indeterminato può avvenire per giusta causa o giustificato
motivo. Nelle aziende con oltre 15 dipendenti, a fronte di licenziamento
dichiarato illegittimo, il discusso articolo 18 dello statuto dei lavoratori prevede
l’obbligo di reintegro;
contratto a termine
la riforma del contratto a termine è stata approvata nel 2001. Si richiede che il
contratto sia motivato da ragioni tecniche, produttive, organizzative, sostitutive.
Se abbia durata iniziale inferiore a tre anni, può essere prorogato per una volta;
lavoro temporaneo
introdotto dopo alterne vicende dal cosiddetto pacchetto “Treu” del 1997, il
lavoro interinale ha avuto un avvio non molto brillante, a causa di alcune rigidità
delle norme, poi superate, arrivando ad oltre 650.000 lavoratori occupati nel
2001 ed una buona percentuale, 36%, di lavoratori assunti a fine missione;
part time
la riforma del contratto “part time” è del 2000. Una delle novità riguarda il
lavoro supplementare precedentemente vietato e da settembre 2001 consentito e
disciplinato. La materia è in continua evoluzione.
Percorsi lavorativi
Piani d’inserimento professionali (PIP)
consente di fare un periodo di formazione lavoro di 6 mesi in azienda (960) ore
per i giovani dai 19 ai 32 anni. E’ prevista un’indennità per i partecipanti. I piani
vengono elaborati da Associazioni d’imprese, Ordini o Collegi professionali. Al
termine del periodo d’impiego, i giovani possono essere inseriti in azienda anche
con un contratto di formazione lavoro.
Fare impresa
sono tanti gli strumenti che aiutano i giovani a mettersi in proprio ed a creare
imprese e tra questi: la legge 95/95 (ex 44), la legge 236/93 (art.1 bis) e la legge
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608/96 “prestito d’onore”, che prevedono finanziamenti a fondo perduto ed a
tassi agevolati per i giovani di età compresa tra i 18 ed i 35 anni, che hanno una
idea o un progetto di impresa.
E’ possibile usufruire non solo di agevolazioni finanziarie, ma anche di servizi
di accompagnamento alla progettazione e di tutoraggio. Sull’argomento vedansi
pure le leggi 215/92 e la 125/91, che favoriscono la creazione di impresa e lo
sviluppo di imprenditorialità.
Europass – formazione
trattasi di strumento comunitario, entrato in vigore il primo gennaio 2000, nei
quindici Stati dell’Unione Europea e nei tre Paesi dello Spazio economico
europeo (Norvegia, Islanda, Liechtenstein).
Attesta la realizzazione di percorsi formativi o di lavoro effettuati in un Paese
diverso dal proprio, nell’ambito di un percorso di formazione in alternativa o di
apprendistato. Incoraggia la mobilità, l’integrazione culturale e sociale,
promuove il concetto di cittadinanza europea.
Lavoro all’estero
uno degli obiettivi dell’Unione Europea è la libera circolazione dei lavoratori
dei Paesi membri. Per questo sono nate due reti: “Eures”, che costituisce una
sorta di agenzia di collocamento europea ed i “Centri Risorse”, che hanno il
compito di fornire informazioni sulle opportunità formative all’estero.
Iniziative e programmi comunitari
Fondo sociale europeo
istituito per sviluppare le risorse umane ed aumentare e migliorare
l’occupazione. Dei quattro fondi strutturali istituiti dalla Commissione Europea,
per rafforzare la coesione economica e sociale degli Stati membri e ridurre il
divario esistente tra le diverse regioni, il “Fondo Sociale Europeo” si pone come
uno degli strumenti finanziari di sostegno alla strategia europea
dell’occupazione.
Se fino ad oggi il “Fondo Sociale Europeo” ha cofinanziato soprattutto azioni
formative, nell’attuale programmazione interviene sia sullo sviluppo delle
risorse umane e sia sulle politiche dell’occupazione.
Le risorse del “Fondo” possono essere utilizzate dalle Regioni, dagli Enti locali,
dagli Enti pubblici, da Enti di formazione, da Enti di ricerca, da Impresa,
eccetera. I progetti prevedono l’avvio di corsi di formazione professionale
destinati a diverse categorie di utenti: disoccupati, occupati, giovani, donne,
fasce deboli.
L’iniziativa comunitaria EQUAL
è parte integrante della strategia europea per l’occupazione: una strategia
adottata dall’Unione europea al fine di creare migliori e più numerosi posti di
- 52 -
lavoro. Finanziata dal “Fondo Sociale Europeo”, l’iniziativa consentirà di
sperimentare nuove forme di lotta contro le discriminazioni e le disuguaglianze
di cui possono essere vittime sia le persone che lavorano e sia coloro che sono in
cerca di lavoro.
Il programma “Leonardo da Vinci”
insieme al programma chiamato “Socrates” ed a quello denominato
“Gioventù”, mira a contribuire alla costruzione di uno spazio europeo di
cooperazione nel settore dell’educazione e della formazione. La decisione del
Consiglio Europeo, entrata in vigore il primo gennaio 2000, stabilisce l’avvio
della seconda fase di “Leonardo” per il 2000 – 2006.Il programma sostiene e
completa le politiche degli Stati membri, tramite la realizzazione di progetti
transnazionali, basati sulla cooperazione tra organismi di formazione, scuole
professionali, università, imprese, camere di commercio, eccetera, volti a
promuovere la mobilità di persone in formazione iniziale, di formatori o tutor; a
preparare i cittadini ad inserirsi nel modo migliore nel mercato del lavoro e ad
aiutare le imprese ad avere una manodopera più qualificata.
Le invenzioni e le opere d’ingegno del lavoratore
l’attività lavorativa può essere finalizzata alla ricerca di nuove soluzioni tecniche
o avere scopi di ricerca scientifica o applicata; si pone, pertanto il problema
dell’appartenenza o meno al datore di lavoro delle invenzioni e delle opere di
ingegno fatte dal lavoratore nel corso del rapporto. Per quanto riguarda le
invenzioni, l’articolo 2590, 1° comma, del codice civile, stabilisce
espressamente che “il prestatore di lavoro ha diritto di essere riconosciuto
autore dell’invenzione fatta nello svolgimento del rapporto di lavoro” (il così
detto diritto morale di invenzione).
In ordine alle conseguenze patrimoniali, invece, occorre distinguere:
- invenzioni
ij/3zzazioo di lavoro o di servizio, cioè
m3 quelle fatte dal lavoratore
nell’applicazione di una attività, prevista come oggetto del rapporto ed a tale
scopo retribuita (esempio i ricercatori scientifici), che appartengono in ogni
caso al datore di lavoro, mentre il lavoratore ha solo il diritto ad esserne
riconosciuto autore (regio decreto 29/6/1939, art, 23, n. 1127). Solo per le
utilizzazio
le
1127/1939, art.23, 2°comma e sentenze della Corte di Cassazione 5/12/72
n.3509, e 5/10/84 n. 2517),
- invenzioni occasionali, frutto del solo ingegno del lavoratore, che
appartengono invece all’autore, salvo il diritto di prelazione, riconosciuto al
datore di lavoro, di far sua l’invenzione, dietro adeguato compenso (vedasi
sempre il citato decreto legge 1127/1939, articolo 24.
In ogni caso, merita ricordare che il datore di lavoro acquista l’invenzione a
titolo derivativo, mentre il lavoratore, autore dell’invenzione, la acquista a titolo
originario. (sui concetti di acquisto della proprietà a titolo originario e
derivativo, vedasi quanto esposto nel capitolo dedicato ai diritti reali.
- 54 -
MODULO 3: LINEAMENTI DEL SISTEMA
PREVIDENZIALE E ASSISTENZIALE
Art. 4 della Costituzione. - La Repubblica riconosce a tutti i
cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che
rendono effettivo questo diritto. ...
Art. 38 della Costituzione. - Ogni cittadino inabile al lavoro e
sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha il diritto al
mantenimento ed all’assistenza sociale.
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati
mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio,
malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione ed
all’avviamento professionale.
Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed
istituti previsti o integrati dallo Stato.
Oltre al mantenimento dello stato di benessere psico-fisico
attuando prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione delle
malattie tramite l’estensione dell’assistenza sanitaria a tutti i
cittadini, lo Stato si pone l’obbligo di garantire un adeguato
benessere socio-economico mediante interventi erogati per
sostituire, integrare o ripristinare la capacità economica di
ciascuno, attivando gli istituti di assistenza e previdenza sociale.
1) Assistenza sociale.
Consiste in prestazioni di vario genere indirizzate al sostegno di
ogni persona, lavoratore o no, che si trovi in uno stato di
bisogno.
Essa viene attuata direttamente dagli organi di pubblica
amministrazione e attinge i propri mezzi dal finanziamento
pubblico (imposte fiscali), in ciò differenziandosi da tutte le
altre istituzioni private di assistenza e di beneficenza, con le
quali condivide lo spirito di solidarietà umana e dalla previdenza
sociale, alimentata in buona parte dai contributi dei lavoratori.
Alcune prestazioni di assistenza sociale sono incompatibili con
prestazioni di previdenza sociale, altre sono cumulabili con esse.
Tipici interventi di assistenza sociale sono l’assegno, la
pensione o l’indennità di accompagnamento per gli invalidi
civili, i ciechi ed i sordomuti oppure la pensione sociale per gli
ultrasessantacinquenni.
2) Previdenza sociale.
Si tratta di uno strumento di politica sociale destinato a
prevenire condizioni di bisogno di soggetti esposti ed
economicamente indifesi in quanto totalmente dipendenti dal
lavoro quotidiano; è riservato alle classi lavoratrici, le quali
fruiscono di determinate prestazioni al fine di riparare le
conseguenze dannose derivate da alcuni eventi previsti ed
individuati dal legislatore.
I rischi assicurati sono rappresentati dagli infortuni del lavoro e
malattie professionali, dall’invalidità o inabilità al lavoro, dalla
tubercolosi, dalla disoccupazione involontaria e dalla vecchiaia.
è evidente che le assicurazioni sociali, essendo dirette alla
copertura di determinati rischi e solo di questi, forniscono le
prestazioni economiche e sanitarie quando il rischio si è
realizzato, ossia quando il soggetto diventa malato, infortunato,
invalido o disoccupato, perciò l’intervento ha il carattere
riparatore di un danno in atto, ma è privo di una reale efficacia
preventiva del danno stesso.
Il finanziamento delle prestazioni previdenziali è basato su un
fondo alimentato dai contributi assicurativi versati in parte dal
soggetto assicurato ed in parte dal datore di lavoro (salario
previdenziale o differito) eventualmente integrati dallo Stato.
UD1: La previdenza e le assicurazioni sociali
La previdenza sociale è realizzata mediante le assicurazioni
sociali INAIL ed INPS, che non perseguono scopi di lucro;
l’assicurazione ha un carattere collettivo sia per la definizione
dei rischi e delle prestazioni che per l’iscrizione dei soggetti
protetti.
La garanzia della tutela dei rischi è data dalla obbligatorietà ed
automaticità dell’assicurazione.
