SCUOLA SECONDARIA 1° “ALVARO - MODIGLIANI”
Via Balla, 27 - TORINO
PREMIO CESARE BONACINI
ANNO SCOLASTICO 2011-2012
Come funzionano gli occhi? Cosa vedono?
Indagini sperimentali sui fenomeni e le condizioni che
consentono di localizzare i corpi e vedere i colori.
Primo premio pari merito
Per la varietà dei fenomeni indagati e la particolare
attenzione al funzionamento dell’occhio umano
Classi: 2^F e 2^G
Studenti
2^ G
Barba Carlotta
Bentivoglio Davide
Buongiorno Alessandro
Cannavale Camilla
Clara Gaia
Colasanto Stefano
Di Giacomo Emiliano
Diena Anna
Docente
Gheorghita Eduard
Lungo Vaschetti Jacopo
Magno Andrea
Morano Claudio
Nunes Da Silva Jessika
Perini Giorgia
Piano Alberto
Profilio Ludovica
Pugliese Davide
1
Rallo Elisa
Seye Serigne
Toffanin Gabriel
Basile Paola
Maria
Tonon Ester
2^F
Camino David e
Garzia Emanuele
Ippolito Emiliano
Richeri Stefano
Matematica e Scienze
paolamaria.basile istruzione.it
Introduzione
L’argomento è stato proposto a due classi seconde che dimostrano passione e curiosità per
l’apprendimento matematico scientifico e che hanno accolto con entusiasmo questa opportunità di
viaggiare nel mondo della visione.
Il nostro percorso è iniziato con un brain – storming sulle parole chiave del concorso: com’e fatto
l’occhio, come funzionano gli occhi, come avviene la visione dei colori e la localizzazione dei corpi.
Ciascun ragazzo ha esposto le sue esperienze passate che abbiamo cercato di collegare con il tema
del concorso. Abbiamo quindi fatto uno schema alla lavagna condividendo le preconoscenze degli
studenti circa l’argomento. Ciò permette di ancorare le nuove conoscenze alla matrice cognitiva
dell’allievo che dovrà, in questo caso attraverso un percorso sperimentale, incorporarle nelle
conoscenze pregresse. In seguito gli alunni sono stati invitati a ricercare informazioni per
approfondire ciò che era stato condiviso nella mappa.
L’argomento in questione è generalmente affrontato in terza media ma data l’opportunità ho
cambiato la programmazione e l’ho inserito durante la trattazione del corpo umano dopo l’apparato
digerente, circolatorio e respiratorio. Prima abbiamo trattato il sistema nervoso e poi la luce e l’ottica
e infine gli organi di senso.
Gli alunni hanno lavorato in gruppi di 3/5 allievi sia a casa che in classe e sono diventati esperti di
due argomenti scelti da loro a piacere (lasciarli liberi di scegliere è un aspetto motivante che consente
di avviare il processo di autonomia) compresi nello schema iniziale. In classe è stata creata
dall’insegnante una biblioteca da cui gli studenti hanno potuto attingere documenti per gli
approfondimenti. Anche internet è stata una valida fonte. In seguito i gruppi hanno presentato ai
compagni tramite gli esperimenti le indagini condotte. La condivisione con la classe è stata un valido
momento di confronto che ha comportato un coinvolgimento ed una partecipazione attiva dell’intero
gruppo intento ad osservare con avida curiosità e stupore le evidenze sperimentali e a trovare
soluzioni ai problemi. Dal confronto sono nate interessanti discussioni dove gli alunni hanno potuto
argomentare per sostenere le loro affermazioni. Al termine del lavoro tutti i gruppi sono diventati
esperti dell’intero argomento. Tutti gli oggetti didattici costruiti sono stati realizzati con materiali
poveri e quindi nel rispetto del risparmio delle risorse sia materiali che economiche.
Gli alunni sono così diventati costruttori attivi della loro conoscenza e l’insegnante ha svolto il
compito di facilitatore, consigliere e guida nel loro percorso di apprendimento oltre ad aver svolto
anche lezioni frontali. I richiami alla realtà hanno permesso di collegare alle esperienze quotidiane
dei ragazzi gli argomenti di fisica e biologia trattati. Questa modalità di lavoro era già stata utilizzata
l’anno precedente con gli studenti poiché l’insegnante, assieme ad una collega, ha fatto un progetto
di scienze sulla Biodiversità dopo aver partecipato ad un corso di aggiornamento presso l’Anisn.
Per completare il percorso sulla visione siamo anche andati a visitare “Xkè? Il laboratorio delle
curiosità” che ha un’area dedicata ai cinque sensi ricca di attività sperimentali.
Vista la connotazione assunta dalle nostre indagini abbiamo pensato di intitolare il nostro lavoro:
”La percezione visiva: un viaggio tra realtà ed illusione”.
In primo luogo abbiamo quindi indagato su come funziona l’occhio, come vede e cosa vede ed in
seguito ci siamo addentrati nella visione fornita dal cervello.
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Ci siamo accorti che l’occhio vede solo se c’e luce dal confronto con le esperienze quotidiane dei
ragazzi come ad esempio se salta la luce all’improvviso oppure se di notte mi alzo e per non
disturbare i familiari non accendo la luce, in casa diventa difficile orientarsi, è facile inciampare o
sbattere in oggetti dell’appartamento ed uso il tatto. Ci siamo chiesti: “Come mai?”. Abbiamo
dovuto indagare quindi sulle proprietà della luce. La luce viaggia in linea retta e colpisce i corpi che
in parte l’assorbono ed in parte la riflettono o diffondono. Quando i raggi riflessi arrivano agli occhi
allora siamo in grado di percepire gli oggetti e di localizzarli.
Come possiamo evidenziare la propagazione rettilinea della luce? Gli alunni hanno proposto di
prendere un cordino e legarlo ad un oggetto posto dietro una superficie opaca verticale. L’allieva si è
poi seduta e come ci si aspetta, l’oggetto non è visibile. Il corpo risulta visibile quando l’osservatore
è in piedi su una sedia poiché ora il cordino forma una linea retta che riesce ad arrivare al nostro
occhio. In questo esperimento, il cordino teso rappresenta il raggio luminoso diffuso dall’oggetto che
si propaga in linea retta e l’occhio è posto ad un’altezza tale da poterlo ricevere.
Che cosa avviene durante la riflessione?
