PROGRAMMA DIRITTO LICEO SOCIO PSICO PEDAGOGICO CLASSE V MODULO 1: I SOGGETTI DEL DIRITTO UD1: Le persone nel diritto civile: capacita giuridica e capacita d’agire, incapacità (inabilitazione, interdizione), emancipazione. UD2: La nascita della persona fisica UD3: La sede della persona fisica: residenza, domicilio e dimora UD4: La morte della persona fisica e commorienza UD5: L’estinzione della persona fisica: la scomparsa, l’assenza e la morte presunta UD6: Le persone giuridiche: nascita della persona giuridica MODULO 2: DIRITTO DEL LAVORO UD1: Le fonti del diritto del lavoro UD2: Il contratto di lavoro UD3: La legge Biagi UD4: Oblighi del lavoratore e del datore di lavoro UD5: I diritti del lavoratore UD6: Il lavoro a domicilio UD7: Status di disoccupazione UD8: La tutela del minore UD9: La tutela del lavoro femminile UD10: Il periodo di prova UD11: Il TFR UD12: I sindacati UD13: La serrata UD14: Il libretto di lavoro UD15: L’assunzione UD16: Classificazione dei lavoratori UD17: Lo statuto dei lavoratori UD18: La nuova legge sui congedi parentali UD19: Il processo del lavoro UD20: Il rapporto di pubblico impiego UD21: Statuto dei lavoratori UD22: Mobbing, bossing, bullyng, stalking MODULO 3: LINEAMENTI DEL SISTEMA PREVIDENZIALE E ASSISTENZIALE UD1: La previdenza e le assicurazioni sociali UD2: Il lavoro delle donne e dei minori MODULO 4: LE FUNZIONI DELLO STATO UD1: Funzione legislativa UD2: Funzione amministrativa UD3: Funzione giudiziaria MODULO 5: LA PUBBLICA AMMINISTRAZINE UD1: Articolazione UD2: Decentramento UD3: Lineamenti del processo amministrativo MODULO 6: IL DIRITTO DI FAMIGLIA UD1: La famiglia UD2: Il matrimonio UD3: La separazione e il divorzio UD4: Il regime patrimoniale della famiglia UD5: Filiazione, adozione e affidamento MODULO 7: LINEAMENTI GENERALI DELLA LEGISLAZIONE SCOLASTICA UD1: La Scuola italiana: storia, attualità e prospettive UD2: Gli organi collegiali della scuola MODULO 1: I SOGGETTI DEL DIRITTO UD1: Le persone nel diritto civile: capacità giuridica e capacità di agire In diritto, la capacità giuridica è l'attitudine di un soggetto ad essere titolare di diritti e doveri o più in generale di situazioni giuridiche soggettive. Non va confusa con la capacità di agire, che precisa chi possa validamente compiere azioni, atti e fatti per l'esercizio dei diritti spettantigli o per l'adempimento dei doveri cui sia tenuto. La capacità giuridica, in quando modo d'essere del soggetto giuridico, rientra tra le qualità giuridiche. Nell'ordinamento giuridico italiano, la capacità giuridica si acquista con la venuta ad esistenza, è cioè riconosciuta a tutti i soggetti di diritto per il solo fatto della nascita (art. 1 c.c.), cioè per il solo fatto del distacco del nato dal grembo materno, quand'anche immediatamente dopo la nascita segua la morte, quand'anche il nato sia destinato a morte sicura. Anche al nascituro è riconosciuta una particolare capacità giuridica, che distingue se si tratti di nascituro concepito o nascituro non concepito. La questione, che interessa diversi aspetti della definizione del soggetto giuridico e diverse concezioni della rilevanza giuridica della vita, è fonte di nutrite disquisizioni dottrinali e di qualche incertezza applicativa pratica. • Il nascituro concepito, cioè il feto nel grembo materno (si discute da quale momento della suddivisione embrionale), ha titolo a concorrere alla successione mortis causa ed a ricevere donazioni; è inoltre discusso se per questa ragione possa anche esso stesso dare origine ad un'eventuale linea successoria (le classiche ipotesi di scuola prevedono sia un feto divenuto erede per la premorienza del padre e successivamente morto ancora in fase fetale, sia il feto in • grembo a madre morta e morto dopo di questa, prima di un parto ancorché forzoso). Questo concetto si basa sul brocardo medievale Conceptus pro iam nato habetur si de eius commodo agitur (il concepito è considerato nato quando trattasi dei suoi interessi). Il nascituro non concepito, ovvero l'ipotetico figlio che potrebbe nascere ad un dato potenziale genitore, ha la capacità di ricevere successioni e donazioni, come nel classico caso di disposizioni testamentarie che dispongano l'attribuzione di beni a condizione della nascita; le disposizioni per questo tipo particolarissimo di soggetto giuridico sono quindi sottoposte al vincolo dell'avveramento della condizione di venuta ad esistenza. Con la capacità giuridica, che si acquista alla nascita, si è astrattamente titolari di beni e di diritti, e si possono compiere solo atti di ordinaria amministrazione, ma non quelli di straordinaria amministrazione, che devono essere compiuti avendo la delega di un adulto, o devono essere svolti da un tutore a nome della persona interessata. La capacità giuridica si perde per morte (anche per morte presunta), e vi sono casi particolari che la limitano in caso di assenza o scomparsa (rileva talvolta se volontarie). In alcuni ordinamenti del passato la capacità non veniva riconosciuta ad ogni uomo. Tale era la situazione degli schiavi nell'ordinamento romano, assimilati, quando al diritto alle res. In passato vi era inoltre una particolare causa di estinzione della capacità giuridica: la morte civile. In diritto la capacità di agire è la idoneità di un soggetto a porre in essere atti giuridicamente validi. Non va confusa con la capacità giuridica, che è l'idoneità di un soggetto a essere titolare di diritti e doveri. La capacità di agire, in quando modo d'essere del soggetto giuridico, rientra tra le qualità giuridiche. Nell'ordinamento italiano tutti coloro che si trovano sul territorio dello Stato, anche se stranieri, hanno piena capacità giuridica, mentre la capacità di agire si raggiunge con il compimento della cosiddetta maggiore età e può essere limitata o revocata in sede giurisdizionale (per esempio interdizione). La maggiore età sino al 1975 si acquistava al compimento del 21º anno; con l'entrata in vigore dalla riforma del diritto di famiglia è stata portata al 18º. La legge, che se ne occupa all'art. 2 del codice civile, presume che, compiuti i 18 anni, il soggetto sia legalmente capace di agire, ossia abbia raggiunto quella necessaria maturazione psico-fisica che lo renderebbe idoneo ad esercitare autonomamente i diritti e ad adempiere gli obblighi senza turbare il corretto andamento ordinamentale. Un caso particolare riguarda il matrimonio del minore, che al compimento del 16º anno acquista una limitata e circostanziata capacitas agendi attraverso l'emancipazione. La capacità di agire si estingue per morte o per interdizione (la quale può essere dichiarata anche prima del raggiungimento della maggiore età). Interdizione e inabilitazione Interdizione e inabilitazione In diritto, condizione di una persona priva della capacità di agire, o per le sue condizioni fisiche e mentali, o perché condannata a una pena detentiva superiore a cinque anni. Il codice civile italiano prevede l’interdizione “giudiziale” per la persona che si trovi in condizioni di grave infermità mentale e non sia in grado di tutelare i propri interessi. La sentenza di interdizione viene pronunciata dal giudice su richiesta dei genitori, del coniuge, di altri parenti o del pubblico ministero. All'interdetto viene affidato un tutore che compie tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione in nome e per conto dell'interdetto. Fino al 1978 era previsto l'internamento in manicomio per gli interdetti in condizioni più gravi. L'interdizione “legale” è invece prevista dalla legge penale come conseguenza di una condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a 5 anni; in questo caso è una pena accessoria che si applica per tutta la durata della pena principale. L’interdetto legale può tuttavia contrarre matrimonio, riconoscere un figlio naturale e fare testamento. L’inabilitazione è invece prevista: 1) per le persone maggiorenni che si trovino in condizioni di infermità di mente non così gravi da richiedere l'interdizione; 2) per chi sperpera le proprie risorse economiche; 3) per i consumatori abituali di bevande alcoliche o stupefacenti; 4) per i sordomuti e i ciechi che non abbiano ricevuto un’educazione specifica. A differenza dell'interdetto, l'inabilitato può compiere gli atti di ordinaria amministrazione ma per quelli di straordinaria amministrazione (cioè gli atti di disposizione del patrimonio, come ad esempio la compravendita di immobili) è necessaria l'assistenza del curatore nominato dal giudice ed eventualmente l'autorizzazione del tribunale. UD2: La nascita della persona fisica Persona fisica e persona giuridica Nel linguaggio giuridico come in quello comune, diritti, doveri e rapporti giuridici possono essere riferiti non solo alle persone fisiche ma anche a quelle giuridiche, cioè a enti che, sul piano giuridico, vengono equiparati quasi integralmente alle persone fisiche. Perché ciò avvenga è però necessario che all'ente venga attribuito il riconoscimento da parte dello stato; solo in seguito a tale riconoscimento si può parlare di ente titolare di una vera e propria personalità giuridica. Di fatto però al giorno d'oggi c'è la tendenza al moltiplicarsi di organismi che, pur non richiedendo o non ottenendo il riconoscimento da parte dello stato, operano attivamente nella società e in ambito economico; si tratta, ad esempio, delle associazioni e delle fondazioni che sono persone giuridiche di fatto. Elemento fondamentale e caratterizzante della persona giuridica è la sua autonomia patrimoniale. Il patrimonio dell'ente è autonomo e indipendente dai patrimoni privati di tutti coloro che ne fanno parte: da ciò discende che i creditori dell'ente o della società non possono rivalersi sui patrimoni personali dei soci o degli associati. Lo stesso discorso non può essere fatto per le persone giuridiche di fatto – che sono quelle che non hanno richiesto oppure non hanno ottenuto il riconoscimento da parte dello stato – in quanto queste hanno un'autonomia patrimoniale imperfetta, vale a dire che per le obbligazioni assunte dalla società rispondono personalmente e solidalmente coloro che hanno agito in nome e per conto della stessa. UD3: La sede della persona fisica: residenza, domicilio e dimora Residenza Luogo nel quale una persona vive abitualmente. La residenza determina l'appartenenza della persona a un determinato comune; acquista un rilievo giuridico particolare in relazione alle pubblicazioni e alla celebrazione del matrimonio e all’adozione. Può essere liberamente cambiata, posto che ne venga data comunicazione al comune di appartenenza nei modi previsti dalla legge. Dalla residenza si distinguono il domicilio, che è il luogo dove una persona ha la sede principale dei suoi interessi, e la dimora, che è il luogo dove una persona vive temporaneamente od occasionalmente e ha scarso valore giuridico, salvo che per alcuni atti processuali. Domicilio Luogo dove una persona ha la sede principale dei suoi interessi e affari, non necessariamente di sola natura economica ma anche personale. A differenza della residenza, che è il luogo in cui una persona vive abitualmente, il domicilio non si identifica con una situazione materiale ben definita e la sua individuazione può quindi presentare qualche difficoltà. Il domicilio può infatti non coincidere con la residenza ed essere ad esempio anche una stanza d'albergo; non è necessario che la persona abiti di fatto in quel luogo. Dal domicilio inteso in senso generale si distinguono il domicilio legale, che si ha quando il domicilio di una persona viene stabilito dalla legge (si pensi al caso del minore, domiciliato presso la residenza della sua famiglia o dell’eventuale tutore), e il domicilio speciale che si ha quando, per determinati affari, una persona sceglie attraverso una dichiarazione detta “elezione di domicilio” un domicilio differente dal luogo che è la sede principale dei suoi interessi. La Privata dimora è un luogo dove un soggetto si sofferma per compiere atti della vita privata. È un concetto di notevole rilevanza giuridica in quanto determina la possibilità o l'impossibilità per i pubblici ufficiali di svolgere attività ispettive. Il concetto di luogo dove si svolge un'attività privata, seppur lecita, non è limitato alla propria abitazione; non è quindi limitato alla definizione di residenza o domicilio. Vi rientrano tutti quei luoghi dove il privato può svolgere un'attività privata, come lo studio, un'attività culturale o di svago, un'attività professionale, artigianale o commerciale, od anche un'attività politica. La scelta del luogo può essere determinata anche da fattori contingenti o momentanei. Per questa definzione rientrano nel concetto di privata dimora: • • • • • • • • la casa, compreso il cortile, il garage, la cantina, l’orto, il terrazzo; la roulotte o tenda; uno studio professionale (Cass. Pen. 27/11/1996); una camera d’albergo; il laboratorio artigiano; un circolo privato; le aziende commerciali e industriali (Cass. Pen. 26/09/1978); le sedi dei partiti politici o associazioni culturali (Cass. Pen. 17/2/1970). UD4: La morte della persona fisica e commorienza Ogni essere umano ha una vita limitata. Così come con la nascita si acquista la capacità giuridica, con la cessazione della persona fisica, in termini più comuni morte, si ha l’effetto inverso: l’estinzione della capacità giuridica. Tuttavia con la morte sussistono ancora dei diritti, principalmente patrimoniali. La prima cosa da fare in questi casi è stabilire chi è morto per primo, perché gli eredi di colui che è morto successivamente hanno interesse ha dimostrare che il proprio parente ha ereditato, totalmente o in parte, i diritti del parente deceduto prima e li ha trasmessi hai suoi ereditieri. Se non risulta possibile stabilire chi è deceduto per primo si applica l’articolo 4 del codice civile: “quando un effetto giuridico dipende dalla sopravvivenza di una persona a un’altra e non consta quale di esse sia morta prima, tutte si considerano morte nello stesso momento.” Per il diritto italiano la commorienza è un istituto giuridico che risolve problemi di incertezza nell'acquisto di diritti derivanti da successione a causa di morte di più persone aventi tra loro legami di parentela. La commorienza viene in essere quando la morte dei soggetti avviene per effetto di un unico incidente o infortunio senza che sia possibile individuare con certezza il preciso momento del decesso di ciascuna di esse. L'esempio tipico è quello di due fratelli che nel medesimo incidente o infortunio perdono la vita. Quando è possibile a determinare chi dei due è morto per primo allora l'altro, sia pur per poco tempo o istanti, ne è stato erede. Se la cosa può non toccare i due sfortunati, per l'accertamento delle quote ereditarie è fondamentale sapere se vi è stata contemporaneità nella morte (appunto commorienza) oppure vi è stato un tempo o istante diverso del decesso nel medesimo incidente o infortunio. Qualora non fosse possibile una tale determinazione, la legge italiana assume che tali persone siano decedute nello stesso momento (presunzione di commorienza). Chi intende fondare un proprio diritto sulla maggiore sopravvivenza di una delle persone decedute deve fornirne la prova. Il termine "presunzione" è in questo caso improprio, visto che nel diritto la presunzione è l'argomentazione logico-giuridico che permette di risalire da un fatto noto ad un fatto ignoto. Ora, nell'esempio il fatto noto manca, e cioè si sa che i soggetti sono entrambi deceduti nello stesso incidente ma non si sa chi per primo o se in contemporanea, mentre il fatto ignoto rimane appunto ignoto. È più corretto quindi parlare di finzione giuridica più che di presunzione UD5: L’estinzione della persona fisica: la scomparsa, l’assenza e la morte presunta Questo articolo è detto presunzione di commorienza. La commorienza si riferisce alla morte di più persone. Si dice presunzione perché questa norma può essere “scavalcata”: infatti se uno dei parenti riesce a dimostrare l’ordine di morte dei parenti questa norma viene meno. Per far ciò bisogna portare davanti al giudice prove certe. Tutto quanto detto sin da ora parte da una premessa, che non sempre si verifica: l’esistenza di un cadavere su cui effettuare accertamenti. Se il cadavere non viene ritrovato non si pone il “quando” della morte, ma il “se”. Come deve regolarsi il diritto in ipotesi di questo genere? Il diritto cerca di plasmare le sue regole sulla realtà naturale. Ciò non sempre è possibile perché sono gli stessi mezzi conoscitivi alcune volte difettano. Il diritto deve far corrispondere effetti giuridici nell’arco di tempo di una vita umana. In questo caso il diritto pone tre livelli: la scomparsa, l’assenza e la morte presunta. L’ordinamento giuridico si preoccupa in primo luogo della conservazione del patrimonio di una persona scomparsa. Una persona è definita scomparsa se sussistono queste due condizioni: a) allontanamento dal luogo del suo ultimo domicilio o della sua ultima residenza; b) mancanza di notizie ( s’ignora cioè, se sia in vita e dove sia la persona di cui si tratta. Se sussistono queste due condizioni l’articolo 48, 1°comma, del codice civile afferma: “Quando una persona non è più comparsa nel luogo del suo ultimo domicilio o della sua ultima residenza e non se ne hanno più notizie, il tribunale dell’ultimo domicilio o della sua ultima residenza, su istanza degli interessati o presunti successori legittimi o del pubblico ministero, può nominare un curatore che rappresenti la persona in giudizio o nella formazione degli inventari e dei conti e nelle liquidazioni o divisioni in cui sia interessata, e può dare gli altri provvedimenti necessari alla conservazione del patrimonio dello scomparso. …” Questa è una misura provvisoria. In caso lo scomparso non ricompare ne viene decretata, in base all’articolo 49 del cod. civ. , l’assenza: “Trascorsi due anni dal giorni a cui risale l’ultima notizia, i presunti successori legittimi e chiunque ragionevolmente creda di avere sui beni dello scomparso diritti dipendenti dalla morte di lui possono domandare al tribunale competente, secondo l’articolo precedente, che ne sia dichiarata l’assenza.” Con questo articolo il tribunale può decidere l’eventuale apertura dei testamenti, se vi sono, e i presunti eredi, legittimi o testamentari, sono immessi nel possesso temporaneo dei beni. La dichiarazione di assenza da luogo soltanto al godimento provvisorio dei beni a favore di coloro che, se la persona di cui non si hanno notizie fosse morta ne sarebbero gli eredi. L’assenza opera limitatamente al campo patrimoniale. Quindi la dichiarazione di assenza non scioglie i vincoli matrimoniali. Anche questa è una soluzione temporanea e interinale. Ora si aprono due strade: il ritorno dello scomparso, o la sua mancanza per un ulteriore arco di tempo. Nel primo caso esso rientra in possesso dei suoi beni, nel secondo caso, in base all’articolo 58 1°comma del cod. civ si ha la dichiarazione di morte presunta: “Quando sono trascorsi dieci anni dal giorno a cui risale l’ultima notizia dell’assente, il tribunale competente secondo l’articolo 48, su istanza del pubblico ministero o di taluna delle persone indicate nei capoversi dell’articolo 50, può con sentenza dichiarare presunta la morte dell’assente nel giorno a cui risale l’ultima notizia.” Questa è una certezza legale ma relativa. Non è infatti escluso che il morto presunto possa ricomparire. L’effetto della morte presunta è disciplinato negli articoli 63 e 65 del cod civ. : 63 “divenuta eseguibile la sentenza indicata nell’articolo 58, coloro che ottennero l’immissione nel possesso temporaneo dei beni dell’assente o i loto successori possono disporre liberamente dei beni. …” 65 “Divenuta eseguibile la sentenza che dichiara la morte presunta, il coniuge può contrarre nuovo matrimonio”. Se il coniuge dichiarato morto presunto ritornasse si hanno questi effetti, regolati nel campo matrimoniale dall’articolo 68 del cod. civ : “Il matrimonio contratto a norma dell’articolo 65 è nulla, qualora la persona della quale fu dichiarata la morte presunta ritorni o ne sia accertata l’esistenza”. In campo patrimoniale la situazione non è così semplice come sembra. Infatti con la dichiarazione di morte presunta gli eredi sono entrati in totale possesso dei beni del coniuge ritornato e ne hanno potuto fare l’uso ritenuto da loro più utile. UD6: Le persone giuridiche: nascita della persona giuridica Persona fisica e persona giuridica Nel linguaggio giuridico come in quello comune, diritti, doveri e rapporti giuridici possono essere riferiti non solo alle persone fisiche ma anche a quelle giuridiche, cioè a enti che, sul piano giuridico, vengono equiparati quasi integralmente alle persone fisiche. Perché ciò avvenga è però necessario che all'ente venga attribuito il riconoscimento da parte dello stato; solo in seguito a tale riconoscimento si può parlare di ente titolare di una vera e propria personalità giuridica. Di fatto però al giorno d'oggi c'è la tendenza al moltiplicarsi di organismi che, pur non richiedendo o non ottenendo il riconoscimento da parte dello stato, operano attivamente nella società e in ambito economico; si tratta, ad esempio, delle associazioni e delle fondazioni che sono persone giuridiche di fatto. Elemento fondamentale e caratterizzante della persona giuridica è la sua autonomia patrimoniale. Il patrimonio dell'ente è autonomo e indipendente dai patrimoni privati di tutti coloro che ne fanno parte: da ciò discende che i creditori dell'ente o della società non possono rivalersi sui patrimoni personali dei soci o degli associati. Lo stesso discorso non può essere fatto per le persone giuridiche di fatto – che sono quelle che non hanno richiesto oppure non hanno ottenuto il riconoscimento da parte dello stato – in quanto queste hanno un'autonomia patrimoniale imperfetta, vale a dire che per le obbligazioni assunte dalla società rispondono personalmente e solidalmente coloro che hanno agito in nome e per conto della stessa. MODULO 2: DIRITTO DEL LAVORO CENNI SUL DIRITTO DEL LAVORO Il diritto del lavoro è il complesso delle norme che regolano il rapporto di lavoro e che tutelano i diritti fondamentali del lavoratore. E’ composto da norme che disciplinano i rapporti tra lavoratore e datore di lavoro e dal diritto sindacale, che tratta delle associazioni che rappresentano le parti del rapporto. L’oggetto specifico, quindi, del diritto del lavoro, nel suo complesso, è la disciplina delle relazioni tra datore di lavoro e lavoratore, che ha la propria fonte in un contratto (anche se, leggendo l’articolo 2126 del codice civile, sembrerebbe di capire che fonte del rapporto non sia in realtà il contratto di lavoro, ma la prestazione lavorativa di fatto). Tenendo conto, infine, che, quanto meno economicamente, il lavoratore si trova in una posizione di inferiorità con il datore di lavoro e, rispetto a questo, è sicuramente la parte più debole, il diritto del lavoro ha come fine primario quello di tutela e di garanzia del prestatore di lavoro. LE FONTI DEL DIRITTO DEL LAVORO Le fonti del diritto del lavoro si possono riassumere nei seguenti tre punti, che qui di seguito andremo ad esaminare: - fonti statuali o legislative, - fonti internazionali, o sopranazionali, - fonti contrattuali e sindacali. (1) Le fonti statuali o legislative La Costituzione - art. 1: l'Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro, - art. 4: la repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto, - art. 35: la repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, - art. 36: il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa, - art. 37: parità di trattamento fra uomo e donna e tutela del lavoro dei minori, - art. 38: diritto alla previdenza ed assistenza. Le leggi ordinarie e gli atti aventi forza di legge e quindi le leggi ordinarie del parlamento e gli atti aventi forza di legge, quali il decreto legislativo ed i decreti legge. -1- Sono da ricordare in particolare: - il codice civile, che tratta del lavoro nel libro quinto, - la legge 15/7/1966 n. 604, modificata dalla legge11/5/1990 n. 108 sui licenziamenti individuali, - legge 20/5/1970 n. 300, nota come “statuto dei lavoratori”, - legge 11/8/1973 n. 533 sulle controversie individuali di lavoro, - legge 9/12/1977 n. 903, integrata poi dalla successiva legge 10/4/1991 n. 125, sulla parità tra uomo e donna in materia di lavoro, - legge 12/6/1990 n. 146 sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, - legge 28/2/1987 n. 56 e legge 27/7/1991 n. 223 sul mercato del lavoro, - legge 8/8/1995 n. 335 sulla riforma del sistema pensionistico - legge 30/3/2003, detta anche “riforma Biagi”. Regolamenti di attuazione o di esecuzione degli atti aventi forza di legge emanati dal governo o dai ministri o da altre autorità competenti. Tali atti contengono norme giuridiche con efficacia di atti amministrativi, pur non essendo leggi in senso formale, né atti con forza di legge. (2) Fonti internazionali o sovranazionali Trattati internazionali (ai sensi art. 35 cost.) - carta internazionale del lavoro di Versailles del 1919, dichiarazione di Filadelfia del 1944, carta sociale europea di Torino del 1961, codice europeo di sicurezza sociale del 1964, patto delle Nazioni Unite del 1966. Convenzioni dell’O.I.L. (organizzazione internazionale del lavoro) che sono fonti indirette, poiché necessitano di un intervento legislativo da parte dello Stato che le ha ratificate, per diventare effettive (come previsto dall’art. 19 della carta costitutiva dell’OIL). Regolamenti e decisioni della CE (comunità europea) e della CECA (comunità europea del carbone e dell’acciaio) tali regolamenti e decisioni costituiscono fonti normative dirette ed obbligano,, quindi, direttamente gli stati membri, senza dover ricorrere a leggi di ratifica; ricordiamo, fra i provvedimenti più importanti: - la libera circolazione dei lavoratori all’interno della comunità, - la sicurezza sociale dei lavoratori emigrati, - il fondo sociale europeo. -2- (3) Fonti contrattuali e sindacali Contratto individuale di lavoro con il quale l’accordo viene raggiunto direttamente tra il singolo datore di lavoro ed il singolo prestatore di lavoro, I contratti collettivi di lavoro ricordiamo, a questo proposito, che possono contenere solo norme più favorevoli ai lavoratori, rispetto alle leggi, ma non possono peggiorare la disciplina posta da una legge. E' in sostanza il principio del favore per i lavoratori subordinati. Ricordiamo che il Ministro del lavoro, nel 2001, ha presentato un progetto per dare l’addio ai contratti collettivi nazionali, che si vorrebbero sostituire con un contratto cornice contenente le regole minime sul rapporto di lavoro e dare quindi via libera alla contrattazione individuale, con salari differenziati a seconda della produttività aziendale e dell’area geografica. Nota l’articolo 2078 del codice civile dispone: “in mancanza di disposizioni di legge o di contratto collettivo, si applicano gli usi (consuetudine). Tuttavia, gli usi più favorevoli ai prestatori di lavoro prevalgono sulle norme dispositive di legge. Gli usi non prevalgono sui contratti individuali di lavoro”. Quindi gli usi prevalgono sulle disposizioni di legge se più favorevoli ai prestatori di lavoro, contrariamente a quanto previsto normalmente dall’art 8 delle disposizioni sulla legge in generale del codice civile. IL CONTRATTO DI LAVORO 1) II contratto collettivo di lavoro è un accordo fra una categoria di datori di lavoro ed una associazione di lavoratori (sindacato) per regolare i rapporti di lavoro di una data categoria di lavoratori. Ciò che viene deciso vale anche per i lavoratori non iscritti al sindacato, ma appartenenti al settore produttivo a cui il contratto collettivo si riferisce. (diciamo meglio che questo tipo di contratto stabilisce le regole generali di comportamento di una categoria e getta le basi sulle quali poi impostare i singoli personali contratti); 2) Il contratto individuale di lavoro subordinato trattasi di accordo privato fra una persona, che si impegna a lavorare alle dipendenze e sotto la direzione di un datore di lavoro e quest'ultimo appunto, che si obbliga a pagare una retribuzione (articoli da 2094 a 2134 e articoli da 2239 a 2246 del codice civile). -3- Il contratto di lavoro è: - a prestazioni corrispettive, - oneroso, tipico, consensuale, - a tempo determinato o a tempo indeterminato, - inter vivos. Caratteristiche - occorre l’accordo delle parti, - l’oggetto (che