Diocesi di Piacenza-Bobbio Servizio Documentazione Cinema President Presentazione del testo di don Luigi Giussani “Il rischio educativo” 7 Marzo 2006 Testimonianze di Marco Bersanelli (docente di astrofisica Statale Mi e presidente Centro Comunione e Liberazione) , Paola Scevi (docente diritto migrazioni Cattolica Pc e Bo) Conduce Ferrari Luciano (responsabile diocesano C.L.) - Omissis Mons. Luciano Monari, Vescovo, Diocesi Piacenza-Bobbio - Vice presidente CEI Alcuni punti che nel libro di don Giussani mi hanno colpito Provo molto semplicemente a dire alcuni punti che nel libro di don Giussani mi hanno colpito, mi hanno fatto riflettere, e che ritengo importanti e preziosi. 1. La vita dell’uomo, e la storia dell’uomo, è un processo cumulativo di intelligenze, di esperienze, che vengono trasmesse da una generazione a quella successiva. Innanzitutto l’affermazione chiarissima che la vita non è un sistema logico del tipo “Elementi di Euclide” 1, in cui si parte da zero e pian piano con alcune premesse si costruisce tutto un edificio logico coerente per deduzione. Don Giussani ha chiarissima la percezione che la vita non è una costruzione mentale, ma è invece una esperienza che viene trasmessa da una generazione all’altra con tutta la sua ricchezza e la sua complessità, e che l’intelligenza della persona cerca di comprendere sempre meglio e di modificare e di completare e di arricchire. Insomma, la vita dell’uomo, e la storia dell’uomo, è un processo cumulativo di intelligenze, di esperienze, che vengono trasmesse da una generazione a quella successiva. E se uno vuole vivere una esistenza che sia realmente umana non può illudersi di partire da zero, cioè di cancellare tutto quello che c’è stato prima di lui e ripartire con il suo pensiero come se il pensiero fosse in grado di costruire la vita. Se vuole vivere correttamente parte con il patrimonio che ha ricevuto, e che è stato elaborato attraverso generazioni di persone, e sul quel patrimonio lavora; non deve “ingoiarlo passivamente”, ma lo deve mettere sotto critica e verificare, lo deve rielaborare personalmente, lo deve arricchire e modificare in alcuni dei suoi punti, ma a partire di lì: se toglie quello toglie la base e non viene fuori più una esistenza umana autentica e corretta. 1 Elementi di Euclide. Euclide (Alessandria d'Egitto, attivo nel 300 ca. a.C.), matematico greco. Formatosi probabilmente ad Atene presso l'Accademia platonica, Euclide insegnò geometria ad Alessandria d'Egitto, dove fondò una scuola di matematica. Il suo capolavoro, gli Elementi (in greco Stoicheia), è un trattato di matematica composto di tredici libri concernenti la geometria piana, le proporzioni, le proprietà dei numeri (vedi Teoria dei numeri), le grandezze incommensurabili e la geometria dei solidi. Frutto dell'applicazione sistematica del metodo deduttivo, gli Elementi di Euclide sono stati utilizzati per duemila anni come manuale didattico: persino oggi una versione rivista dei suoi primi libri costituisce la base della didattica della geometria piana nelle scuole superiori. A Euclide sono stati attribuiti anche i Dati, raccolta di teoremi in 95 proposizioni; i Fenomeni, una descrizione geometrica delle sfere celesti; l'Ottica, un trattato di ottica geometrica e Delle divisioni, una trattazione matematica della musica: la maggior parte degli storici ritiene tuttavia che alcune opere – eccezion fatta per gli Elementi – gli siano state attribuite erroneamente. 1 Voglio dire, la mia umanità è stata costruita da genitori, nonni, bisnonni… da tutti quelli che sono stati prima di me, e non posso illudermi di diventare uomo cancellando questo patrimonio. Questa è la prima affermazione, che secondo me è preziosa, perché un tantino tutti siamo figli di Cartesio 2 ed è una illusione cartesiana di potere partire dal “cogito ergo sum” 3 e costruire il mondo intero a partire da quella base. 2. Quando un bambino nasce gli viene trasmesso un codice genetico vitale e culturale. Una seconda affermazione legata con la prima. L’affermazione che quando un bambino nasce gli viene trasmesso un codice genetico, ma gli viene trasmesso anche un codice genetico vitale e culturale. Non semplicemente il codice genetico biologico, ma tutta una serie di