L’assicurazione è infatti obbligatoria in quanto le disposizioni
legislative impongono l’iscrizione del lavoratore per il fatto
stesso dell’instaurarsi del rapporto di lavoro, per cui la mancata
iscrizione del lavoratore dipendente da parte del datore di lavoro
realizza un fatto antigiuridico sanzionabile.
L’automaticità dell’assicurazione realizza un dispositivo che
garantisce le prestazioni assicurative anche nel caso in cui i
contributi non siano stati versati, lasciando all’Ente assicuratore
l’onere di acquisire la contribuzione assicurativa, senza che per
questo vengano lasciati i lavoratori senza prestazioni
assistenziali.
3) Sicurezza sociale.
Rappresenta una forma di superamento dei regimi di previdenza
ed assistenza sociale, caratterizzata da un intervento pubblico
esteso indistintamente a tutti i cittadini in quanto tali, diretta alla
tutela di tutte le fondamentali condizioni di bisogno e non
soltanto alla copertura di determinati rischi, finanziata coi fondi
prelevati dal reddito nazionale mediante forme speciali di
imposte e tasse. Rappresenta quindi un’istituzione di giustizia
sociale fra le classi operando una ridistribuzione del reddito
nazionale destinato ad obiettivi specifici, fra quelli che più
interessano la società (eventi tutelati).
Caratteri della sicurezza sociale sono la globalità, l’uniformità e
l’equità dei suoi interventi, la estesa fiscalizzazione dei mezzi di
finanziamento e la giustificazione politica individuata
nell’interesse della collettività a realizzare il benessere sociale.
La realizzazione di una funzione assistenziale totalitaria dello
Stato richiede livelli di spesa ingenti e presuppone un grado di
perfezione organizzativa in tutti i settori difficilmente
raggiungibile, né tutti sono d’accordo nell’assegnare alla
sicurezza sociale compiti così vasti, per cui ben difficilmente
potrà ambire a diventare un pubblico servizio aperto a tutti i
cittadini, destinato a soppiantare e le forme di previdenza e di
assistenza attualmente operanti e previste dall’art. 38 della
Costituzione.
UD2: Il lavoro delle donne e dei minori
Fin dagli inizi della legislazione sociale, l’intervento protettivo
nei confronti di soggetti deboli (donne e minori) è stato rivolto
ad escluderne o limitarne l’occupazione per mezzo di numerosi
divieti, relativi all’esecuzione della prestazione. L’art. 37 C.
prevede che: “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità
di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le
condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua
essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al
bambino una speciale adeguata protezione”. L’art. da un lato ha
riaffermato gli obiettivi protettivi tradizionali della tutela
differenziata del lavoro femminile e minorile e, dall’altro lato,
ha introdotto il principio della tutela paritaria, cioè mirata a
garantire ai minori e alle donne la parità di trattamento, rispetto
ai lavoratori adulti. La tutela paritaria della donna è stata
rafforzata dalla legge n. 907/’77, grazie alla spinta dei
movimenti femministi. La legge sulla parità di trattamento tra
uomini e donne, in materia di lavoro, vieta ogni discriminazione
per quanto riguardo l’accesso al lavoro e l’attribuzione delle
qualifiche, delle mansioni e della progressione in carriera;
ribadisce la parità salariale, a parità di lavoro; stabilisce che, ai
fini della carriera o dell’attività di servizio, le assenze
obbligatorie per maternità siano considerate come attività
lavorativa; sancisce il divieto di lavoro notturno, salvo eccezioni
previste dai contratti collettivi; prevede la facoltà di prestare
l’attività lavorativa fino all’età consentita agli uomini (65 anni).
Per quanto riguarda la tutela differenziata della donna, è prevista
una speciale normativa per le lavoratrici madri, nella legge n.
1204/’71, rivolta ad assicurare loro tutela fisica ed economica.
Oltre al trattamento retributivo speciale, sono riconosciuti diritti
a: non occuparsi di lavori pericolosi, pesanti o insalubri; a
permessi per l’allattamento e il diritto a non essere licenziate per
il periodo di astensione obbligatoria, periodi di congedo per
motivi di famiglia o figlio portatore di handicap, ecc.
La tutela del lavoro minorile ha lo scopo di “limitare l’età”
minima di ammissione al lavoro e di “proibire l’occupazione dei
giovani” di età inferiore ai 18 anni, in condizioni d’impiego
particolarmente gravose o inadatte per faticosità, pericolosità o
insalubrità. L’importanza della tutela del lavoro minorile fu
esaltata da una direttiva n. 94/’33 che impone il divieto di
lavorare ai minori di 15 anni (con eccezioni per alcune attività).
Tale direttiva, in Italia, è stata attuata nel ’99 e prevede la
distinzione tra i bambini e gli adolescenti, che possono accedere
al lavoro col consenso dei genitori. Per i bambini l’orario di
lavoro previsto è di 7 ore giornaliere e 35 settimanali mentre per
gli adolescenti è di 8 giornaliere e 40 settimanali. Hanno diritto
a riposi: giornalieri, settimanali e annuali (ferie) e l’inosservanza
di tali limiti comporta la nullità del contratto.
MODULO 4: LE FUNZIONI DELLO STATO
UD 1: Funzione legislativa (Governo)
L'espressione più alta dell'autonomia della Provincia è
rappresentata dall'esercizio della funzione legislativa. Infatti la
volontà politica, che può concretizzarsi in una molteplice serie
di atti, trova certamente il più solenne momento di
formalizzazione nel "fare le leggi provinciali", disposizioni
generali disegnate sulla particolare realtà territoriale, sociale ed
economica del Trentino.
La fonte di tale potere è la Costituzione repubblicana, e per la
Provincia di Trento lo Statuto.
Il nostro sistema statutario ha previsto la possibilità di legiferare
in una serie innumerevole di materie che si distinguono
essenzialmente in tre gruppi a seconda dei principi e dei limiti
che il legislatore deve rispettare. Il gruppo più consistente è
anche il più libero, in quanto comprende settori che sono quasi
del tutto sottratti alla disciplina dello Stato (potestà esclusiva);
in una seconda serie di materie è invece possibile intervenire
con legge purché si rispettino i principi fondamentali delle leggi
nazionali (potestà concorrente); infine in alcune delimitate
materie si può legiferare solo per integrare la disciplina delle
leggi statali.
Ma indipendentemente dal tipo di potere esercitato, le modalità
di formazione delle leggi provinciali sono le stesse e sono
articolate in un complesso procedimento, chiamato
procedimento legislativo. Tale procedimento è obbligatorio ma
non doveroso: significa che tutti i disegni di legge che al termine
dell'iter divengono leggi hanno superato necessariamente l'intera
procedura, ma che un disegno di legge può anche non
oltrepassare alcuna delle fasi e dunque, al termine della
legislatura, decadere.
Iniziativa legislativa
L'iniziativa legislativa si sostanzia nel potere di presentare al
Consiglio provinciale disegni di legge, cioè particolari
documenti redatti in articoli e preceduti da una relazione che ne
illustra le finalità. I disegni di legge vengono sottoposti ad un
complesso procedimento articolato in fasi: le due principali fasi
si svolgono rispettivamente presso la commissione competente
per materia, con carattere istruttorio, e in Assemblea, con valore
decisionale. Al termine della procedura, solo se sono approvati
dal Consiglio provinciale divengono leggi della Provincia.
Il sistema statutario-regolamentare prevede il potere di iniziativa
legislativa in capo a tre soggetti: il popolo, i consiglieri
provinciali e la Giunta. Sul piano formale vi è parità fra i tre
soggetti in quanto tutti risultano idonei, con la presentazione di
una proposta, a dare l'avvio al procedimento di formazione di
una legge.
In realtà le statistiche (non solo del Consiglio provinciale ma di
qualsiasi parlamento) dimostrano che sono le iniziative attivate
dai governi a divenire con più facilità leggi, sia perché al
momento dell'approvazione del provvedimento possono contare
sulla maggioranza dell'Assemblea che li sostiene ma anche per il
bagaglio di conoscenze tecniche che occorre possedere per
predisporre un progetto di legge organico, bagaglio
normalmente a disposizione degli uffici competenti delle
strutture della Giunta. In materia di bilancio e di legge
finanziaria addirittura è prevista un'iniziativa vincolata che
compete esclusivamente alla Giunta.
Il diritto di iniziativa riconosciuto a ciascun consigliere si
esercita senza particolari formalità e può essere esercitato dal
giuramento fino al momento della perdita della qualità di
componente il Consiglio.
Iniziativa legislativa popolare
L'iniziativa legislativa popolare, prevista nella Costituzione
italiana, è uno dei principali strumenti di democrazia e di
partecipazione diretta dei cittadini alla gestione della cosa
pubblica.
Le regole che un qualsiasi cittadino iscritto nelle liste elettorali
per le elezioni provinciali deve osservare per farsi promotore di
un disegno di legge sono stabilite da una legge provinciale.
La proposta di legge, che non può riguardare materia tributaria o
di bilancio, deve essere redatta in articoli e preceduta da una
relazione che ne illustri le finalità ma soprattutto deve essere
accompagnata dalle sottoscrizioni di duemilacinquecento
elettori. Se la proposta riguarda interessi delle minoranze
linguistiche ladine, mochene o cimbre, le firme necessarie sono
ridotte a cinquecento. Le sottoscrizioni si devono raccogliere nel
termine di novanta giorni su appositi moduli forniti dal
Consiglio provinciale ad almeno tre promotori che formalizzano
preventivamente l'oggetto dell'iniziativa.
Depositata la proposta legislativa, il Presidente del Consiglio,
valutata la sua proponibilità in quanto rispettosa della
Costituzione, dello Statuto e della legge, la assegna alla
commissione competente per materia, ai cui lavori potrà
partecipare il primo proponente al quale sono riservati i diritti di
un consigliere provinciale proponente.
Problematica è la questione del peso che tale iniziativa riveste
nell'ambito delle complesse procedure consiliari. Si sono
stabilite allora alcune norme di favore quali un termine per
l'inizio dell'esame in commissione (quarantacinque giorni
dall'assegnazione del provvedimento), un termine per l'inizio
dell'esame in Consiglio (decorso il quale la proposta è soggetta a
referendum propositivo senza necessità di raccolta delle
sottoscrizioni) e, in deroga alla regola generale della decadenza
per fine legislatura, si è sancita la sopravvivenza per due
legislature consecutive dei disegni di legge di iniziativa
popolare.
Il procedimento legislativo in commissione
I disegni di legge devono essere presentati alla segreteria del
Consiglio e sono sottoposti ad un esame preliminare, non di
merito, del Presidente del Consiglio, il quale assegna ogni
disegno di legge alla commissione competente per materia.
La fase che si svolge in commissione è importante per la sua
natura istruttoria e talvolta parzialmente informale: la
commissione ha infatti interesse ad acquisire il maggior numero
di informazioni e di dati sulle tematiche che si intendono
affrontare e risolvere con quel disegno di legge. Pertanto,
generalmente
dopo
un'esposizione
introduttiva
del
provvedimento a carico del proponente, la commissione
organizza le cosiddette consultazioni, sedute nelle quali sente i
potenziali interessati a quel disegno di legge, individuati dalla
commissione stessa o che ne hanno fatto richiesta, comunque
tutti rappresentanti di interessi generali. La commissione
acquisisce inoltre documenti e informazioni e può chiedere alla
Giunta provinciale ogni ulteriore dato in suo possesso. Talvolta
la commissione organizza anche sopralluoghi, ossia visite sul
territorio per approfondire ulteriormente i problemi sottoposti al
suo esame. In questa fase la commissione può utilizzare lo
strumento
dell'abbinamento
che
consente
l'esame
contemporaneo di disegni di legge sulla stessa materia.