è la prestazione del lavoro e la relativa retribuzione), - la retribuzione, che può essere a tempo (per esempio un tanto all’ora o al mese), oppure a cottimo, se è commisurata al risultato. - la retribuzione potrebbe anche venire commisurata ai guadagni dell’imprenditore ed allora si dice che è “con partecipazione agli utili”. ======== LA LEGGE BIAGI (riforma del lavoro) (legge 276 del 30/3/2003 – formata da 89 articoli) Il 24 ottobre 2003 è entrato in vigore, quindici giorni dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dello Stato, il decreto legislativo 276/2003, cosiddetto Legge Biagi. In realtà le nuove disposizioni legislative non prevedono una piena attuazione fin dalla data annunciata. Il decreto, infatti, in molte sue sezioni, fa espresso rinvio alla previsione di una normativa di secondo livello da emanarsi con decreti ministeriali. Vediamo brevemente alcuni di questi casi, fra i più importanti e significativi, soprattutto in termini operativi: Le nuove Agenzie per il lavoro Potranno essere autorizzate solo sulla base di un regolamento, che il Ministero del Lavoro dovrà emanare con proprio decreto entro 30 giorni. Il regolamento, previsto dal quinto comma dell’art. 5, disciplinerà tra l’altro: - modalità di presentazione della richiesta di autorizzazione, - criteri per la verifica del corretto andamento dell’attività svolta, - organizzazione e modalità di funzionamento delle Agenzie. Inoltre, poiché le stesse Agenzie, per i compiti che riguardano intermediazione, ricerca e selezione del personale, assistenza alla ricollocazione (e quindi non somministrazione) potranno ottenere anche autorizzazioni a livello regionale, nei medesimi 30 giorni, sempre a cura del Ministero del Lavoro, è prevista l’emanazione di un regolamento che detti le modalità di costituzione delle sezioni regionali dell’albo delle Agenzie e relative procedure. -4- A loro volta, le regioni e le province autonome, a cui sono demandate le operazioni di accreditamento per l’operatività a livello locale delle medesime Agenzie, dovranno stabilire, con propri provvedimenti: - le forme della collaborazione tra soggetti pubblici ed operatori privati i requisiti minimi richiesti per l’accreditamento a livello regionale le procedure di accreditamento e per la verifica di efficienza ed efficacia le modalità di tenuta dei criteri di verifica. Per l’emanazione dei provvedimenti regionali non sono stabiliti termini temporali. Invece, sempre entro trenta giorni dall’entrata in vigore del decreto, il Ministro del Lavoro è tenuto, con apposito provvedimento, a definire la disciplina transitoria e di raccordo per le società di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, ricollocamento professionale già autorizzate ai sensi della disciplina previgente. Modalità di trattamento dei dati personali Ai sensi del secondo comma dell’art. 8, dovranno essere stabilite con decreto del Ministro del Lavoro98 0 0 13.9442e drsec in 009 Tc 0.4744 Tw 139.98 0 0 13.98 311 alla loro scadenza, ma al massimo non oltre un anno dall’entrata in vigore del decreto - che comunque possano essere previsti termini diversi e quindi anche superiori all’anno, sia pure nell’ottica della fase transitoria, a condizione che ciò avvenga a mezzo di accordi sindacali, stipulati in sede aziendale, con le istanze aziendali dei sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale. Ma vediamo ora i punti più significativi della riforma Biagi: (1) La introduzione di nuovi modelli contrattuali e la modifica di alcuni altri, e precisamente: La somministrazione di lavoro (detta anche “staff leasing”) sostituisce il lavoro interinale e consiste nella fornitura professionale di lavoratori (singoli o gruppi); quindi una impresa di fornitura (agenzia di collocamento privato) che pone uno o più lavoratori, da essa assunti, a disposizione di un’impresa che ne utilizza la prestazione lavorativa per il soddisfacimento di esigenze di carattere temporaneo; Il part-time Il datore di lavoro ed il lavoratore possono concordare direttamente clausole elastiche e flessibili, anche in assenza di previsione dei contratti collettivi. Diventa possibile per il contratto di lavoro a tempo determinato, per la sostituzione di lavoratrici in maternità e per l’assunzione agevolata di lavoratori in mobilità. Il “part-time” può essere - verticale, se prevede l’attività lavorativa a tempo pieno solo in alcuni giorni (con facoltà di svolgere prestazioni lavorative straordinarie, applicando ovviamente la disciplina legale e contrattuale vigente in materia di lavoro straordinario nei rapporti di lavoro a tempo pieno) - orizzontale, se prevede la riduzione della prestazione lavorativa giornaliera, che è resa in tutti i giorni (con facoltà del datore del lavoro di richiedere l’effettuazione di prestazioni di lavoro supplementare, nel rispetto di quanto previsto nei contratti collettivi) - misto, se prevede l’abbinamento dei primi due ed è definita dai contratti collettivi. Il lavoro intermittente (detto anche a chiamata o “job on call”) Con questo contratto il lavoratore (disoccupati con meno di 25 anni o lavoratori con più di 45 anni iscritti alle liste di collocamento) si mette a disposizione del datore di lavoro aspettandone la chiamata. Il lavoratore non lavora quindi in via continuativa, ma svolge prestazioni di carattere discontinuo o intermittente. -6- Il lavoro ripartito (detto anche “job sharing”) In pratica due lavoratori si ripartiscono un posto di lavoro e, accodandosi con il datore di lavoro, garantiscono insieme una determinata prestazione di lavoro; entrambi i lavoratori sono responsabili dell’esecuzione della prestazione (il datore di lavoro non può sottoscrivere il contratto con più di due persone). Il lavoro occasionale ed accessorio Oggetto di questo tipo di contratto sono prestazioni lavorative occasionali di cura ed assistenza: piccoli lavori domestici, babysitting, lavoro di badante, lezioni private, giardinaggio, collaborazioni esterne con organizzazioni di volontariato, rese da determinati soggetti iscritti in apposite liste tenute presso i centri per l’impiego e cioè: i disoccupati, le casalinghe, gli studenti, i pensionati, i disabili, ed i lavoratori extracomunitari. Il nuovo lavoro occasionale prestazione * lavoro accessorio Reddito massimo conseguibile nell’anno solare Limite massimo dei giorni lavorati nell’anno solare Soggetti che possono esercitare la prestazione di lavoro prestazione ** occasionale generica 3.000 euro 5.000 euro 30 giorni totali 30 giorni con lo stesso committente Non -disoccupati da oltre un anno, -casalinghe, studenti, pensionati, specificati -disabili e soggetti in comunità di recupero, -lavoratori extracomunitari nei sei mesi successivi alla perdita del lavoro. Tipologia di attività -piccoli lavori domestici a Non specificate esercitabili carattere straordinario, -insegnamento privato supplementare, -piccoli lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici e monumenti, -realizzazioni di manifestazioni sociali, sportive, ecc., -collaborazione con enti pubblici ed associazioni di volontariato. -7- lavoro a progetto (ex co.co.co) Non specificato Non specificati Sono esclusi i soggetti titolari di pensione di vecchiaia e coloro che esercitano attività sotto riportate Sono escluse le professioni intellettuali iscritte in appositi albi; le co.co.co. rese ad associazioni e società sportive dilettantistiche; la amministrazione ed il controllo delle società e le partecipazioni a collegi e commissioni. Trattamento IRPEF Non assoggettata Assoggettato: assimilato ai redditi da lavoro dipendente Trattamento ed INAIL Assoggettato: -INPS (percentuale prevista del 17, 39%) -INAIL (percentuale variabile a seconda del rischio specifico del tipo di lavoro) Assoggettata a ritenuta di acconto del 20 % (art. 25, comma 1 dpr 600/73). Detti redditi rientra no nell’art. 81 comma 1 Tuir redditidiversi. Non INPS Assoggettata: -INPS un euro sui 7,5 di ogni assoggettata buono (13,33 %), -INAIL 0,5 euro sui 7,5 di ogni buono (6,67 %) * Si intende per lavoro accessorio l’attività lavorativa di natura meramente occasionale resa da soggetti a rischio di esclusione sociale, non ancora entrati nel mercato del lavoro oppure in procinto di uscirne. ** Si intendono per prestazioni occasionali generiche i rapporti di durata complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente. Quindi possono essere effettuati da chiunque non possegga una partita IVA. I compensi non devono superare i 5.000 euro per anno solare (limite inteso come somma percepita da tutti i committenti). Detti compensi non saranno da assoggettare né ad INPS e né ad INAIL, mentre resterà dovuta la ritenuta IRPEF a titolo di acconto pari al 20 %. I compensi continueranno ad essere dichiarati nei modelli 770 delle imprese committenti, mentre per il percettore continueranno ad essere computati fra i “redditi diversi”, da inserire nel quadro L del modello Unico. Il contratto di inserimento destinato a sostituire il contratto di formazione e lavoro. I nuovi percorsi dell’apprendistato I cui contenuti precisi saranno definiti dalle Regioni e dalle Province Autonome di Bolzano e di Trento. Sono previsti tre differenti casi: - 1) apprendistato per istruzione e formazione (fra i 15 ed i 18 anni e con durata non superiore ai tre anni) - 2) apprendistato professionalizzante, che è rivolto ai giovani fra i 18 ed i 29 anni; si tratta di una specializzazione o approfondimento e può durare dai 2 ai 6 anni) - 3) apprendistato per ottenere un diploma o una alta formazione universitaria (età fra i 18 ed i 29 anni. Il tirocinio estivo di orientamento In sostanza, gli adolescenti ed i giovani, iscritti regolarmente presso scuole superiori od università, possono svolgere un tirocinio estivo presso un’azienda, per una durata non superiore a tre mesi. Tale tirocinio non costituisce un rapporto di lavoro. (adolescenti con età tra i 15 ed i 25 anni – giovani con età tra i 18 ed i 29 anni). -8- (2) Apertura del collocamento ai privati I centri per l’impiego vengono modificati e le vecchie strutture lasciano il posto ad “agenzie per il lavoro”, che avranno il ruolo di operatori polifunzionali collegati fra loro in rete, facendo nascere una vera e propria borsa del lavoro. Ora quindi i servizi privati potranno affiancare il pubblico nel facilitare l’incontro tra la domanda e l’offerta del lavoro, ma anche nel fornire ai lavoratori attività di sostegno e di orientamento. (3) Modifica delle collaborazioni coordinate e continuative (co.co.co.) Tali collaborazioni dovranno essere legate ad un progetto, specificato in forma scritta, così come la sua durata ed il relativo corrispettivo. In tal modo, tutto ciò che non rientra in questa formula sarà considerato lavoro subordinato, a tempo determinato o a tempo indeterminato (vengono esclusi dalle nuove regole: i pensionati di vecchiaia, le professioni intellettuali con iscrizioni in albi professionali, le co.co.co rese ad associazioni e società sportive, i componenti di organi di amministrazione di società, i partecipanti a commissioni e collegi). (4) Staff leasing Strumento assai diffuso negli USA. Si tratta cioè della possibilità di ricorrere all’affitto di manodopera a tempo indeterminato e per interi staff. Ricorso che può scattare solo in presenza di ragioni di carattere tecnico produttivo ed organizzativo, individuate dalla legge e dai contratti collettivi. Nota del ministero del lavoro e delle politiche sociali sulla riforma Biagi La riforma Biagi vuole aumentare in tempi brevi il numero delle persone che lavorano regolarmente. Lo sviluppo economico si deve infatti accompagnare ad una più elevata capacità di produrre posti di lavoro aggiuntivi. Le regole attuali hanno in parte la responsabilità di avere fatto dell’Italia il Paese con il più basso tasso di occupazione regolare ed il più alto numero di lavoratori “in nero” in tutta Europa. La riforma Biagi vuole occupare in particolare più giovani nel Mezzogiorno, e più donne e più anziani nell’intero Paese.Questo obiettivo si realizza con un mercato del lavoro trasparente, nel quale viene tempestivamente monitorata la condizione di ciascuna persona in età di lavoro, e con un sistema di servizi pubblici e privati che, in rete tra di loro, accompagnano e facilitano l’incontro tra coloro che cercano lavoro e coloro che cercano lavoratori. Regole -9- più moderne e più europee vogliono favorire il reciproco adattamento fra le esigenze dei lavoratori e quelle delle imprese, con particolare riguardo all’orario di lavoro. In ogni caso, la riforma Biagi ha lo scopo di promuovere un lavoro regolare e non precario e di fornire tutele effettive. Al contrario, le regole tradizionali hanno nei fatti prodotto tanti lavori “in nero” od insicuri, come nel caso di molte collaborazioni coordinate e continuative. In Italia lavora regolarmente solo un cittadino su due tra 15 e 65 anni e solo il 42 per cento delle donne: le percentuali più basse d’Europa. Solo un cittadino su due paga il sistema previdenziale, mentre nei Paesi più evoluti si raggiungono livelli superiori al 70 per cento. In Italia sono disoccupate 9 persone su 100 (18 in alcune aree del Mezzogiorno); in particolare, molto debole è nel mercato del lavoro la condizione delle donne, degli adulti over 45 e dei giovani. I giovani italiani abbandonano precocemente i percorsi scolastici e partecipano ad attività formative meno dei coetanei europei, ma in Italia la disoccupazione giovanile e la disoccupazione di lungo periodo (più di dodici mesi senza lavoro o formazione) è a livelli tra i più alti d’Europa. L’Italia senza lavoratori del Nord Est si contrappone all’Italia senza lavoro del Mezzogiorno; l’assenza di adeguati servizi all’impiego aggrava le caratteristiche strutturali e permanenti nel tempo della disoccupazione meridionale. Il lavoro nero ed irregolare assume in Italia dimensioni molto superiori rispetto alla media degli altri Paesi europei, superando, secondo stime recenti, i cinque milioni di posizioni lavorative. In Italia solo il 4 per cento dei rapporti di lavoro passa dagli attuali servizi per l’impiego, nati recentemente dal monopolio pubblico degli uffici di collocamento dedicati solo a pratiche burocratiche. Gli operatori privati sono rappresentati quasi soltanto dalle agenzie che forniscono lavoro in affitto a tempo determinato. Così, chi cerca lavoro o cerca lavoratori brancola nel buio e si affida a meccanismi inefficienti (le reti degli amici, i passaparola, le conoscenze dei genitori, ecc.). Con il decreto legge 297 del dicembre 2002, anch’esso disegnato da Marco Biagi, è stata prioritariamente riformata la funzione pubblica dei servizi all’impiego. Sono finiti i libretti di lavoro e le vecchie procedure burocratiche di autorizzazione, per fare posto all’anagrafe del lavoratore. La conoscenza immediata della posizione di ciascuno rispetto al lavoro consente di erogare tempestivi servizi di orientamento a chi cerca lavoro e di indirizzare le attività di formazione secondo gli effettivi bisogni prioritari dei cittadini e delle imprese. Il decreto legislativo di attuazione consentirà ora lo sviluppo e la diffusione degli operatori privati, cui sarà consentito, a determinate condizioni, di erogare tutti i servizi (collocamento, ricerca e selezione, orientamento e formazione, somministrazione di lavoro, ecc.) nella nuova denominazione di agenzie per il lavoro. I Comuni potranno fare collocamento con particolare attenzione ai soggetti svantaggiati, per i quali sono incentivate le forme di collaborazione con gli operatori privati e privato/sociale. Scuole ed Università potranno collocare i propri allievi nel mercato del lavoro attraverso tirocini e contratti di lavoro, sviluppando le relazioni con le attività produttive - 10 - del territorio e realizzando progetti di trasferimento tecnologico con dotazione di risorse umane. I servizi privati sono gratuiti per i lavoratori ed onerosi solo per le imprese. Operatori pubblici e privati saranno presto collegati tra di loro attraverso un sistema informatico nella borsa continua nazionale del lavoro……. ============ OBBLIGHI DEL LAVORATORE E DEL DATORE DI LAVORO Del lavoratore - eseguire con diligenza e correttezza la prestazione stabilita nel contratto, - obbligo di obbedienza alle direttive di lavoro, - obbligo di fedeltà all'azienda, e quindi anche divieto di fare concorrenza, - osservare il segreto professionale e non divulgare, quindi. ad estranei notizie fatti od atti che riguardano l'attività di lavoro. Del datore di lavoro - servirsi dell'ufficio di collocamento, - verificare che il lavoratore abbia il libretto di lavoro, - pagare la retribuzione stabilita, - rispettare le ore di lavoro stabilite, - concedere le ferie annuali, - rispettare le assicurazioni di legge, - pagare il trattamento di fine rapporto. Nota a proposito di ferie annuali, ricordiamo la sentenza numero 14020/2001 delle sezioni unite della corte di cassazione, depositata il 12 novembre 2001. In sostanza, ai fini del calcolo delle ferie, i giorni trascorsi in malattia vanno equiparati a quelli di lavoro effettivamente svolto. Sono quindi illegittime tutte le disposizioni contrattuali che stabiliscono il contrario. E le imprese dovranno allora riconoscere e ricostruire ai lavoratori il monte ferie annuale maturato. Il rapporto di lavoro autonomo (art. 2222 del codice civile) una persona, professionista o artigiano, si obbliga a compiere, verso corrispettivo, un’opera o un servizio, con lavoro proprio e senza subordinazione, nei confronti di un committente. Tale rapporto, di regola, non forma oggetto del diritto del lavoro, ma viene disciplinato normalmente dal diritto commerciale. I DIRITTI DEL LAVORATORE Libertà di opinione L'articolo 21 della Costituzione e l’articolo 1 della legge 300/1970 (detta anche "statuto dei lavoratori") dicono che ognuno può liberamente manifestare il - 11 - proprio pensiero nei luoghi di lavoro. Sono vietati da parte del datore di lavoro atti discriminatori (cioè vendette personali, dettate da antipatia, pregiudizio, intolleranza, arroganza, eccetera), Diritto alla salute vedi articoli 32 e 38 della Costituzione e la citata legge 300/1970. Inoltre, sul supplemento ordinario n. 226 alla gazzetta ufficiale 8/9/2001 n. 209, è stato pubblicato il decreto ministeriale 2/5/2001, che definisce i criteri per l’individuazione e l’uso di dispositivi di protezione individuale (Dpi) e quindi qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore per proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento od accessorio destinato a tale scopo. Tra le figure professionali interessate all’uso dei dispositivi di protezione individuale, in un ente locale, possiamo menzionare: l’elettricista, il manutentore, il disinfestatore, l’idraulico, l’addetto ai servizi cimiteriali, l’addetto agli impianti di depurazione, il magazziniere, eccetera. Per quanto riguarda le sanzioni, il datore di lavoro ed il dirigente sono puniti con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da lire tre milioni a lire otto milioni, se non forniscono i lavoratori di dispositivi di protezione individuale, se questi non sono conformi alla normativa vigente e se non vengono addestrati all’uso degli stessi; mentre sono puniti con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da lire un milione a lire cinque milioni, se non forniscono istruzioni comprensibili e se il lavoratore non viene informato preliminarmente dei rischi, dai quali il dispositivo di protezione individuale lo protegge. Privacy: i dati sanitari del dipendente Il garante, per la protezione dei dati personali, ha stabilito che le informazioni sullo stato di salute del dipendente devono essere conservati separatamente dalle altre di natura personale. Il fascicolo del lavoratore, che raccoglie gli atti relativi alla nomina, al percorso professionale ed ai fatti più significativi della carriera individuale, può mantenere la sua unitarietà, purché si adottino particolari cautele. Il garante ha sottolineato che la normativa vigente, pur non arrivando a stabilire un obbligo del datore di lavoro di provvedere all’assoluta ed integrale segregazione dei dati sensibili dei dipendenti, ha introdotto una serie di obblighi e cautele da rispettare nel trattamento dei dati personali. I datori di lavoro sono quindi tenuti ad impiegare tecniche, codici, o altri sistemi che permettano di identificare gli interessati solo in caso di necessità ed unicamente per lo svolgimento di rilevanti finalità di interesse pubblico (articolo 3 del decreto legislativo numero 135199). Diritto di svolgere attività sindacale Interessante ricordare che la corte di cassazione, con la sentenza numero 7091, ha stabilito che rischia il licenziamento il rappresentante sindacale, che distribuisce volantini contro il datore di lavoro, rappresentandolo con vignette ingiuriose. Ancora, la suprema corte afferma che le norme del codice civile, ed - 12 - in particolare l'articolo 2043, contemplano una tutela più ampia della persona offesa, rispetto alle norme del codice penale. Diritto di sciopero La legge vuole comunque che siano assicurati sempre i servizi vitali ed essenziali dei cittadini, Diritto alla retribuzione - il datore di lavoro deve consegnare il prospetto paga (“busta paga”) e la paga minima è fissata dai contratti collettivi, - l’articolo 36 della Costituzione dice, inoltre, che la retribuzione deve assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa, - elementi della retribuzione sono: la paga base, che è fissata dai contratti di lavoro; l'indennità di contingenza, che è un elemento che varia con il variare del costo della vita; gli scatti di anzianità, che sono calcolati sulla anzianità di servizio; il premio di produzione, che è un premio per la operosità dei lavoratori, con lo scopo di stimolare l'aumento della produttività aziendale. Nota nel caso che un lavoratore debba essere punito, per scorrettezze od altro, esiste sempre il diritto alla difesa e quindi di essere sentito a discolpa. Qualsiasi tipo di sanzioni, che un datore di lavoro ritenga di dover applicare nei confronti dei dipendenti, deve essere portato a conoscenza di tutti i lavoratori dell'azienda, mediante affissione di appositi manifesti in una bacheca..Infine, nessun provvedimento disciplinare può essere applicato prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto. IL LAVORO A DOMICILIO legge 18/12/1973 n. 877 – legge 16/12/1980 n. 858 Lavoratore di questo tipo è considerato chiunque, con vincolo di subordinazione, esegue nel proprio domicilio o in un locale di cui abbia la disponibilità, anche con l’aiuto di membri della sua famiglia conviventi a carico (ma con esclusione di manodopera salariata e di apprendisti), un lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori, utilizzando materie prime ed attrezzature proprie o dello stesso imprenditore, anche se fornite da terzi. Il lavoratore a domicilio deve possedere, a cura dell’imprenditore, uno speciale libretto di controllo, che deve contenere la data e l’ora di consegna del lavoro a lui affidato, la descrizione del lavoro, la qualità e la quantità del lavoro da eseguire, la quantità e la qualità dei materiali consegnati, l’indicazione della misura della retribuzione, dell’ammontare delle eventuali anticipazioni, nonché la data e l’ora della riconsegna del lavoro eseguito con specificazione della quantità e qualità, degli altri materiali eventualmente restituiti e l’indicazione della retribuzione corrisposta, dei singoli elementi di cui questa si compone e delle singole trattenute. Il libretto personale di controllo, sia all’atto della consegna del lavoro affidato, che all’atto della - 13 - riconsegna del lavoro eseguito, deve essere firmato dall’imprenditore o da chi ne fa le veci e dal lavoratore a domicilio. Il libretto personale di controllo sostituisce a tutti gli effetti il prospetto di paga ed è l’unico sistema valido, per l’imprenditore, per poter verificare con esattezza le ore impiegate per lo svolgimento del lavoro e di conseguenza calcolare la retribuzione spettante al lavoratore. Le varie festività esistenti nell’annata hanno lo stesso valore ed efficacia anche per i lavoratori a domicilio. Il lavoratore a domicilio può gestirsi in maniera elastica l’orario di lavoro, organizzandosi al meglio. E’ infine vietato alla aziende, interessate da programmi di ristrutturazione riorganizzazione e di conversione, che abbiano comportato licenziamenti o sospensioni dal lavoro, affidare lavoro a domicilio per la durata di un anno, rispettivamente dall’ultimo provvedimento di licenziamento o dalla cessazione delle sospensioni. “STATUS” DI DISOCCUPAZIONE Nella primavera del 2000, il consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva il decreto legislativo che fissa la definizione di "status di disoccupazione" e mira a coinvolgere sempre più i disoccupati di lunga durata in iniziative di formazione e di lavoro. Disoccupato di lunga durata è chi ha perso il lavoro o cessato un'attività e cerca nuova occupazione da più di dodici mesi. La condizione di disoccupazione, però, verrà riconosciuta solo se le persone interessate si presenteranno agli uffici di collocamento entro 180 giorni dall'entrata in vigore del decreto. Solo da allora scatteranno tutti i benefici previsti dalla legge e si potrà usufruire dei colloqui di orientamento e dei corsi di formazione e riqualificazione professionale che i servizi all'impiego dovranno organizzare. I colloqui dovranno avvenire entro sei mesi dall'inizio dello stato di disoccupazione. Severe le norme nei confronti di chi non si presenterà al colloquio di orientamento e di chi rifiuterà un'offerta di lavoro a tempo pieno e indeterminato, o determinato, o di missione superiore almeno a quattro mesi e con sede lavorativa nel raggio di 50 chilometri dal suo domicilio (perderà l'anzianità nello stato di disoccupazione). In vista del riordino degli incentivi all'occupazione e della riforma degli ammortizzatori sociali - si legge in una nota del ministero del lavoro - il decreto contribuisce a cambiare radicalmente le politiche dell'impiego, in linea con la riforma del collocamento. In particolare - prosegue la nota - si passa ad una politica attiva, al centro della quale i servizi per l'impiego, decentrati alle competenze regionali, opereranno per far incrociare la domanda e l'offerta di lavoro e quindi per prevenire sia la disoccupazione giovanile che quella di lunga durata. - 14 - Nota Il decreto legge n. 346/2000 stabilisce che l’assegno di disoccupazione passi dal 30% al 40% e ripristina il diritto alla pensione di reversibilità. La retribuzione cui si deve fare riferimento per la determinazione dell’indennizzo è quella media goduta nei tre mesi precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione. L’ammontare dell’assegno mensile non può comunque superare un determinato tetto prestabilito dalle leggi in materia. Il diritto all’indennità giornaliera sorge con il concorso di due requisiti contributivi: almeno due anni di assicurazione per la disoccupazione ed almeno 52 contributi settimanali nel biennio precedente la data di cessazione del rapporto di lavoro. Il trattamento spetta per un periodo massimo di 180 giorni (sei mesi quindi) al dipendente rimasto senza lavoro in seguito a licenziamento. Dal primo gennaio 1999 non è più riconosciuto nei confronti di chi si dimette volontariamente. Dal primo dicembre 2000, altra novità, per i soggetti con età anagrafica pari o superiore a 50 anni, il periodo massimo indennizzabile sale a nove mesi. Infine è bene ricordare che se si perde il lavoro, sia in caso di licenziamento che di sospensione, occorre iscriversi subito al “servizio per l’impiego” (ex ufficio di collocamento), sia per il diritto di precedenza che per l’eventuale diritto alla disoccupazione. Quando, infatti, termina il periodo di lavoro, si può usufruire di determinati sussidi economici. Un decreto, infine, del consiglio dei ministri, di data 11/4/2002, ha stabilito che sono considerati disoccupati di lunga durata i soggetti alla ricerca di una occupazione da più di 12 mesi (sei mesi se giovani con meno di 25 anni) e che spetterà alle regioni stabilire i modi di accertamento e di verifica periodica dello stato di disoccupazione. LA TUTELA DEL MINORE legge 17/10/1967 n. 977 dpr. 432/1976 – dlgs 9/9/1994 n. 566 La legge citata opera una distinzione fra fanciulli ed adolescenti, intendendosi per fanciulli i minori che non hanno compiuto i 15 anni e per