valori, di convinzioni, anche abitudini, che sono per il bambino il patrimonio di partenza da rielaborare. Quando due genitori mettono al mondo un bambino in qualche modo implicitamente gli debbono anche trasmettere il perché lo hanno messo al mondo: che cos’è questo mondo in cui loro lo hanno messo inevitabilmente? Non è che la domanda verrà fatta dal ragazzo. Ma adesso gli adolescenti cominciano anche a farla la domanda; ai miei tempi non ci attentavamo a chiedere ai genitori: perché mi hai messo al mondo?. Ma è una domanda in qualche modo implicita ed è inevitabile. Se i genitori danno la vita evidentemente devono essere convinti che la vita sia un valore, che valga la pena di essere vissuta, che il mondo nel quale introducono il bambino sia certamente un mondo che ha tante fatiche, sofferenze, ambiguità… ma che sia fondamentalmente una realtà positiva, altrimenti non è etico e giusto mettere al mondo un figlio. Allora a questa domanda i genitori debbono rispondere. “Educare”, vuole dire tante cose ma si parte di lì: si parte dal dire al bambino “quale significato ha quella vita che io ti ho donato, e come tu possa vivere in quel mondo nel quale io ti ho introdotto”. Questo in qualche modo i genitori debbono dirlo al bambino. “Debbono dirlo”, non vuole dire che lo debbono dire con le parole, anche con le parole quando viene fuori la domanda esplicita; ma lo dicono con il loro modo di vita, con l’esperienza nella quale introducono il bambino, lo dicono con il loro affetto, con la loro speranza. Se hanno speranza nella vita e nel mondo evidentemente trasmettono questa percezione grande del valore che la vita in questo mondo possiede. Non so se ricordate (ma non lo leggo perché diventerebbe lungo) quel libro famoso (di quando ero ragazzo ma già abbastanza un pochino cresciuto) di Oriana Fallaci, “La lettera a un bambino mai nato”: quando questa donna tenta di spiegare il perché abbia messo al mondo quel bambino. Il “bambino” è evidentemente una domanda (alla quale la Fallaci fa una grande fatica a rispondere, ma adesso non interessa), ed è proprio la posizione del problema la cosa fondamentale. 3. La condizione previa perché io possa sottomettere a critica l’esperienza che mi è stata proposta è quella di viverla intensamente. Il terzo punto del Libro di don Giussani che mi ha colpito e secondo me è prezioso. Diventa possibile sottoporre a critica quel patrimonio culturale, spirituale, umano, religioso e antropologico, che abbiamo ricevuto dalle generazioni che ci hanno preceduto (dai genitori e dai nonni e dai bisnonni…), solo vivendolo con un impegno serio e totale. Vuole dire, se voglio verificare la validità di quel patrimonio che ho ricevuto, il primo passo non è staccarmi e chiudermi in una torre dove non ci sia nessun influenza dell’ambiente esterno o di quello che mi ha preceduto, e lì fare la verifica razionalmente logicamente; ma piuttosto il cammino è quello di prendere veramente sul serio - con tutto se stesso, con la propria intelligenza e sensibilità 2 Cartesio. Descartes, René (La Haye, Turenna 1596 - Stoccolma 1650), noto anche col nome italianizzato di Cartesio, filosofo, scienziato e matematico francese, considerato il fondatore della filosofia moderna. 3 Cogito ergo sum. (latino “penso dunque esisto”. Constatazione fondamentale dell’esistenza del soggetto pensante annunciata dal filosofo francese René Descartes, che divenne l’assioma fondamentale di tutta la filosofia cartesiana. 2 - quel patrimonio e viverlo, perché è nel viverlo che viene verificato; quindi non solo pensarlo, ma nel pensare il modo di vivere e di realizzare quel patrimonio nella propria esperienza. Insomma, la condizione previa perché io possa sottomettere a critica l’esperienza che mi è stata proposta è quella di viverla intensamente. Perché se la vivo “mezzo e mezzo” con una specie di scetticismo originario, per cui non credo in niente del tutto, alla fine non ho mai la possibilità di verificare se quello che ho vissuto è autentico o no, se è fondato o no, se è umano o no. C’è un versetto nel vangelo di san Giovanni che è molto bello, è Gesù che dice ai Giudei: «[17]Chi vuol fare la volontà di Dio, conoscerà se questa dottrina – le mie parole - viene da Dio, o se io parlo da me stesso» (Gv 