Nino Rota - Fondazione Giorgio Cini

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2010-2011
AUDITORIUM DI MILANO FONDAZIONE CARIPLO
Nino Rota
“la leggerezza dell’ascolto”
In collaborazione con la Fondazione Giorgio Cini
10 concerti
dell’Orchestra
Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi
per il centenario dalla nascita del compositore
Direttore
Giuseppe Grazioli
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Nino2010-2011
Rota
LA FONDAZIONE GIORGIO CINI
La Fondazione Giorgio Cini è una organizzazione non lucrativa di utilità sociale che ha lo
scopo di promuovere la conservazione, tutela e valorizzazione del complesso monumentale
dell’Isola di San Giorgio Maggiore e di favorire la costituzione e lo sviluppo di istituzioni
educative, sociali, culturali e artistiche, in collaborazione con quelle cittadine già esistenti.
La Fondazione si propone altresì di promuovere nel mondo attività culturali collegate,
direttamente o indirettamente, a Venezia, alla sua storia e alle sue tradizioni di punto di incontro
di diverse civiltà. Internazionalmente nota soprattutto come una fucina di studi umanistici,
nel corso degli anni la Fondazione si è caratterizzata, allo stesso tempo, come un centro
di studi e un luogo di incontri politici e di dibattito sui temi dell’attualità politica e sociale.
IL CENTRO “VITTORE BRANCA”
Il ruolo culturale e istituzionale della Fondazione Giorgio Cini trova una declinazione inedita
nel Centro Internazionale di Studi della Civiltà Italiana “Vittore Branca”, destinato a valorizzare
il patrimonio artistico e documentale presente sull’Isola, creando legami nuovi tra Istituti e
Centri della Fondazione, giovani studiosi e personalità della cultura internazionale. Il Centro
si propone come luogo, allo stesso tempo, di studio e di incontro per giovani ricercatori e
studiosi affermati, interessati allo studio della civiltà italiana (e in special modo veneta), con un
orientamento interdisciplinare, in una delle sue principali manifestazioni: le arti, la storia,
la letteratura, la musica, il teatro.
Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia
www.cini.it – [email protected]
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Nino2010-2011
Rota
NINO ROTA –“la leggerezza dell’ascolto”
10 concerti dell’Orchestra Verdi - direttore Giuseppe Grazioli
SOMMARIO
4
Introduzione alla rassegna
6
1. domenica 24 ottobre 2010
Prova d’orchestra, Rabelaisiana, Le Molière imaginaire
11
2. domenica 21 novembre 2010
Concerto per archi, Concerto per violoncello, Le notti di Cabiria, La dolce vita
14
3. domenica 12 dicembre 2010
Rocco e i suoi fratelli, Concerto per arpa e orchestra, Allegro concertante,
Guerra e Pace
17
4. domenica 2 gennaio 2011
Amarcord, Piccolo mondo antico, Concerto festivo per orchestra
20
5. domenica 16 gennaio 2011
Fuga per quartetto d’archi, organo e orchestra d’archi, Concerto per
trombone e orchestra, La scuola di guida, Otto e ½, Suite dal film
28
6.domenica 20 febbraio 2011
Il Gattopardo, Concerto soirée per pianoforte e orchestra
31
7. domenica 20 marzo 2011
Il cappello di paglia di Firenze, Concerto n. 2 per violoncello e orchestra, La strada
34
8. domenica 10 aprile 2011
Roma, Il giornalino di Gian Burrasca, Tre canzoni, Concerto per fagotto e
orchestra, Sinfonia n. 3
37
9. domenica 22 maggio 2011
Sonata per orchestra da camera, Concerto per corno e orchestra K. 412
di Wolfgang Amadeus Mozart completato da Nino Rota, II. tempo per il IV.
Concerto di Mozart per corno e orchestra, Fantasia sopra 12 note del ‘Don
Giovanni’ di W. A. Mozart, Romeo e Giulietta, Suite dal film
40
10. domenica 5 giugno 2011
La Fiera di Bari, Ouverture ,Castel del Monte Ballata per corno e orchestra,
Variazioni sopra un tema gioviale
Il Padrino, Il Padrino II, Suite dai film
43
Biografia di Nino Rota
54
Bibliografia
55
Discografia
57
Biografie solisti
63
Biografia di Giuseppe Grazioli
64
Organico orchestra
65
Organico coro voci bianche
3
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Rota
NINO ROTA
(Milano, 3 dicembre 1911- Roma, 10 aprile 1979)
“Quando sento le temerarie dichiarazioni
di musicisti da piano bar che vogliono
essere considerati “classici” o di cantanti
lirici che pretendono di avere lo “swing”
per cantare Cole Porter, mi torna in mente
una frase di Nino Rota, pronunciata in
risposta alle continue provocazioni sulla sua
doppia veste di compositore per il cinema
e per le sale da concerto: “Non credo a
differenze di ceti e di livelli nella musica:
Il termine ‘musica leggera’ si riferisce solo
alla leggerezza di chi l’ascolta, non di chi
l’ha scritta”. Questo è il pensiero di fondo
che ha accompagnato per tutta la vita un
compositore che con lo stesso entusiasmo,
lo stesso impegno e la stessa maestria
scriveva la colonna sonora di “Totò al Giro
d’Italia” oppure un concerto per Benedetti Michelangeli, passando per un opera lirica
tratta da Victor Hugo.
A cento anni dalla nascita, come potevamo ricordare, senza tradirlo e senza cucirgli
addosso ancora una volta l’etichetta di ‘cinematografaro’ (come lo chiamavano all’epoca i
colleghi ‘seri’) uno dei massimi rappresentanti della musica italiana del ‘900 tout court?
La nostra risposta è questa rassegna di dieci concerti in cui cercheremo di comunicare al
pubblico il bisogno, tipico di Rota, di varcare i confini dei generi musicali per dimostrare
come una fuga e una canzonetta accompagnata da una fisarmonica, debbano godere
di uguale rispetto se scritte entrambe con onestà. È questa logica che ci ha spinto
ad accostare ogni volta nello stesso concerto musica per il cinema, per la televisione,
per il teatro, balletti, concerti strumentali e musica sinfonica. Un disordine apparente
che riproduce in realtà, con molta coerenza, il suo modo di comporre fatto di idee
abbandonate e riprese molti anni dopo, di temi che passano da una colonna sonora ad
una sinfonia e viceversa, di incisi di poche note che tornano ossessivamente generando
brani diversissimi…
In un’epoca come la nostra dove il mondo della musica classica sembra dirigersi sempre
più verso il “crossover”, Nino Rota appare come una straordinaria figura profetica che ci
indica la strada da percorrere perché la musica, attraverso le contaminazioni, non perda
mai il suo valore e la sua dignità.”
Giuseppe Grazioli
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Rota
NINO ROTA
“la leggerezza dell’ascolto”
10 concerti
dell’Orchestra Verdi
per il centenario della nascita
del compositore
(Milano, 3 dicembre 1911 – Roma, 10 aprile 1979)
Direttore
Giuseppe Grazioli
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Rota
domenica 24 ottobre 2010
Soprano Valentina Corradetti
Prova d’orchestra, suite dalla colonna sonora del film (1979)
I. Risatine maliziose (malinconiche)
II. I gemelli allo specchio
III. Valzerino n. 72
IV. Attesa
V. Galop
VI. Risatine maliziose (Finale)
Rabelaisiana, tre canti per soprano e orchestra (1977)
I. L’inscription
II. L’oracle de la bouteille
III. Io Pean
Le Molière imaginaire, suite dalle musiche per il balletto
di Maurice Béjart (1978)
I. Ouverture
II. Molière
III. Danse des comédiens
IV. Armande
V. Danse du Roi
VI. La nature
VII. Pont Neuf - Le Roi
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Cominciare dalla fine con Nino Rota è senz’altro un
buon inizio. Fra i musicisti del secolo scorso è uno
di quelli che ha coltivato con maggiore costanza e
serenità la propria inattualità e perenne discrasia col
suo tempo. Con ciò non si vuole dire che Rota vivesse
estraneo al mondo contemporaneo, anzi attese con
solerzia alla maggiore committenza del suo tempo,
il cinema, si applicò diligentemente e con criteri
‘moderni’ alla direzione di una scuola di musica, il
Conservatorio Niccolò Piccinni di Bari, fu sempre
informato ed attento osservatore di quello che i suoi
Appunti di Rota per Prova d’orchestra colleghi andavano facendo.
L’ultima collaborazione di Rota con Fellini, Prova
d’orchestra (1979) fu, inconsapevolmente, un vero e proprio passo di addio di questa coppia
artistica che è stata fra le più longeve della storia del cinema. Conosciutisi negli ultimi anni
della Seconda Guerra Mondiale, cominciarono a collaborare nel 1952 per Lo sceicco bianco, il
primo lungometraggio del regista romagnolo, per arrivare a questo apologo/manifesto di sapore
antropologico, concluso pochi mesi prima della scomparsa di Rota. La prova di un’orchestra
ribelle e disorientata, mette in campo i delicati rapporti fra un collettivo dotato di specifiche
e individuali nozioni tecniche ed un ruolo di guida e comando carismatico. Il direttore che
dovrebbe mettere ordine nel lavoro/sforzo collettivo ed estrarre il meglio da una creazione
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Rota
muta ed astratta, quale è la partitura
musicale fino al suo compiersi.
I 5 brani composti da Rota per questa
colonna sonora sono: Risatine maliziose,
I gemelli allo specchio, Valzerino n.
72, Attesa, Galop. Si tratta di 5 aiuole
musicali dove l’orchestra può esprimere
i differenti passi del dramma al quale è
chiamata a partecipare sullo schermo.
La suite comincia con il ritmo ternario
e sbarazzino di Risatine maliziose che
ricorda quelle musiche così azzeccate e
scritte apposta per mettere in evidenza i
Orchestrali in piedi-da Prova d’orchestra
singoli strumenti dell’orchestra composte
da Sergei Prokof’ev per accompagnare la favola Pierino e il lupo. I gemelli allo specchio
introducono un elemento di malinconia, sottolineato da una cadenza conclusiva del primo
violino solo. Il Valzerino n. 72 zoppicante, acciaccato, con armonie stridenti e strumenti – la
tromba – che sembrano prendere una tangente tutta loro, come in certo Šostakovič, per poi,
alla fine, aprirsi come un fiore, i cui petali hanno un colore con al fondo un tono inquietante.
Attesa è, fra tutti, quello che sembra parlare di un mondo incantato e irrimediabilmente
perduto, cui l’orchestra tende invano i propri strumenti. E’ nel Galop che la musica è chiamata
a segnare la catarsi finale, una corsa affannata dove per accumulo orchestrale di armonie
e strumenti, l’arca dell’orchestra si avvia in una folle corsa verso l’inevitabile schianto. Sul
rimbombo del cataclisma sonoro nel finale del Galop, come una memoria ancora possibile,
un nuovo inizio forse, la melodia saltellante delle Risatine maliziose ci riconduce a casa. E’
di nuovo una tromba, questa volta disciplinata e armoniosa, a introdurre il tema poi ripreso
da tutti gli strumenti dell’orchestra.
La Rabelaisiana fu composta nel 1977 su sollecitazione della cantante Lella Cuberli che era
stata in quegli anni acclamata interprete de Il cappello di paglia di Firenze, il titolo teatrale
più famoso del catalogo rotiano. Rota, nella costrizione di una commissione ristretta in
tempi impossibili, compone una musica impervia, poco compiacente dei mezzi vocali della
Cuberli, ma molto ispirata ed aderente al testo poetico, tre liriche tratte dal Gargantua
di François Rabelais (1494?-1553), un autore molto amato e sentito dal Maestro. Si tratta,
io credo, di uno dei brani più interessanti del catalogo di musica concertistica che, forse a
causa dell’impervia tessitura vocale e della non facile pronuncia dei versi, non ha ancora
trovato lo spazio che meriterebbe.
Ci porta alla soglia di questo excursus nel mondo poetico di Rabelais per il tramite di una
iscrizione posta sulla porta della città fantastica di Tèleme. Una invettiva nella quale il poeta
elenca una immaginifica lista di persone che in questa città, recinto della propria arte, non
devono entrare. Alla fantasia verbale il maestro risponde con una zoppia ritmica reiterata in
tutto il brano attraverso successive variazioni, che passano dal grottesco al quasi valzer. Il
secondo, L’oracle de la bouteille, consegue alla scrematura di tutti coloro i quali avrebbero
potuto infrangere quel recinto di verità. Qui è necessario entrare nei misteri nascosti nella
bottiglia, tramite il cui liquido è possibile pervenire ad uno stato di coscienza e verità
superiori. Musicalmente parlando si affida ad una cellula melodica di poche note ripetuta
per tutto il brano senza che l’armonia risolva mai il discorso. L’atmosfera, così sospesa,
assume i toni di un ingresso in un territorio alieno, rimarcata dall’intervento straniante
della tromba nel finale, che sembra perdersi in un universo sonoro inconoscibile. Il terzo,
Io Pean, è un inno bacchico. Come tale esorta alla perdita dei propri sensi per ritrovare
quella coscienza pura, unico strumento in grado di fare luce. La melanconicissima melodia
iniziale ci introduce in questo procedimento di perdita, accompagnata dalle parole che
esaltano Bacco e la magica bottiglia. Il successivo crescendo musicale si incarica di mettere
in guardia tutti coloro i quali pensano questa sia una strada di miracoli a buon mercato, o
una scorciatoia nell’accidentato percorso della nostra vita terrena.
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Rota
La collaborazione intrapresa a metà degli anni ’70 con Maurice
Béjart segnò una svolta che travalicò l’ambito delle due opere
realizzate: Le Molière imaginaire (1976) e Dichterliebe (1978). Fu
per Rota l’ultimo grande sodalizio artistico: dopo Fellini, Visconti,
De Filippo, Soldati, tanto per citare i più importanti, aveva trovato
nel coreografo francese un compagno di strada in grado di stabilire
con lui un rapporto di straordinaria profondità che diede subito
esiti altissimi con il Ballett comédie composto per il tricentenario
della nascita di Molière. Questa suite, composta da sette numeri,
allinea una ristretta, ma significativa, scelta di brani fra quelli
Copertina del disco Le
composti per Maurice Béjart. La partitura fu commissionata
Molière imaginaire. Da
sinistra, Rota, Molière, Bèjart dall’Orchestra Scarlatti di Napoli che aveva una sezione limitata
di ottoni (priva di tromboni e tuba) e, quindi, il Maestro dovette
completamente riorchestrare i brani per aderire a questa particolare formazione orchestrale.
Si incomincia, con passo svelto, dall’Ouverture del II Atto. Dopo l’esposizione di uno dei temi
principali, quello destinato a ritrarre Molière, gli archi celebrano una gioiosa apertura di
sipario e allineano con solennità altri temi del balletto. Il secondo brano della suite che, per
l’appunto, si intitola Molière, riprende il tema di apertura dell’Ouverture. Dopo un’esposizione
meditativa, il brano cambia passo con un intermezzo gioioso, per poi ritornare sul tema di
Molière e svilupparlo sin fonicamente; la chiusa è affidata di nuovo al saltarello gioioso. Un
tempo stretto apre la Danse des comédiens, che allinea divisioni ritmiche diverse nello spazio
di poche battute, traendone effetti come di giostre meccaniche per chiudere, poi, secca,
accelerando sempre di più la reiterata esposizione del tema, come una trottola impazzita.
È un’apertura poetica e sognante quella del numero di Armande, che ben contrasta con il
precedente, si tratta di un valzer che si snoda attraverso diverse variazioni del tema iniziale
per chiudere in sospensione ed introdurre così la Danse du Roi. Questo, come altri numeri
della suite, è costituito da una danza bipartita, dove due temi e due ritmi si alternano senza
soluzione di continuità, creando un movimento che tende alla circolarità dentro un sistema di
pieni e vuoti orchestrali di grande fascino e di sapore barocco. La nature è il brano centrale
della partitura dal punto di vista dell’equilibrio generale dell’opera. Si tratta di un tema
ampio e cantabile che si dispiega nel brano con incisi sempre tesi ad ampliare armonicamente
l’idea iniziale, chiudendo in pompa magna su una cadenza perfetta. Il finale è costituito da
due titoli: Pont Neuf e Le Roi. Il primo è forse quello dal sapore più cinematografico con un
ritmo di Galop sostenuto e le voci alte e stridenti degli ottoni, è un invito a partecipare alla
frenetica vita del teatro di strada, qui e là fanfare echeggiano musiche felliniane pur senza
tradire, invece, uno spirito che solo a questo balletto e alla poetica rotiana in senso lato
appartiene. Le Roi è, come si conviene, solenne anche se animato da un passo svelto che
scioglie la tensione accumulata nel brano precedente. Ai fiati in generale è affidato il compito
di innalzare rapidi castelli sonori che gli archi con movimenti più ampi e variegati si occupano
di ampliare, dando al tutto un magnifico effetto di maestosità barocca, ottenuto però con
strumentazione e orchestra che più novecentesche non si potrebbe.
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Rota
RABELAISIANA (dal Gargantua di Rabelais)
INSCRIPTION (mise sur la grande porte de Theleme)
Cy n’entrez pas, hypocrites, bigots,
Vieux matagotz, marmiteux, boursouflés,
Tordcoulx, badaux, plus que n’estoient les Gots,
Ny Ostrogots, précurseurs des magots:
Haires, cagots, caffars empantouflés,
Gueux mitouflés, frapars escorniflés,
Befflés, enflés, fagoteurs de tabus;
Tirez ailleurs pour vendre vos abus
Vos abus meschants
Rempliroient mes champs
De meschanceté;
Et par faulseté
Troubleroient mes chants
Vous abus meschans.
Qui non entrate voi, ipocriti, bigotti,
Vecchie bertucce, sguatteri gonfioni,
Torcicolli, sciocchi da disgradarne i Goti
E gli Ostrogoti, precursori dei macachi:
Accattoni, Iebbrosi, mangiamoccoli impantofolati,
Straccioni imbacuccati, porcaccioni
scornacchiati,
Beffati, tumefatti, attaccabrighe:
Tirate via a vendere altrove i vostri imbrogli.
I vostri mali imbrogli
Invaderebbero i miei campi
Di cattiveria: E per loro falsità
Turberebbero i miei canti
I vostri mali imbrogli.
Cy n’entrez pas, vous, usuriers chichars,
Briffaulx, leschars, qui toujours amassez,
Grippeminaulx, avalleurs de frimars,
Courbés, camars, qui en vos coquemars
De mille marcs jà n’auriez assez.
Poinct es gassés n’estes, quand cabassez
Et entassez, poiltrons à chiche face:
La male mort en ce pas vous déface.
Face non humaine
Detels gens, qu’on maine
Raire ailleurs: céans
Ne seroit séans.
Vuidez ce dommaine,
Face non humaine.
Qui non entrate voi, usurai spilorci,
Ghiottoni leccapiatti, che sempre ammassate,
Acchiappagatti, ingoiatori di nebbia,
Curvi, camusi, che nelle vostre pentole
Non avete mai abbastanza migliaia di marchi.
Non fate smorfie quando incassate
E accumulate, poltroni dall’avara faccia:
Che mala morte d’un colpo vi disfaccia.
La faccia non umana
Di tal gente si porti
A ridere altrove: qui dentro
Non sarebbe decente;
Via da questo territorio
Facce non umane.
Cy n’entrez pas, vous rassotés mastins,
Soirs ny matins, vieux chagrins, et jaloux;
Ny vous aussi, séditieux mutins,
Larves, lutins, de Dangier palatins,
Grecs ou Latins, plus à craindre que loups;
Ny vous galous, verollés jusqu’à l’ous;
Portez vos loups ailleurs paistre en bonheur,
Croustelevés, remplis de déshonneur.
Qui non entrate voi, o deliranti mastini
Né a sera né a mattino, vecchi malinconici e gelosi,
Né voi faziosi e rivoltosi,
Fantasmi, folletti, spioni dei mariti,
Greci e Latini più pericolosi dei lupi;
Né voi rognosi impestati fino all’osso;
Andate altrove a far mostra d’ulceri,
Infrantiosati carichi di disonore.
La parolle saincte
Jà ne soit extaincte
En ce lieu très sainct;
Chascun en soit ceinct;
Chascune ayt enceincte.
La parolle saincte.
La parola santa
Non sia mai estinta
In questo luogo santissimo.
Ciascun ne sia cinto,
Ciascuno incinto sia
Dalla parola santa.
Cy entrez, vous, dames de hault paraige!
En franc couraige entrez y en bonheur,
Fleurs de beaulté, à céleste visaige,
A droit corsaige, à maintien prude et saige.
En ce passaige est le séjour d’honneur.
Qui entrate voi, dame d’alta stirpe!
Con franco cuore e lietamente entrate,
Fiori di bellezza dal viso celeste,
Dal corpo snello, dal fare onesto e saggio,
In questo luogo ha sede l’onore.
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Rota
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Le hault seigneur, qui du lieu fut donneur
Et guerdonneur, pour vous l’a ordonné,
Et pour frayer à tout prou or donné.
L’alto signore donatore del luogo
E compensatore per voi l’ha ordinato
E per ogni spesa ha molto or donato.
II. L’ORACLE DE LA BOUTEILLE
O Bouteille
Pleine toute
de mystéres:
D’une oreille
Je t’écoute
Ne diffères
Et le mot profères
Auquel pend mon coeur;
En la tant divine liqueur
Bacchus qui fut d’Inde vainqueur
Tient toute vérité enclose.
Vin tant divin loing de toi est forclose
Toute mensonge et toute tromperie
Enjoye soit l’Ame de Noé close lequel de toy
nous fait la tempérie,
Sonne le bon mot, je t’enprie
Qui me doibt oster de misère:
ainsi ne se perde une goutte de toy,
soit blanche ou soit vermeille.
O Bouteille
Pleine toute
De mystères.
II. L’ORACOLO DELLA BOTTIGLIA
O Bottiglia
Tutta piena
Di misteri,
Io t’ascolto
D’un orecchio;
Non tardare
La parola a pronunziare
Dalla qual pende il mio cuore.
Nel divino tuo liquore
Chiuso dentro il ventre tuo
Bacco, d’India vincitore,
Tutta ha messo Verità.
Vino tanto divino, lungi da te è cacciata
Ogni menzogna ed ogni impostura.
Con gioia sia chiusa l’arca di Noè, ll quale ci fe’di
te composizione. Suona il bel motto, te ne prego,
Che deve tormi da miseria.
Così niuna goccia di te si perda
Sia bianca o sia vermiglia.
O Bottiglia
Tutta Piena
Di misteri.
III. IO PEAN
Trinquons de par le bon Bacchus,
Trinquons Bouteille trismégisste
Io Pean!
Croyez o croyez que c’est la fureur la fureur
poétique du bon Bacchus
ce bon vin ecliptique Ainsi ses sens et le fait
cantiquer
Car, sans mespris
A ses esprits
Du tout esprit
Par sa liqueur
De cris en ris,
De ris en pris
En ce pourpris,
Faict son gent cueur
Réthoriqueur
Roy et vainqueur de nos souris
Trinquons de par le bon Bacchus
Trinquons Bouteille trismégiste
Io Pean!
O Dieu, père paterne,
qui muas l’eau en vin
Fais de mon coeur lanterne
Pour luire à mon voisin
o Dieu o Dieu
Trinquons de par le bon Bacchus.
III. IO PEAN
Trinchiamo in nome del buon Bacco!
Trinchiamo, Bottiglia trimegista!
Io Pean!
Del buon Bacco è il Poetico furore,
Credetemi; così gli ecclissa i sensi
Questo buon vino
che lo fa cantare
Sì, senza fallo
Sono i suoi spiriti
In tutto presi
Dal buon liquore.
Dai gridi al riso,
Dal riso all’estro.
In questo vino
Il suo bel cuore
Fatto è fecondo
E superiore a chi sorride
Trinchiamo ecc. ecc.
Trinchiamo, Bottiglia trimegista!
Io Pean!
O virtù di Dio Paterna,
Che mutasti I’acqua in vino,
Il mio cuor muta in lanterna
Per far lume al mio vicino’
o Dio o Dio
Trinchiamo ecc. ecc.
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Rota
domenica 21 novembre 2010
Violoncello
Mario Shirai Grigolato
Concerto per archi (1964-65) rev. (1977)
I. Preludio: Allegro ben moderato e cantabile
II. Scherzo: Allegretto comodo
III. Aria: Andante quasi adagio – Un poco più animato – Tempo I.
IV. Finale: Allegrissimo
Concerto per violoncello
(1925) [prima esecuzione assoluta]
Allegro Moderato
Le notti di Cabiria (1957), Suite dal film
La dolce vita (1959-60), Suite dal film
La prima opera in programma,
il Concerto per archi (1964-65),
appartiene alla stagione della piena
maturità creativa di Rota. Considerato
nel campo cinematografico il più
importante
compositore
italiano
- Rocco e i suoi fratelli (1960) e Il
Gattopardo (1963) di Luchino Visconti;
La dolce vita (1959-60) e Otto e mezzo
(1963) di Federico Fellini tanto per
citare qualche titolo - il Maestro, dopo
anni di ‘galera’ cinematografica, decise
che era venuto il momento di dedicare
più tempo alle sue cose e accettò
di buon grado la commissione del
gruppo ‘I Musici’, una delle orchestre
cameristiche più titolate dell’epoca.