La commissione analizza poi il testo del disegno di legge
dapprima nelle sue linee generali e poi con riferimento agli
articoli; ha il potere di unificare in un solo testo più
provvedimenti aventi analoghe finalità, può proporre ed
approvare emendamenti, che si sostanziano in modifiche e
integrazioni agli articoli, e alla fine approva o respinge il
disegno di legge con una votazione finale, la quale però non ha
la funzione di bloccare la successiva fase in Consiglio (ecco
dunque che tale fase si dice referente perché la commissione
deve riferire all'Aula).
I lavori della commissione si chiudono con la nomina di un
relatore per l'Assemblea, un consigliere che a nome della
maggioranza della commissione presenta al Consiglio una
relazione scritta ove è sintetizzata la posizione assunta su quel
provvedimento e alla quale è allegato il nuovo testo degli
articoli. E' possibile per i consiglieri di minoranza presentare
proprie relazioni.
Il procedimento legislativo in Consiglio
In Assemblea il procedimento è molto formalizzato: il
succedersi delle fasi, dei tempi e le regole sono più rituali
rispetto all'istruttoria che si svolge in commissione. I momenti
fondamentali sono due: la discussione generale sul disegno di
legge e la discussione degli articoli. La discussione generale si
apre con l'intervento del proponente ma possono partecipare al
dibattito tutti i consiglieri e la Giunta. Al termine, dopo le
repliche che spettano all'Esecutivo, al relatore della
commissione e al proponente, vengono esaminati gli ordini del
giorno, documenti politici con i quali si impegna la Giunta su
tematiche attinenti al disegno di legge in trattazione.
Si passa poi all'esame e alle votazioni degli articoli e degli
emendamenti. Gli emendamenti sono iniziative incidentali che
ogni consigliere può presentare ad un disegno di legge e che
tendono ad aggiungere, sostituire, modificare o sopprimere parti
di quel provvedimento. Anche gli emendamenti sono a loro
volta suscettibili di proposte di modificazione tramite i subemendamenti. In questa fase le procedure possono divenire
particolarmente complesse in relazione al numero degli articoli e
degli emendamenti in trattazione e compete allora al Presidente
del Consiglio porre in votazione secondo un ordine logico tutti i
documenti in base alle regole generali prestabilite.
Al termine, dopo le dichiarazioni di voto, il Presidente sottopone
il disegno di legge alla votazione finale che si tiene a scrutinio
segreto.
Il
provvedimento
legislativo
viene
allora
definitivamente approvato o respinto.
La votazione per articoli, che consente di esaminare le singole
disposizioni, determina anche la possibilità che la volontà
consiliare ne accetti taluni e ne respinga altri. La votazione
finale permette allora che una legge sia, nel suo complesso,
approvata o respinta dalla maggioranza del Consiglio.
La promulgazione e pubblicazione delle leggi provinciali
Dopo l'approvazione di un disegno di legge da parte
dell'Assemblea il Presidente del Consiglio opera sul testo il
coordinamento formale: un'operazione delicata e puntuale di
revisione sintattica e stilistica, di correzione di imprecisioni e di
errori materiali e di altri aggiustamenti riguardanti la sola forma
delle disposizioni.
Successivamente trasmette il testo al Presidente della Provincia
al quale compete la promulgazione della legge: un momento
formale ma di estrema importanza, un atto che si inserisce tra la
conclusione della funzione legislativa e l'inizio di quella
esecutiva.
Con la promulgazione della legge da parte del Presidente della
Provincia la stessa assume una data certa (quella del giorno nel
quale il Presidente firma la legge) ed il numero progressivo della
raccolta annuale delle leggi.
La legge viene poi inviata al Bollettino ufficiale della Regione
per la sua pubblicazione. Di regola entra in vigore, cioè diventa
obbligatoria nel territorio provinciale, il quindicesimo giorno
successivo a quello della sua pubblicazione. E' però possibile
che il legislatore, di volta in volta, stabilisca per l'entrata in
vigore un termine diverso, generalmente più breve.
Il ricorso alla Corte costituzionale contro le leggi provinciali
La riforma della Costituzione ha eliminato l'istituto del controllo
preventivo sulle leggi, cioè il controllo che competeva al
Governo nei trenta giorni successivi all'approvazione della
deliberazione legislativa e prima della sua promulgazione.
Il nuovo sistema costituzionale ha previsto che il controllo della
legittimità delle leggi venga svolto successivamente alla loro
entrata in vigore e in maniera paritaria: cioè lo Stato, le regioni e
le province autonome hanno reciprocamente gli stessi poteri e
seguono la medesima procedura per ricorrere contro le leggi
altrui.
Basandosi sulla pretesa che la legge non abbia rispettato le
competenze della Provincia, o che abbia violato il principio di
parità tra i gruppi linguistici, il Governo può dunque impugnare
una legge provinciale davanti alla Corte costituzionale entro il
termine perentorio di sessanta giorni decorrenti dalla
pubblicazione nel Bollettino ufficiale.
UD 2: Funzione amministrativa (Stato)
La funzione amministrativa è l’attività concreta dello Stato
rivolta a soddisfare bisogni collettivi in maniera diretta e
immediata.
Quando la legge o una sentenza riconoscono e proteggono ad
esempio il diritto di proprietà, non per questo si può dire che
soddisfano direttamente e immediatamente l'interesse del
singolo a poter godere e disporre del proprio bene, ma
forniscono solo le condizioni mediate affinché il soggetto stesso
possa agire per conseguire le utilità pratiche idonee a soddisfare
il proprio interesse.
L'attribuzione di competenze
L'«attribuzione» è un atto con cui un organo, costituito come
centro di interessi, riceve la facoltà-obbligo di esercitare i propri
poteri in relazione ad un complesso di materie. Di conseguenza,
stabilire le competenze di un organo è un'operazione da farsi
secondo un «criterio relazionale», cioè con riferimento al modo
con cui gli organi si dirigono verso la realizzazione di una
finalità pratica.
UD 3: Funzione giudiziaria (Magistratura)
Tale funzione consiste nel risolvere i contrasti che possono
verificarsi all’interno della collettività;
chiamato a risolvere tali contrasti è il giudice, il quale deve
decidere chi ha ragione e chi ha torto applicando le norme
giuridiche al caso concreto ( Jus dicere = dire il diritto). In base
al tipo di contrasti si distinguono tre tipi di giurisdizione:
- giurisdizione civile: si occupa di risolvere i contrasti tra
soggetti privati. La parte che si rivolge al giudice si chiama
attore, colui che viene citato si chiama convenuto.
- giurisdizione penale: si occupa di accertare se pè stato
commesso un reato cioè un comportamento vietato dalla legge
in quanto dannoso per l’intera collettività. Le parti di questo
giudizio sono: l’imputato cioè colui che è accusato di aver
commesso il reato ed è assistito da un avvocato (difesa) e il
pubblico ministero che, a nome della collettività, svolge il
ruolo di accusa.
- giurisdizione amministrativa:si occupa di risolvere i
contrasti tra uno o più soggetti privati e la Pubblica
Amministrazione (organi dello Stato o enti pubblici). I privati
sentendosi danneggiati da un atto amministrativo che
considerano illegittimo, presentano ricorso contro di esso (parte
ricorrente); la P.A. che invece intende resistere al ricorso si
chiama parte resistente.
Oltre ai tipi di giurisdizione ci sono anche vari gradi di
giurisdizione nel senso che, quando il giudice di primo grado
ha pronunciato una sentenza, la parte soccombente può fare
ricorso in secondo grado di fronte ad un secondo giudice il
quale esaminerà di nuovo nel merito la questione (giudice di
merito) e pronuncerà una nuova sentenza. Nella giurisdizione
amministrativa tale sentenza è definitiva; invece nella
giurisdizione civile o penale la parte soccombente in secondo
grado può presentare ricorso in terzo grado di fronte alla Corte
di Cassazione. Quest’ultima è un giudice di legittimità in
quanto non riesamina i fatti ma controlla solo la corretta
applicazione delle norme giuridiche e, in caso negativi, può
cancellare la sentenza rinviando il processo all’indietro.
La sentenza diventa dunque definitiva (si dice che è passata in
giudicato) quando è stata pronunciata in terzo grado dalla Corte
di Cassazione senza rinvio oppure quando sono scaduti i termini
per il ricorso, senza che questo sia stato presentato.
MODULO 5: LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
UD1: Articolazione
In diritto il termine amministrazione pubblica (o pubblica
amministrazione) ha un duplice significato:
•
•
in senso oggettivo è una funzione pubblica
amministrativa), consistente nell'attività volta
degli interessi della collettività (interessi
predeterminati in sede di indirizzo politico;
in senso soggettivo è l'insieme dei soggetti che
tale funzione.
(funzione
alla cura
pubblici),
esercitano
L'aggettivo "pubblica" che qualifica il termine amministrazione
fa capire che quest'ultimo ha di per sè un significato più ampio:
in effetti qualsiasi persona o ente svolge attività volta alla cura
dei propri interessi privati o di quelli della collettività di
riferimento.
Amministrazione pubblica in senso oggettivo
La pubblica amministrazione svolge tanto attività giuridiche,
che si manifestano in atti giuridici, quanto attività meramente
materiali. L'attività giuridica può estrinsecarsi in provvedimenti,
attraverso i quali vengono esercitati poteri autoritativi, ossia
pubbliche potestà (attività iure imperii), oppure in atti di diritto
privato (atti di gestione), tra cui i contratti, adottati in virtù
dell'autonomia privata di cui i soggetti della pubblica
amministrazione dispongono come tutti i soggetti giuridici
(attività iure gestionis). L'ordinamento può anche consentire
all'organo amministrativo di utilizzare atti consensuali e non
autoritativi, quali le convenzioni, in luogo del provvedimento o,
quantomeno, ad integrazione del medesimo; si parla, in questi
casi, di modulo consensuale dell'esercizio della funzione
amministrativa: nell'ordinamento italiano un esempio è offerto
dagli accordi previsti dall'art. 11 della legge n. 241/1990. In
questi casi, così come quando agisce iure gestionis, la pubblica
amministrazione si spoglia della posizione di supremazia nei
confronti dei destinatari dei suoi atti, che invece connota
l'attività iure imperii, ponendosi in una posizione
tendenzialmente paritaria nei loro confronti, ragione per cui si
parla di attività paritetica.
Nell'ambito della funzione amministrativa si suole distinguere la
funzione pubblica in senso stretto, comprendente le attività
amministrative connotate dall'esercizio di poteri autoritativi, dai
servizi pubblici, ossia quelle attività, non connotate
dall'esercizio di pubbliche potestà, volte all'erogazione di
prestazioni d'interesse pubblico. Nella pratica la distinzione non
sempre è netta: spesso, infatti, si nota una commistione tra i due
tipi di attività, sicché la classificazione nell'una piuttosto che
nell'altra categoria può essere fatta solo in base ad un criterio di
prevalenza[1].