7, 17). Cioè, se vuoi giudicare e valutare correttamente devi porre all’origine una volontà radicale, decisa e piena, di impegnarti in quello. Allora puoi dire: è giusto o è sbagliato. Se l’impegno non c’è non c’è la possibilità di fare un giudizio reale sulla vita. Per quello che dicevo prima: se la vita fosse un sistema logico non c’è bisogno dell’esperienza, ma se la vita è invece una ricchezza di esperienza che contiene in sé un significato e un valore, allora bisogna metterci tutto se stesso. E allora uno ne comprende il valore e i limiti, s’intende anche i limiti: perché quello che abbiamo ricevuto dai genitori non è perfetto, non è completo; fin che non siamo nella vita eterna il completamento manca, e quindi il bisogno di aggiungere e di criticare ci sta dentro bene. 4. La critica e la verifica si fa confrontando l’esperienza che sto vivendo con quell’anelito permanente di cui è fatto il cuore dell’uomo. Il quarto punto è che questa critica e verifica si fa confrontando l’esperienza che sto vivendo con quell’anelito permanente di cui è fatto il cuore dell’uomo. Questo credo che sia molto bello, almeno a me piace, perché vuole dire: il cuore dell’uomo, chiunque egli sia - a qualunque cultura appartenga, e quale che sia il linguaggio in cui ha imparato a articolare la sua esperienza - il suo cuore tende a qualche cosa che si può definire come il vero, il bello e il buono. E la verità della vita si verifica nella armonia o nella disarmonia tra quello che io sto vivendo e questo anelito profondo. Credo che questo voglia dire molto semplicemente: che “vero” dal punto di vista vitale è quello che permette all’uomo di crescere e di arricchire se stesso, quello che permette all’uomo di andare un po’ più vicino a quel “vero” e a quel “bello” che lui radicalmente desidera, e che significa la pienezza della sua speranza, del suo desiderio più profondo. Questo credo sia importante perché il Card. Ratzinger (dico “Cardinale” perché sono cose che lui ha detto quando era ancora cardinale, non è ancora magistero pontificio) dice: “Uno dei motivi per cui nella cultura contemporanea il cristianesimo fa fatica a farsi comprendere e accettare è questa: è la percezione che il cristianesimo e l’esperienza cristiana si presenti come una diminuzione della ricchezza dell’uomo; come se il cristianesimo consistesse in una serie di paletti di no, di proibizioni, di impedimenti, che mortificano quel desiderio profondo di vita che ogni uomo si custodisce nel profondo”. Qui nel Libro di don Giussani siamo esattamente all’opposto, perché è vero il contrario: “La verità del cristianesimo si misura nella sua capacità di umanizzare l’uomo”, cioè di renderlo ricco nelle sue dimensioni umane il più possibile, quanto più è pensabile. Si potrebbero trovare i testi, ma i testi ve li risparmio quasi tutti perché sarebbero molti da citare. Dice don Giussani: “Il giovane “rovista dentro il sacco” e con questa critica paragona quel che vede dentro, cioè quello che gli ha messo sulle spalle la tradizione, con i desideri del suo cuore” (- la verifica è questo confronto: quello che ho ricevuto nella tradizione e i desideri del cuore -). E il criterio ultimo del giudizio, infatti è in noi, altrimenti siamo alienati. E il criterio ultimo che è in ciascuno di noi è identico: è esigenza di vero di bello e di buono”. 3 5. L’educazione è in fondo una introduzione alla realtà intera. Quinto punto. Dice don Giussani (questo è ripetuto anche in quelle espressioni che sono state messe fuori all’ingresso): “L’educazione è in fondo una introduzione alla realtà intera. È un cammino che porta la persona a uscire in qualche modo da sé e a entrare in relazione autentica, vera, con il mondo, con la realtà intera e il suo significato, senza oscuramenti”. Cioè senza cancellare aspetti della realtà, senza diminuirla con delle specie di scotomi, di elementi che sono in ombra. No, il cuore dell’uomo è aperto a tutta la realtà, a tutte le dimensioni della realtà. Questo non significa che l’uomo riuscirà a capire tutto (ci mancherebbe altro, sarebbe Dio), ma vuole dire che non ci sono per principio delle zone sulle quali l’uomo non si possa fare delle domande, e alle quali non possa tentare di rispondere; con la percezione di quanto profonda e fondata sarà la sua risposta, dei limiti che la risposta possiede, ma senza esclusioni di principio. 