lezione psicopatologia 9

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Prof. L. Janiri
Università Cattolica del Sacro Cuore – Policlinico “A.Gemelli” Roma
Identità: definizione
• Il concetto di Identità si può riferire a individui, gruppi,
culture, società e nazioni.
• La Psichiatria si è centrata sui Disturbi dell’Identità
Personale ovvero sulle alterazioni di quella forma di
Identità che caratterizza i singoli individui.
• L’Identità per quanto nozione semplice ed evidente nella
nostra quotidianità, si mostra come un complesso percorso
che unisce aspetti e momenti diversi lungo l’intera
esistenza.
• L’Identità è un vissuto soggettivo ma è anche un dato
stabilito con gli altri e dagli altri, nel “ruolo” che il contesto
propone.
Sviluppo storico del concetto di
Identità
 La Psicopatologia tradizionale, nella sua fondazione
jaspersiana, si è occupata del “sentimento di
esistere” più che dell’Identità.
 Bisogna giungere alla Psicopatologia più recente per
veder nascere un’attenzione particolare al tema
dell’Identità e al suo coinvolgimento nella
patologia mentale.
L’Identità per Jaspers
 Jaspers nella Psicopatologia Generale nel paragrafo sulla
Coscienza dell’Io, si sofferma sul tema dell’Identità e appare
centrale che: “il fatto che lo psichico, sia esso percezione,
sensazione del corpo, ricordo, rappresentazione, pensiero,
sentimento, acquisti questo speciale tono del Mio, dell’Io,
del Personale, del proprio operare”.
 Inoltre per Jaspers la “Coscienza dell’Identità” è la
“Coscienza di essere identici nel susseguirsi del tempo”:
l’Identità infatti può entrare in crisi per il proporsi di un
elemento diverso, di un cambiamento troppo rilevante e
repentino per essere riassorbito e rielaborato.
Dall’ “Io sono” al “Chi sono”
 Il sentimento di essere è il presupposto di ogni
specificazione di Identità: è cruciale dunque il passaggio
dall’ “Io sono” alla domanda sul “Chi sono”.
 Con l’ “Io sono” si assume la coscienza di esistere, nella
modalità immediata del Cogito cartesiano: si tratta
dunque di un aspetto dell’ Identità a-storica del
riconoscersi in ogni frangente come l’agente dei propri atti
psichici.
 Con il “Chi e cosa sono io” ci si addentra in un percorso che
terrà conto di quel che è, quel che è stato e di quel che potrà
essere di me: assumere la dimensione del tempo come
costitutiva della mia identità e farne il “Mio tempo”.
Un raccordo tra l’Identità-Idem e
l’Identità-Ipse
 Il filosofo Ricoeur (1990) si è soffermato sull’Identità del Sé
offrendoci degli spunti per un confronto con quanto accade
nella patologia dell’Identità umana.
 Necessario un incontro tra Identità-Idem e Identità Ipse,
ovvero tra “essere gli stessi” ed “essere se stessi”: “ Una vita è
la storia di questa vita, Comprendere se stesso equivale ad
essere capace di raccontare su se stesso delle storie
intellegibili e accettabili alla ricerca di narrazione.”.
 Questo ci rimanda alle forme psicotiche più gravi: nella
Psicosi si può giungere al delirio sulla propria identità ma
si tratta ancora di una narrazione sul Sé solo che
totalmente “inaccettabile”.
Identità di Genere: definizione
 L’ Identità di Genere si incarna nel senso profondo e
intimo della propria individualità esperita e conosciuta
come maschile o femminile.
 Non è assimilabile all’Identità di Ruolo, ovvero alla
semplice assunzione degli stereotipi estetici e
comportamentali che in un particolare contesto socioculturale, vengono attribuiti al genere maschile o
femminile (espressione sociale dell’Identità di genere).
 Va distinta inoltre dall’orientamento sessuale che
qualifica ciò che risulta eroticamente attraente per
l’individuo.
Disturbi dell’Identità di Genere
 I soggetti con disturbi dell’Identità di Genere mostrano
una profonda identificazione con il sesso opposto al
loro sesso anatomico e un intenso e persistente disagio
rispetto alle caratteristiche anatomiche di tipo sessuale
che, per convenzione socio-culturale, sono distintive
del proprio genere.
 Rientrano in questa definizione: il travestitismo a
ruolo doppio e il transessualismo.
Sviluppo storico dei Disturbi
dell’Identità di Genere
 Condizioni riferibili a disturbi dell’Identità di Genere
sono state riportate sin dall’antichità e rientrano in
diverse culture senza cadere necessariamente nella
definizione di fenomeni patologici.
 Nel 1887 Von Krafft-Ebing indicò un possibile legame
tra disturbi della sessualità e psicopatologia.
 Hirschfeld fu il primo a occuparsi dei disturbi
dell’Identità di Genere coniando nel 1910 il termine di
“Travestitismo” per tratteggiare casi oggi inquadrabili
come Travestitismo e Transessualismo.
Sviluppo storico dei Disturbi
dell’identità di Genere
 Cauldwell usò per primo il termine “Transessuale” nel
1949 e Benjamin tra gli anni ‘50 e ‘60 diede un
inquadramento accettato e condiviso ai disturbi
dell’Identità di Genere.
 L’espressione “Identità di Genere” apparve per la prima
volta nel 1966 in un comunicato stampa sulla prima
clinica per transessuali al Johns Hopkins Hospital di
Baltimora.