L’insegnante ha proposto di prendere una torcia ed appoggiarla su un banco, oscurare la stanza ed
illuminare uno specchio posto su un foglio di carta graduato come goniometro. Ha chiesto poi di
osservare il percorso del raggio luminoso.
Poi è stato posto un dischetto nero con un piccolo foro centrale sulla torcia ed abbiamo misurato
l’angolo di incidenza e l’angolo del raggio riflesso e li abbiamo confrontati.
Angolo di incidenza
Angolo di riflessione
50°
50°
30°
30°
10°
10°
Abbiamo potuto così concludere prima che la luce rimbalza sullo specchio e cambia direzione e
verso e che la perpendicolare al punto di incidenza, il raggio incidente e quello riflesso giacciono
sullo stesso piano e poi abbiamo scoperto che gli angoli sono uguali. Abbiamo così verificato le leggi
della riflessione.
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Uno degli esperimenti che abbiamo potuto fare al laboratorio Xkè? Riguardava proprio due specchi
posti parallelamente uno di fronte all’altro che formavano un numero infinito di immagini riflesse.
Come mai accade ciò?
I ragazzi hanno pensato di costruire un modello di caleidoscopio utilizzando due specchi piani in
verticale posti a diverse angolazioni uno rispetto all’altro su un goniometro a spicchi costruito su un
grosso foglio di carta (lo stesso dell’esperimento precedente). In base alla posizione reciproca degli
specchi, cambia il numero di immagini riflesse. I dati sono stati raccolti in una tabella.
ANGOLO TRA I DUE SPECCHI
N° IMMAGINI (senza contare l’oggetto vero)
180°
120°
90°
60°
40°
30°
1
2
3
5
8
11
Abbiamo osservato che se l’angolo diminuisce aumenta il numero di immagini che si forma.
La fisica nascosta. Quando metti un oggetto tra 2 specchi piani la sua luce rimbalza avanti e indietro
riflettendosi da uno specchio all’altro prima di raggiungere gli occhi. Ogni volta che la luce si riflette
su uno degli specchi si forma un'immagine dell'oggetto.
Il numero delle immagini dipende dall’angolo formato dagli specchi perché, riducendo l’ampiezza
dell’angolo, la luce rimbalza tra gli specchi più frequentemente e le immagini visibili sono più
numerose. La formula matematica è: n° immagini = 360°/ampiezza angolo – 1
Un’altra proprietà della luce è la rifrazione. Anche qui siamo partiti da esperienze quotidiane come
la formazione dell’arcobaleno. Come mai si forma l’arcobaleno dopo un temporale estivo se esce il
sole?
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Abbiamo preso un bicchiere a superficie curva
e lo abbiamo riempito di acqua. In una giornata
di sole, lo abbiamo appoggiato su un davanzale,
in una posizione tale che fosse attraversato dai
raggi luminosi, e su un foglio di carta bianco
abbiamo raccolto la luce che ha attraversato il
bicchiere.
Abbiamo potuto osservare che sul foglio
bianco è comparso l’arcobaleno.
Indagando abbiamo scoperto che la luce è
composta da tanti raggi diversi che si
comportano
differentemente
quando
attraversano le goccioline di acqua rimaste in
sospensione. A ciascuno di questi raggi corrisponde uno dei colori dell’arcobaleno. Quando il raggio
luminoso passa da un mezzo trasparente (aria) ad un altro (acqua) con differente densità, viene
deviato. L’angolo di rifrazione è diverso per ciascuna delle radiazioni componenti la luce bianca.
La moneta magica. Abbiamo preso una scodella e abbiamo appoggiato sul fondo una moneta. Poi ci
siamo allontanati fino a che non siamo più riusciti a vederla. Un compagno ha poi incominciato a
versare lentamente acqua nella scodella e ad un certo punto abbiamo visto comparire la moneta come
se fosse venuta a galla anche se essa in realtà non si era mossa dal fondo.
La fisica nascosta dietro questa magia è la rifrazione: quando aggiungiamo acqua la luce diffusa
dalla moneta rallenta fino a 225.000 km/s e cambia direzione riuscendo ad arrivare fino ai nostri
occhi.
Dopo aver indagato sulla luce siamo passati all’anatomia e…
….abbiamo studiato la struttura dell’occhio.
Ci siamo chiesti cosa succede quando la luce colpisce l’occhio?
La luce passa
attraverso la cornea, l’umore acqueo ed entra nell’occhio
tramite la pupilla. Dietro la pupilla è posta una lente il
cristallino. L’immagine si forma sulla retina capovolta e
rimpicciolita. Qui termina il percorso della luce poiché
essa viene trasformata dai fotorecettori in impulso
nervoso.
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Come facciamo a costruire un modello che ci permette di capire che nell’occhio l’immagine si
capovolge? I ragazzi hanno pensato di costruire una camera oscura senza lente convergente
utilizzando una scatola da scarpe, foderata internamente di nero, in cui su uno dei lati è stato
praticato un forellino e il lato opposto è stato ritagliato e sostituito con un foglio di carta lucido.
Camera oscura senza
lente: l’immagine che si
forma è capovolta e
sfocata.
Lo schema mostra che l’immagine si capovolge perché la luce viaggia nell’aria in linea retta in
quanto non attraversa mezzi di densità diversa.
Poi ……….l’insegnante ha proposto un altro modello dotato di lente convergente.
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In questo modello la
lente rappresenta
il cristallino, la
scatola il globo
oculare e la carta
trasparente la
retina. Il cilindro
scorrevole permette
di regolare la messa
a fuoco e la
dimensione
dell’immagine. La
messa a fuoco è
consentita dalla
variazione della distanza lente-oggetto mentre nell’occhio il cristallino cambia la curvatura. Abbiamo
confrontato le immagini ottenute ed abbiamo scoperto che senza la lente l’immagine è capovolta e
sfocata mentre con la lente appare più nitida. Si riesce inoltre a distinguere il portacandela anche se
un po’ sfocato poiché diffonde i raggi luminosi emessi dalla fiamma.
Camera oscura con
lente: l’immagine è
capovolta e più nitida.
