AIAF
Scuola di Alta Formazione
in Diritto di famiglia, minorile e delle persone
LA SUCCESSIONE NECESSARIA
Milano, 22 novembre 2011
Maria Dossetti
Bibliografia essenziale
BONILINI (diretto da), Trattato di diritto delle successioni e donazioni, Milano, 2009, 7 voll.
CUFFARO E DELFINI (a cura di) Delle successioni, in Commentario del codice civile diretto da
E. Gabrielli, Torino, 2010, 3 voll.
Codice ipertestuale delle successioni e delle donazioni, a cura di BONILINI e CONFORTINI, 2a
ed., Torino, 2011.
1. Il linguaggio del codice
L’art. 457 cod. civ., al terzo comma, stabilisce che “le disposizioni testamentarie non
possono pregiudicare i diritti che la legge riserva ai legittimari”; e la materia è disciplinata
analiticamente negli artt. 536-564, che costituiscono il Capo X del Titolo I del Libro delle
successioni, intitolato, appunto, “Dei legittimari”.
Non compare, invece, nel codice la formula “successione necessaria”, che, tuttavia, è
comunemente impiegata, dalla dottrina come dalla giurisprudenza, per designare la vocazione
alla successione di quei soggetti, detti legittimari, ai quali la legge riserva una quota di eredità
o altri diritti nella successione, e che possono, quindi, essere chiamati alla successione anche
contro la volontà del testatore
Sono largamente utilizzati dal legislatore il verbo “riservare” e il sostantivo “riserva”
(quest’ultimo, ad esempio, nelle rubriche degli artt. 537, 538, 540 e 548 cod. civ.), mediante i
quali viene espressa, con immediatezza, l’idea dell’intangibilità di ciò che spetta ai legittimari,
e compare nel codice anche il termine “legittima”, ad indicare, propriamente, la parte di
patrimonio che costituisce la riserva (artt. 551 e 552 cod. civ.); mentre, per la parte del
patrimonio che non è riservata, la legge impiega i termini “porzione disponibile” o,
semplicemente, “disponibile” (ad esempio, artt. 550, 551, 556 cod. civ.).
Tutte queste espressioni portano su di sé un pesante fardello storico, poiché il nostro attuale
diritto degli eredi legittimari è debitore di una vicenda che si snoda, senza soluzione di
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continuità, dal diritto romano fino alle codificazioni moderne, abbracciando tutta l’Europa
continentale.
Attualmente, però, i termini “riserva” e “legittima” hanno acquistato un significato univoco,
e si possono considerare sostanzialmente intercambiabili. Invece, la formula “successione
necessaria”, che non è penetrata nel codice, potrebbe dar luogo a qualche equivoco.
“Necessità” della successione significa che alcuni soggetti non possono essere privati dei
diritti successori, che la legge garantisce loro, da una contraria volontà espressa dal defunto
nelle disposizioni testamentarie, e/o mediante donazioni dallo stesso compiute in vita, così
che le norme che disciplinano la materia appaiono inderogabili e imperative.
Ciò vale però solo in rapporto alla volontà del de cuius, mentre, dal lato dei destinatari
della vocazione, le medesime norme sono derogabili, in quanto essi non sono obbligati a
venire alla successione. Dunque, i legittimari non sono “eredi necessari”, nel significato con
cui, nelle fonti romane, si parlava di heredes necessarii, che erano quei soggetti che, per il
particolare legame con il defunto, acquistavano l’eredità automaticamente, senza bisogno di
accettazione, né potevano rinunziarvi (solo lo Stato, oggi, potrebbe essere considerato erede
necessario in senso proprio). Nel diritto moderno, invece, nessuno può essere tenuto a
ricevere alcunché, nemmeno quando si tratti di vantaggi o benefici, e dunque i legittimari
sono liberi di succedere, o meno, al de cuius. Inoltre, il legittimario può non essere
“necessariamente” erede anche in un altro senso, e precisamente quando egli abbia già
ricevuto con donazioni quanto gli spetta.
Sicuramente, allora, l’espressione “successione necessaria” non appare del tutto appropriata,
tuttavia essa è entrata nell’uso dei giuristi, e ha anzi una sua utilità, in quanto permette di
distinguere, con una formula sintetica, la successione contro il testamento dalla successione in
mancanza di testamento, che ha anch’essa la sua fonte nella legge e che il legislatore chiama
“successione legittima”.
La successione necessaria e la successione legittima intestata, infatti, hanno entrambe il loro
titolo nella legge, e le loro discipline si ispirano a criteri e principi almeno in parte comuni,
inquadrandosi in una generale figura di successione legittima familiare; il che permette di
confermare e concludere che esse appartengono ad un’unica e più generale categoria,
costituita dalla vocazione legale.
Infine, occorre ricordare che, poiché la successione necessaria presuppone una lesione dei
diritti dei legittimari, ad essa non si fa luogo se il testatore ha istituto eredi i legittimari nella
quota legittima, oppure quando, nella successione intestata, il concorso tra eredi legittimi e
eredi legittimari non provoca una lesione dei diritti successori di questi ultimi (art. 553 cod.
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civ.). In altre parole, successione necessaria e successione nella legittima non sono espressioni
equivalenti, ma la successione necessaria è la successione nella legittima qualificata
dall’impugnazione delle disposizioni lesive dei diritti dei legittimari.