Dovette però aspettare quasi due anni
per vedere finalmente eseguito il suo
lavoro (Napoli, Orchestra Scarlatti, 5
gennaio 1967), che evidentemente non
doveva aver convinto coloro i quali lo
avevano commissionato.
Certamente saranno rimasti disorientati
dall’incredibile successo commerciale
delle musiche composte da Rota per lo
Partitura autografa di Rota per il Concerto per violoncello sceneggiato televisivo Il giornalino di
Gianburrasca, con quella canzonetta
Viva la pappa col pomodoro che era diventata un vero e proprio tormentone nazionale. Il
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Nino2010-2011
Rota
nostro paese, si sa, perdona molte cose, ma il
successo, la popolarità è una di quelle che l’animo
italiano digerisce peggio. Così, un musicista che
fa canticchiare allegramente un intero paese non
può pensare di passarla liscia, quando pretende
poi, pur avendone tutti i titoli, di proporre
nuove composizioni destinate ad austere sale da
concerto. Tant’è, oggi a tanti anni dal debutto il
Concerto per archi è uno dei lavori più eseguiti e
incisi del catalogo rotiano. La partitura è suddivisa
in quattro movimenti con un impianto rispettoso
della tradizione del concerto strumentale non
solistico.
Il Preludio (Allegro ben moderato e cantabile) ci
introduce con grazia e leggerezza nello spirito del
Concerto, dove tutta la famiglia degli strumenti
ad arco è chiamata ad esprimere le proprie
doti melodiche. Il cuore della composizione è
costituito dal secondo e dal terzo movimento:
Scherzo (Allegretto comodo) e Aria (Andante
quasi adagio – Un poco più animato – Tempo I.).
Con lo Scherzo svolto su un tempo ternario in
Nino Rota nel 1925, anno della
3/8, veniamo introdotti in una atmosfera sospesa
composizione del Concerto per violoncello fra la danza e la descrizione di una festa onirica;
la musica si snoda infatti fra valzer e minuetti,
inframmezzati da stacchi tesi e vibrati. L’Aria con la sua tripartizione di tempi è una sorta di
concerto nel concerto. Un inizio estremamente dolce e cantabile, dove le singole sezioni si
passano il testimone del tema, lascia quasi subito il posto ad un crescendo sempre più teso
e drammatico, sostenuto soprattutto dalle viole e dai violoncelli. La conclusione ci riporta
al clima iniziale con la ripresa (un’ottava sotto) del I tema, sostenuto dal suono grave e
rassicurante dei contrabbassi. Il Finale (Allegrissimo) è una galoppata piena di brio in cui sono
chiamate a mostrarsi le doti virtuosistiche degli esecutori, quasi una corona spumeggiante
per una composizione di solido impianto che, pur affondando le sue radici nel neoclassicismo
novecentesco, mostra chiaramente quanto l’unicità dello stile rotiano risieda nella capacità
di sintetizzare una enorme quantità di spunti ed influenze senza perdere la propria personale
cifra.
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Agli opposti confini del catalogo extra cinematografico troviamo in prima esecuzione assoluta
il Concerto per violoncello e orchestra (1925). Pur ritenendo doveroso precisare che alcuni
anni orsono a Bolzano fu messa in atto una esecuzione parziale di questo lavoro, basata su
un’unica fonte largamente incompleta ed ottenuta fraudolentemente. Questa, dell’Orchestra
Verdi, è da ritenersi a tutti gli effetti come la prima ‘vera’ esecuzione. Il Concerto per
violoncello e orchestra ci introduce al fenomeno Rota, il prodigio di un ragazzino che passa
le vacanze estive del 1925, quando ancora doveva compiere i quattordici anni alle prese con
una partitura musicale di proporzioni e ambizioni apparentemente fuori dalla sua taglia.
Il concerto si svolge in una sola arcata, piuttosto breve, per la durata complessiva di circa
dieci minuti. Una melodia brillante da prima esposta dagli archi poi contrappuntata dai legni,
introduce lo strumento solista che comincia la sua parte accompagnato dall’arpa e dagli archi
con una melodia dal sapore pastorale. Il violoncello viene poi lasciato in evidenza ad esporre
un tema terzinato vivace al quale rispondono legni e ottoni. Successivamente il solista espone
compiutamente il tema principale del concerto -ampiamente cantabile - sostenuto da un
accompagnamento dei legni, di violini e viole. A questo punto risponde l’intera orchestra
con una ripresa generale del tema, raggiunta ad un certo punto dal solista che affronta
Nino2010-2011
Rota
una parte virtuosistica. E’ di nuovo un inciso degli archi,
che riprende l’apertura iniziale del brano, ad introdurre il
breve e intenso solo del violoncello che durante il successivo
sviluppo viene contrappuntato dalle diverse famiglie
strumentali dell’orchestra. Il successivo intervento solistico
prelude ad un clima di maggiore tensione e drammaticità
che si scioglie in una più lunga sezione concertata volta a
creare una atmosfera di una certa solennità che ci porta alla
chiusa finale.
Senza Le notti di Cabiria (1957), La dolce vita (1959-60) uno
dei grandi capolavori del cinema italiano, forse il più grande
in assoluto, non sarebbe potuto nascere. E senza le musiche
di Nino Rota per entrambi i film, forse, quella grandezza
e quell’universalità della potenza espressiva felliniana non
sarebbero stati così come ormai, a cinquant’anni di distanza,
la storia comincia a segnalarci.
Nella vicenda drammatica della candida prostituta, Fellini mette in campo tutte le discrasie
della società italiana del dopoguerra, utilizzando come protagonista una figura drammatica in
grado di navigare fra i quadri che si giustappongono nel corso del film. Non c’è più l’unitarietà
drammaturgica de La strada e non siamo ancora all’affresco-mosaico de La dolce vita. Ma
molti elementi del successivo capolavoro fanno qui capolino: Via Veneto e la sua vita notturna,
la processione religiosa. Così la musica, da una parte prelude a quei ‘ritmi moderni’ che
successivamente riappariranno ne La dolce vita ma non manca di offrire anche canzoni più
tradizionali che cercano di sintetizzare in modo unitario i diversi paesaggi nei quali si muove
Cabiria. Non mancano, infine, quelle melodie intrise di un patetismo mai corrivo e sempre
teso a sottolineare lo slancio umano dei personaggi che, piccoli piccoli si avventurano fra gli
abissi della drammaturgia felliniana. Da segnalare, fra le gemme di questa colonna sonora, la
canzone napoletana Lla Ri’ Lli Ra’.
La potenza trasversale de La dolce vita ha fatto sì che, ancora oggi, il titolo del film rappresenti
un elemento metalinguistico di gran lunga più popolare dell’opera cinematografica. La dolce
vita è un ‘Brand’, un Marchio, buono, ancora oggi, per una gelateria, una griffe di moda, un
locale notturno. Lo possiamo trovare ai quattro angoli del pianeta, anche in luoghi dove il film
non è mai arrivato.
La colonna sonora nacque come un work in progress, sull’input iniziale di Fellini che questa
volta voleva utilizzare quasi esclusivamente brani di repertorio in grado di sollecitare
quell’immaginario contemporaneo alla vicenda, che è uno dei pilastri sui quali si regge
l’affresco tratteggiato dal regista. Strada facendo molti di questi titoli si sono dispersi per vari
motivi e il certosino lavoro di cucitura e adattamento dei diversi mondi musicali effettuato
da Rota ha portato all’introduzione di molta musica originale, anzi originalissima, perché
composta su un territorio liminare, molto sottile, di ‘mio non mio ma alla fine assolutamente
mio’ che, oltre ad essere una cifra stilistica precisa del comporre rotiano, è qui ascrivibile
ad una intuizione post-modernista messa in atto dal complesso dell’opera filmica. Assieme a
queste operazioni acrobatico/fachiresche, troviamo poi la sontuosa musica dei titoli di testa,
con quegli orientalismi che ci introducono in una Roma al quadrato, bellissima e miserabile
al tempo stesso; il dolente valzer Parlami di me e l’assolo di tromba del clown Polydor.
Come il film insomma, pur nella frammentarietà delle costrizioni dei tempi cinematografici,
questa colonna sonora è un mosaico-patchwork con gli slanci di un grande affresco che segnò
un’epoca e che oggi esiste e vive anche oltre l’opera cinematografica che l’ha generata.
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Nino2010-2011
Rota
domenica 12 dicembre 2010
Arpa
Elena Piva
Rocco e i suoi fratelli (1960) Suite dal film
Concerto per arpa e orchestra (1947-50)
I. Allegro moderato
II. Andante
III. Allegro
Allegro concertante per orchestra
(1954) [prima esecuzione a Milano]
Allegro moderato pomposo
Guerra e pace (1956), Suite dal film
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Le musiche composte da Nino Rota
per il film Rocco e i suoi fratelli,
nella loro parsimoniosa esiguità,
sono l’esempio più lampante di
come questa committenza, la più
consistente di tutto il novecento,
richiedesse al musicista gradi di
umiltà tali da sconfinare, a volte,
nel masochismo e al tempo stesso
una sapienza artigianale di prima
categoria. La suite qui allinea i
2 elementi sinfonici di apertura
e chiusura che circoscrivono 3
quadretti d’ambiente, 3 numeri
di pura musica cinematografica.
Il primo di questi si apre con una
dolente melodia intonata da oboe
e clarinetti accompagnati dalla
chitarra e ci riporta alla nostalgia,
al senso luttuoso della perdita della
terra d’origine. Il secondo, quasi
didascalicamente,
contrappone
un ritmo jazz sostenuto dall’organo elettronico a rappresentare l’energia e la velocità della
metropoli nella quale la famiglia di Rocco si è trasferita. A chiudere il trittico, un allegro
valzer di sapore campestre che questa volta declina il tema delle origini in senso positivo.
Un bagaglio, una memoria che comunque ci si porta appresso, fa parte della nostra storia e
della nostra identità. Ad aprire la Suite è, invece, un brevissimo ed efficace pezzo sinfonico
che introduce la cifra drammatica della vicenda filmica. In chiusura, infine, il Tema di Nadia,
uno dei temi principali della pellicola, romantico e drammatico allo stesso tempo. Si tratta
Nino2010-2011
Rota
in fondo di interventi musicali circoscritti, distribuiti con parsimonia nel corso della vicenda
fimica: la musica, quando non è presente direttamente in scena, ha vera e propria funzione
incidentale.
Il Concerto per arpa e orchestra (1947-50), eseguito per la prima volta a Torino il 9 marzo
1951 dall’Orchestra della RAI sotto la direzione di Carlo Maria Giulini, è dedicato alla grande
arpista Clelia Gatti Aldrovandi che lo portò al debutto. Questo concerto è il primo, dopo
l’adolescenziale esperimento con il violoncello, di una nutrita schiera di composizioni per
strumento solista e orchestra che andranno ad innervare il nutrito catalogo delle opere
extracinematografiche negli anni della maturità. Il I movimento, dopo l’esposizione del
tema da parte del solista, si apre con un dialogo serrato fra l’arpa e i flauti ai quali si
aggiungono via via gli altri strumenti dell’orchestra. Lo sviluppo del movimento è giocato
in un botta e risposta fra il solista e le diverse sezioni dell’orchestra che porta ad un certo
punto quest’ultima a dare uno sviluppo solenne al tema per introdurre poi una lunga cadenza
dell’arpa che ci porta a ridosso del finale. Anche il II Movimento si apre con un dialogo fra
l’arpa e i flauti, per poi svilupparsi in un gioco di rimandi nei quali, in modo intimo e discreto,
vengono chiamate ad intervenire le diverse sezioni dell’orchestra. La tromba solista segna
il cambio di passo, da una atmosfera dialogante ad una sorta di meditazione musicale, nella
quale sono soprattutto gli ottoni e l’arpa a creare un campo sonoro tanto rarefatto, quanto
affascinante. L’Allegro del III movimento si apre con il tema esposto a piena orchestra, cui
risponde con un efficace staccato l’arpa solista. Il movimento si contrappone al precedente
con una struttura serrata, costituita da brevi blocchi che si susseguono senza pause, piccole
esplosioni orchestrali fanno da trampolino di lancio a velocissimi arpeggi, cui segue un
efficace dialogo fra i due interlocutori privilegiati di tutto il brano e cioè il flauto, o meglio,
i flauti e l’arpa.
La cadenza dell’Arpa, come si conviene, è costituita da una serie di variazioni virtuosistiche sul
tema principale del concerto esposto all’inizio del movimento cui risponde l’orchestra con gli
archi per andare a chiudere l’intero concerto sulle voci di flauto, ottavino e arpa.
L’Allegro concertante per orchestra
fa parte di quella sezione di lavori
rotiani nati parallelamente all’attività
didattica presso il Conservatorio N.
Piccinni di Bari, del quale è stato
direttore ininterrottamente dal 1950
al 1977. Pur non avendo, allo stato
degli atti, una data certa di prima
esecuzione, la presenza presso
l’Archivio Rota alla Fondazione Cini
di Venezia delle parti d’orchestra
annotate dagli strumentisti e
l’indicazione del mese di aprile
accanto all’anno di composizione, ci
fanno ritenere che il brano fosse stato
Partitura autografa di Allegro concertante
appositamente composto per uno dei
saggi finali dell’anno scolastico 195253. Questa, dell’Orchestra Verdi, è la prima esecuzione in una stagione regolare di concerti. La
partitura prevede un finale che, pur lasciando la composizione inalterata, contempla l’alternativa
fra l’utilizzazione di un coro misto o dall’organo, come in questo caso, per consentire una più
agevole esecuzione del brano in una normale stagione concertistica. Il coro finale era stato
previsto per dare la possibilità a tutte le classi della scuola di poter partecipare a questa festa
musicale che, data la difficoltà di alcuni degli interventi solistici, avrà certamente richiesto
la partecipazione in orchestra anche di alcuni insegnanti. Un modo questo di fare scuola, di
insegnare e vivere la musica, che il Maestro doveva aver bene appreso durante i suoi anni di
studio a Philadelphia, al Curtis Institute of Music. Anni che lui stesso definì come decisivi per la
propria formazione. La composizione è una sorta di inno alla gioia del fare musica insieme. In
Rota l’ispirazione, anche quando è così esplicitamente legata ad una idea, a una committenza
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Nino2010-2011
Rota
precisa, non è mai didascalica e la musica fluisce fin dall’inizio su di un tema di grande presa che
nel corso della partitura viene sviluppato e variato per consentire ai singoli strumenti di sviluppare
una propria parte solistica e giungere infine alla chiusa ‘corale’ che la inscrive nella forma di un
inno.
Il film di King Vidor Guerra e pace del 1956 è un capitolo significativo di quella sezione
della storia del cinema nella quale lo sforzo congiunto di più produttori forniva un capitale
economico enorme, in grado di allestire quelli che sono passati alla storia come i Kolossal.
Questo sforzo rispondeva ad un mercato globale di vaste dimensioni. Il gigantismo era quindi
un modo di tenere il mercato nelle mani dei più ricchi e, quindi, principalmente di Hollywood.
Solo sporadicamente l’Europa poteva dire la sua, come con questa pellicola, dove uno dei
nostri maggiori produttori, Dino De Laurentis, alleandosi con gli americani riuscì a realizzare
questa epica impresa. Kolossal significava principalmente grandi masse artistiche, poderosi
effetti speciali (di quei tempi, che a noi ora paiono trucchetti da Luna Park), poderose
orchestre sinfoniche e, soprattutto, cast stellari. A Guerra e pace non manca nessuno di
questi elementi ma, come accade a volte in cucina, con i soufflé per esempio, la presenza di
tutti gli ingredienti della ricetta non basta a garantirne la riuscita. Così oggi, a rivederlo, il
film appare sostanzialmente ridicolo e il suo gigantismo non fa che accentuare la mancanza
di una chiave di lettura, di una strategia coerente per la trasposizione del grande romanzo di
Tolstoj sullo schermo. Rota si dedicò con grande impegno e passione alla composizione della
(moltissima) musica necessaria alla pellicola della durata di oltre 3 ore. Ma, come ebbe a
dire più volte, nessuna musica, per quanto riuscita, può sostenere un film che non funziona.
D’altro canto, per la sua modestia congenita, non volle mai dire e lo sottolineiamo invece
noi qui, che a volte la musica di un film non completamente riuscito può diventare per la sua
intrinseca qualità, fuori dalla pellicola, un successo, un grande successo. I primi due e più
evidenti esempi di questo possibile esito nel catalogo rotiano sono proprio due Kolossal: La
leggenda della montagna di cristallo e, appunto, Guerra e pace. Per molti anni, Il valzer di
Natasha e La rosa di Novgorod, due dei temi principali di questa colonna sonora, fecero parte
del repertorio di orchestre e cantanti ai quattro angoli del globo.
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Nino2010-2011
Rota
domenica 2 gennaio 2011
Pianoforte
Simone Pedroni
Amarcord (1974), Suite dal film
Piccolo mondo antico, Concerto in mi per pianoforte e
orchestra (1978)
I. Allegro tranquillo
II. Andante
III. Allegro
Concerto festivo per orchestra
(1958-62) [prima esecuzione a Milano]
I. Ouverture: Allegro
II. Aria: Andante sostenuto e cantabile
III.Cabaletta: Andante con moto e scherzando
IV. Elegia: Andante sostenuto
V. Finale: Allegro
Di tutta la filmografia felliniana, Amarcord è il titolo più
personale e intimo del regista romagnolo. Il film mette in
scena forti elementi autobiografici come, per esempio,
il ritratto omaggio a Titta Benzi, amico di infanzia e di
una vita intera, per arrivare poi a costruire, frammento
dopo frammento, una sorta di autoritratto della propria
poetica attraverso il ricordo. In questa pellicola l’ultra
trentennale sodalizio fra regista e compositore si
cimenta nella costruzione di una serie di pastelli sonori
che, accanto alla consueta prassi di missare musiche
tipicamente rotiane con le melodie di cui il regista si
è servito per anni sul set per accompagnare gli attori,
tratta e riprocessa una serie di altri elementi tipici
della poetica Fellini-Rota fino a farli diventare esercizi
memonici, filastrocche musicali. Memorabilia insomma,
soprattutto infantili, come per esempio la banda de La
fogaraccia che, alla fine, ci lascia in testa quei frullini
musicali ripetuti-ripetibili fino all’infinito. Un effetto
Davide Minghini, Federico Fellini e insomma, se ci pensiamo, che era un po’ anche il nostro
Marcello Bonini Olas in uniforme
retrogusto musicale dopo il passaggio della banda, di
fascista, 1973-Rimini, Biblioteca
qualsiasi banda, ci sia capitato di assistere nella nostra
civica Gambalunga, Fondo Minghini
infanzia. Ma quello che più stupisce è, alla fine, la
grazia, la leggerezza e la fluidità di tutte queste ‘musichette’ che sono invece frutto di un
sapientissimo e complicato lavoro compositivo. E’ un materiale musicale questo che ancora
oggi ispira musicisti e compositori in tutto il mondo. Come i ricordi dotati di sostanza poetica,
è una musica sospesa nel tempo i cui riferimenti storici sono secondari rispetto alla sostanza
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Nino2010-2011
Rota
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dell’emozione che evocano.
Sarà forse un caso, ma sembra quasi
provocatorio il fatto che, quattro anni
dopo Amarcord, nelle frange estreme
della propria vita, Nino Rota abbia voluto
sottotitolare il suo ultimo concerto
per piano e orchestra ‘Piccolo mondo
antico’. Sin dalla introduzione, affidata al
piano solo, il tema del commiato da una
memoria, da un incarnato musicale sembra
emergere con una certa evidenza. Eppure
ci accorgiamo subito che l’intento, come
sempre in Rota, non è mai didascalico né
esplicativo ma, semplicemente, funzionale
alla costruzione di un clima dove elementi,
che pochi avrebbero avuto il coraggio o
l’incoscienza di utilizzare in quell’epoca,
servono alla costruzione di un brano di
L’arrivo del Rex ,da Amarcord.
grandi proporzioni che suona così antico
da parere del tutto disgiunto dal dato
anagrafico. Il I movimento, che prende quasi la metà del Concerto, è costruito per blocchi e
accumuli di materiali sonori. Dopo l’apertura affidata al solista, l’orchestra si prende tutta la
scena con grande vigore, inanellando una serie di blocchi accordali fino a lasciare rientrare
il piano con una serie di rapidi arpeggi e staccati e, solo a questo punto, viene instaurato un
dialogo inizialmente circoscritto ai legni e al solista. Il successivo concertato coinvolge mano
a mano tutte le voci dell’orchestra, per sfociare infine in un dialogo sempre più serrato e
di grande virtuosismo per la parte del solista. Una esposizione del tema da parte dell’oboe
prima, e poi del piano con un successivo sviluppo fugato e una serie di variazioni sul tema
medesimo ci porta alla Cadenza, particolarmente lunga e impegnativa. Il movimento si chiude
con la ripetuta esposizione del tema principale da parte di tutta la compagine, un inciso
staccato del piano e l’accordo finale affidato agli archi, secco. La parte centrale del Concerto
si carica, con il II Movimento, di toni drammatici ed elegiaci, quasi ad evocare, attraverso il
sottotitolo, quel Piccolo mondo antico di Fogazzaro a cui il Maestro sembra essersi ispirato
anche solamente attraverso l’immagine di Villa Fogazzaro che si specchia nelle acque del
Lago di Lugano. L’apertura tesa e drammatica degli archi viene subito ripresa dal solista in
forma più meditativa, per continuare poi in un dialogo nel quale l’orchestra aggiunge via via
tinte più cupe, seguite da aperture, quasi come schiarite dopo un temporale, più elegiache
ma sempre animate da una tensione, come di qualche cosa che si muova dentro di noi ma al
di fuori del nostro controllo razionale. Una musica che invita al tempo stesso all’abbandono e
alla riflessione. Una sottile e tremolante luce di speranza sembra intravedersi nella chiusa del
movimento dove, comunque, gli archi giocano su tinte gravi e cupe. L’attacco del III Movimento
stacca un tempo medio veloce e, per rimanere nel campo delle figurazioni meteorologiche,
sembra sancire il predominio della schiarita dopo la cupa atmosfera del movimento precedente.
Anche il dialogo fra solista e orchestra si dilata e assume un respiro che, seppur sempre ricco
di pathos, assume caratteri via via giocosi, virtuosistici e decisamente più solari, in un gioco
di rimandi nei quali il pianoforte è chiamato a sostenere con tutta la sua potenza sonora
l’impatto con l’orchestra impegnata in ogni sua sezione. Quando orchestra e solista sono
ormai avvitati in un botta e risposta che pare una trottola luminescente, dalla quale vengono
proiettati in forma caleidoscopica tutti gli elementi che hanno contribuito alla costruzione
del Concerto, arriva una chiusa secca, abbastanza tipica dello stile Rota. Verrebbe facile dire
che, data la collocazione temporale del brano e le precarie condizioni di salute del Maestro
all’epoca della sua composizione, il Concerto in mi per pianoforte e orchestra suoni come un
passo di addio ma, personalmente, credo non sia così. Non c’è nel catalogo del Maestro alcun
elemento ‘evolutivo’ o di ‘storica progressione’, nel 90% dei casi le sue composizioni nascono
Nino2010-2011
Rota
da commissioni determinate
e ogni capitolo, ogni lavoro,
nasce e cresce per attendere
a quella singola commissione.
Così è stato anche per questo
Concerto, i forti contrasti
emotivi che lo animano e la
sapiente costruzione di un
brano di così ampio respiro
con un materiale tematico così
ridotto, sono semplicemente
un richiamo a quelle doti
di altissimo artigianato e di
rispetto verso gli strumenti
della tradizione compositiva,
considerata
all’epoca
definitivamente fuori dal corso
Villa Fogazzaro, Oria di Valsolda – Lago di Lugano
della storia. Elementi ai quali
invece Rota ha sempre manifestato il proprio attaccamento senza alcun intento polemico.