In questo modello la lente rappresenta il cristallino, la scatola il globo oculare e la carta
trasparente la retina. Il cilindro scorrevole permette di regolare la messa a fuoco e la dimensione
dell’immagine. La messa a fuoco è consentita dalla variazione della distanza lente-oggetto mentre
nell’occhio il cristallino cambia la curvatura. Abbiamo confrontato le immagini ottenute ed abbiamo
scoperto che senza la lente l’immagine è capovolta e sfocata mentre con la lente appare più nitida. Si
riesce inoltre a distinguere il portacandela anche se un po’ sfocato poiché diffonde i raggi luminosi
emessi dalla fiamma.
Abbiamo effettuato delle misure (cm) della camera oscura con la lente.
Altezza fiamma
Distanza lente fiamma
Distanza lente schermo
Altezza immagine
5,5
23,5
24
4,5
5,5
18,5
29
6
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Abbiamo potuto osservare che se la lente si allontana dall’oggetto, l’immagine rimpicciolisce.
Ci siamo allora chiesti come funziona una lente come il cristallino?. E come modello abbiamo
utilizzato una lente d’ingrandimento come esempio di lente convergente. Abbiamo giocato con le
lenti ed abbiamo scoperto che, se l’oggetto è vicino alla lente, l’immagine che percepiamo è
ingrandita, dritta e posta dalla stessa parte dell’oggetto. Se la allontaniamo dall’oggetto l’immagine si
forma dalla parte opposta, si capovolge e prima si ingrandisce e poi rimpicciolisce.
Come mai accade ciò? Abbiamo anche indagato sul perché una lente venga detta convergente. In
una giornata di sole, abbiamo preso una lente e l’abbiamo posta perpendicolarmente ai raggi
luminosi fino a che non abbiamo visto la formazione di un puntino luminoso su un foglio di carta
velina
posto
sul
pavimento dietro di
essa.
Dopo alcuni secondi in
corrispondenza
del
puntino il foglio si è
bruciato.
La fisica nascosta. La luce attraversando la lente convergente viene rifratta 2 volte e i raggi
convergono in un punto detto fuoco della lente. La distanza lente-fuoco viene detta distanza focale e
nel nostro caso è risultata di 12 cm (per la misurazione abbiamo utilizzato un metro da sarta). Le
diverse modalità di formazione delle immagini attraverso una lente convergente dipendono dalla
posizione dell’oggetto rispetto al fuoco. Se l’oggetto è a una distanza maggiore del doppio della
distanza focale, l’immagine che si forma è capovolta rimpicciolita e si forma dalla parte opposta
dell’oggetto. Ecco come mai l’immagine nella camera oscura con lente risulta rimpicciolita
all’aumentare della distanza dall’oggetto.
Il cristallino è una lente biconvessa speciale perché può variare la sua curvatura per consentire la
messa a fuoco a seconda della distanza dell’oggetto. Questa proprietà è chiamata accomodamento.
Quando il corpo si trova ad una distanza superiore ai 6 m il cristallino è disteso (l’occhio non fa
alcuno sforzo di accomodazione) ma se la distanza diminuisce allora il cristallino aumenta la sua
curvatura per consentire la formazione dell’immagine sulla retina e la visione nitida.
Che cosa avviene se il cristallino perde la sua capacità di curvarsi? Non riesce più a mettere a fuoco
le immagini vicine. Questo difetto dell’occhio viene detto presbiopia e si verifica con l’avanzare
dell’età. La professoressa viene utilizzata come esempio di occhio presbite e le viene chiesto di
leggere un testo che gradualmente viene avvicinato ai suoi occhi. Appoggiamo una riga sulla
cattedra perpendicolarmente al bordo e chiediamo alla docente di porsi con gli occhi a livello del
piano della cattedra di fianco alla riga
(essa deve sporgere fino ad essere
posizionata in linea con gli occhi).
Poniamo il libro verticalmente di fianco
alla riga e gradualmente lo avviciniamo.
Rileviamo e annotiamo la distanza
minima di messa a fuoco corretta.
Ripetiamo l’esperimento con un occhio
emmetrope (che ci vede bene ) e
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rileviamo la minima distanza a cui riesce a mettere a fuoco. A circa 20 cm di distanza l’insegnante
non riesce più a mettere a fuoco, mentre l’occhio emmetrope vede nitido fino a 10 cm.
Un’altra proprietà dell’occhio è quella di poter variare la quantità di luce in ingresso. Gli alunni
hanno notato nelle loro esperienze pregresse che nella penombra la pupilla si dilata per consentire
l’ingresso ad una maggior quantità di luce mentre in condizione di illuminazione intensa la pupilla si
restringe per impedire l’ingresso di una quantità eccessiva di luce.
Poi ci siamo domandati se tutti gli animali vedono come noi. Ed abbiamo scoperto che il falco ha
una visione più nitida dei particolari e vede bene anche a grandi distanze grazie al suo cristallino che
ha un’elasticità maggiore e di conseguenza ha una curvatura maggiore.
Nell’immagine viene messa a confronto la
visione dell’uomo con quella dell’elefante (a
destra). L’elefante vede solo le tonalità di
blu. Come mai?
Per rispondere a questa domanda abbiamo dovuto indagare sulle proprietà della retina. Questa è la
tonaca più interna che riveste la superficie interna del globo oculare. Essa è costituita da due tipi di
cellule sensoriali sensibili agli stimoli luminosi: coni e bastoncelli. I coni sono responsabili della
visione diurna, possiedono la capacità di distinguere i dettagli fini e i colori. Esistono 3 tipi di coni
ciascuno sensibile ad una determinata lunghezza d’onda della luce visibile: i coni sensibili al blu,
quelli sensibili al verde e quelli sensibili al rosso. Essi sono più numerosi al centro della retina
(fovea: è un’area di circa mezzo millimetro di diametro che contiene solo coni dove la visione del
particolare è migliore quindi la risoluzione dell’occhio è massima) e ve ne sono 6 milioni per occhio.
Normalmente, noi muoviamo gli occhi in modo che l’immagine dell’oggetto fissato cada sulla fovea
che si trova in posizione opposta alla pupilla. Qui i coni traggono contatti diretti con uno strato di
cellule neuronali deputate alla trasmissione dell'impulso visivo. Si viene a creare, quindi, una
trasmissione di uno a uno cioè, un cono trasmette l’impulso ad una sola cellula nervosa. I
bastoncelli sono sensibili all’intensità della luce, anche alle piccole variazioni e consentono la
visione in condizioni di scarsa illuminazione in bianco e nero e la percezione del movimento. Sono
collocati alla periferia della retina e sono molto più numerosi dei coni: ce ne sono 120 milioni per
occhio. La retina ha la funzione di trasformare lo stimolo luminoso in impulso nervoso che attraverso
il nervo ottico giunge alla corteccia visiva nel lobo occipitale del cervello.
