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PARTE I
UN CONCETTO DEL DIRITTO
PER LA SCIENZA GIURIDICA
CAPITOLO I
CONCEZIONI DEL DIRITTO
1. Tre concezioni del diritto.
Poiché l’idea del diritto, definito in un modo o in un altro, condiziona
corrispondentemente il metodo della scienza giuridica, vale a dire il suo
modo di pensare le leggi, i concetti e il suo stesso modo di ragionare logicamente, il primo dei compiti di una metodologia giuridica non può essere che una chiarificazione di questa idea che costituisce la conoscenza
di sfondo del lavoro del giurista, il quadro concettuale entro il quale la
scienza giuridica si muove.
Il concetto del diritto è di fatto operante in tutti i procedimenti della
scienza, ma tacitamente: la scienza lo presuppone e lo usa ma non lo teorizza. Teorizzarlo è piuttosto compito di quella che si dice teoria generale
che è una parte, il primo capitolo si potrebbe dire, della filosofia del diritto: è il problema del quid ius che non a caso Kant affidava al filosofo, lasciando al giurista il problema del quid iuris. E nella filosofia, forse più
che in altri campi dell’umana sapienza, i problemi sono aperti alla discussione senza dogmi o postulati, e di conseguenza le soluzioni che il
pensiero trova per essi non hanno il carattere dell’unicità apodittica bensì
quello della pluralità dialettica. Non sorprende perciò che alla domanda
“quid ius, che cosa è il diritto?” siano state date molte e diverse risposte.
Non è possibile né qui è necessario compierne una completa rassegna.
Ci si può limitare a indicarne alcune che, per la tradizione di cui sono nutrite e per il fatto che tengono, quale più quale meno, tuttora il campo, si
possono considerare tra le concezioni culturalmente più significative e
più verosimilmente presupposte dalla scienza giuridica. Queste si raggruppano in tre indirizzi di pensiero, che possiamo designare, e spesso
sono stati designati, come concezioni giusnaturalistiche, sociologiche e
normativistiche del diritto.
Esse corrispondono ai tre modi di pensare il diritto cui si è fatto cenno
poco sopra (Prologo, § 3): le concezioni giusnaturalistiche lo pensano
come un insieme di principi di giustizia, le concezioni sociologiche lo
P a r t e I – Un concetto del diritto per la scienza giuridica
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vedono come un insieme di fatti sociali, le concezioni normativistiche lo
definiscono come un insieme di norme vigenti. Il diritto cui si riferiscono
le concezioni normativistiche e quelle sociologiche è, in entrambi i casi,
lo ius conditum, il diritto positivo, fatto e realmente praticato dagli uomini in una data comunità. Queste due concezioni sono dette perciò positivistiche e si contrappongono al giusnaturalismo secondo il quale il diritto
vero e proprio esiste prima di ogni pratica e decisione umana, nei principi
apriori di giustizia, che costituiscono lo ius condendum, il modello cui
dovrebbe adeguarsi ogni diritto positivo. Esaminiamo più da vicino queste tre teorie.
2. Le concezioni giusnaturalistiche.
Nella sua versione più diffusa il giusnaturalismo afferma che il diritto
è il diritto naturale, l’insieme delle cose che è giusto fare o non fare e che
derivano in modo necessario dalla natura dell’uomo, dalle tendenze o finalità che in essa sono impresse. È una delle più antiche concezioni del
diritto e fa sentire ancora oggi la sua voce. Ce ne sono tracce già e persino tra i sofisti, si è arricchita dei contributi di Aristotele, degli apporti
degli stoici e di S. Tommaso, e ha vissuto la sua stagione più rigogliosa
all’inizio dell’età moderna nel pensiero di filosofi come Grozio, Hobbes,
Locke, Rousseau. Ci sono state epoche, p.e. l’ottocento, che hanno invece
visto il suo declino, ma si tratta di intervalli. Qualcuno ha parlato di un eterno ritorno del diritto naturale, ed effettivamente esso risorge soprattutto
in seguito a momenti di crisi della civiltà e del diritto positivo, quando al
di là di questo e degli smarrimenti episodici dell’uomo si cerca nel profondo dell’uomo stesso un punto di riferimento costante e sicuro. Così la teoria del diritto naturale ha avuto diversi risvegli nel novecento, che più di
una volta ha vissuto questi momenti critici. Fra i sostenitori del giusnaturalismo del novecento si possono ricordare, per fare solo pochi nomi, J. Maritain, G. Del Vecchio, F. Olgiati e nei tempi più recenti S. Cotta.
