L`eutanasia - Il barattolo delle idee

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FEBBRAIO 28, 2017 BY IL BARATTOLO DELLE IDEE 3 COMMENTS
Eutanasia: Il caso di DJ FABO
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L’idea che si morirà è più crudele del morire, ma meno dell’idea che un altro
sia morto. Marcel Proust
L’eutanasia: una questione ancora
aperta:
L’eutanasia è la buona morte (εὔ-, bene e θάνατος, morte). È il procurare
intenzionalmente la morte di un individuo la cui qualità della vita sia
compromessa in modo irreversibile. Il tema dell’eutanasia è tornato in auge
con il caso di DJ-FABO. Già prima di lui furono tristemente famosi il caso
di Pergiorgio Welby e del padre di Eluana Englaro. Ma è giusto che sia sempre
l’emergenza a metterci di fronte al problema? O forse la cronicizzazione frutto
del progresso medico richiede che ci si occupi della questione in modo
dettagliato?
Quando si parla di eutanasia il primo errore da non fare è dividere tra “buoni” e
“cattivi”. Non ci sono assassini favorevoli all’eutanasia o torturatori contrari. Di
fronte a noi abbiamo solo tragedie che determinano scelte drammatiche in tutti
i casi. Siamo degli osservatori esterni di un dramma intimo che andrebbe
innanzitutto rispettato. Questo a prescindere da come la pensiamo.
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Fammi sapere se ti piace l’articolo.
Perché non è consentita l’eutanasia?
La nostra legislazione non vieta esplicitamente il suicidio, tuttavia l’art. 5 del
codice civile parla chiaro:
Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando
cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica (1), o
quando siano altrimenti contrari alla legge (579 c.p.), all’ordine
pubblico o al buon costume (32 Cost.).
Non disponiamo in assoluto del nostro corpo. Ancorché nessuno può
togliermi un capello senza il mio consenso, non posso nemmeno tagliarmi un
braccio senza motivo. La nostra dimensione privata è sempre in relazione a
quella pubblica. In molti casi è il senso comune a lasciare interagire le due sfere.
In caso di conflitto, però, serve una legge che dirima la questione. Legge che
in questo caso manca. Nello specifico l’istinto di sopravvivenza ci suggerisce
che è bene dissuadere il singolo dal tentativo di suicidarsi. Un buon amico e un
bravo psicologo ci liberano quasi sempre dal dilemma etico dell’impedire
coattivamente l’autolesione (contenzione fisica o farmacologica). Esistono però
dei casi limite in cui vietare il suicidio non è così scontato. I martiri sono per
esempio simbolo di virtù e santità, così come coloro che sacrificano la loro vita
per salvare il prossimo. Infine c’è l’eutanasia, suicidio sui generis, perché
richiede l’aiuto di una terza persona.
Eutanasia,
accanimento
teraputico,
interruzione delle cure: che confusione!
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Sono certo che se sei arrivato sin qua l’articolo ti è piaciuto.
L’eutanasia non è però da confondere né con l’accanimento terapeutico, né
con l’interruzione volontaria delle cure.
L’accanimento terapeutico
Come suggerisce la stessa espressione si riferisce ad un eccesso di cure in
pazienti che non hanno possibilità di migliorare le loro aspettative di vita. L’idea
di non accanirsi fa tuttavia parte del senso comune. Su di essa c’è un consenso
ampio. Nessuno infatti oggi mette più in discussione che sia giusto “arrendersi”
quando l’organismo ha già ceduto. Ho scritto un articolo in proposito che puoi
trovare qui. In questo senso hanno “giovato” l’aumento delle malattie croniche
e l’introduzione delle cure compassionevoli o terapie del dolore.
L’interruzione volontaria delle cure
Avrete senz’altro notato che ogni procedura invasiva in Ospedale è preceduta
dalla firma di un consenso informato. Già all’art. 32 della costituzione si legge:
“Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento
sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in
nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”
Il consenso al trattamento va quindi chiesto, salvo casi eccezionali, volta per
volta e può essere revocato in qualsiasi momento. È sempre possibile chiedere
l’interruzione delle cure e l’accompagnamento alla morte. Lo si può fare tutte le
volte che le cure si ritengano eccessive o che la prognosi non lasci speranza.
I finti casi di eutanasia
Fatte queste precisazioni, sarà facile comprendere come né il caso di Welby,
né quello di Eluana, siano casi di eutanasia. Per loro è stato infatti possibile
procedere in territorio italiano, fatto salvo l’iter giuridico tortuoso che hanno
dovuto affrontare. Che si tratti di assistenza alla respirazione invasiva o
alimentazione artificiale il paziente ha il diritto a che le cure possano essere
interrotte. Ha diritto, inoltre, a non provare dolore (Legge 15 marzo 2010 , n.
38).
Il caso Welby
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Il caso Eluana
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IL CASO DI DJ FABO E’ UN CASO DI
EUTANASIA?
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Adesso non hai più scuse, forza un bel like! :).