Relazioni con le altre funzioni pubbliche
La funzione amministrativa si distingue da quella legislativa (o,
più in generale, normativa) perché quest'ultima si traduce nella
creazione di norme (tendenzialmente) generali ed astratte, con
efficacia erga omnes, laddove l'amministrazione provvede
tendenzialmente per il caso singolo, mediante norme speciali e
concrete, aventi efficacia inter partes. Peraltro, vi sono anche
atti della pubblica amministrazione che hanno come destinatari
una pluralità indeterminata di soggetti (atti generali); alcuni di
questi contengono norme non solo generali ma anche astratte,
perché applicabili ad una pluralità indeterminata di casi, nel qual
caso si tratta di veri e propri atti normativi (regolamenti) e
siamo di fronte all'esercizio di funzioni materialmente normative
da parte di organi amministrativi, in deroga al principio di
separazione dei poteri. La funzione amministrativa si
differenzia, invece, dalla funzione giurisdizionale per la
particolare posizione di terzietà del giudice che caratterizza
quest'ultima.
In virtù del principio di legalità, proprio dello stato di diritto, gli
organi della pubblica amministrazione possono esercitare le sole
potestà loro conferite dalle norme, tendenzialmente generali e
astratte, poste dal potere legislativo e le devono esercitare in
conformità a tali norme. Il principio vale anche per gli atti
formalmente amministrativi con i quali viene esercitata una
funzione materialmente normativa, ossia per i regolamenti, i
quali, pertanto, non potranno che essere subordinati alla legge
nella gerarchia delle fonti del diritto.
Funzione amministrativa e discrezionalità
In quanto diretta alla cura di interessi pubblici predeterminati in
sede politica, la funzione amministrativa è attività non libera nel
fine a differenza dell'attività svolta dai soggetti di diritto
nell'ambito della loro autonomia privata. Di solito il legislatore
stabilisce l'interesse pubblico da perseguire, lasciando all'organo
amministrativo un margine più o meno ampio di scelta sul modo
per farlo; in ordine a tale scelta l'organo deve ponderare
l'interesse pubblico affidato alle sue cure (interesse primario)
con gli altri interessi, pubblici o privati, con esso confliggenti
(interessi secondari), per stabilire se questi ultimi devono
recedere di fronte al primo. Si parla in questi casi di
discrezionalità amministrativa. Se l'attività amministrativa è
tipicamente discrezionale, non mancano tuttavia casi di attività
amministrativa vincolata, laddove il legislatore ha ritenuto di
dover effettuare una volta per tutte la ponderazione degli
interessi in gioco, stabilendo in modo puntuale ed esaustivo i
contenuti dell'attività che deve essere posta in essere dall'organo
amministrativo.
UD2: Decentramento
Amministrazione pubblica in senso soggettivo
In senso soggettivo l'amministrazione pubblica è costituita, in
primo luogo, dagli organi e uffici dello stato[2] che dipendono
dal governo. Questi sono ordinati in dicasteri, ai quali sono
preposti membri del governo che assicurano la traduzione
dell'indirizzo politico governativo nell'attività amministrativa
degli uffici del dicastero.
Nella generalità degli ordinamenti le funzioni amministrative,
oltre ai dicasteri, possono essere affidate ad organizzazioni
dotate di una certa autonomia, che possono anche avere
personalità giuridica di diritto pubblico, nel qual caso sono enti
pubblici, o di diritto privato (società di capitali, fondazioni ecc.).
Ciascuno di tali soggetti - dicastero, organizzazione autonoma
dotata o meno di personalità giuridica, sia essa di diritto
pubblico o privato - in quanto gli sono affidate funzioni
amministrative, può essere considerato un'amministrazione
pubblica.
Taluni enti pubblici sono dotati di una più o meno ampia
autonomia dal governo (o da altri enti pubblici) nel determinare
il loro indirizzo politico: sono questi gli enti autonomi, tra i
quali rientrano, in particolare, gli enti territoriali locali. Ad essi
si contrappongono gli enti strumentali che, invece, perseguono
fini propri di un altro ente, al quale sono perciò legati da vincoli
di soggezione; tra gli enti strumentali rientrano le agenzie, se
dotate di personalità giuridica, mentre, quando ne sono prive,
vanno considerate organi dello stato o di altri enti pubblici,
seppur complessi e dotati di una certa autonomia.
Negli ordinamenti di common
(contee ecc.) sono considerati
personalità giuridica, mentre
denominati: administration,
law gli enti territoriali locali
organi dello stato dotati di
gli altri enti - variamente
agency, authority, board,
commission ecc. - che compongono la pubblica amministrazione
sono persone giuridiche disciplinate dal diritto privato.
Quando la pubblica amministrazione vende beni o servizi sul
mercato svolge attività d'impresa: si parla, in questi casi, di
impresa pubblica, sebbene tali imprese, a differenza di quelle
private, non abbiano un fine principale di lucro[3]. L'impresa
pubblica può essere esercitata, oltre che da un'amministrazione
pubblica con i propri organi, da un'organizzazione apposita,
dotata di una certa autonomia, all'interno di un'amministrazione
pubblica (azienda autonoma) o da un apposito ente pubblico
(sono quelli che in Italia prendono il nome di enti pubblici
economici) o, ancora, da una società di capitali controllata da
una o più amministrazioni pubbliche (società a partecipazione
pubblica).
Oltre alle amministrazioni pubbliche di cui si è finora detto,
esistono in molti ordinamenti giuridici anche organi o enti
pubblici che esercitano particolari funzioni amministrative in
una posizione di piena e sostanziale indipendenza dall'indirizzo
politico del governo e di altri enti pubblici: sono le autorità
amministrative indipendenti.
Negli ordinamenti in cui vige la separazione dei poteri tutte le
amministrazioni pubbliche, comprese le autorità amministrative
indipendenti, costituiscono, unitamente al governo, uno dei tre
poteri dello stato: il potere esecutivo.
Vi sono, infine, casi in cui l'attività amministrativa è esercitata
in proprio da soggetti privati, persone fisiche o giuridiche,
estranee alla pubblica amministrazione; si parla allora di
esercizio privato di funzioni pubbliche o di servizi pubblici.
UD 3: Lineamenti del processo amministrativo
Il diritto delle amministrazioni pubbliche
Fino al XIX secolo l'attività amministrativa era disciplinata dalle
stesse norme che disciplinavano i rapporti tra privati. Certo, la
pubblica amministrazione, a differenza dei privati, disponeva di
potestà pubbliche, tuttavia le norme che le riguardavano erano
considerate norme speciali, sicché, al di fuori di quanto da esse
disciplinato, trovava applicazione il diritto comune.
Nel XIX secolo è andato formandosi, nei sistemi di civil law, un
corpo di norme, separato dal diritto privato, disciplinante
l'organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni
pubbliche, nonché i rapporti tra le stesse e i destinatari dei loro
provvedimenti (gli amministrati o, con una terminologia più
diffusa benché meno rigorosa[4], i privati): il diritto
amministrativo. La formazione di tale corpo normativo separato
è stata favorita anche dal fatto che in molti ordinamenti di civil
law i rapporti tra pubblica amministrazione e privati sono
devoluti ad un giudice ad hoc: il giudice amministrativo. Nella
seconda metà del XIX secolo, sulla scia delle concezioni del
tempo, secondo cui lo stato non poteva che agire in modo
autoritativo, il diritto amministrativo è andato espandendosi,
inglobando materie prima di diritto privato, quale il rapporto di
lavoro tra l'amministrazione ed i suoi dipendenti (o, almeno, i
funzionari); di conseguenza, i relativi rapporti sono divenuti
rapporti di diritto pubblico, con la pubblica amministrazione in
posizione di supremazia. Questa tendenza, peraltro, si era già
attenuata all'inizio del XX secolo e, sul finire dello stesso secolo
in molti ordinamenti si manifestava l'opposta tendenza a
restringere l'area dell'agire autoritativo della pubblica
amministrazione e, quindi, del diritto amministrativo, a favore
dell'agire consensuale e del diritto privato. D'altra parte, lo
stesso diritto amministrativo, tradizionalmente inspirato alla
supremazia della pubblica amministrazione nei confronti dei
privati e alla prevalenza dell'interesse pubblico sugli interessi
privati, negli ultimi tempi è andato aprendosi ad una maggiore
considerazione di questi ultimi, ad esempio garantendo ai loro
portatori la partecipazione ai procedimenti amministrativi,
sicché si suol dire che il diritto amministrativo attuale è basato
sul binomio "autorità-libertà".
L'evoluzione di cui si è detto non è avvenuta negli ordinamenti
di common law: qui l'organizzazione e il funzionamento della
pubblica amministrazione, nonché i suoi rapporti con i privati,
continuano ad essere disciplinate dal diritto comune, ossia dallo
stesso diritto che disciplina i rapporti tra i privati. Le potestà
pubbliche di cui dispongono gli organi amministrativi sono
oggetto di norme speciali, per lo più ricondotte al diritto
costituzionale (ad esempio, l'espropriazione per pubblica utilità
è ricondotta alla disciplina costituzionale del diritto di
proprietà), e, al di fuori di quanto in esse previsto, trova
applicazione il diritto comune. Inoltre negli ordinamenti di
common law le controversie tra pubblica amministrazione e
privati sono in linea di principio devolute agli stessi giudici che
conoscono le controversie tra privati[5]. Di qui l'affermazione
che nei paesi di common law non esiste il diritto amministrativo,
anche se in questi ordinamenti, sulla scia del progressivo
ampliamento dell'intervento pubblico che ha caratterizzato il XX
secolo, è andato strutturandosi un corpo di norme
(administrative law) che presenta similitudini con il diritto
amministrativo dei paesi di civil law.
MODULO 6: IL DIRITTO DI FAMIGLIA
UD 1: La famiglia
In diritto, il termine “famiglia” indica quel rapporto tra due o più
persone che trova origine nel matrimonio; il diritto di famiglia è
l’insieme di tutte le norme che disciplinano la vita della
famiglia, le relazioni tra marito e moglie e quelle fra genitori e
figli.
Non tutte le società hanno disciplinato allo stesso modo la vita
in famiglia. Nel diritto romano, ad esempio, la familia
comprendeva tutte le persone che erano sottomesse al potere di
uno stesso capofamiglia (pater familias). Il vincolo di sangue
non era infatti determinante e, accanto alla moglie e ai figli,
facevano parte della famiglia anche gli schiavi. Il pater familias
aveva potere assoluto di vita e di morte su tutti i membri della
famiglia ed era l’unico amministratore del patrimonio. Con
l’avvento del cristianesimo l’idea di famiglia cambiò
profondamente. Il matrimonio, al quale fu attribuito un elevato
valore etico, fu dichiarato indissolubile; accettato solo nella sua
forma monogamica, esso aveva tra i principali scopi quello della
procreazione.