Né è da credere che le dottrine giusnaturalistiche siano rimaste per aria, lontane dalla realtà dello stesso diritto positivo, sul quale invece non
di rado hanno esercitato una influenza storicamente importante. Senza
entrare nell’esame di norme e istituti particolari, basterebbe pensare, al
livello dei princìpi, che molte delle dichiarazioni dei diritti che dal settecento ad oggi si sono sempre più frequentemente succedute hanno tratto
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ispirazione dal giusnaturalismo e si sono servite del suo tipico linguaggio. La Dichiarazione dei diritti della Virginia del 1776 riconosceva i diritti innati degli uomini. La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino approvata dall’assemblea costituente francese nel 1789 parlava
esplicitamente dei diritti naturali dell’uomo. Non cita il diritto naturale la
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata dall’Assemblea
generale delle Nazioni unite nel 1948, ma si sa che sulla sua elaborazione
ha influito il pensiero del Maritain.
Malgrado ciò, il giusnaturalismo, rispetto alle altre concezioni, è quella che ha minore seguito nella scienza giuridica contemporanea, almeno
come definizione totale del diritto. Generalmente, il giurista – giudice,
avvocato, funzionario, esperto o studioso del diritto – non ha in mente
l’idea che il diritto che deve conoscere, interpretare e applicare è
nient’altro che il diritto naturale da cercare nelle profondità della natura
umana. Il giurista e la scienza giuridica guardano al diritto positivo e presuppongono del diritto un concetto sociologico o normativistico. E tuttavia non va sottovalutato un possibile ruolo del giusnaturalismo nella stessa scienza. Se esso non può costituire tutta la definizione del diritto, può
conservare un posto come suo complemento, come insieme di principi ai
quali si riconosce la funzione di integrare il diritto positivo, nella interpretazione, nella soluzione dei casi dubbi e nel colmare le inevitabili lacune che esso presenta. Non è soltanto un’ipotesi, è una tesi che, come si
vedrà, si è affacciata con pluralità di voci nella recente cultura giuridica
europea e d’oltreoceano.
3. Le concezioni sociologiche.
Le concezioni sociologiche vogliono presentarsi come il modo più
concreto di pensare il diritto, e in questo senso si oppongono sia al giunaturalismo sia al normativismo entrambi accusati di astrattezza: il diritto
del giusnaturalismo è ideale, lontano dalla esperienza giuridica quotidiana, il diritto del normativismo è norma, legge, che sta solo sulla carta dei
codici. Il diritto vero, secondo le concezioni sociologiche, è nei fatti che
costituiscono la realtà sociale. Ma questa è una caratterizzazione generica, perché, come le altre concezioni, quelle sociologiche non formano
una sola teoria ma una famiglia di dottrine. Di esse citerò qui le due più
note: l’istituzionalismo e il realismo giuridico.
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L’istituzionalismo identifica il diritto con quella che è la realtà sociale
più ampia e comprensiva, e cioè con l’intera società organizzata, con
l’organizzazione sociale, cui dà il nome di istituzione. Non che
l’istituzionalismo neghi l’esistenza delle norme nel diritto. Solo che, secondo questa teoria, le norme non sono il prius logico, la prima fonte, del
diritto, come vorrebbe il normativismo, perché a loro volta esse sono creature ed elementi di un’istituzione: è l’organizzazione che produce le
norme, non viceversa. L’essenza della giuridicità è nella società organizzata: c’è diritto ovunque si trovi una società organizzata e viceversa: ubi
ius ibi societas, ubi societas ibi ius.