DJ FABO
Arriviamo però al caso tristemente in auge del dj Fabo, soggetto tetraplegico
e ceco a causa di un incidente. Dalle immagini si capisce che il paziente è
tracheotomizzato e supportato da un punto di vista respiratorio. Googlando
purtroppo non ho trovato altre informazioni al riguardo. Poniamo però che
quello somministrato sia solo un supporto alla respirazione di cui il paziente
potrebbe però fare a meno. Ci troveremmo di fronte un caso evidente di
eutanasia: Il soggetto interessato ci sta esplicitamente chiedendo di essere
aiutato a morire. Come nel caso di Welby e del padre di Eluana, il soggetto sta
reclamano un diritto. Poteva tentare scorciatoie, ma ha scelto la via della
lotta e della legalità.
L’eutanasia come “scelta terapeutica”:
possibile?
è
Fatta questa premessa: La questione a mio giudizio è: può l’Eutanasia essere
considerata una scelta terapeutica? Può essere intesa come parte
integrante della cura? E cosa vuol dire curare un paziente? Questo a mio
giudizio è l’unico senso che si può dare alla legalizzazione dell’eutanasia.
Veniamo tuttavia alle questioni morali:
Si tratta di un omicidio?
No, perché è il paziente che inietta da solo la dose letale di farmaco. È piuttosto
un aiuto al suicidio. Eravamo tutti d’accordo sul fatto che bisognasse impedire
alle persone si suicidarsi, no? No appunto! Ve lo dicevo che c’erano dei casi
limite. I medici, il personale infermieristico e tutta la struttura stanno rendendo
possibile il gesto, di fatto ne sono coresponsabili.
C’è una volontà esplicita del diretto interessato all’eutanasia?
Si che c’è ed è chiara, lucida e fondata su basi razionali. Dovremmo allora
rivedere la nostra posizione sul suicidio? Escluderei subito dalla discussione
tutte le condizioni in cui il desiderio di morire non è legato a deficienze fisiche.
Non stiamo qui a discutere se sia giusto impedire di morire ad un soggetto
malato di depressione. Però il problema resta e come. Dj Fabo ha considerato
la sua condizione non degna di essere vissuta: era tetraplegico. Un uomo
paralizzato dalle gambe in giù potrebbe chiedere di voler morire allo stesso
modo? E un ceco soltanto? Una persona dipendente dall’ossigeno?
Dall’insulina? Insomma chi decide qual’è la condizione degna di essere
vissuta?
Vorrei lasciare aperta la domanda, per la semplice ragione che a mio giudizio
non è possibile decidere in astratto. È necessario che quella dell’eutanasia non
diventi una brutta bandiera per la lotta dei diritti del malato. Però è
altrettanto necessario regolamentare casi limite come quelli di Dj Fabo. E’
necessaria vale a dire una legge sul trattamento di fine vita. Per farla c’è
bisogno del contributo di tutti. Di chi è a favore e di chi è contro, perché possa
essere redatta una legge equilibrata ed equa.
In conclusione
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Ci stiamo per salutare,che ne dici di lasciarmi un segno di
apprezzamento?
La mia idea è che bisognerebbe innanzitutto ridurre la questione circa
l’eutanasia ai veri casi di eutanasia. Non sto dicendo che non occorra fare il
possibile per dissuadere chi ha scelto di morire. Soltanto che alla fine della
fiera la scelta è la sua. La vita non è degna di essere vissuta in tutte le
circostanze. Non è un dono. Nessuno me l’ha regala. Se anche così
fosse, devo poter aver il diritto di restituirla indietro quando voglio. Chi può
decidere sul proprio corpo se non il legittimo proprietario? In uno Stato laico
chi altri può essere considerato il proprietario della propria vita se non il diretto
interessato?
In tutti i casi bisognerebbe mostrare rispetto per le scelte individuali.
Capisco che non sia corretto dire che disponiamo in tutto del nostro corpo,
neanche rispetto alla possibilità di danneggiarlo. Esiste pur sempre una
componente sociale della nostra disposizione su noi stessi (basti pensare al
concetto di “buon costume”). Credo la scelta andrebbe demandata al rapporto
terapeutico tra paziente e medico caso per caso. L’eutanasia dovrebbe
infine poter essere intesa come possibilità estrema della cura e non come
sua negazione.
Addio Dj Fabo ci rivendiam più tardi!
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Se hai dubbi o necessiti di chiarimenti, puoi commentare
l’articolo, sarò lieto di risponderti! Non dimenticare che puoi
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FILED UNDER: RIFLESSIONI TAGGED WITH: ART. 32, BUONA MORTE, CONSENSO INFORMATO, CURE
PALLIATIVE, DJ FABO, DOLORE, ELUANA ENGLARO, EUTANASIA, LUCA COSCIONI, MORTO IN SVIZZERA,
PIERGIORGIO WELBY, TERAPIA DEL DOLORE, TRATTAMENTO DI FINE VITA, WELBY
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Francesco Iervolino
Bellissima riflessione, mi trova totalmente d’accordo
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Maria Grazia Di Cristofalo
Credo che in assenza di criteri imparziali ed oggettivi sia difficile potere
decidere su quali basi una vita sia degna o meno di essere vissuta…
o
Alessio Farina
La questione a mio giudizio e a chi spetti la scelta o se in assenza di criteri
imparziali, che a mio avviso non troveremo mai, sia giusto comportarsi come
se fosse degna di essere vissuta in tutti i casi. Insomma vivere è un un dovere
etico o una scelta? E se anche fosse un dovere etico, esiste un’etica
universale tale che possa essere imposta senza derogne? O derogne
dovrebbero essere considerate possibili e regolamentate in un testamento
biologico?
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