Il Concerto festivo per Orchestra (1958-61) è un esempio tipico dell’infinito work in progress
che animava la prassi compositiva del Maestro. Nato originariamente per un concorso di
composizione e sviluppatosi nel corso degli anni secondo una sequela di revisioni, parziali
riscritture e sostituzioni di singoli brani, fu presentato per la prima volta a Roma nel novembre
del 1962, presso l’Accademia di S. Cecilia. La forma del concerto, che ha una struttura più
libera della sinfonia, è costruita in questo caso come una sorta di conchiglia musicale nella
quale l’Ouverture e il Finale svolgono la funzione di valve e ne costituiscono quindi il solido
guscio attraverso cui l’orchestra presenta e conclude la propria esibizione. All’interno della
conchiglia troviamo poi tre oggetti, manufatti sonori - a seguire questa immagine li potremmo
chiamare perle - che sono costituiti dall’Aria, dalla Cabaletta e dall’Elegia. Si tratta di
tre immagini dove Rota, in un esercizio di sintesi estrema, crea delle poderose miniature
musicali. E’ un lavoro di cesello, fatto in punta di penna, dove a risaltare non è tanto una
visione complessiva della forma, quanto una piccola serie di ‘Quadri da un’esposizione’ dai
quali emerge una capacità di trattare l’orchestra veramente notevole. Idee melodiche, la cui
elementarità è quasi provocatoria, acquistano così spessore e solennità in un gioco mai fine a
se stesso, perfettamente integrato all’idea di offrire all’orchestra un’occasione per mostrare
le proprie doti virtuosistiche. L’Aria, come si trattasse di un brano operistico di carattere
lirico-drammatico su un tempo medio, si sviluppa in un clima armonico ambiguo che ne dà
un colore opalescente. Nello sviluppo gli archi ricordano, ad un certo punto, le dissonanze
e le tensioni create da Bernhard Hermann nelle sue colonne sonore per Alfred Hitchcock.
Di tutta altra pasta è la Cabaletta, dove l’atmosfera è inizialmente giocosa e costruita sul
dialogo fra flauti, oboi, clarinetti e fagotti che, con l’ingresso della tromba, assume una
certa tensione armonica poi sostenuta da tutti gli archi. La chiusa, contrariamente al resto
del brano, è affidata ai toni gravi degli archi e degli ottoni. Il terzo elemento, l’Elegia, è
quello che assume la tonalità sonora più scura e solenne. Archi e ottoni su un tema ben
scandito creano un paesaggio ampio e severo con un effetto nel finale che richiama il cinema,
come uno zoom all’indietro per svelare un panorama più ampio e preparare l’ingresso del
Finale. Come l’Ouverture, il Finale stacca un tempo veloce sui suoni squillanti degli ottoni.
Si compone di due temi che si incrociano e custodisce/conclude con un vero e proprio
muro sonoro le tre perle dei quadri centrali. Il Concerto festivo per orchestra, pur essendo
stato composto mezzo secolo fa, è in prima esecuzione a Milano. Il brano ebbe recensioni
poco lusinghiere nel nostro paese e rimase inedito. Solo negli ultimi anni ha ricominciato
a circolare, soprattutto nel Nord Europa, grazie a una incisione discografica dell’etichetta
discografica svedese BIS e alla pubblicazione da parte dell’editore tedesco Schott.
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Nino2010-2011
Rota
domenica 16 gennaio 2011
Organo
Daniele Sacchi
Trombone
Giuliano Rizzotto
Fuga per quartetto d’archi, organo e orchestra d’archi (1923)
[prima esecuzione assoluta]
Concerto per trombone e orchestra (1966)
I. Allegro giusto
II. Lento ben ritmato
III. Allegro moderato
La scuola di guida, Idillio di Mario Soldati (1959)
[prima esecuzione a Milano]
Personaggi: Lui T, Lei S - Orchestrazione di Bruno Moretti
Otto e ½ (1963), Suite dal film
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«Nei salotti ogni tanto ci si incontrava perché eravamo
due piccoli mostri, anzi in un certo senso Nino era più
mostruoso come enfant prodige perché era tecnicamente
molto più avanti di me. A 11 anni aveva fatto L’Infanzia di
San Giovanni Battista (Oratorio per soli coro e orchestra
ndr). Ma la nostra amicizia era un po’ turbata dalle
nostre madri che fingevano di essere molto amiche ma
in fondo c’era una specie di sorda guerra fra loro due
perché ognuna di loro trovava che il loro bimbo era il
vero genio»
Giancarlo Menotti (1911-2007) mi raccontò così, in una
intervista per la radio di tanti anni fa, il suo antico
sodalizio con Rota e la loro condizione ‘mostruosa’ di
piccoli geni musicali, novelli emuli di Mozart nella Milano
degli anni ‘20. Ed è un po’ con questo spirito credo che
bisogna avvicinarsi all’ascolto della Fuga per quartetto
d’archi, organo e orchestra d’archi composta da un ‘quasi
dodicenne’ che al ritorno da scuola, invece di mettersi
Partitura autografa della Fuga.
a giocare si buttava a carponi a scrivere musica vicino al
pianoforte di casa. Pare che, in quegli anni, avesse riempito due bauli di spartiti musicali
Nino2010-2011
Rota
in gran parte andati perduti durante la guerra. Ma,
insieme a L’Infanzia di San Giovanni Battista che
ebbe l’onore di una pubblica esecuzione nell’aprile
del 1923 all’Istituto dei Ciechi di Milano e, poi,
nella cittadina francese di Tourcöing, è arrivata a noi
anche questa Fuga che funziona a puntino e, nella
sua brevità, dà certo la vertigine per la padronanza
tecnica dell’imberbe compositore. Rota prova anche
ad inserire qualche tocco originale nell’approccio
alla partitura: sarebbe però ingeneroso e parziale
attribuire più di questo alla piccola partitura che il
Maestro lasciò riposare nel cassetto per tutta la vita.
Il Concerto per trombone e orchestra del 1966 è, fra
le opere per strumento solista e orchestra, quello più
felicemente riuscito dal punto di vista dell’equilibrio
formale. Suddiviso nei classici tre movimenti, il
concerto si snoda come una sorta di percorso di
destrezza per uno strumento che parrebbe poco
adatto ad indossare i panni dell’agile acrobata
delle note. Fin dal I movimento è il trombone a
condurre il gioco con una predilezione per la parte
medio alta della propria estensione ed una notevole
Saggio di musica moderna presso
preponderanza delle note staccate e delle sincopi
il Conservatorio di musica Giuseppe
ritmiche. L’orchestra, trattata in modo molto leggero
Verdi Milano del 6 maggio 1969:
con pizzicati degli archi ed entrate a piena voce rapide
tra i brani eseguiti, il Concerto per
quanto brevi per non togliere spessore alla figura del
trombone e orchestra di Rota in prima
solista, contribuisce a creare il tessuto ideale sul
esecuzione assoluta.
quale il trombone esercita la propria leadership. Il
movimento centrale, come si conviene, è un tempo lento nel quale i toni meditativi più
gravi aprono le porte a un dialogo fra il solista e diversi strumenti dell’orchestra per aprirsi
poi in una specie di valzer tipicamente rotiano, di quelli un po’ zoppi alla Shostakovich,
dove il solista si lancia in un tema lirico sorretto e stimolato da un orchestra decisamente
più presente che nel I Movimento. A conferma della particolare riuscita di questa partitura
arriva il III Movimento. Il trombone solista assume qui una tonalità più grave nel registro,
mantenendo però un notevole dinamismo grazie a brevi staccati e rapidi incisi melodici;
l’orchestra utilizza principalmente gli archi che insistono sul registro medio accompagnando
e sostenendo il solista nelle sue evoluzioni che tanto evocano un’immagine campestre
dove, un non meglio precisato insettone volante (il trombone), si aggira fra una natura
rigogliosa e verdeggiante. Nella musica di Rota appaiono sovente aperture e temi delicati
che rasserenano una tinta di fondo generalmente intrisa di malinconia: ecco, il Concerto
per trombone e orchestra è probabilmente uno dei brani nei quali questa trasmutazione,
questo viraggio di colori, trova la sua misura più esatta.. E’ una musica senza tempo, di una
levità senza pari.
Nino Rota compose, tra il 1945 e il ‘60, le colonne sonore per nove pellicole e due
inchieste televisive di Mario Soldati. La loro fu una collaborazione nata da un antico e saldo
rapporto di amicizia. Questo rapporto era alimentato da frequentazioni estranee al mondo
del cinema come, per esempio, il cenacolo del Premio letterario Bagutta di Milano. Una
frequentazione sempre stimolata dall’onnivora curiosità culturale di Soldati, che trovava
in Rota il tramite ideale per esplorare il mondo della musica. La serena incoscienza con
la quale i due affrontarono l’estemporanea e vaga commissione di Giancarlo Menotti che
chiese per il ‘Festival dei due mondi’ del 1959, all’ultimo istante e nell’accavallarsi degli
impegni di entrambi, un ex tempore, da inserire nello spettacolo Fogli d’album che allineava
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Nino2010-2011
Rota
diversi brevi titoli di teatro musicale sotto
la mano registica di Franco Zeffirelli.
Detto e fatto! La scuola di guida: due soli
personaggi, unità di tempo e di luogo e
poco più di dieci minuti per lo svolgimento.
Su quell’automobile Soldati fa incontrare
due perdenti, un lui e una lei, che hanno
ottime ragioni per trasformare il naufragio
della lezione di guida e di conserva della
loro esistenza in un porto sicuro degli
affetti. Ne escono due caratteri tipici
della poetica del regista cinematografico,
da Le miserie del signor Travet in avanti,
dove una rassegnata e discreta autoironia
di stampo sabaudo stempera le amarezze
della vita. Tutto questo declinato in una
cornice di decoro borghese e/o piccolo
borghese, che rende accettabili e - perché
no - credibili, anche passioni fuori tempo
massimo, come quella sbocciata fra i
due protagonisti. La partitura musicale,
scoppiettante e spudorata nel sottolineare
le vicende dei due, provocò l’entusiasmo
di un incontentabile melomane quale
Alberto Arbasino: «(…) questa musica di
una volgarità e di una facilità oltraggiose (e
stupende) (…) oltre ad avere un carattere
ben preciso e ambizioni deliberatamente circoscritte, riporta con una puntualità pungente
a un tempo che è patetico rivalutare: i primi anni della guerra, la moda del ‘40 (…)» preso
l’abbrivio, sull’onda dell’entusiasmo, Arbasino si infila nel ginepraio delle citazioni:
«(…) oltre ad un po’ di Puccini e di operetta con Guido Riccioli e Nanda Primavera, mi
piaceva sentirci dentro continuamente le canzonette della radio di quando facevo il
ginnasio, “La canzone del boscaiolo”, “Il maestro improvvisa”, “Pippo non lo sa”… »1. E
dove finisce Arbasino, potremmo continuare noi, fino al completo stordimento, perché con
Rota riesce più semplice dire ciò che manca di quello che, volta a volta, anche nel volgere
di pochissime battute, sbuca fuori. Alla fine, però, succede che lo riconosci sempre, perché
in questo gioco era così bravo che tutto quel materiale diventava semplicemente suo, privo
di qualunque virgolettatura o atteggiamento citazionista, semplicemente funzionale allo
scopo. L’orchestrazione di Bruno Moretti, un rotiano di provata fede, rende e sottolinea
come si conviene tutto questo senza mai farsi prendere la mano da un testo musicale che
per una sua intrinseca vitalità porterebbe a strafare sull’onda delle suggestioni e delle
evocazioni che sgorgano da ogni singola battuta.
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Nel rarefatto olimpo del cinema, fra quei film che tutti i registi che aspirano ad entrarvi o che
reputino di farne parte, Otto e mezzo di Federico Fellini è probabilmente uno dei più citati.
E, all’interno di questa pellicola, la scena più citata è quella della passerella finale. Uno dei
feticci musicali di Fellini, che lo ha accompagnato per tutta la vita sul set, era L’entrata
dei Gladiatori di Julius Fucik, una marcia militare composta alla fine dell’800, divenuta
popolare nel XX secolo per il suo massivo utilizzo negli spettacoli circensi. Per il finale,
la surreale passerella di tutti i personaggi che avevano animato il film mai nato, pareva
inesorabile trasferire nella colonna definitiva questa musichetta suonata sul set per dare
ritmo e movimento agli attori. Al momento del lavoro in moviola però, quando Rota suonava
su un pianofortino scassato tutte le musiche per verificare i tempi esatti di sincrono, una
sua variazione composta come riserva a Fucik convinse il regista alla sostituzione. Sarebbe
Nino2010-2011
Rota
erroneo però considerare questo
chiassoso
divertimento
bandistico come una copia di
scuola del modello originale.
Nino Rota diceva, citando una
definizione che di lui aveva dato
il fratello, che “la musica era il
suo vizio, non una passione, un
mestiere, ma un vizio esclusivo
e totalizzante”. Questa totale
dipendenza, lo aveva portato fra
le altre cose ad accumulare una
cultura musicale spaventosa.
Non c’era partitura di nuova
pubblicazione a cui il Maestro non
avesse dato almeno un’occhiata
ed una prodigiosa memoria gli
consentiva di padroneggiare uno
sterminato repertorio, sul quale
spesso le sue idee appoggiavano
uno spunto che poi trasformava
e piegava alle esigenze della
committenza. Così, quel motivetto bandistico tanto somigliante al modello originale ma poi
sviluppato in tutt’altra direzione, non è una marcia militare. Una memoria, piuttosto, di una,
anzi di due strane marce. Infatti, sotto la prima, ce n’è un’altra che, invece di giustapporsi
come in una ‘vera’ marcia, si incastra sotto, con alcune regole del buon comporre trasgredite
alla grande. Ecco, quella fanfara de La passerella finale ha un qualcosa di Mahleriano, di
quelle fanfare lontane che echeggiano in alcune sue sinfonie. Anche nel suo dipanarsi fuori
dalle regole, come per seguire la parabola di una crisi legata all’inadeguatezza della prassi
artistica, del ruolo dell’artista nel mondo a lui contemporaneo. Detto questo, l’oggetto
sonoro è godibilissimo, frastornante nelle sue esplosioni sonore, commovente nel diminuendo
finale del flauto che si spegne su un orizzonte incerto.
1 Alberto Arbasino “Un Festival in famiglia” SETTIMO GIORNO 25/6/1959.
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Nino2010-2011
Rota
LA SCUOLA DI GUIDA
Idillio
Parole di Mario Soldati - Musica di Nino Rota
Lui
Infili la chiavetta nel cruscotto.
Lei
Il gas.
Lei
Qual è il cruscotto?
Lui
Stia attenta a non confondere
Il freno con il gas.
Lui
Questo, questo qui.
Adesso metta in moto.
Lei
Come faccio?
Lei
Non dubiti, ingegnere: questo è il freno
E questo è il gas.
Lui
Provi, adesso, provi!
Lui
Alzi la leva: tiri, tiri
Lei
Ma lei mi fa il piedino!
Lei
Forte?
Lui
Si figuri
Se io faccio queste cose.
Avanti,,. metta in moto. Tiri, tiri!
Lui
Così.
Lei
Ma però non mi guardi così,
Non son capace.
Lui
Devo bene guardare
Quel che fa. Dunque, vediamo se
ricorda.
I pedali sono tre. A sinistra?
Lei
La frizione.
Lui
Nel centro?
Lei
Il freno.
Lui
A destra?
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Lei
Forte?
Lui
Così.
Adesso metta a folle.
Lei
Folle, folle, folle:
Sono folle, sempre folle!
Lui
Lei ha la testa altrove.
Ora schiacci la frizione e parta in prima.
Sbalzi in avanti. Gridi di lei. La macchina si
ferma.
Lei
Ma perché fa così?
Lui
Calma, calma: lasci andare il pedale,
Nino2010-2011
Rota
La frizione dolcemente
E contemporaneamente
Dia gas: dolcemente.
Lei
Ma come: dolcemente?!
Forse sì! Forse no!
Va sempre tanto rapido:
Non saprei riconoscerla. Ma
Da quel momento ho capito perché
Voglio guidare anch’io!
Lui
Dolcemente.
(Lui riavvia il motore, lei mette in
prima. La macchina riparte).
Proviamo a mettere in seconda.
(Sbalzi come prima, finché la
macchina…si ferma).
Le avevo detto
Che la seconda è in là!
Lui
Guardi: passa l’ora, signorina.
Siamo ancora indietro: coraggio.
Adesso metta in moto: prima.
(Lei rimette in prima. La macchina riparte.
Adesso in seconda.
(Mette in seconda).
Attenta alla frizione: dolcemente.
Stia attenta a non confondere
Il freno con il gas.
Lei
Ah, mi son stufata!
È troppo complicato!
Lei
Non dubiti, ingegnere:
questo è il freno e questo è il gas.
Lui
Ma lei non ama la macchina, e allora,
Perché diamine vuole imparare
A guidare?
Lei
Eh, sapesse perché!
Non glielo posso dire.
Lui
Attenta adesso. Inteso?
(La macchina si ferma e fa un tremendo
sbalzo…va indietro).
Ma no, ma no!
(La macchina si ferma).
Questa è la marcia indietro!
(Risata)
Lui
Guidare è una cosa seria!
Lei
Non riuscirò mai, mai!
Lei
Vedevo una macchina
Come portata dal vento:
Da un vento improvviso,
Passarmi d’innanzi, volare.
Sentivo il cuore in gola; sognavo
D’essere rapita
Dall’uomo della mia vita!
Lui
Che esagerata!
Eppure è così semplice.
Però ci vuol controllo,
Ci vuol concentrazione;
I nervi a posto, autodisciplina:
Guardi me. Lei non lo crederebbe?
Eppure
Son romantico
Anch’io.
Ho fatto il Politecnico a Zurigo
E ho imparato a controllare
I miei nervi. Quando
Per qualunque ragione, o anche
Per nessuna ragione,
Mi sento malinconico,
Quando c’è qualche zona
Che non funziona,
Lui
Guidare è una cosa molto seria…
Lei
Allora ho domandato
Mi sono informata,
E m’hanno detto: quella è la macchina
Della Scuola di Guida Bertholtot!
Era lei nella macchina?
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Nino2010-2011
Rota
Quando mi trovo in serie contraria
Prendo la macchina, faccio l’autostrada:
Trecento chilometri, o giù di lì,
E i nervi si distendono,e riacquisto
La serenità. La Scuola di Guida
È una scuola di vita.
Coraggio, rimettiamo in moto: prima!
(La macchina riparte in prima).
Seconda!
(Passa in seconda).
Attenta alla frizione! Dolcemente.
Terza.
(Passa in terza).
Ora in presa diretta.
Lei
Come dice?
Presa diretta?
Dov’è la presa diretta?
Lui
È qui.
Lei
Prenda, la prenda lei.
Lui
Frizione.
Lei
Presa diretta! Frizione!
Che bella confusione!
Lui
Affatto.
È tutto molto logico: dia gas,
Dia gas senza paura.
Curvi a sinistra: attenta
All’ippocastano…
Lei
Quell’albero tutto in fiore?
Lui
È un ippocastano; attenta, attenta!
Freni! No, l’altro pedale:
quello è il gas! Freni, freni!
Un cozzo, uno schianto: il cofano si è
schiacciato contro l’albero.
Lui si trova nell’urto abbracciato a lei,
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con una mano mette il freno, e intanto
con lieve apprensione si accerta se lei sia
ferita.
Lui
È ferita, signorina?
Lei
No! E lei!
Lui
Tutto bene. Gliel’avevo detto:
Non confondere il freno con il gas.
Lei
Mi scusi.
Lui
Non correre.
(La bacia a lungo).
Lei
(Alfine sciogliendosi, tutta commossa)
Mi rincresce, ingegnere,
Per il guasto della macchina!
Lui
Non si preoccupi:
C’è l’Assicurazione: pagherà.
Lei
Essere rapita
Dall’uomo della mia vita!!
Lui
Pagherà.
Nino2010-2011
Rota
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Nino2010-2011
Rota
domenica 20 febbraio 2011
Pianoforte
Simone Pedroni
Il Gattopardo (1962), Ballabili per il film
I. Valzer brillante (G. Verdi)
II. Mazurka
III. Controdanza
IV. Polka
V. Quadriglia
VI. Galop
VII. Valzer del commiato
Concerto soirée per pianoforte e orchestra (1961-62)
I. Valzer fantasia: Tempo di valzer tranquillo
II. Ballo figurato: Allegro calmo, con spirito
III. Romanza: Andante malinconico
IV. Quadriglia: Allegro con spirito
V. Can can: Animatissimo
Il Gattopardo (1962), Suite sinfonica dal film
I. Titoli
II. Viaggio a Donnafugata
III. Angelica e Tancredi
IV. Angelica e Tancredi (b)
V. I sogni del Principe
VI. Partenza di Tancredi
VII. Amore e ambizione
VIII. Quasi in porto
IX. Finale
Il Gattopardo di Luchino Visconti è,
probabilmente, l’unico vero kolossal
del cinema italiano. Un film che
non solo ha segnato un’epoca, ma
ha realizzato nel nostro paese una
produzione che, senza i capitali e la
potenza commerciale delle Major di
Hollywood, sembrava irrealizzabile.
Grandi attori, grandi ricostruzioni
storiche in esterni, poderose masse
per le scene corali, una colonna
sonora affidata al più famoso
musicista dell’epoca, senza limite
alcuno per gli organici orchestrali e
Partitura autografa del Valzer di Verdi.
le necessità produttive. Quello che
Luchino Visconti aveva in mente era trarre, per il tramite del romanzo di Giuseppe Tomasi
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Nino2010-2011
Rota
di Lampedusa, un poderoso affresco
dell’Italia al suo sorgere. Per sostenere
un’impresa del genere era necessario che
la musica diventasse un pilastro portante
di tutto il film, sia quando in forma
diegetica completasse la scena, come
nella lunghissima sequenza finale della
festa danzante a Palermo, sia quando,
in forma extradiegetica, fosse chiamata
a sostenere le spettacolari inquadrature
del viaggio a Donnafugata, del sorgere
dell’amore fra Angelica e Tancredi. Per
arredare con oggetti sonori acconci la
poderosa scena del ballo erano necessarie
musiche in stile (la seconda metà dell’800)
Appunti autografi di Rota
ed in quantità copiosa. Queste musiche
per la colonna sonora del Gattopardo.
furono composte e registrate prima delle
riprese, in modo da poter essere utilizzate sul set per un maggior realismo nella messa in
scena. Lo spunto fu dato da un valzer inedito di Verdi che era stato regalato a Visconti da un
suo collaboratore. Rota orchestrò quello e compose altri sei ballabili per un organico ridotto,
in modo da ottenere una sonorità coerente al numero di comparse che avrebbe interpretato
sul set l’orchestrina da ballo. Successivamente, furono approntate delle orchestrazioni più
corpose per la colonna sonora definitiva, ma il regista ritenne opportuno mantenere quella
prima incisione un po’ stracca e difettosa perché più realistica e, aggiungiamo noi oggi,
perché quelle orchestrazioni scarne sono un piccolo capolavoro di equilibrio e gusto su un
materiale musicale che forse avrebbe, Verdi compreso, mal sopportato trattamenti più
pesanti. Risolta la lunga sequenza del ballo, Visconti chiese a Rota di adattare, tagliare e
ricomporre, secondo le esigenze della vicenda cinematografica, una sinfonia romantica. Il
Maestro aveva già fatto qualcosa di simile per un altro film di Visconti, Senso (1954). Allora
era toccato alla Settima Sinfonia di Anton Bruckner che venne ‘manomessa’ in vari modi da
Rota per poter fungere da commento ad una parte del film. I due iniziarono così una lunga
ricerca nel repertorio classico e romantico che si protrasse, senza successo, fino a quando il
Maestro non accennò al piano un frammento di una sua sinfonia giovanile appena abbozzata.
Questa musica convinse immediatamente Visconti, prima ancora di aver saputo che l’autore
della sinfonia in questione fosse proprio Rota. Lo stesso materiale, appartenente a quella che
sarebbe diventata la Sinfonia sopra una canzone d’amore, completata solo nel 1972, aveva
già partecipato alla formazione di motivi per diverse colonne sonore come La donna della
montagna (1943) e La montagna di cristallo (1948). In questo caso però il lavoro si presentava
di ben altro respiro e difficoltà. Infatti per Il Gattopardo Rota utilizzò quasi per intero il
III e IV Movimento, provvedendo ad una orchestrazione molto variegata (legni e ottoni al
gran completo più pianoforte, arpa e celesta oltre a una nutrita sezione di archi) per poter
adeguatamente sostenere le numerose ripetizioni dei temi in diversi contesti e con diverse
durate secondo le esigenze dettate dal visivo. Questa partitura divenne alla fine un elemento
realmente portante del film. Le lunghe sequenze con dialoghi ridotti al minimo girate da
Visconti, si trovarono a godere di un sostegno e di un respiro fornito proprio dalla sinfonia ricomposta per diventare musica cinematografica.