Il punto della retina dove il nervo ottico fuoriesce dal bulbo oculare è privo di fotorecettori e viene
detto punto cieco. Se l’immagine si forma in questo punto della retina, l’occhio non la vede. Il
campo visivo di ogni occhio contiene quindi un piccolo buco, che a rigor di logica dovrebbe essere
nero. Possiamo dimostrare l’esistenza del punto cieco? Sì, osservando l’immagine sottostante e
seguendo le istruzioni.
Coprire l'occhio sinistro
ed osservare l'immagine
con l'occhio destro.
Porsi ad una distanza di
circa 30 cm dal foglio, e
fissare con l'occhio
destro la croce senza
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muovere gli occhi. Muovendo avanti e indietro la testa, dovreste notare che il pallino a destra
scompare e riappare alternativamente. Questo perché quando l’immagine è caduta sul punto cieco
dell'occhio destro il cervello usa l'area circostante (completamente bianca) per riempire il pezzo
mancante; funziona anche coprendosi l'occhio destro e fissando il pallino. È importante sottolineare
che, quando viene usato un solo occhio, ciò che viene visto nell'area del punto cieco è solo una
supposizione da parte del cervello e potrebbe essere sbagliata.
Casualmente un alunno si accorge che guardando attraverso un forellino di un cracker con un solo
occhio, l’immagine degli oggetti osservati è molto più nitida. Ci siamo allora chiesti: come mai
avviene ciò? Ci siamo procurati da un ottico una lente nera con un piccolo foro al centro e
abbiamo scelto due ragazze miopi che non vedono bene da lontano. Le abbiamo fatte posizionare una
per volta a distanza prestabilita dalla lavagna senza gli occhiali. Abbiamo chiesto loro di chiudere un
occhio e di leggere con l’altro la sequenza scritta sulla lavagna prima senza la lente e poi con la lente.
Alunno 1
Alunno 2
Sequenza di partenza
DG68 senza lente
DG68 con lente
DG68 senza lente
DG68 con lente
4,5m
lettura errata
lettura corretta
lettura errata
lettura corretta
4m
3m
Avevamo progettato l’esperimento anche per distanze minori ma visti i risultati ottenuti (lo stupore
delle ragazze è stato notevole!) già con la prima misurazione, non abbiamo fatto altre prove.
Abbiamo concluso che con la lente è come se la pupilla si restringesse ed assumesse il diametro del
forellino della lente che è minore di 1 mm. La pupilla infatti si restringe (diametro minimo di 1 mm)
anche quando si osservano oggetti vicini e questo viene detto riflesso pupillare di accomodazione,
che aumenta l’acuità visiva. Bisogna inoltre sommare a questo, l’effetto provocato dalla rotazione
istintiva degli occhi affinchè l’immagine dell’oggetto fissato si formi sulla fovea dove l’acutezza
visiva è massima. Il minor diametro del foro della lente fa si che la luce si concentri proprio sulla
fovea.
Alcuni aspetti del funzionamento dell’occhio umano sono legati alla rètina cioè alla sua parte
nervosa.
Ad esempio l’adattamento al buio. Quando una persona passa da un ambiente normalmente
illuminato ad uno quasi buio, inizialmente è quasi cieca; poi riacquista gradatamente la visione. Ciò
accade perché si verifica un aumento di sensibilità dovuto a tre cause:
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1) un fenomeno chimico, cioè la rigenerazione della porpora retinica o rodopsina contenuta nei
bastoncelli che si altera per effetto della luce; al buio essa si rigenera rapidamente e si accumula
aumentando la sensibilità delle cellule; 2) un fenomeno nervoso, per il quale le singole cellule
ganglionari ricevono impulsi da un numero maggiore di bastoncelli, i cui effetti vengono così a
sommarsi; 3) Un fenomeno ottico: l’allargamento della pupilla operato, in via riflessa, da apposite
fibre muscolari. Il diametro di questo foro non è costante ma varia in base della luminosità media
dell’ambiente: si allarga fino ad 8 mm circa al buio, si riduce anche fino ad 1 mm alla luce viva.
Adattamento alla luce intensa. Passando dal buio alla luce viva, avvengono fenomeni inversi: si ha
un primo periodo di abbagliamento, seguito da una perdita di sensibilità che consente, dopo un poco,
di riprendere la visione corretta. L’adattamento alla luce è più veloce di quello al buio: infatti, si
completa in pochi minuti. Anche qui esiste un meccanismo più strettamente ottico: il restringimento
automatico della pupilla.
Risoluzione
Se, in un oggetto qualunque, consideriamo due punti vicini, possiamo vedere come distinti, cioè
risolti, quei due punti solo se i due punti corrispondenti nell’immagine formata sulla rètina cadono
su due diverse cellule sensibili; è questo il limite anatomico della risoluzione dell’occhio. Questa
distanza è di 4 - 5 µ in corrispondenza della fovea, molto maggiore altrove. La massima densità di
fotorecettori nella fovea spiega perché, quando “fissiamo” un oggetto, ruotiamo istintivamente gli
occhi in modo che la sua immagine cada proprio sulla fovea: la massima risoluzione si ha infatti in
essa, e corrisponde ad una distanza fra due punti dell’oggetto di circa 0,1 mm, se l’oggetto stesso si
trova a 250 mm dall’occhio.
Persistenza. Il fatto che l’adattamento al buio o alla luce siano relativamente lenti spiega il
fenomeno della persistenza, per il quale un’immagine che si forma sulla retina produce una
sensazione che dura per una frazione di secondo dopo lo stimolo. Se la retina riceve una serie di
immagini che si susseguono rapidamente, può non percepire lo stacco fra ogni immagine e la
successiva ed avere la sensazione di un’immagine unica (fusione). Se le successive immagini sono
leggermente diverse l’una dall’altra, si può avere la sensazione di movimento, come avviene nel
cinematografo ed in televisione.
I ragazzi hanno portato un dispositivo costituito da una serie di dischi fatti ruotare
velocemente tramite una trottola. Ci siamo così accorti che la percezione che abbiamo
dell’immagine cambia a seconda se esso sia fermo o in rotazione. Anche con i colori si è verificato lo
stesso fenomeno: ruotando velocemente dischi variamente colorati si ottengono nuovi colori.
