PRIMO PIANO Sabato 6 Maggio 2017 7 Anche se molti media nostrani hanno descritto il suo, come un grande viaggio politico Di Maio invitato da studenti Usa Viene visto come l’esponente del movimento di un comico Italia si considerano i fenomeCESARE MAFFI ni nostrani. Non si dice che si on si dice che la puntata guardi ai cinque stelle come si di Luigi Di Maio negli guardava all’onorevole CiccioStati Uniti sia assurta lina, ma insomma quello che ai livelli del viaggio che traspare sotto sotto, e anche in nel 1978 Giorgio Napolitano superficie, è una riflessione del compì dietro invito dell’univer- tipo: guarda un po’ che combisità di Princeton e di altre isti- nano questi italiani, sempre i tuzioni, primo dirigente del Pci soliti. Per mezzo mondo siamo approdato ufficialmente Oltre- il Paese che ha dato i natali oceano, vigente il governo An- al fascismo e alla mafia e alle dreotti del compromesso stori- brigate rosse. Sì, ci vedono non co. Gli echi mediatici sono stati soltanto come mandolinari e pizzaioli, ben più modesti, perché siamo com’è evidenconsiderati te. Tuttavia un popolo che un risultato il diede sommi M5s l’ha ragartisti; ma che giunto: i mezzi l’Italia possa d’informazione esprimere la si sono intemaggioranza ressati dell’inrelativa dei significante propri voti presenza del per un movivicepresidenmento incarte grillino di nato da un ex Montecitorio, comico e che in genere quadomani possi accreditando sa affidare il la sua dimenLuigi Di Maio governo a un sione interDi Maio, non nazionale. Lo solleva entusiasmi e riconoprendono sul serio. A poco sono valse le preci- scimenti. Se si scava nelle dichiasazioni che l’invito era giunto da una semplice associazione razioni e nelle interviste di studenti; che non risultano dell’esponente grillino, si scoeffettuati incontri politici; che pre che l’incursione aerea orl’interesse dimostrato in genere dinata da Donald Trump in da molti osservatori esteri pare Siria è da lui liquidata con un ispirato alla considerazione riferimento al costo dei missili sussiegosa con la quale da fuori e alla preferenza per un lancio DI N dell’equivalente in denaro. Si costata altresì la sua propensione verso l’alleanza sudamericana di cui fanno parte Cuba e Venezuela. È inutile darsi la pena di cercare limiti e incongruenze, assurdità e smentite, opinioni sballate e sciocchezze allo stato puro, in questo o quel pentastellato, da Grillo in giù. Bastano pochi numeri: 28,2% (Ixè), 28,6% (Emg), 30.2% (Index Research), 26,8% (Bidimedia), 30% (Demopolis). Sono i risultati di recenti sondaggi, con l’indicazione degli istituti che li hanno svolti, sul peso che il M5s avrebbe fra gli elettori. Ovvio che gli studenti americani, e non sol- tanto loro, restino incuriositi o stupefatti di fronte a un simile fenomeno, che non arretra di fronte a nulla, né al nullismo della sindaca capitolina, né alle sparate estere e interne dei parlamentari, né ai qui lo dissi e qui lo rinnego di Grillo. © Riproduzione riservata LO DICE IL CONFLITTO MACRON-LE PEN, TRASCURATO IN ITALIA DAL PD Periferia-grandi centri, anziché destra-sinistra D estra e sinistra riposte in soffitta: l’ideologia di questo tempo è: «Periferia contro grandi centri». La sfida Macron-Le Pen ha rimarcato ulteriormente la tendenza: le grandi città (seppur alle prese con sanguinanti problemi nelle periferie multietniche) aperte alla mondializzazione, dotate di tutti i servizi h24, contro le campagne, quest’ultime arroccate in difesa di quel poco che non è stato ancora spazzato via dalla crisi economica e dello Stato. Con Le Pen c’è la provincia rurale, quella dei villaggi con un solo negozio che vende un po’ di tutto, la Francia degli autobus che raccolgono i fedeli delle parrocchie spopolate per poter celebrare una messa e quella che fa notizia solo quando a luglio passa il Tour de France. Marine ha insistito su questo tasto, tanto da dedicare qualche ora (in questi giorni frenetici) alla visita di un paesello di sole 277 persone dove non prendono i cellulari. In questi luoghi del Nord del Francia, Macron non è la scelta. Vale anche per casa nostra: il Pd nell’Italia appenninica delle Poste tagliate, delle guardie mediche a rischio e dei telefonini senza internet, quasi non esiste. Si limita a fare un giro ogni tanto, quando frana una strada o crolla un ponticello. In Emilia-Romagna tante realtà hanno già respinto le fusioni tra i piccoli comuni, tanto sponsorizzate e strombazzate dai dirigenti locali del partito: quantomeno il sindaco, lo vogliono vedere all’opera in paese e non a qualche chilometro di distanza. Questa tensione sociale che serpeggia è contenuta, trattenuta e poi rilanciata (ma solo a voce o con dei post sui social) da forze come il Front National o il Movimento 5 Stelle e la Lega Nord. La provincia si dimostra poco ideologica, cambia idea in fretta e appoggia coloro che si fanno vedere sul territorio. È