ORDINI DELL’AIUTARE di Bert Hellinger traduzione Silvia Miclavez Aiutare è un‟arte. Come per ogni arte, anche per aiutare ci vuole una certa capacità e maestria, che si può imparare e nella quale ci si può esercitare. E ci vuole anche l‟immedesimazione nel soggetto; comprendere dunque ciò che gli corrisponde e ciò che allo stesso tempo lo porta ad andare al di là di sé stesso, in qualcosa di più grande e comprensivo. AIUTARE COME COMPENSAZIONE Noi esseri umani dipendiamo sotto ogni aspetto dall‟aiuto degli altri. Solo così ci possiamo sviluppare. Allo stesso tempo anche noi siamo destinati ad aiutare altri. Chi non è utile agli altri, chi non li può aiutare, resta sempre più solo e si atrofizza. Aiutare, quindi, non è solo un servizio agli altri, ma è anche un servizio a noi stessi. Di regola l‟aiutare è reciproco, per esempio tra partner. Viene ordinato dal bisogno di compensazione. Chi ha ricevuto dagli altri quel che desidera e gli serve, vuole anche dare qualcosa e compensare così l‟aiuto ricevuto. Spesso il compensare restituendo riesce solo in misura limitata, per esempio nei confronti dei nostri genitori. Quello che ci hanno donato è troppo grande per noi per poterlo compensare donando. Quindi nei loro confronti non ci resta che il riconoscimento di ciò che ci hanno donato ed il ringraziamento che proviene dal profondo del cuore. La compensazione tramite il dare ed il sollievo ad esso connesso, in questo caso riesce trasmettendo ciò che abbiamo ricevuto ad altri, per esempio ai propri figli. Prendere e dare si svolge dunque su due tipi di livelli. Uno, tra eguali, rimane sullo stesso livello e richiede la reciprocità. L‟altro, tra genitori e figli o tra superiori e bisognosi ha un dislivello. Prendere e dare assomigliano qui ad un fiume che porta avanti ciò che in sé accoglie. Questo prendere e dare è più grande. Tiene in vista ciò che viene dopo. Con questo modo di aiutare, ciò ch‟è donato aumenta. La persona che presta aiuto viene trascinata e legata a qualcosa di più grande, più ricco e duraturo. Questo aiutare è possibile solo se prima noi abbiamo recepito e preso. Poiché solo allora abbiamo l‟esigenza e la forza di aiutare anche altri, soprattutto se questo aiutare ci richiede molto. Allo stesso tempo è solo possibile se quelli che vogliamo aiutare hanno anche bisogno di ciò che vogliamo e riusciamo a dare. Poiché altrimenti il nostro aiuto va a vuoto. Separa, invece di unire. IL PRIMO ORDINE DELL’AIUTARE Il primo ordine dell’aiutare è dunque che si dia solo ciò che si ha e che ci si aspetti e si prenda solo ciò di cui si ha bisogno. Il primo disordine dell‟aiutare inizia dove uno vuole dare ciò che non ha e dove uno vuole prendere ciò di cui non ha bisogno, o dove uno si aspetta e pretende da qualcun altro qualcosa che questo non può dare perché non ce l‟ha. Ma anche dove qualcuno non ha il permesso di dare, perché così facendo toglierebbe all‟altro qualcosa che questi può o deve portare da solo, e che può o gli è concesso fare da solo. Al dare e al prendere sono dunque posti dei limiti. Rientra nell‟arte di aiutare il percepire questi limiti e il conformarsi ad essi. Questo aiutare è umile. Spesso, di fronte ad aspettative ed anche alla sofferenza, si fa a meno di aiutare. Cosa in questo caso la persona che presta aiuto debba pretendere da se stessa e anche da chi cerca il suo aiuto, viene mostrato nel lavoro con le costellazioni familiari. Questa umiltà e questa rinuncia contraddicono molte idee tradizionali sul giusto modo di aiutare e spesso espongono la persona che presta aiuto a pesanti attacchi e rimproveri. IL SECONDO ORDINE DELL’AIUTARE L‟aiutare da un lato è al servizio della sopravvivenza, dall‟altro è al servizio dello sviluppo e della crescita. Eppure la sopravvivenza, lo sviluppo e la crescita dipendono anche da particolari circostanze, esteriori come pure interiori. Molte circostanze esteriori sono prestabilite e non si possono cambiare, per esempio una malattia ereditaria o anche la conseguenza di eventi o di una colpa. Quando si aiuta senza prestare attenzione alle circostanze esteriori, o senza riconoscere la loro esistenza, l‟aiuto è destinato a fallire. Ciò vale ancor di più per le circostanze di carattere interiore. Ad esse appartiene l‟ incarico personale speciale, l‟irretimento nei destini di altri membri familiari e l‟amore cieco che rimane legato al pensiero magico sotto l‟influsso della coscienza. Cosa questo significhi nel singolo caso l‟ho ampiamente 1 illustrato nel mio libro “Ordini dell‟Amore”1 nel capitolo “Del Cielo che fa ammalare e della Terra che guarisce”. A molte persone che prestano aiuto può apparire difficile il destino degli altri e quindi lo vorrebbero cambiare, ma spesso non perché l‟altro lo voglia o ne abbia bisogno, bensì perché a loro stessi riesce difficile sopportare questo destino. Se l‟altro poi si lascia