L’idea della società e del diritto come organizzazione, anzi come organismo, ha trovato storicamente espressione in chiavi diverse. È un’idea
presente, p.e., nella concezione platonica dello Stato: Stato bene organizzato (con le tre classi di custodi, artigiani e guerrieri) ed organismo umano (con le tre facoltà, razionale, irascibile e concupiscibile) si assomigliano perfettamente. Nello Stato hegeliano è ancora l’organizzazione
che si celebra nella sua forma pienamente razionale: lo Stato è la totalità
più alta prodotta dall’eticità, la totalità organizzata, vero e proprio organismo di cui la costituzione è la legge. E, su un versante speculativo del
tutto diverso, il concetto dell’organizzazione e dell’organismo sociale si
ritrova nella filosofia di Comte: la società, dice, è un organismo simile a
quello biologico, in cui le diverse parti si coordinano e si potenziano.
Ma senza dubbio l’istituzionalismo è teoria che si è affermata essenzialmente nei tempi moderni, in gran parte in seguito allo sviluppo dei
fenomeni organizzativi verificatisi nello Stato contemporaneo pluriclasse. Tra i giuristi che possono ritenersi i padri dell’istituzionalismo vanno
ricordati specialmente il francese Maurice Hauriou e l’italiano Santi Romano. Benché la loro concezione del diritto in quanto tale appartenga più
alla teoria generale che alla giurisprudenza, il fatto che questi autori siano giuristi è il segno di una certa influenza che l’istituzionalismo può esercitare e ha esercitato sulla scienza giuridica.
Secondo l’istituzionalismo anzitutto cade la tesi tradizionale secondo
cui diritto è solo quello di uno Stato. Dalla premessa che dovunque c’è
una società organizzata lì c’è un diritto, discende la conseguenza della
pluralità dei tipi degli ordinamenti giuridici: poiché ci sono società organizzate che non sono degli Stati, ci sono forme di diritto non statuale. Fra
queste c’è il diritto internazionale che non è statuale perché non si identifica con uno “Stato internazionale”, e che secondo la dottrina tradizionale
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potrebbe tuttavia considerarsi diritto ma con l’artificio di ritenerlo dipendente dalla volontà dei vari Stati. L’istituzionalismo semplifica il problema: il diritto internazionale è autonomo rispetto ai diritti degli Stati e
deve la sua giuridicità al fatto che è un’istituzione con una propria organizzazione.
L’istituzionalismo si è rivelato teoria utile oltre che nel campo del diritto internazionale, in altri settori della scienza giuridica: nell’ambito del
diritto costituzionale e dello stesso diritto privato (non va dimenticato
che la teoria delle istituzioni e delle fondazioni, come organizzazione di
persone e di beni, è cominciata sul terreno privatistico).
Tuttavia, se l’istituzionalismo ha offerto contributi settoriali alla scienza
giuridica, non si può dire che la sua concezione costituisca nel complesso
il concetto di diritto che comunemente il giurista presuppone: il richiamo
alle norme e l’idea del diritto come insieme di norme, il normativismo
insomma, rimane nel suo lavoro il riferimento orientativo più naturale.
Più scarso seguito presso di noi, e in generale in Europa, ha avuto il
realismo giuridico. Questo si è diffuso negli Stati Uniti nei primi decenni
del novecento e i principali rappresentanti ne sono O.W. Holmes, K.
Llewellyn e J. Frank. Il realismo pone al centro dell’attenzione non l’intera società ma un tipo particolare di fatti sociali, l’attività decisionale dei
tribunali e tende ad identificare con questo genere di fatti l’intero diritto:
il diritto, diceva Holmes, altro non è che l’insieme delle sentenze emesse
dai magistrati. Ne segue che conoscere il diritto è prevedere, in ciascun
caso concreto, quella che potrà essere la decisione del giudice: la scienza
giuridica viene risolta nella previsione probabilistica di un fatto. E come
l’istituzionalismo afferma che non c’è diritto prima dell’istituzione, così
il realismo giuridico afferma che non c’è diritto prima delle decisioni dei
tribunali. Neppure il realismo nega l’esistenza di norme e di leggi, ma dice che una norma, una legge, esiste nella misura in cui essa trova riscontro
nella prassi giudiziaria: questa, ritiene, è il vero fondamento del diritto.
4. Le concezioni normativistiche.
Secondo le concezioni normativistiche, il diritto è un ordinamento
normativo vigente: un insieme di norme poste da certi soggetti e nel
complesso osservate da una certa comunità. Diritto vigente o positivo
dunque nel duplice senso: che è posto dagli uomini ed è effettivamente
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