Il Concerto soirée (1961-62) nasce su una commissione del Prix Italia RAI del 1962. Per questo
concerto, offerto ai delegati dei paesi partecipanti, furono scelti tre autori che avevano vinto
il Premio nelle edizioni precedenti. Marius Constant presentò Chants de Maldoror, ispirata
all’omonima opera di Lautréamont, Niccolò Castiglioni la composizione ‘informale’ intitolata
Décors e, per chiudere, questo Concerto per pianoforte e orchestra che, nelle intenzioni
dell’autore, nacque come rievocazione fonica di una serata musicale in un salotto di fine
ottocento. Nonostante lo stridente contrasto estetico generato dal confronto con due autori
quali Constant e Castiglioni, Rota volle sottolineare, in sede di presentazione, che in queste
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Nino2010-2011
Rota
sue pagine non c’era alcun intento polemico o tantomeno
ironico e come pure non avesse affatto pensato di aver
scritto un’opera anacronistica. Il concerto è diviso in cinque
parti o quadri ognuno intitolato ad un momento di questa
fantomatica serata musicale del secolo scorso. Apre il Valzer
fantasia con il pianoforte che si avvia un po’ ciabattando
ad un ballo decisamente pieno di strane cose: l’orchestra è
un sottofondo lontano e la malinconica melodia ha una tale
quantità di alterazioni cromatiche da sembrare proveniente
da uno strumento di accordatura incerta. A un certo punto si
Arrivo a Donnafugata
apre all’interno di questo valzer un episodio di sapore ancora
più allucinatorio; l’indicazione di tempo - Poco più brillante ma tranquillo - non inganni
perché dà il via ad una breve ma intensa cavalcata su un tema utilizzato anche nella colonna
sonora di Otto & 1/2 e che nel film si contrapponeva al celeberrimo motivo wagneriano de La
cavalcata delle Walchirie. Il brano si conclude con un ritorno all’ambiente e ai temi iniziali
avendo però creato a questo punto una atmosfera decisamente enigmatica.
Il secondo quadro, Ballo figurato, offre una pausa di riconciliazione, una sorta di visione
più aggraziata e meno inquietante del nostro salotto nel quale, nonostante alcuni appoggi
leggermente sinistri del piano, l’orchestra trova un suo equilibrio nel dialogo con il solista.
La Romanza con il suo tema malinconicissimo esposto inizialmente da cello e viola solisti ridà
modo ai fantasmi del passato di risvegliarsi, trascinando il pianoforte nella zona alta della sua
estensione. Qui gli accentuati cromatismi della scrittura, applicati alla sonorità pianistica,
creano una sorta di polarizzazione del suono, come una fotografia in bianco e nero nella quale
le tonalità chiare e scure tendano a scambiarsi di posto, moltiplicando così le ambiguità del
segno sonoro.
La Quadriglia comincia in realtà con una marcetta tipicamente rotiana, qualcuno direbbe
felliniana, quasi subito interrotta però dal piano
che riporta verso un tema malinconico. Dopo
un aggraziato botta e risposta fra orchestra
e solista, quest’ultimo si getta a capofitto in
una folle e solitaria danza nella quale, ad un
certo punto, raggiunto dall’orchestra, ingaggia
con questa una battaglia fonica che porta
sempre più in alto la tensione, per chiudere poi
bruscamente il pezzo ed introdurre il Can Can
finale. Questo quinto e ultimo quadro è una sorta
di sintesi finale dove vengono rievocati tutti
gli elementi apparsi in precedenza. Comincia
infatti con una discesa nei luoghi più o meno
scuri della memoria di forte stampo felliniano,
per innescare successivamente una reazione,
uno scatto in avanti come per scappare, liberare
il campo da ogni reminescenza, da tutti quei
fantasmi che hanno tenuto la scena fino a quel
momento. Ma sono ancora tutti lì, anche quando
si è spenta l’ultima eco del finale, ci guardano
e noi li sentiamo vicini perché sono parte della
nostra memoria. Non si possono toccare, quello
Nino Rota a Palermo.
che oggi rappresentano è differente da quello
che sono stati, soprattutto non hanno più quell’estenuato carico dell’improrogabile fine di un
mondo, perché quel mondo è ormai finito da un pezzo. Sono fantasmi, appunto, non li puoi
toccare ma puoi ancora sentirli.
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Nino2010-2011
Rota
domenica 20 marzo 2011
Violoncello
Mario Shirai Grigolato
Il cappello di paglia di Firenze, Ouverture della farsa musicale in 4 atti di
Ernesta Rota Rinaldi e Nino Rota (1945/46)
Concerto n. 2 per violoncello e orchestra (1973)
[prima esecuzione a Milano]
I. Allegro moderato
II. Andantino cantabile, con grazia
III. Finale: Allegro vivo
La strada, Suite dal balletto (1966)
I. Nozze in campagna / E’ arrivato Zampanò
II. I tre suonatori e il matto sul filo
III. Il circo (Il numero di Zampanò / I giocolieri / Il violino del matto)
IV. La rabbia di Zampanò
IV. Zampanò uccide il matto
V. L’ultimo spettacolo sulla neve / Addio Gelsomina
VII. Solitudine e pianto di Zampanò
L’opera Il cappello di paglia di Firenze, tratta
dalla celebre farsa di Eugène Labiche e Marc
Michel su libretto di Ernesta Rota Rinaldi
(madre del Maestro) e dello stesso compositore,
è il titolo più popolare del catalogo teatrale
rotiano. Eseguita per la prima volta nel 1955
a Palermo, ha avuto da allora numerosissime
rappresentazioni in Italia e nel resto del
mondo, fra le quali ci piace qui ricordare il
bellissimo allestimento che ne fece Giorgio
Strehler alla Piccola Scala nella stagione 195758. Se volessimo riconoscere un unico merito
a quest’opera, possiamo dire che non tradisce
neanche per un istante il capolavoro teatrale
da cui è tratta, cioè una delle commedie più
divertenti e meglio riuscite, scritte nel XIX
secolo. Una macchina teatrale perfetta, dai
ritmi vertiginosi che la musica di Rota veste con
la medesima capacità ritmica e mimetica.
Nino Rota con la madre Ernesta Rinaldi
Sì, perché dentro Il cappello ci potete trovare
di tutto: l’opera è costruita infatti con i migliori
materiali del teatro musicale italiano – Verdi
e Rossini sopra tutti - senza alcun intento
citazionista e/o ironico critico, ma con la
capacità di assemblare elementi funzionali allo
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Nino2010-2011
Rota
scopo, rivestendoli di una grazia leggera e scoppiettante che permettono alla rutilante e
caotica vicenda teatrale di correre via veloce come un film. L’Ouverture, come si conviene,
ne è, allo stesso tempo, il riassunto e l’introduzione.
Dei tre Concerti per violoncello e orchestra composti da Rota, il N. 2 che in realtà è il terzo,
non avendo il primo del 1925 alcuna numerazione, è forse il più felice. Strutturato nei classici
3 movimenti, mostra fin dalle prima battute una misura ed un equilibrio perfetti. La partitura
evidenzia una parte solistica molto ben scritta, che richiede all’esecutore virtuosismo e
musicalità in pari grado, associata a un’orchestrazione perfettamente funzionale al progetto
solistico, in questo caso direi con una predominanza della funzione dialogante su quella di
accompagnamento. Il violoncello si presenta da subito come una agile voce della famiglia degli
archi convenuta insieme a loro e a tutta l’orchestra per raccontarci una storia. Ed è proprio
la famiglia degli archi ad introdurre la vicenda, con una melodia à la Prokof’ev sulla quale
poi viene costruita una sorta di trampolino, dal quale il solista si lancia con una vertiginosa
scala discendente per poi riprendere il tema iniziale sostenuto e accompagnato dagli altri.
Inizia quindi un botta e risposta molto intenso fra tutti i protagonisti, dove viene ripetuta la
figurazione iniziale in diverse tonalità, inframmezzata da altre linee melodiche che ci portano
fino alla conclusione. Il II Movimento si apre con il Violoncello che espone un lungo tema, subito
ripreso dall’orchestra cui il solista fa da controcanto con un equilibrio di ruoli particolarmente
azzeccato e felice. Un intermezzo introdotto dai legni apre una lunga finestra di dialogo fra
questa sezione e il solista che utilizza anche il pizzicato in funzione di accompagnamento
degli altri strumenti. La situazione poi si apre di nuovo a tutta l’orchestra per introdurre
la Cadenza. Si tratta di una sezione di inusitata lunghezza nella quale l’orchestra mantiene
una funzione concertante per arrivare a sciogliere la Cadenza su un nuovo tema melodico di
grande fascino che ci porta alla chiusa del movimento con il violoncello sostenuto dai legni.
Il III movimento attacca brusco, con i clarinetti che danno lo spunto al solista per esporre la
sua melodia e proseguire in dialogo, parlottando con l’orchestra che, a sua volta, ripropone
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Rota
lo spunto melodico sul quale il solista imposta via via una serie di variazioni per arrivare con
leggerezza, quasi inaspettati, alla conclusione. Il cello sembra scapparsene via per una ripida
scaletta e l’orchestra chiude, di scatto, la porta.
A proposito del Balletto La strada (1966), composto da Nino Rota sulle coreografie di Mario
Pistoni e basato sul soggetto del celeberrimo film felliniano del 1954, Mario Soldati scrisse:
«La strada di Nino Rota è un capolavoro. Il film di Fellini è, forse, soltanto il libretto di quel
capolavoro. E il libretto, come è naturale e come accade normalmente, è stato composto
prima della musica.» Senza voler essere così estremisti come Soldati, ci preme qui sottolineare
che la partitura per il balletto va molto al di là delle musiche composte per il film. Nelle
musiche per il palcoscenico troviamo infatti molte altre suggestioni cinematografiche che
coinvolgono soprattutto l’immaginario musicale felliniano fino alla metà degli anni ’60. La
Suite del Balletto, poi, non è da considerarsi come una semplice operazione di montaggio,
ma è un ulteriore sviluppo di quel materiale che aveva così felicemente arredato le opere
precedenti. La Suite è infatti frutto di una lavoro di composizione ex novo che, prendendo
in sequenza i numeri più significativi del balletto, crea un’opera da concerto che ha come
modello le celebri suite delle opere coreografiche di Igor Stravinskij come pure quelle di
Leonard Bernstein per i suoi lavori teatrali più famosi. Questo lavoro di ricomposizione ha
consentito, infine, di mettere in essere una precisa sequenza armonica che dà a tutta la
partitura una forte sostanza drammatica. La Suite, articolata in sette numeri, si può dividere
sostanzialmente in due parti. La prima arriva fino al terzo numero con l’assolo del violino del
matto e conclude la sezione più didascalica illustrativa del brano (I. Nozze in campagna / E’
arrivato Zampanò • II. I tre suonatori e il matto su filo • III. Il circo (Il numero di Zampanò
/ I giocolieri / Il violino del matto). La seconda parte (IV. La rabbia di Zampanò V. Zampanò
uccide il matto • VI. L’ultimo spettacolo sulla neve / Addio Gelsomina • VII. Solitudine e
pianto di Zampanò) sottende un unico arco drammaturgico con un crescendo di atmosfere
e di veri e propri inviluppi armonici, che porta, verso la fine, al celebre tema di Gelsomina
esposto dalla tromba sola e ripreso, in chiusura, da un violino estenuato, accompagnato da
un’orchestra che si va spegnendo piano piano. Particolarmente felice in questa seconda parte
è la concordanza fra gli effetti di una strumentazione molto ampia, che mette in campo
tutte le suggestioni, imparate in lunghi anni di lavoro cinematografico, e uno sviluppo del
discorso armonico unitario, di grande impatto nel suo caricare una situazione di chiusura
claustrofobica, come quella dell’inevitabilità del tragico destino di Gelsomina e Zampanò.
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Nino2010-2011
Rota
domenica 10 aprile 2011
Coro di Voci Bianche de la Verdi
Maestro del Coro
Maria Teresa Tramontin
Fagotto
Alarico Lenti
Roma (1972), Suite dal film
Il giornalino di Gian Burrasca
(1964), Tre canzoni
Concerto per fagotto e orchestra (1974-77)
I. Toccata: Allegro vivace
II. Recitativo: Lento
III. Andantino con variazioni
Sinfonia n. 3
(1956-57) [prima esecuzione a Milano]
I. Allegro
II. Adagio con moto
III. Scherzo: Allegro mosso
IV. Vivace con spirito
Uno degli artifici narrativi talvolta usati da Federico Fellini nei suoi film è stato quello della
finta inchiesta giornalistica. Interpretando spesso da sé medesimo la parte del giornalista,
magari come voce fuori campo, provocava gli ‘interpreti della realtà’, gli attori, per costruire
quella forma di narrazione cinematografica fatta di rapidi flash pararealistici che introducono
elementi più tipici e onirici del linguaggio felliniano. Questa forma di narrazione venne
utilizzata anche in Roma, credo una delle pellicole più sottovalutate del regista. Sottovalutata
probabilmente anche dallo stesso Fellini che diceva di avere avuto la sensazione, alla fine, di
non essere riuscito neanche ad entrare in argomento, di non aver saputo svelare la natura di
questo luogo da lui amatissimo e che nel suo libro Fare un film introduce così:
«’Che cos’è Roma?’ Tutt’al più posso tentare di dire cosa penso quando sento la parola
‘Roma’. Me lo sono spesso domandato. E più o meno lo so. Penso a un faccione rossastro che
assomiglia a Sordi, Fabrizi, la Magnani. Un’espressione resa pesante e pensierosa da esigenze
gastrosessuali. Penso a un terreno bruno e melmoso: a un cielo ampio, sfasciato, da fondale
dell’opera, con colori viola, bagliori giallastri, neri, argento; colori funerei. Ma tutto sommato
è un volto confortante. Confortante perché Roma ti permette ogni tipo di speculazione
verticale. Roma è una città orizzontale di acqua e di terra, sdraiata, ed è quindi la piattaforma
ideale per dei voli fantastici». Un discorso similare vale per il musicista suo fedele compagno
di avventura, pure lui adottivo della capitale, anche se diviso fra questa e la città di Bari dove
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Nino2010-2011
Rota
dirigeva il locale Conservatorio. Rota fu
sempre un grande estimatore della Città
Eterna, tanto da dedicarle, proprio negli
stessi anni del film, una composizione
da concerto, una Cantata profana per
voce solista, coro e orchestra intitolata
Roma capomunni (1970-71). La colonna
sonora del film di Fellini direi che ha
almeno un paio di momenti memorabili: il
melanconicissimo tema-melopea che fa da
motivo conduttore e sembra evocare i mille
colori, le mille sfumature/stratificazioni
della città; la musica di accompagnamento
al Defilé degli ecclesiastici, dissacratoria e
ironica al tempo stesso nel rappresentare
l’indissolubile e, a volte, troppo mondano
rapporto della città con Santa Romana
Chiesa.
Negli anni del boom economico italiano,
l’industria discografica ebbe una parte
importante nella trasformazione del
costume. A partire dalla fine degli anni
’50, vi furono crescite esponenziali nella
vendita di dischi, soprattutto del formato
a 45 giri che poteva essere riprodotto su
Fellini, “Roma”: La prostituta, 1972 - Inchiostro
apparecchi portatili. La trasposizione
nero su carta - 22 x 14 - Rimini, Fondazione
televisiva del celebre libro di Vamba,
Federico Fellini (Fondo A. Geteng)
Il giornalino di Gianburrasca (1964),
interpretato en travesti dalla cantante Rita Pavone, allora idolo dei giovanissimi, creò quello
che oggi viene definito un fenomeno mediatico in grado di coinvolgere tutto il paese. Questo
fenomeno aveva un inno, Viva la pappa col pomodoro, che raggiunse le vette della Hit Parade
e fu canticchiato, suonato nei mangiadischi e alla radio fino alla completa saturazione. Ma
Rota come finì in mezzo a queste canzonette, gettando scompiglio fra i suoi paludati colleghi?
Beh, il colto compositore di Opere Liriche, di Sinfonie, Oratori oltre che il musicista di alcuni
dei più grandi registi del tempo, la raccontò così al critico musicale Leonardo Pinzauti:
« - Ma quando lei scrive una canzone per Rita Pavone si diverte? E il suo atteggiamento
mentale in che modo cambia rispetto ai suoi impegni, diciamo, ‘seri’?.
«- La mia attività obbedisce senza dubbio a due propositi diversi:ci sono le mie cose personali,
che io stesso mi propongo di realizzare; e ci sono quelle che mi vengono proposte dagli altri.
Il cinema e Rita Pavone mi sono state imposte da altri, con problemi che però mi interessano;
anche perché - questa è la verità - ogni problema mi interessa, essendo curioso di veder
come può esser risolto, indipendentemente dal giudizio di valore che potrei dare sulle cose.
Per questo le canzoni della Pavone non nacquero da sé: ci fui per così dire costretto da una
mia carissima amica, mentre altri miei amici si preoccupavano per me [le deve fare queste
canzonette, o non le deve fare? si domandavano]. E tentai: con materiale vecchio e nuovo,
andando a cercare fra altre cose mie, misi insieme una cinquantina di canzoni per il film
televisivo su Gian Burrasca. La trentesima, per dire una delle tante, fu La pappa col pomodoro
(…) Quando mi decisi, quanta gente c’era da contentare! La Pavone, la casa discografica, la
televisione … ma siccome tutti avevano da chiedermi qualcosa, cominciai ad orientarmi, e il
fatto di riuscirci, sia pure un po’ alla volta, accresceva il mio divertimento. Finché cominciai
a divertirmi davvero; così, un giorno dopo l’altro».
Domenico Lo Savio, prima allievo al Conservatorio di Bari e poi docente alla sezione staccata
di Foggia, oltre che brillante esecutore attivo nel campo della musica cameristica, sollecitò un
giorno il suo Direttore a comporre qualcosa per il suo strumento. Nacque così l’ispirazione, la
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Nino2010-2011
Rota
commissione, per la Toccata per fagotto e pianoforte (1974)
da cui gemmerà successivamente il Concerto per fagotto e
orchestra. Dopo la Toccata iniziale nella quale l’orchestra,
trattata con una tessitura brillante e trasparente al tempo
stesso, mette in risalto le particolari caratteristiche timbriche
del solista, segue un breve e lirico Recitativo che serve da
introduzione all’Andantino con variazioni che costituisce il
finale e il cuore stesso di tutto il Concerto. Si tratta di 6
Variazioni (Valzer • Polka • Siciliana • Scherzo • Sarabanda
• Galop) che si susseguono senza soluzione di continuità. Ad
ognuna di queste è assegnato il compito di mettere in risalto
caratteristiche e peculiarità del fagotto, facendolo dialogare
ogni volta con differenti sezioni dell’orchestra. Questa prassi
delle variazioni, molto diffusa nei canoni classici della musica
concertistica, venne affinata da Rota nell’uso diuturno e
Parole da censurare per Il
sovrabbondante necessario alla musica cinematografica, per
giornalino di Gianburrasca.
la quale è sovente necessario riproporre più volte un unico
tema che faccia da filo rosso alla intera vicenda nei contesti più disparati.
La Sinfonia n. 3 (1956-57) ha praticamente un solo punto in comune con le due precedenti,
composte fra il 1937 e il ’41, e cioè il rispetto nella ripartizione in 4 movimenti. Nella
definizione dello stile, invece, la maturazione e l’esperienza hanno portato Rota ad assumere
una capacità di sintesi e asciuttezza che rendono le sue composizioni quasi monolitiche
nella loro essenzialità. Una sintesi che consentì al compositore di utilizzare, con assoluta
libertà e proprietà di mezzi, gli stessi materiali nel campo della musica applicata - le colonne
sonore cinematografiche - come in quello sinfonico- orchestrale per le sale da concerto.
Paradossalmente però, questa Sinfonia, pur nascendo nel periodo più intenso dell’attività
di Rota per il cinema, è proprio la meno ‘cinematografica’ delle tre. Se vogliamo cercare un
riferimento esterno a quest’opera, ci viene alla mente la Sinfonia Classica (1917) di Serghei
Prokofiev. I 40 anni che separano la genesi di questi due lavori, con la Rivoluzione d’Ottobre e
la successione di 2 Guerre Mondiali, appaiono più che sufficienti a far suonare il paragone con
la Sinfonia giovanile di Prokofiev come una sentenza di definitivo esilio di Rota dal mondo a lui
contemporaneo. Ma se invece provaste ad ascoltare accostate queste due opere, l’originalità
e attualità dell’estetica rotiana risulterebbe lampante e potreste contare tutti gli anni che le
separano. Nella Sinfonia n. 3 la cifra neoclassica è chiarissima, ma è altrettanto evidente che,
seppure perfettamente funzionante, il giocattolo è irrimediabilmente rotto e proietta intorno
a sé ombre tutt’altro che rassicuranti. Vi troviamo un’inquietudine che, sotto l’involucro di
una struttura formale perfettamente compiuta, muove un meccanismo nel quale, insieme
ad arditi equilibrismi armonici sostenuti da una ritmica incalzante, si alternano struggenti
ed evanescenti melodie. Nell’opera di Rota non ci si richiama al passato per rivendicare tout
court una continuità con la tradizione o per ironizzare, rivisitare criticamente quelle antiche
convenzioni. Il suo sembra essere piuttosto un estremo appello alla nostra memoria storica,
al ricordo di una musica e di una tradizione culturale che, al di là del loro esaurimento
‘naturale’, dopo il cumulo di catastrofi ed orrori che hanno segnato il XX secolo, non potranno
mai più essere anche solo recepite come prima. E, d’altra parte, non esistendo per Rota la
tabula rasa, la condizione per la quale sia possibile inventare una nuova musica cancellando
il passato e le proprie origini, sembra essere questo appello alla memoria, alla tradizione,
l’unico sentiero percorribile. Allora, anche se nella Sinfonia n. 3 la musica di Rota suona, a
volte, molto, troppo, familiare, dopo un primo ascolto ci si accorge che nei risultati finali
l’identità e l’originalità dell’autore non vengono meno ed anzi, in questa “candida e cosciente”
adesione ai modelli classici, è insita la chiave di un processo compositivo che, molto prima del
postmoderno, ne prefigura gli esiti estetici.
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Nino2010-2011
Rota
domenica 22 maggio 2011
Corno
Sandro Ceccarelli
Pianoforte
Simone Pedroni
Sonata per orchestra da camera (1937-39)
I. Allegro molto moderato
II. Andante sostenuto
III. Allegro Festoso
Concerto per corno e orchestra KV. 412
di Wolfgang Amadeus Mozart completato da Nino Rota – II tempo per il IV Concerto di
Mozart per corno e orchestra [1958-59] (prima esecuzione a Milano)
I. Allegro
II. Andante sostenuto
III. Allegro
Fantasia sopra 12 note del Don Giovanni
di W. A. Mozart per pianoforte e orchestra
Don Giovanni atto II.: «...non si pasce di cibo mortale chi si pasce di cibo celeste...»
Lentissimo • Adagetto
Romeo e Giulietta (1967), Suite dal film
La Sonata per orchestra da camera
è figlia della Sonata per flauto e
arpa del 1937, uno dei titoli più
felici del repertorio cameristico
rotiano. Senza dubbio la qualità
dell’invenzione
melodica
e
la
possibilità di una fruizione più ampia,
furono le molle principali di questo
lavoro di ri-composizione. Parlo di
ri-composizione e non di semplice
orchestrazione perché, pur essendo
Fantasia su un frammento del Don Giovanni di Mozart. assolutamente fedele nello sviluppo
al brano originale, la scelta e il ruolo affidato agli strumenti dell’orchestra sono qui parte
fondamentale nel ridefinirne l’identità. A riprova di questo va il titolo primigenio dell’opera,
Sonata per 14 istrumenti, che assegnava a una molteplicità di solisti la nuova veste sonora. Fu,
successivamente, rinominata Sonata per orchestra da camera per aderire alle esigenze di sale
più grandi e quindi alla necessità di un sostanziale irrobustimento della sezione degli archi che
può, da sola, raggiungere i venti elementi. La partitura di Rota prevede infatti i 4 strumenti
della famiglia dei legni (flauto oboe, clarinetto e fagotto), due corni, l’arpa e, appunto, gli
archi suddivisi in due parti reali (I e II) anche per le viole e i violoncelli oltre che, come d’uso,
per i violini. Siamo di fronte al Rota affascinato dal Neoclassicismo del suo maestro Alfredo
Casella, ma sicuramente anche preso dalle suggestioni di un altro grande musicista italiano
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Nino2010-2011
Rota
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quale Gian Francesco Malipiero. Quello che ne esce è un brano di singolare eleganza che, a
fronte di uno sviluppo melodico particolarmente lineare e sciolto, contrappone una struttura
e una orchestrazione di grande complessità e rigore. La melodia estremamente cantabile
proposta dal flauto dentro a questa fittissima rete, viene bilanciata e arricchita da una grande
gamma di colori ottenuta tramite questa particolare orchestrazione che vuole esplicitamente
ricollegarsi alle sonorità e alle suggestioni delle antiche tradizioni musicali italiane.