comunque aiutare, lo fa non tanto perché ne abbia bisogno, quanto perché vuole aiutare la persona che presta aiuto. Allora questo aiutare diventa un prendere e l‟accettare questo aiuto un dare. Il secondo ordine dell’aiutare è dunque che esso si conformi alle circostanze e che intervenga sostenendo solo fin dove le circostanze lo permettano. Questo modo di aiutare è ritenuto, ha forza. Il disordine dell‟aiutare qui sarebbe quello di aiutare rinnegando o coprendo le circostanze, invece di affrontarle insieme alla persona che cerca aiuto. Voler aiutare contro le circostanze indebolisce sia la persona che presta aiuto sia la persona che si aspetta aiuto o alla quale l‟aiuto viene offerto o addirittura imposto. L’IMMAGINE PRIMORDIALE DELL’AIUTARE L‟immagine primordiale dell‟aiuto è la relazione tra genitori e figli, soprattutto la relazione tra madre e figlio. I genitori danno, i figli prendono. I genitori sono grandi, superiori e ricchi, i figli piccoli, bisognosi e poveri. Eppure, poiché genitori e figli sono affezionati gli uni agli altri, il dare e il prendere tra loro può essere quasi illimitato. I figli possono aspettarsi quasi tutto dai propri genitori. I genitori sono disposti a dare quasi tutto ai propri figli. Nella relazione tra genitori e figli, le aspettative dei figli e la disponibilità a soddisfarle dei genitori sono necessarie e quindi a posto. Però sono a posto solo finché i figli sono ancora piccoli. Con l‟avanzare dell‟età i genitori pongono dei limiti ai figli, sui quali i figli possono urtarsi e maturare. Sono allora meno cari i genitori con i loro figli? Sarebbero dei genitori migliori se non ponessero loro dei limiti? O dimostrano di essere proprio per questo dei buoni genitori, pretendendo dai propri figli qualcosa che li prepara ad essere adulti? Molti figli poi si arrabbiano con i genitori, perché preferirebbero mantenere la dipendenza originaria. Eppure proprio perché i genitori si trattengono e deludono queste aspettative, aiutano i figli a liberarsi dalla dipendenza e, passo dopo passo, li aiutano ad agire diventando responsabili di se stessi. Solo così i figli prendono il loro posto nel mondo degli adulti e da „‟prenditori‟ diventano dei „datori‟. IL TERZO ORDINE DELL’AIUTARE Molte persone che aiutano gli altri, per esempio nella psicoterapia e nel lavoro sociale, ritengono di dover aiutare quelli che cercano il loro aiuto comportandosi come genitori con i loro piccoli figli. Viceversa, molti che cercano aiuto si aspettano che queste persone che li aiutano si rivolgano a loro come dei genitori nei confronti dei figli, per ricevere a posteriori ciò che ancora si aspettano e richiedono dai propri genitori. Cosa succede se le persone che aiutano soddisfano queste aspettative? Si fanno coinvolgere in una lunga relazione. Dove porta questa relazione? Le persone che aiutano entrano nella stessa posizione dei genitori, al cui posto si sono messi per via di questo modo di voler-aiutare. Passo dopo passo devono poi porre dei limiti a quelli che cercano il loro aiuto e deluderli. Quelli che ricevono aiuto svilupperanno poi nei confronti delle persone che li hanno aiutati gli stessi sentimenti che in precedenza avevano sviluppato nei confronti dei loro genitori. In questo modo le persone che prestano aiuto mettendosi al posto dei genitori e forse anche volendo essere i genitori migliori, diventano per i clienti, uguali ai loro genitori. Molte persone che prestano aiuto rimangono però intrappolate nel transfert e nel contro-transfert della relazione figliogenitori, rendendo così più difficile al cliente sia il commiato dai propri genitori che il commiato da loro. Contemporaneamente, una relazione secondo il modello del transfert figlio-genitori impedisce anche lo sviluppo e la maturazione personali della persona che aiuta. Lo illustro con un esempio: quando un uomo più giovane sposa una donna più anziana, a molti viene l‟idea che cerchi un sostituto per sua madre. E cosa cerca lei? Un sostituto per suo padre. Questo vale anche nel caso opposto. Quando un uomo anziano sposa una ragazza più giovane, molti dicono che lei ha cercato un padre. E lui? Lui ha cercato un sostituto per sua madre. Dunque, per quanto strano possa sembrare, chi persevera a lungo in una posizione di superiorità e addirittura la cerca, volendola mantenere, si rifiuta di prendere il suo posto da pari a pari tra gli adulti. 1 “Ordini dell’Amore” di Bert Hellinger uscirà prossimamente in Italia nelle edizioni Urra-Apogeo, di Milano. 