Inoltre, la successione necessaria comporta sempre un acquisto di beni, diversamente dalla
successione intestata e dalla successione testamentaria, che possono essere anche prive di
contenuto patrimoniale attivo. In altre parole, se il defunto non ha fatto donazioni in vita e
muore senza lasciare beni o lasciando un patrimonio gravato di debiti che ne assorbano tutta
la consistenza, non potranno aver luogo se non la successione testamentaria o la legittima
intestata
2. Le categorie dei legittimari
L’art. 536 cod. civ., al primo comma, elenca quattro categorie di legittimari: il coniuge, i
figli legittimi, i figli naturali, gli ascendenti legittimi. Nei commi successivi viene precisato
che ai figli legittimi sono equiparati i figli legittimati e gli adottivi, e che i discendenti dei figli
legittimi e naturali sono parimenti legittimari quando vengono alla successione in luogo del
loro genitore. La riserva di diritti successori presuppone dunque uno status familiare, e
precisamente l’appartenenza alla famiglia ristretta del defunto: quella da lui stesso creata
(coniuge e figli), oppure quella di origine (gli ascendenti).
L’unica innovazione testuale, apportata al testo dell’art. 536 cod. civ. dalla l. 19 maggio
1975, n. 151, di riforma del diritto di famiglia, riguarda l'ordine in cui i legittimari sono
nominati: il coniuge superstite dall'ultimo posto è stato portato al primo, con conseguente
spostamento al secondo posto dei figli legittimi, al terzo sono rimasti i figli naturali, mentre
gli ascendenti legittimi sono stati retrocessi dal secondo all'ultimo posto. Ma naturalmente la
norma assume contenuti ben diversi rispetto alla precedente, essendo mutato il complessivo
quadro di riferimento normativo.
E’ di tutta evidenza che la modifica dell’ordine dei legittimari è solo apparentemente
formale, poiché in essa, in realtà, si manifesta l'aspetto più rivoluzionario della riforma del
sistema successorio: l'attribuzione al coniuge della qualità di erede e il suo ingresso nella
prima cerchia dei successori, dalla quale fino ad allora era stato escluso. Ma non solo. Il
nuovo ordine nell’elenco dei legittimari rispecchia anche una nuova valutazione, sul piano
della rilevanza successoria, delle singole relazioni familiari, così che si può affermare che il
baricentro della vocazione all'eredità viene spostato dalla famiglia parentale alla famiglia
coniugale, con l'attribuzione al coniuge di una posizione di supremazia.
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Quanto alla posizione dei figli, è venuta meno la discriminazione, dal punto di vista
quantitativo, tra figli legittimi e figli naturali, nel senso che viene assicurato al figlio naturale
un trattamento successorio minimo identico a quello del legittimo, sia in mancanza di
coniuge e di figli legittimi, sia in presenza di questi, ma sono state mantenute separate le due
categorie di figli, con riferimento al loro diverso status formale. L'attribuzione ai figli naturali
del medesimo trattamento successorio in presenza di coniuge e figli legittimi è stata criticata
da alcuni tra i primi commentatori della riforma del diritto di famiglia, che hanno espresso
dubbi sulla conformità alla Costituzione di questa scelta del legislatore, che ha posto sullo
stesso piano i diritti dei figli naturali e quelli dei figli legittimi e del coniuge, quando, invece,
la Costituzione questa equiparazione sembra di per sé non richiedere. Del resto, il
mantenimento, a favore dei figli legittimi, della facoltà di commutare la quota riservata ai figli
naturali (art. 537 cod. civ.) è stato probabilmente motivato proprio dalla preoccupazione di
evitare una incompatibilità con “i diritti dei membri della famiglia legittima”, secondo la
formula dell’art. 30, 3° comma, Cost..
Sicuramente, il trattamento successorio minimo, quantitativamente identico, del figlio
naturale e del figlio legittimo non contraddice alla preminenza sul piano patrimoniale della
famiglia legittima, ma si limita a non garantire più rigidamente tale preminenza. D’altro
canto, il fatto che la parità di trattamento tra i figli sia ancora “schermata...dalla necessaria
mediazione formale e selettiva dello status” significa proprio che la nuova posizione
successoria dei figli naturali è stata concepita non con riguardo alla condizione di figlio
simpliciter, ma per attrazione nei confronti rapporto di filiazione legittima, valutato
ancora in un’ottica di preminenza e superiorità”.
La mancata reale assimilazione tra i figli comporta anche che la parificazione tra figli
legittimi e figli naturali operi in modo unidirezionale, poiché la qualità di riservatari, in
mancanza di discendenti del defunto, è riconosciuta ai soli ascendenti legittimi e non anche
agli ascendenti naturali. Tale asimmetria, a danno dei genitori naturali, non sembra possa
trovare una giustificazione razionale nel nuovo diritto successorio, ed infatti vi è chi ritiene
che, secondo una interpretazione coerente con il dettato costituzionale, nella categoria degli
ascendenti debbano essere fin da ora ricompresi indistintamente sia i legittimi che i naturali.