adolescenti coloro che hanno una età compresa fra i 15 ed i 18 anni. Le particolarità di rilievo sono le seguenti: - a parità di inquadramento formale del minore, deve essere garantito un trattamento economico pari a quello spettante al lavoratore adulto; come pure un periodo minimo di ferie annuali retribuite, indipendentemente dall’anzianità di servizio, - una visita medica deve sempre precedere l’assunzione e nel corso del rapporto lavorativo vanno effettuate periodicamente ulteriori visite, - 15 - - per quanto riguarda l’attività lavorativa, è prevista l’età di 14 anni per l’agricoltura e per i servizi familiari; 15 anni per gli altri lavori, a condizione che si tuteli la salute e l’obbligo scolastico; 18 anni per i lavori sotterranei (miniere), per la somministrazione di bevande alcoliche e per i lavori notturni. LA TUTELA DEL LAVORO FEMMINILE L 'articolo 37 della Costituzione dice che deve essere garantita l'uguaglianza fra uomo e donna. Tutte le attività che hanno come scopo quello di favorire l'uguaglianza fra uomo e donna nell'ambiente di lavoro si chiamano: "azioni positive". - ad uomo e donna, a parità di lavoro, deve essere garantita la stessa retribuzione, - la donna lavoratrice ha diritto, nel primo anno di vita del bambino, alla astensione facoltativa dal posto di lavoro, con conservazione di detto posto, e così per malattie del bimbo fino ai tre anni di vita, - è vietato licenziare una lavoratrice durante il periodo della maternità (vedasi la legge del 30 dicembre 1971 n. 1204 sulla tutela delle lavoratrici madri), - è vietato pure licenziare una lavoratrice per matrimonio della stessa, ed i licenziamenti fino ad un anno dalle nozze si presumono fatti per questo motivo (il periodo di un anno dal matrimonio si chiama anno sospetto). Nota una lavoratrice incinta non sempre appare ben vista dal datore di lavoro. La legge però la tutela in modo particolare, proprio contro il licenziamento. La protezione offerta alla donna incinta contro il licenziamento è considerevole. Essa, infatti, non può essere licenziata per tutto il periodo che va dall’inizio della gestazione e fino ad un anno dal parto. Il datore di lavoro può, tuttavia, procedere al licenziamento quando ricorrono le seguenti circostanze: - per gravi e comprovate negligenze nel lavoro, - se l’Azienda cessa la propria attività, - se l’assunzione è stata a tempo determinato. Per lo stesso periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non può neppure essere sospesa dal lavoro, a meno che lo stesso provvedimento non riguardi l’intera Azienda o l’intero reparto. Per poter godere dei benefici garantiti dalla legge, la lavoratrice deve far pervenire al suo datore di lavoro un certificato di gravidanza che, tra gli altri, deve riportare il mese di gestazione e la data presunta del parto. - 16 - Se la lavoratrice viene illecitamente licenziata, ha diritto ad essere reintegrata nel proprio posto. A questo scopo, entro novanta giorni dal suo allontanamento dal lavoro deve presentare un certificato, dal quale risulti che al momento del licenziamento la gravidanza era già in corso. Un sistema piuttosto usato, per aggirare le norme sul licenziamento, era quello di far firmare alla donna, al momento dell’assunzione, una lettera di dimissioni in bianco, da usare in seguito al momento opportuno. Ecco perché la legge sulla tutela delle lavoratrici madri prevede che le dimissioni volontarie, presentate durante il periodo di gravidanza, debbano essere sempre convalidate dall’Ispettorato del Lavoro. In caso contrario, il contratto di lavoro rimane in vigore. Eventuali dimissioni devono essere confermate dalla stessa interessata all’Ispettorato del Lavoro. Il lavoro durante la gravidanza - nel periodo della gravidanza è vietato assegnare alla lavoratrice mansioni pesanti. Se queste fanno parte del lavoro abituale della lavoratrice, il suo compito deve essere momentaneamente cambiato, - nel periodo in cui la lavoratrice viene assegnata a mansioni diverse, deve comunque mantenere la qualifica e la retribuzione originale, - l'ispettorato del lavoro può anticipare il periodo di assenza obbligatoria se ci sono complicazioni nella gestazione o se le condizioni ambientali o di lavoro pregiudicano la salute della donna o del bambino o se non è possibile assegnare la lavoratrice ad altre mansioni, - anche nei primi periodi successivi al parto (e comunque nei mesi stabiliti dalla legge), si deve rispettare il divieto di assegnare la lavoratrice al trasporto o al sollevamento di pesi, a lavori pesanti, faticosi ed insalubri. Nota con il decreto 26/3/2001, recante il testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (che riassume ed ordina la disciplina della legge 53/2000), è stata estesa alla lavoratrice domestica la tutela prevista per le lavoratrici madri, in materia di astensione obbligatoria e facoltativa nel periodo di gravidanza e puerperio ed in materia di divieto di licenziamento durante lo stesso periodo. Anche il collaboratore domestico, inoltre, ha diritto alle ferie e non possono computarsi come ferie il periodo di preavviso, i giorni di malattia ed il congedo matrimoniale. Il mancato godimento delle ferie è considerato un illecito arricchimento del datore di lavoro. Infine, anche i lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari, sono soggetti alle prestazioni previdenziali di legge. - 17 - Come funziona la copertura economica in caso di maternità? Dipendenti l’indennità per il periodo di riposo obbligatorio, 2 mesi prima e 3 mesi dopo il parto, è pari all’80 % della retribuzione (ma con l’intervento del datore di lavoro si arriva quasi sempre al 100 %). L’assegno per astensione facoltativa, fino a sei mesi entro l’anno di vita del bambino, è pari al 30 % dello stipendio. Autonome l’indennità spetta per i 2 mesi antecedenti la data presunta del parto e per i 3 mesi successivi a quella effettiva. Le giornate indennizzabili sono tutte quelle che cadono nel periodo, tranne domeniche e festività infrasettimanali. L’assegno per le coltivatrici dirette è di 48.785 al giorno; per le artigiane di 51.105 lire; per le commercianti di 43.905. Professioniste l’assegno di parto spetta alle iscritte alla gestione del 13 %, se hanno almeno tre contributi mensili nei 14 mesi precedenti la data dell’evento. L’indennizzo viene corrisposto una tantum, ed è pari ad una percentuale del massimale di contribuzione, variabile in base all’anzianità fatta valere nei 14 mesi precedenti l’evento: 0,60 % fino a quattro mensilità; 1,20 % da 5 a 8 mensilità; 2,40 % da 9 a 12 mensilità. La somma può raggiungere un massimo di tre milioni e mezzo. Nota le lavoratrici europee incinte devono essere tutelate nei confronti del licenziamento, anche se il loro è un contratto a tempo determinato. Il principio è stato riaffermato dalla corte di giustizia europea con due sentenze: la numero C/438/99 e la numero C/109/00 (Spagna e Danimarca i Paesi interessati), che rappresentano un importante passo in avanti nella tutela delle lavoratrici flessibili. Nella gravidanza si amplia, quindi, la tutela nel lavoro a tempo determinato, poiché viene affermato e sottolineato dalla magistratura il principio che il licenziamento viola la parità tra uomo e donna. LE CONQUISTE DELLE DONNE NEL VENTESIMO SECOLO (1) il 2/6/1946, per la prima volta, viene esteso alle donne il diritto di voto, (2) viene attuata da una legge del 1957, e successivamente con la legge 7/1963, la parità salariale prevista già dall’art. 37 della Costituzione, (3) viene introdotto il divorzio negli anni ’70, confermato poi da un referendum del 12 maggio 1974, (4) con leggi successive, dal 1950 in poi, viene tutelata la maternità delle lavoratrici madri, con divieto di licenziamento entro il primo anno di vita del bambino e vengono definite le assenze per maternità, (5) con la legge sugli asili nido del 1971, viene favorita la permanenza nel mondo del lavoro, anche dopo la nascita dei figli, - 18 - (6) con la riforma del diritto di famiglia del 1975, viene introdotta la parità tra uomini e donne nell’ambito familiare, la potestà sui figli ad entrambi i coniugi, con identici diritti e doveri, (7) nel marzo 2000, con la legge n. 53 sui “congedi parentali”, viene introdotta la parità fra uomo e donna in materia di assenza facoltativa, (8) nel 1978 viene introdotta la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, con lo scopo di prevenire le gravidanze indesiderate e contrastare l’aborto clandestino, (9) nel 1991 esce la legge sulle pari opportunità, che ha come scopo quello di intervenire e rimuovere le discriminazioni sul lavoro fra uomo e donna, (10) nel 1996 una legge stabilisce che la violenza sessuale non è più un delitto contro la morale, ma contro la persona, (11) nel 1998 la legge stabilisce il divieto assoluto per le donne al lavoro notturno, durante la maternità e sino al compimento di un anno di vita del bambino ed il non obbligo fino a che il bambino ha 3 anni, nel caso di genitore unico, fino a 12 anni, (12) nel 1999 viene prevista un’indennità di maternità per le donne che non lavorano, o che svolgano il cosiddetto lavoro familiare. Con la finanziaria del 2000, questo diritto viene esteso alle cittadine dell’unione europea ed extracomunitarie con carta di soggiorno, (13) nel 1999 la legge riconosce il lavoro in ambito domestico. Le persone tra i 18 ed i 65 anni, che svolgono in via non occasionale, gratuitamente e senza vincolo di subordinazione, il lavoro domestico, hanno diritto all’assicurazione contro gli infortuni. IL PERIODO DI PROVA art. 2096 del codice civile Al lavoratore appena assunto si dà un periodo di prova, che deve risultare da un atto scritto, con indicazione della durata. Il patto di prova deve essere accettato e firmato da entrambi (il lavoratore ed il datore di lavoro). Lo scopo del periodo di prova è, per il datore di lavoro, quello di verificare la capacità professionale del lavoratore appena assunto; per il prestatore di lavoro, invece, la prova ha la finalità di valutare la sua convenienza o meno ad occupare quel determinato posto di lavoro. Il periodo di prova ha una durata massima non prorogabile, normalmente stabilità nei contratti collettivi, ed in genere non superiore ai sei mesi, secondo la categoria. Durante tale periodo, il datore di lavoro può in ogni momento recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso, salvo accordi diversi. Il datore di lavoro, quindi, ha una facoltà di recesso insindacabile, con ampia discrezionalità di valutazione e non vi è nemmeno l’obbligo di fornire una valutazione; l’unico limite a tale facoltà di recesso è costituito dal motivo - 19 - illecito. Viene comunque garantito il trattamento di fine rapporto, come pure le ferie retribuite o la relativa indennità sostitutiva. Al termine del periodo di prova, il datore di lavoro può decidere di non assumere il lavoratore, ma in questo caso deve dare una giustificare per iscritto. Compiuto, pertanto, il periodo di prova, senza recesso da entrambe le parti, il rapporto diventa definitivo ed il servizio prestato, a norma dell’articolo citato di p006j0.00011 Nota ai sensi dell’art. 2118 del codice civile, è consentito ai contraenti del contratto di lavoro a tempo indeterminato di recedere dallo stesso, dando preavviso scritto a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, nel termine e nei modi stabiliti dagli usi o secondo equità. Il successivo articolo 2119 del codice civile prevede che ciascuno dei contraenti possa recedere dal contratto di lavoro, prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro (fenomeno che viene conosciuto con il nome di “giusta causa”). IL TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO detto anche: “TFR” art. 2120 del codice civile - legge 29/5/1982 n. 297 E' il compenso per la cessazione del lavoro, chiamato anche "liquidazione" o "buona uscita" o meglio e più tecnicamente "TFR." (che significa "trattamento di fine rapporto"). Il trattamento si calcola accantonando, al termine di ciascun anno di servizio, una quota pari, e comunque non superiore, all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso, diviso per 13,5 (quindi il 7,40 % di tale retribuzione). Si devono considerare tutte le somme corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale. Recita, inoltre, l’articolo 2948 numero 5 del codice civile, che il diritto al TFR si prescrive in cinque anni. - non esiste più distinzione fra operai ed impiegati per il calcolo del trattamento di fine rapporto, - è previsto che si possa chiedere al datore di lavoro una anticipazione sul trattamento di fine rapporto per motivi di salute o per acquistare la prima casa di abitazione, per se o per i propri figli, - ogni anno, poi, il datore di lavoro deve provvedere a far rivalutare il trattamento di fine rapporto maturato, tenendo conto del costo della vita. - gli infortuni, la gravidanza, il servizio militare (che ora è destinato a diventare volontario), non toccano la liquidazione. Un po’ di storia del trattamento di fine rapporto (TFR) 1919: compaiono le prime forme di indennità di fine rapporto, ma solo per gli impiegati, 1926: la contrattazione collettiva comincia ad estendere a tutti gli appartenenti ad una determinata categoria l’indennità di fine lavoro, 1942: si inserisce l’istituto contrattuale nel nuovo codice civile. La decisiva generalizzazione a tutti i lavoratori dipendenti viene decisa con una legge nell’anno 1966, - 21 - 1977: un apposito decreto legge esclude dall’indennità la scala mobile maturata, a partire dal 1° febbraio 1977, 1981: viene presentato un progetto abrogativo della legge del 1977, 1982: il legislatore interviene ancora con un ulteriore provvedimento, che viene ritenuto idoneo a sospendere il referendum abrogativo. Viene, così, approvata la legge n. 297, che ancora oggi regola il trattamento di fine rapporto di lavoro, 2000: in data 2 febbraio, il governo presenta un disegno di legge di riforma del trattamento di fine rapporto. Fondo di garanzia per garantire ai dipendenti la possibilità di riscuotere il trattamento di fine rapporto, anche nei casi di insolvenza dei datori di lavoro, è stato istituito presso l’INPS (art. 2 legge 297/1982) il “fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto”, che si sostituisce al datore di lavoro, in caso di insolvenza del medesimo, nella corresponsione del trattamento spettante ai lavoratori o ai loro aventi diritto. Il fondo è alimentato con un apposito contributo, a carico dei datori di lavoro, pari allo 0,15 % delle retribuzioni. I SINDACATI e l’articolo 39 della Costituzione I sindacati sono associazioni di lavoratori, che agiscono per tutelare i comuni interessi degli stessi; vanno inquadrati nell’ambito delle “associazioni non riconosciute” e ad essi si applicano gli articoli 36 e seguenti del codice civile. Il sindacato raggruppa tutti coloro che prestano la loro opera in imprese del medesimo settore produttivo e merceologico. I sindacati possono avere un loro fondo, che è alimentato soprattutto dai contributi dei lavoratori. L’articolo 39 della Costituzione garantisce la libertà di organizzazione sindacale e stabilisce quindi che ogni lavoratore ha il diritto, se vuole, di aderire ad un sindacato di suo gradimento. I sindacati devono essere registrati presso appositi uffici centrali; devono avere un ordinamento democratico e possono stipulare contratti collettivi con valore per tutti. LA SERRATA E' la chiusura da parte del datore di lavoro dei luoghi di lavoro, per rendere impossibile il lavoro stesso, generalmente allo scopo di prevenire occupazioni, danneggiamenti e boicottaggi. La Costituzione non prevede espressamente la "serrata", ma nonostante ciò la serrata non è considerata delitto e quindi non è punibile, anche perché la stessa Costituzione, all'articolo 41, garantisce ampia libertà economica all'iniziativa privata. Ma la risposta definitiva sulla - 22 - applicabilità o meno della serrata sta in una decisione interpretativa della corte di cassazione (che è il massimo organo di giustizia esistente in Italia e che ha sede in Roma), che ha ammesso la serrata e quindi la sua legittimità solo in caso di ritorsione, cioè nel caso che la serrata costituisca una risposta ad uno sciopero illegittimo. IL LIBRETTO DI LAVORO che si è deciso di sostituire con la “scheda professionale” E' un documento da cui risultano gli aspetti fondamentali della prestazione di ogni lavoratore dipendente e precisamente: - le generalità del lavoratore e del datore di lavoro, - la qualifica professionale, - i passaggi di categoria, - la data di inizio e di cessazione del rapporto di lavoro. Il libretto di lavoro è rilasciato dal sindaco del comune di residenza e serve per iscriversi nelle liste di collocamento. Viene consegnato al datore di lavoro nel momento dell'assunzione. Il libretto viene conservato dal datore di lavoro fino alla fine del rapporto di lavoro. Il lavoratore ne può prendere visione in qualsiasi momento. Contro ciò che il datore di lavoro può avere scritto nel libretto, si può fare ricorso all'ispettorato del lavoro. la scheda professionale sostituirà il libretto di lavoro e darà attuazione al nuovo elenco anagrafico unico. Con decreto ministeriale 30/5/2001, infatti, il ministero del lavoro ha provveduto ad approvare il modello di scheda in base alle disposizioni del dpr (decreto Presidente Repubblica) n. 442/2000, ed il regolamento di semplificazione del collocamento, entrato in vigore in data 28/2/2001, e che ha abolito gli obblighi per i datori di lavoro inerenti al libretto di lavoro. Per quanto concerne la nuova scheda professionale, il citato dpr ha previsto anche l’istituzione di un elenco anagrafico unico , contenenti i dati anagrafici completi del lavoratore. L’elenco è indispensabile per le persone che sono in cerca di lavoro, perché non occupate, disoccupate o occupate ed in cerca d’altro lavoro. E’ integrato ed aggiornato sulla base delle informazioni fornite dal lavoratore e, d’ufficio, sulla base delle comunicazioni obbligatorie provenienti dai datori di lavoro. L’approvazione del modello di scheda professionale rappresenta un primo passo per l’attuazione del nuovo elenco anagrafico; tra l’altro, conterrà le informazioni relative alle esperienze formative e professionali ed alla disponibilità del lavoratore. L’ASSUNZIONE (Vedasi anche la riforma Biagi di cui sopra) - 23 - Il contratto di lavoro individuale subordinato si crea con un contratto, che viene chiamato: "contratto individuale di lavoro". La disciplina dell'avviamento al lavoro è contenuta principalmente in due leggi, del 1949 e del 1987, ora ampiamente superate con la nuova riforma del collocamento, deliberata dal consiglio dei ministri in data 11/4/2002 (vedasi pure la riforma Biagi del 30/3/2003). Vediamo, quindi, in sintesi le principali novità recentemente introdotte: prima della citata riforma chi cercava lavoro, doveva iscriversi presso l'ufficio del lavoro, che provvedeva al collocamento nel mercato del lavoro. I datori di lavoro dovevano inoltrare qui le loro richieste di assunzione e l'ufficio di collocamento rilasciava un documento, chiamato "nulla osta" (parole che nella lingua latina significano: "va bene"). Questa prassi non valeva per il pubblico impiego e per quelle attività che erano regolate in maniera diversa; dopo la riforma dell’11/4/2002 Liste di collocamento il decreto sopprime le liste di collocamento ordinarie e speciali, ad esclusione della gente di mare, di quella dello spettacolo e degli elenchi dei disabili. Per chi è senza lavoro od ha intenzione di cambiarlo, vi è un elenco anagrafico per contenere i dati del lavoratore, senza però che abbia importanza la data di iscrizione, come accadeva per la lista di collocamento. Rimane in vigore anche la lista dei lavoratori in mobilità, perché per questa è più opportuno intervenire con la delega di riforma degli ammortizzatori sociali. Chiamata diretta per tutti si estende il principio della assunzione diretta. Non serve rivolgersi al collocamento per trovare la persona interessata. La chiamata è nominativa e sarà sufficiente una comunicazione per dare notizia dell’avvenuta assunzione. Stato di disoccupazione sono considerati disoccupati di lunga durata i soggetti alla ricerca di una occupazione da più di 12 mesi (sei mesi se giovani con meno di 25 anni). Le regioni stabiliscono i modi di accertamento e di verifica periodica dello stato di disoccupazione. In sostanza, la disoccupazione è la condizione di una persona priva di lavoro, che sia immediatamente disponibile allo svolgimento o alla ricerca di una attività lavorativa. Scheda professionale con un nuovo decreto del ministero, sarà definito il formato di trasmissione ed il sistema di classificazione dei dati contenuti nella scheda professionale del lavoratore (che sostituisce il vecchio libretto di lavoro). I dati della scheda saranno la base per la costituzione del sistema informativo lavoro (SIL). - 24 - Lo sciopero, che è una astensione autorizzata dal lavoro, è un mezzo di lotta sindacale ed è la principale forma di autotutela del lavoratore. Lo sciopero è un diritto riconosciuto al lavoratore dall’art. 40 della Costituzione. E’ un diritto individuale riconosciuto ad ogni singolo lavoratore e finalizzato alla tutela degli interessi economici ed ambientali dei lavoratori. Lo sciopero, oltre ad astensione totale del lavoro, può anche essere fatto a singhiozzo (astensione discontinua ed a intervalli) oppure a scacchiera (sciopero non di tutta la ditta, ma di un settore o di un ufficio, in giorni ed orari diversi). La legge 146/1996 ha regolamentato lo sciopero nei servizi pubblici essenziali e precisamente: per conciliare il diritto di sciopero con l'uguale esigenza di non creare troppo disagio al pubblico, è indispensabile che un minimo di lavoratori garantisca sempre i servizi essenziali e l'utenza deve sempre essere avvisata per tempo prima dello sciopero. I servizi pubblici considerati importanti e vitali, per tale legge, sono i seguenti: - la sanità, la protezione civile, la raccolta dei rifiuti, l'energia elettrica, vendita e confezionamento di beni di prima necessità, i trasporti ferroviari aerei e marittimi, pagamenti di stipendi da parte di pubblici uffici, pagamenti di pensioni, esami e scrutini nelle scuole pubbliche. La legge sui servizi pubblici essenziali viene controllata da una apposita commissione chiamata: "commissione di garanzia". Per gravi motivi di sicurezza e di ordine pubblico, il capo del governo e le prefetture possono ordinare ai lavoratori di non fare lo sciopero. L’ordine si chiama “precettazione”. Durante lo sciopero viene sospesa la retribuzione. CLASSIFICAZIONE DEI LAVORATORI - Dirigenti: sono collaboratori diretti del datore di lavoro, ai quali la legge attribuisce poteri organizzativi. . Quadri: sono collaboratori del datore di lavoro, con minor potere dei dirigenti, ma che hanno nell'azienda compiti di particolare responsabilità. - Impiegati: collaborano nell'organizzazione della produzione, ma senza compiti di comando. Impiegati “di concetto” sono quelli che possono avere autonomia di iniziativa nell'organizzazione del lavoro. Impiegati “d'ordine” sono quelli che hanno solo mansioni esecutive. - 26 - - Operai: svolgono una attività prevalentemente manuale e si dividono in operai specializzati (che hanno seguìto, per esempio, un corso di addestramento o che hanno conseguito una qualifica) ed operai comuni, che sono quindi generici. Il lavoratore ha diritto di essere assegnato alle mansioni, per le quali è stato assunto, oppure a quelle superiori, se abbia ottenuto successivamente il diploma o la qualifica prevista. Notiamo che dal 1973, quasi sempre, è stato adottato nei contratti collettivi di lavoro un inquadramento unico di operai ed impiegati, articolato in diversi livelli, a ciascuno dei quali corrisponde un certo grado di professionalità ed un medesimo ammontare della retribuzione base. Dal Quotidiano "Il Sole 24 Ore" del 18/11/2000 Lo sciopero non dà il diritto di insultare (pronuncia n. 14828 e n. 11845 della corte di cassazione) Diritto di protesta, ma senza esagerare. Dalla corte di cassazione istruzioni per l'uso su scioperi e manifestazioni. E con due sentenze ravvicinate, la corte si pronuncia a favore dei datori di lavoro. Domeniche senza paga La pronuncia 14828 della sezione lavoro stabilisce che non hanno diritto alla retribuzione domenicale i dipendenti in sciopero per 15 giorni consecutivi. E' successo ai lavoratori di una società di trasporti di Potenza che, dopo uno sciopero di due settimane, nella paga del mese successivo, non hanno trovato la somma relativa alle domeniche incluse nel periodo di astensione dal lavoro. Giustamente, secondo la corte di cassazione. Per i giudici di legittimità, infatti, così come non è dovuta la paga per i giorni lavorativi che cadono nel periodo di sciopero, allo stesso modo non spetta la retribuzione per le giornate di riposo comprese in quell'arco di tempo. Quindi, essendo capitati i giorni festivi nel periodo, "ininterrotto" sottolinea la corte, nel quale i lavoratori hanno deciso di incrociare le braccia, l'obbligo retributivo del datore di lavoro è venuto meno. Risarcimento al datore E' andata peggio, invece, ad alcuni sindacalisti dei Cobas (nome di un sindacato) dell'Alfa Romeo di Arese, anche loro in protesta contro dei provvedimenti dell'azienda. In questo caso, i lavoratori si sono ritrovati in debito nei confronti del datore, per aver espresso le loro doglianze senza il dovuto controllo. Nel gennaio del '92 sei dipendenti hanno scritto e affisso due manifesti decisamente aggressivi, per i quali sono stati riconosciuti colpevoli del reato di diffamazione a mezzo stampa. Sebbene il reato sia caduto in prescrizione, i lavoratori hanno dovuto comunque risarcire il danno. Con la pronuncia 11845, i giudici della quinta sezione hanno annullato la condanna penale per l'estinzione del reato, fatte salve le statuizioni - 27 - civili affermate in primo grado e confermate in appello. Poiché, infatti, con la prescrizione si dà per scontato che il fatto delittuoso sia stato commesso, anche se la sentenza non produce effetti in sede penale, restano in piedi le conseguenze in materia civile. Perciò, la corte di cassazione ha confermato il risarcimento per i danni da diffamazione, lasciando immutata la decisione del tribunale di Milano, nella parte in cui liquida in 30 milioni la somma che i sindacalisti devono alla propria società. LO STATUTO DEI LAVORATORI legge 300 del 20/5/1970 E’ un complesso di norme, di determinante importanza, che regolano i princìpi basilari del lavoro. Vediamo in sintesi le principali disposizioni: - diritto di libertà sindacale, - diritto di propaganda nei luoghi di lavoro, - divieto di ritorsioni (minacce) da parte dei datori di lavoro, - divieto da parte dei datori di lavoro di creare sindacati di comodo, da essi stessi controllati (i così detti falsi sindacati fantocci), - divieto di licenziamento dei sindacalisti, - diritto di assemblea nei luoghi di lavoro, - diritto di permessi retribuiti ai sindacalisti, - diritto di affissione di comunicati all'albo sindacale, - diritto dei lavoratori di pagare contributi sindacali, mediante trattenute sulla busta paga, - divieto, da parte dei datori di lavoro, di repressione della condotta sindacale nei luoghi di lavoro Nota si riportano più oltre, alla fine di questo capitolo, i passi più significativi della legge 20 maggio 1970 n. 300, denominata: “statuto dei lavoratori”. Il governo intende modificare, in via sperimentale e parziale, l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori (riportato interamente più avanti). Si vorrebbe sostituire l’obbligo di reintegro, nei casi di licenziamento illegittimo, con un risarcimento, per le aziende che emergono dal sommerso. Vi è pure intenzione di trasformare i contratti da tempo determinato a tempo indeterminato e per le imprese che operano nuove assunzioni, superando la soglia dei 15 addetti. Numero di dipendenti (più o meno di 15) nelle imprese, secondo l’area di attività, nel 2001. (fonte. Istat) dipendenti fino a 15 lavoratori oltre a 15 lavoratori industria 1.527.752 3.370.999 commercio 718.668 621.528 Dal Quotidiano "Alto Adige" del 22/12/2000 un assegno familiare anche per i papà single sentenza della Cassazione sul caso di un Altoatesino - 28 - servizi 935.584 2.282.682 Assegni dell'INPS, a sostegno del nucleo familiare, anche nelle buste paga dei papà non sposati e non conviventi col figlio legalmente riconosciuto, che