L’oggetto viene visto con continuità, in quanto la sua immagine permane sulla retina. Il tempo di
permanenza di un’immagine è tanto più lungo quanto più intenso è lo stimolo luminoso.
Allo stesso meccanismo della persistenza sono dovute le immagini postume. Osservando un oggetto
molto illuminato (es. il riquadro di una finestra in pieno giorno) e poi volgendo gli occhi su un fondo
scuro, o chiudendo le palpebre, si continua a vedere l’oggetto di prima, sia pure molto confuso e
pallidissimo; le reazioni chimiche provocate dalla luce nella retina non si annullano istantaneamente
col passaggio luce-buio. Le immagini postume sono “positive”, cioè riportano gli stessi chiari-scuri
dell’oggetto, se la stimolazione della retina è breve; se la stimolazione è prolungata, si può avere un
affaticamento della retina e l’immagine postuma apparirà con contrasto invertito.
Per verificare questo fenomeno abbiamo provato a fare quanto segue.
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Fissare il pappagallo rosso, e contare fino a 20. Poi guardare immediatamente la gabbia vuota. Cosa
si osserva? Si può osservare un'ombra verde-azzurra di un pappagallo fantasma in gabbia! Provare a
fare lo stesso con l'uccellino verde. Cosa puoi osservare? L'ombra in questo caso sarà lilla. Le
immagini "fantasma" che vedi nella gabbia sono chiamate immagini postume. Come mai si
formano? Queste sono immagini che rimangono nei tuoi occhi anche dopo che hai guardato un
oggetto. Quando fissi il pappagallo rosso, i coni sensibili al rosso si "sovraccaricano" di lavoro, e
cominciano a perdere la loro sensibilità. Così, quando poi rivolgi improvvisamente lo sguardo allo
sfondo bianco della gabbia, il colore che vedi è il bianco meno il rosso nelle zone dove i recettori del
rosso non sono più sensibili. Il bianco meno il rosso dà verde-azzurro. Questo spiega perché
l'immagine che vedi è verde-azzurra e ha la forma del pappagallo. Lo stesso accade se guardi
l'uccellino verde, e questa volta sono i recettori del verde a sovraccaricarsi e perdere di sensibilità.
Bianco "meno" verde fa lilla, e quindi vedi un uccellino lilla.
Abbiamo così introdotto la percezione dei colori.
Per spiegare cosa è il colore occorre studiare la luce e il processo di visione. Il colore degli oggetti
che ci circondano è inoltre legato al modo di reagire delle superfici alla luce. Un oggetto rosso ha
questo colore perché trattiene tutti gli altri colori e ci spedisce indietro solo il rosso. I colori sono
quindi inscindibilmente legati alla presenza della luce.
Per quanto riguarda la percezione dei colori, partendo dalla conoscenza dei tre colori primari (rosso,
verde e blu) dalla cui mescolanza ottica si formano tutti gli altri colori, bisogna cercare la
spiegazione nelle proprietà dell'occhio umano.
L'occhio umano può cogliere più di duecento sfumature di colore, e se ognuna di queste sfumature
richiedesse un tipo di fotorecettore, sulla retina dovrebbero esserci più di duecento tipi diversi di
fotorecettore, uno per ogni colore, il che è impossibile considerando l'esiguità della superficie della
retina. Grazie a questi fotorecettori l'immagine ricevuta dall'occhio viene trasmessa al cervello. I
recettori responsabili della visone diurna (a colori) sono in realtà solo di tre tipi, ognuno sensibile ad
uno dei tre colori primari: il verde, il rosso e il blu. La visione delle diverse sfumature di colori
viene generata dall'azione combinata di questi tre recettori, capaci di reagire in modo diverso alle
differenti frequenze presenti nella radiazione luminosa. In questo lavoro di percezione del colore, il
cervello ha un ruolo fondamentale, quello di prendere le informazioni dall'occhio, elaborarle ed
interpretarle e di restituirle alla nostra percezione in forma di immagine visiva colorata.
Se la sensazione che chiamiamo colore possiede delle leggi, ci deve essere qualcosa nella nostra
natura che determina la forma di queste leggi. La scienza del colore è dunque una scienza della
mente”. Questa è una frase pronunciata da James Maxwell, un grande fisico, che ci permette di
comprendere la complessità del fenomeno della percezione del colore.
Abbiamo preso un disco di cartone e abbiamo disegnato degli spicchi di ampiezza variabile e li
abbiamo colorati con i colori dell’arcobaleno, come nella figura sottostante. Poi abbiamo praticato un
foro al centro del disco e lo abbiamo posto su un dispositivo tipo trottola e l’abbiamo fatto ruotare
rapidamente.
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Osservazioni: facendo girare il disco rapidamente si noterà che
quest’ultimo è diventato di colore bianco grigiastro e che i colori sono
scomparsi. Questo dimostra che la luce visibile è formata da diverse onde di
colore diverso che variano dal rosso al violetto.
Questo accade perché: con la rotazione veloce, ogni colore persiste nella
retina dei nostri occhi per una brevissima frazione di secondo dopo lo
stimolo e si fonde con quello successivo come se i tre tipi di recettori
luminosi fossero stimolati contemporaneamente.
Luci di differente lunghezza d'onda ci appaiono quindi di diverso colore. Il fatto che queste generino,
se sommate, la visione del bianco, è un fenomeno che viene definito sintesi o mescolanza additiva.
Miscelando i colori primari si generano gli altri colori. La terna di colori primari è una scelta
arbitraria dell’uomo e sono il rosso, verde e il blu. I tre tipi di coni presenti sulla retina hanno una
differente sensibilità alle lunghezze d’onda della luce. In particolare: • I coni corti hanno un picco di
assorbimento delle radiazioni intorno ai 400 nm (nanometri). Sono sensibili al blu; • I coni medi
hanno un picco di assorbimento intorno ai 500 nm e quindi risultano principalmente sensibili al
verde; • I coni lunghi hanno un picco di assorbimento presso i 600 nm. Sono quindi sensibili alla
gamma dei rossi. La stimolazione simultanea dei tre tipi di coni della retina porta alla percezione di
qualsiasi colore generabile dall'incontro di luce rossa, verde e blu in diversa misura.