L’opinione, benché autorevole, è rimasta minoritaria, ed anzi, l'eccezione di incostituzionalità
dell'esclusione del genitore naturale dal novero dei legittimari, sollevata pochi anni dopo
l’entrata in vigore delle norme riformate, fu giudicata manifestamente infondata (Trib.
Genova, 8 ottobre 1983, in Giur. it., 1985, I, 2, 183, con nota critica di G. FERRANDO, La
successione del genitore naturale: problemi di legittimità costituzionale).
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Occorre, infine, considerare la posizione rispettiva delle categorie dei legittimari, ossia le
ipotesi di concorso tra di essi: nel nuovo sistema, la vocazione dei figli legittimi o naturali
esclude quella degli ascendenti legittimi, i quali, prima della riforma, concorrevano con i figli
naturali; il coniuge, invece, concorre con gli uni e con gli altri. Può dirsi perciò che vi sono
due classi di legittimari: la classe dei parenti, ripartita in due ordini (figli e ascendenti
legittimi); e la classe del coniuge, che può essere suddivisa anch'essa in due ordini (coniuge
legittimo e coniuge putativo). Nell'ambito di ciascuna classe, i membri del primo ordine
escludono quelli del secondo, mentre si ha concorso tra gli appartenenti all’una e all’altra
classe.
È stato osservato che la radicale esclusione degli ascendenti legittimi da parte dei figli
naturali potrebbe suscitare qualche perplessità di ordine costituzionale, dal momento che nega
- per la presenza di congiunti dell'ereditando, sia pure strettissimi, ma estranei alla famiglia
legittima - qualsiasi rilevanza, sul piano successorio, ad un vincolo di sangue altrettanto
intenso. Un dubbio di costituzionalità è stato sollevato anche con riferimento alla esclusione,
dal novero dei legittimari, dei fratelli e delle sorelle del de cuius, argomentando dal fatto che
sono eredi necessari – in assenza dei genitori – persino i nonni del defunto, che non
appartengono alla sua famiglia d'origine. Ma queste critiche, come si vedrà, non hanno
ragione d’essere se si pone mente al fondamento dell’istituto della successione necessaria.
3. Fondamento della successione necessaria
Le disposizioni a favore dei legittimari costituiscono un limite all'autonomia testamentaria,
e la loro applicazione presuppone un conflitto tra la volontà della legge e la volontà del
defunto. Con l'istituto della legittima il legislatore ha inteso contemperare l'esigenza della
tutela di soggetti legati al de cuius da un vincolo familiare particolarmente intenso, con i
principi dell'autonomia privata, dei quali la libertà di disporre per testamento è una delle
manifestazioni più gelosamente garantite.
Si suole affermare, con formula sintetica ed espressiva, che fondamento della successione
necessaria è la solidarietà familiare sussistente tra i congiunti più stretti. Il legislatore, però, ha
individuato i legittimari non semplicemente con riferimento al loro stretto legame di parentela
con il defunto, ma in quanto tra quest’ultimo e i soggetti beneficiari della riserva era esistita
una particolare relazione familiare, comportante normalmente una condivisione di vita
avente anche riflessi patrimoniali, dei quali appariva opportuno tenere conto. Si tratta di
quei soggetti che spesso hanno già partecipato ai benefici derivanti dal patrimonio del de
cuius, oppure sono coloro che hanno contribuito a conservarne e incrementarne il patrimonio:
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in ogni caso, sembra coerente con la natura del legame esistente tra di essi e il defunto evitare
che dei vantaggi di quel patrimonio non possano in alcun modo godere dopo la sua morte.
Appare, così, giustificato che le categorie dei legittimari siano circoscritte al coniuge, ai
figli, e, in mancanza di questi ultimi, agli ascendenti. Il concorso degli ascendenti con i figli
del de cuius, anche naturali, priverebbe costoro, presumibilmente ancora in giovane età, di
una parte di quel sostentamento, diventato ancora più necessario per la morte del loro
genitore. E, d’altra parte, la presenza dei discendenti garantisce per il futuro agli ascendenti di
ottenere assistenza, almeno nella misura minima degli alimenti.
In sintesi, il fondamento della successione necessaria deve essere individuato nelle concrete
esigenze di tutela di alcuni familiari, e non nella tutela dell’interesse superiore della famiglia,
o di posizioni familiari di livello costituzionale.
Una critica, invece, si deve fare con riguardo alla misura del limite imposto alla libertà di
testare. A seguito della riforma del diritto di famiglia, la quota disponibile può essere ridotta
fino ad un quarto, nel caso di concorso del coniuge con più discendenti, ed anche,
inspiegabilmente, nel caso di concorso tra coniuge e ascendenti, mentre nel testo originario
del codice la disponibile non poteva scendere sotto il terzo del patrimonio. Inoltre, la riserva
dei diritti di abitazione e di uso a favore del coniuge, in aggiunta alla quota in piena proprietà,
riducono ancora la quota disponibile, fino anche ad annullarla se il valore di tali diritti assorba
per intero il valore di essa.
4. La posizione giuridica del legittimario
Secondo i principi generali, prima dell’apertura della successione, agli eventuali
successibili non spetta alcun diritto, né come pretesa sull’eredità, né come aspettativa
giuridica. Dunque, anche la qualità di legittimario dovrebbe acquistare rilevanza giuridica
solo con la morte del de cuius, che costituisce il momento in cui si apre la successione, e ha
inizio la vicenda successoria.
