ACP – Rivista di Studi rogersiani – 2003 Riflessioni sul percorso nascita Un’esperienza di approccio interculturale nella relazione di cura con donne immigrate Grazia Lesi* L’esperienza di lavoro in ambito sanitario con donne provenienti da culture non occidentali ha alcune peculiarità che, a mio avviso, meritano una riflessione. In generale, la tipologia della domanda posta a un consultorio che si occupa in specifico di donne di altre culture non si differenzia da quella degli altri consultori: gravidanza, interruzione volontaria di gravidanza, contraccezione, sessualità, prevenzione oncologica, ginecologia di base, prevenzione diagnosi e terapia delle MST sono le tematiche prevalenti. In questo contesto è la modalità di approccio al problema che si differenzia in relazione alla donna, alla cultura d’origine, alla situazione sociale e ad eventuali medicine tradizionali. Riflettere sulla complessità della prassi medica e sull’impossibilità di considerare la cura come un atto in cui entrano in gioco solo aspetti scientifici e tecnologici, diviene particolarmente urgente quando si lavori in ambito interculturale, dove la competenza tecnica e l’esperienza clinica non possono prescindere da una corretta comunicazione medico/paziente. Nell’ambito della riproduzione, un tema da sempre intrecciato alla vita delle persone, gli aspetti scientifici non possono non tenere conto della cultura nonché delle condizioni sociali e familiari in cui vive la donna. Più che altrove, quindi, la salute è il risultato di varie interdipendenze, da cui deriva il benessere fisico e psicologico della diade madre-bambino. * Ginecologa, ASL Città di Bologna, e-mail: [email protected] 1 ACP – Rivista di Studi rogersiani – 2003 L’esperienza di lavoro con donne di altre culture è un esempio, al tempo stesso evidente e provocatorio, della impossibilità di fare salute senza comprendere i reali bisogni dell’altro e le sue condizioni di vita, accettando il rischio di sperimentarsi nel terreno incerto della comunicazione e in particolare della comunicazione interculturale. Il lavoro clinico con donne di altre culture è un’occasione per riflettere sul significato di tutela della salute ed in particolare della salute riproduttiva. Per un medico di formazione occidentale, questo concetto è strettamente legato all’applicazione di conoscenze tecnico/scientifiche accertate, cui conseguono linee guida e di comportamento condivise e dimostrabili. In questa situazione formativa, la persona nella sua globalità è spesso trascurata e le risonanze personali, relative alle varie fasi di maturazione della donna o il significato di malattia sono di conseguenza, ancora oggi,sottovalutate. Questo tipo di lavoro mette a confronto il sapere scientifico oggettivo con bisogni multipli e complessi, con aspetti relazionali, sociali, familiari, psicologici, della persona, elementi indispensabili per la comprensione della domanda di salute e fondamentali per ottenere la collaborazione della donna al percorso diagnostico/terapeutico. Questo stile di lavoro richiede la presenza di un’altra figura in ambulatorio, la mediatrice culturale. Inizialmente essa è fonte di disorientamento per l’operatore sanitario, perché allunga i tempi della prestazione, introduce un elemento di verifica delle azioni e della relazione con la paziente e costringe in sostanza ad un rapporto mediato a tre che sembra disturbare il rapporto diretto con l’utente. Oggi, dopo otto anni di esperienza, sento il lavoro con la mediazione culturale, come un elemento di sicurezza, non solo in termini linguistici, ma soprattutto in ambito clinico. Senza questo tramite non sarebbe possibile acquisire informazioni importanti per la salute della donna e l’efficacia dell’intervento diagnostico/terapeutico o preventivo sarebbe ridotta. La salute della donna e il percorso di maternità La gravidanza è un evento fisiologico e come tale è vissuto dalle donne di altre culture, anche in situazioni di grande disagio sociale; da questa convinzione, e da una diversa idea di salute, derivano comportamenti molto differenti nella cura di sé. La visita e gli accertamenti clinici In generale, il numero di visite mediche per le donne immigrate è inferiore rispetto a quello delle donne italiane e il primo controllo avviene, di frequente, dopo il primo trimestre di gravidanza; questo ostacola la diagnosi precoce di alcune patologie. Il diverso senso del pudore, la religione o semplicemente le abitudini di vita, da cui discendono concetti di prevenzione e di salute in gravidanza radicalmente diversi dai nostri, determinano varie difficoltà ad eseguire i 2 ACP – Rivista di Studi rogersiani – 2003 controlli ritenuti necessari in base ai protocolli condivisi dai nostri servizi sanitarie; talvolta potrà essere necessario valutare caso per caso il tipo di accertamenti e le modalità con cui eseguirli. Toccare il corpo di un’altra persona assume significati diversi in relazione alla cultura e questo rende molto delicato il momento dell’esame obiettivo; perciò durante la visita ginecologica, sarà bene porre attenzione alle reazioni della donna, siano esse verbali