Il diritto di famiglia attualmente vigente in Italia è il risultato di
alcune innovazioni decisive introdotte negli anni Settanta del
Novecento. La prima fu l’introduzione del divorzio (1970) che,
nei casi espressamente previsti dalla legge, consente a marito e
moglie di sciogliere il vincolo matrimoniale e di crearsi una
nuova famiglia; la seconda fu la riforma del diritto di famiglia
del 1975, ispirata al principio della parità di diritti e di doveri tra
moglie e marito, contenuto nella nostra Costituzione. Per quanto
riguarda le relazioni tra marito e moglie, il diritto sancisce il
dovere di essere fedeli, di assistersi, di collaborare e di abitare
nella stessa casa. La riforma ha inoltre introdotto la parità di
trattamento dei figli nati da genitori sposati e dei figli nati fuori
dal matrimonio, cioè nati da genitori non sposati.
Quanto alle relazioni tra genitori e figli, fino al compimento dei
diciotto anni il giovane è affidato ai genitori che hanno il dovere
di occuparsi di lui, provvedendo tra l’altro alla sua educazione e
istruzione. La potestà dei genitori comprende il dovere e il
potere di amministrare il patrimonio del minore ed è esercitata
da entrambi i genitori di comune accordo; il minore gode
tuttavia di tutti i diritti della persona e dei beni economici che
possiede
UD 2: Il matrimonio
La libera scelta del coniuge è un evento relativamente recente.
In Europa, prima dell’industrializzazione, le famiglie erano
considerate prevalentemente come unità produttive, unità dedite
cioè all’agricoltura e all’artigianato; in tale contesto, la scelta del
coniuge non era determinata dall’amore o dall’affetto, ma
piuttosto dagli interessi sociali ed economici. I proprietari
terrieri, ad esempio, erano soliti interferire direttamente nella
scelta del coniuge per i loro affittuari, in quanto li consideravano
una proprietà. Fra gli aristocratici era comune l’usanza di
cercare moglie o marito quasi esclusivamente all’interno della
cerchia nobiliare: il fenomeno (detto endogamia) ha avuto
diffusione anche in molte società orientali, ad esempio in India,
dove il coniuge veniva cercato fra gli appartenenti alla
medesima casta.
In questo modo il matrimonio diventava un meccanismo sociale
di particolare efficacia, in grado di riprodurre la distribuzione
diseguale delle ricchezze e dei privilegi fra le diverse classi
sociali, di preservare immutati i valori dei gruppi sociali
dominanti, di predeterminare le successioni patrimoniali e, in
sostanza, di controllare la mobilità sociale. Proprio a tal fine, in
alcuni paesi asiatici (Malaysia, India, Giappone ecc.), erano
molto comuni (e in parte lo sono ancora) i fidanzamenti o i
matrimoni tra bambini, in cui è ovviamente determinante la
scelta dei genitori. In Cina, fino agli anni Cinquanta del
Novecento, era pratica normale che lo sposo e la sposa si
incontrassero per la prima volta il giorno delle nozze.
La Riforma protestante, la rivoluzione industriale e la diffusione
dell’ideologia individualista, tipica delle società moderne, hanno
comportato nel corso dei secoli significativi mutamenti nel
matrimonio come istituzione. Oggi, ad esempio, la scelta del
coniuge è quasi completamente libera; occorre tuttavia
sottolineare che, pur trattandosi di una scelta in apparenza del
tutto personale, è di fatto fortemente influenzata da fattori
sociali, culturali, religiosi, economici, etnici ecc.
UD 3: Il divorzio e la separazione
Con divorzio (dal latino divortium, da di-vertere, "separarsi") si
intende il processo legale che pone fine al matrimonio.
In ambito socio-psico-pedagogico, in concomitanza con il
costante e progressivo aumento delle separazioni familiari, sono
comparsi molti studi relativi agli effetti della fine del
matrimonio sui partner e soprattutto sui figli.
Quando si parla di divorzio si parla sia di scioglimento del
vincolo matrimoniale sia di cessazione degli effetti civili del
matrimonio concordatario.
Poiché la distinzione tra le due fattispecie non è intuitiva, è
opportuno chiarire in che cosa questa consista. Premesso che
nell'ordinamento italiano esistono due forme di matrimonio,
quello civile e quello concordatario, si parla:
•
•
di scioglimento del vincolo matrimoniale, quando il
divorzio interviene in relazione al matrimonio civile, cioè
quello che è stato celebrato soltanto davanti all'ufficiale
dello stato civile;
di cessazione degli effetti civili del matrimonio, quando il
divorzio interviene in relazione al matrimonio
concordatario (ovvero al matrimonio celebrato in chiesa e
trascritto nei registri dello stato civile, quindi, con effetti
sia civili sia religiosi).
Condizioni per ottenere il divorzio
L'art. 1 della Legge n. 898/1970 afferma che «il giudice
pronuncia lo scioglimento del matrimonio [...] quando [...]
accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non
può essere mantenuta o ricostituita».
Il Tribunale prima di dichiarare lo scioglimento del vincolo
matrimoniale (se si tratta di matrimonio solo civile, cioè
celebrato davanti all’Ufficiale dello stato civile) o la cessazione
degli effetti civili del matrimonio (se si tratta di matrimonio
concordatario), dovrà accertare l’esistenza di due condizioni.
•
•
La prima, di natura soggettiva, è costituita dalla fine:
o della comunione materiale tra i coniugi, costituita
dalla stabile convivenza, da un'organizzazione
domestica comune, dal reciproco aiuto personale e
dalla presenza di rapporti sessuali;
o della comunione spirituale consistente nell'affetto
reciproco, nell'ascolto, nell'aiuto e nel sostegno
psicologico reciproci, nella comprensione e nella
condivisione dei problemi, su cui si fonda l'affectio
coniugalis che li lega in una vera comunanza di vita
e di spirito.
La seconda, di natura oggettiva, costituita dall'esistenza di
una delle cause tassativamente previste dalla legge (art.3
Legge 898/1970):
o che sia stata omologata la separazione consensuale
oppure sia stata pronunciata, con sentenza definitiva,
la separazione giudiziale e siano trascorsi almeno tre
anni dall'udienza presidenziale (che è la prima
udienza, in ambedue i casi);
o
o
o
o
che uno dei coniugi sia stato condannato all'ergastolo
o a qualsiasi pena detentiva per reati di particolare
gravità;
che uno dei coniugi, cittadino straniero, abbia
ottenuto nel suo paese l'annullamento o lo
scioglimento del matrimonio ovvero abbia contratto
nuovo matrimonio;
che il matrimonio non sia stato consumato;
che sia stato dichiarato giudizialmente il mutamento
di sesso di uno dei coniugi.
La dichiarazione di nullità del matrimonio religioso comporta
anche la cessazione degli effetti civili, tra cui l'obbligo al
pagamento degli alimenti, fatti salvi gli effetti del matrimonio
putativo.
Per la legge italiana deve trascorrere un periodo minimo di 3
anni dalla separazione prima di ottenere il divorzio.
Divorzio breve: attuazione del divorzio in maniera più veloce.
Abbreviazione dei tempi, semplificazione delle procedure e
riduzione delle spese per ottenere lo scioglimento del vincolo
coniugale come già avviene in vari paesi. Ad es. in Spagna la
procedura dura da sei mesi a un anno e mezzo; in Perù tre mesi
nei municipi o presso i notariati.
La Separazione personale dei coniugi Interruzione disciplinata
dalla legge dell’obbligo di coabitazione previsto per i coniugi in
conseguenza del matrimonio. Prima della legge istitutiva del
divorzio, la separazione personale era l’unico rimedio al
fallimento del matrimonio; oggi, invece, il ricorso alla
separazione è di norma finalizzato ad ottenere, dopo un periodo
minimo di tre anni, la cessazione del vincolo coniugale.
La separazione può essere consensuale o giudiziale a seconda
che sia richiesta da entrambi i coniugi (in questo caso deve
essere solo omologata dal giudice) o da uno solo di essi in
contrasto con l’altro. Suo presupposto è l’intollerabilità della
prosecuzione della convivenza o il grave danno per l’educazione
dei figli, a prescindere dal fatto che tali situazioni siano
attribuibili alla colpa di uno o dell’altro dei coniugi. L’elemento
della colpa assume invece rilevanza in relazione all’addebito
della responsabilità della separazione a uno dei coniugi che ha
conseguenze esclusivamente sul piano dei rapporti patrimoniali.
La separazione si dice “di fatto” quando è posta in essere senza
le forme previste dalla legge, non incide sul vincolo
matrimoniale che permane immutato e può cessare in seguito
alla riconciliazione dei coniugi.
UD 4: Il regime patrimoniale della famiglia
Art. 159 cod. civ. Riformato dalla L. 151/75: "... il regime
patrimoniale legale della famiglia, in mancanza di diversa
convenzione stipulata a norma dell'art. 162 cod. civ., è
costituito dalla comunione dei beni".
1) COMUNIONE LEGALE
E’ opportuno fin da ora precisare che la comunione legale non è
comunione universale, cioè non ricade su tutto quanto
appartiene a ciascun coniuge.
Secondo quanto previsto dall'art. 177 c.c., costituiscono oggetto
della comunione:
1) Gli acquisti compiuti dai coniugi insieme o separatamente
durante il matrimonio (es. mobili di casa, auto, appartamento),
ad esclusione di quelli relativi ai beni personali. Non vi fanno
parte i redditi, ma i risparmi sino allo scioglimento della
comunione.
2) Le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il
matrimonio (impresa familiare art.230 bis);
3) Gli utili e gli incrementi di aziende gestite da entrambi i
coniugi, ma appartenenti ad uno solo di essi anteriormente al
matrimonio.
Sono esclusi i "beni personali" di ciascun coniuge (art. 179
c.c.):
1) I beni di cui il coniuge era già titolare prima del matrimonio;
2) I beni acquisiti successivamente il matrimonio per effetto di
donazione o successione, salvo che siano espressamente
attribuiti alla comunione;
3) I beni di uso strettamente personale;
4) I beni che servono all'esercizio della professione del coniuge;
5) I beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno, nonché la
pensione attinente alla perdita totale e/o parziale della capacità
lavorativa;
6) I beni acquisiti con il prezzo del trasferimento di altri beni
personali o col loro scambio, purché ciò sia espressamente
dichiarato all'atto dell'acquisto.
L'amministrazione dei beni della comunione (art. 180 c.c.)
spetta disgiuntamente ad entrambi i coniugi. Tuttavia, il
compimento degli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione,
spetta congiuntamente ad entrambi i coniugi.
In caso in cui uno dei coniugi rifiuti il consenso (art.181 c.c.),
l'altro può rivolgersi al Giudice per ottenere l'autorizzazione, nel
caso in cui la stipulazione dell'atto sia necessaria nell'interesse
della famiglia o dell'azienda gestita da entrambi i coniugi e
costituita dopo il matrimonio.
Atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso:
1. ogg: beni immobili o mobili registrati => Annullabili;
2. ogg: beni mobili => il coniuge è obbligato a ricostituire la
comunione ovvero, qualora non sia possibile, a pagare alla
comunione l'equivalente.
