Quaderno insegnanti l`alunno ADHD

L’alunno ADHD:
clinica-scuola-famiglia
una sfida da vincere insieme
Che cosa è L’ADHD?
(Tratto da: Manuale Minimo per Genitori ed Insegnanti elaborato da: Università degli Studi di Cagliari
Centro per lo Studio delle Terapie Farmacologiche in Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza
Clinica di Neuropsichiatria Infantile,
Dipartimento di Neuroscienze
Coordinamento scientifico e testi: Alessandro Zuddas;
Bernadette Ancilletta; Pinuccia Cavolina )
Il Disturbo da Deficit Attentivo con Iperattività (ADHD, acronimo per l’inglese Attention Deficit Hyperactivity
Disorder) è una delle patologie psichiatriche più importanti e frequenti ad esordio in età evolutiva: in Nord
America circa il 50% dei pazienti riferiti allo psichiatra infantile ricevono questa diagnosi. In Europa, ed in Italia
in particolare, l’utilizzo di differenti criteri di classificazione dei disturbi psichici fa sì che questo disturbo venga
raramente diagnosticato e ancora più raramente trattato in maniera efficace. Il disturbo può essere osservato con
differenti manifestazioni cliniche dall’età prescolare all’età adulta, coinvolge e può compromettere numerose
aree dello sviluppo e del funzionamento sociale del bambino, predisponendolo ad altra patologia psichiatrica e/o
disagio sociale nelle successive età della vita. L’aspetto più importante di questa patologia è che può essere
trattata con successo.
Comportamenti, sintomi e criteri diagnostici
Secondo i criteri della quarta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali redatto dalla
Associazione degli Psichiatri Americani (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders; DSM-IV,
APA 1994), il “Disturbo da deficit attentivo con iperattività” è caratterizzato da due gruppi di sintomi
(“dimensioni psicopatologiche”) definibili come inattenzione e impulsività/iperattività.
L’inattenzione (o facile distraibilità) si manifesta soprattutto come scarsa cura per i dettagli ed incapacità a
portare a termine le azioni intraprese: i bambini appaiono costantemente distratti come se avessero sempre altro
in mente, evitano di svolgere attività che richiedano attenzione per i particolari o abilità organizzative, perdono
frequentemente oggetti significativi o dimenticano attività importanti. L’impulsività si manifesta come
difficoltà, ad organizzare azioni complesse, con tendenza al cambiamento rapido da un’attività ad un’altra e
difficoltà ad aspettare il proprio turno in situazioni di gioco e/o di gruppo. Tale impulsività è generalmente
associata ad iperattività: questi bambini vengono riferiti “come mossi da un motorino”, hanno difficoltà a
rispettare le regole, i tempi e gli spazi dei coetanei, a scuola trovano spesso difficile anche rimanere seduti. Tutti
questi sintomi non sono causati da deficit cognitivo o ritardo mentale, ma da difficoltà oggettive
nell’autocontrollo e nella capacità di pianificazione.
Tutti i bambini possono presentare, in determinate situazioni, qualcuno dei comportamenti sopra descritti.
Qualsiasi bambino (e la gran parte degli adulti) tende a distrarsi ed a commettere errori durante attività
prolungate e ripetitive. Chiunque abbia accompagnato un bambino in un parco giochi ha sicuramente osservato
bambini di sei-sette anni correre da un gioco all’altro, disinteressandosi del proprio giocattolo preferito (magari
abbandonandolo in qualche angolo del parco senza ricordarsi dove) per irrompere poi in un gruppo di altri bambini ed inserirsi nel loro gioco. La ricerca delle novità e la capacità di esplorare rapidamente l’ambiente devono
essere considerati comportamenti positivi dal punto di vista evolutivo e come tale stimolati e favoriti.
Talvolta, però, tali modalità di comportamento sono persistenti in tutti i contesti (casa, scuola, ambienti di gioco)
e nella gran parte delle situazioni (lezione, compiti a casa, gioco con i genitori e con i coetanei, a tavola, davanti
al televisore, etc.) e costituiscono la caratteristica costante del bambino.
Questi bambini mostrano, soprattutto in assenza di un supervisore adulto, un rapido raggiungimento del livello di
“stanchezza” e di noia che si evidenzia con frequenti spostamenti da un’attività, non completata, ad un’altra,
perdita di concentrazione e incapacità di portare a termine qualsiasi attività protratta nel tempo. Nella gran parte
delle situazioni, questi bambini hanno difficoltà a controllare i propri impulsi ed a posticipare una gratificazione:
non riescono a riflettere prima di agire, ad aspettare il proprio turno, a lavorare per un premio lontano nel tempo
anche se consistente. Quando confrontati con i coetanei, questi bambini mostrano una eccessiva attività motoria
(come muovere continuamente le gambe anche da seduti, giocherellare o lanciare oggetti, spostarsi da una
posizione all’altra). L’iperattività compromette l’adeguata esecuzione dei compiti richiesti.
Questi bambini sono visti, nella gran parte dei contesti ambientali, come agitati, irrequieti, incapaci di stare
fermi, e sempre sul punto di partire. Un adulto può avere l’impressione che il bambino abbia difficoltà a
comprendere le istruzioni e faccia un uso improprio delle abilità di memoria.
L’incapacità a rimanere attenti ed a controllare gli impulsi fa sì che, spesso, i bambini con ADHD abbiano una
minore resa scolastica e sviluppino con maggiore difficoltà le proprie abilità cognitive: tale difficoltà può
comportare un minor punteggio ai test di intelligenza. In età scolare, difficoltà di attenzione, iperattività ed
irrequietezza possono anche far parte di un quadro più complesso di ritardo cognitivo di grado lieve o moderato,
oppure costituire uno dei sintomi caratteristici di un disturbo dell’umore, di tipo depressivo o bipolare, o di un
disturbo d’ansia. Frequentemente questi bambini mostrano “una assenza di savoir faire sociale” che, sebbene
non sia codifìcata nei manuali diagnostici, impedisce loro di cogliere quegli stimoli sociali non verbali che
modulano le relazioni interpersonali. I bambini con questo disturbo possono presentare associate difficoltà
scolastiche, disturbi comportamentali e di socializzazione o disturbi specifici dell’apprendimento.
Le manifestazioni possono variare con l’età
La presentazione clinica ed i criteri diagnostici sopra descritti sono riferiti a bambini in età scolare. Il deficit
attentivo può essere presente anche in età prescolare, associato talvolta a disturbi del sonno e più spesso a
disturbi della condotta con scoppi d’ira, comportamento oppositivo o aggressivo (aggredire i coetanei ed
impossessarsi dei loro giochi), assenza di timore per situazioni pericolose e frequenti lesioni accidentali.