Schema della sintesi additiva.
È l'effetto che si ottiene sovrapponendo tra loro tre raggi luminosi: uno
verde, uno rosso ed uno blu e proiettandoli su una superficie neutra. Come
si può vedere, al centro, dove i tre raggi si sovrappongono, appare il
bianco. Dove, invece, si sovrappongono solo la luce rossa e quella verde,
vediamo il giallo. Nella zona di sovrapposizione tra verde e blu, il colore
percepito è il ciano. Infine dove si mescolano il rosso e il blu il colore
percepito è il magenta.
Abbiamo deciso di effettuare un esperimento utilizzando due torce su ciascuna delle quali è stato
fissato con un elastico un pezzo di plastica (filtro): uno di colore rosso e uno di colore verde.
Abbiamo così ottenuto una luce rossa e una verde. Su uno schermo bianco abbiamo sovrapposto le
luci colorate ed è apparso il colore GIALLO. Questo avviene perché quando i coni rossi e verdi
vengono stimolati, il cervello riceve questi impulsi e li trasforma in percezione del giallo.
Analogamente avviene per il ciano (VERDE+BLU = CIANO) e il magenta (ROSSO+BLU =
MAGENTA)
Abbiamo utilizzato luci colorate per illuminare cartoncini
colorati, e abbiamo notato che il loro colore cambia. I dati sono stati
raccolti in una tabella.
Possiamo concludere che il colore dei corpi non è una proprietà
intrinseca dei corpi ma dipende dalla natura della luce che lo illumina,
dalle proprietà riflettenti dei corpi , dai nostri fotorecettori e dalle
elaborazioni del nostro cervello. Probabilmente la retina
dell’elefante possiede solo coni sensibili al blu e quindi il cervello restituisce immagini blu di
intensità variabile.
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L’insegnante ha scoperto che giochi con i colori si possono effettuare con word andando su colore
carattere, altri colori, personalizzati, RBV. Qui compare la gamma di colori dell’arcobaleno e le
diverse tonalità si ottengono combinando valori precisi di rosso, blu e verde. È possibili mescolare o
sottrarre solo i colori primari della sintesi additiva. Ad esempio:
Cartoncini colorati
FILTRI
Bianco
Rosso
Verde
Blu
Arancione
Giallo
Rosso
Rosso
Rosso
Marroncino
Violetto
Rossastro
Arancione
Verde
Verde
Marroncino
Verde
Verde acqua
Verde
Verde oliva
Blu
Blu
Violetto
Arancione
Azzurro
Blu
Per esempio:
Ciano: si ottiene dalla
mescolanza del verde e del blu
di intensità quasi uguale.
Giallo: si ottiene dal rosso
+ il verde
In maniera analoga al nostro cervello, il computer ottiene tutti i colori dalla diversa sovrapposizione
dei colori primari con diversa intensità.
Abbiamo visto cosa accade quando la luce che colpisce i recettori della retina proviene da fonti
luminose (luce rossa, verde o blu).
Cosa accade invece quando osserviamo un oggetto che non emana luce ma la riflette? Da cosa
dipende il suo colore?
La percezione del colore di tutto ciò che osserviamo dipende da meccanismi "sottrattivi", in quanto si
basa sulla capacità della materia di assorbire componenti cromatiche della luce visibile e di
diffonderne di proprie. Una superficie colorata assorbe una parte della luce visibile e restituisce il
resto all’ambiente sotto forma di luce riflessa. Ad esempio una foglia ci appare verde perché assorbe
il rosso e il blu ed emette solo la radiazione verde. Perché un limone ci appare GIALLO? Il
limone illuminato da una luce bianca assorbe la radiazione nello spettro del blu. Le radiazioni riflesse
sono quelle del rosso e del verde. Se dal bianco si sottrae il blu si ottiene il giallo dato dalla
combinazione di rosso e verde. Queste ultime radiazioni stimolano i coni della retina, gli impulsi
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nervosi arrivano al cervello che li combina secondo le regole della
sintesi additiva generando la percezione del giallo:
VERDE+ROSSO = GIALLO
Il giallo si può ottenere anche sottraendo dal bianco il blu.
Se consideriamo il fenomeno dalla parte della radiazione assorbita,
le superfici che ci appaiono colorate sottraggono alla nostra
visione una parte dello spettro visibile. Che colore vedremo,
dunque, se mescoliamo su una superficie neutra del giallo e del
magenta? La curva di riflessione di questi due colori, combinate
tra loro, mostrano che il colore risultante visto dall’osservatore è il
rosso. Il colore risultante percepito corrisponderà a quella parte dello spettro visibile che entrambi i
pigmenti riflettono, mentre sarà cancellata ogni parte della luce visibile che è riflessa da uno soltanto
di essi. Il giallo riflette la luce verde e la rossa; il magenta riflette invece la luce blu e la rossa.
Entrambi rifletteranno la luce nello spettro del rosso e pertanto il corpo apparirà di quel colore.
Quindi analogamente mescolando: • giallo + ciano = verde; • ciano + magenta = blu.
I tre colori di base utilizzati – il ciano, il giallo e il magenta – non sono stati scelti casualmente.
Ciascuno di essi ha la proprietà di bloccare, cioè di sottrarre alla vista, uno dei colori primari della
sintesi additiva e di riflettere gli altri due. Ciano, giallo e magenta sono perciò considerati i colori
primari della sintesi o mescolanza sottrattiva, cioè di quella mescolanza di pigmenti che genera la
visione di colori in dipendenza del modo in cui essi riflettono la luce bianca. La mescolanza di due
primari qualsiasi della sintesi sottrattiva genera uno dei primari della sintesi additiva.
Schema della sintesi sottrattiva
Sommando i tre colori si ottiene il nero, perché ciascuno dei tre colori
della sintesi sottrattiva assorbono un terzo delle radiazioni della luce
bianca e ne rilasciano due terzi. Il disco magenta trattiene le radiazioni del
verde e rilascia quelle del rosso e del blu
(rosso+blu=magenta, secondo la sintesi additiva). Il disco giallo trattiene
le radiazioni del blu e rilascia quelle del rosso e del verde
(rosso+verde=giallo). Il terzo disco, infine, trattiene le radiazioni del rosso,
rilasciando quelle del verde e del blu (verde+blu=ciano). Se tutti e tre i dischi vengono sovrapposti
tratterranno ciascuno un terzo della luce bianca ed il colore ottenuto sarà quindi "l'assenza del
bianco": il nero.