2 Ci sono però delle situazioni in cui per breve tempo è adeguato che la persona che aiuta rappresenti i genitori, per esempio se si deve portare a compimento un movimento interrotto verso la persona amata. Ma a differenza del transfert figliogenitori, qui le persone che aiutano rappresentano i veri genitori e non si mettono al posto dei genitori come migliore madre o migliore padre. Per questo i clienti non devono neanche sciogliersi da loro. Le stesse persone che aiutano le dirigono via da sé verso i genitori naturali. Poi entrambi sono liberi l‟uno dall‟altro. Secondo questo schema d‟accordo con i genitori reali, le persone che prestano aiuto possono vanificare già dal primo approccio questo transfert di figlio -genitore. Poiché se in cuor loro rispettano i genitori dei loro clienti, se sono in sintonia con questi genitori e con il loro destino, i clienti incontrano nelle persone che prestano aiuto contemporaneamente anche i propri genitori. Non possono più evitare i propri genitori. Lo stesso vale se le persone che prestano aiuto hanno a che fare con bambini o handicappati. Siccome le persone che prestano aiuto rappresentano i genitori, i clienti possono sentire che da loro sono in buone mani. Le persone che li aiutano in questo modo non si mettono al posto dei genitori. Il terzo ordine dell’aiutare sarebbe, dunque, che la persona che presta aiuto di fronte ad un adulto che cerca aiuto, lo affronti da adulto. In questo modo respinge i tentativi di essere spinto in un ruolo da genitore. È comprensibile che ciò venga da molti considerato duro e che venga anche criticato. Paradossalmente questa “durezza” viene criticata da molti come arroganza, sebbene, guardando bene, la persona che aiuta in un transfert figlio –genitore è molto più arrogante. Il disordine dell‟aiutare, qui, è lasciare che un adulto abbia delle pretese nei confronti della persona che presta aiuto, come un bambino nei confronti dei propri genitori e che lo tratti come un bambino per prendergli qualcosa per la quale invece solo lui può e deve portare la responsabilità e le conseguenze. È in questo terzo ordine dell‟aiutare e nel suo riconoscimento che il lavoro con le Costellazioni Familiari e con i movimenti dell‟anima si distingue nella maniera più profonda dalla psicoterapia tradizionale. IL QUARTO ORDINE DELL ’AIUTARE Sotto l‟influsso della psicoterapia classica molte persone che prestano aiuto incontrano il cliente come se fosse un singolo isolato. Anche per questo motivo essi incorrono facilmente nel pericolo di un transfert figlio-genitori. Ma il singolo è parte di una famiglia. Solo se la persona che presta aiuto lo percepisce come parte della sua famiglia, percepisce anche di chi abbia bisogno il cliente e a chi, forse, debba qualcosa. La persona che presta aiuto può realmente percepirlo solo se lo vede insieme ai suoi genitori e antenati e forse anche con il suo partner ed i suoi figli. Poi riesce anche a cogliere chi, in questa famiglia, abbia più di ogni altro bisogno della sua considerazione e del suo aiuto ed a chi debba rivolgersi il cliente per riconoscere quali siano i passi decisivi da fare. Il che significa che l’empatia della persona che presta aiuto debba essere non tanto personale, quanto soprattutto sistemica. La persona che presta aiuto non instaura una relazione personale con il cliente. Questo è il quarto ordine dell’aiutare. Il disordine dell‟aiutare sarebbe, qui, che delle altre persone essenziali, che in certo qual modo detengono le chiavi per la soluzione, non vengono viste o rispettate. Questi sono soprattutto quelli che sono stati esclusi dalla famiglia, forse perché ci si vergognava di loro. Anche qui sussiste ampiamente il pericolo che questa empatia sistemica venga ritenuta dura dal cliente, soprattutto da quello che ha delle aspettative infantili nei confronti delle persone che lo aiutano. Chi invece cerca una soluzione in modo adulto, vive questo modo di procedere sistemico come una liberazione e come una sorgente di forza. IL QUINTO ORDINE DELL’AIUTARE Il lavoro con le costellazioni familiari riunisce ciò che prima era separato. In questo senso è al servizio della riconciliazione, soprattutto nei confronti dei genitori. Un impedimento a ciò è la distinzione tra membri familiari “buoni” e “cattivi”, come viene fatta da molte persone che aiutano altri sotto l‟influsso della propria coscienza e dell‟opinione pubblica prevenuta entro i limiti di questa coscienza. Per esempio, quando una persona che presta aiuto, di fronte ad un cliente che si lamenta dei suoi genitori e delle circostanze della sua vita o del suo destino, si appropria del punto di vista di questo cliente, essa sta piuttosto al servizio del conflitto e della separazione, che al servizio della riconciliazione. 3 Il quinto ordine dell’aiutare è dunque l’amore per ogni essere umano, così com’è, per quanto possa anche essere diverso da me. In questo modo la persona che presta aiuto gli apre il suo cuore. Diventa parte di lui. Ciò che si è riconciliato nel suo cuore, può anche riconciliarsi nel sistema del cliente. Il disordine dell‟aiutare sarebbe qui il giudizio sugli altri, che spesso è anche una condanna, e lo sdegno ad essa connessa. Chi presta un vero aiuto, non giudica. 4