Tali comportamenti, quando isolati o occasionali, sono da considerarsi appropriati all’età: quando costituiscono
la modalità di comportamento predominante, possono però impedire la maturazione della capacità di interazione
sociale, ed evolvere, all’inizio della scuola elementare, in un vero e proprio disturbo invalidante. Sintomi di
disturbo da deficit attentivo con iperattività possono essere osservati anche in adolescenti o in individui adulti. In
queste fasce di età l’iperattività si manifesta come senso interiore di irrequietezza piuttosto che come grossolana
iperattività motoria: l’inattenzione comporta difficoltà ad organizzare le proprie attività o a coordinare le proprie
azioni con conseguenti difficoltà scolastiche e sociali, frequenti incidenti in moto o d’auto etc.
Come diventano, da grandi i bambini con ADHD?
Fino a non molti anni fa si riteneva che il deficit attentivo e l’iperattività si risolvessero con l’età. In realtà
seguendo i bambini con ADHD, Dennis Cantwell, uno psichiatra infantile dell’Università della California a Los
Angeles, ha potuto osservare tre tipi di evoluzione. Per circa un terzo dei bambini, l’ADHD) costituisce una sorta
di “ritardo semplice nello sviluppo delle funzioni esecutive” (nei prossimi paragrafi spiegheremo cosa sono): in
pratica, all’inizio della vita adulta essi non manifestano più sintomi di inattenzione o di iperattività, indicando
che il disturbo era da correlarsi ad un ritardo di sviluppo delle funzioni attentive. Circa il 40 % dei bambini con
ADHD continuano a mostrare anche da adulti i segni di inattenzione ed iperattività, accompagnati talvolta da
difficoltà sociali ed emozionali.
Il rimanente 30% dei soggetti mostra invece una sorta di “cicatrici’ causate dal disturbo: divenuti adolescenti e
poi adulti queste persone mostrano oltre che sintomi di inattenzione, impulsività ed iperattività, anche altri
disturbi psicopatologici quali alcolismo, tossicodipendenza, disturbo di personalità antisociale. Il più importante
indice predittivo di tale evoluzione è la presenza, già nell’infanzia, di un disturbo della condotta associato
aII’ADHD.
Quando si può dire che un bambino è iperattivo?
La diagnosi di ADHD è essenzialmente clinica e si basa sulla osservazione clinica e sulla raccolta di
informazioni fornite dai genitori e da persone vicine al bambino, come educatori o insegnanti.
Per fare diagnosi di ADHD occorre che i sintomi prima i descritti impediscano in maniera significativa il
funzionamento sociale del bambino, che la compromissione funzionale sia presente in almeno due diversi
contesti (casa, scuola, gioco e altre situazioni sociali), che sia iniziata prima dei 7 anni di età e duri da più di 6
mesi.
Non esistono test diagnostici specifici per l’ADHD: i test neuropsicologici e le scale di valutazione sono utili per
misurare la severità del disturbo e seguirne nel tempo l’andamento; sono spesso cruciali per individuare
eventuali patologie associate (disturbi d’ansia o dell’umore, disturbi specifici dell’apprendimento) e per studiare
i meccanismi neuro-biologici che ne sono alla base. Quando si sospetta che un bambino possa essere considerato
come affetto da disturbo da deficit attentivo con iperattività occorre:
1. Raccogliere informazioni da fonti multiple (genitori insegnanti, educatori) eventualmente utilizzando
interviste semi-strutturate e/o questionari standardizzati sui diversi aspetti del comportamento e del
funzionamento sociale del bambino.
2. Un colloquio col bambino per verificare la presenza di altri disturbi associati; anche in questo caso, le scale
standardizzate di autovalutazione del bambino (ansia, depressione etc.) possono essere utili.
3. Valutare le capacità cognitive e l’apprendimento scolastico; valutare in maniera oggettiva le capacità
attentive, di pianificazione delle attività e di autocontrollo. Talvolta può essere utile valutare la possibile
presenza di disturbi del linguaggio.
4. Effettuare l’esame medico e neurologico, valutando la presenza di eventuali patologie associate e gli effetti di
eventuali altre terapie in atto.
Come funziona il cervello dei bambini iperattivi?
Il sistema dell’attenzione e le “Funzioni Esecutive”
Per “stare attenti” occorre che il cervello attivi diverse funzioni, come l’orientamento, la capacità di controllare
ed inibire le risposte automatiche a stimoli esterni (risposte “impulsive”), la memoria, etc. Negli ultimi dieci anni
sono state individuate specifiche regioni del cervello capaci di modulare i singoli aspetti dell’attenzione. Alcune
zone del cervello sono in grado di rendere l’individuo pronto a reagire a nuovi stimoli ambientali, interrompendo
le attività fisiche o mentali in corso (sistema di allerta), altre controllano la capacità di orientarsi su un
particolare oggetto o situazione, “cancellando” o attenuando la percezione degli altri oggetti o situazioni (sistema
di orientamento), altre ancora permettono la scelta tra i diversi possibili comportamenti o attività mentali in
risposta a ciò che accade intorno all’individuo, coordinano un comportamento o attività ed inibiscono gli altri (le
cosiddette “Funzioni esecutive”).La capacità di inibire alcune risposte motorie ed emotive a stimoli esterni, al
fine di permettere la prosecuzione delle attività in corso (autocontrollo), è fondamentale per l’esecuzione di
qualsiasi compito. Per raggiungere un obiettivo, nello studio o nel gioco, occorre essere in grado di ricordare lo
scopo (retrospezione), di definire ciò che serve per raggiungere quell’obiettivo (previsione), di tenere a freno le
emozioni e di motivarsi. Durante lo sviluppo, la maggior parte dei bambini matura la capacità ad impegnarsi in
attività mentali che li aiutano a non distrarsi, a ricordare gli obiettivi ed a compiere i passi necessari per
raggiungerli (funzioni esecutive).
Nei primi sei anni di vita, le funzioni esecutive sono svolte in modo esterno: i bambini spesso parlano tra sé ad
alta voce, richiamando alla mente un compito o interrogandosi su un problema (la cosiddetta memoria di
lavoro, che, inizialmente verbale diviene ben presto non-verbale). Durante la scuola elementare, i bambini
imparano a interiorizzare, a rendere “private” le funzioni esecutive, tenendo per sé i propri pensieri
(interiorizzazione del discorso autodiretto). Imparano quindi a riflettere su sé stessi, a seguire regole ed
istruzioni, ad autointerrogarsi ed a costruire “sistemi mentali” per capire le regole in modo da poterle adoperare.