Quando, nell’ormai lontano 1980, con il Maestro Gino Marinuzzi jr1 prendemmo a esaminare
quello strano oggetto uscito dalle carte rotiane, rimanemmo prima sbalorditi e poi
sinceramente ammirati. Quale fosse il motivo per cui Nino Rota, compositore attivo nel secolo
ventesimo, avesse deciso di aiutare Mozart a finire una sua opera incompiuta era, allo stato
degli atti, un mistero, ma per Marinuzzi, che in quei primi mesi di esplorazione e riordino
delle carte rotiane fu un generoso e appassionato consigliere, quel Rota era assolutamente
indistinguibile dall’autore degli altri due tempi. Ci vorranno poi molti anni per stabilire che
quella piccola follia era destinata a completare il saggio di Sebastiano Panebianco, un giovane
e promettente allievo del Conservatorio di Bari. Lo stesso Panebianco in una recente lettera
indirizzata all’Archivio Rota rievoca così la vicenda:
«Rivedere questa partitura dopo quasi 50 anni è stato commovente. E’ quasi incredibile che a
quella età io abbia avuto la capacità di eseguirla. L’intuizione del Maestro evidentemente non
aveva limiti. Ricordo con viva commozione quando il Maestro entrava in classe per ascoltare
i miei progressi tecnici e quando sentii concordare tra il Maestro Rota e il mio insegnante
Maestro Filippo Pugliese: “Perché il primo concerto di Mozart ha soltanto due tempi? scrivo io
un Andante per questo ragazzino”.»
Detto e fatto! Non so quanti direttori di Conservatorio si siano cimentati in attività del genere,
ma certo questo è uno dei tanti aneddoti che popola la mitografia di Rota nell’abbondante
quarto di secolo passato al Piccinni di Bari. Non so neanche dire poi, se un musicologo, di
fronte a un falso calligrafico di Mozart, possa essere in grado di dire che questo II tempo per il
Concerto K. 412 per corno e orchestra non sia proprio del grande musicista salisburghese.
Fu il compositore francese Darius Milhaud (1892-1974) a scovare dentro il capolavoro
mozartiano del Don Giovanni un frammento contenente una sequenza completa delle dodici
note, o per dire più correttamente dei dodici suoni, che costituiscono la base del sistema
seriale dodecafonico. Ad un intelligente e curioso direttore artistico milanese venne in
mente di commissionare a tre diversi musicisti un brano sopra questo frammento, tratto dal
drammatico finale dell’opera e accompagnato dalle eloquenti parole di Lorenzo Da Ponte
«. . . non si pasce di cibo mortale chi si pasce di cibo celeste». Non credo abbia sfiorato
neanche per un istante la mente di Rota l’idea di applicare pedissequamente una tecnica
compositiva che contrastasse quello che è stato il suo personale itinerario, fuori da tutte le
scuole e ortodossie. Quindi nella partitura non troviamo serialismi, formule matematiche,
prassi di composizione aleatoria, rotture insomma con l’estetica, lo stile di Rota. E però,
il tema dato è quella melodia che mette in campo i dodici suoni che troviamo così ben
presenti e reiterati, per diritto e per rovescio, ma, all’interno di questo obbligo posto dalla
committenza, c’è un problema compositivo risolto per dirla alla maniera di Rota, un po’ come
se mettessimo su una pietanza conosciuta una salsa esotica con un gusto molto deciso. Magari
all’inizio si rimane disorientati ma, mano a mano che procediamo nella degustazione, escono
da quell’esotico sapore – la sequenza dei dodici suoni - tutti quegli elementi che ne svelano
l’identità. Il pianoforte assume nella composizione un carattere spigoloso e, a volte, di vera
e propria provocazione nei confronti di un’orchestra molto attenta al dosaggio e al colore
dei propri timbri. Troviamo anche, in buona evidenza, alcune esasperazioni dinamiche che
aggiungono sostanza alla tensione drammatica del tema sul quale la Fantasia è stata costruita.
L’accentuato cromatismo del linguaggio rotiano aiuta qui il compositore non solo a districarsi
brillantemente nella serie del tema di Mozart, ma anche ad aprire degli spazi nei quali si
viene gradatamente a formare una melodia melanconica che sembra voler rappresentare una
sorta di sguardo pietoso verso il terribile solco tracciato dalle parole di Da Ponte. Un solco,
una distanza per vedere, intravedere, sempre più piccino là, sullo sfondo, Don Giovanni che
si incammina verso il suo destino.
Londra, ottobre 1960
Nino2010-2011
Rota
«Cara Titina2 (…) Sono a Londra! Per alcune
musichette di Romeo e Giulietta all’Old
Vic (la mia passione! chi avrebbe mai detto
che ci sarei venuto non come ‘habitué’ †
in questo vetusto, simpaticissimo teatro,
ma come collaboratore?) Il regista è
Zeffirelli – che mi sembra stia mettendo su
uno spettacolo molto bello - tutti giovani
bravissimi, agili ed entusiasti – il testo di
Shakespeare va un po’ in seconda linea…
ma pazienza: si può sempre rileggerlo, e ci
si guadagna sempre! (…)
Ti abbraccio molto Nino»
Sette anni dopo, quelle ‘musichette’
costituiranno l’ossatura della colonna
sonora del film che lo stesso Zeffirelli
realizzò sulla celebre tragedia di
Shakespeare. Il carattere giovanile, colto
da Rota per l’allestimento teatrale, venne
ulteriormente accentuato nel film, che
fu probabilmente il maggior successo
cinematografico del regista. Sembra
quasi che questa lettura, così attenta al
carattere dei protagonisti, piena di energia
e di dinamismo, saldamente ancorata al
tempo e luogo shakespeariano (Verona, XVI
secolo), volesse essere una risposta alla
trasposizione nella New York del XX secolo creata da Leonard Bernstein con West Side Story
(1961). La musica che Rota compone per questo film è lontana dalla muscolarità di Bernstein.
Si porta dietro una dimensione teatrale più intima, ha accenti commossi e delicati nel ritrarre
i due giovanissimi protagonisti. Accenti e suggestioni che ‘esplodono’ poi nel celeberrimo
tema d’amore, attestato ormai storicamente come uno degli evergreen rotiani.
1 Gino Marinuzzi Jr. (1920-96) compositore e direttore d’orchestra, attivo nel campo della
musica per il cinema e da concerto.
2 Titina Rota (1899-1978), costumista scenografa e pittrice. Cugina del Maestro a lui molto
legata per tutta la vita da un rapporto di consuetudine e confidenza.
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Nino2010-2011
Rota
domenica 5 giugno 2011
Corno
Giuseppe Amatulli
La Fiera di Bari, Ouverture (1963)
[prima esecuzione a Milano]
Allegro con spirito
Castel del Monte, ballata per corno e orchestra (1974)
Andante sostenuto sognante
Variazioni sopra un tema gioviale (1953)
Proposta: Allegro moderato, con spirito
I. Lo stesso tempo
II. Tranquillo scherzando
III. Allegro deciso
IV. Andante cantabile
V. Allegro non troppo
VI. Lo stesso tempo
VII. Alla marcia, allegramente
VIII. Adagio
Finale: Allegro con fuoco, Vivacissimo
Il Padrino (1971), Il Padrino II
I. Sicilian pastorale
II. The immigrant
III. The pickup
IV. Kay
V. Love theme
VI. A new carpet
VII. Godfather’s waltz
VIII. End title
40
(1974), Suite dai film
Nino Rota si trasferì a Taranto nel 1937, per andare ad insegnare nel locale liceo musicale.
Aveva 26 anni ed era considerato da molti una solida promessa della musica italiana. Quella
scelta, decisamente controcorrente, cambiò per sempre la sua vita. Si pose, a quel punto,
anche geograficamente, fuor dal movimento. Alla Puglia rimase poi legato tutta la vita. La
Fiera di Bari nasce probabilmente su commissione della locale ‘Fiera del Levante’ ed è un
unicum nel catalogo delle opere da concerto del Maestro. Si tratta infatti di una Ouverture per
orchestra che assume su di sé i caratteri evocativo - descrittivi di un brano cinematografico
o di teatro musicale stile Broadway. L’organico prevede una robusta sezione di sassofoni e
l’intera composizione assume un passo sincopato che ricorda molto certi brani di Leonard
Bernstein come, per esempio, Times square 1944 dalla commedia musicale On the Town
ma, anche e soprattutto, George Gershwin, specie quello della Rhapsody in Blue. A questa
sezione ritmicamente aggressiva, se ne alterna una più melodica, dove i solisti dell’orchestra
sviluppano un tema melanconico di stampo decisamente più rotiano.
Castel del Monte è una delle immagini iconiche dell’intera Puglia. Il grande e misterioso castello
Nino2010-2011
Rota
voluto da Federico II, più che una fortificazione
militare o una dimostrazione di potenza e opulenza
del sovrano, appare come un simbolo, piantato
sulla terra in un luogo particolarmente significativo
e centrale, di qualche mappa che a noi oggi non è
dato decifrare.
Sulle fonti autografe a nostra disposizione, non vi è
mai l’indicazione diretta del castello federiciano,
anzi in una di queste compare la titolazione Ballata
del cavaliere errante, ma fin dalla prima esecuzione
avvenuta al Festival di Lanciano del 1977, scomparso
l’errante cavaliere viene stabilita definitivamente
l’intitolazione/dedica a Castel del Monte. Il brano
si apre subito con il tema principale, esposto dal
Castel del Monte
corno accompagnato dalla sola arpa che viene poi
ripreso e variato dall’oboe accompagnato dall’orchestra. Dopo una risposta più decisa del
corno, si innesta una sorta di cavalcata del solista che effettivamente sembra attraversare
vari paesaggi e, in certi momenti, pare evocare il clima di una battuta di caccia seguita da
una danza dal sapore vagamente rituale. Questa è la sezione più lunga della composizione e ci
porta direttamente al finale, dove il tema principale viene prima ripreso di nuovo dall’oboe,
poi raggiunto dal corno solista e, infine, dagli archi.
L’attuale e un po’ negletto destino delle Variazioni sopra un tema gioviale fu probabilmente
segnato dalla accoglienza a dir poco ostile della maggior parte della critica italiana al tempo
del suo debutto. Per esempio Guido Pannain su ‘Il Tempo’ del 25-1-1954 a proposito di un
concerto che evidentemente lo aveva indispettito in ogni suo aspetto si espresse così:
«(…) A dare il tracollo sono venute le Variazioni sopra un tema gioviale di Nino Rota. Una
specie di esibizionismo impudico, messo in mostra con aria sfrontata e provocante. In un
motivo di vecchio conio, d’una piacevolezza grassoccia, sono improvvisati atteggiamenti vari,
d’una trivialità ricercata o ostentata. Come uno che ti accolga con uno schioccante sberleffo
e godendo della sua volgarità, ti guardi malizioso, negli occhi per vedere se ci fai scrupolo:
e ti spifferi luoghi comuni d’una lepida stupidezza, per darsi arie di giocondità e disinvoltura
sfoderi barzellette lubriche, di quelle che con tanta finezza e distinzione, ricorrono negli
spirituali conversari di moda. E lui è il primo a riderne e i gonzi che lo ascoltano gli tengono
bordone. Così le Variazioni del Rota sono state vivamente applaudite». A dir la verità ‘triviale’
ricorre anche in una critica di segno opposto, ma è in inglese dove questo aggettivo, trivial,
significa più che altro frivolo, banale magari. Ecco, a contrastare il giudizio condizionante e
pregiudizievole del Pannain, mi piace mettere in campo Malcom Sargent, uno dei decani della
critica musicale statunitense negli anni ’50, il quale, dopo aver precisato che lo scopo del
brano è certo di intrattenere con leggerezza il pubblico, aggiunge:
« Ma quello che mi ha impressionato del pezzo è stato la padronanza tecnica del Signor Rota
con l’orchestra e con i complessi elementi armonici che usa con un virtuosismo che rimanda
a Richard Strauss. Questi ingredienti, non sono solo più piacevoli da ascoltare ma sono anche
infinitamente più inafferrabili degli oggetti arbitrari usati dagli atonali e, nelle mani del Signor
Rota, sono altrettanto ricchi dal punto di vista del significato musicale degli altri (…)».
Detto questo, noi ci limiteremo all’essenziale. Innanzitutto va precisato che il temine
gioviale era inteso dal Maestro nel senso letterale del termine cioè, come recita lo Zingarelli.
«aggettivo di Giove, pianeta da cui piovono influssi di serenità contenta». Poi, che questo
tema così leggerino, all’apparenza privo di grandi possibilità di sviluppo, durante le otto
variazioni dimostri, nelle mani del Maestro, capacità funamboliche tali da lasciare al termine
anche l’ascoltatore più smaliziato lievemente disorientato.
Francis Ford Coppola, pur di avere le musiche di Rota per il suo film, affrontò plurimi viaggi
transatlantici a Roma e a Bari, in quanto l’accettazione dell’incarico era stata subordinata dal
Maestro alla condizione di non muoversi dall’Italia. Tutta la vicenda produttiva de Il Padrino è
una sorta di odissea, dove Ulisse è interpretato dall’allora giovane regista, impegnato contro
il fato e i dispettosi ‘dei’ di Hollywood. Probabilmente parte di questa mitologia aneddotica
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Nino2010-2011
Rota
venne alimentata dallo stesso Coppola
e contribuì non poco a costruire quel
clima di leggenda che fece del film uno
dei titoli che occupano stabilmente un
posto nella top ten di tutti i tempi.
La leggenda, per quanto riguarda
l’aspetto musicale, fu ulteriormente
accresciuta dal fatto che, dopo le
anteprime, i produttori imposero a
Coppola di far rifare completamente
la colonna sonora, perché giudicata
non abbastanza commerciale. I
manager della Paramount giudicarono
la musica sensibile ed evocativa creata
da quello che allora era considerato
unanimemente
uno
dei
grandi
Il Padrino parte seconda, fotogramma dal film.
compositori di musica per il cinema,
non riuscisse a esaltare il dramma messo in scena dal film. La nuova musica fu affidata ad
un americano e risultò così disastrosa da venir immediatamente ripristinata quella di Rota. Il
successo commerciale del film e delle musiche fu assolutamente clamoroso e venne bissato con
il secondo capitolo. Rota però dovette subire una quantità di guai ed amarezze tali da rendere
il successo ottenuto un boccone con un retrogusto amarognolo. Innanzitutto fu costretto a
cofirmare l’opera con il padre di Coppola, che aveva suonato il violoncello professionalmente,
ma era un compositore dilettante senza alcuna esperienza nella musica per il cinema. Di fatto,
delle musiche composte da Coppola, poche e di contorno, non rimase traccia, ma il nome di
Rota quale autore delle musiche, delle vere musiche di commento al film fu certamente
sminuito. Poi, un produttore italiano lo denunciò anonimamente all’Academy Awards quando
ormai era stato stabilito di assegnargli l’Oscar, contestando il fatto che uno dei temi era
stato usato in un film di molti anni prima e trascinandolo in tribunale per questo. Il tema
effettivamente aveva avuto, come spessissimo è accaduto nella vicenda artistica del Maestro,
molte vite, ma la causa in tribunale il produttore la perse perché non avendolo mai pagato
né contrattualizzato non poteva accampare alcun diritto. L’Oscar, sempre in condominio
con Carmine Coppola, arrivò comunque per Il Padrino Parte II ma Rota, mantenendo fede
al suo proposito di non viaggiare fino in America, non si presentò a ritirarlo e se lo fece
spedire via nave a Bari. Detto questo, se fischiettate la melodia del tema d’amore, anche
nel più remoto angolo del pianeta, ancora oggi, a più di 30 anni di distanza, è facile che la
risposta giunga immediata: ‘… questa è la musica de Il Padrino!’. Ma la musica de Il Padrino
e de Il Padrino Parte II, ulteriormente riutilizzata per la terza parte della saga nel 1990, non
è solo il celeberrimo tema d’amore. È una partitura complessa e di grandissima levatura,
una successione di felici idee musicali, assemblate e orchestrate con
una mano tale, da rendere possibile costituire una suite da concerto
usando esclusivamente le partiture originali composte per il film. È la
summa di un’arte, affinata in 30 anni di lavoro per lo schermo, senza
rinunciare mai all’idea che, anche nella costrizione di una musica d’uso
quale quella cinematografica, vi fosse spazio per scrivere qualcosa in
grado di reggere il tempo e degno della sala da concerto.
Il giovane Nino Rota
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Rota
NINO ROTA
(1911-1979)
Una biografia
Giovanni (Nino) Rota nacque in Via Volta 20 a Milano,
domenica 3 dicembre 1911 alle 7.30 del mattino da Ernesta
Rinaldi ed Ercole Rota. Quel giorno il ‘Corriere Della
Sera’ dedicò l’intera prima pagina alla guerra che l’Italia
stava combattendo contro la Turchia per il possesso della
Libia e del Dodecaneso. Il titolo: «Una Nuova avanzata
nell’oasi dinanzi al forte di Messri» subito sotto sempre a
pagina piena: «Jean Carrère pugnalato a tradimento da un
emissario dei ‘Giovani Turchi’». Gli articoli si dilungavano
nella descrizione delle azioni di guerra e fornivano
particolari truculenti sull’aggressione ai danni dell’inviato
de ‘Il Tempo’ Jean Carrère.
Nino era il primogenito di Ercole ed Ernesta ed avrebbe
avuto da lì a due anni un fratello, Luigi. Al momento della
nascita vantava già tre cugini anzi – doppi cugini - Silvio,
Maria e Titina figli di Giovanni Rota, fratello di Ercole e
Margherita Rinaldi, sorella di Ernesta.
Le sorelle Rinaldi, entrambe musiciste, erano figlie del
pianista e compositore emiliano Giovanni Rinaldi e della
Nino con il fratello Gigi
pianista piemontese Gioconda Anfossi1. I due Rota, di
origini romagnole, pur avendo avuto in famiglia artisti come scenografi e pittori, erano
invece parte di quella borghesia attiva nell’industria dei primi anni del ‘900. La famiglia Rota
aveva a Milano una palazzina in Via San Michele del Carso al n. 17, ancora oggi facilmente
riconoscibile in quanto è l’unico edificio della strada a soli due piani. Questa casa, nota anche
con il nomignolo di ‘Roteria’, fu un salotto musicale piuttosto importante nella Milano del
primo novecento. Naturalmente, se pure con esiti diversi, tutti i piccoli furono avviati in casa
allo studio della musica. Maria Rota, figlia di Giovanni e Margherita, divenne un’ apprezzata
cantante attiva nel settore liederistico, sua sorella Titina violinista, anche se successivamente
si indirizzò verso la pittura e il teatro. Dei due maschi, figli di Ernesta ed Ercole, il più piccolo
– Gigi - si dimostrò sufficientemente refrattario alla cosa, forse anche intimidito dal fratello
che invece, a quattro anni, metteva già le mani sul piano con estrema naturalezza e a otto,
appena imparati i rudimenti della notazione musicale, si era messo a scrivere, a comporre
musica come fosse la cosa più naturale del mondo. I genitori, coscienti della fragilità di un
fenomeno di precocità così accentuata e non troppo convinti che la musica potesse essere
uno sbocco sicuro, cercarono di
tenere la cosa dentro i binari
di una attività extrascolastica,
un gioco. L’attitudine musicale
del bambino era però così
forte che, al termine della
scuola elementare, fu deciso di
sospendere la regolare frequenza
a scuola per consentire a Nino di
frequentare, come uditore, il
corso di composizione di Giacomo
Orefice al Conservatorio di
Milano. Alla fine di quello strano
anno scolastico (1920-21), dove
i compagni di classe avevano
almeno il doppio della sua età,
Rota aveva acquisito tutte le
Nino con la cugina Titina (destra) - 1915
nozioni che gli servivano a
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Nino2010-2011
Rota
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comporre e orchestrare un pezzo. Di quel periodo furono
anche le prime esperienze teatrali, in particolare riuscì
a convincere i genitori a portarlo a vedere alla Scala,
nel gennaio del 1922, il Parsifal di Wagner che era uno
dei musicisti che lo affascinavano maggiormente: « (…)
dall’emozione stetti in piedi per tutto il primo atto; ma
il terzo atto non me lo fecero vedere, e mi portarono a
casa»2. Nell’estate dello stesso anno, Ercole Rota morì
improvvisamente, lasciando Ernesta Rota Rinaldi con i
due figli ancora piccoli, Nino 11 e Gigi 9 anni. Proprio in
quell’estate Silvio Pagani, un amico di famiglia, aveva
fatto dono al compositore in erba di un libretto per un
Oratorio dedicato all’Infanzia di San Giovanni Battista.
Nella casa di campagna della sorella, dove si erano
rifugiati nel mezzo di quel luttuoso periodo, nacque
L’Infanzia di San Giovanni Battista, un gioco al quale
tutta la famiglia partecipò con critiche e suggerimenti
ma che, alla fine, riportò a Milano uno spartito completo
dell’Opera. Il suo primissimo Maestro, Perlasca, quello
che con un ingegnoso metodo da lui inventato, aveva
insegnato la notazione musicale al ragazzino, volle
Locandina dell’Infanzia di
San Giovanni Battista
dare un’occhiata a quella composizione e rimase così
impressionato da promettergli una esecuzione in piena
regola. Il 22 aprile del 1923, all’Istituto dei Ciechi di Milano in Via Vivaio si tenne la prima
rappresentazione dell’Oratorio per soli coro e orchestra L’Infanzia di San Giovanni Battista.
Il successo fu notevole e l’opera venne replicata anche la settimana successiva. Piovvero
sulla madre richieste un po’ da tutto il mondo e, alla fine, venne accettata la proposta di un
industriale di Tourcoing per una esecuzione con i cori di quella cittadina del nord della Francia.
La spedizione fu allargata anche alla cugina Maria, che accettò questa volta di interpretare la
parte della Madre di San Giovanni. Il successo clamoroso e l’eco della stampa internazionale
resero l’evento memorabile, ma posero Ernesta Rota Rinaldi di fronte alla questione non
secondaria, a questo punto, di proteggere il figlio da quella che poteva essere definita una
fioritura precoce, che lo avrebbe quasi di certo bruciato, relegandolo a vivere di memorie prima
ancora di essere diventato un uomo. Bisognava trovare un insegnante all’altezza del compito,
in grado di frenare slanci precoci e far crescere gradualmente il ragazzo. Approfittando del
lungo soggiorno parigino successivo all’esecuzione, fu fatto un primo tentativo al Conservatorio
della capitale francese, ma senza esiti. Ildebrando Pizzetti, uno dei compositori italiani più
ammirati del tempo, accettò invece l’incarico. Pizzetti impose i suoi esercizi, la sua rigida
disciplina e il giovane Rota eseguì, pur mantenendo uno spirito da bastian contrario che era
poi un modo di misurare e misurarsi
nel mondo degli adulti dove era stato
catapultato dalla sua precocità.
Pizzetti aveva posto sopra a tutte
una condizione draconiana, Nino
doveva limitarsi ai compiti assegnati
e smettere di comporre per conto
suo. Era come chiedere a un bambino
che aveva appena imparato ad
andare in bicicletta di limitarsi alla
cyclette ed attendere la patente per
poter andare in giro. Così questo
comandamento fu ampiamente
Istituto dei Ciechi - Milano
disatteso e nel febbraio del 1926
Archivio: Istituto dei Ciechi
uscì sulla rivista ‘Cronache Musicali’,
Nino2010-2011
Rota
un lungo articolo/intervista dedicato al compositore
quattordicenne e all’opera lirica che aveva appena finito
di comporre, Il Principe porcaro, tratta da una fiaba di
Andersen. Il fenomeno Rota veniva analizzato per diritto
e per rovescio da Silvino Mezza che ne fece un lusinghiero
ritratto e diede una valutazione circostanziata della
musica che aveva avuto modo di leggere e di ascoltare:
«(…) il piccolo Nino è davvero un creatore di musica e
non già un maldestro raffazzonatore di note, frutto di
assimilazione indigesta di cose lette o udite qua e là. Egli
scrive musica perché, dentro di sé, sente l’inconsapevole
istinto che lo urge e lo piega sulla carta pentagrammata.
E la cosa straordinaria comincia proprio là dove finisce la
sua fatica di compositore, perché leggendo la sua musica
- senza sapere che è primizia di un estro giovinetto - vien
fatto di scoprire un maestro che ha qualche cosa nuova da
dire e che questa cosa vale la pena di ascoltare. In altri
termini se un prodigio c’è, esso si palesa nella perfezione
formale della musica che il piccolo Nino scrive e che ci
commuove per la sua intrinseca bellezza, prescindendo
dal fatto che è l’opera inattesa e miracolosa d’un
quattordicenne.»
Nino Rota a New York
Pizzetti, probabilmente indispettito sia dal tono
particolarmente elogiativo dell’articolo, che dal fatto fosse stata disattesa in modo così
clamoroso la sua disciplina, convocò la madre per comunicarle la sua irrevocabile rinuncia ad
occuparsi della formazione del figlio. Tornò allora in campo l’ipotesi francese e fu interpellato
per un consiglio Alfredo Casella, allora appena rientrato da Parigi. Il Maestro, senza esitazione
alcuna, decise che il caso Rota era affar suo. Nino avrebbe studiato con lui a Roma dove
aveva preso residenza. Questo cambio di direzione, anche geografica, avrebbe avuto
parecchie conseguenze nella vita futura del giovane artista. Ernesta, coi due figli si trasferì
nella capitale dove fu accolta dal locale ambiente artistico e intellettuale con generosità ed
apertura. In special modo casa Cecchi e il cenacolo di intellettuali che lì si dava convegno
divenne presto un punto di riferimento sostitutivo della roteria milanese. Il pragmatismo e
la capacità di apertura e comprensione di Casella furono fondamentali per dare al ragazzo
la spinta giusta fino al Diploma di Composizione presso il Conservatorio di S. Cecilia (1929).