Tuttavia, la condizione di legittimario è fondata su uno status familiae, che si instaura
prima della morte del de cuius; perciò qualcuno si è chiesto se la condizione di legittimario
possa essere “operante” anche prima di quell’evento. La domanda, in passato, non aveva
suscitato particolare attenzione, e ad essa si dava perlopiù una risposta negativa, ma recenti
novità legislative la rendono oggi decisamente pertinente, poiché alla qualità di legittimario il
legislatore ha in alcuni casi ricollegato poteri e diritti anche prima della morte dell’eventuale
dante causa. I casi in questione sono: la nuova disciplina degli effetti della riduzione delle
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donazioni lesive della legittima (art. 563 cod. civ.) e l’introduzione del patto di famiglia
(art. 768 bis – 768 octies cod. civ.).
L’art. 563 cod. civ., nella sua nuova formulazione dovuta alla l. 14 maggio 2005, n. 80, e
successivamente modificata dalla l. 28 dicembre 2005, n. 263, prevede che il legittimario, che
abbia esperito vittoriosamente l’azione di riduzione nei confronti di una donazione lesiva,
possa agire in restituzione nei confronti del terzo acquirente dal donatario solo entro il termine
di venti anni dalla trascrizione della donazione, trascorso il quale non potrebbe più ottenere la
restituzione dell’immobile dal terzo, ma solo il pagamento, a carico del donatario,
dell’equivalente. L’effetto della disposizione, introdotta per favorire la circolazione dei beni
donati, è però limitato dalla previsione del quarto comma dello stesso art. 563, secondo il
quale il termine ventennale “è sospeso nei confronti del coniuge e dei parenti in linea retta del
donante che abbiano notificato e trascritto, nei confronti del donatario e dei suoi aventi causa,
un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione”. La norma prosegue poi stabilendo che il
diritto di opposizione è rinunziabile, e che l’opposizione perde effetto se non è rinnovata
prima che siano trascorsi vent’anni dalla sua trascrizione. I soggetti titolari del diritto di
opposizione, e del correlativo diritto di rinuncia, sono, evidentemente, i “futuri legittimari”,
benché il legislatore li individui mediante il rapporto di natura familiare che li lega
attualmente al donante.
Nella disciplina del patto di famiglia, introdotto nel codice dalla legge 14 febbraio 2006, n.
55, i necessari partecipanti alla stipulazione del patto sono, invece, individuati direttamente
con riferimento alla loro qualità di “ legittimari, ove in quel momento si aprisse la successione
nel patrimonio dell’imprenditore” (art. 768 quater, primo comma). Introducendo questa
nuova figura contrattuale, il legislatore ha perseguito l’intento di disciplinare il passaggio
generazionale dell’impresa al di fuori del tradizionale meccanismo successorio, allo scopo di
garantirne l’efficienza e la stabilità; allo stesso tempo però ha cercato di non perdere di vista
l’esigenza di tutela delle ragioni dei legittimari, esclusi dalla successione nell’azienda o nelle
partecipazioni societarie, sia nell’immediato, sia nella prospettiva dell’apertura della futura
successione, che potrebbe anche veder concorrere legittimari che hanno acquistato tale qualità
dopo la conclusione del patto di famiglia.
Dunque, il diritto positivo conosce oggi eccezioni al principio secondo cui il legittimario, al
pari di altri successibili, non avrebbe “diritti” prima dell’apertura della successione. Benché si
tratti di eccezioni di notevole portata, sembra tuttavia da escludersi che sulla base di esse si
possa arrivare a costruire un principio di carattere generale, che riconosca al potenziale
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legittimario una tutela ante mortem nei confronti degli atti pregiudizievoli delle sue ragioni,
posti in essere dal suo futuro dante causa.
Infatti, si può parlare di lesione di legittima solo al momento dell’apertura della
successione, perché solo allora, cristallizzandosi la situazione patrimoniale del defunto, sarà
possibile effettuare le operazioni che permettono di verificare se sussiste, in concreto, una
violazione dei diritti dei legittimari.
La successione necessaria, dunque, presuppone una lesione di legittima, e si apre per effetto
della dichiarazione di inefficacia, a seguito dell’esperimento dell’azione di riduzione, delle
disposizioni testamentarie e/o delle donazioni lesive. Perciò, il tema centrale della discussione
sulla natura della posizione del legittimario, che, per definizione, è leso o totalmente
pretermesso, è costituito dalla questione se egli possa, o meno, essere considerato erede, e, in
caso di risposta positiva, in quale momento egli acquisti tale qualità.
Una tesi risalente, recentemente riproposta, riteneva che il legittimario dovesse essere
considerato erede fin dal momento dell'apertura della successione..
Secondo un altro, e opposto, orientamento, il legittimario pretermesso non acquista mai la
qualità di erede, in quanto la riduzione delle disposizioni testamentarie lesive gli fa
semplicemente conseguire la parte di beni che gli spetta, così che la sua posizione è quella di
un successore a titolo particolare, assimilabile alla posizione di un legatario ex lege.