Successivamente imparano a regolare i propri processi attentivi e le proprie motivazioni, a posporre o modificare
le reazioni immediate ad un evento potenzialmente distraente, a tenere per sé le proprie emozioni ed a porsi degli
obiettivi (autoregolazione). Mediante l’acquisizione di queste capacità, i bambini imparano infine a scomporre i
comportamenti osservati nelle loro singole componenti ed a ricomporle in nuove azioni che non fanno ancora
parte del proprio bagaglio di esperienze (ricomposizione). Tutto ciò permette ai bambini, nel corso della
crescita, di tenere sotto controllo il proprio agire per intervalli di tempo sempre più lunghi e di pianificare i propri comportamenti, in modo da raggiungere lo scopo prefissato. La maturazione delle funzioni esecutive fornisce
agli essere umani quella destrezza, flessibilità e creatività che permettono di pianificare un obbiettivo senza
dover memorizzare ogni volta tutte le fasi necessarie per raggiungerlo.
Nei bambini con ADHD risultano compromesse in modo variabile le capacità di retrospezione, previsione,
preparazione ed imitazione di comportamenti complessi. Una alterata o ritardata maturazione della memoria di
lavoro non-verbale comporta ritardi e compromissioni nella maturazione delle altre funzioni esecutive: interiorizzazione del discorso autodiretto, autoregolazione del livello di attenzione e della motivazione, capacità di
scomporre i comportamenti osservati e ricomposizione in nuovi comportamenti finalizzati. Questi bambini, non
raggiungendo la capacità di interiorizzazione adeguata all’età, eccedono nelle verbalizzazioni e nel manifestare i
propri comportamenti. L’incapacità a frenare le proprie reazioni immediate li rende meno accettati dagli adulti e
dai coetanei; la difficoltà nello scomporre e ricomporre i comportamenti osservati fa sì che questi bambini
possano imparare comportamenti adeguati in risposta agli stimoli esterni, ma abbiano significative difficoltà a
generalizzare tali comportamenti nei diversi contesti di vita.
Cervello, patrimonio genetico, neurotrasmettitori
Le Funzioni esecutive sono localizzate nelle parti anteriori del cervello (corteccia prefrontale) che risultano
anatomicamente e funzionalmente collegate con aree più “interne” del cervello denominate nuclei della base.
Negli ultimi anni è stato possibile studiare, con metodi non invasivi (senza somministrare alcuna sostanza
estranea, né raggi X) le differenze di volume e di funzionamento del cervello di bambini normali e con patologie
neuropsichiatriche. Tecniche di Risonanza Magnetica Nucleare hanno messo in evidenza che la corteccia
frontale ed alcuni nuclei della base (nucleo caudato ed il globo pallido) dei bambini con ADHD risultano più
piccoli di quelli dei bambini di controllo: tali differenze risultano maggiori nell’emisfero destro, ed appaiono
correlate in maniera statisticamente significativa con alterazioni nelle capacità di inibire la risposta motoria a
stimoli ambientali. Con tecniche più sofisticate è stato messo in evidenza che, nei bambini e negli adulti con
ADHD, tali regioni del cervello funzionano meno (hanno tempi di reazione più lenti e consumano meno
ossigeno) delle regioni corrispondenti dei bambini o adulti di controllo.
E’ improbabile che tutti i casi di ADHD possano essere attribuiti ad una singola causa: è verosimile che fattori
sia biologici che psicosociali siano responsabili della manifestazione del disturbo. Attualmente si ritiene che i
fattori psicosociali non costituiscano la causa primaria del disturbo. Nelle famiglie di bambini con ADHD
possono essere osservate diverse modalità di relazione genitori-bambino: nessuna di tali modalità risulta
predominante e tutte possono essere osservate anche nelle famiglie di bambini normali.
Interazioni conflittuali e verbalizzazioni negative appaiono correlate più col disturbo oppositivo-provocatorio e
della condotta, piuttosto che ai sintomi cardine dell’ADHD. Nessuno degli altri fattori ambientali (danno pre o
peri-natale, intossicazione da piombo o da zuccheri, carenze di particolari vitamine) ha ottenuto un supporto
empirico sostanziale come causa primaria del disturbo. D’altra parte, I’ADHD tende ad essere presente in diversi
membri di una stessa famiglia, e costituisce uno dei disturbi psichiatrici con più elevata ereditabilità. Tra il 50 ed
il 90 % dei gemelli monozigoti di bambini con ADHD presenta la stessa sindrome: studi su bambini adottati
suggeriscono che tale familiarità sia genetica piuttosto che ambientale.
Diverse funzioni della corteccia frontale e del caudato sono modulate da una sostanza prodotta dal cervello
(“neurotrasmettitore”) denominato dopamina. La dopamina viene prodotta da specifiche cellule nervose che la
rilasciano in particolari situazioni per modulare l’attività di specifiche cellule bersaglio. La quantità di dopamina
disponibile al di fuori delle cellule che la producono e la stia attività sulle cellule bersaglio è regolata da
particolari proteine (denominate rispettivamente “trasportatori” e “recettori’), la cui produzione è a sua volta
regolata da specifici geni. Negli ultimi cinque anni diversi gruppi di ricerca hanno dimostrato che nei soggetti
con ADHD sono maggiormente frequenti alcune specifiche varianti di geni, cui corrispondono proteine
trasportatore o recettore che funzionano in maniera quantitativamente differente rispetto ai soggetti normali. Tali
proteine sono localizzate nella corteccia prefrontale e nei nuclei della base.
Numerosi studi hanno dimostrato che i farmaci, quali il metilfenidato ed altri farmaci denominati
psicostimolanti, in grado di interagire con le proteine trasportatore, modulando il rilascio e la ricattura della
dopamina dalle terminazioni nervose, sono particolarmente efficaci nel migliorare sia il deficit attentivo che
l’iperattività (vedi oltre). Il metilfenidato agisce in maniera specifica nelle regioni del cervello che regolano
l’attenzione e, nei soggetti con ADHD, è in grado di “normalizzare” l’attività (consumo di ossigeno misurato)
con le tecniche prima menzionate) di tali aree.
Da quanto fin qui illustrato risulta evidente come I’ADHD debba essere considerato un disturbo neuro
biologico della elaborazione delle risposte agli stimoli ambientali. I bambini affetti da questo disturbo possono
essere aiutati intervenendo sia sull’ambiente, modificandone le modalità di presentazione degli stimoli, che
sul bambino, insegnandogli ad elaborare in maniera adeguata la risposta agli stimoli e modificando, quando
necessario anche con farmaci specifici, le modalità con cui le specifiche aree del cervello elaborano tali
risposte.