Contemporaneamente Nino si mise a studiare per prendere la maturità classica presso un
collegio religioso, dove incontrò un altro Maestro, Antonio Cianciulli.
Nato a Montella nel 1895 e morto a Roma nel 1965, avvocato e professore di lettere, fu una
figura centrale nella vicenda umana e artistica di Nino Rota, come lo stesso compositore ebbe
modo di accennare in una intervista poco prima della scomparsa:
«Subito dopo [N.d.R.: il diploma di Composizione a Santa Cecilia] decisi di tentare anche la
Maturità. Mi preparava un professore che divenne, poi, l’amico di tutta la mia giovinezza. Si
chiamava Michele Cianciulli: era molto più vecchio di me, severissimo. Stavo ad ascoltarlo
ed imparavo. Ero portato alle materie classiche. Cianciulli insegnava in un collegio retto dai
preti, quello dove studiava mio fratello. Era stato buttato fuori dalla scuola pubblica, perché
antifascista. E un giorno se ne andò anche dall’Istituto privato. In piena campagna razzista, i
preti gli chiesero il certificato di battesimo e lui fece fagotto, sbattendo la porta.»
A questo Maestro Nino rimase effettivamente legato tutta la vita, fu Cianciulli ad introdurlo
a quegli studi esoterici che divennero parte decisiva nella sua maturazione personale e
artistica. Lo stesso Cianciulli ebbe un ruolo di un certo peso nel rapporto con Fellini. Rota,
infatti, glielo aveva presentato agli albori della loro amicizia, prima ancora che cominciasse
la collaborazione artistica. Un’altra figura di peso negli anni di formazione fu quella di Arturo
Toscanini. La madre di Rota e la signora Carla, moglie del grande direttore d’orchestra, si
conoscevano piuttosto bene e Toscanini fu sempre curioso e sollecito delle sorti del giovane
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Nino2010-2011
Rota
Da sinistra: Nino Rota,
Mario Castelnuovo - Tedesco,
Virgilio Mortari
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Rota al quale, quando poteva, dedicava scampoli del suo
preziosissimo tempo. Così, al termine del corso di studi
con Casella, Toscanini si diede da fare per far ottenere
a Nino una borsa di studio per accedere al prestigioso
Curtis Institute di Philadelphia. Fu, credo, una scelta
lungimirante, sia dal punto di vista della formazione
personale che da quella artistica. Portare il ragazzo
fuori dall’Italia fascista e fargli respirare un’altra
aria, non poteva avere che effetti benefici. Inoltre, il
fortissimo legame con la madre rischiava di diventare
soffocante, un periodo di separazione avrebbe aiutato
entrambi. Prima della partenza per gli USA, Nino andò
a trovare Rosario Scalero, il suo nuovo Maestro di
Composizione, che durante l’estate teneva dei seminari
in Italia portandosi dietro i suoi allievi di Philadelphia.
Lì, oltre al vecchio amico Giancarlo Menotti, incontrò
Samuel Barber che in una lettera ai genitori fece questo
illuminante ritratto del suo nuovo compagno di studi:
«Nino è alla mano anche se precoce. Conosce molte
lingue (l’inglese così, così), ha appena finito un’Opera,
suona il piano molto bene… Un po’ presuntuoso, non
molto grande per la sua età, viziato, venire in America
penso sarà la cosa migliore per lui… Odia Brahms, e la
sua opera che ci ha suonato questa mattina, è molto
pucciniana».
Come previsto e prevedibile, l’America innescò una profonda crisi di crescita. Anche se la
frequenza al Curtis sarà limitata, per problemi legati alla concessione del visto di espatrio,
a solo due dei tre anni previsti per il conseguimento del Diploma (comunque assegnato in
absentia nel ’33), quando Rota fece definitivamente ritorno a Milano era, finalmente, un
ragazzo quasi come tutti gli altri. Con più esperienze, molto intelligente e sensibile, sempre
mostruosamente bravo con la musica ma, un normale ragazzo di 21 anni. Il lungo soggiorno
negli Stati Uniti lontano dalla madre e da tutta la roteria, il rapporto contrastatissimo
con il suo – ennesimo – insegnante di composizione, quello felice con Fritz Reiner per la
direzione d’orchestra, i frequenti contatti con Toscanini che andava a trovare regolarmente,
l’innamoramento per la propria insegnante di pianoforte, avevano seppellito definitivamente
il bambino prodigio, il fenomeno che un giorno chissà cosa avrebbe fatto, visto che già sapeva
tutto quando gli altri dovevano ancora cominciare. Al ritorno, anche la madre dovette prendere
atto della mutazione e, pur mantenendo i due un rapporto strettissimo, Nino a questo punto
doveva decidere da sé cosa fare da grande. Per prima cosa si iscrisse all’Università, a Lettere,
per avere un mestiere di riserva. Con la composizione invece era subentrata una vera crisi
d’identità. Di quegli anni il catalogo
delle opere riporta pochissimi titoli:
una esperienza di musica per il
cinema, con un filmetto di regime
Treno popolare (1933), le Invenzioni
per quartetto d’archi (1932) molto
tormentate, lontane dalle sue cose
precedenti, qualche lirica per canto e
pianoforte. Alla fine del ’35 però, con
l’avvicinarsi della laurea, la situazione
sembrò sbloccarsi. Il Quintetto per
flauto, oboe, viola, violoncello e arpa
ripristinò un contatto diretto fra Rota
e la sua musica, di conserva sancì il
Cartolina del trasloco
Nino2010-2011
Rota
distacco definitivo con il mainstream dell’avanguardia
musicale contemporanea. Fuor dal movimento Nino si
pose definitivamente andando a insegnare, dopo regolare
concorso, al Liceo Musicale di Taranto nel 1937. La scuola,
l’insegnamento come testimonianza di impegno civile e
culturale, mezzo di sostentamento per poter continuare
a scrivere in liberà la propria musica. Nel 1939 ottenne
il trasferimento a Bari, qualche chilometro più a nord e
pur sempre capitale delle Puglie. In quegli anni compose
le prime due Sinfonie, la Sonata per flauto ed arpa e la
Sonata per orchestra da camera. Il teatro d’opera che
aveva frequentato precocemente nella prima adolescenza,
tornò al centro dei suoi interessi. Nel giro di 5 anni (193843) compose Ariodante e Torquemada entrambe su libretto
di Ernesto Trucchi, la prima tratta da Orlando furioso, la
seconda dall’omonima tragedia di Victor Hugo. Questa volta
parve che Nino più che fuor dal movimento fosse andato
Rota con Toscanini
proprio fuori di testa. La struttura delle opere e la loro
tematica guardano dritto in faccia al XIX secolo e paiono ignorare tutto quello che è successo
dopo. Ariodante, rappresentata a Parma nel ’42, ebbe con un buon riscontro di pubblico
ma lasciò Gianandrea Gavazzeni direttore e concertatore dell’opera a dir poco interdetto,
e lo stesso fu anche per Fedele d’Amico, un giovane musicologo salito apposta da Roma per
ascoltare l’Opera di quel suo amico che aveva conosciuto come il più brillante allievo di Casella.
In una lettera alla madre, scritta proprio nel 1943, durante la composizione di Torquemada,
Rota chiarì il suo scandaloso punto di vista e le difficoltà incontrate nell’applicarlo:
«Mi ha turbato un po’ ricevere da Trucchi (il librettista) il terzo atto che non andava bene,
perché così fatto mostrava chiare le pecche del “genere”. Ma quando le parole sono ben fatte
e rispondenti allo scopo, il “genere” per me è perfettamente giustificabile. Perché, o si fa
un’opera verista, con parole piane piane e con le cose di tutti i giorni e si va nella Bohème,
nella Butterfly, nella Cavalleria e mi sembra cosa passata quante altre mai. O si fa un’opera
non verista e allora ci sono due mezzi:
1- quello di dire le cose con parafrasi e mezzi termini (ti capisco e non ti capisco) come
nel Pelleas oppure infarcirle di fronzoli e fare lunghe tirate contorte per dire una cosa
semplicissima come “ti amo” “vai a morire ammazzato” ecc. ecc..
2- quello di dire le cose, che non sono le veristiche cose di tutti i giorni, ma atti e sentimenti
fuori dalla normalità, in modo chiaro e diretto: e questo ormai al contorto orecchio letterario
di oggi suona ridicolo, melodrammatico, vecchio. Ma non è. Lo sarebbe nel caso che alla parola
non facessero sostegno la forza e la coerenza della situazione scenica: ma quando questa c’è,
e solida, ogni circonlocuzione e complicazione di parola non farebbero che raffreddare il
compito della musica. Col risultato ormai abituale di farla diventare quella tiritera uniforme
e grigia, se pur bella, che è la morte piena di dignità di tutte le opere di oggi: ho detto».
Fu l’evolversi della guerra a dare, da una parte un brusco richiamo alla realtà quotidiana,
dall’altra un totale rimescolamento delle carte. La solida situazione economica della famiglia,
basata soprattutto su investimenti finanziari, declinò rapidamente. Nino riuscì in qualche modo
a evitare il fronte e prestò un servizio di leva abbreviato. La madre e il fratello tennero casa a
Milano. Lui appena assolti gli obblighi militari riprese servizio a Bari, trovando alloggio a Torre
a Mare, un borgo di pescatori a sud della città. Al momento dell’armistizio e dell’invasione
tedesca la famiglia rimase spezzata in due. Il fratello al Nord, Nino e la madre fra la Puglia
e Roma. A quel punto la situazione economica si era fatta decisamente pesante. Lo stipendio
del Conservatorio non veniva corrisposto e, comunque, non era assolutamente sufficiente a
coprire il fabbisogno. Così, quando nel 1942 Raffaello Matarazzo, per cui Rota dieci anni prima
aveva musicato il primo film, decise di richiamarlo per un nuovo progetto, sembrò essere una
delle poche opportunità offerte a un compositore di guadagnare qualche soldo con il proprio
mestiere. Dal 1942 al 1945 Rota firmò le colonne sonore di 7 pellicole e fu anche grazie a quei
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Nino2010-2011
Rota
lavori che riuscì a tirare avanti con la madre a carico, vivendo avventurosamente e, quindi,
in modo molto dispendioso, fra Roma e Bari. Il cinema, insomma, uscito dalla finestra di una
episodica esperienza, diventò a quel punto il principale committente di Rota, la cui facilità,
rapidità e adattabilità gli valsero il soprannome di ‘coniglio musicale’. Finita la guerra la
famiglia si riunì, almeno parzialmente a Roma, il fratello trovò infatti lavoro anche lui nel
cinema e Nino continuò a fare il pendolare con la Puglia, dove oltre agli impegni con il liceo
musicale, aveva ormai stabilito solide amicizie e dove pure la madre, che lo seguiva spesso,
era ormai di casa. Il peggio era passato, in questo clima di speranza e in mezzo alle difficoltà
quotidiane che tutto il paese doveva affrontare, nacque Il cappello di paglia di Firenze (194546), una farsa musicale in quattro atti tratta dalla celeberrima commedia di Eugène Labiche e
Marc Michel, su libretto dello stesso Rota e della madre Ernesta. Qui, per tornare alla lettera
citata sopra, la situazione scenica c’è ed è solidissima e la musica la serve alla perfezione,
ma dovranno passare 10 anni prima che il palcoscenico – Palermo, Teatro Massimo, 21 aprile
1955 – ne fornisse la prova. Nonostante i dubbi e le preoccupazioni di amici e conoscenti,
che temevano che il lavoro per il cinema potesse togliere tempo al Maestro per le cose sue
e lo ponesse fuori dalla cerchia dei compositori di musica d’arte, la guerra aveva lasciato i
Rota in una situazione economica tale per cui questa committenza era la via più praticabile
per sanare i debiti contratti. Furono anni di lavoro intensissimo, nel quinquennio 1946-50
Rota compose 34 colonne sonore. Nel 1948 Joseph Janni, un suo ex compagno di Università
trasferitosi a Londra, si lanciò nella produzione di un film molto ambizioso e gli chiese di
comporre le musiche. La pellicola metteva in scena il tormentato triangolo amoroso di un
compositore inglese che aveva fatto la guerra in Italia e si intitolava The Glass Mountain.
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«(…) Dopo un paio di giorni a Venezia
andammo su a Cortina in automobile e
alloggiammo all’Hotel Argentina a Pocol,
una piccola località presso il paese.
Lì incontrammo i nostri colleghi attori
italiani, il grande Tito Gobbi, e la bella e
enigmatica Valentina Cortese. L’entourage
di Valentina era composto dalla nonna,
Victor de Sabata, una baronessa-segretaria
austriaca e un giovane uomo di nome Walter
che continuava a minacciare d’andare in
Africa per dimenticarla. A volte cambiava d’abito ad ogni piatto della cena; era
a prima vista, una strana scelta per la parte di una semplice ragazza di montagna
(…) Con Tito stringemmo una durevole amicizia. Questo quando Tito non era ancora
una star mondiale dell’opera quale di lì a poco divenne; infatti ironicamente fu The
glass mountain che lo fece conoscere al grande pubblico in Inghilterra e che giocò in
suo favore nel renderlo una delle maggiori attrazioni al Covent Garden. Tito affrontò
il suo ruolo nel film con l’entusiasmo proprio del suo carattere; fu particolarmente
affascinante guardarlo lavorare con il compositore Nino Rota, mentre adattavano la
musica dell’opera di dieci minuti a miglior vantaggio della sua magnifica voce. (…)
Quando raggiungemmo Venezia, dove la maggior parte delle scene del film vennero
girate in quel meraviglioso teatro lirico, il Teatro La Fenice, e dove il mio ruolo mi
richiedeva di dirigere un’orchestra per l’unica volta nella mia vita, Tito ci chiese una
sera di andare con lui al Casinò. (…) Tito chiese anche a Nino Rota di unirsi al gruppo.
Nino un mite piccolo uomo dalle orecchie appuntite e dai grandi occhi – Tito lo aveva
battezzato Bambi - era direttore dell’Accademia di musica di Bari ed era, lo venimmo
a sapere nel grande mondo per la prima volta. Era nervoso per la sua prima esperienza
al Casinò, ma prese Tito a modello e decise di rischiare. Al Casinò ci separammo. Dulcie
ed io presto perdemmo i trenta scellini che era tutto quello ce potevamo permetterci;
dopo una mezz’ora Tito nello stesso modo ne ebbe abbastanza. Bambi non si trovava.
Nino2010-2011
Rota
‘Andiamo a casa – disse Tito – penso che Bambi sia già là’. C’era la luna piena sul
Canal Grande e come incominciammo il nostro viaggio di ritorno in Gondola, Tito, che
è veneziano d’origine, iniziò a cantare con la sua nobile voce le semplici romantiche
canzoni dei gondolieri. Le imposte cominciarono ad aprirsi lungo entrambe le rive del
canale e ad ogni finestra apparvero delle facce. Presto sembrò che l’intera città lo
stesse ascoltando incantata insieme a noi. Il percorso fino all’Hotel fu troppo breve.
Nessun segno di Bambi. Piuttosto ansiosi noi tre prendemmo un caffè e ci preparammo
a stare alzati. Alla fine il prodigo arrivò, apparentemente senza averne risentito.
‘Bambi! – esclamò eccitata Dulcie – Hai vinto?’ ‘No – rispose con soddisfazione – Ma ho
perso molto lentamente.’»
Michael Denison Ouverture & Beginners. The story of Dulcie Gray and Michael Denison
London, 1973, pp 221-222
La complessità della parte musicale, che prevedeva anche la partecipazione di una stella del
bel canto quale Tito Gobbi, e le differenti locations portarono il Maestro a viaggiare spesso
fra Venezia, Cortina e Londra, dove rimase a lungo per la registrazione della colonna sonora.
Durante i suoi soggiorni nella capitale inglese, Rota ebbe una relazione con una pianista
italiana, Magda Longari, dalla quale nacque la sua unica figlia, Marina. Le musiche composte
per il film ebbero un grande successo, soprattutto nel Regno Unito, dove il tema principale
del film divenne uno standard per le orchestre di intrattenimento, ebbe svariate incisioni
discografiche e la BBC ne fece addirittura una sigla per i suoi programmi radiofonici. Se
pure decisamente ridotte per numero, le opere extracinematografiche di questi anni sono
particolarmente significative. Accanto a Il cappello di paglia di Firenze troviamo il Concerto
per arpa e orchestra (1947-50), la Fantasia per pianoforte in sol (1948), due testimonianze di
una maturazione stilistica in grado di dispiegare sempre più precisamente una voce personale.
Nel 1950 morì improvvisamente il fratello minore Gigi al quale il Maestro era molto legato.
La nomina a Direttore del Liceo Musicale Piccinni ravvivò il rapporto con Bari e la Puglia,
in un momento nel quale questa occupazione, oltre al cronico deficit di tempo provocato
dal pendolarismo con Roma, pareva non avere più giustificazioni di ordine economico. Nino,
rimasto solo con la madre, intensificò i propri impegni con il cinema – 77 colonne sonore
nel decennio 1951-60 – ma, al di là del dato quantitativo questi furono gli anni nei quali si
avviarono le collaborazioni importanti e decisive nel definire il complesso dell’opera rotiana.
C’era per esempio quel riminese, conosciuto negli ultimi anni di guerra, erano diventati
amici e si incontravano spesso negli uffici delle case di produzione. Finalmente, dopo anni di
collaborazioni come sceneggiatore, gli avevano affidato un film da dirigere e aveva chiesto a
Nino di scrivere la musica. Il Diario della madre di Nino ce lo racconta così:
«Roma, 13/3/1952
(…). Ieri, a mezzanotte, si è finito con questa incisione dello Sceicco bianco della malora. Da
tre giorni ci tiene in ballo e Nino ci fa su le nottate (…). Ieri Nino è stato dentro la Fonoroma
senza respiro dalle due a mezzanotte passata, prodigandosi senza spreco, perché Previtali,
quando soltanto chitarra e mandolino sono rimasti in gioco, se ne è andato e Nino ha assunto
lui la direzione, coadiuvato da Fellini, che dietro stava in ascolto e suggeriva modifiche. (…)
Fellini, a festeggiare la conclusione del film, ci ha portati da ‘Ernesto’, in Via S. Apostoli. Pollo
alla diavola, insalatina, arancio pelato e ben presentato. C’era la Magnani, a un tavolo poco
discosto, tipo di selvaggia molto interessante. Conclusione, tornammo a casa alle due, portati
dal nostro simpatico anfitrione, dal quale mi sono accomiatata con baci e abbracci».
Da Lo sceicco bianco fino a Prova d’orchestra (1979), Nino Rota e Federico Fellini non si
lasceranno più, costituendo una delle coppie artistiche più longeve e significative nella
storia del cinema. La strada, La dolce vita, Otto e mezzo, solo per limitarci a tre titoli, non
sarebbero stati quelli che ancora oggi sono, dei capolavori, senza quelle musiche che paiono
le uniche in grado di arredarli seguendo la particolare, sensibilissima e umanissima poetica
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Nino2010-2011
Rota
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del grande regista romagnolo.
Nel 1954 morì Ernesta Rota Rinaldi, Nino
rimase solo, la madre era stata un punto di
riferimento inalienabile per tutta la vita. Chi
l’ha conosciuta la descrive come una donna
dal carattere fortissimo, anticonformista, di
grande sensibilità e con una cultura ampia ed
eterogenea. Ma, la sua, fu un’affollatissima
solitudine. Al Piccinni a Bari dove, come si
usava al tempo, i direttori avevano un
appartamento
all’interno
dell’edificio
scolastico, ebbe una intera scuola come
famiglia. A Roma, un rifugio sicuro fu sempre
casa Cecchi d’Amico. Lì cinema e musica si
incontravano
materialmente,
la
sceneggiatrice Suso Cecchi, figlia di Emilio e
sua amica fin dall’adolescenza, aveva infatti
Rota con Fellini
sposato il musicologo Fedele d’Amico. Infine,
la cugina Titina (1899-1978), pittrice e scenografa che fu quasi una sorella e con la quale
mantenne una fittissima corrispondenza per tutta la vita. Gli anni ’50 segnarono anche l’inizio
della collaborazione con Luchino Visconti, i due si conoscevano fin dagli anni milanesi, ma fu
proprio per il tramite di Suso Cecchi che si concretizzò questo sodalizio con le musiche per il
film Le notti bianche (1957) e quelle per lo spettacolo teatrale L’Impresario delle Smirne
(1957). Di quegli anni particolarmente significativi furono, nell’ambito della musica sinfonica,
le Variazioni sopra un tema gioviale (1953) e la Sinfonia N. 3 (1956-57). Accanto a questi, vale
qui la pena di ricordare il Trio per flauto violino e pianoforte (1958), che è fra i suoi lavori
cameristici più felici e un singolare trittico teatrale, interamente ascrivibile al 1959. L’Idillio
La scuola di guida di Mario Soldati, la Favola Lirica di Eduardo De Filippo Lo scoiattolo in
gamba e il dramma buffo di Riccardo Bacchelli La notte di un nevrastenico, con il quale vinse
il prestigioso Prix Italia. Il Maestro, nonostante gli impegni cinematografici e quelli scolastici,
nel giro di un anno riuscì a scrivere tre opere, per le dimensioni meglio dire operine, con tre
nomi di primo piano delle lettere e del teatro italiano. Nel 1959-60 venne composto anche il
Concerto per pianoforte e orchestra in do dedicato ad Arturo Benedetti Michelangeli, amico
di lunga data e suo grande estimatore. Da allora i due ebbero incontri quasi annuali per
limare, provare e riprovare questo concerto che il grandissimo pianista aveva promesso di
portare al debutto. Di rinvio in rinvio non se ne fece niente e, quando Rota morì, il generoso
tentativo di Michelangeli di registrare il Concerto, si infranse sull’opposizione della sua casa
discografica che non ritenne Rota degno di tale onore. L’ultra trentennale amicizia con
Michelangeli mette qui in campo la lunga lista di celebrità frequentate dal Maestro e mai
ostentate, per un tratto di modestia e discrezione che fu parte predominante del suo carattere.
Oltre al già citato Toscanini, vale qui almeno la pena di citare uno dei maggiori, se non il
maggiore compositore del XX secolo, Igor Stravinskij. Fu Alfredo Casella a presentarli alla fine
degli anni ’20. Se, al principio, per ammissione dello stesso Rota, il loro rapporto fu basato
sulla enorme stima e ammirazione che il giovanissimo italiano aveva di Stravinskij e della sua
musica, con il passare degli anni si trasformò in una
amicizia consolidata dal fatto che il nostro non chiese mai
al musicista russo pareri, raccomandazioni sulle proprie
composizioni e in più, masticando qualche parola di russo,
aveva reso le loro conversazioni più intime, facendo
breccia nel cuore dell’esule. La decade degli anni ’60 fu
caratterizzata dalla definitiva consacrazione del Maestro
nel campo della musica cinematografica e da una
produzione di opere da concerto decisamente più
Dedica di Stravinskij a Rota
significativa e copiosa. Rota era finalmente nella posizione
Nino2010-2011
Rota
di scegliere solo i lavori cinematografici che giudicava più interessanti e questo significò un
notevole risparmio di tempo e di energie da riservare alle sue cose. I successi si susseguirono
con frequenza ed ampiezza sempre maggiori provocando, in anni nei quali la distinzione fra
musica seria e di intrattenimento era ancora particolarmente marcata, una sempre maggiore
dicotomia nella valutazione critica della sua opera. Già il solo fatto di essere l’autore mettiamo
dello struggente tema d’amore di Romeo e Giulietta piuttosto che della canzonetta tormentone
W la pappa col pomodoro, lo rendeva indigesto a critici e musicologi. Il perseverare poi nello
scrivere musica così come aveva sempre fatto, cioè a dire sempre più lontana da quelle che
erano giudicate le specifiche istanze dell’avanguardia, lo rendeva quasi un provocatore che,
per di più, otteneva dal pubblico, anch’esso da educare secondo i maître- à - penser dell’epoca,
riconoscimenti e applausi assolutamente immeritati. Il musicista di Fellini, Visconti, Zeffirelli
e De Filippo per mettere sul piatto un poker di nomi che segnò la storia del cinema e del
teatro nella seconda metà del novecento, proseguì imperterrito a dirigere il Piccinni a Bari,
finalmente promosso al rango di Conservatorio nel 1959, dove la sera trovava la calma
necessaria per dedicarsi alle sue creazioni e dove, qualche anno prima, era passato un
ragazzino a dare, come privatista, l’esame di quinto anno di pianoforte. Rota, che cercava di
essere sempre presente agli esami, chiese alla commissione di assegnare tutti 10 a quel
ragazzo non per come aveva suonato – comunque bene – ma per come avrebbe potuto suonare.