Secondo l'orientamento prevalente, tuttavia, il legittimario totalmente pretermesso, pur
non essendo erede al momento dell’apertura della successione, acquista la posizione di erede,
che gli spetta, in seguito all'esperimento dell'azione di riduzione. Si suole appunto dire che la
legittima si chiede in qualità di legittimario, ma si prende in qualità di erede. Se, invece, il
legittimario è stato leso nella quota riservatagli dalla legge, egli diventa erede in seguito
all’accettazione solo nella parte insufficiente nella quale è stato istituito dal testatore, ma
conserva il diritto alla reintegrazione della sua quota di riserva, qualora agisca in riduzione.
In tale ipotesi, occorre ulteriormente chiedersi se, dopo la sentenza di accoglimento della
riduzione, il legittimario pretermesso debba, o meno, accettare l'eredità: l’orientamento
prevalente esclude la necessità dell'accettazione, essendo essa già implicita nella domanda di
riduzione (in giurisprudenza: Cass., 9 dicembre 1995, n. 12632, in Corr. giur., 1997, 1138;
Cass, 19 ottobre 1993, n. 10333, in Giur. it., 1995, I, 1, 918. In senso contrario Cass., 3
dicembre 1996, n. 10775, in Riv. not., 1997, II, 1302, dove si è ritenuto che l'accoglimento
della domanda di riduzione attribuisca al legittimario la posizione di chiamato all'eredità, con
la conseguenza che egli potrà accettare o rinunziare nel termine di dieci anni dalla sentenza
favorevole, dalla quale nasce per lui la delazione ereditaria)
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5. La mobilità della quota riservata
Nel determinare la quota riservata a ciascun legittimario, il legislatore del 1942 ha adottato
il sistema della quota mobile, che varia in funzione della esistenza di più categorie di
riservatari, e del numero di essi presenti in ciascuna categoria.
Il problema principale, che la mobilità della quota attualmente solleva, riguarda gli effetti,
sulla determinazione delle quote di riserva, della rinuncia all’eredità di uno dei legittimari, o
del mancato esperimento, da parte di qualcuno di essi, dell’azione di riduzione.
Secondo l’orientamento attualmente dominante, il legittimario che non viene alla
successione, per rinuncia o per perdita del diritto di agire in riduzione, deve essere considerato
un estraneo, e pertanto il calcolo della quota di riserva deve farsi con riferimento non alla
situazione teorica esistente al momento dell’apertura della successione, ma alla situazione
concreta degli eredi che effettivamente concorrono alla ripartizione dell’asse ereditario. Così,
ad esempio, se uno dei due figli legittimari rinunzia, l’altro avrebbe diritto ad una metà
dell’asse ereditario, poiché il rinunziante sarebbe considerato come mai esistito. L’argomento
fondamentale su cui si basa questa tesi è tratto dall’art. 521 cod. civ., per il quale “chi rinunzia
all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato”, nonché su una lettura degli
artt. 537 e 542 cod. civ., che devono intendersi come riferentisi ai legittimari che vengono
effettivamente all’eredità.
Recentemente, tuttavia, la Corte di cassazione a Sezioni unite, in due decisioni relative a
vicende processuali simili, ha seguito un percorso argomentativo totalmente differente, che
l’ha portata a negare l’esistenza del c.d principio della espansione della quota riservata
(Cass., 9 giugno 2006, n. 13429,
in Corr. giur., 2006, 1711, con nota di U. STEFINI,
Determinazione della quota di riserva in presenza di legittimari rinunzianti all’azione di
riduzione; in Foro it. 2006, I,. 2727, con oss. di A. PALMIERI; Cass., 12 giugno 2006, n.13524,
in Not., 2006, 671, con nota di F. LOFFREDO, La determinazione della quota di riserva
spettante ai legittimari nel caso in cui uno di essi rinunci all’eredità ovvero perda, per
rinuncia o prescrizione, il diritto di esperire l’azione di riduzione; in Guida al dir., 2006, 28,
62, con nota di M. LEO, La rinuncia all’azione di riduzione non può essere considerata
irrilevante; in Giust civ., 2007, I, 2855, con nota di A. BULGARELLI, M. BULGARELLI, Il
legittimario c’è, ma non si vede; in Giur. it., 2007, 1116, con nota di F. PUGLIESE, Criteri per
il calcolo della quota di legittima; in Dir. e giur., 2007, 415, con nota di L. D’ACUNTO, A.
SCUDIERO, In tema di successione nella legittima; in Riv. not., 2007, 164, e nota di M.
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CEOLIN, La determinazione della quota di riserva e alcune considerazioni in tema di rinunzia
all’azione di riduzione, rinunzia all’eredità e accrescimento, in Riv. not., 2008, 201).
La suprema Corte ritiene che, ai fini della individuazione delle quote di riserva spettanti alle
singole categorie di legittimari, nonché ai singoli legittimari nell’ambito della stessa
categoria, occorre fare riferimento alla situazione esistente al momento dell’apertura della
successione, della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari ed ai singoli
legittimari appartenenti alla medesima categoria va effettuata sulla base della situazione
esistente al momento dell'apertura della successione e non di quella che si viene a
determinare per effetto del mancato esperimento, per rinunzia o per prescrizione,
dell'azione
di
riduzione
da
parte
di
qualcuno
dei
legittimari.