Come si possono aiutare i bambini con ADHD?
La terapia per I’ADHD si basa su un approccio multimodale che combina interventi psicosociali con terapie
mediche. I genitori, gli insegnanti e lo stesso bambino devono sempre essere coinvolti nella messa a punto di un
programma terapeutico. Tale programma andrà individualizzato sulla base dei sintomi più severi e dei punti di
forza identificabili nel singolo bambino.
Una maniera di concettualizzare il piano di trattamento e quello di considerare i sintomi cardine di impulsività ed
inattenzione come gestibili mediante la terapia farmacologica, che si dimostra efficace in circa il 90% dei casi; i
disturbi della condotta, di apprendimento e di interazione sociale richiedono invece interventi psicosociali
ambientali e psicoeducativi centrati sulla famiglia, sulla scuola e sui bambini.
Gli interventi psicoeducativi: come modificare il comportamento ed insegnare l’autocontrollo.
Se si considera come funziona il cervello dei bambini con ADHD, appare evidente come un intervento
psicoeducativo razionale debba basarsi su tecniche comportamentali, cognitive e metacognitive, messe in atto sia
in situazioni di gioco che in attività di tipo scolastico, focalizzate su:
 Problem solving: riconoscere il problema, generare soluzioni alternative, pianificare la procedura per
risolvere il problema, etc.
 Autoistruzioni verbali al fine di acquisire un dialogo interno che guidi alla soluzione delle situazioni
problematiche.
 Stress inoculation training: indurre il ragazzino ad auto-osservare le proprie esperienze e le proprie
emozioni, soprattutto in coincidenza di eventi stressanti e, successivamente, aiutarlo ad esprimere una serie
di risposte alternative adeguate al contesto. L’acquisizione di queste risposte alternative dovrà sostituire gli
atteggiamenti impulsivi e aggressivi.
Premi e punizioni
Specie con i bambini più piccoli, l’apprendimento delle procedure di problem solving la loro interiorizzazione
può essere resa più agevole da tecniche più strettamente comportamentali.
Mediante le tecniche del “condizionamento operante” è possibile ridurre gli atteggiamenti negativi ed aumentare
quelli positivi pianificando e producendo opportune conseguenze (premi o punizioni) ai comportamenti del
bambino. I comportamenti soggetti a rinforzo (premi e/o gratificazioni) solitamente riguardano lo svolgimento
del compito, l’esecuzione delle attività assegnate, l’uso di efficaci strategie cognitive e il controllo dei propri
impulsi. I comportamenti che determinano la perdita di rinforzi, ed eventualmente l’utilizzo di punizioni,
riguardano generalmente le manifestazioni di oppositività, la distruttività o l’impulsività. I bambini richiedono
frequenti ed immediate informazioni di ritorno (feedback) sulla accettabilità dei loro comportamenti.
Solitamente, e specie con i bambini in età scolare, si utilizzano sistemi a gettoni o a punti soprattutto all’interno
di contesti controllati come la classe, con perdita di punti qualora il bambino non rispetti determinate regole
precedentemente concordate.
Bisogna però tenere presente che i premi e le punizioni possono perdere rapidamente il loro potere e quindi
vanno accuratamente selezionate e gestite. È importante inoltre ricordare che se si vogliono ottenere dei
miglioramenti nel comportamento del bambino è meglio dispensare più premi che punizioni e che la rapidità
della gratificazione o punizione è in genere molto più importante della loro entità o intensità. E più utile dire
immediatamente “Benissimo, sei stato bravissimo”, piuttosto che “Bene, domani ti regalerò una torta gelato”.
Nei bambini in genere, in quelli iperattivi ancora di più, il tempo è molto più rapido che per gli adulti: “domani”
è talmente lontano nel tempo da far spesso perdere qualsiasi interesse per la ricompensa.
Strutturare l’ambiente
I bambini con ADHD possono essere aiutati strutturando ed organizzando l’ambiente in cui vivono. Genitori e
insegnanti possono anticipare gli eventi al posto loro, scomponendo i compiti futuri in azioni semplici ed
offrendo piccoli premi ed incentivi. E importante che genitori ed insegnanti siano (o divengano) dei buoni
osservatori: devono imparare ad analizzare ciò che accade intorno al bambino prima, durante e dopo il loro
comportamento inadeguato o disturbante e a rendere comprensibili al bambino il tempo, le regole e le
conseguenze delle azioni. Tutto ciò al fine di permettere ai bambini iperattivi di ampliare il proprio repertorio
interno di informazioni, regole e motivazioni.
Per aiutare un bambino con ADHD genitori ed insegnanti
dovrebbero acquisire le seguenti abilità:
1. Potenziare il numero di interazioni positive col bambino.
2. Dispensare rinforzi sociali o materiali in risposta a comportamenti positivi dei bambino.
3. Ignorare i comportamenti lievemente negativi.
4. Aumentare la collaborazione dei bambino usando comandi più diretti, precisi e semplici.
5. Prendere provvedimenti coerenti e costanti per i comportamenti inappropriati del bambino.
Nel breve termine gli interventi comportamentali possono migliorare le abilità sociali, le capacità di
apprendimento e spesso anche i comportamenti disturbanti; generalmente risultano però meno utili nel ridurre i
sintomi cardine dell’ADHD quali inattenzione, iperattività o impulsività. Il maggiore limite dei diversi
programmi oggi disponibili consiste nel fatto che, in molti bambini, si assiste alla progressiva scomparsa del
miglioramento comportamentale ed alla mancata generalizzazione, nei diversi contesti ambientali, dei
comportamenti positivi acquisiti.
Migliorare l’autostima
La diversa percezione del tempo, l’incapacità a frenare le proprie reazioni immediate, la difficoltà a pianificare e
controllare i propri comportamenti fanno si che i bambini con ADHD manchino di quel “savoir faire sociale”
che consente di cogliere stimoli sociali, modulare le relazioni interpersonali, ricevere gratifìcazioni sociali ed
integrarsi socialmente con i coetanei e gli adulti. Ciò causa frequentemente senso di inadeguatezza, bassa
autostima, bassa soglia alle frustrazioni. Tali “sensazioni” rendono più difficile inibire la propria impulsività,
pianificare i propri comportamenti e stabilire relazioni sociali gratifìcanti. Per questi motivi è importante che
l’interazione tra figlio e genitore non si riduca ad un rapporto di tipo conflittuale o negativo in cui l’adulto si
limita a punire il bambino per insegnargli comportamenti adeguati.