vive con la mamma naturale. Dando ragione ai diritti dei padri single, dipendenti a basso reddito, la cassazione ha respinto una serie di ricorsi con i quali l'INPS contestava le loro pretese. La suprema corte ha confermato l'orientamento espresso dal tribunale del lavoro di Bolzano, che aveva accolto la richiesta di un altoatesino di ottenere dall'INPS, che non voleva darglieli, gli assegni per il nucleo familiare in seguito alla nascita, nel '93, del figlio. Il bimbo non viveva con lui, ma con la mamma: i due genitori non erano sposati, ma avevano entrambi riconosciuto il piccolo e si erano lasciati per incompatibilità di carattere. L'INPS si opponeva, sottolineando il fatto che, se il padre lavoratore non viveva col figlio, questo era un elemento preclusivo al diritto di avere l'assegno in discussione. Ma la corte di cassazione ha respinto le obiezioni dell'INPS, rilevando che la legge 153 del 1988 ha integrato il reddito del nucleo familiare considerato nel suo complesso e non già la retribuzione del capo famiglia. Per cui quel che conta - ai fini dell'erogazione - sono il numero dei componenti il nucleo e le entrate complessive e non è richiesta alcuna convivenza. LA NUOVA LEGGE SUI CONGEDI PARENTALI legge n. 53 del marzo 2000 (per mamma e papà più tempo per i figli) Finalmente non si parlerà più di "assenza per maternità " ma di "congedo dei genitori": E' stata varata la legge - 28 articoli - che permette anche ai padri di occuparsi dei figli, garantendo loro gli stessi diritti e tutele delle madri. In sintesi, adesso, sia la madre che il padre potranno chiedere l'aspettativa per sei mesi, per un massimo di dieci mesi complessivi, fino agli otto anni di vita del bambino. Tali diritti vengono riconosciuti anche alle coppie conviventi, ai single ed ai genitori adottivi. Ma la legge introduce novità anche nella qualità e nei tempi di vita delle persone: il periodo per fare formazione, i piani dei Comuni per coordinare orari di negozi e servizi pubblici, le campagne di informazione. La legge non riguarda solo la cura dei bambini: l'articolo 20 estende le agevolazioni dei congedi ai genitori ed ai familiari lavoratori (pubblici o privati) che assistono "con continuità ed in via esclusiva un parente o un affine, entro il terzo grado, portatore di handicap, anche se non convivente". Questo significa che i benefici della legge sono estesi anche ai familiari che assistono gli anziani non auto sufficienti. La legge, inoltre, con gli articoli 5 e 6, introduce una disciplina dei congedi per la formazione. Al fine di facilitare l'accesso ai corsi di formazione (per - 29 - completare la scuola dell'obbligo, per conseguire il titolo di studio di secondo grado, del diploma universitario o di laurea, ecc.), se il lavoratore ha almeno 5 anni di servizio, gli è consentito di sospendere il rapporto di lavoro per un periodo non superiore a 11 mesi, continuativo o frazionato nell'arco dell'intera vita lavorativa, senza retribuzione, ma con il mantenimento del posto. Tale periodo non è cumulabile con le ferie, la malattia o altri congedi e non fa maturare anzianità di servizio. Le novità della legge Da oggi in poi saranno entrambi i genitori e non soltanto le madri ad aver diritto di assentarsi dal lavoro, per occuparsi dei figli, per assisterli quando si ammalano, per aiutarli negli studi, per giocare con loro e portarli a spasso. E i padri non dovranno più barcamenarsi implorando, perché il datore di lavoro conceda ferie o permessi: finalmente è stata approvata la legge "sui congedi parentali e sui tempi di vita della città", che estende a loro tutele e diritti fino ad ora esclusivo appannaggio delle madri. Ma non solo: - la legge estende tale sostegno anche a chi assiste i portatori di handicap, - introduce novità nel campo della formazione, concedendo appositi periodi, - indica nuovi compiti alle regioni ed ai comuni, per tempi, considerati più sostenibili, delle città, - mette in bilancio massicce campagne di informazione e preannuncia un testo unico delle leggi vigenti in materia. Non c'è dubbio che questo provvedimento - che modifica le forme di tutela previste dalla legge 1204 del 30 dicembre 1971 - sia un vantaggio per le famiglie, per il sostegno che dà alla maternità e alla paternità responsabili, ed inoltre rappresenti una svolta culturale che, si prevede, potrà avere nel tempo l'effetto di invertire l'attuale tendenza al calo demografico. Chi è interessato? Oltre ad estendere ai padri il diritto ai congedi dal lavoro per la cura dei figli - e questa è la prima grande novità - la legge (art.3) attribuisce tale diritto anche ai single (il genitore solo, infatti, può usufruire dell'intero periodo di 10 mesi) ed ai genitori adottivi ed affidatari, i quali, se il figlio ha fra i 6 e i 12 anni, all'atto dell'adozione e dell'affidamento, possono assentarsi dal lavoro "nei primi tre anni dall'ingresso del minore nel nucleo familiare". La legge non fa mai riferimento esplicito alla coppia "tradizionale" e chiama in causa i conviventi (art.4), e quindi estende le sue tutele anche a chi non è coniugato.Anche commercianti ed artigiani potranno usufruire dei congedi facoltativi, ma solo durante il primo anno di vita del figlio e per un massimo di tre mesi. La durata dei congedi I tempi da dedicare alla famiglia raddoppiano: è previsto un periodo, continuativo o frazionato, non superiore complessivamente a 10 mesi (e per un - 30 - massimo di 6 mesi ciascuno) di congedo, per padre e madre, entro gli otto anni di vita del bambino. I mesi possono diventare 11 per i due genitori, e questo è un “bonus” per i padri, se il padre ha scelto di stare a casa con la prole per almeno 3 mesi; e questo porta a 7 mesi il termine massimo di astensione dal lavoro. In caso di parto gemellare, le ore di permesso per allattamento raddoppiano (anche per i papà); in caso di parto prematuro "i giorni non goduti di astensione obbligatoria, prima del parto, vengono aggiunti al periodo di astensione obbligatoria dopo il parto" (art.11). Maternità flessibile (art.12): non c'è più la divisione rigida dei due mesi prima e dei tre dopo il parto e 1a madre può decidere di frammentarli come vuole. In caso di malattia del bambino, fino ai primi tre anni non ci sono limiti di tempo per fruire dell'astensione, mentre dai tre fino agli otto anni d'età ciascun genitore potrà assentarsi dal lavoro con permessi non retribuiti fino ad un massimo di cinque giorni per ciascun anno. Inoltre, sia per l'astensione facoltativa, sia per i permessi per malattia, e questa è un'altra novità, si abolisce il principio che il padre possa chiederli solo a condizione che la madre sia lavoratrice dipendente. E' stato infatti aggiunto alla legge 1204 del 1971 un comma: "il diritto di astenersi dal lavoro ...ed il relativo trattamento economico sono riconosciuti anche se l'altro genitore non ne ha diritto". L'astensione obbligatoria per maternità viene estesa anche al padre lavoratore, in caso di morte o di infermità della madre (art.4) o quando questa abbandoni il figlio (art.13). C'è da dire che la legge non specifica la decorrenza degli eventi verificatisi successivamente e perciò si può interpretare in maniera estensiva. E quindi, anche i genitori di bambini, che abbiano meno di otto anni, e che non hanno usufruito di periodi di astensione facoltativa, come previsti dall'attuale legge, possono utilizzare i periodi mancanti. Quali indennità L'astensione obbligatoria della lavoratrice (e del padre lavoratore in caso di morte o grave infermità della madre o di abbandono e di affidamento esclusivo) è risarcita con l'80 % della retribuzione (art.3). L'astensione facoltativa di entrambi i genitori è rimborsata al 30 % della retribuzione fino a tre anni di vita del bambino, per un periodo complessivo massimo, fra tutti e due, di sei mesi (art.3). Per i bassi redditi: rimborso del 30 % della retribuzione fino agli otto anni di vita del bambino, se il reddito individuale del genitore è inferiore a 2,5 volte il trattamento minimo di pensione, a carico dell'assicurazione obbligatoria (art.3). Inoltre (art.7), si può chiedere un anticipo del trattamento di fine rapporto (TFR) per sostenere le spese durante i periodi di congedo. Licenziamento Quando è collegato a questi congedi, il licenziamento è nullo (art.18) e anche la richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice o dal lavoratore, durante il - 31 - primo anno di vita del bambino, o nel primo anno di adozione o di affidamento, deve essere convalidata dal “servizio ispezione della direzione provinciale del lavoro”. Inoltre, il genitore non può essere trasferito prima di un anno dal rientro. Incentivi per le aziende Per le aziende ci saranno solo i costi organizzativi, perché gli oneri legati all'applicazione della legge saranno a carico dello Stato. Sono previste, inoltre (art. 9 e 10), misure a sostegno della flessibilità dell'orario ed incentivi a quelle imprese che organizzino progetti, per armonizzare i tempi di lavoro con i tempi di vita ed anche sgravi contributivi. I tempi delle città Le regioni (art.20), entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge, dovranno definire le norme per i comuni, i quali dovranno coordinare gli orari del commercio, dei servizi pubblici e degli uffici. per migliorare i tempi delle città. E, per favorire lo scambio di servizi di vicinato, per facilitare l'utilizzo dei servizi ed il rapporto con le pubbliche amministrazioni. per estendere la solidarietà, incentivando lo "scambio del tempo", la legge (art.27) fa riferimento alla possibilità, per i comuni, di favorire e sostenere quelle associazioni denominate "banche dei tempi", stipulando con esse accordi, che prevedano scambi di prestazioni di mutuo aiuto a favore dei cittadini. Congedi parentali per l’affidamento In caso di adozione o affidamento, il congedo parentale può essere fruito ed è indennizzabile fino agli otto anni d’età del minore, a condizione che sia richiesto entro tre anni dall’ingresso in famiglia. E’ quanto precisa l’Inps nella circolare n. 33 di ieri, modificando parzialmente le istruzioni della circolare n. 8/03. Adozione ed affidamento l’argomento concerne il congedo parentale cui, in via generale, hanno diritto i genitori per un totale di 11 mesi cumulativamente fino a che il figlio non compie gli otto anni di età. Il permesso è concesso anche in caso di adozione o affidamento, in base alle disposizioni recate ora dall’articolo 36 del dlgs n. 151/01 /T.U. maternità). Bambini fino a sei anni quando l’adozione o l’affidamento riguarda bambini fino a sei anni di età, l’Inps precisa che, indipendentemente dalle condizioni di reddito, il congedo spetta per un periodo complessivo (tra i due genitori) di sei mesi, retribuito con l’indennità pari al 30 % della retribuzione, fino a quando il bimbo non compie gli otto anni d’età, a condizione che venga richiesto e fruito nei primi tre anni dall’ingresso in famiglia del minore. Per periodi ulteriori (cioè oltre i sei e fino a 11 mesi) - 32 - spetta certamente il congedo, ma l’indennità è subordinata alle condizioni reddituali; pertanto, se il reddito del richiedente soddisfa il limite fissato dalla legge, il richiedente ha diritto oltre che al permesso anche alla relativa indennità; se non lo soddisfa ha titolo esclusivamente al congedo. Laddove il congedo parentale venga richiesto dopo i tre anni dall’ingresso in famiglia del minore, ogni (vale a dire, sia che si tratti dei primi sei mesi, sia dei periodi eccedenti fino agli 11 mesi) è indennizzabile subordinatamente alle condizioni reddituali; se il reddito risulta superiore ai limiti, si ha diritto al congedo ma non all’indennità. Bambini tra i sei ed i dodici anni quando l’adozione o l’affidamento riguarda bambini con età compresa tra i sei ed i dodici anni, il congedo parentale e la relativa indennità spettano nella sola ipotesi in cui il congedo sia richiesto entro i tre anni dall’ingresso in famiglia del minore adottato o affidato per complessivi sei mesi, indipendentemente dalle condizioni reddituali. Per periodi eccedenti i sei mesi, è necessario soddisfare le condizioni reddituali. Oltre il periodo di tre anni dall’ingresso, non spetta né il congedo e né l’indennità. Dal quotidiano “Il Sole 24 Ore” del 22 marzo 2001 n. 80 Testo unico per la maternità (con un “taglio” di venti leggi) Il consiglio dei ministri ha approvato il “testo unico”, che riunisce tutte le disposizioni legislative vigenti in materia di tutela e di sostegno della maternità e della paternità. Basta, quindi, con i continui rinvii a leggi che risalgono a dieci, venti anni fa, se non ancora più lontano…..una prima importante novità è che nel “testo unico”….non c’è solo la disciplina del lavoro dipendente, ma anche quello del lavoro autonomo, libere professioni, delle collaborazioni coordinate e continuative, per arrivare fino agli assegni di maternità per le casalinghe e le lavoratrici atipiche e discontinue. In particolare, il testo riordina e disciplina ciascun congedo: di maternità, di paternità, parentale, per la cura dei figli, oltre che i permessi e i riposi. Sono stati precisati anche alcuni punti non chiari: per esempio, è stato riconosciuto espressamente che il congedo parentale spetta per ogni figlio, anche nel caso dei gemelli; inoltre è messa ben in evidenza la disciplina che spetta in caso di adozione e di affidamento preadottivo, sia nazionale che internazionale. Sono state anche precisate meglio le condizioni che occorrono, per usufruire del congedo per la malattia del figlio, che deve essere certificato non dal pediatra di famiglia ma dalla ASL o da medico convenzionato, ma che non può essere sottoposto alla visita fiscale, prevista per la malattia del lavoratore……(omissis). Si è coordinata la disciplina che regola permessi, riposi e congedi, per i figli con handicap grave….e si è dato anche rilievo ad una disposizione sul lavoro notturno…..in tutti i settori resta il divieto di lavoro notturno, per la madre - 33 - durante la gravidanza e il primo anno del figlio. Se l’uno o l’altro genitore assiste un figlio, ha diritto, per un certo periodo di tempo, a non lavorare la notte. Sintetizzando…è previsto il congedo parentale fino agli otto anni di vita del bambino; il diritto del padre al congedo parentale, a prescindere dalla situazione della madre e il prolungamento del congedo straordinario, nel caso di figli disabili. IL PROCESSO DEL LAVORO Il nuovo processo è stato introdotto nel 1973, con la legge n. 533 di quell’anno, ed è ispirato a criteri di snellezza e semplicità. E' poco costoso e molto più breve rispetto ad un processo normale. Il Giudice è competente per qualsiasi genere di lavoro e quindi non solo per quello subordinato. Il Giudice ha competenza a giudicare e può, quindi, intervenire solo per la località dove il lavoratore si trova occupato. La domanda al Giudice si propone con un ricorso scritto, indicante: - il giudice più vicino al luogo di lavoro, le parti (cioè il lavoratore e l'azienda in cui lavora), i fatti che sono successi, le prove, sia scritte che per testimoni. Le parti, cioè il lavoratore ed il rappresentante dell'azienda , devono comparire (cioè presentarsi) personalmente all'udienza fissata dal Giudice, che può tentare di conciliare le parti ed ha ampi poteri per quanto riguarda la decisione della causa. La decisione finale si chiama “sentenza”. Ricordiamo che la stessa Costituzione dà al cittadino il diritto di fare sempre appello contro le decisioni di un Giudice e tale meccanismo viene tecnicamente chiamato: "diritto al grado di giurisdizione". Dal quotidiano “Alto Adige” del 23/2/2001 Le ferie non si toccano (parola della Suprema Corte) I lavoratori possono chiedere di fruire delle ferie, non godute, nell’anno successivo a quello nel quale le avevano maturate ed il datore di lavoro non può imporre la monetizzazione delle vacanze non fruite. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso di un ingegnere, che non voleva soldi, ma giorni liberi. In particolare, i supremi Giudici, con la sentenza numero 2569, hanno rilevato, in contrasto col Tribunale di Milano, che il riposo va goduto per ritemprare le energie psicofisiche e non è monetizzabile, attesa la sua funzione - 34 - reintegratrice. Per la Corte di Cassazione, infatti, nell’attuale società c’è una crescente valorizzazione del tempo libero. Perciò, devono considerarsi nulle le clausole contrattuali, anche collettive, che prevedono, in via esclusiva, l’indennità sostitutiva. Insomma, spetta solo al lavoratore decidere se volere soldi in cambio delle vacanze non effettuate o se prendere il meritato riposo se, per motivi imputabili a forza maggiore (come una malattia) o all’organizzazione aziendale, non è potuto andare in ferie. Nota Anche il detenuto lavoratore ha diritto alle ferie. E ne può godere, sia se svolge il lavoro all’interno del penitenziario (ad esempio trascorrendo il tempo libero in biblioteca, in palestra, o semplicemente rimanendo in cella), sia se lavora all’esterno o in situazione di semilibertà. Lo ha stabilito la corte costituzionale, nella sentenza 158/2000, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 20, sedicesimo comma, della legge 354/75 (norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non riconosce il diritto al riposo annuale retribuito al detenuto che presti attività lavorativa alle dipendenze dell'amministrazione carceraria. La sentenza si basa sull’analisi degli articoli 35 e 36 della Costituzione IL RAPPORTO DI PUBBLICO IMPIEGO Le principali differenze fra l’impiego privato e l’impiego pubblico sono: - il rapporto di impiego pubblico è disciplinato, oltre che dal codice civile e dai contratti collettivi di lavoro, anche da leggi speciali, - le controversie che nascono da un rapporto di pubblico impiego sono di competenza del TAR e non del giudice ordinario, - al pubblico impiego si accede di solito attraverso un pubblico concorso, e non attraverso le liste di collocamento, - il pubblico dipendente ha una serie di diritti ed obblighi che non sono quelli del lavoratore subordinato. Nel pubblico impiego vi sono, inoltre, varie categorie di dipendenti, che sono: - il pubblico funzionario, che è colui che svolge un’attività a capo di una amministrazione e che consente l'esercizio di poteri (ad esempio il prefetto, che rappresenta a livello provinciale il ministro degli interni), - il pubblico impiegato, che è colui che svolge un'attività lavorativa subordinata, senza però esercitare funzioni con pubblici poteri (ad esempio un insegnante, un dipendente comunale, un bidello), - il funzionario onorario, che è una persona che riveste una funzione pubblica in modo temporaneo, o attraverso una elezione (esempio il sindaco) o - 35 - attraverso una nomina che non dipende da un concorso (esempio il giudice di pace, che rimane in carica solo alcuni anni). Assunzione ed inquadramento l’articolo 97 della Costituzione stabilisce che all'impiego nella pubblica amministrazione si accede per pubblico concorso (sono esclusi dal pubblico concorso i massimi dirigenti dello Stato, che vengono nominati direttamente dal consiglio dei ministeri e pensiamo ad esempio ad un commissario del governo o al governatore della banca d’Italia). Tale metodo di assunzione risponde ai princìpi generali che regolano l'attività amministrativa e cioè: - imparzialità: con il concorso pubblico si dovrebbero evitare discriminazioni e favoritismi, - efficienza: tale metodo consentirebbe alla pubblica amministrazione di avere fra i propri dipendenti i più capaci e produttivi. Il bando di concorso specifica i requisiti per la partecipazione, i contenuti per la prova di esame ed il numero di posti di ruolo disponibili presso la pubblica amministrazione. La pubblicazione sulla “gazzetta ufficiale” dello Stato consente a tutti di poter partecipare in condizioni di uguaglianza. I vincitori del concorso vengono assunti come impiegati di ruolo. Secondo la legge n. 312 del 1980, tutti i pubblici dipendenti sono inquadrati in categorie professionali, a seconda delle funzioni da loro svolte. Ad ogni categoria corrisponde un determinato livello retributivo e lo svolgimento di determinate mansioni e, per passare da una categoria all’altra, è necessario sostenere un nuovo concorso pubblico. Diritti e doveri dei pubblici impiegati L'art. 28 della Costituzione stabilisce che i funzionari ed i dipendenti dello Stato sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione dei diritti. Diritti (che sono simili al rapporto di lavoro subordinato del diritto privato) - diritto alla retribuzione, diritto al riposo settimanale, diritto alle ferie, diritto alla conservazione del posto di lavoro. Sono estesi ai pubblici dipendenti i princìpi enunciati dallo “statuto dei lavoratori”, per quello che riguarda le attività sindacali, mentre l'articolo 40 della Costituzione, che tutela il diritto di sciopero, viene esercitato entro determinati limiti. Un limite al diritto di sciopero è posto dal codice di - 36 - autoregolamentazione, per coloro che svolgono servizi pubblici essenziali e che devono garantire un livello minimo di servizio all'utenza, dando anche un congruo preavviso dello sciopero. Doveri - dovere di fedeltà (svolgere l'attività nell'interesse dell'ente), - mantenere il segreto d'ufficio su quanto si viene a conoscere per servizio, - osservare gli orari e giustificare le assenze, - rispettare le direttive dei superiori, - mantenere una condotta conforme alla dignità, richiesta per la propria attività e posizione professionale. Il dipendente pubblico ha tre tipi di responsabilità: 1) responsabilità penale: nel caso che commetta un reato nell'esercizio delle proprie funzioni (ad esempio la corruzione), 2) responsabilità civile: nel caso che la propria attività causi danni ai diritti di terzi per dolo (cioè intenzionalmente) o colpa grave (per la quale il pubblico dipendente risponde con l'intero proprio patrimonio presente e futuro). L’articolo 28 della Costituzione stabilisce che, quando il pubblico dipendente causi un danno a terzi ed il suo patrimonio sia insufficiente per risarcirli, la responsabilità civile si estende anche allo Stato o all'ente pubblico, di cui il dipendente fa parte. Il danneggiato, quindi, potrà richiedere i danni in solido (cioè assieme) al pubblico impiegato ed alla pubblica amministrazione, alla quale il medesimo appartiene. 3) responsabilità amministrativa: avviene quando la pubblica amministrazione eroga nei confronti del proprio impiegato, sanzioni di natura disciplinare, che possono andare da una semplice lettera di ammonizione del superiore gerarchico, e fino alla sospensione dello stipendio o alla destituzione. Le leggi di riforma del pubblico impiego La legge 421/1992 ed il decreto legge 29/1993 hanno riformato la disciplina del pubblico impiego, con l'intenzione di avvicinare il rapporto di pubblico impiego a quello del lavoro dipendente. Questa nuova definizione legislativa è stata denominata "privatizzazione del pubblico impiego". L'ambito di applicazione di tali norme esclude alcuni particolari settori, come ad esempio quello dei magistrati e degli avvocati dello Stato, dei militari, dei - 37 - dipendenti di polizia, delle ambasciate, dei prefetti e di alcuni enti di credito e risparmio, che sono regolamentati con apposita legislazione. La legge ha voluto creare, quindi, maggiore efficienza, contenimento della spesa per il personale, avvicinamento graduale della disciplina del lavoro pubblico a quello privato. Le innovazione principali introdotte sono: - separazione fra politica e amministrazione, massimo rigore di imparzialità ed oggettività nelle assunzioni, applicazione del principio della mobilità, corsi di formazione professionale per dirigenti, maggiore autonomia alle amministrazioni nel valutare l'efficienza e la produttività dei singoli impiegati, - stipula di contratti collettivi, che conterranno principi validi per tutti i settori, - le competenze per le controversie del pubblico impiego passeranno dal giudice amministrativo (TAR) al giudice ordinario. Le ultime novità sono state apportate alla materia del pubblico impiego con la legge n. 59/97 ed il decreto legge n. 80/98. Le finalità di tali norme sono di garantire al massimo la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti pubblici e le pari opportunità fra lavoratori e lavoratrici, applicando le stesse condizioni del lavoro privato. Inoltre si è cercato di armonizzare gli orari di servizio e di apertura dei pubblici uffici con le esigenze dell'utenza e con gli orari delle amministrazioni pubbliche degli altri paesi della unione europea. Un punto importante è, tra l'altro, quello che consente alle pubbliche amministrazioni di creare appositi uffici per conciliare le controversie, prima di accedere alle vie giudiziali. LEGGE 20 MAGGIO 1970 n. 300 “Statuto dei Lavoratori” norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento Questa legge risulta molto importante per tutti i lavoratori in relazione alla loro libertà, dignità e tutela, nonché in merito all’attività sindacale sul posto di lavoro. La libertà di opinione sul posto di lavoro è garantita quanto al pari dell’aderenza sindacale ed al diritto di sciopero. Gli impianti audiovisivi di controllo possono essere impiegati solo in casi eccezionali e con il consenso dei delegati sindacali, oppure del competente ispettorato del lavoro. Le visite di controllo, in caso di malattia ed infortunio di lavoro, non possono essere effettuate dal datore di lavoro ed a questo scopo sono autorizzati solamente i medici competenti dell’unità sanitaria. Le sanzioni disciplinari devono essere - 38 - comunicate ai lavoratori, che possono ricorrere all’assistenza del sindacato. Ai datori di lavoro è fatto divieto d’indagare sulle opinioni politiche, religiose e sindacali dei lavoratori. I lavoratori hanno facoltà di studiare ed aggiornarsi, e tale diritto è stato ampliato dalla legge numero 53 del 2000. Con un numero minimo di 16 lavoratori, all’interno di un’impresa può essere nominata la rappresentanza sindacale. Si possono utilizzare sino a 10 ore l’anno, per assemblee sindacali. Nel caso il datore di lavoro svolgesse attività antisindacale, il giudice del tribunale del lavoro, su segnalazione del sindacato, può ordinare l’immediata sospensione delle predette attività. Elenchiamo i passi più significativi: articolo 1 (libertà di opinione) i lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei princìpi della Costituzione e delle norme della presente legge. .…omissis…. articolo 5 (accertamenti sanitari) sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente. Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo, quando il datore di lavoro lo richieda. Il datore di lavoro ha la facoltà di far controllare l’idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico. ….omissis…. articolo 8 (divieto di indagini sulle opinioni) è fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore. articolo 9 (tutela della salute e dell’integrità fisica) i lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica. articolo 10 (lavoratori studenti) - 39 - i lavoratori studenti, iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute, o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali, hanno diritto a turni di lavoro, che agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami e non sono obbligati a prestazioni di lavoro straordinario durante i riposi settimanali. I lavoratori studenti, compresi quelli universitari, che devono sostenere prove di esame, hanno diritto a fruire di Le disposizioni, di cui al comma precedente, si applicano altresì ai patti o atti diretti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso. ….omissis.… articolo 17 (sindacati di comodo) è fatto divieto ai datori di lavoro ed alle associazioni di datori di lavoro di costituire o sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori. articolo 18 che il Governo intenderebbe modificare; nonostante il dissenso delle organizzazioni sindacali dei lavoratori (secondo quanto stabilito dalla legge 604/66, il licenziamento nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato può avvenire per giusta causa o giustificato motivo. Nelle aziende con oltre 15 dipendenti, a fronte di licenziamento dichiarato illegittimo, il discusso articolo 18 dello statuto dei lavoratori prevede l’obbligo di reintegro) ferma restando l’esperibilità delle procedure previste dall’art. 