Il colore non è quindi una proprietà intrinseca dell’oggetto ma è il risultato di processi che
avvengono nel nostro occhio e nel nostro cervello e dipende inoltre dalle proprietà fisiche della
sorgente che illumina e dalle proprietà dei corpi che vengono illuminati.
E qui comincia l’illusione
La percezione
La percezione è il passo successivo all'acquisizione: dopo che gli occhi hanno convertito gli
stimoli luminosi in informazioni nervose, il nostro cervello deve codificare queste informazioni per
ricostruire l'immagine che gli occhi hanno acquisito, e interpretarla al fine di estrarne
rappresentazioni utili del mondo che ci circonda.
Infatti noi non vediamo 'gradazioni di luce' o un insieme di linee curve o rette, ma vediamo facce,
persone, oggetti, scritte, paesaggi, ecc. L'interpretazione del mondo quindi è una traslazione, una
trasposizione sotto un'altra forma della realtà: il cervello aggiunge, sottrae, riorganizza e codifica le
informazioni sensoriali che gli arrivano per fornire un'interpretazione il più possibile esatta del
mondo esterno.
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Una prima elaborazione delle immagini viene eseguita nella retina stessa poiché non vi è un rapporto
1:1 tra fotorecettore e fibra nervosa altrimenti il nervo ottico avrebbe un diametro di diversi cm e
questo è impossibile. La retina umana contiene circa 130 milioni di cellule sensibili ed il nostro
nervo ottico contiene, infatti, circa 1 milione di fibre: pertanto gli stimolo di oltre cento cellule
confluiscono in una fibra sola.
Nella retina allora, i segnali delle singole cellule sensibili sono integrati in modo da venire “ridotti”
in segnali meno numerosi ma più complessi: per es. una linea, una macchia di un certo colore, ecc.
Come vengono riconosciuti gli oggetti?
Il nostro cervello tende a seguire regole ben precise quando forma un’immagine. Noi tutti infatti
percepiamo le informazioni che ci vengono dal mondo esterno non come fatti isolati, ma li
raggruppiamo in contesti significativi. Esistono delle regole ben precise che il cervello segue per
raggruppare degli elementi e considerarli come oggetti.
Regola della prossimità
Gli elementi più vicini vengono percepiti come parte di un insieme. A seconda di come sono
sistemati i punti vengono viste righe o colonne, anche se ogni figura contiene lo stesso numero di
punti.
Regola della somiglianza
Tendenza a "mettere insieme" elementi che sono simili o ripetuti. Vengono osservate righe o colonne
a seconda che i punti bianchi siano sistemati in righe o colonne.
Senso
Tendenza, dopo aver percepito l'essenza di un disegno, ad
osservarlo secondo la nuova interpretazione e non più come
lo si vedeva prima.
Disegno a destra: una coppa o l'ombelico di un bimbo.
Disegno 2: Una persona accovacciata che lava il pavimento
con un secchio alla sua sinistra, ed in basso un 13 o una B!
Le illusioni ottiche non sono altro che un’errata interpretazione della realtà da parte del nostro
cervello. Esse ingannano l‘apparato visivo umano, facendogli percepire qualcosa che non è presente
o facendogli percepire in modo diverso qualcosa che è presente in quanto la nostra psiche formula
inconsciamente delle ipotesi sulla base delle sue esperienze precedenti seguendo regole precise.
Le illusioni sfruttano:
la geometria per simulare il
movimento dell’immagine
stessa, o per farci credere che
certe linee siano curve o storte
quando in realtà sono dritte.
Nelle illusioni geometriche
viene percepita quindi in
modo errato la geometria
dell’immagine. Per esempio linee parallele vengono percepite come divergenti, convergenti o curve.
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Oltre al confronto in termini di dimensioni, il nostro cervello
confronta anche il colore e ci fa apparire immagini più scure o più
chiare in base allo sfondo o al contrasto con altri elementi di
contatto.
In A il cervello aumenta il contrasto tra il blu e il nero altrimenti non
saremmo in grado di percepire il blu. Se infatti copriamo con le dita
le bande nere laterali, ci accorgiamo che le tonalità di blu in A e B
sono identiche.
La legge della buona forma secondo cui il cervello crea un’ immagine
completa partendo da figure incomplete: sembra di vedere un triangolo
anche se non c’è.
Il cervello ha la tendenza a vedere le forme come delineate da un
margine continuo ed ignorare eventuali interruzioni di tale continuità.
Così viene completato il triangolo, anche se non esiste.
Completando l’immagine il cervello aggiunge ciò che manca per avere
ciò che gli è più familiare: un triangolo.
Il confronto automatico che il nostro cervello fa tra un oggetto e quelli che
gli stanno vicino ed in base alla dimensione modifica la percezione delle
dimensioni reali dell’oggetto. La lunghezza di una dimensione viene stimata
dal nostro cervello non per una misura assoluta, ma per confronto con
strutture geometriche vicine o basandosi su effetti prospettici. Si può parlare,
più propriamente, di “illusioni ottico-geometriche”.
“illusione dei binari” ci porta a vedere la fila superiore dei
pallini, o il rettangolo superiore, come più lungo del suo
corrispettivo in basso, ma sono identici.
Ciò avviene perchè il nostro cervello interpreta l'immagine
prospetticamente e crede che il segmento inferiore sia posto
più vicino a noi di quello superiore, prossimo invece al punto
di fuga!
Essendo di uguale lunghezza, il cervello crede che quello più
'lontano' deve essere per forza più grande, e così si genera
l'illusione!
In questa figura, la forma dell’oggetto è “impossibile”, nel senso che l’oggetto
suggerito non è realizzabile. Qui, la nostra tendenza a vedere una figura “realistica”
si oppone ad un disegno astratto che non rappresenta alcun oggetto “possibile”. Non
si tratta di un’illusione in senso stretto, ma di una nostra abitudine a considerare
oggetti reali, che si scontra con un disegno volutamente irreale.
L'organizzazione figura-sfondo
Un altro principio fondamentale della percezione è l'organizzazione della figura-sfondo: è la
tendenza a distinguere una figura dal suo sfondo e viceversa. In altre parole, guardando un'immagine
percepiamo l'oggetto che sta in primo piano come figura principale e ciò che sta dietro come sfondo.