ora che il Pd parli anche a questa gente, se non vuole avere un Front National potenzialmente in grado di mandarlo a casa nel 2018. Più che un Renzi con il trolley, serve un Pd con gli scarponi e gli stivali. Filippo Mulazzi LA VERA SINISTRA È UNA FORMAZIONE CHE HA IMPASSIBILMENTE ACCUMULATO TRENT’ANNI DI RITARDO Non c’è più tempo per occuparsi di Bersani e dei suoi assessori perduti Se ne farà una ragione. Tanti saluti e abbracci alla famiglia e ai figli DI R GIUSEPPE TURANI enzi e il Pd faranno come pare a loro, ma, da osservatori, va detto, e chiaramente, che con certi pastrocchi sarebbe anche ora di finirla. Nel mondo, le cose si muovono. In Francia c’è Macron, adesso sembra che anche in Inghilterra ci sia qualcosa di nuovo. E noi qui sempre a perdere tempo con gente che, in perfetta malafede, rivendica l’aderenza ai grandi valori della sinistra italiana? Cioè di una formazione politica che ha accumulato almeno vent’anni, se non trenta, di ritardo. Una «vera sinistra» che si è battuta contro la riforma del 4 dicembre, bloccando il rinnovamento del paese. Che sta dietro agli sforzi sovrumani (e dissennati) della Cgil (cara, vecchia cinghia di trasmissione) per bloccare qualsiasi novità, ferma a uno schema padroni/operai che non ha più alcun senso. Una «vera sinistra» obsoleta perché non parla, fateci caso, di niente, se non di se stessa e del nemico Renzi. Nulla sappiamo di quello che vorrebbero fare, se non rimettere insieme un vecchio cocktail: un po’ di partito, tanto sindacato, tante di- scussioni con tutti, poche o nessuna cosa fatta. Qui, invece, c’è un paese da rimettere in corsa, un’Europa da rifare, nuovi protagonisti con cui tessere un dialogo (da Macron all’inglese Gina Miller). Non c’è più il tempo per occuparsi di Bersani e dei suoi assessori perduti. Se ne farà una ragione. Orgogliosamente, lui e D’Alema se ne sono andati: tanti saluti, abbracci alla famiglia e ai figlioli. Ma, e l’unità delle sinistre? Gli sforzi di Pisapia? L’unità delle sinistre sarebbe una bellissima cosa. Ma con i personaggi che girano oggi (da Emiliano a quelli appena nominati) sarebbe un’unità a livelli talmente bassi da rasentare lo zero assoluto, altri vent’anni di cianfrusaglie e di chiacchiere sulla classe operaia da spedire in Paradiso. Serve a qualcosa, visto che se ne parla, ricordare agli amici prodiani che i due governi del Professore sono stati affondati proprio da quella stessa vera sinistra verso la quale oggi dovremmo avere tanti riguardi? Mica da Berlusconi, dai suoi stessi ministri. La vera sinistra italiana è fatta di gente vecchia, superata dal mondo, ma contiene anche una buona dose di traditori, di leninisti d’annata. Come si è visto con Prodi e con Renzi. Tutto questo, tutta questa gente, è una pesante eredità storica della sinistra italiana, ma non serve a niente. Sono figure inutili, protagonisti, al massimo, di qualche saga familiare. Di qualche rivendicazione di ruoli dove non li vuole più nessuno. Hanno speso tante parole e comparsate televisive per fare le pulci alle primarie del 30 aprile. Bene, facciano le loro primarie, ci mostrino il popolo delle bandiere rosse con la falce e il martello. Però, è bene avvisarli, meno di 100 non vale. Avanzi di una storia non sempre gloriosa. La controprova si ha nel loro comportamento. Non sono rilevabili divergenze apprezzabili su da farsi, ma solo sul fatto che il da farsi li lasci a terra. Ormai sono dissonanti, estranei, a tutta la vicenda moderna del socialismo europeo, che in Francia, ad esempio, è oggi guidato da un ex banchiere. E che forse domani in Inghilterra avrà Gina Miller (un’imprenditrice) come prima stella, se i labour si decidono a mandare a casa l’inetto e ambiguo Corbyn. Ma questo nuovo Pd, una volta scaricata la sua storia meno interessante, che cosa deve fare? La risposta più veloce potrebbe essere: guardarsi intorno. In Europa non mancano esempi di paesi ben gestiti, con buone leggi e buone classi dirigenti. Persino la Spagna del conservatore Rajoy oggi fa più bella figura dell’Italia. In termini più espliciti quello che c’è da fare è chiaro a tutti da almeno vent’anni: sciogliere i nodi che oggi legano l’Italia. Burocrazia, familismo amorale a tutti i livelli, gestione familistica di qualsiasi cosa. E più concorrenza. In ogni mercatosocietà agiscono tre soggetti: Stato, famiglie, imprese. Dei tre, lo Stato è per definizione e per esperienza il più lento, il più burocratico, il più inefficiente. Quindi meno reddito nazionale maneggia, meglio è. La rivoluzione da fare è tutta qui, e è sempre la stessa: lasciare che i mercati si esprimano. Marchionne, per salvare, la Fiat ha dovuto prima lasciare la Confindustria (una fabbrica di parole) e poi addirittura l’Italia. Vorremmo che i prossimi Marchionne potessero fare qui, in questo bellissimo e sfortunato paese, le loro magie. Ci basta questo. U&B - Uomini & business