Le decisioni della Cassazione presuppongono una successione testamentaria, e si basano
sulla necessaria distinzione dogmatica della rinunzia all’azione di riduzione rispetto alla
rinunzia all’eredità: nella rinunzia all’eredità il soggetto abdica ad una delazione ereditaria
ed è perciò indispensabile avere una regola di redistribuzione della quota rinunciata, mentre
nel caso di rinunzia all’azione di riduzione esiste una manifestazione di volontà del de cuius
che ha determinato una delazione ereditaria completa, seppur suscettibile di impugnazione; a
tale ipotesi, di conseguenza, non sono applicabili analogicamente le norme in tema di rinunzia
all’eredità.
I giudici, infatti, ritengono inopportuno il richiamo agli artt. 521 e 522 cod. civ., e in
particolare alla disciplina degli effetti della rinunzia nella successione legittima. In tale
ipotesi, l’effetto retroattivo della rinunzia e il conseguente accrescimento trovano una
spiegazione logica nel fatto che, diversamente, non si saprebbe quale dovrebbe essere la sorte
della quota che rimane vacante. Nella successione necessaria, invece, la situazione è del tutto
diversa, mancando, da una parte, una chiamata congiunta ad una quota globalmente
considerata, che è il presupposto logico dell’accrescimento, e, dall’altra, non essendovi
incertezze in ordine alla sorte della quota che sarebbe spettata al legittimario, poiché i
donatari, o gli eredi o i legatari conserveranno una porzione di beni del de cuius maggiore di
quella della (teorica) disponibile.
Quanto alla tesi fino ad ora dominante, per cui il calcolo della quota di riserva deve farsi con
riguardo alla situazione concreta degli eredi che effettivamente concorrono alla ripartizione
dell’asse ereditario, essa si basa, secondo i giudici, su una lettura errata degli artt. 537, 538,
542 cod. civ., nei quali le espressioni “se chi muore lascia”, e le altre simili, vanno intese
come riferentesi alla situazione esistente al momento dell’apertura della successione.
L’argomento letterale viene poi avvalorato da una considerazione sulla ratio della successione
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necessaria: essa ha non solo lo scopo di garantire ad alcuni parenti una porzione del
patrimonio del de cuius, “ma anche (come rovescio della medaglia), quello di consentire a
quest’ultimo di sapere entro quali limiti, in considerazione della composizione della propria
famiglia, può disporre del suo patrimonio in favore di terzi”. Questa esigenza di certezza
verrebbe frustrata, se tale quota dovesse variare, dopo l’apertura della successione, in
funzione del numero dei legittimari che agissero in riduzione.
I giudici mettono, poi, in evidenza gli inconvenienti pratici, a cui darebbe luogo la presenza
del termine decennale di prescrizione dell’azione di riduzione. All’atto dell’apertura della
successione, ogni legittimario può agire in riduzione con riferimento alla quota che gli spetta
in quel momento, mentre solo in caso di rinunzia all’azione o prescrizione della stessa
relativamente agli altri legittimari, potrebbe agire per ottenere un supplemento di legittima,
con evidente incertezza della sorte di una quota di beni di cui il de cuius ha disposto, per
donazione o per testamento, in favore di terzi.
In definitiva, conclude la Cassazione, “il legislatore ha considerato iniquo il fatto che il de
cuius disponga dell’intero suo patrimonio a favore di estranei nel caso in cui abbia solo
discendenti o solo ascendenti, ma non ha considerato, invece, iniquo il fatto che rimangano
fermi gli atti con i quali il de cuius, il quale lasci discendenti e ascendenti, abbia disposto
dell’intero suo patrimonio a favore di estranei, nel caso in cui i discendenti (unici legittimari
considerati) non esperiscano l’azione di riduzione”.
Le decisioni non sono state esenti da critiche, ma vi è stato un consenso diffuso per
l’accento posto su alcuni profili della successione necessaria, che in questa occasione la
Cassazione ha valorizzato, in funzione interpretativa. Così, è stata valutata in termini positivi
la considerazione riservata all’esigenza di consentire al de cuius di conoscere,
indicativamente, in ragione della consistenza della propria famiglia, entro quali limiti potrà
disporre delle proprie sostanze a favore di estranei, senza che tale calcolo venga poi frustrato
dalla valutazione successiva di chi decide o meno di agire in riduzione; e neppure è da
sottovalutare la semplificazione che la soluzione adottata dalla Cassazione apporta al calcolo
delle quote di riserva. Ma soprattutto si è rilevato che la Cassazione si è posta dal punto di
vista della libertà del de cuius, piuttosto che da quello della protezione dei legittimari,
inserendosi in un orientamento volto “a smussare gli angoli della successione necessaria” e a
privilegiare, in luogo degli stretti congiunti, la libertà del de cuius e le istanze di certezza.
6. Il problema attuale della successione necessaria
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Da qualche tempo si registra un malessere sempre più diffuso nei confronti della rigidità del
nostro sistema della successione necessaria.
Il legislatore ha raccolto in parte le istanze di cambiamento in alcune recenti riforme
legislative. La modifica degli artt. 561 e 563 cod. civ. ha introdotto un limite al potere del
legittimario, che agisce in riduzione, di chiedere la restituzione dei beni donati alienati a terzi,
se sono trascorsi vent’anni dalla trascrizione della donazione. La nuova disciplina del patto di
famiglia (artt. 768 bis e ss. cod. civ.) vuole conciliare il diritto dei legittimari con l’esigenza di
garantire la continuità dell’azienda, sottraendone il trasferimento all’alea dell’ordinario
meccanismo successorio familiare.