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice, con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento, ai sensi dell’art. 2 della predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo, nel quale ha avuto luogo il licenziamento, occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell’ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, ed in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro. Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro, di cui al primo comma, si tiene conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all’orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta ed in linea collaterale. Il computo dei limiti occupazionali, di cui al secondo comma, non incide su norme o istituti, che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie. Il giudice, con la sentenza di cui al primo comma, condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore, per il licenziamento di cui sia stata accertata l’inefficacia o l’invalidità, stabilendo un’indennità commisurata - 41 - alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione ed al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali, dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto. Fermo restando il diritto al risarcimento del danno, così come previsto dal quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore, entro trenta giorni dal ricevimento dell’invito del datore di lavoro, non abbia ripreso servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell’indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti. La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva. Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori, di cui all’art.22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisce mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti od insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. L’ordinanza, di cui al comma precedente, può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l’ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell’art.178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile. L’ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa. Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori, di cui all’art.22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza, di cui al primo comma ovvero all’ordinanza di cui al quarto comma, non impugnata o confermata dal giudice che l’ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all’importo della retribuzione dovuta al lavoratore. ….omissis… articolo 20 (assemblea) i lavoratori hanno diritto di riunirsi, nella unità produttiva in cui prestano la loro opera, fuori dell’orario di lavoro, , nonché durante l’orario di lavoro, nei limiti di dieci ore annue, per le quali verrà corrisposta la normale retribuzione. Migliori condizioni possono essere stabilite dalla contrattazione collettiva. Le riunioni, che possono riguardare la generalità dei lavoratori o gruppi di essi, sono indette, singolarmente o congiuntamente, dalle rappresentanze sindacali aziendali nell’unità produttiva, con ordine del giorno su materie di interesse sindacale e del lavoro, e secondo l’ordine di precedenza delle convocazioni, comunicate al datore di lavoro. Alle riunioni possono partecipare, previo preavviso al datore di lavoro, dirigenti esterni del sindacato che ha costituito la rappresentanza sindacale aziendale. - 42 - Ulteriori modalità, per l’esercizio del diritto di assemblea, possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro, anche aziendali. ….omissis… articolo 25 (diritto di affissione) le rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto di affiggere, su appositi spazi, che il datore di lavoro ha l’obbligo di predisporre in luoghi accessibili a tutti i lavoratori all’interno dell’unità produttiva, pubblicazioni, testi e comunicati inerenti a materie sindacale e del lavoro. ….omissis…. articolo 37 (applicazione ai dipendenti da enti pubblici) le disposizioni della presente legge si applicano anche ai rapporti di lavoro e di impiego dei dipendenti da enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica. Le disposizioni della presente legge si applicano altresì ai rapporti di impiego dei dipendenti dagli enti pubblici, salvo che la materia sia diversamente regolata da norme speciali. ….omissis…. Nota: la lavoratrice o il lavoratore, che si vede inflitta una multa o sospensione dal lavoro, potrà richiedere, attraverso le organizzazioni sindacali, la convocazione di un collegio di conciliazione ed arbitrato (procedura gratuita) presso gli uffici provinciali del lavoro, entro 20 giorni dalla comunicazione del provvedimento disciplinare. Il collegio di arbitrato si compone di un rappresentante delle organizzazioni sindacali, dei datori di lavoro ed un terzo membro nominato congiuntamente. In assenza d’accordo fra le parti, l’ufficio provinciale del lavoro nomina un rappresentante come membro in più. La sanzione rimane sospesa fino alla pronuncia del collegio arbitrale. Il procedimento disciplinare è da ritenersi nullo, se il datore di lavoro non comunica, entro 10 giorni dall’invito dell’ufficio del lavoro competente, il nome del proprio rappresentante. Decorsi due anni dalla sua applicazione, la sanzione disciplinare verrà a decadere e non potrà essere ulteriormente impiegata dal datore di lavoro in maniera persecutoria, nei confronti del lavoratore o lavoratrice. Al datore di lavoro non è in nessun caso consentito applicare un provvedimento disciplinare, senza che questo sia comunicato preventivamente al lavoratore o lavoratrice e senza averne sentito le argomentazioni difensive. In caso di contestazione inviata per iscritto al lavoratore o lavoratrice, lo stesso potrà farsi assistere da un’organizzazione sindacale e rispondere con lettera raccomandata a/r entro cinque giorni dal ricevimento della stessa. Le sanzioni disciplinari adottate non possono comunque essere tali da mutare radicalmente il rapporto di lavoro in essere. Il pronto soccorso entra in azienda arrivano pacchetto di medicazione e servizi di primo intervento decreto 15/7/2003 n. 388, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 27 del 3/2/2004 - 43 - A distanza di quasi dieci anni dal decreto legislativo 626/94 che ha disciplinato la sicurezza sul lavoro, esce uno dei più attesi regolamenti di attuazione con il quale si fissano le caratteristiche minime delle attrezzature di pronto soccorso aziendale ed i requisiti del personale addetto. Il provvedimento distingue i sistemi di prima cura, a seconda del livello di rischio presente in azienda: Nel gruppo “A” sono comprese le imprese a rischio di incidente rilevante, quelle con indice infortunistico di inabilità permanente superiore a quattro e le aziende agricole con oltre cinque dipendenti a tempo indeterminato. In questi casi, il datore di lavoro dovrà darne comunicazione alla ASL competente, per la predisposizione di eventuali interventi di emergenza. Dovrà inoltre essere predisposta la cassetta del pronto soccorso, contenente una dotazione minima prestabilita, da integrare sulla base dei rischi specifici presenti sul luogo di lavoro. Deve inoltre essere previsto un mezzo di comunicazione idoneo ad attivare rapidamente il sistema di emergenza del servizio sanitario nazionale. Nel gruppo “B” rientrano invece tutte le restanti imprese od unità produttive con più di cinque dipendenti. Anche qui dovrà essere prevista la cassetta del pronto soccorso contenente la dotazione minima prestabilita, da integrare sulla base dei rischi specifici presenti sul luogo di lavoro. Nel gruppo “C” Vi rientrano le aziende più piccole. In questi casi, la cassetta del pronto soccorso lascia il posto al pacchetto di medicazione. A gestire il sistema di pronto soccorso saranno lavoratori appositamente designati dall’imprenditore, formati con istruzione teorica e pratica, per l’attuazione delle misure di primo intervento e per l’attivazione degli interventi di emergenza. La formazione dovrà essere svolta da personale medico, in collaborazione con il sistema di emergenza del servizio sanitario nazionale, mentre per la parte pratica il medico potrà fare ricorso anche alla collaborazione di personale infermieristico. La durata del periodo di formazione varia a seconda delle dimensioni delle aziende. Per quelle più grandi e più pericolose, dovrà essere previsto un minimo di 16 ore, articolate in tre moduli, che scendono a 12 per le aziende dei gruppi “B” e “C”. Identici invece i contenuti. Il lavoratore dovrà essere messo in grado di allertare il sistema di soccorso, riconoscere l’emergenza sanitaria attraverso l’accertamento delle condizioni psico fisiche dell’infortunato ed attuare gli interventi di primo soccorso, dal posizionamento del lavoratore alla respirazione artificiale ed al massaggio cardiaco. Quattro ore di lezione dovranno essere dedicate allo studio dei traumi e delle patologie specifiche in ambiente di lavoro; mentre la terza giornata del corso sarà utilizzata per acquisire capacità di intervento pratico, dalla comunicazione con il sistema di emergenza del servizio - 44 - sanitario, alle tecniche di rianimazione cardiopolmonare e di primo soccorso in caso di esposizione ad agenti chimici. MOBBING – BOSSING – BULLYNG – STALKING sono termini inglesi, ma qual è il loro reale significato? strategie aziendali che tendono ad allontanare il lavoratore, rendergli la vita difficile, eliminare le persone scomode. Mobbing La parola “mobbing” (assalire con violenza) indica la pressione ed il terrorismo psicologico esercitati contro un lavoratore, al fine di isolarlo ed indurlo alle dimissioni. Trattasi dunque di persecuzione, protratta nel tempo, nel luogo di lavoro. Può essere esercitata ad opera di un superiore, di colleghi di lavoro singoli od in gruppo. Si presenta come emarginazione, diffusione di maldicenze, sistematiche critiche all’esecuzione del lavoro svolto, assegnazione di compiti dequalificanti, compromissione dell’immagine sociale nel confronto di superiori e clienti. La persona soggetta al mobbing può presentare disturbi vari, che nel tempo possono assumere forme di preoccupante gravità. Pare che il mobbing sia un fenomeno in crescita ed affrontarlo non è certamente una impresa facile. I motivi di innesco del mobbing possono essere tanti: dalle motivazioni più banali, al desiderio di prevaricare gli altri per fare carriera o accumulare denaro o, peggio ancora, per crudele divertimento. La vittima, quindi, accumula sempre più rabbia, frustrazione ed ansia. Se il tutto viene poi a conoscenza dell’amministrazione del personale, le eventuali soluzioni adottate non potranno fare altro che aggravare ulteriormente la situazione, nello stato d’animo già provato del perseguitato. Le conseguenze del mobbing sono gravi, sia per chi le subisce e sia per l’azienda e la sua organizzazione. Nel primo caso si crea uno stato di grave sofferenza, perché, inevitabilmente, chi ne è vittima viene fatto passare per responsabile di qualsiasi cosa non funzioni, con inevitabile riduzione, così, delle prestazioni lavorative. Nel secondo caso, turnazione di personale ed atmosfera pesante generano ricadute negative, quali ad esempio l’assenteismo. Ai certificati di malattia si possono, inoltre, aggiungere lo scarso rendimento, un “turn over” senza apparenti ragioni, ed ancora facili dimissioni volontarie. Vi sono poi gli inevitabili costi aziendali e sociali. Per prevenire o curare il mobbing, occorre investire sulle capacità di gestire i litigi ed i conflitti, attivando quindi negli ambienti di lavoro un’adeguata formazione, mirata alla capacità di instaurare rapporti rispettosi, trasparenti e civili. Tipi di “mobbing”: - mobbing orizzontale, se è messo in atto dai colleghi, - 45 - - mobbing individuale, quando il colpito è un singolo lavoratore, mobbing collettivo, se si esercita su gruppi di lavoratori, mobbing dal basso, se viene messa in discussione l’autorità del superiore, mobbing sessuale, che può avvenire anche senza necessariamente un contatto fisico, ma con insinuazioni o sgradevoli battute Il mobbing nasce, quindi, dal lavoro e la patologia prodotta è in relazione appunto con il lavoro. Perciò molti lavoratori chiedono la rendita all’INAIL, per il mobbing come malattia professionale. Il mobbing, però, pur apparendo sempre minaccioso ed insopportabile a chi lo subisce, quando deve essere tradotto in oggetto di assicurazione sociale perde i suoi contorni e si confonde con molti stress e non manifesta malattie caratteristiche e riconoscibili. Diventa un fenomeno non chiaramente inquadrabile fra le malattie professionali e crea ulteriore sofferenza al lavoratore che ne è colpito. La circolare INAIL n. 71/ 2003 con tale circolare l’INAIL dà via libera al risarcimento danni da mobbing sul lavoro e rientrano quindi nel rischio tutelato tutte le situazioni di costrittività organizzativa (come è scritto nella sentenza n. 179/88 della Corte Costituzionale e nel decreto legislativo 38/2000), e quindi, sempre secondo l’INAIL, scatta il danno biologico in questi casi: - marginalizzazione dall’attività lavorativa, svuotamento delle mansioni, mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata, mancata assegnazione degli strumenti di lavoro, ripetuti trasferimenti ingiustificati, prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto, prolungata attribuzione di compiti esorbitanti od eccessivi anche in relazione ad eventuali condizioni di handicap psico-fisici, impedimento sistematico e strutturale all’accesso a notizie, inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti all’ordinaria attività di lavoro, esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione ed aggiornamento professionale, esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo. L’INAIL spiega – con la citata circolare – che, ai fini della prova, ricade sul lavoratore l’obbligo di produrre la documentazione idonea a supportare la sua richiesta, sia in relazione al rischio, sia per quanto concerne la malattia. Inoltre l’Istituto, sempre secondo la circolare, ha il potere-dovere di verificare l’esistenza dei presupposti. A tal fine, l’INAIL procederà con indagini ispettive per raccogliere le prove testimoniali dei colleghi di lavoro, del datore di lavoro, del responsabile dei servizi di prevenzione e protezione delle aziende e di ogni - 46 - persona informata sui fatti, allo scopo di acquisire riscontri oggettivi a quanto dichiarato dall’assicurato ed integrare gli elementi probatori dallo stesso prodotti. Ai fini di una uniforme trattazione medico-legale, inoltre, l’INAIL suggerisce un particolare e dettagliato iter diagnostico. Il mobbing, dunque, per diventare malattia professionale, deve attraversare il difficile momento della prova da parte del lavoratore. Il lavoratore dovrà in genere dimostrare, come prova: - l’esistenza del fattore nocivo lavorativo riconoscibile come mobbing, - l’esistenza di una patologia certa e che abbia prodotto un danno biologico indennizzabile (la giurisprudenza recente ha individuato anche la possibilità di danni alla professionalità, danni alla personalità, danno morale, danno esistenziale e danno patrimoniale), - il nesso di causalità tra mobbing e patologia. L’esistenza del fattore nocivo lavorativo, riconoscibile come mobbing, è veramente particolare e per i seguenti motivi: - non si ha a che fare con una lavorazione già riconosciuta come pericolosa; ogni luogo di lavoro ed ogni tipo di lavoro può generare mobbing, - il fattore nocivo mobbing non ha caratteristiche fisico chimiche e quindi non è identificabile e misurabile con i normali mezzi di indagine, - il fattore nocivo mobbing solo talvolta si manifesta per fatti constatabili e documentabili, - il fattore nocivo mobbing agisce selettivamente nei confronti di un singolo lavoratore ed è causato dal datore di lavoro o da uno o più colleghi di lavoro, - il fattore nocivo mobbing ha un connotato di volontarietà nociva e di dolo non episodico, ma continuato nel tempo. Si parla di un’accanimento, che deve durare almeno sei mesi. Il tutto, naturalmente, da provare. Ancora, a proposito di “mobbimg”, è il caso di ricordare il parere del giudice Guariniello, secondo cui il ”mobbing” può causare malattie professionali e quindi può costituire reato e cioè il delitto di lesione personale colposa, che è previsto e punito dall’articolo 590 del codice penale. Anche la magistratura si è spesso occupata del “mobbing”; ricordiamo le più importanti sentenze: - sentenza 16/11/99 del tribunale di Torino, che ha sanzionato la responsabilità del datore di lavoro, ai sensi dell’articolo 2087 del codice civile, per accertate azioni di “mobbing” all’interno dell’azienda, essendo questi tenuto a garantire l’integrità fisica e psichica dei propri dipendenti e, quindi, ad impedire e scoraggiare eventuali contegni aggressivi e vessatori da parte di preposti e responsabili, nei confronti dei rispettivi sottoposti, - sentenza della corte di cassazione, sezione lavoro, nr. 14760 del 15/11/2000, nonché nr. 831 del 20/1/2001 e cassazione penale sesta sezione nr. 10090 del - 47 - 12/3/2001, che prevede particolarità di reato di “mobbing” e la punibilità dei colpevoli con la reclusione. - articolo 2103 del codice civile, con combinato disposto art. 1460 codice civile, in uno con sentenza della corte suprema di cassazione sezione lavoro dell’8/2/99 nr. 1074 sui trasferimenti senza comprovate ragioni. Bossing strategia aziendale, per cui per accampati motivi di riorganizzazione interna, ringiovanimento delle energie, si procede alla riduzione di personale e conseguente eliminazione di lavoratori scomodi. Bullyng trattasi di comportamenti vessatori, messi in atto da un singolo capo / superiore. Stalking violenza morale che si esprime nel controllo costante del lavoratore, mirando alla riduzione dei tempi morti Nota i lavoratori giudicati incapaci non possono essere automaticamente licenziati. Il loro comportamento non equivale per forza ad un illecito disciplinare, né ad un’inosservanza contrattuale. Conta insomma anche la buona volontà e non solo il risultato che il capo si aspetta dall’impiegato. E’ quanto ha stabilito la corte di cassazione, nella sentenza n. 14604/2000, rigettando il ricorso di un’azienda. Al centro della questione decisa dai giudici è la vicenda di un dipendente accusato dall’azienda di aver perso un cliente, per un’offerta commerciale fatta con tale approssimazione e negligenza da impedire al possibile compratore di prenderla anche solo in considerazione. Il dipendente, insomma, è obbligato ad un “fare” e non ad un risultato, spiega la suprema corte, che, aggiunge: l’inadeguatezza della prestazione può essere imputabile anche alla stessa organizzazione dell’impresa od a fattori non dipendenti dal lavoratore. Così, se si tratta di scarso rendimento di un lavoratore, il capo che voglia farlo valere, per licenziare il suo sottoposto, non può limitarsi a provare solo il mancato raggiungimento del risultato che si aspettava di ottenere. Deve anche dimostrare che l’incapacità contestata sia dovuta al mancato rispetto degli obblighi contrattuali. Non solo, nel valutare la situazione, bisogna tenere conto anche del grado di buona volontà (o diligenza) dell’impiegato, dei fattori sociali ed ambientali e dell’incidenza dell’organizzazione di tutta l’impresa sul lavoro svolto dal dipendente accusato. Le principali legislazioni a confronto su: licenziamenti, contratti a termine, lavoro temporaneo, part time: - 48 - Germania - licenziamento - dal giorno del licenziamento, il lavoratore ha tre settimane di tempo per adire il tribunale del lavoro. In caso di pronuncia favorevole al lavoratore, il licenziamento è dichiarato nullo. Il datore di lavoro può ottenere che il licenziamento, pur in assenza di giusta causa, sia dichiarato valido se dimostra l’impossibilità di mantenere in organico il dipendente; - contratto a termine – normalmente i contratti di lavoro sono conclusi per una durata indeterminata, ma è tuttavia possibile assumere una persona a tempo determinato in alcuni casi previsti dalla legge; - lavoro temporaneo – si può trovare un lavoro temporaneo rivolgendosi alle agenzie presenti sul territorio, che possono operare previa autorizzazione amministrativa. Il contratto ha la durata massima di dodici mesi; - part time – la legge sul lavoro a tempo parziale ha, tra i suoi scopi, proprio quello di promuoverlo e di garantire che chi lavora con questa formula non sia discriminato. Ogni persona ha il diritto di chiedere di poter lavorare a tempo parziale ed il datore di lavoro può rifiutarlo solo nel caso in cui la concessione del “part time” porti danno al regolare svolgersi del lavoro od alla sicurezza dell’azienda. Esiste una forma speciale di “part time”, destinata a favorire il passaggio progressivo della vita lavorativa alla pensione, per lavoratori di almeno 55 anni di età. Francia - licenziamento – deve avvenire per seri e gravi motivi di carattere economico o personale, quali ad esempio l’assenteismo od errori o mancato rispetto degli obblighi contrattuali. Se i motivi sono economici, la procedura è più complessa, a tutela dei lavoratori, ove il licenziamento coinvolga più di dieci lavoratori. Qualora vi sia una contestazione ed il giudice dia ragione la lavoratore licenziato, il datore di lavoro non può venire obbligato al reintegro, ma dovrà versare un’indennità; - contratto a termine – così come il contratto di lavoro interinale, anche quello a durata determinata è considerato un contratto precario. I casi in cui si può ricorrere a questa forma di assunzione sono gli stessi validi per il lavoro interinale e la sua durata non può eccedere, normalmente, i 18 mesi. A fine contratto si versa un’indennità pari al 10% della retribuzione; - lavoro temporaneo – le imprese possono ricorrere a questi lavoratori solo per casi determinanti, quali la sostituzione, il contratto stagionale, surplus di lavoro e, salvo alcuni casi particolari, per non oltre i 18 mesi. Una legge del 18/1/2002 scoraggia comunque lo sviluppo di contratti precari; - part time – dopo l’entrata in vigore della legge sulle 35 ore, si considerano a tempo parziale quei contratti con durata settimanale inferiore appunto a 35 ore. Il contratto, sempre scritto, deve indicare il volume di ore lavorate e la loro ripartizione. Esiste un principio di uguaglianza di trattamento tra lavoratori “part time” e lavoratori “full time”, proporzionale, ed un obbligo di priorità nell’accesso ad un lavoro a tempo pieno in azienda. - 49 - Inghilterra (detta anche: Regno Unito o Gran Bretagna) - licenziamento – può avvenire per valide ragioni oggettive o soggettive. In caso di contestazione, il giudice potrebbe pronunciare anche l’obbligo di reintegro, ma il datore di lavoro potrebbe rifiutarsi pagando un’indennità; - contratto a termine – è un contratto ammesso ed utilizzato; - lavoro temporaneo – anche questo contratto è ampiamente utilizzato e la normativa è la stessa che regola il contratto a termine; - part time – una legge del 2000 assicura che i cittadini britannici, che lavorano “part time”, non subiscano discriminazioni rispetto agli altri lavoratori. Olanda (detta anche: Paesi Bassi) - licenziamento – il lavoratore può chiedere un risarcimento danni, invocando il licenziamento ingiustificato; - contratto a termine – la legge lo consente e si conclude senza bisogno di formalità particolari, allo spirare del termine stabilito dalle parti. E’ data la possibilità di concludere fino a tre contratti a termine con la stessa persona, per un periodo non superiore a tre anni; - lavoro temporaneo – attualmente non vi è un limite temporale di durata del contratto tra il lavoratore temporaneo e l’azienda, mentre in precedenza la durata massima era di un anno. Anche i settori in cui si può utilizzare questa forma di reclutamento non hanno limitazioni; - part time – la legge olandese stabilisce il diritto per i lavoratori di aumentare o diminuire le loro ore lavorative. Queste disposizioni si inquadrano in un più ampio scenario, in cui si cerca di conciliare il lavoro con la vita familiare e l’ammontare delle ore è stabilito liberamente dalle parti; Spagna - licenziamento – sono tre i tipi di licenziamento possibili: (1) il licenziamento collettivo, per il quale l’autorità competente stabilirà un’indennità a favore dei lavoratori; (2) il licenziamento per cause oggettive (ad esempio l’inefficienza del lavoratore) con un’indennità pari a 20 giorni di retribuzione per ogni anno di anzianità; (3) il licenziamento disciplinare. - In tutti e tre questi casi, il lavoratore può dimostrare l’immotivato licenziamento, che porta alla reintegrazione o ad un risarcimento, se vi è rifiuto del datore; - contratto a termine – la possibilità di ricorrere a tale tipo di contratto è regolata dal decreto reale 1/1995 ed i casi sono predeterminati dalla legge; - lavoro temporaneo – il lavoratore può essere assunto dal fornitore con contratti a durata determinata od indeterminata, mentre le missioni possono durare da un minimo di tre mesi ad un massimo di sei mesi, salvo alcune eccezioni (ad esempio la sostituzione di un lavoratore assente). La legge è del 1994, ma solo dal 1999 i lavoratori temporanei godono dello stesso trattamento retributivo spettante al livello di appartenenza; - part time – viene regolato da una legge del 1995, modificata nel 2001. Si tratta di un contratto che consente di lavorare per un numero di ore settimanali, mensili od annuali, inferiore alla durata ordinaria dell’orario di - 50 - lavoro, che è pari a 40 ore settimanali. Il lavoratore a tempo parziale non può effettuare straordinari, ma tuttavia è possibile lavorare ore supplementari, fino al raggiungimento delle 40 ore settimanali, cosa che dà diritto solo a retribuzione aggiuntiva in misura ordinaria. In ITALIA riassumendo quanto in precedenza già trattato licenziamento secondo quanto stabilito dalla legge 604/66, il licenziamento nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato può avvenire per giusta causa o giustificato motivo. Nelle aziende con oltre 15 dipendenti, a fronte di licenziamento dichiarato illegittimo, il discusso articolo 18 dello statuto dei lavoratori prevede l’obbligo di reintegro; contratto a termine la riforma del contratto a termine è stata approvata nel 2001. Si richiede che il contratto sia motivato da ragioni tecniche, produttive, organizzative, sostitutive. Se abbia durata iniziale inferiore a tre anni, può essere prorogato per una volta; lavoro temporaneo introdotto dopo alterne vicende dal cosiddetto pacchetto “Treu” del 1997, il lavoro interinale ha avuto un avvio non molto brillante, a causa di alcune rigidità delle norme, poi superate, arrivando ad oltre 650.000 lavoratori occupati nel 2001 ed una buona percentuale, 36%, di lavoratori assunti a fine missione; part time la riforma del contratto “part time” è del 2000. Una delle novità riguarda il lavoro supplementare precedentemente vietato e da settembre 2001 consentito e disciplinato. La materia è in continua evoluzione. Percorsi lavorativi Piani d’inserimento professionali (PIP) consente di fare un periodo di formazione lavoro di 6 mesi in azienda (960) ore per i giovani dai 19 ai 32 anni. E’ prevista un’indennità per i partecipanti. I piani vengono elaborati da Associazioni d’imprese, Ordini o Collegi professionali. Al termine del periodo d’impiego, i giovani possono essere inseriti in azienda anche con un contratto di formazione lavoro. Fare impresa sono tanti gli strumenti che aiutano i giovani a mettersi in proprio ed a creare imprese e tra questi: la legge 95/95 (ex 44), la legge 236/93 (art.1 bis) e la legge - 51 - 608/96 “prestito d’onore”, che prevedono finanziamenti a fondo perduto ed a tassi agevolati per i giovani di età compresa tra i 18 ed i 35 anni, che hanno una idea o un progetto di impresa. E’ possibile usufruire non solo di agevolazioni finanziarie, ma anche di servizi di accompagnamento alla progettazione e di tutoraggio. Sull’argomento vedansi pure le leggi 215/92 e la 125/91, che favoriscono la creazione di impresa e lo sviluppo di imprenditorialità. Europass – formazione trattasi di strumento comunitario, entrato in vigore il primo gennaio 2000, nei quindici Stati dell’Unione Europea e nei tre Paesi dello Spazio economico europeo (Norvegia, Islanda, Liechtenstein). Attesta la realizzazione di percorsi formativi o di lavoro effettuati in un Paese diverso dal proprio, nell’ambito di un percorso di formazione in alternativa o di apprendistato. Incoraggia la mobilità, l’integrazione culturale e sociale, promuove il