5.1. Questa visione positiva della realtà, e questa visione non impaurita della persona che va alla ricerca della verità, per me è affascinate. E questa è una delle cose che nei discorsi di Giussani a me piace tantissimo. Lui lo chiama “ecumenismo”, perché dice: “Un atteggiamento di questo genere è ecumenico”. E per ecumenico intende esattamente questo: “Per sua natura il cristianesimo è ecumenico, e la fede cristiana è ecumenica, pretendendosi verità non solo non ha paura di accostamenti ma da ogni incontro innanzitutto estrae quel che è vero, ciò che è già suo, costruendo il proprio volto nella storia con questa magnanimità per cui di tutto ciò che incontra guarda l’aspetto vero, lo esalta, dice se è giusto, se è buono, se è vero”. Vuole dire: il non avere paura di niente, perché se davvero il cammino che tu fai è rivolta a quella verità e bontà e bellezza che ricordavamo, dovunque tu lo trovi, verità o bontà o bellezza, questa è roba tua fa parte del tuo anelito, fa parte della tua scelta originaria. Capisci poco alla volta quali sono le conseguenze e i contenuti di quella scelta originaria a favore della realtà e a favore del bene. E i contenuti concreti li assimili poco alla volta nelle esperienze che fai aprendoti alla realtà senza riserve. “Invece, chi è cosciente di non avere la verità, ma una immagine arguibile e discutibile di essa, non può non difendersi, non attestarsi sulla difensiva, abbandonando il resto caso mai nel migliore dei casi a una tolleranza. Noi siamo abituati a cercare ogni cosa, “ogni cosa”, per quel poco di bene che possa avere dentro ed esaltarla, sentirla fraterna, compagna di viaggio; perciò è un abbraccio universale”. Questa visione positiva della realtà, e questa visione non impaurita della persona che va alla ricerca della verità, per me è affascinate. 6. “La necessità di una compagnia con la quale condurre l’esperimento della vita”. Ultimo punto; dice don Giussani: “La necessità di una compagnia con la quale condurre l’esperimento della vita”. Per potere comprendere la vita bisogna sperimentarla, ma per sperimentarla bisogna essere insieme; non si sperimenta la vita da soli, mai! Sono le relazioni con gli altri quelle che rendono umana una esistenza. Allora il bisogno di un contesto di comunione, di dialogo e di comprensione, diventa fondamentale perché la persona possa effettivamente ritrovare la sua umanità. 4 7. La speranza nell’uomo è in quella libertà e maturità che l’uomo è in grado di raggiungere. La conclusione la prendo a pag. 108 del testo di don Giussani, perché dice tutto in quelle poche parole: tutto quel processo che secondo don Giussani è il cammino della crescita, dell’essere educato. “Primo. La posizione precisa di una ipotesi di senso totale della realtà”. È l’offerta della tradizione, si parte così: si parte con “l’ipotesi” che mi è trasmessa dai miei genitori o dalla comunità in cui vivo. “Secondo. La presenza di una ben precisa reale autorità, luogo di tale ipotesi, unica condizione di coerenza nel fenomeno educativo”. Appunto, perché non sia una visione semplicemente mentale. “Terzo. La sollecitazione del giovane ad un impegno personale di verifica della ipotesi”. “Quarto. L’accettazione del crescente ed equilibrato rischio del confronto autonomo tra l’ipotesi e la realtà nella coscienza dell’adolescente”. Quel confronto tra: quello che l’io, cioè il senso dell’io con la realtà che incontro, e la verifica a partire dal mio anelito, dalla mia tendenza verso il vero e il buono, è evidentemente personale. Nessuno la può fare per l’altro, ed è anche rischiosa perché quale sia il risultato non lo possono decidere i genitori o non lo possono decidere i catechisti o i maestri. Lì è la persona che gioca se stessa. Ma questo rischio educativo è fondamentale perché il risultato sia la persona libera e matura. In questo c’è una speranza grande; cioè la speranza nell’uomo è in quella libertà e maturità che l’uomo è in grado di raggiungere. * Cv. Documento rilevato come amanuense dal registratore, scritto in uno stile parlato e in una forma didattica e con riferimenti biblici, ma non rivisto dall’autore. 5