Questi interventi, pur se settoriali, lasciano intendere che i diritti dei legittimari non sono
più intoccabili, ma possono essere limitati quando si tratta di realizzare interessi meritevoli di
tutela, come, ad esempio, la certezza dei traffici giuridici o la libertà di disporre delle proprie
sostanze, mediante atti di liberalità tra vivi o per causa di morte.
Ma è lo stesso istituto della successione necessaria che potrebbe essere messo direttamente
in discussione. In questa direzione era orientato il disegno di legge S. 1043 del settembre
2006, che prevedeva la totale eliminazione dal nostro ordinamento dell’istituto della
successione necessaria. L’obiettivo di quel disegno di legge, decaduto per la fine anticipata
della legislatura, è stato riproposto con il disegno di legge S. 576, presentato al Senato il 16
maggio 2008.
Nella Relazione alla proposta di riforma le ragioni portate a sostegno dell’abrogazione
“dell’arcaico istituto della successione necessaria” si muovono sostanzialmente lungo due
direttrici. Si contesta, da una parte, che la successione necessaria possa ancora giustificarsi
come strumento di attuazione della solidarietà familiare; mentre, dall’altra, si afferma che la
preoccupazione eccessiva per una tutela dei familiari si risolve nel sacrificio di esigenze
ugualmente degne di tutela: l’autonomia testamentaria e la libera circolazione dei beni.
Quanto al primo aspetto, si osserva che i mutamenti sociali ed economici intervenuti nella
odierna realtà familiare rendono anacronistiche le aspettative dei figli sul patrimonio dei
genitori, poiché questi, fino ad età avanzata, contribuiscono al loro mantenimento e ai loro
studi, a conclusione dei quali i figli lasciano la famiglia, senza che vi sia stato, o vi possa
essere un loro effettivo contributo alla conservazione e all’incremento del patrimonio
familiare. E si aggiunge, richiamando un antico motivo, che per i legittimari più “fortunati”, il
fatto di poter contare su cospicue fortune, potrebbe essere “occasione per renderli poco
propensi al sacrificio, al lavoro...”.
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Quanto al secondo profilo, la Relazione enfatizza il principio della libertà di testare,
considerato “diritto costituzionalmente garantito”, fondato sulla “sovranità dispositiva del
proprietario”, ora sottoposto, senza una valida giustificazione, a limiti che non solo
impediscono al de cuius di disporre liberamente delle proprie sostanze, ma anche di
provvedere alle necessità dei prossimi congiunti tenendo conto dell’effettivo bisogno, o della
sussistenza di un concreto rapporto affettivo.
Il disegno di legge appare sicuramente troppo radicale, sia con riguardo alcuni motivi
ispiratori, sia nelle soluzioni proposte, ma le esigenze di cui si fa portatore meritano
attenzione e approfondimento.
Ad esempio, l’esaltazione dell’autonomia del testatore pare venata di un ottimismo alquanto
fuori della realtà, poiché non sempre le disposizioni di una persona anziana, prese nell’ultimo
periodo della sua vita, sono le migliori possibili, anche, eventualmente, con riferimento agli
interessi che più le stanno realmente a cuore. Una illimitata libertà testamentaria dovrebbe
allora essere assistita da una disciplina rigorosa dei vizi della volontà, ed anche da norme di
maggior garanzia riguardo alla forma del testamento. E comunque, vi sarebbe sempre il
rischio di un aumento della conflittualità tra eredi designati e familiari dimenticati, con il
moltiplicarsi e il prolungarsi delle cause sulle eredità.
D’altra parte, benché sia constatazione condivisa che la libertà testamentaria è notevolmente
compressa dal sistema attuale della legittima, non sembra che la tutela dell’autonomia del de
cuius esiga l’abolizione totale della successione necessaria, ma piuttosto una revisione della
sua disciplina, che porti ad un miglior bilanciamento tra gli interessi potenzialmente in
contrasto. In altre parole, sarebbe di nuovo sbilanciata una riforma che sostituisse l’egemonia
del principio della libertà di testare all’egemonia della tutela della posizione di alcuni familiari
del defunto.
Conviene, quindi, esaminare ora le considerazioni, di vario segno, intorno al fondamento
familiare della successione necessaria.
Secondo la Relazione al disegno di legge, la famiglia non è più una comunità di produzione,
ma eventualmente una “comunità di consumo, educazione e tempo libero”. I figli, dopo aver
goduto dei benefici del patrimonio dei genitori per la loro formazione, abbandonano la
famiglia, e, non avendo contribuito alla conservazione e all’incremento del patrimonio
familiare, nemmeno vi provvedono successivamente. L’aspettativa di vita è aumentata, e
dunque, nella realtà, sono spesso il coniuge ed eventualmente i genitori ad avere bisogno di
aiuto. D’altra parte, la mobilità e l’instabilità delle relazioni familiari rende superato un
sistema di rigida ripartizione di una parte del patrimonio tra alcuni congiunti,
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indipendentemente dal rapporto di effettiva condivisione di necessità e di affetti, al punto che
se era opinabile che il sistema fosse idoneo a garantire e promuovere la solidarietà tra i
congiunti più stretti, oggi potrebbe addirittura essere visto come un ostacolo alla sua
realizzazione.