Gli chiese poi se fosse possibile avere un colloquio con i suoi genitori, i Signori Muti, perché
riteneva che dovesse proseguire gli studi musicali. Riccardo Muti racconta ancora volentieri
quell’incontro fatale per il suo destino e l’amicizia che lo legò a Rota, che non smise mai di
seguire i suoi progressi negli studi e, poi, nella carriera artistica. Questa decade segna anche
un ritorno del Maestro alle composizioni di ispirazione religiosa sia nel campo della tradizione
liturgica – in catalogo troviamo 3 Messe, numerosi mottetti e inni – che in senso più lato nel
cercare di comporre un’opera che potesse esprimere quella religiosità ecumenica, più vicina
alla propria natura e formazione. Con la cantata sacra per soli coro e orchestra Mysterium
(1962), Rota trovò, sia dal punto di vista della scelta dei testi sia nel trattamento musicale,
una felice sintesi di questo suo percorso spirituale. In campo teatrale, non si può omettere il
grandissimo successo riscosso con il balletto La strada (1966) e ben due opere liriche: Aladino
e la lampada magica (1963-65) tratta da Le mille e una notte e La visita meravigliosa (196569) dall’omonimo racconto di H. G. Wells. In questi anni si intensificò la collaborazione con
Vinci Verginelli, amico e sodale di studi ermetici, che lo aiutò nella scelta dei testi per il
Mysterium, scrisse il libretto de L’Aladino e fu il consulente per le liriche di due altre opere:
l’oratorio per soli coro e orchestra La vita di Maria (1968-70) e la cantata profana Roma
Capomunni (1970-71). Rota, anche negli ultimi anni, rimase fedele a uno stile di vita
faticosissimo, il pendolarismo fra Roma e Bari continuava a svolgersi in treno poiché l’aereo,
se poteva, evitava di prenderlo. Così, anche le continue richieste di presenziare a manifestazioni
in suo onore, a dirigere personalmente le proprie musiche, erano selezionate ferocemente
dalla cronica mancanza di tempo. Questo non gli impedì comunque di effettuare una tournée
in Giappone, un viaggio nell’Unione Sovietica e, all’estremo dei suoi giorni nel 1978, a tornare
negli Stati Uniti, a quasi 50 anni dall’esperienza di studio al Curtis Institute di Philadelphia.
Rimangono da menzionare ancora due incontri importanti che caratterizzarono l’ultima
stagione creativa del Maestro, quello con Francis Ford Coppola, per il quale musicò la saga
cinematografica de Il Padrino vincendo, primo italiano per la musica, un Premio Oscar nel
1974, e quello con Maurice Béjart, il grande coreografo francese. Béjart, grande ammiratore
di Fellini e della sua opera cinematografica, aveva individuato il contributo determinante
delle musiche rotiane in questi film e decise, per uno dei suoi progetti più ambiziosi, il Ballet
comédie omaggio a Molière, di chiedere al compositore milanese la partitura musicale. Nacque
così Le Molière Imaginaire (1976), un capolavoro che purtroppo la frenetica attività e creatività
di Béjart misero rapidamente in archivio. I due rimasero in contatto e riuscirono ad allestire
insieme un altro spettacolo, Dichterliebe –Amor di Poeta (1978). La morte di Rota purtroppo
troncò un rapporto che pareva destinato a generare molti altri progetti. Nel 1976, dopo più di
25 anni di direzione di quell’Istituzione a cui aveva dedicato tanta energia e passione, andò
in pensione e lasciò il Conservatorio. Nel 1977 andò in scena la sua ultima opera lirica, Napoli
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Rota
Milionaria! di Eduardo De Filippo, basata sull’omonimo dramma del grande attore e
commediografo napoletano. L’opera fu prodotta dal Festival dei Due Mondi di Spoleto, geniale
invenzione di Giancarlo Menotti, antico rivale di Nino nell’agone degli enfants prodiges nella
Milano degli anni ’20. Questa volta la critica fu più unanime del solito nello stroncare l’opera.
Rota reagì come era uso fare, senza polemica né astio, si limitò a far notare che al pubblico
era piaciuta e si apprestò a una revisione completa del lavoro in vista di nuovi allestimenti.
Un concerto per pianoforte e orchestra, Concerto in mi ‘Piccolo mondo antico’(1978), le
musiche di scena per La dodicesima notte… o quel che volete! di Shakespeare (1978-79),
furono gli ultimi due lavori di un catalogo che, comprendendo anche le colonne sonore
cinematografiche, assomma a 347 numeri, concreta testimonianza di una vita operosissima.
Morì a Roma il 10 aprile del 1979, mentre stava lasciando la clinica dove era stato per
effettuare alcuni esami. Soffriva da tempo di una insufficienza cardiaca che non aveva mai
voluto trattare chirurgicamente.
I - « (…) Per me Nino era uno dei tre
o quattro musicisti contemporanei.
Era un musicista totale. Ho letto
su di lui delle critiche riduttive,
ridicole. Viveva nella musica con la
libertà e la felicità di una creatura
che viva in una dimensione che le
è spontaneamente congeniale. La
nostra intesa era tale che abbiamo
rischiato i tempi più stretti, le
date di scadenza più draconiane,
ma tutto poi si concludeva nella
più gioiosa sicurezza. La sicurezza
che tutto sarebbe finito per il
meglio con lui non ci abbandonava
mai. Ricordo di lui un’immagine
indimenticabile.
Stavamo
Da destra: Rota, Suso Cecchi d’Amico, Fanco Zeffirelli
incidendo. In un grande salone,
dietro una vetrata, c’erano gli orchestrali; presso gli orchestrali c’era il direttore; tutt’intorno
microfoni, spie, congegni meccanici. Tutt’a un tratto Nino, in punta di piedi, come un
fantasma, si portò presso un oboe e con una matita aggiunse delle note alla partitura. Erano
questi i ‘miracoli’ di Nino. (…) ».3
II - « (…) Oppure un certo scatto degli occhi ve lo dichiarava improvvisamente partito per
altre regioni. Eppure recuperava poi sempre, per vie note a lui soltanto, ed evidentemente
indolori ad ogni disguido: fragile ma invulnerabile, le frizioni fra i suoi itinerari segreti e il
‘mondo’ producevano poi, miracolosamente, energia; e ordine esatto e partiture magistrali,
e doni delicatissimamente opportuni. Così, se nessuno ebbe mai modo di sorprenderlo nel
minimo moto d’ira, non perciò le sue reazioni erano fiacche, ma piuttosto lapidarie. A un
autorevole studioso che gli dogmatizzò: “Il Doktor Faust di Busoni è la più bella opera del
secolo” pacatissimamente rispose: “Lei è un maleducato”. (…) ».4
III - « (…) Dissi altre volte che il musicista non partecipa della comune specie umana, ma che
egli è in mezzo a noi terrestri come un animale acquatico o come un animale dell’aria. Il suo
elemento non è di quelli in mezzo ai quali viviamo noi, ma la musica, la quale di per sè stessa
non é un’arte, come siamo usati di dire, ma un elemento vero e proprio: il più lontano da
noi, il più estraneo. E il musicista pertanto compie uno sforzo continuo uno sforzo “doloroso”
a vivere in mezzo a noi, come un pesce esiliato dal mare e condannato a respirare la nostra
medesima aria, faticando le branchie e ansimando. A queste cose io ripensavo guardando Nino
Rota al piano. Egli è il più “musicale” dei musici che io conosca. Voglio dire che egli vive
“soltanto” in musica e là solo è felice; la sol... Sparisce allora ogni fatica di vita, ogni fatica
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Rota
materiale; e poiché anche il sonare è un’azione meccanica e dunque una fatica, Nino Rota
suona come per conto di un altro. Di chi? Della musica.».5
1 Giovanni Rinaldi (1840-95) scrisse più di 100 titoli per solo pianoforte in gran parte pubblicati
da Ricordi, visse con la moglie a Genova dove entrambi insegnavano musica. La loro casa fu
meta obbligata di tutti i musicisti di passaggio in città, frequentò Verdi e conobbe Garibaldi.
2 Leonardo Pinzauti MUSICISTI D’OGGI - Venti colloqui - Torino, 1978. Successivamente in Fra
musica e cinema: il caso Nino Rota a cura di Francesco Lombardi, Firenze 2000.
3 Federico Fellini, L’amico magico, ‘Il Messaggero’ 13/4/1979.
4 Fedele d’Amico, La farfalla sul pianoforte, ‘L’Espresso’ n. 17, 29/4/1979.
5 Alberto Savinio, Scatola sonora – Il musicista, ‘Voci’ n. 14, 28/10/1944.
Da destra: Nino e il fratello Gigi
Testi di Francesco Lombardi
Conservatore archivio Nino Rota Fondazione Giorgio Cini
Le immagini provengono dall’Archivio Rota-Fondazione Giorgio Cini di Venezia
per gentile concessione
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Rota
NINO ROTA
Bibliografia
- G. Gavazzeni, Brevi capitoli su Nino Rota, Musicisti d’Europa, Milano 1954
- M.Mila, Il vaudeville di Nino Rota, in Cronache Musicali 1954-59. Torino 1959
- G. Vigolo, Le sorprese del novecento, in Ricordiana, Milano 1959
- P. M. De Santi, La musica di Nino Rota, Bari 1987
- D. Fabris, Nino Rota compositore del nostro tempo, Bari 1987
- F. Borin (a cura di), La filmografia di Nino Rota, Firenze 1999
- F. Lombardi (a cura di), Fra cinema e musica del novecento: il caso Nino Rota, Firenze 2000
- J. Simon, The other Rota, in The New Criterion vol. 19 n. 1, New York 2000
- G. Morelli (a cura di), Storia del candore, Firenze 2001
- V. Rizzardi (a cura di), L’undicesima musa Nino Rota e i suoi media, Roma 2001
- F. Lombardi, Pirati? Sirene? Una lettera di Federico Fellini, in AAM • TAC
4-2007, Pisa-Roma
- R. Calabretto, La Sinfonia sopra una canzone d’amore. Per Il Gattopardo, in AAA • TAC 52008, Pisa-Roma
- F. Lombardi (a cura di), Nino Rota Catalogo critico delle composizioni da
concerto, da camera e delle musiche per il teatro, Firenze 2009
- E. Sala, «Qualcosa di arcaico e modernissimo al tempo stesso» Primi appunti
sulle musiche di Nino Rota per il Fellini-Satyricon, in Fellini-Satyricon l’immaginario
dell’antico, Milano 2009
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Rota
NINO ROTA
Discografia
A - Cross over miscellanee omaggi
Amarcord Nino Rota - HANNIBAL
Amarcord, La Fogaraccia, 8 ½, Lo Struscio, Giulietta degli spiriti, Gary Cooper, Satyricon,
Ti Ricordi Di “Siboney”?, Medley: Lo sceicco bianco/I Vitelloni/ II Bidone/Le notti di Cabiria
/Tutti a Vedere Il Rex
Nino Rota por Solistas Brasileiros - KUARUP
Amarcord, La dolce vita, Tema d’amore da The Godfather, Bevete piu latte, 8 ½, La strada,
La fogaraccia, La gradisca si sposa e se ne va, Trastaverina, A time for us, Roma, Terra
lontana, Amarcord
Nino Rota L’amico magico - SUGAR MUSIC
Avion Travel
Parlami di me, Pelle bianca,The immigrant, Brucia la terra, Ai giochi addio, Canzone
arrabbiata, Amacord , Lla rì lli rà, Gelsomina, Bevete più latte, Quello che non si dice (new
carpet), Lo struscio, La passarella di 8 e 1/2
B - Musica da concerto
Chamber Music – BIS
KREMERata MUSICA
Gidon Kremer
Piccola Offerta Musicale for wind quintet, Sarabanda e Toccata per Arpa, Trio per Flauto,
Violino e Pianoforte , Ippolito gioca per Pianoforte, Il Presepio per soprano e quartetto
d’archi, Cantilena da Sette pezzi per bambini per Pianoforte solo, Intermezzo per Viola e
Pianoforte, Puccettino nella giungla da Sette pezzi per bambini per pianoforte solo, Nonetto
Rota - Sinfonie n. 1 e 2 - BIS
Norrköping Symphony Orchestra - Ole Kristian Ruud
Sinfonia n. 1 in Sol maggiore, Sinfonia n. 2 in Fa maggiore, Tarantina, Anni di pellegrinaggio
Rota – Sinfonia n 3 - BIS
Norrköping Symphony Orchestra, Ole Kristian Ruud, Hannu Koivula
Sinfonia n. 3 in Do maggiore, Concerto festivo per orchestra, Le Molière imaginaire – Suite
dal balletto
Nino Rota- SONY
Orchestra Filarmonica della Scala, Riccardo Muti
La strada, Ballet suite, Concerto per archi, Danze da Il Gattopardo
Nino Rota- Music for film – SONY
Orchestra Filarmonica della Scala, Riccardo Muti
The Godfather, 8 e ½, La dolce vita, Prova d’orchestra, Rocco e i suoi fratelli, Il Gattopardo
Nino Rota- Piano music – BRILLIANT
Michelangelo Carbonara
Ippolito Gioca, Fantasia in Sol: Andante , Ballo della Villanotta in erba, Allegretto rustico,
Suite dal Casanova di Fellini, Bagatella: Andante espressivo, 15 Preludi, Waltz: Valse lento
molto cantabile, un poco liberamente
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Rota
Nino Rota- La Strada- ATMA
Orchestre Metropolitain du Grand Montreal, Yannuck NézetLa strada – Ballet suite, Concerto
per arpa e orchestra, Concerto per trombone e orchestra
La visita meravigliosa - LA BOTTEGA DISCANTICA
Opera in due atti e nove scene (dal romanzo di H.G. Wells) - Libretto e musica di Nino Rota
Orchestra e Coro del Teatro Sociale di Rovigo
Lo Scoiattolo in gamba -LA BOTTEGA DISCANTICA
Favola lirica in un atto di E. De Filippo
Cristallo di Rocca
Musica per lo sceneggiato radiofonico tratto dal racconto di Adalbert Stifter,
adattamento di Quirino Principe Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, Direttore Giuseppe Grazioli
Mysterium -LA BOTTEGA DISCANTICA
Oratorio per Soli, Coro, Coro voci bianche e Orchestra in 7 parti
Cori e Orchestra della Pro Civitate Christiana di Assisi
Ex Novo Ensemble- ASV
Quntetto per flauto, oboe, viola, violoncello e arpa
Enrico Bronzi – I Musici di Parma - MUSIC MEDIA CD
Concerto per violoncello n. 2
La notte di un nevrastenico – LA BOTTEGA DISCANTICA
Dramma buffo in un atto. Libretto di R. Bacchelli;
Nonetto per 9 strumenti; Gruppo Strumentale Ricercare-
I due timidi - Twilight TWI CD
I due timidi, opera radiofonica in un atto – Sonata per viola e piano
Orchestra della RAI di Roma, Franco Ferrara-
Rota - NAIVE
L’oeuvre pour piano, Concerto Soirée, Fantasia Don Giovanni, Sonata per orchestra da
camera
Orchestra della Città di Ferrara, Giuseppe Grazioli, Danielle Laval
C- Colonne sonore originali
Nino
Nino
Nino
Nino
Nino
Nino
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Rota
Rota
Rota
Rota
Rota
Rota
- Amarcord- cam
- Giulietta degli spiriti - cam
- Prova d’orchestra - cam
- Il casanova di federico fellini - cam
- La dolce vita - cam
- Otto e 1/2- cam
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Rota
Valentina Corradetti SOPRANO
Nata ad Ascoli Piceno. Intraprende lo studio del canto lirico sotto la guida
del soprano Rossella Marcantoni con la quale si diploma nel 2007 con il
massimo dei voti e la lode presso il Conservatorio “U.Giordano” di Rodi
Graganico, sez.staccata di Foggia. È attualmente allieva del mezzosoprano
Paola Pittaluga presso la Scuola dell’Opera Italiana di Bologna, dove ha
potuto perfezionarsi con Fiorenza Cedolins, Josè Cura, Ileana Cotrubas,
Dolora Zajick, Alfonso Antoniozzi, Vittorio Terranova, Francisco Araiza, Luis
Alva, Sonia Ganassi, Carlo Colombara, Dunja Vejzovic, Tiziana Fabbricini,
con i Direttori d’Orchestra Bruno Bartoletti, John Axelrod, Eythan Pessen, Riccardo Frizza e
con i registi Davide Livermore e Damiano Michieletto
Nell’ottobre 2008 debutta in La Traviata (Annina), al Teatro Sociale di Rovigo, sotto la direzione
di Tiziano Severini e la regia di Denis Krief. Nel novembre 2008 Aida (Gran Sacerdotessa), al
Teatro G.Verdi di Padova diretta da Omer Wellber e regia di Hugo De Ana.
Nel giugno 2009 debutta la Voix Humaine di F.Poulenc al Teatro Guardassoni di Bologna, diretta
da Salvarore Percacciolo. Nell’ottobre 2009 debutta in La Bohème nel ruolo di Mimì al Teatro
Comunale di Bologna, diretta da Massimiliano Caldi con la regia di Lorenzo Mariani.
Sempre al Comunale di Bologna a Febbraio del 2010 interpreta Elettra nell’ Idomeneo di
W.A.Mozart diretto da Michele Mariotti con la regia di Davide Livermore.
Nel maggio 2010 si è esibita in diretta radiofonica con l’Orchestra Sinfonica della RAI di Torino
per il concerto “Festival delle voci nuove” diretto da Pietro Mianiti.
Nell’estate 2010 interpreta il ruolo di Maria Rosaria in Napoli Milionaria di Nino Rota, opera
di apertura del 36°Festival della Valle d’Itria di Martina Franca (TA) diretta dal M°Giuseppe
Grazioli con la regia di Arturo Cirillo; e diretta dal M°Matteo Pais canta in Egmont (op.84)
musica di scena composta da L.van Beethoven.
Numerosi i concerti di musica sacra: Gloria RV 589 di A.Vivaldi, Stabat Mater di G.B.Pergolesi,
Laudate pueri di G.B.Pergolesi, Stabat Mater di L.Boccherini, Stabat Mater D.Scarlatti, Oratoire de
Noel di C.Saint-Saens, Requiem Op.48 di G.Faurè, Lauda per la natività del Signore di O.Respighi.
Prima fra tutti nel novembre 2009 la Krönungsmesse K 317 di W.A.Mozart diretta dal M°Roberto
Abbado all’Auditorim Manzoni di Bologna. Sempre diretta da Roberto Abbado nel dicembre
2009 canta Die Burger als Edelmann op.60 musiche di scena per attore voci e orchestra di
R.Strauss. Ha al suo attivo concerti in Italia e all’estero per importanti associazioni musicali:
Milano, Roma, Palermo, Trier, Koburgh Bad Rodach, Vienna, Salisburgo, Cracovia, Cestocova,
Budapest, Lione, Lourdes, Tunisi, Zurigo, Londra, Berlino, Praga, Lipsia, Montreal, Francoforte,
Bruxelles, Ulm, Lussemburgo.
Mario Shirai Grigolato VIOLONCELLO
Mario Shirai Grigolato ha iniziato gli studi di violoncello con il
maestro Franco Zecchino ed ha continuato con Antonio Sanarica,
conseguendo il diploma di violoncello presso il Conservatorio Statale
di Lecce “Tito Schipa” con il massimo dei voti. Si è poi prodigato
nello studio del violoncello, seguito da Christian Bellisario, docente
del Conservatorio Statale di Riva del Garda, e attualmente studia
con Marco Scano, docente del Conservatorio “G. Verdi” di Milano.
Ha fatto parte, come violoncellista, del quartetto “Herbert”, del gruppo barocco “Musica
Antiqua” e del gruppo “Astor Piazzolla” con i quali si è esibito in Puglia, Basilicata e
Calabria. Ha collaborato con l’Orchestra Lirico Sinfonica Salentina di Lecce e l’Associazione
“Eur Pesaro” nel ruolo di primo violoncello. Si è esibito nelle alle stagioni liriche del
Teatro Verdi di Sassari e del Teatro Coccia di Novara in questa occasione nel ruolo di
secondo violoncello.
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Rota
Nel 1996 ha superato le audizioni del corso di formazione dell’Orchestra Giovanile
Italiana di Fiesole e dell’Orchestra Laboratorio Urbano di Bari. Nel 1997 ha partecipato
alla tournée svoltasi ad Altenburger (Lipsia, Germania) con l’orchestra “Est-West
Internationale Musik-Akademie & V.” Nel 1998 ha superato le audizioni di “Spoleto
Festival” e dell’“Accademia Filarmonica della Scala”, seguendo regolarmente i corsi di
perfezionamento indetti da quest’ultima e superando l’esame finale con il massimo dei
voti. Dal 1999 suona nell’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi.
Elena Piva ARPA
Elena Piva è nata a Rovigo nel 1972. Inizia gli studi presso il Conservatorio
della sua città ma si diploma in Arpa al Conservatorio “L. Cherubini”
di Firenze nel 1992 con il massimo dei voti e la lode. Sin da subito
è evidente il suo talento esecutivo e artistico: dunque la strada è
tracciata per iniziare una carriera artistica. Il suo perfezionamento è
stato seguito da docenti quali J. Borot, F. Pierre, J. Liber e U. Holliger.
Diversi i premi vinti sin dai primi anni di carriera, in Concorsi Nazionali
e Internazionali, come solista e in formazioni cameristiche.
Nel 1994 arriva il primo incarico ufficiale in orchestra, infatti, dal
1994 al 1997 è Prima Arpa dell’Orchestra Giovanile Italiana.
Nel 2000 ottiene il posto di Prima Arpa presso l’ Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi,
ruolo che occupa tutt’oggi. In qualità di prima arpa ha avuto il piacere di suonare diretta da
R. Chailly, R. Barshai, G. Prêtre, R. Muti, V. Gergiev, G. Noseda, Y. Sado, V. Jurowski, L. Berio,
e tanti altri, e con solisti di fama mondiale quali A. Toradze, E. Dindo, Swingle Singers, ecc.
Con la stessa Orchestra ha inciso diversi cd con case discografiche leader nel settore quali
Deutsche Grammophon (solista Placido Domingo), BMG e Decca.
Numerosissime le tournée in qualità di prima e seconda arpa in Europa, USA, Isole Canarie,
Giappone, Cina, Corea, Italia e Svizzera, con diverse orchestre fra le quali la Verdi, quella
del Teatro alla Scala di Milano, e altre. L’intransigenza verso sè stessa nella ricerca della
qualità e la costanza nello studio e nell’impegno l’hanno resa presto un punto di riferimento
per molte orchestre italiane e straniere, sempre più numerose sono infatti le collaborazioni
con enti fra i quali l’ Orchestra Filarmonica della Scala (con la quale ha partecipato alla
tournée negli Stati Uniti con il Riccardo Chailly e a quella in Asia con Myung-Whun Chung),
Orchestra della Svizzera Italiana, Orchestra dell’Ente Lirico di Cagliari, Orchestra del Teatro
“V. Bellini” di Catania, Orchestra del Teatro Regio di Parma, Orchestra Sinfonica di Roma,
Orchestra Filarmonica Veneta “G.F. Malipiero”, Orchestra “G. Cantelli” di Milano, Orchestra
del Teatro Massimo di Palermo, Orchestra delle Settimane musicali di Stresa, Orchestra del
Teatro dell’Opera di Roma, Orchestra de “I Pomeriggi Musicali” di Milano.
Il suo impegno orchestrale ha da sempre rappresentato uno stimolo per ampliare il proprio
repertorio solistico e da camera: ad oggi vanta quasi l’intera gamma di concerti solistici per
arpa e tutti i brani scritti nei diversi secoli dagli autori più rappresentativi nella musica per
questo strumento. Negli ultimi mesi ha eseguito come solista, in diverse occasioni, il Concerto
di Mozart per arpa, flauto e orchestra con formazioni quali “I Solisti Veneti” e l’Orchestra di
Stato della Romania.
La musica da camera, altra sua grande passione, di anno in anno si arricchisce di nuove
formazioni da lei esplorate; fra gli ensemble che tengono concerti in Italia e all’Estero
ricordiamo quelli per arpa e flauto, arpa e violino, arpa e viola, arpa e clarinetto, arpa e
violoncello, arpa e corno, trio flauto, viola e arpa, trio chitarra, mandolino e arpa, quartetto
flauto, violino, violoncello e arpa, quintetto e settimino. Eterna innamorata del proprio
strumento ha esplorato il repertorio in ogni formazione possibile. Duo, trio, quartetto e
sestetto di arpe eseguendo anche brani in “prima” assoluta.