concetto di cittadinanza europea. Lavoro all’estero uno degli obiettivi dell’Unione Europea è la libera circolazione dei lavoratori dei Paesi membri. Per questo sono nate due reti: “Eures”, che costituisce una sorta di agenzia di collocamento europea ed i “Centri Risorse”, che hanno il compito di fornire informazioni sulle opportunità formative all’estero. Iniziative e programmi comunitari Fondo sociale europeo istituito per sviluppare le risorse umane ed aumentare e migliorare l’occupazione. Dei quattro fondi strutturali istituiti dalla Commissione Europea, per rafforzare la coesione economica e sociale degli Stati membri e ridurre il divario esistente tra le diverse regioni, il “Fondo Sociale Europeo” si pone come uno degli strumenti finanziari di sostegno alla strategia europea dell’occupazione. Se fino ad oggi il “Fondo Sociale Europeo” ha cofinanziato soprattutto azioni formative, nell’attuale programmazione interviene sia sullo sviluppo delle risorse umane e sia sulle politiche dell’occupazione. Le risorse del “Fondo” possono essere utilizzate dalle Regioni, dagli Enti locali, dagli Enti pubblici, da Enti di formazione, da Enti di ricerca, da Impresa, eccetera. I progetti prevedono l’avvio di corsi di formazione professionale destinati a diverse categorie di utenti: disoccupati, occupati, giovani, donne, fasce deboli. L’iniziativa comunitaria EQUAL è parte integrante della strategia europea per l’occupazione: una strategia adottata dall’Unione europea al fine di creare migliori e più numerosi posti di - 52 - lavoro. Finanziata dal “Fondo Sociale Europeo”, l’iniziativa consentirà di sperimentare nuove forme di lotta contro le discriminazioni e le disuguaglianze di cui possono essere vittime sia le persone che lavorano e sia coloro che sono in cerca di lavoro. Il programma “Leonardo da Vinci” insieme al programma chiamato “Socrates” ed a quello denominato “Gioventù”, mira a contribuire alla costruzione di uno spazio europeo di cooperazione nel settore dell’educazione e della formazione. La decisione del Consiglio Europeo, entrata in vigore il primo gennaio 2000, stabilisce l’avvio della seconda fase di “Leonardo” per il 2000 – 2006.Il programma sostiene e completa le politiche degli Stati membri, tramite la realizzazione di progetti transnazionali, basati sulla cooperazione tra organismi di formazione, scuole professionali, università, imprese, camere di commercio, eccetera, volti a promuovere la mobilità di persone in formazione iniziale, di formatori o tutor; a preparare i cittadini ad inserirsi nel modo migliore nel mercato del lavoro e ad aiutare le imprese ad avere una manodopera più qualificata. Le invenzioni e le opere d’ingegno del lavoratore l’attività lavorativa può essere finalizzata alla ricerca di nuove soluzioni tecniche o avere scopi di ricerca scientifica o applicata; si pone, pertanto il problema dell’appartenenza o meno al datore di lavoro delle invenzioni e delle opere di ingegno fatte dal lavoratore nel corso del rapporto. Per quanto riguarda le invenzioni, l’articolo 2590, 1° comma, del codice civile, stabilisce espressamente che “il prestatore di lavoro ha diritto di essere riconosciuto autore dell’invenzione fatta nello svolgimento del rapporto di lavoro” (il così detto diritto morale di invenzione). In ordine alle conseguenze patrimoniali, invece, occorre distinguere: - invenzioni ij/3zzazioo di lavoro o di servizio, cioè m3 quelle fatte dal lavoratore nell’applicazione di una attività, prevista come oggetto del rapporto ed a tale scopo retribuita (esempio i ricercatori scientifici), che appartengono in ogni caso al datore di lavoro, mentre il lavoratore ha solo il diritto ad esserne riconosciuto autore (regio decreto 29/6/1939, art, 23, n. 1127). Solo per le utilizzazio le 1127/1939, art.23, 2°comma e sentenze della Corte di Cassazione 5/12/72 n.3509, e 5/10/84 n. 2517), - invenzioni occasionali, frutto del solo ingegno del lavoratore, che appartengono invece all’autore, salvo il diritto di prelazione, riconosciuto al datore di lavoro, di far sua l’invenzione, dietro adeguato compenso (vedasi sempre il citato decreto legge 1127/1939, articolo 24. In ogni caso, merita ricordare che il datore di lavoro acquista l’invenzione a titolo derivativo, mentre il lavoratore, autore dell’invenzione, la acquista a titolo originario. (sui concetti di acquisto della proprietà a titolo originario e derivativo, vedasi quanto esposto nel capitolo dedicato ai diritti reali. - 54 - MODULO 3: LINEAMENTI DEL SISTEMA PREVIDENZIALE E ASSISTENZIALE Art. 4 della Costituzione. - La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto. ... Art. 38 della Costituzione. - Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha il diritto al mantenimento ed all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione ed all’avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti previsti o integrati dallo Stato. Oltre al mantenimento dello stato di benessere psico-fisico attuando prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione delle malattie tramite l’estensione dell’assistenza sanitaria a tutti i cittadini, lo Stato si pone l’obbligo di garantire un adeguato benessere socio-economico mediante interventi erogati per sostituire, integrare o ripristinare la capacità economica di ciascuno, attivando gli istituti di assistenza e previdenza sociale. 1) Assistenza sociale. Consiste in prestazioni di vario genere indirizzate al sostegno di ogni persona, lavoratore o no, che si trovi in uno stato di bisogno. Essa viene attuata direttamente dagli organi di pubblica amministrazione e attinge i propri mezzi dal finanziamento pubblico (imposte fiscali), in ciò differenziandosi da tutte le altre istituzioni private di assistenza e di beneficenza, con le quali condivide lo spirito di solidarietà umana e dalla previdenza sociale, alimentata in buona parte dai contributi dei lavoratori. Alcune prestazioni di assistenza sociale sono incompatibili con prestazioni di previdenza sociale, altre sono cumulabili con esse. Tipici interventi di assistenza sociale sono l’assegno, la pensione o l’indennità di accompagnamento per gli invalidi civili, i ciechi ed i sordomuti oppure la pensione sociale per gli ultrasessantacinquenni. 2) Previdenza sociale. Si tratta di uno strumento di politica sociale destinato a prevenire condizioni di bisogno di soggetti esposti ed economicamente indifesi in quanto totalmente dipendenti dal lavoro quotidiano; è riservato alle classi lavoratrici, le quali fruiscono di determinate prestazioni al fine di riparare le conseguenze dannose derivate da alcuni eventi previsti ed individuati dal legislatore. I rischi assicurati sono rappresentati dagli infortuni del lavoro e malattie professionali, dall’invalidità o inabilità al lavoro, dalla tubercolosi, dalla disoccupazione involontaria e dalla vecchiaia. è evidente che le assicurazioni sociali, essendo dirette alla copertura di determinati rischi e solo di questi, forniscono le prestazioni economiche e sanitarie quando il rischio si è realizzato, ossia quando il soggetto diventa malato, infortunato, invalido o disoccupato, perciò l’intervento ha il carattere riparatore di un danno in atto, ma è privo di una reale efficacia preventiva del danno stesso. Il finanziamento delle prestazioni previdenziali è basato su un fondo alimentato dai contributi assicurativi versati in parte dal soggetto assicurato ed in parte dal datore di lavoro (salario previdenziale o differito) eventualmente integrati dallo Stato. UD1: La previdenza e le assicurazioni sociali La previdenza sociale è realizzata mediante le assicurazioni sociali INAIL ed INPS, che non perseguono scopi di lucro; l’assicurazione ha un carattere collettivo sia per la definizione dei rischi e delle prestazioni che per l’iscrizione dei soggetti protetti. La garanzia della tutela dei rischi è data dalla obbligatorietà ed automaticità dell’assicurazione. L’assicurazione è infatti obbligatoria in quanto le disposizioni legislative impongono l’iscrizione del lavoratore per il fatto stesso dell’instaurarsi del rapporto di lavoro, per cui la mancata iscrizione del lavoratore dipendente da parte del datore di lavoro realizza un fatto antigiuridico sanzionabile. L’automaticità dell’assicurazione realizza un dispositivo che garantisce le prestazioni assicurative anche nel caso in cui i contributi non siano stati versati, lasciando all’Ente assicuratore l’onere di acquisire la contribuzione assicurativa, senza che per questo vengano lasciati i lavoratori senza prestazioni assistenziali. 3) Sicurezza sociale. Rappresenta una forma di superamento dei regimi di previdenza ed assistenza sociale, caratterizzata da un intervento pubblico esteso indistintamente a tutti i cittadini in quanto tali, diretta alla tutela di tutte le fondamentali condizioni di bisogno e non soltanto alla copertura di determinati rischi, finanziata coi fondi prelevati dal reddito nazionale mediante forme speciali di imposte e tasse. Rappresenta quindi un’istituzione di giustizia sociale fra le classi operando una ridistribuzione del reddito nazionale destinato ad obiettivi specifici, fra quelli che più interessano la società (eventi tutelati). Caratteri della sicurezza sociale sono la globalità, l’uniformità e l’equità dei suoi interventi, la estesa fiscalizzazione dei mezzi di finanziamento e la giustificazione politica individuata nell’interesse della collettività a realizzare il benessere sociale. La realizzazione di una funzione assistenziale totalitaria dello Stato richiede livelli di spesa ingenti e presuppone un grado di perfezione organizzativa in tutti i settori difficilmente raggiungibile, né tutti sono d’accordo nell’assegnare alla sicurezza sociale compiti così vasti, per cui ben difficilmente potrà ambire a diventare un pubblico servizio aperto a tutti i cittadini, destinato a soppiantare e le forme di previdenza e di assistenza attualmente operanti e previste dall’art. 38 della Costituzione. UD2: Il lavoro delle donne e dei minori Fin dagli inizi della legislazione sociale, l’intervento protettivo nei confronti di soggetti deboli (donne e minori) è stato rivolto ad escluderne o limitarne l’occupazione per mezzo di numerosi divieti, relativi all’esecuzione della prestazione. L’art. 37 C. prevede che: “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”. L’art. da un lato ha riaffermato gli obiettivi protettivi tradizionali della tutela differenziata del lavoro femminile e minorile e, dall’altro lato, ha introdotto il principio della tutela paritaria, cioè mirata a garantire ai minori e alle donne la parità di trattamento, rispetto ai lavoratori adulti. La tutela paritaria della donna è stata rafforzata dalla legge n. 907/’77, grazie alla spinta dei movimenti femministi. La legge sulla parità di trattamento tra uomini e donne, in materia di lavoro, vieta ogni discriminazione per quanto riguardo l’accesso al lavoro e l’attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e della progressione in carriera; ribadisce la parità salariale, a parità di lavoro; stabilisce che, ai fini della carriera o dell’attività di servizio, le assenze obbligatorie per maternità siano considerate come attività lavorativa; sancisce il divieto di lavoro notturno, salvo eccezioni previste dai contratti collettivi; prevede la facoltà di prestare l’attività lavorativa fino all’età consentita agli uomini (65 anni). Per quanto riguarda la tutela differenziata della donna, è prevista una speciale normativa per le lavoratrici madri, nella legge n. 1204/’71, rivolta ad assicurare loro tutela fisica ed economica. Oltre al trattamento retributivo speciale, sono riconosciuti diritti a: non occuparsi di lavori pericolosi, pesanti o insalubri; a permessi per l’allattamento e il diritto a non essere licenziate per il periodo di astensione obbligatoria, periodi di congedo per motivi di famiglia o figlio portatore di handicap, ecc. La tutela del lavoro minorile ha lo scopo di “limitare l’età” minima di ammissione al lavoro e di “proibire l’occupazione dei giovani” di età inferiore ai 18 anni, in condizioni d’impiego particolarmente gravose o inadatte per faticosità, pericolosità o insalubrità. L’importanza della tutela del lavoro minorile fu esaltata da una direttiva n. 94/’33 che impone il divieto di lavorare ai minori di 15 anni (con eccezioni per alcune attività). Tale direttiva, in Italia, è stata attuata nel ’99 e prevede la distinzione tra i bambini e gli adolescenti, che possono accedere al lavoro col consenso dei genitori. Per i bambini l’orario di lavoro previsto è di 7 ore giornaliere e 35 settimanali mentre per gli adolescenti è di 8 giornaliere e 40 settimanali. Hanno diritto a riposi: giornalieri, settimanali e annuali (ferie) e l’inosservanza di tali limiti comporta la nullità del contratto. MODULO 4: LE FUNZIONI DELLO STATO UD 1: Funzione legislativa (Governo) L'espressione più alta dell'autonomia della Provincia è rappresentata dall'esercizio della funzione legislativa. Infatti la volontà politica, che può concretizzarsi in una molteplice serie di atti, trova certamente il più solenne momento di formalizzazione nel "fare le leggi provinciali", disposizioni generali disegnate sulla particolare realtà territoriale, sociale ed economica del Trentino. La fonte di tale potere è la Costituzione repubblicana, e per la Provincia di Trento lo Statuto. Il nostro sistema statutario ha previsto la possibilità di legiferare in una serie innumerevole di materie che si distinguono essenzialmente in tre gruppi a seconda dei principi e dei limiti che il legislatore deve rispettare. Il gruppo più consistente è anche il più libero, in quanto comprende settori che sono quasi del tutto sottratti alla disciplina dello Stato (potestà esclusiva); in una seconda serie di materie è invece possibile intervenire con legge purché si rispettino i principi fondamentali delle leggi nazionali (potestà concorrente); infine in alcune delimitate materie si può legiferare solo per integrare la disciplina delle leggi statali. Ma indipendentemente dal tipo di potere esercitato, le modalità di formazione delle leggi provinciali sono le stesse e sono articolate in un complesso procedimento, chiamato procedimento legislativo. Tale procedimento è obbligatorio ma non doveroso: significa che tutti i disegni di legge che al termine dell'iter divengono leggi hanno superato necessariamente l'intera procedura, ma che un disegno di legge può anche non oltrepassare alcuna delle fasi e dunque, al termine della legislatura, decadere. Iniziativa legislativa L'iniziativa legislativa si sostanzia nel potere di presentare al Consiglio provinciale disegni di legge, cioè particolari documenti redatti in articoli e preceduti da una relazione che ne illustra le finalità. I disegni di legge vengono sottoposti ad un complesso procedimento articolato in fasi: le due principali fasi si svolgono rispettivamente presso la commissione competente per materia, con carattere istruttorio, e in Assemblea, con valore decisionale. Al termine della procedura, solo se sono approvati dal Consiglio provinciale divengono leggi della Provincia. Il sistema statutario-regolamentare prevede il potere di iniziativa legislativa in capo a tre soggetti: il popolo, i consiglieri provinciali e la Giunta. Sul piano formale vi è parità fra i tre soggetti in quanto tutti risultano idonei, con la presentazione di una proposta, a dare l'avvio al procedimento di formazione di una legge. In realtà le statistiche (non solo del Consiglio provinciale ma di qualsiasi parlamento) dimostrano che sono le iniziative attivate dai governi a divenire con più facilità leggi, sia perché al momento dell'approvazione del provvedimento possono contare sulla maggioranza dell'Assemblea che li sostiene ma anche per il bagaglio di conoscenze tecniche che occorre possedere per predisporre un progetto di legge organico, bagaglio normalmente a disposizione degli uffici competenti delle strutture della Giunta. In materia di bilancio e di legge finanziaria addirittura è prevista un'iniziativa vincolata che compete esclusivamente alla Giunta. Il diritto di iniziativa riconosciuto a ciascun consigliere si esercita senza particolari formalità e può essere esercitato dal giuramento fino al momento della perdita della qualità di componente il Consiglio. Iniziativa legislativa popolare L'iniziativa legislativa popolare, prevista nella Costituzione italiana, è uno dei principali strumenti di democrazia e di partecipazione diretta dei cittadini alla gestione della cosa pubblica. Le regole che un qualsiasi cittadino iscritto nelle liste elettorali per le elezioni provinciali deve osservare per farsi promotore di un disegno di legge sono stabilite da una legge provinciale. La proposta di legge, che non può riguardare materia tributaria o di bilancio, deve essere redatta in articoli e preceduta da una relazione che ne illustri le finalità ma soprattutto deve essere accompagnata dalle sottoscrizioni di duemilacinquecento elettori. Se la proposta riguarda interessi delle minoranze linguistiche ladine, mochene o cimbre, le firme necessarie sono ridotte a cinquecento. Le sottoscrizioni si devono raccogliere nel termine di novanta giorni su appositi moduli forniti dal Consiglio provinciale ad almeno tre promotori che formalizzano preventivamente l'oggetto dell'iniziativa. Depositata la proposta legislativa, il Presidente del Consiglio, valutata la sua proponibilità in quanto rispettosa della Costituzione, dello Statuto e della legge, la assegna alla commissione competente per materia, ai cui lavori potrà partecipare il primo proponente al quale sono riservati i diritti di un consigliere provinciale proponente. Problematica è la questione del peso che tale iniziativa riveste nell'ambito delle complesse procedure consiliari. Si sono stabilite allora alcune norme di favore quali un termine per l'inizio dell'esame in commissione (quarantacinque giorni dall'assegnazione del provvedimento), un termine per l'inizio dell'esame in Consiglio (decorso il quale la proposta è soggetta a referendum propositivo senza necessità di raccolta delle sottoscrizioni) e, in deroga alla regola generale della decadenza per fine legislatura, si è sancita la sopravvivenza per due legislature consecutive dei disegni di legge di iniziativa popolare. Il procedimento legislativo in commissione I disegni di legge devono essere presentati alla segreteria del Consiglio e sono sottoposti ad un esame preliminare, non di merito, del Presidente del Consiglio, il quale assegna ogni disegno di legge alla commissione competente per materia. La fase che si svolge in commissione è importante per la sua natura istruttoria e talvolta parzialmente informale: la commissione ha infatti interesse ad acquisire il maggior numero di informazioni e di dati sulle tematiche che si intendono affrontare e risolvere con quel disegno di legge. Pertanto, generalmente dopo un'esposizione introduttiva del provvedimento a carico del proponente, la commissione organizza le cosiddette consultazioni, sedute nelle quali sente i potenziali interessati a quel disegno di legge, individuati dalla commissione stessa o che ne hanno fatto richiesta, comunque tutti rappresentanti di interessi generali. La commissione acquisisce inoltre documenti e informazioni e può chiedere alla Giunta provinciale ogni ulteriore dato in suo possesso. Talvolta la commissione organizza anche sopralluoghi, ossia visite sul territorio per approfondire ulteriormente i problemi sottoposti al suo esame. In questa fase la commissione può utilizzare lo strumento dell'abbinamento che consente l'esame contemporaneo di disegni di legge sulla stessa materia. La commissione analizza poi il testo del disegno di legge dapprima nelle sue linee generali e poi con riferimento agli articoli; ha il potere di unificare in un solo testo più provvedimenti aventi analoghe finalità, può proporre ed approvare emendamenti, che si sostanziano in modifiche e integrazioni agli articoli, e alla fine approva o respinge il disegno di legge con una votazione finale, la quale però non ha la funzione di bloccare la successiva fase in Consiglio (ecco dunque che tale fase si dice referente perché la commissione deve riferire all'Aula). I lavori della commissione si chiudono con la nomina di un relatore per l'Assemblea, un consigliere che a nome della maggioranza della commissione presenta al Consiglio una relazione scritta ove è sintetizzata la posizione assunta su quel provvedimento e alla quale è allegato il nuovo testo degli articoli. E' possibile per i consiglieri di minoranza presentare proprie relazioni. Il procedimento legislativo in Consiglio In Assemblea il procedimento è molto formalizzato: il succedersi delle fasi, dei tempi e le regole sono più rituali rispetto all'istruttoria che si svolge in commissione. I momenti fondamentali sono due: la discussione generale sul disegno di legge e la discussione degli articoli. La discussione generale si apre con l'intervento del proponente ma possono partecipare al dibattito tutti i consiglieri e la Giunta. Al termine, dopo le repliche che spettano all'Esecutivo, al relatore della commissione e al proponente, vengono esaminati gli ordini del giorno, documenti politici con i quali si impegna la Giunta su tematiche attinenti al disegno di legge in trattazione. Si passa poi all'esame e alle votazioni degli articoli e degli emendamenti. Gli emendamenti sono iniziative incidentali che ogni consigliere può presentare ad un disegno di legge e che tendono ad aggiungere, sostituire, modificare o sopprimere parti di quel provvedimento. Anche gli emendamenti sono a loro volta suscettibili di proposte di modificazione tramite i subemendamenti. In questa fase le procedure possono divenire particolarmente complesse in relazione al numero degli articoli e degli emendamenti in trattazione e compete allora al Presidente del Consiglio porre in votazione secondo un ordine logico tutti i documenti in base alle regole generali prestabilite. Al termine, dopo le dichiarazioni di voto, il Presidente sottopone il disegno di legge alla votazione finale che si tiene a scrutinio segreto. Il provvedimento legislativo viene allora definitivamente approvato o respinto. La votazione per articoli, che consente di esaminare le singole disposizioni, determina anche la possibilità che la volontà consiliare ne accetti taluni e ne respinga altri. La votazione finale permette allora che una legge sia, nel suo complesso, approvata o respinta dalla maggioranza del Consiglio. La promulgazione e pubblicazione delle leggi provinciali Dopo l'approvazione di un disegno di legge da parte dell'Assemblea il Presidente del Consiglio opera sul testo il coordinamento formale: un'operazione delicata e puntuale di revisione sintattica e stilistica, di correzione di imprecisioni e di errori materiali e di altri aggiustamenti riguardanti la sola forma delle disposizioni. Successivamente trasmette il testo al Presidente della Provincia al quale compete la promulgazione della legge: un momento formale ma di estrema importanza, un atto che si inserisce tra la conclusione della funzione legislativa e l'inizio di quella esecutiva. Con la promulgazione della legge da parte del Presidente della Provincia la stessa assume una data certa (quella del giorno nel quale il Presidente firma la legge) ed il numero progressivo della raccolta annuale delle leggi. La legge viene poi inviata al Bollettino ufficiale della Regione per la sua pubblicazione. Di regola entra in vigore, cioè diventa obbligatoria nel territorio provinciale, il quindicesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione. E' però possibile che il legislatore, di volta in volta, stabilisca per l'entrata in vigore un termine diverso, generalmente più breve. Il ricorso alla Corte costituzionale contro le leggi provinciali La riforma della Costituzione ha eliminato l'istituto del controllo preventivo sulle leggi, cioè il controllo che competeva al Governo nei trenta giorni successivi all'approvazione della deliberazione legislativa e prima della sua promulgazione. Il nuovo sistema costituzionale ha previsto che il controllo della legittimità delle leggi venga svolto successivamente alla loro entrata in vigore e in maniera paritaria: cioè lo Stato, le regioni e le province autonome hanno reciprocamente gli stessi poteri e seguono la medesima procedura per ricorrere contro le leggi altrui. Basandosi sulla pretesa che la legge non abbia rispettato le competenze della Provincia, o che abbia violato il principio di parità tra i gruppi linguistici, il Governo può dunque impugnare una legge provinciale davanti alla Corte costituzionale entro il termine perentorio di sessanta giorni decorrenti dalla pubblicazione nel Bollettino ufficiale. UD 2: Funzione amministrativa (Stato) La funzione amministrativa è l’attività concreta dello Stato rivolta a soddisfare bisogni collettivi in maniera diretta e immediata. Quando la legge o una sentenza riconoscono e proteggono ad esempio il diritto di proprietà, non per questo si può dire che soddisfano direttamente e immediatamente l'interesse del singolo a poter godere e disporre del proprio bene, ma forniscono solo le condizioni mediate affinché il soggetto stesso possa agire per conseguire le utilità pratiche idonee a soddisfare il proprio interesse. L'attribuzione di competenze L'«attribuzione» è un atto con cui un organo, costituito come centro di interessi, riceve la facoltà-obbligo di esercitare i propri poteri in relazione ad un complesso di materie. Di conseguenza, stabilire le competenze di un organo è un'operazione da farsi secondo un «criterio relazionale», cioè con riferimento al modo con cui gli organi si dirigono verso la realizzazione di una finalità pratica. UD 3: Funzione giudiziaria (Magistratura) Tale funzione consiste nel risolvere i contrasti che possono verificarsi all’interno della collettività; chiamato a risolvere tali contrasti è il giudice, il quale deve decidere chi ha ragione e chi ha torto applicando le norme giuridiche al caso concreto ( Jus dicere = dire il diritto). In base al tipo di contrasti si distinguono tre tipi di giurisdizione: - giurisdizione civile: si occupa di risolvere i contrasti tra soggetti privati. La parte che si rivolge al giudice si chiama attore, colui che viene citato si chiama convenuto. - giurisdizione penale: si occupa di accertare se pè stato commesso un reato cioè un comportamento vietato dalla legge in quanto dannoso per l’intera collettività. Le parti di questo giudizio sono: l’imputato cioè colui che è accusato di aver commesso il reato ed è assistito da un avvocato (difesa) e il pubblico ministero che, a nome della collettività, svolge il ruolo di accusa. - giurisdizione amministrativa:si occupa di risolvere i contrasti tra uno o più soggetti privati e la Pubblica Amministrazione (organi dello Stato o enti pubblici). I privati sentendosi danneggiati da un atto amministrativo che considerano illegittimo, presentano ricorso contro di esso (parte ricorrente); la P.A. che invece intende resistere al ricorso si chiama parte resistente. Oltre ai tipi di giurisdizione ci sono anche vari gradi di giurisdizione nel senso che, quando il giudice di primo grado ha pronunciato una sentenza, la parte soccombente può fare ricorso in secondo grado di fronte ad un secondo giudice il quale esaminerà di nuovo nel merito la questione (giudice di merito) e pronuncerà una nuova sentenza. Nella giurisdizione amministrativa tale sentenza è definitiva; invece nella giurisdizione civile o penale la parte soccombente in secondo grado può presentare ricorso in terzo grado di fronte alla Corte di Cassazione. Quest’ultima è un giudice di legittimità in quanto non riesamina i fatti ma controlla solo la corretta applicazione delle norme giuridiche e, in caso negativi, può cancellare la sentenza rinviando il processo all’indietro. La sentenza diventa dunque definitiva (si dice che è passata in giudicato) quando è stata pronunciata in terzo grado dalla Corte di Cassazione senza rinvio oppure quando sono scaduti i termini per il ricorso, senza che questo sia stato presentato. MODULO 5: LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE UD1: Articolazione In diritto il termine amministrazione pubblica (o pubblica amministrazione) ha un duplice significato: • • in senso oggettivo è una funzione pubblica amministrativa), consistente nell'attività volta degli interessi della collettività (interessi predeterminati