che non verbali, senza dare per scontato il percorso per ottenere le informazioni cliniche e obiettive necessarie all’impostazione del programma terapeutico. Nonostante ciò, una volta stabilito il rapporto di fiducia i controlli si fanno spesso regolari e graditi. Tra gli accertamenti della gravidanza, l’ecografia è la più conosciuta; a mio avviso essa rappresenta un po' l’emblema della potenza mitica della medicina occidentale ed è solitamente investita di grandi aspettative. Alimentazione Il regime alimentare è il cardine di una buona gravidanza; questo dato notorio si scontra con aspetti che superano il semplice aspetto scientifico. Ad esempio, la donna araba tende ad avere un’alimentazione ricca di carboidrati. Una donna filippina si alimentava con grandi quantità di frutta tropicale, che un’amica ostetrica le portava dal suo paese. Tali abitudini provocano di frequente un aumento di peso; questo non succede nelle donne cinesi, anche a causa del ritmo di lavoro. Per questi motivi, il consiglio alimentare standard non è di alcuna utilità; è preferibile raccogliere informazioni relativamente ai cibi d’uso comune e successivamente ragionare insieme sulla scelta dell’alimentazione più opportuna: non è possibile conoscere le abitudini alimentari di tutto il mondo e d’altro canto sarebbe inutile consigliare il parmigiano ad una donna cinese, che non mangia formaggio, né derivati del latte. È bene ricordare che il cibo è un’importante elemento di riconoscimento, soprattutto nella donna in gravidanza, per cui è importante valorizzare le abitudini alimentari d’origine. È noto anche il significato del cibo è legato ad aspetti affettivi come “ casa”, “mamma”, “sicurezza”, “cura di sé e degli altri”. Il medico che si occupa con rispetto dell’alimentazione favorisce la sensazione di essere presa in cura e la collaborazione della donna. La condizione sociale Le abitudini di vita, il ritmo sonno-veglia, la possibilità di uscire di casa, la condizione sociale influenzano il buon andamento della gravidanza. Ad esempio, è frequente il riscontro di anemia nelle cinesi a causa del faticoso ritmo lavorativo, che ostacola l’alimentazione regolare e di gestosi nelle donne arabe, che tendono ad aumentare di peso; nelle donne che hanno affrontato l’esperienza della prostituzione o che durante il viaggio verso i nostri paesi hanno subito violenze sessuali sono riscontrabili malattie a trasmissione sessuale. In tutte queste situazioni è fondamentale un’anamnesi accurata e rispettosa, che faciliti l’apertura al dialogo e alla comunicazione di 3 ACP – Rivista di Studi rogersiani – 2003 questi ed altri eventi personali e sociali significativi per la buona salute della donna e dal bambino. Un problema di salute Difficoltà maggiori sorgono di fronte alla comunicazione di una diagnosi negativa; in questi casi il colloquio si fa difficile e teso perché s’intersecano la reazione emotiva naturale della paziente, la difficoltà di comunicazione, o meglio di mediazione, e la necessità di chiarire l’urgenza o la gravità del caso per ottenere la collaborazione nell’iter terapeutico. In queste situazioni, l’ascolto della donna deve essere particolarmente attento e la mediazione è uno strumento prezioso; da un lato si sviluppa un sentire comune da parte del medico e della mediatrice, dall’altro quest’ultima percepisce le emozioni e il modo d’intendere la malattia della donna; la mediatrice diviene quindi una sorta di diapason che vibra su due lunghezze d’onda diverse per ottenere un insieme armonico ed efficace sia dal punto di vista umano che tecnico/scientifico. Ricordo in particolare la comunicazione della diagnosi di malformazione cardiaca del feto ad una donna cinese la quale esprimeva l’angoscia soltanto attraverso il linguaggio non verbale: questo rendeva assai difficile la relazione diretta e la verifica del grado stesso di comprensione del problema. In casi del genere l’etnia gioca un ruolo importante. La relazione con la donna cinese in ambito sanitario Anche se è necessario evitare di cadere nell’esotismo, che rischierebbe di aggiungere un ulteriore stereotipo culturale ai numerosi già esistenti, è evidente che nella relazione con la donna cinese esistono peculiarità riferibili alla cultura da cui proviene. La civiltà cinese possiede, com’è noto, un modo di concepire la realtà e la salute fondamentalmente diverso da quello occidentale. Mi riferisco soprattutto al concetto di salute come equilibrio globale tra corpo e mente. Non ci troviamo di fronte ad una semplice idea di unità psiche e soma, ma alla convinzione profonda che aspetti psichici, fisici, ambientali siano varie facce dello stesso concetto: stare bene. In generale le donne cinesi mantengono rapporti forti con la medicina tradizionale, anche se esistono diversità legate alla specifica zona di provenienza (la Cina è grande e con ampie diversità culturali), Ne discendono alcuni aspetti pratici come, ad esempio, la modalità di espressione del disturbo, spesso vista dall’operatore come confusa, difficile da interpretare e da ricondurre ai nostri schemi diagnostici. La richiesta di aiuto, inoltre, si configura