A tal fine è possibile adottare una procedura, poco dispendiosa in termini di tempo e impegno ma che richiede
costanza, sensibilità e rispetto per i desideri del bambino, denominata “tempo privilegiato” (in inglese “floor
time”; vedi: Consigli per i genitori). Ai genitori viene chiesto di dedicare al gioco con il figlio almeno mezz’ora
al giorno. È fondamentale conoscere i giochi preferiti del bambino a cui poter partecipare ma soprattutto capire
che non è importante la durata del gioco ma la disponibilità del genitore a dedicare una parte del suo tempo per
passare con il figlio dei minuti piacevoli di attività collaborativa; il bambino non deve in alcun modo essere
obbligato al gioco, né il genitore può interrompere un’attività che il figlio sta facendo con la scusa di avere
proprio solo quella mezz’ora! La ripetizione nel tempo di attività piacevoli di collaborazione genitore-figlio può
essere un valido mezzo a disposizione dell’adulto per poter condividere alcuni interessi del bambino, e per
quest’ultimo per poter sperimentare un rilassante clima di interazioni positive, utile anche per cancellare il segno
dei conflitti trascorsi.
È forse superfluo ricordare che il tempo privilegiato è utile e gratificante per tutti i bambini e non dovrebbe
essere limitato ai soli bambini con ADHD.
Le Terapie farmacologiche
Cosa sono e a cosa servono gli psicostimolanti
Gli psicostimolanti sono farmaci che agiscono sulle proteine-trasportatore, modulando la quantità di
neurotrasmettitore (nel nostro caso soprattutto dopamina e noradrenalina) disponibile per le interazioni con le
cellule bersaglio. Il metilfenidato è lo psicostimolante più utilizzato. Questo farmaco mostra la sua efficacia
clinica dopo circa un’ora dalla somministrazione orale; la sua attività terapeutica dura circa 4 ore e viene quindi
solitamente somministrato 2-3 volte al giorno.
Gli psicostimolanti sono considerati a tutt’oggi la terapia più efficace per bambini, adolescenti ed adulti con
ADHD. L’effìcacia e la tollerabilità degli psicostimolanti è stata descritta per la prima volta da Bradley nel 1937,
ed è stata documentata da circa 60 anni di esperienze cliniche: rappresentano la classe di farmaci maggiormente
studiata in età evolutiva. Numerosi studi controllati, effettuati su bambini ed adolescenti, hanno dimostrato,
mediante l’uso di scale di valutazione per genitori o insegnanti e di valutazione clinica da parte del
neuropsichiatra infantile, che metilfenidato, destroanfetamina e pemolina (questi sono i nomi degli psicostimolanti più usati negli Stati Uniti ed in Europa) migliorano in maniera consistente, rapida e duratura i sintomi
dell’ADHD: tale effetto risulta statisticamente significativo anche quando i soggetti non sono accuratamente
definiti, i gruppi studiati sono poco numerosi ed i dosaggi dei farmaci non omogenei. Gli effetti del metilfenidato
e degli psicostimolanti sul comportamento dei bambini iperattivi sono rapidi ed intensi. Questi farmaci
permettono al bambino di controllare l’iperattività e l’inattenzione. Durante l’assunzione del farmaco risultano
migliorate le risposte ai test di attenzione (diminuiscono, a seconda delle dosi, sia gli errori di omissione che di
commissione/impulsività), di vigilanza, di apprendimento visivo e verbale, di memoria a breve termine. I
bambini con ADHD che assumono questi farmaci sono non solo meno impulsivi, irrequieti e distraibili, ma
anche maggiormente capaci di tenere a mente informazioni importanti, di interiorizzare meglio il discorso
autodiretto (vedi paragrafi precedenti sulle funzioni esecutive), di avere un maggiore autocontrollo e migliori
risultati a scuola. Spesso, alcuni atteggiamenti negativi dei genitori nei confronti dei figli possono essere causati
dal comportamento inappropriato di questi ultimi: una volta che i bambini migliorano dal punto di vista
comportamentale, anche i genitori riducono l’eccessivo controllo, il numero dei rimproveri e dei richiami per le
loro azioni. Dopo brevi periodi di terapia diminuiscono l’intensità e la frequenza dei comportamenti distruttivi,
oppositivi e aggressivi e la qualità dell’interazione sociale con genitori, insegnanti e coetanei risulta migliorata.
Quando prende il farmaco, il bambino iperattivo viene descritto dai coetanei come più cooperativo, più
divertente e più spesso come un amico migliore.
Non tutti i bambini con ADHD necessitano di un trattamento farmacologico. Dopo attenta valutazione
medica e neuropsichiatrica, la decisione di usare farmaci si basa sulla severità dei sintomi, sui consenso dei
genitori e dei bambino, sulle capacità del bambino, dei genitori e degli operatori scolastici di gestire i
problemi comportamentali, e sui risultati dei precedenti interventi terapeutici.
Alcuni consigli per gli insegnanti
Il luogo preferito dal bambino disattento e iperattivo per “fare mostra” di tutte le sue difficoltà è sicuramente la
scuola. I seguenti consigli possono a molti sembrare banali e dettati dal solo buon senso: molti di essi fanno parte
di interventi psicoeducativi strutturati e manualizzati, basati sulle funzioni neuropsicologiche che in questi bambini sono alterate. Come regola generale va ricordato che l’atteggiamento degli insegnanti verso il bambino
disattento/iperattivo ha un forte impatto sulla modificazione del suo comportamento. L’intensità e la persistenza
dei comportamenti risentono notevolmente delle variabili ambientali e di come il bambino si sente accettato e
aiutato di fronte alle difficoltà.
Organizzare l’aula
La gran parte degli insegnanti conosce la migliore disposizione della propria classe nell’aula.
Può essere utile ricordare che:
1. E opportuno controllare le fonti di distrazione all’interno della classe: non è indicato far sedere il ragazzo
vicino alla finestra, al cestino, ad altri compagni rumorosi o ad altri oggetti molto interessanti. Non è
ugualmente produttivo collocare l’allievo in una zona completamente priva di stimolazioni: il bambino
diventa più iperattivo perché va alla ricerca di situazioni nuove e interessanti.
2. Disponete i banchi in modo che l’insegnante possa passare frequentemente in mezzo ad essi, controllare che i
più distratti abbiano capito il compito, stiano seguendo la lezione e stiano eseguendo il lavoro assegnato.
Prima di iniziare le spiegazioni
1. Accertarsi che quando vengono spiegate le lezioni o vengono date delle istruzioni per eseguire dei compiti, il
bambino non sia fisicamente e mentalmente occupato a fare qualcos’altro (roteare penne, guardare o
chiamare i compagni). In generale il contatto oculare è la tecnica più efficace per controllare l’attenzione del
bambino.