Art.186 c.c.: Obblighi gravanti sui beni della comunione. 1
beni della comunione rispondono:
1) Di tutti i pesi ed oneri gravanti su di essi al momento
dell'acquisto;
2) Di tutti i carichi dell'amministrazione;
3) Delle spese per il mantenimento della famiglia,
dell'istruzione, di ogni obbligazione contratta dai coniugi
separatamente nell'interesse della famiglia;
4) Di ogni obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi.
I creditori particolari dei coniugi non possono soddisfarsi sui
beni della comunione se non in quanto i beni personali del loro
debitore non siano capienti: in tal caso possono soddisfarsi sui
beni della comunione solo limitatamente al valore della quota
del loro debitore, ossia alla metà, purché non vengano in
conflitto con i creditori della comunione, i quali sono ad essi
sempre preferiti.
Scioglimento della comunione (art.191 c.c.)
1) Morte di uno dei coniugi;
2) Sentenza di divorzio;
3) Fallimento di uno dei coniugi;
4) Convenzione di abbandono del regime di comunione;
5) Separazione giudiziale dei beni;
L'art. 193 c.c. stabilisce che tale separazione può essere
pronunciata dal Tribunale a richiesta di uno dei coniugi, quando
ricorre una delle seguenti cause:
a.
b.
c.
d.
interdizione di uno dei coniugi;
inabilitazione;
cattiva amministrazione della comunione;
disordine degli affari personali del coniuge, tale da mettere
in pericolo gli interessi dell'altro / comunione / famiglia;
e. condotta tenuta da uno dei coniugi nell'amministrazione
della comunione, tale da creare una situazione di pericolo;
f. mancata / insufficiente contribuzione da parte di uno dei
coniugi al soddisfacimento dei bisogni familiari. La
sentenza retroagisce al giorno in cui è stata proposta la
domanda. Si procederà, quindi, alla divisione dei beni
comuni da effettuare sempre in parti eguali.
6) Dichiarazione di assenza, morte presunta;
7) Annullamento matrimonio (N.B. efficacia ex nunc);
8) Separazione personale legale dei coniugi (N.B. non basta la
separazione di fatto);
2) SEPARAZIONE DEI BENI
Art. 215 cod. civ. riformato: " ... convenire che ciascuno di essi
(coniuge) conservi la titolarità esclusiva dei beni acquistati
durante il matrimonio".
In sostanza, è il regime in forza del quale ciascun coniuge
rimane esclusivo titolare dei beni di sua pertinenza e di ogni
acquisto che abbia ad effettuare, con diritto ad amministrare il
suo patrimonio senza ingerenze dell'altro coniuge.
t necessario un accordo stipulato con atto pubblico o anche
mediante una semplice dichiarazione inserita nell'atto di
celebrazione del matrimonio.
Rimane fermo quanto stabilito dall'art.143,3' comma, c.c. e cioè:
"Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in base alle proprie
sostanze ed alla propria capacità di lavoro professionale o
casalingo, a contribuire ai . bisogni della famiglia (si veda
anche l'art.148)
4) COMUNIONE CONVENZIONALE
Si tratta di una convenzione diretta non ad escludere il regime di
comunione, bensì a disciplinarlo diversamente, dando luogo ad
una comunione, per l'appunto, convenzionale.
In concreto, la stipulazione di un'apposita convenzione mira a
ricomprendere nella comunione anche i beni personali ad
eccezione di quelli ex art. 179, lett. C,d ed e c.c. ovvero a
ricomprendere tutti i redditi di pertinenza individuale di ciascun
coniuge.
5) FONDO PATRIMONIALE
Raramente applicato. Si tratta di uno speciale regime per far
fronte ai bisogni della famiglia. La proprietà dei beni che
costituiscono il fondo, salva diversa disposizione nell'atto
costitutivo, spetta ad entrambi i coniugi. L'amministrazione del
fondo è regolata dalle stesse norme che disciplinano
l'amministrazione della comunione. Costituzione: atto pubblico
ovvero, se il costituente è un terzo, anche mediante testamento.
Oggetto: beni immobili, mobili iscritti in pubblici registri o titoli
di credito. N.B. 1 frutti dei beni del fondo non possono essere
utilizzati che per i bisogni della famiglia.
UD5: Filiazione, adozione e affidamento
La Filiazione è la condizione giuridica del figlio nell'ambito
della famiglia. La filiazione può essere di due tipi, legittima o
naturale: la prima si ha nel caso in cui il figlio sia nato da due
genitori uniti in matrimonio, mentre la seconda si realizza nel
caso in cui il bambino nasca da genitori non sposati. La
filiazione legittima si ha dunque quando il figlio nasce in
costanza di matrimonio, cioè da due genitori tra loro sposati; il
figlio di una donna sposata che viene concepito durante il
matrimonio si presume infatti figlio del marito. Questa prima
presunzione, però, non è sufficiente in quanto la data del
concepimento non può essere stabilita con certezza; a questo
riguardo soccorrono altre due presunzioni volte a stabilire la
filiazione legittima: la prima è quella in base alla quale si
presume concepito durante il matrimonio il bambino che nasce
almeno 180 giorni dopo il giorno del matrimonio dei genitori ed
entro 300 giorni dallo scioglimento del vincolo coniugale. La
seconda è quella secondo la quale, qualora il bambino sia nato
durante il matrimonio, si presume che il padre sia il marito della
moglie. Tale presunzione di paternità viene meno nel caso in
cui, pur essendo stato concepito il bambino durante il
matrimonio, questo sia nato dopo 300 giorni dalla separazione
dei genitori.
Adozione è un termine che riunisce gli istituti giuridici
dell’adozione di minori e dell’adozione di persone maggiorenni.
Nel caso in cui l’adozione si realizzi nei confronti di un minore,
produce l’effetto di fargli acquisire lo status di figlio legittimo
(Vedi anche filiazione). Finalità primaria dell’adozione di un
minore è quella di procurare a un bambino orfano o che si trovi
in una situazione famigliare fortemente problematica, un nucleo
famigliare più idoneo alla sua crescita
Adozione di maggiorenni
Il Codice civile, modificato in parte dalla legge del 4 maggio
1983 n. 184, disciplina questa tradizionale figura di adozione,
che viene posta in essere quando una persona adulta ne adotta
un’altra maggiorenne, con l’unico duplice limite che venga
rispettata la differenza d’età tra i due (che non deve essere
inferiore ai 18 anni) e purché non si tratti di figli naturali
dell’adottante già riconosciuti; questo, infatti, darebbe luogo a
una sovrapposizione di status. Questa figura di adozione non
fissa alcun limite di anzianità per l’adottante e può essere
ottenuta anche da una persona non sposata. Effetto
dell’adozione per l’adottato è l’acquisizione di uno status
assimilabile a quello di un figlio legittimo.
Adozione di minori
Questo tipo di adozione, oggi integralmente disciplinata dalla
legge del 4 maggio 1983 n. 184 e successive modifiche, mira,
come sopra accennato, ad assicurare al minorenne senza una
famiglia, o che si trovi in una situazione famigliare
“patologica”, una famiglia nuova e si presume migliore rispetto
a quella d’origine. Perché il bambino possa essere adottato è
necessario che si trovi in un particolare stato, detto “di
adottabilità”, che sussiste quando il minore, pur magari
materialmente assistito da istituti o terzi, è privo di assistenza
morale e materiale da parte dei genitori o parenti idonei a
provvedervi.
I requisiti richiesti dalla legge perché due persone possano
adottare un bambino (è per ora esclusa l’adozione dei single) è
che siano sposati da almeno tre anni, che entrambi abbiano una
differenza d’età rispetto al bambino non inferiore ai 18 anni e
non superiore ai 40. I potenziali genitori adottivi devono essere
valutati dal Tribunale per i minorenni come “idonei a educare e
istruire, e in grado di mantenere i minori che intendano
adottare”. Il bambino adottato acquista a tutti gli effetti lo status
di figlio legittimo, assume il nome dei genitori adottivi e può a
sua volta trasmetterlo; vengono così spezzati i legami con la
famiglia d’origine.
La legge di modifica della disciplina dell’adozione e
dell’affidamento n. 96 del 2001 ha rinnovato in molti punti la
legge 184/83. Le principali novità introdotte riguardano
l’innalzamento della differenza d’età massima fra adottando e
adottato a 45 anni, requisito che può sussistere anche in capo a
uno solo dei due coniugi se fra essi la differenza d’età non
supera i dieci anni; la previsione di un sistema di aiuti a favore
delle famiglie in difficoltà per tutelare il diritto del minore a
crescere con la propria famiglia d’origine; la precedenza
all’istruttoria di domande di adozione che riguardano bambini di
età superiore a cinque anni o portatori di handicap; la possibilità
di vedere riconosciuto il tempo della convivenza precedente al
matrimonio ai fini del computo dei tre anni necessari alla coppia
sposata per procedere all’adozione; la facoltà per l’adottato,
raggiunto il venticinquesimo anno d’età, di conoscere i dati
relativi alla sua origine e le generalità dei suoi genitori biologici.
Affidamento dei minori
L’affidamento dei minori è un Istituto che disciplina la
temporanea sistemazione di un minore al di fuori della sua
famiglia d'origine. I minori temporaneamente privi di un
ambiente familiare idoneo possono essere affidati a un’altra
famiglia, a una persona singola o a una comunità di tipo
familiare; solo laddove non sia possibile una di queste
collocazioni, è consentito il loro ricovero in istituti di assistenza
pubblici o privati.
L'elemento della temporaneità caratterizza questo istituto
giuridico, che è appunto volto a offrire ai minori un aiuto
temporaneo in vista di un reinserimento nella famiglia d'origine.
Se mancasse questa importante finalità si parlerebbe di adozione
provvisoria e non di affidamento. Una volta terminato il periodo
di affidamento stabilito dal tribunale, il minore viene reinserito
nella famiglia d'origine; se questo non è auspicabile, si apre la
procedura d'adozione.
La legge 149/2001 ha introdotto alcune modifiche alla
precedente legge 184/83 che disciplina l’adozione e
l’affidamento dei minori. Tra le novità previste, molto
importante è la decisione di superare completamente l’ipotesi di
ricovero del minore presso istituti di assistenza, privilegiandone
l’affidamento a una famiglia e, solo quando ciò non sia
possibile, prevedendone l’inserimento in comunità di tipo
familiare che consentano al minore di vivere in un ambiente
molto simile a quello di una famiglia. La legge 149/2001 fissa
inoltre la durata massima dell’affidamento in 24 mesi,
prorogabile da parte del Tribunale per i minorenni nel caso in
cui la sospensione dell’affidamento arrechi pregiudizio al
minore.