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Rota
Simone Pedroni PIANOFORTE
Simone Pedroni, novarese di nascita, si è diplomato nel 1990 col
massimo dei voti, la lode e la menzione speciale al Conservatorio
“G. Verdi” di Milano, sotto la guida del M° Piero Rattalino. Ha
studiato inoltre con Lazar Berman e Franco Scala all’Accademia
pianistica “Incontri col Maestro” di Imola, dove nel 1995 ha
conseguito il “Master Degree”.
Dopo aver ottenuto nel 1992 il Secondo premio al Concorso Arthur
Rubinstein di Tel-Aviv e il Primo premio al Concorso Queen Sonja di
Oslo, nel 1993, a 24 anni, vince il Primo Premio (Gold Medal) e il
Premio di musica da camera alla nona edizione del Concorso Van Cliburn in Texas.
È stato solista con la Royal Philharmonic Orchestra diretta da Sir Yehudi Menuhin, I Virtuosi
di Mosca diretti da Vladimir Spivakov, l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino diretta da
Zubin Mehta, l’Orchestra Nazionale della RAI a Torino diretta da Eliahu Inbal, l’Orchestra
Filarmonica di Oslo diretta da Pinchas Steinberg, l’Orchestra Giovanile Italiana diretta da
Roberto Abbado (tournée in Sud America col Concerto n.1 di Brahms), l’Orchestra Sinfonica de
I Pomeriggi Musicali diretta da Aldo Ceccato, l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa
Cecilia, l’Orchestra da Camera di Praga (con cui ha realizzato una tournée di 29 concerti negli
Stati Uniti), I Musici di Montreal diretti da Yuli Turovsky, la National Polish Radio Symphony
Orchestra a Katowice diretta dal leggendario M° Stanislav Skrowaczewski (Concerto di
Schumann), la Filarmonica di Mosca, l’Orchestra Nazionale del Belgio, la Israel Chamber
Orchestra, la Wiener Kammerorchester, la Dallas Symphony Orchestra, l’Orchestra da Camera
di Losanna, l’Orquesta de Valencia, l’Orquesta Nacional de España, .
È pianista “in residence” all’Orchestra Sinfonica di Milano “G. Verdi” con la quale ha eseguito
il Concerto n. 2 di Brahms con Leonard Slatkin, la Fantasia op. 80 Beethoven e il raro Concerto
in Re minore di Martucci con Riccardo Chailly (anche in tournée in Spagna e nell’ambito del
Festival de Música de Canarias), i 5 Concerti di Beethoven con Gianandrea Noseda, il Concerto
n. 1 di Tchaikovsky con Louis Langrée, il Concerto di Schumann con Lu Jia e alcuni programmi di
musica da camera. Tra i recital si ricordano quelli al Teatro alla Scala di Milano, Carnegie Hall
di New York, Herkulessaal di Monaco, Accademia Nazionale di Santa Cecilia in Roma, Quirinale
in Roma, Filharmonia Narodowa a Varsavia, Teatro Comunale di Bologna, Teatro Carlo Felice di
Genova, Festival Pianistico di Brescia e Bergamo, le Settimane Musicali di Stresa, la Società del
Quartetto di Milano, Serate Musicali di Milano, Salle Gaveau di Parigi, Festival della Primavera di
Praga, Festival de Menton, Montecarlo, Lisbona, Bonn, Berlino, Hannover, Atene, Istanbul, oltre
a numerosi concerti solistici negli Stati Uniti d’America e in Giappone.
Nell’estate 2005 debutta in Olanda nell’ambito del Festival di musica da camera di Delft ed
è invitato per l’anno successivo. In occasione del 250° anniversario della morte di Bach ha
eseguito con grande successo le Variazioni Goldberg di Bach al teatro della Maestranza di Siviglia
e all’Auditorium di Milano. Tra gli ultimi impegni il debutto a Pechino (Recital e Masterclasse), il
ritorno in Giappone con le Variazioni Goldberg di Bach, il Concerto di Martucci con l’Orchestra
della Radio della Svizzera Italiana a Lugano con James Gaffigan ed in tournée in Spagna con
l’Orchestra Sinfonica di Milano diretta da Oleg Caetani, il Concerto n. 2 di Rachmaninov in
Norvegia (Trondheim) e il Concerto n.1 di Brahms a Milano con Aldo Ceccato.
Nel giugno 2009 ha debuttato con grande successo al Parco della Musica di Roma con l’Orchestra
ed il Coro di Santa Cecilia, diretta da Vladimir Ashkenazy.
Nel Marzo 2010 con l’Orchestra Verdi di Milano, direttore Juanjo Mena ha ottenuto un successo
personale nel Turangalila di Messiaen.
Per Philips-Classics ha inciso, dal vivo, un Cd con opere di Mussorgski, Rachmaninoff ed
Hindemith, per U.I.O.G.D. “Simone Pedroni Live in Concert”, per La Bottega Discantica le
Variazioni Goldberg di Bach, e per LOL-Records i Quadri di una esposizione di Mussorgsky
e opere di Arvo Pärt. Per la stessa etichetta sono in commercio due CD: uno interamente
dedicato a Schubert (Sonata D. 960 e sei Lieder trascritti da Liszt) e l’altro a Liszt.
Riconfermato dall’Orchestra della Radio della Svizzera Italiana di Lugano per il 2010 eseguirà il
Concerto in La minore di Respighi del quale verrà realizzato un CD con la stessa Orchestra.
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Rota
Giuliano Rizzotto TROMBONE
Giuliano Rizzotto è I trombone solista dell’Orchestra
Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi dal 1995. Diplomatosi nel
1992 si perfeziona già dal 1990 presso la Scuola di Musica di
Fiesole e l’Orchestra Giovanile Italiana con i maestri Vinko
Globokar e Roger Bobo.
Collabora dal 1997 al 2001 in qualità di I trombone associato
con l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.
Dal 1996 si perfeziona periodicamente con il M° Joseph
Alessi (principal trombone New York Philharmonic).
Con le orchestre di Milano e Roma suona nelle migliori sale
da concerto del mondo con tournée in Giappone, Europa, Sud
America, Cina, Corea, Canarie e incide regolarmente per case
discografiche quali la Decca, EMI, Deutsch Grammophon e BMG
Ricordi. Parallelamente a queste orchestre collabora anche
con altre compagini orchestrali quali l’Orchestra Filarmonica
e del Teatro alla Scala, l’Orchestra del Teatro San Carlo di Napoli, l’Orchestra Sinfonica
Nazionale della Rai, l’Orchestra del Teatro C. Felice di Genova e l’Orchestra del Festival
Internazionale di Stresa. Il 1989 e il 1992 lo vedono vincitore di concorsi da solista come il
“Concorso per fiati Città di Genova” e il “Concorso Internazionale Città di Stresa - sezione
Musica d’Avanguardia”. Dal 2002 è docente in diversi master organizzati da vari conservatori ed
è impegnato anche in attività solistica con vari gruppi da camera, orchestre di fiati e orchestre
da camera. In duo con sua moglie Viviana Mologni alle percussioni hanno registrato nel 2001 il
CD Bone Zone per l’etichetta discografica L’Eubage con brani originali per questa formazione; il
disco ha ricevuto critiche positive dalle più importanti riviste specializzate nel settore ed è stato
presentato anche in un concerto all’Auditorium di Milano trasmesso da Radio 3 e Radio Classica.
Nel 2008 viene presentato il loro secondo cd registrato in Austria dalla RCR Prokultura.
All’interno di Vib’Bone News, questo il titolo, è stato registrato anche un brano che il M°
Lindberg ha scritto e dedicato al duo. Lo stesso è stato eseguito in prima assoluta al 45°Festival
Internazionale di Stresa nel 2005. Nell’ottobre del 2008 esegue in prima italiana il concerto
per trombone e orchestra di Nathaniel Shilkret accompagnato dalla Verdi.
Dall’anno accademico 2008-2009 insegna presso l’Istituto Musicale Pareggiato di Aosta per
il biennio superiore. Dal 2006 organizza, insieme al Quartetto di tromboni di Aosta, master,
concerti e concorsi di livello internazionale con docenti di fama mondiale quali C. Lindberg.
Suona con imboccature personalizzate Romera Brass (Spagna).
Daniele Sacchi ORGANO
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È nato a Milano nel 1980. Si è diplomato in organo e composizione
organistica con il massimo dei voti nella classe di Giancarlo Parodi
presso il conservatorio di musica “G.Verdi” di Milano dopo aver
studiato anche con Luigi Benedetti e Maria Claudia Fossati.
Ha successivamente frequentato corsi sull’interpretazione
della musica romantica francese con Ben Van Oosten.
E’risultato vincitore ai concorsi organistici “Monserrato” di
Vallelonga e “G.Giarda” di Roma. Dal 1997 al 2001 è stato
organista della chiesa di Sant’Ildefonso di Milano.
Dal 2002 è organista della chiesa di Sant’Angelo in Milano dove
ha curato i lavori di restauro del grande organo e collabora
all’organizzazione di rassegne concertistiche su base annuale.
Ha collaborato con l’associazione “Nuova Polifonica Ambrosiana” di Milano in qualità di
organista solista e accompagnatore del coro. Tiene diversi concerti in Italia e all’estero
Nino2010-2011
Rota
dedicandosi all’approfondimento del repertorio organistico romantico e moderno.
Si è laureato in Discipline dell’Arte, della Musica e dello Spettacolo presso l’università
degli studi di Torino e in seguito ha conseguito la laurea specialistica in Musicologia presso
l’Università degli Studi di Milano con una tesi sulle sei sinfonie per organo di Louis Vierne.
Nel 2001 ha inciso sull’organo di Sant’Angelo per l’etichetta de “La Bottega Discantica” di
Milano un disco dedicato al repertorio italiano del periodo tardo-romantico. In qualità di
compositore è autore di numerose pagine organistiche e curatore di diversi arrangiamenti
orchestrali di canti natalizi e della tradizione popolare, alcuni dei quali sono stati eseguiti di
recente dall’orchestra sinfonica “G.Verdi” di Milano.
Sempre con la Verdi di Milano collabora in qualità di organista e ha lavorato con direttori di
chiara fama tra i quali Oleg Caetani e Xian Zhang. È responsabile dell’archivio musicale della
medesima orchestra presso il quale si occupa di ricerca a livello editoriale, trascrizioni e
adattamenti di musica orchestrale.
Maria Teresa Tramontin MAESTRO DEL CORO DI VOCI BIANCHE
Maria Teresa Tramontin, mezzosoprano del Coro Sinfonico Giuseppe
Verdi di Milano da oltre 10 anni sotto la guida del Maestro Romano
Gandolfi, fino alla sua scomparsa, è stata diretta da grandi Maestri
quali Chailly, Ceccato, Caetani, Flor, Barshai, Jurowskj, Slatkin,
Fedoseyev, Morricone, Veronesi, King, Abbado, Sir Marriner, Zhang
, Rilling, Marshall; con alcuni di loro ha partecipato a numerose
tournée nei più grandi teatri del mondo. Si è esibita in concerti
tenuti in Vaticano alla presenza del Presidente della Repubblica e del
Sommo Pontefice. In occasione del 25 aprile del 2010 ha partecipato
al concerto di Luigi Nono in Auditorium sempre alla presenza del
Presidente della Repubblica. Ha collaborato con numerose orchestre tra cui Pomeriggi
Musicali, Orchestra della Rai di Torino, Orchestra Stabile di Lecco, Orchestra Toscanini e del
Teatro Coccia di Novara, Leipzig Gewandhaus Orchestra; ha inciso cd con Placido Domingo,
Andrea Bocelli, Flores, Alberti e altri ancora. Ha intrapreso il percorso musicale dapprima
studiando pianoforte, teoria e solfeggio e successivamente canto lirico e vocalità con il M.ro
Angelo Conti e le proff.sse Sonia Sigurtà e Claudia D’Antoni. In qualità di corista e solista
fin dall’età di 14 anni, ha un repertorio che spazia dalla musica rinascimentale a quella
contemporanea con predilezione per il periodo cinque-seicentesco. Insegna musica in qualità
di esperto e dirige cori di voci bianche nelle scuole dove tiene anche corsi di impostazione
vocale ai docenti; insegna canto e vocalità presso numerosi corali; dirige da cinque anni il
Coro dei detenuti del reparto dei tossicodipendenti “La nave” nel carcere San Vittore di
Milano nel quale tiene concerti e accompagna la Messa del giorno di Natale; è Maestro del
Coro delle Voci bianche della Fondazione Orchestra e Coro Sinfonico Giuseppe Verdi di Milano
da 3 anni. Si sta specializzando in Musicoterapia presso La Scuola di Artiterapie di Lecco.
Alarico Lenti FAGOTTO
Alarico Lenti , nato a Cuneo nel 1974 , si diploma in fagotto nel
1995 con il massimo dei voti presso il Conservatorio “ G.Verdi” di
Torino – sezione staccata di Cuneo.
I suoi studi musicali proseguono con la partecipazione ai corsi di
perfezionamento presso la Scuola Superiore di Aosta con il M°
Daniele Damiano e Fausto Pedretti, la Scuola di Alto Perfezionamento
Musicale di Bobbio con il M° Sergio Azzolini , ai corsi di Badia Prataglia
con il M° Roberto Giaccaglia e a Parma con il M° Luca Reverberi.
Ha fatto parte di numerose formazioni da camera tra cui il Sestetto
La Suite e il Quintetto a fiato Cittanova con le quali a vinto numerosi concorsi Nazionali e
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Internazionali. Ha conseguito l’ idoneità presso l’Orchestra da camera di Savona, l’Orchestra
del Teatro di Sassari, l’Ente Lirico Arena di Verona , il Teatro la Fenice di Venezia, il Teatro
Carlo Felice di Genova . Ha collaborato, inoltre, con l’ Orchestra Sinfonica Nazionale della
RAI, l’Orchestra Filarmonica di Torino, l’Orchestra del Teatro Regio di Torino, la Filarmonica
Novecento del Teatro Regio di Torino, l’Orchestra A.Toscanini di Parma, l’Orchestra del Teatro
Carlo Felice di Genova e l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma .
Nel 2002 viene scelto dal M° Riccardo Chailly per ricoprire il ruolo di I fagotto dell’Orchestra
Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi prendendo così parte alle registrazioni e alle Tournee
in Giappone ,Europa, Sud America. Ha suonato con solisti di fama Internazionale come
M.Argerich, N.Freire, E.Dindo, R.Vlatkovic,V.Repin , S.Accardo
Con l’Orchestra G.Verdi ha eseguito, in veste di solista, la Sinfonia Concertante di Franz
Joseph Haydn sotto la direzione dei Maestri K.P.Flor, C. Hogwood, il Concerto per Fagotto K
191 di W.A.Mozart diretto dal M° R.Jais e nella stagione 2008/2009 il Duetto - Concertino per
clarinetto, fagotto e orchestra d’archi con il M° Wayne Marshall. Nel marzo 2010 ha prestato
servizio in qualità di docente di Fagotto presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino
Giuseppe Amatulli CORNO
Giuseppe Amatulli si diploma al Conservatorio di Musica “N.
Piccinni” di Bari nel 1992 con il Maestro G. Selvaggio. Intraprende il
perfezionamento dello studio del corno secondo i princípi della Scuola
di Chicago, quindi comincia gli studi con il M° Guido Corti, per poi
proseguire con il M° Luca Benucci e, infine, con il caposcuola M.°
Dale Clavenger. Nel 1993 entra a far parte della Scuola di Musica di
Fiesole (FI), sotto la guida dei Maestri R. Bobo, V. Globokar e A. Faja,
e dell’Orchestra Giovanile Italiana; si esibisce in qualità di I corno e
partecipa ai masterclass organizzati dalla Scuola con i Maestri Ifor
James e Radovan Vlatkovic. Nello stesso anno è selezionato tra i migliori
allievi delle scuole di musica mondiali per far parte dell’orchestra “East-West International
Symphony Orchestra”. Si è perfezionato, inoltre, con il M.° D. Johnson al Conservatorio di
Lugano. Contemporaneamente alla partecipazione ai vari corsi di perfezionamento, risulta
idoneo in diversi concorsi orchestrali tra i quali quelli dell’Orchestra Sinfonica Haydn di
Bolzano e Trento, Orchestra Regionale del Lazio, Orchestra del Teatro Carlo Felice di Genova,
Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, Orchestra Sinfonica della provincia di Bari e
altri. Ha collaborato con diverse orchestre italiane ed estere sotto la guida di illustri direttori
quali Carlo Maria Giulini, Riccardo Chailly, Riccardo Muti, Daniel Harding, Aldo Ceccato.
Dal 2004 ricopre il ruolo di primo corno nell’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi.
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Rota
Giuseppe Grazioli DIRETTORE
Si é diplomato in pianoforte con Paolo Bordoni, in composizione
con Niccolò Castiglioni e ha studiato direzione d’orchestra con
Gianluigi Gelmetti, Leopold Hager, Franco Ferrara, Peter Maag e
Leonard Bernstein.
Ha diretto le principali orchestre italiane fra le quali Accademia di
Santa Cecilia di Roma, Orchestra RAI di Roma e Napoli, Orchestra
del Teatro Comunale di Bologna, Orchestra del Teatro dell’Opera di
Roma, Orchestra Sinfonica Siciliana, Orchestra Toscanini di Parma,
Orchestra del Teatro Comunale di Trieste, Orchestra dell’Ente
Arena di Verona, Orchestra del Carlo Felice di Genova, Orchestra Haydn di Bolzano, Pomeriggi
Musicali e Orchestra Verdi di Milano.
Dal 1995, anno in cui ha debuttato a St.Etienne con Madama Butterfly, svolge una intensa
attività in Francia dove ha diretto Rigoletto, Petrouchka, Uccello di fuoco, El Retablo de Maese
Pedro, Le Roi d’Ys, Don Carlo, L’Italiana in Algeri, Il barbiere di Siviglia, Le Comte Ory, Jackie
O, Cyrano, Bohème, Le Villi e Cavalleria rusticana a Metz, La traviata, L’heure Espagnole,
Les mamelles de Tirésias, Don Giovanni, Don Pasquale, L’Etoile, La voix humaine, Un ballo in
maschera, Candide, Veronique, Idomeneo a Rennes, La vedova allegra, Pelléas et Mélisande,
Le nozze di Figaro, Cenerentola, Il Flauto Magico, Il Ratto del Serraglio a St.Etienne, Lucia
di Lammermoor a Avignone, Don Pasquale a Lille e a Lione, Candide a Rouen, Requiem di
Mozart a Marsiglia, Madama Butterfly e Cenerentola a Bordeaux, Roméo et Juliette a Tours,
Le Comte Ory a Nantes e Angers. È stato inoltre invitato al prestigioso Festival Massenet per
Le carillon e ha diretto l’Orchestra Lamoureux al Théâtre des Champs Elysées.
Molto apprezzata per la particolarità delle proposte é anche la sua produzione discografica.
Dopo una serie di 3 CD con il gruppo Harmonia Ensemble dedicati a rarità del ‘900 (De
Falla, Auric, Martinu, Casella, Malipiero, Rieti, Lambert, Bax, Bartok) ha registrato diverse
composizioni di Nino Rota: l’opera La visita meravigliosa, entusiasticamente accolta e
premiata dalla critica di tutto il mondo, un CD dedicato alla musica per orchestra (Choc du
Monde de la Musique) e infine alcuni lavori per il teatro (Lo scoiattolo in gamba, Cristallo di
rocca) con l’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi. Ha registrato per l’etichetta CPO
la prima registrazione assoluta del brano Quadri di Segantini di Zandonai, realizzata con
l’Orchestra Haydn di Bolzano.
Il 31 dicembre 2001 ha diretto alla Scala il concerto sinfonico che ha chiuso le attività in
Teatro prima dei lavori di restauro. Nel giugno 2002 ha diretto, al Teatro Châtelet di Parigi,
il concerto finale del concorso di canto Operalia in seguito al quale Placido Domingo lo ha
invitato a dirigere Lucia di Lammermoor all’Opera di Washington. Nel maggio 2003 ha diretto
per il Teatro alla Scala la prima mondiale di Vita di Marco Tutino.
È stato presente nel cartellone del Teatro Regio di Torino (Orfeo agli Inferi, La Tempesta di
Purcell/Galante e Le nozze di Figaro), del Carlo Felice di Genova (Candide), del Teatro Comunale
di Bologna (The Beggar’s Opera), dell’Opera di Roma (Il Gatto con gli Stivali), del Teatro Rendano
di Cosenza (L’elisir d’amore), all’Università di Yale (Il Trittico e A Midsummer Night’s Dream di
Britten) ed ha diretto numerosi concerti sinfonici con le Orchestre del Carlo Felice di Genova, del
Teatro de La Maestranza di Siviglia e con l’Orchestra Giuseppe Verdi di Milano.
Nel mese di ottobre 2008 è stato nuovamente invitato da Placido Domingo all’Opera di
Washington per I pescatori di perle di Bizet.
Nel 2010 ha diretto un Concerto Pucciniano a Rennes, Idomeneo (Versione R.Strauss) a
St. Etienne, Il Barbiere di Siviglia a Nantes e Angers, Lucia di Lammermoor e Falstaff in
Canada, Don Giovanni alla Yale University. Ha inaugurato il festival di Martina Franca con
Napoli milionaria di Rota. In febbraio dirigerà l’Orchestra Verdi in Wonderful Town.
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Rota
ORGANICO DELL’ORCHESTRA
Violini Primi
Luca Santaniello*
Danilo Giust**
Giulio Mignone
Marco Ferretti
Marta Tosti
Edlira Rrapaj
Gianfranco Ricci
Adriana Ginocchi
Na Lì
Nicolai von Dellingshausen
Fabio Rodella
Abramo Raule
Violini Secondi
Lycia Viganò*
Donatella Rosato**
Keler Alizoti
Sandra Opacic
Giorgia Righetti
Simone De Pasquale
Roberta Perozzi
Micaela Chiri
Viole
Gabriele Mugnai*
Cono Cusmà Piccione**
Kirill Vichniakov
Marco Audano
Enrico De Angelis
Mikhail Klyachko
Luca Trolese
Altin Thanasi
Violoncelli
Mario Grigolato*
Giovanni Marziliano**
Francesco Ramolini
Gabriele D’Agostino
Nadia Bianchi
Alessandro Peiretti
Contrabbassi
Michele Sciandra*
Kastriot Mersini*
Toni Del Coco
Angelo Tommaso
Joachim Massa
Umberto Re
Marco Gori
Flauti e Ottavini
Massimiliano Crepaldi*
Valeria Perretti
Clarinetti
Raffaella Ciapponi*
Fausto Ghiazza*
Fabio Valerio
Alessandro Ruggeri
Jader Bignamini
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Oboi e Corno inglese
Emiliano Greci*
Fagotti e Controfagotti
Alarico Lenti*
Andrea Magnani*
Luigi Muscio
Corni
Sandro Ceccarelli*
Giuseppe Amatulli*
Fabio Cardone
Alceo Zampa
Stefano Buldrini
Trombe
Alessandro Caruana*
Edy Vallet
Trombone Basso
Andrea Arrigoni
Tromboni
Giuliano Rizzotto*
Giacomo Ceresani*
Massimiliano Squadrito
Timpani
Viviana Mologni*
Percussioni
Ivan Fossati
Ispettore d’orchestra
Amedeo Scodeggio
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Rota
ORGANICO DEL CORO DI VOCI BIANCHE
Soprani
Edoardo Barchiesi
Sibilla Boesi
Nicolò De Bigontina
Jone Diamantini
Clelia Fazzo Cusan
Chiara Galetta
Pietro Gusella
Sofia Leali
Maria Sofia Liberati
Sofia Andrea Lopez Palacio
Maria Emilia Luca
Charlotte Maraccani
Camilla Mondini
Vittoria Pavone
Arianna Pedone
Benedetta Pissarello
Elena Sofia Ricci
Micol Rizzi
Alessandra Rottino
Melissa Rui
Noah Sinigaglia
Alice Stracquadaini
Matteo Testa
Sofia Vaccaro
Giulia Visconti
Martino Zanetti
Mezzosoprano
Lorenzo Arminio
Camilla Bartoli
Agata Cavigioli
Camilla Cirenei
Alessia Colla
Costanza Ferrè
Yuri Alexander Loayza
Myriam Masseni
Francesca Meazza
Claudia Sofia Morbidini
Marta Sabbadini
Giulia Sanfilippo
Azzurra Tropea
Greta Tropea
Contralti
Cristina Abbiati
Alice Altieri
Olga Diana Barbacetto
Martino Cabassi
Giovanni Calcagno
Beatrice Cannetta
Gabriela Clelia Cuna
Mattia De Bigontina
Alice Di Gennaro
Francesco Doti
Marco Frigo
Alice Gallo
Dario Guevarra
Edoardo Maviglia
Michele Pasta
Mathilde Pergher
Giaele Ronchi
Davide Rossi
Francesca Savi
Aleksandra Stetsenko
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