2. Fornite istruzioni semplici e brevi. È fondamentale assicurarsi che il ragazzo abbia compreso le istruzioni di
un compito; per essere sicuri di ciò è spesso utile chiederglielo (“cosa devi fare?’).
3. Una volta assegnato il testo di un problema di aritmetica o un testo che contenga delle istruzioni, può essere
opportuno aiutare il ragazzo disattento/iperattivo ad individuarne (sottolineandole con diversi colori) le parti
importanti.
Durante le lezioni
1. Accorciare i tempi di lavoro. Fare brevi e frequenti pause soprattutto durante i compiti ripetitivi e noiosi.
2. Rendere le lezioni stimolanti e ricche di novità: i bambini con ADHD hanno peggiori prestazioni quando i
compiti sono noiosi e ripetitivi (ad esempio un brano di un libro viene compreso meglio se contiene delle
figure). Anche il ritmo della voce dell’insegnante quando spiega può incidere sulla capacità attentiva degli
studenti.
3. Interagire frequentemente, verbalmente e fisicamente, con gli studenti, facendo in modo che gli allievi
debbano rispondere frequentemente durante la lezione.
4. Utilizzare il nome degli studenti distratti per la spiegazione.
5. Costruire situazioni di gioco per favorire la comprensione delle spiegazioni: per esempio, utilizzare il gioco di
ruoli per spiegare concetti storici, sociali in cui siano coinvolti vari personaggi.
6. Abituare il ragazzo impulsivo a controllare il proprio lavoro svolto.
Favorire e sviluppare le capacità di pianificazione
1. È importante stabilire delle attività programmate e routinarie in modo che il ragazzo impari a prevedere quali
comportamenti deve produrre in determinati momenti della giornata. Potrebbe essere utile esporre il
programma di una giornata tipo mediante disegni e brevi scritte che lo descrivono.
2. È importante definire con chiarezza i tempi necessari per svolgere le attività giornaliere, rispettando i tempi
dello studente (questo lo aiuta anche ad orientarsi meglio nel tempo).
3. Aiutare l’allievo iperattivo a gestire meglio il proprio materiale: l’insegnante può dimostrare che dà
importanza all’organizzazione lasciando 5 minuti al giorno per sistemarlo ed aiutare il ragazzo ad applicare
(o inventare) delle strategie per tenerlo in ordine.
4. Proporsi come modello per mantenere in ordine il proprio materiale; mostrare alcune strategie per fare fronte
alle situazioni di disorganizzazione, premiando il banco meglio organizzato del giorno.
5. Utilizzare il diario per la comunicazione giornaliera con la famiglia (non solo per scrivere note negative sul
comportamento).
Stabilire e far condividere le regole
1. Definire e mantenere chiare e semplici regole all’interno della classe (è importante ottenere un consenso
unanime su queste regole).
2.
Rivedere, discutere e correggere le regole della classe, quando se ne ravvede la necessità.
3.
Spiegare chiaramente agli alunni disattenti/iperattivi quali sono i comportamenti adeguati e quali sono quelli
inappropriati, facendo capire quali sono le conseguenze dei comportamenti positivi e quelle che derivano da
quelli negativi.
4.
È importante stabilire giornalmente o settimanalmente semplici obiettivi da raggiungere. È utile informare
frequentemente il ragazzo su come sta lavorando e come si sta comportando soprattutto rispetto agli obiettivi
da raggiungere.
5.
E’ più utile rinforzare e premiare i comportamenti positivi (stabiliti precedentemente), piuttosto che punire
quelli negativi. Le punizioni severe, note scritte o sospensioni, non modificano il comportamento del
bambino. Cambiare i rinforzi quando questi tendono di efficacia.
6.
Non punire il ragazzo togliendo l’intervallo, perché anche il ragazzo iperattivo ha bisogno di scaricare la
tensione e di socializzare con i compagni.
In generale, è opportuno:
1. Non creare situazioni di competizione “non sostenibile” con altri compagni durante lo svolgimento dei
compiti.
2. Non focalizzarsi sui tempo di esecuzione dei compiti, ma sulla qualità del lavoro svolto (anche se questo può
risultare inferiore a quello dei compagni).
3. Utilizzare i punti forti ed eludere il più possibile i lati deboli del ragazzo, ad esempio se dimostra difficoltà
nella motilità fine (è goffo), ma ha buone abilità linguistiche può essere utile favorire l’espressione orale e,
quando è possibile, sostituirla a quella scritta. Enfatizzate i lati positivi del comportamento (la creatività,
l’affettività, l’estroversione....).
Bibliografia essenziale disponibile su richiesta
Un contributo significativo per l’osservazione e l’intervento sul bambino con
ADHD
a cura della Pedagogista Clinica Dott.ssa Enrica Giannelli Direttrice sezione Anpec di Lucca
in collaborazione con
Dott.ssa Federica Bibbiani Pedagogista Clinico, Psicopedagogista
DIMENSIONI DELL’ATTENZIONE
Cos’è l’attenzione?
•Attenzione selettiva: selezionare stimoli importanti, ignorare informazioni irrilevanti
•Attenzione focalizzata: concentrarsi su un compito
•Attenzione mantenuta: mantenersi vigili per un periodo prolungato di tempo
•Attenzione divisa: seguire contemporaneamente due attività
•Shift di attenzione: modificare rapidamente il proprio set cognitivo per un nuovo compito



Caratteristiche principali dell’ADHD
DISATTENZIONE
IPERATTIVITA’
IMPULSIVITA’
QUANDO IL LIVELLO DI IPERATTIVITA’,
IMPULSIVITA’ E DISATTENZIONE
PROVOCANO DEFICIT AL NORMALE FUNZIONAMENTO
SCOLASTICO E SOCIALE
Disattenzione
• Spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici, sul
lavoro, o in altre attività
•spesso ha difficoltà a mantenere l'attenzione sui compiti o sulle attività di gioco
•spesso non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente
•spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze, o i doveri sul posto di
lavoro (non a causa di comportamento oppositivo o di incapacità di capire le istruzioni)
•spesso ha difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività
•spesso evita, prova avversione, o è riluttante ad impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale protratto
(come compiti a scuola o a casa)
•spesso perde gli oggetti necessari per i compiti o le attività (per es., giocattoli, compiti di scuola, matite, libri, o
strumenti)
•spesso è facilmente distratto da stimoli estranei
•spesso è sbadato nelle attività quotidiane
Iperattività
•spesso muove con irrequietezza mani o piedi o si dimena sulla sedia
•spesso lascia il proprio posto a sedere in classe o in altre situazioni in cui ci si aspetta che resti seduto
•spesso scorrazza e salta dovunque in modo eccessivo in situazioni in cui ciò è fuori luogo negli adolescenti o
negli adulti, ciò può limitarsi a sentimenti soggettivi di irrequietezza)
•spesso ha difficoltà a giocare o a dedicarsi ad attività divertimenti in modo tranquillo
•è spesso "sotto pressione" o agisce come se fosse "motorizzato"
•spesso parla troppo
Impulsività
•spesso “spara” le risposte prima che le domande siano state completate
•spesso ha difficoltà ad attendere il proprio turno
•spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (per es., si intromette nelle conversazioni nei giochi)
Criteri B-E del DSM-IV
•I sintomi devono essere presenti prima dei 7 anni di età
•Deve essere presente una certa menomazione in almeno due contesti sociali (casa, scuola, lavoro...)