MODULO 7: LINEAMENTI GENERALI DELLA
LEGISLAZIONE SCOLASTICA
UD 1: La scuola italiana: storia, attualità e
prospettive
La scuola nell'Italia repubblicana
I programmi della scuola elementare del 1945
Nella Sicilia liberata già nel 1943 era al lavoro una commissione
guidata dal pedagogista americano Washburne, seguace di
Dewey, per la revisione dei programmi scolastici. Il governo
alleato comprese l'importanza fondamentale della riforma della
scuola elementare, la più influenzata dai germi fascisti, così nel
1944 era già al lavoro una seconda commissione incaricata di
redigere i nuovi programmi per la scuola di quel grado.
l'impostazione suggerita da Washburne era estremamente
avanzata e prevedeva apertutre pluriconfessionali, negando il
principio di fondamento e coronamento riconosciuto da Gentile
alla religione cattolica. per questo i programmi incontrarono
l'opposizione dei cattolici. Nel proseguimento del suo lavoro la
commissione fu affiancata da un rappresentante della chiesa, che
difese gli interessi cattolici il cui ruolo fondamentale nella
società italiana dell'epoca non poteva essere trascurato. Il
risultato furono dei programmi di compromesso: ideali molto
avanzati e democratici informavano la premessa, ma il corpo del
programma che disciplinava le singole discipline era di
impostazione molto moderata. Se gli insegnanti non si accorsero
delle novità e continuarono ad lavorare come prima, diversa fu
la reazione dei vertici che fecero pressioni per una nuova
riforma in senso conservatore, che si concretizzò solo 10 anni
dopo con i programmi del ministro Ermini.
La scuola nella Costituzione del 1948
Nella Costituzione della Repubblica italiana viene stabilita
l’istruzione pubblica, gratuita e obbligatoria per almeno 8 anni.
Viene sancita la libertà di istituire scuole "senza oneri per lo
stato" formula che avrà una interpretazione controversa nei
decenni successivi. Tuttavia restava il sistema scolastico
precedente: scuola elementare quinquennale e i tre anni
successivi divisi in “scuola media” (che permetteva di
proseguire gli studi grazie alla materia del latino) e “scuola di
avviamento professionale” (che senza l’insegnamento del latino,
escludeva da qualsiasi proseguimento degli studi)
Il progetto Gonella di riforma
Ministro dal 1946 al 1951, Gonella promuove una grande
inchiesta che sfocia in un progetto di riforma destinato ad
arenarsi anche per i contrasti sulla questione della scuola di
completamento dell'obbligo che interessava i contrastanti
interessi dell'associazionismo dei maestri e dei professori,
entrambi largamente rappresentati negli ambienti culturali e
politici che avevano la Democrazia Cristiana come principale
referente. Il governo introduce, in via amministrativa, la “scuola
post-elementare”, che avrebbe mantenuto il sistema duale, dove
un canale non permette ulteriori sbocchi. Nella seconda metà
degli anni cinquanta matura la consapevolezza che il processo di
sviluppo economico richiede una sempre maggiore quantità di
forza lavoro qualificata.
Proposte di legge del 1959
Donini e Luporini - prevedono l’istituzione di una scuola media
unica con l’obbligo dall’età di sei anni fino ai quattordici.
Medici – Riconferma i canali distinti e avanza anche la proposta
di una quadri partizione.
La riforma della scuola media del 1962
Dopo lunghe trattative tra DC e PSI, viene approvata la legge
n.1859 del 31 dicembre 1962. Essa prevede l'abolizione della
scuola di avviamento al lavoro con la creazione di una scuola
media unificata che permetta l’accesso a tutte le scuole
superiori. Nello stesso periodo vengono introdotte in Italia le
prime classi miste maschili e femminili, che progressivamente
sostituiranno le classe composte esclusivamente da elementi del
medesimo sesso. Permane comunque un'ambiguità sulla
questione “Latino”, che diventa materia facoltativa nell'ultimo
(terzo) anno, ma necessaria per l’accesso al liceo, viceversa lo
studio di nessun materia e' richiesto per l'iscrizione agli istituti
tecnici e professionali. Questa ambiguità verrà superate solo a
distanza di quindici anni, con l'abolizione del latino (propugnata
sin dal dopoguerra da Pietro Nenni).
Istituzione della scuola materna statale
Nel 1968 viene istituita la Scuola materna statale e nel 1969
vengono emanati gli Orientamenti per la scuola materna.
La liberalizzazione degli accessi all'università e le modifiche
dell'esame di maturità
Nel 1969, anche sotto la spinta di una rilevante stagione di
movimenti studenteschi, vengono approvate norme che
liberalizzano l'accesso agli studi universitari e che modificano,
l'esame di maturità strutturandolo con due prove scritte (una
fissa di italiano, ed una specifica in funzione del tipo di istituto)
ed una prova orale che verteva su due materie scelte (una dallo
studente ed una dal gruppo di professori) fra un gruppo di
quattro indicate anticipatamente dal ministero della pubblica
istruzione, gruppo di materie diverso per ogni tipo di istituto
scolastico. Il gruppo di docenti, che deve giudicare ogni classe
risulta composto da docenti esterni all'istituto salvo uno
proveniente dal gruppo di insegnati della classe. La struttura di
questo esame venne definita provvisoria sperimentale, tuttavia
rimarrà in corso immutata per più di vent'anni.
Anni settanta
Il problema della scuola dualista viene superato, ma persistono
alti tassi di evasione scolastica; inoltre si manifesta in maniera
drammatica il fenomeno della selezione esplicita (attraverso le
“bocciature”). La gravità del nuovo metodo di “selezione
classista” adoperato dalla ancora antica mentalità elitaria dei
docenti, venne evidenziata da Don Lorenzo Milani in Lettera ad
una professoressa (Firenze, LEF, 1967). I movimenti
studenteschi degli Anni sessanta e settanta contribuirono al
cambiamento di mentalità, e alla graduale diminuzione del
fenomeno della “selezione esplicita”.
Si arena, agli inizi degli anni '70, il tentativo di riforma della
scuola secondaria superiore. Una parte della storiografia
specialistica ha però sottolineato come si sia comunque
verificato un processo di lungo periodo di "cambiamento senza
riforma" di cui sono aspetti più rilevanti il forte sviluppo della
istruzione tecnica e il superamento dello storico divario tra
istruzione maschile e istruzione femminile, almeno a livello di
scuole secondarie.
Una novità importante è rappresentata dai "decreti delegati",
approvati nel 1974, che introducono nella vita della scuola una
rappresentanza
dei
genitori,
del
personale
ATA
(Amministrativo, Tecnico, Ausiliario) e degli studenti (solo
nella scuola superiore).
Il cambiamento maggiore investe la scuola elementare. A partire
dalla legge 820/71 nasce la scuola a tempo pieno come risposta
ai bisogni sociali dell'utenza ma destinato a diventare un
laboratorio di innovazione in virtù dei tempi distesi per
l'apprendimento e per lo spazio curricolare che si apre per i
nuovi saperi. La legge 517/77 introduce il principio
dell'integrazione mediante l'assegnazione di insegnanti di
sostegno alle classi che accolgono alunni portatori di handicap;
si apre la possibilità di attivare interventi individualizzati in
relazione alle esigenze dei singoli alunni, si stabiliscono nuove
norme sulla valutazione e si aboliscono gli esami di riparazione
per la scuola media. Nel 1979 vengono riformati i programmi
della scuola media, con la scomparsa del latino come disciplina
autonoma.
Anni ottanta e novanta
Non mancano dei periodi di rialzamento dei livelli di bocciature
selettive, ma il problema, in questi anni, è soprattutto la
cosiddetta "dispersione scolastica". Ovvero, il mancato
conseguimento di livelli adeguati di apprendimento, nonostante
la regolarità degli studi (assenza di bocciature).
Più volte nel corso degli anni ottanta si abbozza l'elevamento
dell'obbligo scolastico, senza mai andare a buon fine (ad
esempio si ipotizza, soprattutto, di come strutturare il biennio, se
propedeutico al triennio superiore od un semplice
proseguimento della scuola media, se abbinarlo, o meno, a corsi
di formazione professionale).
Non mancano tuttavia alcune innovazioni didattiche, come
l'avvio dei Programmi Brocca indirizzati ai Licei ed in parte
agli Istituti Tecnici, ed il Progetto '92 che riorganizza
l'istruzione professionale.
Significativi invece i mutamenti della scuola elementare con i
Programmi del 1985 e la legge del 1990, che ha come
conseguenza la introduzione di una pluralità di docenti per la
stessa classe. Secondo gli oppositori essa fu talvolta realizzata
senza tenere conto delle specifiche abilità/competenze degli
insegnanti, e spesso fonte di dinamiche perturbanti
relativamente alla "prevalenza" dell'uno o dell'altro
componente.[senza fonte] I programmi delle scuole elementari del
1985 e gli orientamenti delle scuole materne del 1991 segnano
una stagione marcata da riforme che non derivano tanto da un
impulso politico, quanto da una sorta di autogoverno di culture
profesionali, di cui anche la pedagogia accademica è in larga
parte espressione.
L'eliminazione degli esami di riparazione, attuata durante il
primo governo Berlusconi ad opera del Ministro Francesco
D'Onofrio nel 1995, fu un altro cambiamento critico, tutt'ora
fonte di polemiche e recriminazioni.
La riforma Berlinguer
Nel 1996 le elezioni politiche vengono vinte dalla coalizione
dell'Ulivo. A capo del dicastero della Pubblica Istruzione viene
posto l'ex rettore dell'Università di Siena Luigi Berlinguer, il
quale si propone importanti obbiettivi: l'innalzamento
dell'obbligo scolastico, la riforma dell'esame di maturità,
l'autonomia scolastica ed il riordino dei cicli.
Berlinguer nel gennaio del 1997 pubblicò il primo Documento
di discussione sulla riforma dei cicli di istruzione, che si dice
fosse ispirato a un documento dal titolo Prospettive europee per
il sistema formativo italiano fatto circolare fin dal settembre del
1996 da Attilio Monasta. In tale documento erano delineati i
principi ispiratori dell'azione del ministro: fra questi, in primo
luogo, la necessità di superare la distinzione, tipica del sistema
formativo italiano tradizionale, fra cultura e professionalità e,
quindi, fra formazione culturale e formazione professionale.
Uno dei concetti fondamentali è quello di «nuova
professionalità», come capacità di «controllo e direzione dei
processi in cui ciascuno è inserito», un concetto frutto della
cultura sindacale degli anni settanta. Inoltre, l’articolazione del
percorso scolastico non più per ordini e gradi di istruzione, bensì
per obiettivi di apprendimento, con una sostanziale continuità
dei cicli di istruzione. Due soli possibili modelli: o due cicli di
istruzione (un ciclo di base, fino ai 13 o 14 anni, ed un ciclo
secondario fino a 18 anni) o addirittura un ciclo unico,
progressivo e comprensivo, dai 6 ai 16 o 17 anni. Ciò che
avrebbe dovuto essere superato era la distinzione del percorso
scolastico in tre cicli, fortemente separati fra loro ed altamente
selettivi.
Così il 3 giugno 1997 il governo presenta la "Legge Quadro in
materia di Riordino dei Cicli dell'Istruzione", con la quale
doveva venire stravolto il sistema scolastico italiano, poiché
erano previsti due cicli scolastici. Il ciclo primario ,di sei anni di
durata, diviso in tre bienni, aveva come scopo di "concorre alla
formazione dell'uomo e del cittadino nel rispetto e nella
valorizzazione delle diversità individuali, sociali e culturali.