In molte di queste considerazioni ci sono degli elementi di verità.
Il fatto che la posizione di legittimario abbia, come unico presupposto, la sussistenza dello
status formale di figlio, di coniuge, di ascendente, al momento dell’apertura della successione,
potrebbe, in concreto, entrare in contraddizione con la funzione stessa della successione
necessaria, quella di essere lo strumento per prolungare, oltre la morte del de cuius, il vincolo
di solidarietà familiare che lo legava ai superstiti. Il criterio dello status “fotografa”,
cristallizzandoli, i rapporti familiari, ma non può certo dar conto del loro contenuto e della
loro evoluzione.
Già all’indomani dell’entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia, Arturo Carlo
Jemolo, riferendosi alla nuova disciplina della successione del coniuge, si chiedeva: “non
sarebbe stato possibile graduare la successione secondo la durata del vincolo? Era proprio
necessario equiparare il coniuge tale da trent’anni e quello tale da tre settimane?”. E la
domanda è ancora più attuale oggi, di fronte al crescere del fenomeno delle seconde, e delle
successive, nozze, conseguente all’abbandono del regime di indissolubilità del matrimonio.
Quanto ai figli, il criterio dello status mette sullo stesso piano i figli minori, o comunque
ancora bisognosi di assistenza, e quelli affetti da handicap, che mai potranno raggiungere
l’autosufficienza, con i figli ormai indipendenti, ed anche con quelli che si sono allontanati
dalla famiglia, eventualmente rifiutando di adempiere ai doveri di solidarietà familiare.
Al di là di queste considerazioni, tuttavia, il fondamento familiare della successione
necessaria non può essere ripudiato, poiché negherebbe una realtà, ossia che, nella
maggioranza dei casi, la famiglia permane al centro dei rapporti successori. Ed è, questa, una
tradizione ancor viva in quasi tutti i Paesi europei, dove, infatti, l’istituto della legittima
ancora sussiste, seppure con ampiezza diversa da ordinamento a ordinamento.
Dunque, piuttosto che pensare ad abbandonare il sistema della successione necessaria,
occorrerà elaborare soluzioni che permettano di modulare la rilevanza del vincolo parentale in
funzione del “bisogno” e del “merito”.
Così, per quanto riguarda il coniuge, i suoi diritti successori dovrebbero essere coordinati
con il regime patrimoniale del matrimonio, e con la sua durata; e si dovrebbe inoltre poter
tener conto della sussistenza dello stato di separazione, che attualmente, se non vi è stato
addebito, non priva il coniuge dei suoi diritti successori. Quanto ai figli, occorrerebbe tener
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conto della loro dipendenza economica dal genitore deceduto, dipendenza che normalmente
diminuisce progressivamente con l’età; e dovrebbe poi essere assicurata la tutela della persone
disabili o anziane. Sotto questo profilo, l’eliminazione dal novero dei legittimari degli
ascendenti potrebbe apparire contraddittorio: essi, infatti, sono legittimari soltanto in
mancanza di figli del de cuius, ossia in una situazione in cui si è interrotto il susseguirsi delle
generazioni, e i genitori, rimasti soli, dovrebbero contare solo sulle proprie forze per
affrontare la vecchiaia.
Come strumenti tecnici per realizzare la flessibilità della successione necessaria vengono
indicati l’ampliamento dell’autonomia testamentaria, sia in termini quantitativi che in termini
qualitativi, e la previsione di attribuzioni successorie che non consistano in una quota di
eredità, bensì in un diritto di natura obbligatoria verso l’eredità, con carattere alimentare.
Quanto all’ampliamento dell’autonomia del testatore dal punto di vista quantitativo, non vi
sono dubbi sull’opportunità di ridurre l’entità delle quote riservate: ciò permetterebbe al
testatore non soltanto di destinare parte del patrimonio a persone o enti estranei alla famiglia,
per realizzare scopi ulteriori rispetto a quelli della pura solidarietà familiare, ma gli darebbe la
possibilità di “premiare” quei familiari, eventualmente anche legittimari, con i quali si era
instaurato un concreto rapporto affettivo e/o assistenziale, oppure di provvedere ai bisogni dei
familiari più deboli. Per attuare, invece, una maggiore libertà testamentaria dal punto di vista
qualitativo, si propone di introdurre e disciplinare la facoltà di diseredazione, nei riguardi dei
legittimari che abbiano tenuto comportamenti riprovevoli nei confronti del de cuius, novità
alla quale andrebbe comunque affiancata una riforma dell’istituto dell’indegnità a succedere,
attualmente circoscritto a casi gravissimi.
Secondo l’altra direttrice proposta, si dovrebbero ampliare le ipotesi delle cosiddette
“successioni anomale”, in cui al familiare è riconosciuto il diritto ad una assegno a carico
dell’eredità, quando risulti il suo stato di bisogno: in questo senso, potrebbe essere modificato,
ad esempio, il diritto successorio degli ascendenti.
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