•Deve essere presente una compromissione significativa del livello di funzionamento sociale e/o lavorativo
•I sintomi non spiegabili da altri disturbi di tipo psicotico o emotivo
SDAI
SCALA INSEGNANTI
PER INDIVIDUAZIONE DI COMPORTAMENTI
DI DISATTENZIONE E IPERATTIVITÁ NEL BAMBINO
SCALA SCOD
SCALA DI VALUTAZIONE DEI COMPORTAMENTI AGGRESSIVI
APPRENDIMENTO SCOLASTICO
CARATTERISTICHE
–AUTOSTIMA
•Vulnerabile, soggetto a giudizi, ansioso, depresso se non valutato positivamente.
•Vive il fallimento in modo negativo facendo attribuzioni interne.
•Conformista e socialmente superficiale ed evitante.
–ATTRIBUZIONE•Si autoattribuisce l’insuccesso
--MOTIVAZIONE
–AUTOREGOLAZIONE
–Tipi di autoregolazione»Regolazione autonoma: tipica già del bambino molto piccolo che modula i bisogni
primari
»Regolazione attiva: simile al comportamento per prove ed errori. C’è un controllo durante l’esecuzione di un
comportamento.
»Regolazione cosciente: richiede la formulazione di ipotesi che vengono verificate e messe alla prova
Evoluzione dell’ADHD
•I primi sintomi di ipertonia si manifestano a pochi mesi
•A tre anni ci sono i primi sintomi di iperattività
•Le difficoltà aumentano con l’ingresso a scuola per l’aumento delle richieste cognitive e comportamentali
•Verso i 10 anni l’iperattività tende a diminuire
•Alle scuole medie alcuni riescono a compensare le loro difficoltà, ma persiste il deficit attentivo
•In età adolescenziale e adulta rimangono difficoltà sociali, professionali dovute all’impulsività e alle scarse
abilità organizzative
...e il futuro?
L’ADHD NON “PASSA” CON LA CRESCITA MA CI SONO ALCUNI INDICI CHE AIUTANO A
PREDIRE GLI ESITI FUTURI
•familiarità •comorbidità •ambiente familiare e scolastico (ordinato e prevedibile) •atteggiamento di insegnanti
e genitori •abilità cognitive di base •interventi psico-educativi
PERCHE’
•Malregolato sistema di attivazione e di controllo della vigilanza (Formazione reticolare)
•Disfunzione del Sistema Attentivo ed Esecutivo che controlla la pianificazione e la flessibilità cognitiva
(Corteccia Prefrontale Dorso-Laterale)
•Sottoattivato sistema di controllo della risposta
Apprendimento nell’ ADHD e DAS
ADHD
•Non usano strategie di lettura/studio
DAS
•Lettura strumentale lenta e inaccurata
•Difficoltà di naming di materiale verbale
•Difficoltà di comprensione del testo per problemi strumentali
•Deficit inibizione informazioni irrilevanti
•Scarso monitoraggio apprendimento
•Difficoltà di comprensione per problemi di memoria di lavoro
ADHD e Disturbi di Apprendimento
• ADHD - DAS: Scarsi risultati a scuola inducono scarsa motivazione, quindi disattenzione e iperattività
• ADHD - DAS: I sintomi del ADHD causano basse prestazioni scolastiche
• ADHD - DAS: Esiste una comorbidità a causa di un generalizzato deficit neuropsicologico
LE DIFFICOLTA’ EMOTIVO-RELAZIONALI
Riguardano comunque tutti gli alunni che presentano segnali di disagio e di sofferenza, che coinvolgono la
dimensione emotiva - affettiva e che si originano nella dimensione relazionale.

Esempi di difficoltà emotivo-relazionale
•Difficoltà di separazione dai genitori
•Difficoltà di socializzazione con i coetanei e Ricerca di un rapporto esclusivo con l’adulto
•Difficoltà di stare alle regole
•Difficoltà nella gestione delle emozioni: inibizione emotiva o eccessiva irrequietezza
•Sintomi: nausea e mal di stomaco, giramenti di testa
•Prepotenze e prevaricazioni nei confronti dei compagni
•Oppositività
•Ansia scolastica e ansia da prestazione
•Isolamento, mancanza di interesse, chiusura, emarginazione
…Per tutti i bambini e in modo particolare per bambini in difficoltà, non si deve
sottovalutare il potere delle relazioni nel sostenere o inibire il progresso evolutivo
e il rendimento scolastico
Il trattamento multimodale
•Terapia farmacologica
•Parent Training
•Training autoregolativo per il bambino
•Training metacognitivo / comportamentale a scuola
•Training Pedagogico Clinico per favorire la distensione corporea e aumentare la percezione di sé•
Il ruolo del Pedagogista Clinico nella scuola
Servizio di Pedagogia Clinica
(dott.ssa Giannelli Enrica)
Il servizio di Consulenza di Pedagogia Clinica si è proposto, ormai da anni di offrire un'opportunità dialogante
e riflessiva ai docenti e ai genitori che intendano usufruirne.
Si avverte fortemente, infatti, la necessità di coordinare un intervento del tipo sotto descritto, con gli insegnanti e
i genitori dei tre ordini di scuola non solo in relazione alla continuità ma anche perché, si sono notate
problematiche che rendono necessario un intervento anche a scopo preventivo con le famiglie degli alunni.
Pedagogista Clinico offre il seguente servizio:
•Screening riguardante la prevenzione e il riconoscimento precoce delle eventuali difficoltà nell'apprendimento
della letto-scrittura.
Questo servizio è
• rivolto agli alunni di 3 e di 5/6 anni di tutto l’Istituto.