Esso favorisce la formazione della personalità degli alunni
promuovendone l'alfabetizzazione per l'acquisizione dei
linguaggi e dei saperi indispensabili, per lo sviluppo delle
capacità critiche e di un atteggiamento positivo nei confronti
dell'apprendimento, per il riconoscimento e la condivisione dei
valori fondanti la convivenza civile e democratica", e più in
particolare i primi due bienni era "lo sviluppo delle conoscenze
e delle abilità di base e della dimensione relazionale" ed il terzo
biennio "il consolidamento, l'approfondimento e lo sviluppo
delle conoscenze acquisite e la crescita di autonome capacità di
studio, di elaborazione e di scelta coerenti con l'età degli alunni,
mediante il graduale passaggio dalle grandi aree tematiche alle
discipline. Anche il ciclo secondario durava sei anni e si
articolava "nelle grandi aree umanistica, scientifica, tecnica,
tecnologica, artistica e musicale ed ha la funzione di consolidare
e riorganizzare le capacità e le competenze acquisite nel ciclo
primario, di arricchire la formazione culturale, umana e civile
degli studenti, sostenendoli nella progressiva assunzione di
responsabilità, e di offrire loro conoscenze e capacità adeguate
all'accesso all'istruzione superiore universitaria e non
universitaria ovvero all'inserimento lavorativo", il primo anno si
caratterizzava "per la prevalenza degli insegnamenti
fondamentali [...]", il secondo ed il terzo anno "per
l'approfondimento degli insegnamenti comuni e per la
progressiva estensione dell'area degli insegnamenti disciplinari
specifici dell'indirizzo prescelto [...]", ed infine il trienni finale
riguardava gli insegnamenti specifici a ciascun indirizzo. Si
accennava inoltre, alla formazione degli adulti, alla formazione
continua ed all'istruzione tecnica superiore.
Nel frattempo Forza Italia ed Alleanza Nazionale presentano le
loro proposte di riforma della scuola. Forza Italia propone di
rimodulare la scansione, dopo la scuola d'infanzia, in tre gradi
scolastici: primo grado, dai 6 ai 10 anni, secondo, dai 10 ai 14,
terzo, dai 14 ai 18; inoltre abolizione del valore legale del titolo
di studio, parità scolastica, formazione professionale a partire
dai 12 anni di età, riforma della professione insegnante e
l'elevazione dell'obbligo scolastico a 16 anni. Il testo di Alleanza
Nazionale prevedeva la scansione Scuola Materna, Scuola di
Base, Scuola Secondaria (biennio propedeutico agli studi del
triennio), il Liceo unico, con cinque indirizzi, e l'Istituto Tecnico
con molti indirizzi, la riforma dell'esame di maturità,
l'autonomia della scuola, parità scolastica e l'istituzione
dell'Ordine Nazionale dei Docenti (simile a quello dei medici,
avvocati e notai).
Con la Legge 10 dicembre 1997, n. 425 viene riformato l'esame
di maturità. L'esame di Stato comprende tre prove scritte e un
colloquio. La prima riguarda la Lingua Italiana, la seconda una
delle materie caratterizzanti l'indirizzo di studio e la terza,
multidisciplinare, è una serie di quiz a risposta multipla. Il
colloquio si verte su argomenti multidisciplinari. Il punteggio di
valutazione, passa dai sessantesimi ai centesimi e viene
introdotto il credito formativo. I commissari saranno membri
interni alla scuola. Il presidente della commissione è esterno. La
riforma viene avviata con l'anno scolastico 1998-99.
Anni duemila
Riforma Moratti
Le elezioni politiche del 2001 vengono vinte dalla coalizione di
centro-destra guidata da Silvio Berlusconi. Viene nominata
Ministro per la Pubblica Istruzione Letizia Moratti, che presenta
una proposta di radicale riforma del sistema scolastico,
suscitando consensi e dissensi accesi su fronti opposti.
2006-2007
Le elezioni del 2006 vengono vinte dalla coalizione guidata da
Romano Prodi. Come Ministro dell'Istruzione viene scelto
Giuseppe Fioroni. Con il nuovo governo viene bloccata
l'attuazione dei provvedimenti riguardanti il secondo ciclo di
studi della Legge 53/2003.
Nell'estate 2006 il ministro propone una revisione dell'esame di
Stato (l'ex esame di Maturità), che va verso un irrigidimento:
non ammissione degli studenti con debiti formativi nel triennio
non saldati, ritorno delle commissioni miste.
Nelle misure della finanziaria 2007 viene riportato l'obbligo
scolastico a 16 anni, mentre, in precedenza, era solo un "diritto
all'istruzione fino a 16 anni".
Intanto alcune associazioni legate alla sinistra e alla CGIL-FLC
raccolgono firme per la Legge di Iniziativa popolare per una
buona scuola della Repubblica, con lo scopo di elevare l'obbligo
scolastico a 16 anni, la costituzione del "biennio unitario" della
scuola secondario superiore e il ridimensionamento del numero
di indirizzi.
Il 4 agosto del 2006, per la prima volta nella storia
repubblicana,viene presentata alle istituzioni parlamentari una
Legge di iniziativa popolare che interviene in modo organico
sulla scuola, dalla materna alla media superiore, supportata da
oltre 100.000 firme di cittadini e cittadine (Legge n° 1600 della
XVª Legislatura). Nell'autunno dello stesso anno, e sempre per
la prima volta, una legge di iniziativa popolare viene assunta per
la discussione nella commissione competente. Il dispositivo
legislativo nasce "dal basso" su iniziativa di alcuni comitati di
genitori e docenti che si erano opposti alle leggi di "riforma"
proposte dai governi precedenti, movimento che si estende a
tutto il territorio nazionale coinvolgendo trasversalmente i più
diversi strati sociali e culturali.
Il ministro Fioroni ha inoltre reintrodotto i rimandi estivi al
posto dei debiti formativi. I rimandi estivi furono introdotti per
la prima volta nel 1923 durante la riforma Gentile e poi furono
aboliti nel 1995.
2008
Il 29 ottobre il Parlamento ha convertito in legge il decreto
proposto dal Ministro Gelmini che modifica il metodo di
valutazione degli studenti nella scuola primaria, introducendo il
voto con corrispondenza, e quello della scuola secondaria di
primo grado, con il voto assoluto, e reintroduce il maestro unico
nella scuola elementare, provocando diverse manifestazioni
contrarie in tutta Italia. La riforma Gelmini[16] ha riacceso il
dibattito sul maestro prevalente nella scuola primaria. Sul piano
pedagogico si è sottolineato che da un lato potrebbe favorire
l’unità interiore degli alunni, in una società che è caratterizzata
dall’eccesso di informazioni e di stimoli, dall’altro che però
potrebbe causare una minore specializzazione disciplinare dei
docenti. Sul piano sociale è stata sottolineata la grave situazione
in cui verranno a trovarsi i docenti precari in conseguenza delle
riduzioni di personale. A questo proposito è obiettato però che la
funzione della scuola non è quella di essere un ammortizzatore
sociale, e che l’errore è stato a monte, quando nel 1990 si scelse
di introdurre il modulo per ragioni – secondo alcuni –
soprattutto sindacali.
UD 2: Gli organi collegiali della scuola
Gli Organi collegiali della scuola
In particolare nella scuola gli organi collegiali sono organismi,
composti dalle varie componenti, con compiti di governo e di
gestione delle attività scolastiche. Si distinguono in:
•
•
organi collegiali territoriali
organi collegiali scolastici.
Rappresentanza
Con la riforma della scuola si è attribuito ai genitori un ruolo
fondamentale. Per questo si è prevista la partecipazione al
progetto scolastico da parte dei genitori e pertanto, escluso il
solo Collegio dei Docenti, si prevede in tutti gli organi collegiali
la rappresentanza dei genitori.
Composizione degli organi scolastici
Consiglio di intersezione
•
Scuola materna: tutti i docenti e un rappresentante dei
genitori per ciascuna delle sezioni interessate; presiede il
dirigente scolastico o un docente da lui delegato.
Consiglio di interclasse
•
Scuola elementare: Il consiglio di interclasse è composto
da tutti i docenti e un rappresentante dei genitori per
ciascuna delle classi interessate; presiede il dirigente
scolastico o un docente, da lui delegato.
Consiglio di classe
•
•
Scuola media: tutti i docenti della classe e quattro
rappresentanti dei genitori; presiede il dirigente scolastico
o un docente, da lui delegato.
Scuola secondaria superiore: tutti i docenti della classe,
due rappresentanti dei genitori e due rappresentanti degli
studenti; presiede il dirigente scolastico o un docente da
lui delegato.
Consiglio di circolo
•
Circoli didattici:
o scuole con popolazione scolastica fino a 500 alunni,
 14 componenti, di cui
 6 rappresentanti del personale docente,
uno del personale amministrativo, tecnico
e ausiliario,
 6 dei genitori degli alunni,
 il dirigente scolastico;
scuole con popolazione scolastica superiore a 500
alunni
 19 componenti, di cui
 8 rappresentanti del personale docente,
 2
rappresentanti
del
personale
amministrativo, tecnico e ausiliario
 8 rappresentanti dei genitori degli alunni,
 il dirigente scolastico;

o
Presidente del consiglio di circolo è uno dei membri, eletto tra i
rappresentanti dei genitori degli alunni.
•
•
Giunta esecutiva è composta da:
o un docente,
o un impiegato amministrativo o tecnico o ausiliario,
o 2 genitori.
o il dirigente scolastico, che la presiede,
il direttore dei servizi generali e amministrativi che ha
anche funzioni di segretario della giunta.
•
Consiglio d'Istituto
•
o
Scuola media:
 scuole con popolazione scolastica fino a 500
alunni,
 costituito da 14 componenti, di cui:
 6 rappresentanti del personale docente,
 uno del personale amministrativo, tecnico
e ausiliario,
 6 dei genitori degli alunni, il dirigente
scolastico;


scuole con popolazione scolastica superiore a
500 alunni
costituito da 19 componenti, di cui
 8 rappresentanti del personale docente,
 2
rappresentanti
del
personale
amministrativo, tecnico e ausiliario,
 8 rappresentanti dei genitori degli alunni,
il dirigente scolastico;
Il presidente è eletto tra i rappresentanti dei genitori degli
alunni.
•
•
Giunta esecutiva
o scuola media è composta da
 un docente, un impiegato amministrativo o
tecnico o ausiliario,
 2 genitori.
 il dirigente scolastico, che la presiede,
 il direttore dei servizi generali e amministrativi
che ha anche funzioni di segretario della giunta
.
Scuola secondaria superiore:
o scuole con popolazione scolastica fino a 500 alunni,
14 componenti, di cui
 6 rappresentanti del personale docente, uno del
personale amministrativo, tecnico e ausiliario,
 3 dei genitori degli alunni,
 3 degli alunni,
 il dirigente scolastico;
o scuole con popolazione scolastica superiore a 500
alunni è costituito da 19 componenti,
 8 rappresentanti del personale docente,
 2 rappresentanti del personale amministrativo,
tecnico e ausiliario,
 4 dei genitori degli alunni, 4 degli alunni, il
dirigente scolastico;
Il presidente viene eletto tra i rappresentanti dei genitori degli
alunni.
•
La Giunta esecutiva è composta da
o un docente,
o un impiegato amministrativo o tecnico o ausiliario,
o un genitore
o uno studente.
o il dirigente scolastico, che la presiede,
o il direttore dei servizi generali e amministrativi che
ha anche funzioni di segretario della giunta stessa