in sede di indirizzo politico; in senso soggettivo è l'insieme dei soggetti che tale funzione. (funzione alla cura pubblici), esercitano L'aggettivo "pubblica" che qualifica il termine amministrazione fa capire che quest'ultimo ha di per sè un significato più ampio: in effetti qualsiasi persona o ente svolge attività volta alla cura dei propri interessi privati o di quelli della collettività di riferimento. Amministrazione pubblica in senso oggettivo La pubblica amministrazione svolge tanto attività giuridiche, che si manifestano in atti giuridici, quanto attività meramente materiali. L'attività giuridica può estrinsecarsi in provvedimenti, attraverso i quali vengono esercitati poteri autoritativi, ossia pubbliche potestà (attività iure imperii), oppure in atti di diritto privato (atti di gestione), tra cui i contratti, adottati in virtù dell'autonomia privata di cui i soggetti della pubblica amministrazione dispongono come tutti i soggetti giuridici (attività iure gestionis). L'ordinamento può anche consentire all'organo amministrativo di utilizzare atti consensuali e non autoritativi, quali le convenzioni, in luogo del provvedimento o, quantomeno, ad integrazione del medesimo; si parla, in questi casi, di modulo consensuale dell'esercizio della funzione amministrativa: nell'ordinamento italiano un esempio è offerto dagli accordi previsti dall'art. 11 della legge n. 241/1990. In questi casi, così come quando agisce iure gestionis, la pubblica amministrazione si spoglia della posizione di supremazia nei confronti dei destinatari dei suoi atti, che invece connota l'attività iure imperii, ponendosi in una posizione tendenzialmente paritaria nei loro confronti, ragione per cui si parla di attività paritetica. Nell'ambito della funzione amministrativa si suole distinguere la funzione pubblica in senso stretto, comprendente le attività amministrative connotate dall'esercizio di poteri autoritativi, dai servizi pubblici, ossia quelle attività, non connotate dall'esercizio di pubbliche potestà, volte all'erogazione di prestazioni d'interesse pubblico. Nella pratica la distinzione non sempre è netta: spesso, infatti, si nota una commistione tra i due tipi di attività, sicché la classificazione nell'una piuttosto che nell'altra categoria può essere fatta solo in base ad un criterio di prevalenza[1]. Relazioni con le altre funzioni pubbliche La funzione amministrativa si distingue da quella legislativa (o, più in generale, normativa) perché quest'ultima si traduce nella creazione di norme (tendenzialmente) generali ed astratte, con efficacia erga omnes, laddove l'amministrazione provvede tendenzialmente per il caso singolo, mediante norme speciali e concrete, aventi efficacia inter partes. Peraltro, vi sono anche atti della pubblica amministrazione che hanno come destinatari una pluralità indeterminata di soggetti (atti generali); alcuni di questi contengono norme non solo generali ma anche astratte, perché applicabili ad una pluralità indeterminata di casi, nel qual caso si tratta di veri e propri atti normativi (regolamenti) e siamo di fronte all'esercizio di funzioni materialmente normative da parte di organi amministrativi, in deroga al principio di separazione dei poteri. La funzione amministrativa si differenzia, invece, dalla funzione giurisdizionale per la particolare posizione di terzietà del giudice che caratterizza quest'ultima. In virtù del principio di legalità, proprio dello stato di diritto, gli organi della pubblica amministrazione possono esercitare le sole potestà loro conferite dalle norme, tendenzialmente generali e astratte, poste dal potere legislativo e le devono esercitare in conformità a tali norme. Il principio vale anche per gli atti formalmente amministrativi con i quali viene esercitata una funzione materialmente normativa, ossia per i regolamenti, i quali, pertanto, non potranno che essere subordinati alla legge nella gerarchia delle fonti del diritto. Funzione amministrativa e discrezionalità In quanto diretta alla cura di interessi pubblici predeterminati in sede politica, la funzione amministrativa è attività non libera nel fine a differenza dell'attività svolta dai soggetti di diritto nell'ambito della loro autonomia privata. Di solito il legislatore stabilisce l'interesse pubblico da perseguire, lasciando all'organo amministrativo un margine più o meno ampio di scelta sul modo per farlo; in ordine a tale scelta l'organo deve ponderare l'interesse pubblico affidato alle sue cure (interesse primario) con gli altri interessi, pubblici o privati, con esso confliggenti (interessi secondari), per stabilire se questi ultimi devono recedere di fronte al primo. Si parla in questi casi di discrezionalità amministrativa. Se l'attività amministrativa è tipicamente discrezionale, non mancano tuttavia casi di attività amministrativa vincolata, laddove il legislatore ha ritenuto di dover effettuare una volta per tutte la ponderazione degli interessi in gioco, stabilendo in modo puntuale ed esaustivo i contenuti dell'attività che deve essere posta in essere dall'organo amministrativo. UD2: Decentramento Amministrazione pubblica in senso soggettivo In senso soggettivo l'amministrazione pubblica è costituita, in primo luogo, dagli organi e uffici dello stato[2] che dipendono dal governo. Questi sono ordinati in dicasteri, ai quali sono preposti membri del governo che assicurano la traduzione dell'indirizzo politico governativo nell'attività amministrativa degli uffici del dicastero. Nella generalità degli ordinamenti le funzioni amministrative, oltre ai dicasteri, possono essere affidate ad organizzazioni dotate di una certa autonomia, che possono anche avere personalità giuridica di diritto pubblico, nel qual caso sono enti pubblici, o di diritto privato (società di capitali, fondazioni ecc.). Ciascuno di tali soggetti - dicastero, organizzazione autonoma dotata o meno di personalità giuridica, sia essa di diritto pubblico o privato - in quanto gli sono affidate funzioni amministrative, può essere considerato un'amministrazione pubblica. Taluni enti pubblici sono dotati di una più o meno ampia autonomia dal governo (o da altri enti pubblici) nel determinare il loro indirizzo politico: sono questi gli enti autonomi, tra i quali rientrano, in particolare, gli enti territoriali locali. Ad essi si contrappongono gli enti strumentali che, invece, perseguono fini propri di un altro ente, al quale sono perciò legati da vincoli di soggezione; tra gli enti strumentali rientrano le agenzie, se dotate di personalità giuridica, mentre, quando ne sono prive, vanno considerate organi dello stato o di altri enti pubblici, seppur complessi e dotati di una certa autonomia. Negli ordinamenti di common (contee ecc.) sono considerati personalità giuridica, mentre denominati: administration, law gli enti territoriali locali organi dello stato dotati di gli altri enti - variamente agency, authority, board, commission ecc. - che compongono la pubblica amministrazione sono persone giuridiche disciplinate dal diritto privato. Quando la pubblica amministrazione vende beni o servizi sul mercato svolge attività d'impresa: si parla, in questi casi, di impresa pubblica, sebbene tali imprese, a differenza di quelle private, non abbiano un fine principale di lucro[3]. L'impresa pubblica può essere esercitata, oltre che da un'amministrazione pubblica con i propri organi, da un'organizzazione apposita, dotata di una certa autonomia, all'interno di un'amministrazione pubblica (azienda autonoma) o da un apposito ente pubblico (sono quelli che in Italia prendono il nome di enti pubblici economici) o, ancora, da una società di capitali controllata da una o più amministrazioni pubbliche (società a partecipazione pubblica). Oltre alle amministrazioni pubbliche di cui si è finora detto, esistono in molti ordinamenti giuridici anche organi o enti pubblici che esercitano particolari funzioni amministrative in una posizione di piena e sostanziale indipendenza dall'indirizzo politico del governo e di altri enti pubblici: sono le autorità amministrative indipendenti. Negli ordinamenti in cui vige la separazione dei poteri tutte le amministrazioni pubbliche, comprese le autorità amministrative indipendenti, costituiscono, unitamente al governo, uno dei tre poteri dello stato: il potere esecutivo. Vi sono, infine, casi in cui l'attività amministrativa è esercitata in proprio da soggetti privati, persone fisiche o giuridiche, estranee alla pubblica amministrazione; si parla allora di esercizio privato di funzioni pubbliche o di servizi pubblici. UD 3: Lineamenti del processo amministrativo Il diritto delle amministrazioni pubbliche Fino al XIX secolo l'attività amministrativa era disciplinata dalle stesse norme che disciplinavano i rapporti tra privati. Certo, la pubblica amministrazione, a differenza dei privati, disponeva di potestà pubbliche, tuttavia le norme che le riguardavano erano considerate norme speciali, sicché, al di fuori di quanto da esse disciplinato, trovava applicazione il diritto comune. Nel XIX secolo è andato formandosi, nei sistemi di civil law, un corpo di norme, separato dal diritto privato, disciplinante l'organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni pubbliche, nonché i rapporti tra le stesse e i destinatari dei loro provvedimenti (gli amministrati o, con una terminologia più diffusa benché meno rigorosa[4], i privati): il diritto amministrativo. La formazione di tale corpo normativo separato è stata favorita anche dal fatto che in molti ordinamenti di civil law i rapporti tra pubblica amministrazione e privati sono devoluti ad un giudice ad hoc: il giudice amministrativo. Nella seconda metà del XIX secolo, sulla scia delle concezioni del tempo, secondo cui lo stato non poteva che agire in modo autoritativo, il diritto amministrativo è andato espandendosi, inglobando materie prima di diritto privato, quale il rapporto di lavoro tra l'amministrazione ed i suoi dipendenti (o, almeno, i funzionari); di conseguenza, i relativi rapporti sono divenuti rapporti di diritto pubblico, con la pubblica amministrazione in posizione di supremazia. Questa tendenza, peraltro, si era già attenuata all'inizio del XX secolo e, sul finire dello stesso secolo in molti ordinamenti si manifestava l'opposta tendenza a restringere l'area dell'agire autoritativo della pubblica amministrazione e, quindi, del diritto amministrativo, a favore dell'agire consensuale e del diritto privato. D'altra parte, lo stesso diritto amministrativo, tradizionalmente inspirato alla supremazia della pubblica amministrazione nei confronti dei privati e alla prevalenza dell'interesse pubblico sugli interessi privati, negli ultimi tempi è andato aprendosi ad una maggiore considerazione di questi ultimi, ad esempio garantendo ai loro portatori la partecipazione ai procedimenti amministrativi, sicché si suol dire che il diritto amministrativo attuale è basato sul binomio "autorità-libertà". L'evoluzione di cui si è detto non è avvenuta negli ordinamenti di common law: qui l'organizzazione e il funzionamento della pubblica amministrazione, nonché i suoi rapporti con i privati, continuano ad essere disciplinate dal diritto comune, ossia dallo stesso diritto che disciplina i rapporti tra i privati. Le potestà pubbliche di cui dispongono gli organi amministrativi sono oggetto di norme speciali, per lo più ricondotte al diritto costituzionale (ad esempio, l'espropriazione per pubblica utilità è ricondotta alla disciplina costituzionale del diritto di proprietà), e, al di fuori di quanto in esse previsto, trova applicazione il diritto comune. Inoltre negli ordinamenti di common law le controversie tra pubblica amministrazione e privati sono in linea di principio devolute agli stessi giudici che conoscono le controversie tra privati[5]. Di qui l'affermazione che nei paesi di common law non esiste il diritto amministrativo, anche se in questi ordinamenti, sulla scia del progressivo ampliamento dell'intervento pubblico che ha caratterizzato il XX secolo, è andato strutturandosi un corpo di norme (administrative law) che presenta similitudini con il diritto amministrativo dei paesi di civil law. MODULO 6: IL DIRITTO DI FAMIGLIA UD 1: La famiglia In diritto, il termine “famiglia” indica quel rapporto tra due o più persone che trova origine nel matrimonio; il diritto di famiglia è l’insieme di tutte le norme che disciplinano la vita della famiglia, le relazioni tra marito e moglie e quelle fra genitori e figli. Non tutte le società hanno disciplinato allo stesso modo la vita in famiglia. Nel diritto romano, ad esempio, la familia comprendeva tutte le persone che erano sottomesse al potere di uno stesso capofamiglia (pater familias). Il vincolo di sangue non era infatti determinante e, accanto alla moglie e ai figli, facevano parte della famiglia anche gli schiavi. Il pater familias aveva potere assoluto di vita e di morte su tutti i membri della famiglia ed era l’unico amministratore del patrimonio. Con l’avvento del cristianesimo l’idea di famiglia cambiò profondamente. Il matrimonio, al quale fu attribuito un elevato valore etico, fu dichiarato indissolubile; accettato solo nella sua forma monogamica, esso aveva tra i principali scopi quello della procreazione. Il diritto di famiglia attualmente vigente in Italia è il risultato di alcune innovazioni decisive introdotte negli anni Settanta del Novecento. La prima fu l’introduzione del divorzio (1970) che, nei casi espressamente previsti dalla legge, consente a marito e moglie di sciogliere il vincolo matrimoniale e di crearsi una nuova famiglia; la seconda fu la riforma del diritto di famiglia del 1975, ispirata al principio della parità di diritti e di doveri tra moglie e marito, contenuto nella nostra Costituzione. Per quanto riguarda le relazioni tra marito e moglie, il diritto sancisce il dovere di essere fedeli, di assistersi, di collaborare e di abitare nella stessa casa. La riforma ha inoltre introdotto la parità di trattamento dei figli nati da genitori sposati e dei figli nati fuori dal matrimonio, cioè nati da genitori non sposati. Quanto alle relazioni tra genitori e figli, fino al compimento dei diciotto anni il giovane è affidato ai genitori che hanno il dovere di occuparsi di lui, provvedendo tra l’altro alla sua educazione e istruzione. La potestà dei genitori comprende il dovere e il potere di amministrare il patrimonio del minore ed è esercitata da entrambi i genitori di comune accordo; il minore gode tuttavia di tutti i diritti della persona e dei beni economici che possiede UD 2: Il matrimonio La libera scelta del coniuge è un evento relativamente recente. In Europa, prima dell’industrializzazione, le famiglie erano considerate prevalentemente come unità produttive, unità dedite cioè all’agricoltura e all’artigianato; in tale contesto, la scelta del coniuge non era determinata dall’amore o dall’affetto, ma piuttosto dagli interessi sociali ed economici. I proprietari terrieri, ad esempio, erano soliti interferire direttamente nella scelta del coniuge per i loro affittuari, in quanto li consideravano una proprietà. Fra gli aristocratici era comune l’usanza di cercare moglie o marito quasi esclusivamente all’interno della cerchia nobiliare: il fenomeno (detto endogamia) ha avuto diffusione anche in molte società orientali, ad esempio in India, dove il coniuge veniva cercato fra gli appartenenti alla medesima casta. In questo modo il matrimonio diventava un meccanismo sociale di particolare efficacia, in grado di riprodurre la distribuzione diseguale delle ricchezze e dei privilegi fra le diverse classi sociali, di preservare immutati i valori dei gruppi sociali dominanti, di predeterminare le successioni patrimoniali e, in sostanza, di controllare la mobilità sociale. Proprio a tal fine, in alcuni paesi asiatici (Malaysia, India, Giappone ecc.), erano molto comuni (e in parte lo sono ancora) i fidanzamenti o i matrimoni tra bambini, in cui è ovviamente determinante la scelta dei genitori. In Cina, fino agli anni Cinquanta del Novecento, era pratica normale che lo sposo e la sposa si incontrassero per la prima volta il giorno delle nozze. La Riforma protestante, la rivoluzione industriale e la diffusione dell’ideologia individualista, tipica delle società moderne, hanno comportato nel corso dei secoli significativi mutamenti nel matrimonio come istituzione. Oggi, ad esempio, la scelta del coniuge è quasi completamente libera; occorre tuttavia sottolineare che, pur trattandosi di una scelta in apparenza del tutto personale, è di fatto fortemente influenzata da fattori sociali, culturali, religiosi, economici, etnici ecc. UD 3: Il divorzio e la separazione Con divorzio (dal latino divortium, da di-vertere, "separarsi") si intende il processo legale che pone fine al matrimonio. In ambito socio-psico-pedagogico, in concomitanza con il costante e progressivo aumento delle separazioni familiari, sono comparsi molti studi relativi agli effetti della fine del matrimonio sui partner e soprattutto sui figli. Quando si parla di divorzio si parla sia di scioglimento del vincolo matrimoniale sia di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario. Poiché la distinzione tra le due fattispecie non è intuitiva, è opportuno chiarire in che cosa questa consista. Premesso che nell'ordinamento italiano esistono due forme di matrimonio, quello civile e quello concordatario, si parla: • • di scioglimento del vincolo matrimoniale, quando il divorzio interviene in relazione al matrimonio civile, cioè quello che è stato celebrato soltanto davanti all'ufficiale dello stato civile; di cessazione degli effetti civili del matrimonio, quando il divorzio interviene in relazione al matrimonio concordatario (ovvero al matrimonio celebrato in chiesa e trascritto nei registri dello stato civile, quindi, con effetti sia civili sia religiosi). Condizioni per ottenere il divorzio L'art. 1 della Legge n. 898/1970 afferma che «il giudice pronuncia lo scioglimento del matrimonio [...] quando [...] accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita». Il Tribunale prima di dichiarare lo scioglimento del vincolo matrimoniale (se si tratta di matrimonio solo civile, cioè celebrato davanti all’Ufficiale dello stato civile) o la cessazione degli effetti civili del matrimonio (se si tratta di matrimonio concordatario), dovrà accertare l’esistenza di due condizioni. • • La prima, di natura soggettiva, è costituita dalla fine: o della comunione materiale tra i coniugi, costituita dalla stabile convivenza, da un'organizzazione domestica comune, dal reciproco aiuto personale e dalla presenza di rapporti sessuali; o della comunione spirituale consistente nell'affetto reciproco, nell'ascolto, nell'aiuto e nel sostegno psicologico reciproci, nella comprensione e nella condivisione dei problemi, su cui si fonda l'affectio coniugalis che li lega in una vera comunanza di vita e di spirito. La seconda, di natura oggettiva, costituita dall'esistenza di una delle cause tassativamente previste dalla legge (art.3 Legge 898/1970): o che sia stata omologata la separazione consensuale oppure sia stata pronunciata, con sentenza definitiva, la separazione giudiziale e siano trascorsi almeno tre anni dall'udienza presidenziale (che è la prima udienza, in ambedue i casi); o o o o che uno dei coniugi sia stato condannato all'ergastolo o a qualsiasi pena detentiva per reati di particolare gravità; che uno dei coniugi, cittadino straniero, abbia ottenuto nel suo paese l'annullamento o lo scioglimento del matrimonio ovvero abbia contratto nuovo matrimonio; che il matrimonio non sia stato consumato; che sia stato dichiarato giudizialmente il mutamento di sesso di uno dei coniugi. La dichiarazione di nullità del matrimonio religioso comporta anche la cessazione degli effetti civili, tra cui l'obbligo al pagamento degli alimenti, fatti salvi gli effetti del matrimonio putativo. Per la legge italiana deve trascorrere un periodo minimo di 3 anni dalla separazione prima di ottenere il divorzio. Divorzio breve: attuazione del divorzio in maniera più veloce. Abbreviazione dei tempi, semplificazione delle procedure e riduzione delle spese per ottenere lo scioglimento del vincolo coniugale come già avviene in vari paesi. Ad es. in Spagna la procedura dura da sei mesi a un anno e mezzo; in Perù tre mesi nei municipi o presso i notariati. La Separazione personale dei coniugi Interruzione disciplinata dalla legge dell’obbligo di coabitazione previsto per i coniugi in conseguenza del matrimonio. Prima della legge istitutiva del divorzio, la separazione personale era l’unico rimedio al fallimento del matrimonio; oggi, invece, il ricorso alla separazione è di norma finalizzato ad ottenere, dopo un periodo minimo di tre anni, la cessazione del vincolo coniugale. La separazione può essere consensuale o giudiziale a seconda che sia richiesta da entrambi i coniugi (in questo caso deve essere solo omologata dal giudice) o da uno solo di essi in contrasto con l’altro. Suo presupposto è l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza o il grave danno per l’educazione dei figli, a prescindere dal fatto che tali situazioni siano attribuibili alla colpa di uno o dell’altro dei coniugi. L’elemento della colpa assume invece rilevanza in relazione all’addebito della responsabilità della separazione a uno dei coniugi che ha conseguenze esclusivamente sul piano dei rapporti patrimoniali. La separazione si dice “di fatto” quando è posta in essere senza le forme previste dalla legge, non incide sul vincolo matrimoniale che permane immutato e può cessare in seguito alla riconciliazione dei coniugi. UD 4: Il regime patrimoniale della famiglia Art. 159 cod. civ. Riformato dalla L. 151/75: "... il regime patrimoniale legale della famiglia, in mancanza di diversa convenzione stipulata a norma dell'art. 162 cod. civ., è costituito dalla comunione dei beni". 1) COMUNIONE LEGALE E’ opportuno fin da ora precisare che la comunione legale non è comunione universale, cioè non ricade su tutto quanto appartiene a ciascun coniuge. Secondo quanto previsto dall'art. 177 c.c., costituiscono oggetto della comunione: 1) Gli acquisti compiuti dai coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio (es. mobili di casa, auto, appartamento), ad esclusione di quelli relativi ai beni personali. Non vi fanno parte i redditi, ma i risparmi sino allo scioglimento della comunione. 2) Le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio (impresa familiare art.230 bis); 3) Gli utili e gli incrementi di aziende gestite da entrambi i coniugi, ma appartenenti ad uno solo di essi anteriormente al matrimonio. Sono esclusi i "beni personali" di ciascun coniuge (art. 179 c.c.): 1) I beni di cui il coniuge era già titolare prima del matrimonio; 2) I beni acquisiti successivamente il matrimonio per effetto di donazione o successione, salvo che siano espressamente attribuiti alla comunione; 3) I beni di uso strettamente personale; 4) I beni che servono all'esercizio della professione del coniuge; 5) I beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno, nonché la pensione attinente alla perdita totale e/o parziale della capacità lavorativa; 6) I beni acquisiti con il prezzo del trasferimento di altri beni personali o col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all'atto dell'acquisto. L'amministrazione dei beni della comunione (art. 180 c.c.) spetta disgiuntamente ad entrambi i coniugi. Tuttavia, il compimento degli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, spetta congiuntamente ad entrambi i coniugi. In caso in cui uno dei coniugi rifiuti il consenso (art.181 c.c.), l'altro può rivolgersi al Giudice per ottenere l'autorizzazione, nel caso in cui la stipulazione dell'atto sia necessaria nell'interesse della famiglia o dell'azienda gestita da entrambi i coniugi e costituita dopo il matrimonio. Atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso: 1. ogg: beni immobili o mobili registrati => Annullabili; 2. ogg: beni mobili => il coniuge è obbligato a ricostituire la comunione ovvero, qualora non sia possibile, a pagare alla comunione l'equivalente. Art.186 c.c.: Obblighi gravanti sui beni della comunione. 1 beni della comunione rispondono: 1) Di tutti i pesi ed oneri gravanti su di essi al momento dell'acquisto; 2) Di tutti i carichi dell'amministrazione; 3) Delle spese per il mantenimento della famiglia, dell'istruzione, di ogni obbligazione contratta dai coniugi separatamente nell'interesse della famiglia; 4) Di ogni obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi. I creditori particolari dei coniugi non possono soddisfarsi sui beni della comunione se non in quanto i beni personali del loro debitore non siano capienti: in tal caso possono soddisfarsi sui beni della comunione solo limitatamente al valore della quota del loro debitore, ossia alla metà, purché non vengano in conflitto con i creditori della comunione, i quali sono ad essi sempre preferiti. Scioglimento della comunione (art.191 c.c.) 1) Morte di uno dei coniugi; 2) Sentenza di divorzio; 3) Fallimento di uno dei coniugi; 4) Convenzione di abbandono del regime di comunione; 5) Separazione giudiziale dei beni; L'art. 193 c.c. stabilisce che tale separazione può essere pronunciata dal Tribunale a richiesta di uno dei coniugi, quando ricorre una delle seguenti cause: a. b. c. d. interdizione di uno dei coniugi; inabilitazione; cattiva amministrazione della comunione; disordine degli affari personali del coniuge, tale da mettere in pericolo gli interessi dell'altro / comunione / famiglia; e. condotta tenuta da uno dei coniugi nell'amministrazione della comunione, tale da creare una situazione di pericolo; f. mancata / insufficiente contribuzione da parte di uno dei coniugi al soddisfacimento dei bisogni familiari. La sentenza retroagisce al giorno in cui è stata proposta la domanda. Si procederà, quindi, alla divisione dei beni comuni da effettuare sempre in parti eguali. 6) Dichiarazione di assenza, morte presunta; 7) Annullamento matrimonio (N.B. efficacia ex nunc); 8) Separazione personale legale dei coniugi (N.B. non basta la separazione di fatto); 2) SEPARAZIONE DEI BENI Art. 215 cod. civ. riformato: " ... convenire che ciascuno di essi (coniuge) conservi la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio". In sostanza, è il regime in forza del quale ciascun coniuge rimane esclusivo titolare dei beni di sua pertinenza e di ogni acquisto che abbia ad effettuare, con diritto ad amministrare il suo patrimonio senza ingerenze dell'altro coniuge. t necessario un accordo stipulato con atto pubblico o anche mediante una semplice dichiarazione inserita nell'atto di celebrazione del matrimonio. Rimane fermo quanto stabilito dall'art.143,3' comma, c.c. e cioè: "Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in base alle proprie sostanze ed alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai . bisogni della famiglia (si veda anche l'art.148) 4) COMUNIONE CONVENZIONALE Si tratta di una convenzione diretta non ad escludere il regime di comunione, bensì a disciplinarlo diversamente, dando luogo ad una comunione, per l'appunto, convenzionale. In concreto, la stipulazione di un'apposita convenzione mira a ricomprendere nella comunione anche i beni personali ad eccezione di quelli ex art. 179, lett. C,d ed e c.c. ovvero a ricomprendere tutti i redditi di pertinenza individuale di ciascun coniuge. 