•Consulenza Pedagogico-Clinica per l'attivazione di interventi educativi di recupero di soggetti con difficoltà di
apprendimento e di comportamento.
La diagnosi pedagogica prevede il seguente iter: -
Indagine Anamnestica;- Bilancio Psicomotorio;- Osservazione espressivo-elocutoria;- Osservazione dello
sviluppo affettivo relazionale;- Osservazione del graphonage e dell'espressività cromatica;- Osservazione
del comportamento relazionale.
Alla diagnosi pedagogica seguono consigli pedagogici: - attività di Counselling per il sostegno della figura
adulta (familiari) di soggetti che hanno dimostrato disagi nei rapporti intercomunicativi all'interno della scuola
come riflesso di una situazione conflittuale all'interno della costellazione familiare e agli insegnanti. - Ideazione
e strutturazione di atelier educativi per la sollecitazione di espressività organizzativo-motoria ed espressivofigurativo.
L’offerta prevede attività di consulenza per Alunni che manifestano difficoltà psicorelazionali, cognitive e
disturbi specifici di apprendimento; consulenza per Genitori e per Insegnanti;
osservazioni sulle classi.
RILEVAZIONE DEL DISAGIO
•LA SINERGIA TRA SCUOLA-FAMIGLIA ENTE LOCALE
SUCCESSO FORMATIVO
• LA PREVENZIONE
• GLI INTERVENTI
• LA SINERGIA TRA SCUOLA-FAMIGLIA –ENTE LOCALE
 RILEVAZIONE DEL DISAGIO:
Osservazione - Esempio di intervento concreto
•Fase 1:
–Segnalazione da parte dell’equipe dei docenti
•Fase 2:
–Applicazione tecnica ABC’S per l’osservazione diagnostica funzionale della classe e dei bambini con difficoltà
attentive, emotive e comportamentali. Applicazione Focus individuale.
•Fase 3:
–Costruzione di griglie per l’osservazione strutturata che analizzino i comportamenti al fine di identificare:
•Antecedenti e conseguenze per ogni comportamento emesso
•Frequenza e distribuzione di emissione dei comportamenti della giornata
•Fase 4:
Somministrazione di scale sdai-scod-ipdai-sdag.
•Fase 5:
–Riflessione sui dati raccolti al fine di ottenere indicazioni su:
•Probabili fattori scatenanti
•Probabili fattori di rinforzo
•Fase 6:
–Obiettivi dell’intervento e progettazione dell’intervento allo scopo di:
•Anticipare il verificarsi di comportamenti problematici
•Ridurre o eliminare le risposte dell’ambiente che rinforzano l’emissione dei comportamenti problematici
•(OBIETTIVI SUI TRE LIVELLI)
•Fase 7:
–Verifica dei risultati ottenuti
APPRENDERE SIGNIFICA MODIFICARE…
LA STRUTTURA DELLE COMPETENZE POSSEDUTE
E I LEGAMI TRA LE COSE,
COSI’ DA INTEGRARE PROGRESSIVAMENTE INFORMAZIONI NUOVE,
RIORGANIZZANDO LE MAPPE DEI CONCETTI GIA’ ELABORATI
IN MODO DA RENDERLI SEMPRE PIU’ POTENTI, CIOE’ CAPACI DI OPERARE IN SITUAZIONI
PROBLEMATICHE MAI INCONTRATE.
Fattori correlati alla professionalità dell’insegnante


Gli aspetti della qualita’ della comunicazione-relazione verbale e non verbale
trasmettere le Regole (positività e sintesi)
METTIAMOCI IN ASCOLTO
LA COMPONENTE AFFETTIVA, NELLE DINAMICHE INTERPERSONALI, DI SOLITO
SOTTOVALUTATA… E’ IMPORTANTE QUANTO QUELLA COGNITIVA
CONNESSIONI TRA AFFETTI E COGNIZIONE
•Affettività e cognizione sono dimensioni collegate che implicano una lettura globale del bambino e del
ragazzo, immerso in una storia di relazioni.
FATTORI DI CARATTERE STRUTTURALE:
Predisporre un ambiente facilitante
•Obiettivo: creare un ambiente prevedibile
–Le regole
–L’organizzazione della classe
–L’organizzazione dei tempi di lavoro
–L’organizzazione del materiale
Interventi professionali relativi all’insegnante:
•METODOLOGIE PER AUMENTARE L’ATTENZIONE
•MONITORARE E STIMOLARE L’ATTENZIONE
•USO DEI “RINFORZI”
•INTERVENTO COGNITIVO COMPORTAMENTALE
•INTERVENTO METACOGNITIVO
Accorgimenti per aumentare l’attenzione:
•Variare il tono (alto - basso)
•Dare chiari segnali “ora aprite bene le orecchie”
•Usare gessi colorati
•Creare aspettativa verso la lezione
•Usare molto spesso il contatto oculare
•Essere sempre visibili a tutti
•Assicurarsi che la voce sia sentita da tutti
•Controllare le fonti di rumore
•Porre una domanda interessante mostrando una figura o raccontando una breve storia
•Essere un po’ attori aggiungendo humor
•Muoversi in classe per essere visibili•Definire con chiarezza i tempi di lavoro
•Utilizzare domande aperte che lascino spazio a risposte diverse
•Ridurre il tempo della spiegazione orale e aumentare quello per le discussioni e dimostrazioni pratiche
TECNICHE LEGATE ALL'APPRENDIMENTO:
•Tecniche per aumentare l'attenzione selettiva (individuali e collettive)
•Tecniche per aumentare la memoria
•Tecniche per aumentare i processi logici
•Tecniche per aumentare i processi espressivi
La professionalità...
•Rinforzo
•Estinzione
•Punizione
•Tecniche modeling
•Shaping
•Fading
•Autonomia
•Fiducia e motivazione
•Divertirsi imparando
•La gestione delle emozioni
E per il bambino con ADHD?

Accorciare i tempi di lavoro, quando possibile spezzettando con brevi pause un lavoro lungo

Ricorrere spesso al canale visivo, a stimoli colorati, a “segnali” concordati con il bambino, sia verbali che
gestuali o visivi (che possono indicare al bambino che il suo comportamento non è corretto, o al contrario che è
quello che ci si aspetta da lui; che richiamino la sua attenzione o gli indichino il tipo di procedura da applicare,
ecc…)
Il lavoro continua…
I dirigenti scolastici, gli insegnanti, e
gli operatori della scuola,
è necessario che avvertano una profonda
esigenza di trasformazione positiva,
con apertura ad un atteggiamento di
maggiore flessibilità e
disponibilità al cambiamento.
A.I.F.A. Onlus
Associazione Italiana Famiglie ADHD
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