come non specialistica anche in un contesto specialistico: nella medicina tradizionale non esiste il concetto di organo malato ma solo quello di uomo o donna malato (eventi storico/sociali recenti hanno modificato il modo di sentire alcuni aspetti della salute: la contraccezione si caratterizza per il frequente ricorso allo iud, che si può 4 ACP – Rivista di Studi rogersiani – 2003 definire il contraccettivo di stato, la pianificazione familiare impone un figlio per coppia). La consapevolezza della propria diversità, la necessità di ottenere risposta e la capacità di adattamento di questo gruppo etnico possono determinare un adeguamento dell’utente all’operatore, al punto che spesso la richiesta è formulata in relazione alle capacità di risposta (ecografia, esami strumentali). La richiesta di esami strumentali può essere inappropriata e intesa come sostitutiva della visita ma se l’operatore fornisce una presenza attenta e sensibile, la relazione di cura si arricchisce fino a diventare un vero rapporto di fiducia. I controlli emato/chimici in gravidanza incontrano molte resistenze da parte della donna cinese: secondo la tradizione, il sangue è elemento fondamentale (insieme all’energia) per il buon andamento della gravidanza. I testi classici della medicina tradizionale affermano che il sangue in gravidanza aumenta allo scopo di nutrire il feto, quindi i normali prelievi sono visti come potenzialmente dannosi. È frequente, in questi casi, la necessità di ridurre il loro numero per renderlo accettabile all’interessata, modificando la cadenza del protocollo. La prima visita in gravidanza, come per tutte le donne straniere, avviene spesso oltre il primo trimestre e il numero di visite è minore rispetto alla donna italiana; nonostante ciò, la necessità di curare la salute della madre e del bambino è percepita come fondamentale, in quanto il concetto di prevenzione è molto radicato anche nella medicina tradizionale cinese. È frequente incontrare difficoltà all’esecuzione della visita ginecologica; non è solo un diverso senso del pudore ma un modo d’intendere la diagnosi che non passa necessariamente attraverso il corpo. La malattia è vista come tabù e spesso le anamnesi sono assolutamente in bianco; solo durante il secondo o terzo colloquio emergono dati clinici rilevanti. La comunicazione non verbale è molto particolare e il sorriso è segno di rispetto per il medico, visto come autorità, ma anche di imbarazzo di fronte a temi delicati. È facile fraintendere, perché, specialmente al primo contatto, non è bene per la donna cinese esprimere sentimenti; succede così che, a noi occidentali, pare di notare un contrasto stridente tra quello che la donna dice e il suo atteggiamento non verbale. È importante non avere fretta, una volta impostato il rapporto sarà più facile avere le notizie che servono. Il cibo, gli alimenti sono raggruppati in categorie utili per curare le malattie in base alle caratteristiche del sapore, alle categorie freddo/caldo. Queste ultime non si riferiscono però alla temperatura ma alla natura intrinseca del cibo; ad esempio il latte è un cibo “freddo” e quindi non si usa nei disturbi dovuti al freddo. Nella alimentazione delle donne cinesi, inoltre, mancano quasi completamente i derivati del latte, anche in relazione ad una caratteristica costituzionale, che ne ostacola la digestione (carenza di lattasi). Per concludere, alcuni esempi clinici. Una donna all’inizio della gravidanza ci racconta che è preoccupata perché teme che a seguito di una precedente ivg, il “freddo” sia entrato nel suo organismo e potrà danneggiare la gravidanza e il bambino. La signora esprime così, non solo, un senso di colpa per l’ivg, ma un concetto ben preciso della medicina cinese, che considera l’aborto volontario fonte di 5 ACP – Rivista di Studi rogersiani – 2003 malattia, perché indebolisce l’energia dell’apparato urogenitale (rene) e chiama in causa il “freddo” che penetra nell’organismo come fonte di danno per la madre e il nascituro. Un’altra donna esprime la nausea gravidica, come “ho dei catarri in bocca”. Questi esempi fanno comprendere la diversità di approccio alla salute della cultura cinese: perciò l’operatore dovrebbe prendere tempo senza giudicare, per decodificare il linguaggio e la modalità di esprimere la realtà della paziente. Certamente il lavoro con utenti di altre culture mette in crisi le certezze del nostro sapere ed è per questo che vorrei concludere con una perla di saggezza cinese. In questa lingua la parola “crisi” si scrive con un ideogramma composto da due parti: una significa “pericolo” e l’altra “opportunità”; mi auguro che sapremo cogliere l’opportunità di cambiare, superando il pericolo che è insito in ogni nuova avventura, e che questa sia una proficua occasione per rivedere l’idea del corpo come macchina e del bambino come prodotto di cui la tecnologia controlla la qualità; mi auguro che sia possibile allargare l’idea di salute ad orizzonti più ampi, estesi alla donna ed al suo ambiente, e che non venga perduta l’opportunità di ripensare all’umanizzazione dei servizi sanitari per tutti, italiani e non. 6