5) FONDO PATRIMONIALE Raramente applicato. Si tratta di uno speciale regime per far fronte ai bisogni della famiglia. La proprietà dei beni che costituiscono il fondo, salva diversa disposizione nell'atto costitutivo, spetta ad entrambi i coniugi. L'amministrazione del fondo è regolata dalle stesse norme che disciplinano l'amministrazione della comunione. Costituzione: atto pubblico ovvero, se il costituente è un terzo, anche mediante testamento. Oggetto: beni immobili, mobili iscritti in pubblici registri o titoli di credito. N.B. 1 frutti dei beni del fondo non possono essere utilizzati che per i bisogni della famiglia. UD5: Filiazione, adozione e affidamento La Filiazione è la condizione giuridica del figlio nell'ambito della famiglia. La filiazione può essere di due tipi, legittima o naturale: la prima si ha nel caso in cui il figlio sia nato da due genitori uniti in matrimonio, mentre la seconda si realizza nel caso in cui il bambino nasca da genitori non sposati. La filiazione legittima si ha dunque quando il figlio nasce in costanza di matrimonio, cioè da due genitori tra loro sposati; il figlio di una donna sposata che viene concepito durante il matrimonio si presume infatti figlio del marito. Questa prima presunzione, però, non è sufficiente in quanto la data del concepimento non può essere stabilita con certezza; a questo riguardo soccorrono altre due presunzioni volte a stabilire la filiazione legittima: la prima è quella in base alla quale si presume concepito durante il matrimonio il bambino che nasce almeno 180 giorni dopo il giorno del matrimonio dei genitori ed entro 300 giorni dallo scioglimento del vincolo coniugale. La seconda è quella secondo la quale, qualora il bambino sia nato durante il matrimonio, si presume che il padre sia il marito della moglie. Tale presunzione di paternità viene meno nel caso in cui, pur essendo stato concepito il bambino durante il matrimonio, questo sia nato dopo 300 giorni dalla separazione dei genitori. Adozione è un termine che riunisce gli istituti giuridici dell’adozione di minori e dell’adozione di persone maggiorenni. Nel caso in cui l’adozione si realizzi nei confronti di un minore, produce l’effetto di fargli acquisire lo status di figlio legittimo (Vedi anche filiazione). Finalità primaria dell’adozione di un minore è quella di procurare a un bambino orfano o che si trovi in una situazione famigliare fortemente problematica, un nucleo famigliare più idoneo alla sua crescita Adozione di maggiorenni Il Codice civile, modificato in parte dalla legge del 4 maggio 1983 n. 184, disciplina questa tradizionale figura di adozione, che viene posta in essere quando una persona adulta ne adotta un’altra maggiorenne, con l’unico duplice limite che venga rispettata la differenza d’età tra i due (che non deve essere inferiore ai 18 anni) e purché non si tratti di figli naturali dell’adottante già riconosciuti; questo, infatti, darebbe luogo a una sovrapposizione di status. Questa figura di adozione non fissa alcun limite di anzianità per l’adottante e può essere ottenuta anche da una persona non sposata. Effetto dell’adozione per l’adottato è l’acquisizione di uno status assimilabile a quello di un figlio legittimo. Adozione di minori Questo tipo di adozione, oggi integralmente disciplinata dalla legge del 4 maggio 1983 n. 184 e successive modifiche, mira, come sopra accennato, ad assicurare al minorenne senza una famiglia, o che si trovi in una situazione famigliare “patologica”, una famiglia nuova e si presume migliore rispetto a quella d’origine. Perché il bambino possa essere adottato è necessario che si trovi in un particolare stato, detto “di adottabilità”, che sussiste quando il minore, pur magari materialmente assistito da istituti o terzi, è privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o parenti idonei a provvedervi. I requisiti richiesti dalla legge perché due persone possano adottare un bambino (è per ora esclusa l’adozione dei single) è che siano sposati da almeno tre anni, che entrambi abbiano una differenza d’età rispetto al bambino non inferiore ai 18 anni e non superiore ai 40. I potenziali genitori adottivi devono essere valutati dal Tribunale per i minorenni come “idonei a educare e istruire, e in grado di mantenere i minori che intendano adottare”. Il bambino adottato acquista a tutti gli effetti lo status di figlio legittimo, assume il nome dei genitori adottivi e può a sua volta trasmetterlo; vengono così spezzati i legami con la famiglia d’origine. La legge di modifica della disciplina dell’adozione e dell’affidamento n. 96 del 2001 ha rinnovato in molti punti la legge 184/83. Le principali novità introdotte riguardano l’innalzamento della differenza d’età massima fra adottando e adottato a 45 anni, requisito che può sussistere anche in capo a uno solo dei due coniugi se fra essi la differenza d’età non supera i dieci anni; la previsione di un sistema di aiuti a favore delle famiglie in difficoltà per tutelare il diritto del minore a crescere con la propria famiglia d’origine; la precedenza all’istruttoria di domande di adozione che riguardano bambini di età superiore a cinque anni o portatori di handicap; la possibilità di vedere riconosciuto il tempo della convivenza precedente al matrimonio ai fini del computo dei tre anni necessari alla coppia sposata per procedere all’adozione; la facoltà per l’adottato, raggiunto il venticinquesimo anno d’età, di conoscere i dati relativi alla sua origine e le generalità dei suoi genitori biologici. Affidamento dei minori L’affidamento dei minori è un Istituto che disciplina la temporanea sistemazione di un minore al di fuori della sua famiglia d'origine. I minori temporaneamente privi di un ambiente familiare idoneo possono essere affidati a un’altra famiglia, a una persona singola o a una comunità di tipo familiare; solo laddove non sia possibile una di queste collocazioni, è consentito il loro ricovero in istituti di assistenza pubblici o privati. L'elemento della temporaneità caratterizza questo istituto giuridico, che è appunto volto a offrire ai minori un aiuto temporaneo in vista di un reinserimento nella famiglia d'origine. Se mancasse questa importante finalità si parlerebbe di adozione provvisoria e non di affidamento. Una volta terminato il periodo di affidamento stabilito dal tribunale, il minore viene reinserito nella famiglia d'origine; se questo non è auspicabile, si apre la procedura d'adozione. La legge 149/2001 ha introdotto alcune modifiche alla precedente legge 184/83 che disciplina l’adozione e l’affidamento dei minori. Tra le novità previste, molto importante è la decisione di superare completamente l’ipotesi di ricovero del minore presso istituti di assistenza, privilegiandone l’affidamento a una famiglia e, solo quando ciò non sia possibile, prevedendone l’inserimento in comunità di tipo familiare che consentano al minore di vivere in un ambiente molto simile a quello di una famiglia. La legge 149/2001 fissa inoltre la durata massima dell’affidamento in 24 mesi, prorogabile da parte del Tribunale per i minorenni nel caso in cui la sospensione dell’affidamento arrechi pregiudizio al minore. MODULO 7: LINEAMENTI GENERALI DELLA LEGISLAZIONE SCOLASTICA UD 1: La scuola italiana: storia, attualità e prospettive La scuola nell'Italia repubblicana I programmi della scuola elementare del 1945 Nella Sicilia liberata già nel 1943 era al lavoro una commissione guidata dal pedagogista americano Washburne, seguace di Dewey, per la revisione dei programmi scolastici. Il governo alleato comprese l'importanza fondamentale della riforma della scuola elementare, la più influenzata dai germi fascisti, così nel 1944 era già al lavoro una seconda commissione incaricata di redigere i nuovi programmi per la scuola di quel grado. l'impostazione suggerita da Washburne era estremamente avanzata e prevedeva apertutre pluriconfessionali, negando il principio di fondamento e coronamento riconosciuto da Gentile alla religione cattolica. per questo i programmi incontrarono l'opposizione dei cattolici. Nel proseguimento del suo lavoro la commissione fu affiancata da un rappresentante della chiesa, che difese gli interessi cattolici il cui ruolo fondamentale nella società italiana dell'epoca non poteva essere trascurato. Il risultato furono dei programmi di compromesso: ideali molto avanzati e democratici informavano la premessa, ma il corpo del programma che disciplinava le singole discipline era di impostazione molto moderata. Se gli insegnanti non si accorsero delle novità e continuarono ad lavorare come prima, diversa fu la reazione dei vertici che fecero pressioni per una nuova riforma in senso conservatore, che si concretizzò solo 10 anni dopo con i programmi del ministro Ermini. La scuola nella Costituzione del 1948 Nella Costituzione della Repubblica italiana viene stabilita l’istruzione pubblica, gratuita e obbligatoria per almeno 8 anni. Viene sancita la libertà di istituire scuole "senza oneri per lo stato" formula che avrà una interpretazione controversa nei decenni successivi. Tuttavia restava il sistema scolastico precedente: scuola elementare quinquennale e i tre anni successivi divisi in “scuola media” (che permetteva di proseguire gli studi grazie alla materia del latino) e “scuola di avviamento professionale” (che senza l’insegnamento del latino, escludeva da qualsiasi proseguimento degli studi) Il progetto Gonella di riforma Ministro dal 1946 al 1951, Gonella promuove una grande inchiesta che sfocia in un progetto di riforma destinato ad arenarsi anche per i contrasti sulla questione della scuola di completamento dell'obbligo che interessava i contrastanti interessi dell'associazionismo dei maestri e dei professori, entrambi largamente rappresentati negli ambienti culturali e politici che avevano la Democrazia Cristiana come principale referente. Il governo introduce, in via amministrativa, la “scuola post-elementare”, che avrebbe mantenuto il sistema duale, dove un canale non permette ulteriori sbocchi. Nella seconda metà degli anni cinquanta matura la consapevolezza che il processo di sviluppo economico richiede una sempre maggiore quantità di forza lavoro qualificata. Proposte di legge del 1959 Donini e Luporini - prevedono l’istituzione di una scuola media unica con l’obbligo dall’età di sei anni fino ai quattordici. Medici – Riconferma i canali distinti e avanza anche la proposta di una quadri partizione. La riforma della scuola media del 1962 Dopo lunghe trattative tra DC e PSI, viene approvata la legge n.1859 del 31 dicembre 1962. Essa prevede l'abolizione della scuola di avviamento al lavoro con la creazione di una scuola media unificata che permetta l’accesso a tutte le scuole superiori. Nello stesso periodo vengono introdotte in Italia le prime classi miste maschili e femminili, che progressivamente sostituiranno le classe composte esclusivamente da elementi del medesimo sesso. Permane comunque un'ambiguità sulla questione “Latino”, che diventa materia facoltativa nell'ultimo (terzo) anno, ma necessaria per l’accesso al liceo, viceversa lo studio di nessun materia e' richiesto per l'iscrizione agli istituti tecnici e professionali. Questa ambiguità verrà superate solo a distanza di quindici anni, con l'abolizione del latino (propugnata sin dal dopoguerra da Pietro Nenni). Istituzione della scuola materna statale Nel 1968 viene istituita la Scuola materna statale e nel 1969 vengono emanati gli Orientamenti per la scuola materna. La liberalizzazione degli accessi all'università e le modifiche dell'esame di maturità Nel 1969, anche sotto la spinta di una rilevante stagione di movimenti studenteschi, vengono approvate norme che liberalizzano l'accesso agli studi universitari e che modificano, l'esame di maturità strutturandolo con due prove scritte (una fissa di italiano, ed una specifica in funzione del tipo di istituto) ed una prova orale che verteva su due materie scelte (una dallo studente ed una dal gruppo di professori) fra un gruppo di quattro indicate anticipatamente dal ministero della pubblica istruzione, gruppo di materie diverso per ogni tipo di istituto scolastico. Il gruppo di docenti, che deve giudicare ogni classe risulta composto da docenti esterni all'istituto salvo uno proveniente dal gruppo di insegnati della classe. La struttura di questo esame venne definita provvisoria sperimentale, tuttavia rimarrà in corso immutata per più di vent'anni. Anni settanta Il problema della scuola dualista viene superato, ma persistono alti tassi di evasione scolastica; inoltre si manifesta in maniera drammatica il fenomeno della selezione esplicita (attraverso le “bocciature”). La gravità del nuovo metodo di “selezione classista” adoperato dalla ancora antica mentalità elitaria dei docenti, venne evidenziata da Don Lorenzo Milani in Lettera ad una professoressa (Firenze, LEF, 1967). I movimenti studenteschi degli Anni sessanta e settanta contribuirono al cambiamento di mentalità, e alla graduale diminuzione del fenomeno della “selezione esplicita”. Si arena, agli inizi degli anni '70, il tentativo di riforma della scuola secondaria superiore. Una parte della storiografia specialistica ha però sottolineato come si sia comunque verificato un processo di lungo periodo di "cambiamento senza riforma" di cui sono aspetti più rilevanti il forte sviluppo della istruzione tecnica e il superamento dello storico divario tra istruzione maschile e istruzione femminile, almeno a livello di scuole secondarie. Una novità importante è rappresentata dai "decreti delegati", approvati nel 1974, che introducono nella vita della scuola una rappresentanza dei genitori, del personale ATA (Amministrativo, Tecnico, Ausiliario) e degli studenti (solo nella scuola superiore). Il cambiamento maggiore investe la scuola elementare. A partire dalla legge 820/71 nasce la scuola a tempo pieno come risposta ai bisogni sociali dell'utenza ma destinato a diventare un laboratorio di innovazione in virtù dei tempi distesi per l'apprendimento e per lo spazio curricolare che si apre per i nuovi saperi. La legge 517/77 introduce il principio dell'integrazione mediante l'assegnazione di insegnanti di sostegno alle classi che accolgono alunni portatori di handicap; si apre la possibilità di attivare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni, si stabiliscono nuove norme sulla valutazione e si aboliscono gli esami di riparazione per la scuola media. Nel 1979 vengono riformati i programmi della scuola media, con la scomparsa del latino come disciplina autonoma. Anni ottanta e novanta Non mancano dei periodi di rialzamento dei livelli di bocciature selettive, ma il problema, in questi anni, è soprattutto la cosiddetta "dispersione scolastica". Ovvero, il mancato conseguimento di livelli adeguati di apprendimento, nonostante la regolarità degli studi (assenza di bocciature). Più volte nel corso degli anni ottanta si abbozza l'elevamento dell'obbligo scolastico, senza mai andare a buon fine (ad esempio si ipotizza, soprattutto, di come strutturare il biennio, se propedeutico al triennio superiore od un semplice proseguimento della scuola media, se abbinarlo, o meno, a corsi di formazione professionale). Non mancano tuttavia alcune innovazioni didattiche, come l'avvio dei Programmi Brocca indirizzati ai Licei ed in parte agli Istituti Tecnici, ed il Progetto '92 che riorganizza l'istruzione professionale. Significativi invece i mutamenti della scuola elementare con i Programmi del 1985 e la legge del 1990, che ha come conseguenza la introduzione di una pluralità di docenti per la stessa classe. Secondo gli oppositori essa fu talvolta realizzata senza tenere conto delle specifiche abilità/competenze degli insegnanti, e spesso fonte di dinamiche perturbanti relativamente alla "prevalenza" dell'uno o dell'altro componente.[senza fonte] I programmi delle scuole elementari del 1985 e gli orientamenti delle scuole materne del 1991 segnano una stagione marcata da riforme che non derivano tanto da un impulso politico, quanto da una sorta di autogoverno di culture profesionali, di cui anche la pedagogia accademica è in larga parte espressione. L'eliminazione degli esami di riparazione, attuata durante il primo governo Berlusconi ad opera del Ministro Francesco D'Onofrio nel 1995, fu un altro cambiamento critico, tutt'ora fonte di polemiche e recriminazioni. La riforma Berlinguer Nel 1996 le elezioni politiche vengono vinte dalla coalizione dell'Ulivo. A capo del dicastero della Pubblica Istruzione viene posto l'ex rettore dell'Università di Siena Luigi Berlinguer, il quale si propone importanti obbiettivi: l'innalzamento dell'obbligo scolastico, la riforma dell'esame di maturità, l'autonomia scolastica ed il riordino dei cicli. Berlinguer nel gennaio del 1997 pubblicò il primo Documento di discussione sulla riforma dei cicli di istruzione, che si dice fosse ispirato a un documento dal titolo Prospettive europee per il sistema formativo italiano fatto circolare fin dal settembre del 1996 da Attilio Monasta. In tale documento erano delineati i principi ispiratori dell'azione del ministro: fra questi, in primo luogo, la necessità di superare la distinzione, tipica del sistema formativo italiano tradizionale, fra cultura e professionalità e, quindi, fra formazione culturale e formazione professionale. Uno dei concetti fondamentali è quello di «nuova professionalità», come capacità di «controllo e direzione dei processi in cui ciascuno è inserito», un concetto frutto della cultura sindacale degli anni settanta. Inoltre, l’articolazione del percorso scolastico non più per ordini e gradi di istruzione, bensì per obiettivi di apprendimento, con una sostanziale continuità dei cicli di istruzione. Due soli possibili modelli: o due cicli di istruzione (un ciclo di base, fino ai 13 o 14 anni, ed un ciclo secondario fino a 18 anni) o addirittura un ciclo unico, progressivo e comprensivo, dai 6 ai 16 o 17 anni. Ciò che avrebbe dovuto essere superato era la distinzione del percorso scolastico in tre cicli, fortemente separati fra loro ed altamente selettivi. Così il 3 giugno 1997 il governo presenta la "Legge Quadro in materia di Riordino dei Cicli dell'Istruzione", con la quale doveva venire stravolto il sistema scolastico italiano, poiché erano previsti due cicli scolastici. Il ciclo primario ,di sei anni di durata, diviso in tre bienni, aveva come scopo di "concorre alla formazione dell'uomo e del cittadino nel rispetto e nella valorizzazione delle diversità individuali, sociali e culturali. Esso favorisce la formazione della personalità degli alunni promuovendone l'alfabetizzazione per l'acquisizione dei linguaggi e dei saperi indispensabili, per lo sviluppo delle capacità critiche e di un atteggiamento positivo nei confronti dell'apprendimento, per il riconoscimento e la condivisione dei valori fondanti la convivenza civile e democratica", e più in particolare i primi due bienni era "lo sviluppo delle conoscenze e delle abilità di base e della dimensione relazionale" ed il terzo biennio "il consolidamento, l'approfondimento e lo sviluppo delle conoscenze acquisite e la crescita di autonome capacità di studio, di elaborazione e di scelta coerenti con l'età degli alunni, mediante il graduale passaggio dalle grandi aree tematiche alle discipline. Anche il ciclo secondario durava sei anni e si articolava "nelle grandi aree umanistica, scientifica, tecnica, tecnologica, artistica e musicale ed ha la funzione di consolidare e riorganizzare le capacità e le competenze acquisite nel ciclo primario, di arricchire la formazione culturale, umana e civile degli studenti, sostenendoli nella progressiva assunzione di responsabilità, e di offrire loro conoscenze e capacità adeguate all'accesso all'istruzione superiore universitaria e non universitaria ovvero all'inserimento lavorativo", il primo anno si caratterizzava "per la prevalenza degli insegnamenti fondamentali [...]", il secondo ed il terzo anno "per l'approfondimento degli insegnamenti comuni e per la progressiva estensione dell'area degli insegnamenti disciplinari specifici dell'indirizzo prescelto [...]", ed infine il trienni finale riguardava gli insegnamenti specifici a ciascun indirizzo. Si accennava inoltre, alla formazione degli adulti, alla formazione continua ed all'istruzione tecnica superiore. Nel frattempo Forza Italia ed Alleanza Nazionale presentano le loro proposte di riforma della scuola. Forza Italia propone di rimodulare la scansione, dopo la scuola d'infanzia, in tre gradi scolastici: primo grado, dai 6 ai 10 anni, secondo, dai 10 ai 14, terzo, dai 14 ai 18; inoltre abolizione del valore legale del titolo di studio, parità scolastica, formazione professionale a partire dai 12 anni di età, riforma della professione insegnante e l'elevazione dell'obbligo scolastico a 16 anni. Il testo di Alleanza Nazionale prevedeva la scansione Scuola Materna, Scuola di Base, Scuola Secondaria (biennio propedeutico agli studi del triennio), il Liceo unico, con cinque indirizzi, e l'Istituto Tecnico con molti indirizzi, la riforma dell'esame di maturità, l'autonomia della scuola, parità scolastica e l'istituzione dell'Ordine Nazionale dei Docenti (simile a quello dei medici, avvocati e notai). Con la Legge 10 dicembre 1997, n. 425 viene riformato l'esame di maturità. L'esame di Stato comprende tre prove scritte e un colloquio. La prima riguarda la Lingua Italiana, la seconda una delle materie caratterizzanti l'indirizzo di studio e la terza, multidisciplinare, è una serie di quiz a risposta multipla. Il colloquio si verte su argomenti multidisciplinari. Il punteggio di valutazione, passa dai sessantesimi ai centesimi e viene introdotto il credito formativo. I commissari saranno membri interni alla scuola. Il presidente della commissione è esterno. La riforma viene avviata con l'anno scolastico 1998-99. Anni duemila Riforma Moratti Le elezioni politiche del 2001 vengono vinte dalla coalizione di centro-destra guidata da Silvio Berlusconi. Viene nominata Ministro per la Pubblica Istruzione Letizia Moratti, che presenta una proposta di radicale riforma del sistema scolastico, suscitando consensi e dissensi accesi su fronti opposti. 2006-2007 Le elezioni del 2006 vengono vinte dalla coalizione guidata da Romano Prodi. Come Ministro dell'Istruzione viene scelto Giuseppe Fioroni. Con il nuovo governo viene bloccata l'attuazione dei provvedimenti riguardanti il secondo ciclo di studi della Legge 53/2003. Nell'estate 2006 il ministro propone una revisione dell'esame di Stato (l'ex esame di Maturità), che va verso un irrigidimento: non ammissione degli studenti con debiti formativi nel triennio non saldati, ritorno delle commissioni miste. Nelle misure della finanziaria 2007 viene riportato l'obbligo scolastico a 16 anni, mentre, in precedenza, era solo un "diritto all'istruzione fino a 16 anni". Intanto alcune associazioni legate alla sinistra e alla CGIL-FLC raccolgono firme per la Legge di Iniziativa popolare per una buona scuola della Repubblica, con lo scopo di elevare l'obbligo scolastico a 16 anni, la costituzione del "biennio unitario" della scuola secondario superiore e il ridimensionamento del numero di indirizzi. Il 4 agosto del 2006, per la prima volta nella storia repubblicana,viene presentata alle istituzioni parlamentari una Legge di iniziativa popolare che interviene in modo organico sulla scuola, dalla materna alla media superiore, supportata da oltre 100.000 firme di cittadini e cittadine (Legge n° 1600 della XVª Legislatura). Nell'autunno dello stesso anno, e sempre per la prima volta, una legge di iniziativa popolare viene assunta per la discussione nella commissione competente. Il dispositivo legislativo nasce "dal basso" su iniziativa di alcuni comitati di genitori e docenti che si erano opposti alle leggi di "riforma" proposte dai governi precedenti, movimento che si estende a tutto il territorio nazionale coinvolgendo trasversalmente i più diversi strati sociali e culturali. Il ministro Fioroni ha inoltre reintrodotto i rimandi estivi al posto dei debiti formativi. I rimandi estivi furono introdotti per la prima volta nel 1923 durante la riforma Gentile e poi furono aboliti nel 1995. 2008 Il 29 ottobre il Parlamento ha convertito in legge il decreto proposto dal Ministro Gelmini che modifica il metodo di valutazione degli studenti nella scuola primaria, introducendo il voto con corrispondenza, e quello della scuola secondaria di primo grado, con il voto assoluto, e reintroduce il maestro unico nella scuola elementare, provocando diverse manifestazioni contrarie in tutta Italia. La riforma Gelmini[16] ha riacceso il dibattito sul maestro prevalente nella scuola primaria. Sul piano pedagogico si è sottolineato che da un lato potrebbe favorire l’unità interiore degli alunni, in una società che è caratterizzata dall’eccesso di informazioni e di stimoli, dall’altro che però potrebbe causare una minore specializzazione disciplinare dei docenti. Sul piano sociale è stata sottolineata la grave situazione in cui verranno a trovarsi i docenti precari in conseguenza delle riduzioni di personale. A questo proposito è obiettato però che la funzione della scuola non è quella di essere un ammortizzatore sociale, e che l’errore è stato a monte, quando nel 1990 si scelse di introdurre il modulo per ragioni – secondo alcuni – soprattutto sindacali. UD 2: Gli organi collegiali della scuola Gli Organi collegiali della scuola In particolare nella scuola gli organi collegiali sono organismi, composti dalle varie componenti, con compiti di governo e di gestione delle attività scolastiche. Si distinguono in: • • organi collegiali territoriali organi collegiali scolastici. Rappresentanza Con la riforma della scuola si è attribuito ai genitori un ruolo fondamentale. Per questo si è prevista la partecipazione al progetto scolastico da parte dei genitori e pertanto, escluso il solo Collegio dei Docenti, si prevede in tutti gli organi collegiali la rappresentanza dei genitori. Composizione degli organi scolastici Consiglio di intersezione • Scuola materna: tutti i docenti e un rappresentante dei genitori per ciascuna delle sezioni interessate; presiede il dirigente scolastico o un docente da lui delegato. Consiglio di interclasse • Scuola elementare: Il consiglio di interclasse è composto da tutti i docenti e un rappresentante dei genitori per ciascuna delle classi interessate; presiede il dirigente scolastico o un docente, da lui delegato. Consiglio di classe • • Scuola media: tutti i docenti della classe e quattro rappresentanti dei genitori; presiede il dirigente scolastico o un docente, da lui delegato. Scuola secondaria superiore: tutti i docenti della classe, due rappresentanti dei genitori e due rappresentanti degli studenti; presiede il dirigente scolastico o un docente da lui delegato. Consiglio di circolo • Circoli didattici: o scuole con popolazione scolastica fino a 500 alunni, 14 componenti, di cui 6 rappresentanti del personale docente, uno del personale amministrativo, tecnico e ausiliario, 6 dei genitori degli alunni, il dirigente scolastico; scuole con popolazione scolastica superiore a 500 alunni 19 componenti, di cui 8 rappresentanti del personale docente, 2 rappresentanti del personale amministrativo, tecnico e ausiliario 8 rappresentanti dei genitori degli alunni, il dirigente scolastico; o Presidente del consiglio di circolo è uno dei membri, eletto tra i rappresentanti dei genitori degli alunni. • • Giunta esecutiva è composta da: o un docente, o un impiegato amministrativo o tecnico o ausiliario, o 2 genitori. o il dirigente scolastico, che la presiede, il direttore dei servizi generali e amministrativi che ha anche funzioni di segretario della giunta. • Consiglio d'Istituto • o Scuola media: scuole con popolazione scolastica fino a 500 alunni, costituito da 14 componenti, di cui: 6 rappresentanti del personale docente, uno del personale amministrativo, tecnico e ausiliario, 6 dei genitori degli alunni, il dirigente scolastico; scuole con popolazione scolastica superiore a 500 alunni costituito da 19 componenti, di cui 8 rappresentanti del personale docente, 2 rappresentanti del personale amministrativo, tecnico e ausiliario, 8 rappresentanti dei genitori degli alunni, il dirigente scolastico; Il presidente è eletto tra i rappresentanti dei genitori degli alunni. • • Giunta esecutiva o scuola media è composta da un docente, un impiegato amministrativo o tecnico o ausiliario, 2 genitori. il dirigente scolastico, che la presiede, il direttore dei servizi generali e amministrativi che ha anche funzioni di segretario della giunta . Scuola secondaria superiore: o scuole con popolazione scolastica fino a 500 alunni, 14 componenti, di cui 6 rappresentanti del personale docente, uno del personale amministrativo, tecnico e ausiliario, 3 dei genitori degli alunni, 3 degli alunni, il dirigente scolastico; o scuole con popolazione scolastica superiore a 500 alunni è costituito da 19 componenti, 8 rappresentanti del personale docente, 2 rappresentanti del personale amministrativo, tecnico e ausiliario, 4 dei genitori degli alunni, 4 degli alunni, il dirigente scolastico; Il presidente viene eletto tra i rappresentanti dei genitori degli alunni. • La Giunta esecutiva è composta da o un docente, o un impiegato amministrativo o tecnico o ausiliario, o un genitore o uno studente. o il dirigente scolastico, che la presiede, o il direttore dei servizi generali e amministrativi che ha anche funzioni di segretario della giunta stessa