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Quando però gli indizi sono scarsi o ambigui la nostra mente può trovare delle difficoltà nel decidere
a quale forma attribuire il significato di figura e a quale quello di sfondo.
Cosa vedi nel disegno a sinistra? Il profilo di un uomo dal
lungo naso o una vecchia che chiede l'elemosina?
Ed a destra? E' una coppa o due visi contrapposti?
La percezione della profondità e della distanza (visione stereoscopica)
Il mondo che ci circonda è tridimensionale, al contrario dell'immagine che si forma sulla retina che è
bidimensionale. Come fa la nostra mente a ricreare un mondo tridimensionale? Si serve di due
tipi di informazioni: degli indici monoculari, basati sull'informazione proveniente da un solo occhio,
ed indici binoculari, che richiedono cioè la combinazione delle informazioni provenienti da
entrambi gli occhi. Di solito noi percepiamo non solo la forma ma anche la profondità degli oggetti e
la loro distanza da noi: li percepiamo “in tre dimensioni”. Questo apprezzamento viene compiuto
non dall’occhio ma dai centri nervosi, in base a vari elementi.
a) La convergenza oculare:
per fissare oggetti vicini dobbiamo “convergere” gli occhi: se chiamiamo “asse visuale” la retta
che passa per la pupilla e per la fovea, ossia la direzione dello sguardo che ci dà la visione più
distinta, allora gli assi visuali dei due occhi sono paralleli quando fissiamo un punto molto lontano,
ma convergono sempre più, via via che l’oggetto fissato si fa più vicino. Questo movimento degli
occhi fornisce ai centri nervosi un’altra informazione sulla distanza dell’oggetto.
Questi centri, attraverso vari circuiti nervosi, comandano dunque, spesso al di fuori della nostra
coscienza, vari movimenti. Anche l’accomodazione contribuisce alla visione tridimensionale.
Il restringimento della pupilla è legato per via riflessa all’accomodazione. In senso lato si può
parlare di meccanismi riflessi e i nostri centri nervosi ricevono tutte le informazioni sulla
contrazione dei muscoli oculomotori, ciliari e pupillari, utili per valutare lo stato di convergenza e di
accomodazione e quindi la profondità e la distanza degli oggetti che osserviamo.
b) La disparità retinica.
Le immagini che si formano nella retina, sono leggermente diverse nei due occhi. La fusione di
queste due immagini dà origine alla percezione binoculare o stereoscopia, e produce buona parte
della sensazione di tridimensionalità nella visione. I nostri occhi distano fra loro 6 - 7 cm e dunque,
gli oggetti vicini vengono visti dai due occhi da un punto di vista diverso. Questo significa che le due
immagini retiniche sono leggermente diverse. Il nostro cervello riesce a “fondere” le due
immagini, nel senso che ci da la percezione di un unico oggetto, ma la differenza fra le due
immagini, che dipende dalla distanza dell’oggetto, fornisce un elemento in più per valutare la
distanza da noi dei vari oggetti o dei vari punti di un oggetto, quindi la profondità di esso. Questo
meccanismo, importantissimo, non funziona per oggetti più lontani di 10 o 20 metri poiché la
differenza fra le due immagini retiniche diviene insufficiente e rimangono gli altri meccanismi sopra
citati.
Questa immagine evidenzia il chiasma ottico ossia
l’incrocio delle fibre provenienti dai 2 nervi ottici. Più
precisamente si incrociano le fibre provenienti dalla metà
nasale della retina, mentre quelle provenienti dalla metà
temporale proseguono dallo stesso lato fino a raggiungere la
corteccia visiva del lobo occipitale del cervello.
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Si avrà quindi una sorta di percezione doppia, non identica, generata dai 2 occhi sulla stessa area
della corteccia, e questo che permette di captare il senso della profondità, della prospettiva.
Se giriamo intorno al triangolo di Penrose o triangolo impossibile ci sembra un’opera d’arte moderna
anche un po’ bruttina, ma se lo osserviamo con un occhio solo attraverso un forellino lontano ci
appare come un triangolo quasi perfetto. Ciò avviene perché attraverso il forellino il nostro occhio
percepisce solo 2 dimensioni: altezza e larghezza. Lo stesso effetto lo otteniamo quando vediamo le
stelle in cielo di notte. Le costellazioni non esistono veramente, ma il nostro occhio tende a
raggruppare ed avvicinare le stelle, anche lontane tra loro, sulla volta celeste per formare delle figure
bidimensionali e causa dell’enorme distanza da esse. Il triangolo di Penrose l’abbiamo potuto vedere
al “XKE’?il laboratorio delle curiosità” dove abbiamo potuto osservare che se il cervello
percepisce l’immagine di un solo occhio, non ci da il senso della profondità.
L’insegnante ha proposto di fare un esperimento per verificare da cosa dipende la percezione
della profondità. Abbiamo preso una riga con la scala millimetrata su entrambi i lati ed abbiamo
costruito due freccette con il cartoncino. Una delle freccette è stata fissata con il nastro adesivo sul
lato della riga. Sull’altro lato della riga abbiamo incollato 2 cannucce in modo da formare un binario
nel quale potesse scorrere la seconda freccetta dopo averla legata con un cordino. Poi ci siamo messi
con gli occhi all’altezza della freccetta in modo da averla perfettamente di fronte. Abbiamo tirato la
cordicella finchè le due freccette non si sono allineate, prima guardando con 2 occhi e poi con un
occhio solo. La distanza occhio-freccetta è di 62 cm. Abbiamo raccolto i dati in una tabella.
Alunno
Visione con 2 occhi
Visione con occhio destro
Visione con occhio sinistro
1
Frecce allineate
differenza di 2,5 cm
differenza di 1,5 cm
2
Frecce allineate
differenza 5 mm
differenza 2 mm
3
Frecce allineate
differenza 1,3 cm
differenza 5 mm
Possiamo notare che se utilizziamo entrambi gli occhi, il cervello è in grado di elaborare
correttamente la profondità e quindi riusciamo ad allineare le freccette. Se la visione avviene con un
solo occhio, il cervello non può sovrapporre le immagini e quindi la percezione della profondità
risulta errata. Ci sembra di vedere le freccette allineate ma se andiamo a controllare notiamo che c’è
sempre uno sfalsamento: la freccetta mobile è sempre più indietro rispetto a quella fissa.
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