 La categoria dei Disturbi dell’Identità di Genere
rientrò ufficialmente tra i disturbi mentali nel 1980 col
DSM-III.
Disturbi dell’Identità di Genere: dal
DSM-IV al DSM-5
 Classe neo istituita centrata sull’incongruenza di
genere, piuttosto che sull’identificazione cross-gender.
 Parafilie, disturbi della sfera sessuale e disturbi
dell’identità di genere, fusi nel DSM-IV trovano
dignità di diagnosi indipendenti nel DSM-5.
 In particolare, la “gender dysphoria” si configura, pur
a fronte di trattamenti per lo più endocrinologici e
chirurgici, quale disturbo mentale di nuova
definizione, in cui l’identificazione cross gender
(crit.A) e l’avversione contro il proprio genere (crit.B)
vengono fusi. Necessario per la diagnosi è il desiderio
di appartenere o la tendenza ad identificarsi
precocemente nell’altro genere(crit.B1).
Travestitismo e Transessualismo
 Il Travestitismo a ruolo doppio consiste nell’indossare
abiti dell’altro sesso per provare temporaneamente
l’esperienza di appartenervi, in assenza di un fine
sessuale e del desiderio di una modificazione
permanente del proprio sesso anatomico.
 Il Transessualismo corrisponde al desiderio di vivere
ed essere accettato come membro del sesso opposto e
di adeguare ad esso il più possibile il proprio corpo con
trattamenti ormonali e/o chirurgici. Il termine
“Transessualismo” è stato abolito nel DSM IV e figura
solo nell’ICD-10.
Disturbi dell’Identità di Genere
 Caratteristica centrale è l’incongruenza tra il sesso
biologico e l’identità di genere. Questa si definisce
nella prima infanzia come maschile o femminile ma in
alcuni casi si riscontra un sentimento di disagio e di
inadeguatezza riguardo al proprio sesso biologico che
si manifesta con un intenso desiderio di appartenere
al sesso opposto, rinnegando la propria anatomia.
Sviluppo e mantenimento dei
Disturbi dell’Identità di Genere
 Si tratta di un processo articolato e complesso in cui
fattori biologici e psicologici individuali agiscono
in sinergia con fattori familiari e socio-culturali.
 La familiarità è stata descritta ma risulta essere debole.
 Sembra che i livelli ormonali in epoca prenatale
possano operare un modellamento sui comportamenti
di genere e probabilmente anche l’orientamento
sessuale. È stato riportato il ruolo di una resistenza
ormonale a livello cerebrale in caso di mutazioni
genetiche del recettore per gli androgeni.
Differenziazione sessuale del
cervello
 Differenze riguardo al sesso e al genere sono state
riportate nella dimensione e nel numero di cellule in
vari nuclei ipotalamici (detti nuclei sessualmente
dimorfici).
 La differenziazione sessuale cerebrale prosegue ben
oltre la nascita e una moltitudine di fattori ambientali
e
socio-culturali
possono
condizionarla
profondamente assieme a fattori genetici e biologici.
Sviluppo di un disturbo
dell’Identità di Genere
 Questi soggetti nell’infanzia possono aver attuato
comportamenti stereotipati tipici dell’altro sesso e
averne preferito gli abiti.
 La maggior parte di questi bambini sviluppa poi nella
vita adulta una normale identità di genere e un
normale comportamento sessuale; una minoranza
sviluppa
un
orientamento
prevalentemente
omosessuale e una percentuale ancora inferiore si
stabilizza nel transessualismo da adulti.
Transessualismo: ipotesi
psicodinamiche
 La persona che soffre di questo disturbo vive la
sensazione che sarebbe dovuta appartenere all’altro
sesso: “uno spirito femminile intrappolato in un corpo
da uomo” (Morris, 1974).
 Il transessuale ha un’idea prevalente/dominante spesso
sostenuta fino a un grado estremo: può cambiare il
nome sui documenti con uno femminile, cambiare la
descrizione del proprio sesso sui documenti lavorativi
e richiedere un intervento chirurgico per realizzare “la
restituzione all’aspetto giusto”.
Transessualismo: ipotesi
psicodinamiche
 I transessuali descrivono i sentimenti nei confronti del
loro corpo come già presenti nell’infanzia: la
sensazione di comodità e “giustezza” nell’indossare i
vestiti delle sorelle come sentirsi “naturalmente”
orientati verso interessi e obiettivi femminili.
 La percezione della differenza tra l’immagine di sé e il
sesso biologico è nei loro racconti stabilita fin dalla
pubertà.
 Nello sviluppo di questa condizione sono stati riportati
una relazione di reciproca interdipendenza dalla
madre e un padre assente.
Tansessualismo: teorie
psicodinamiche e teorie
dell’apprendimento
 Sono state invocate esperienze traumatiche a carico
dell’Io corporeo e del senso arcaico di sè, risalenti a un
alterato processo di separazione-individuazione e alla
persistenza di spinte fusionali per compensare la
mancanza o la distanza fisica e/o carenze psicologiche
di una o entrambe le figure genitoriali.
 Secondo
le
teorie
dell’apprendimento
l’incoraggiamento ad assumere comportamenti del
sesso opposto o la loro mancata soppressione da parte
dei genitori, potrebbero interferire con il consolidarsi
dell’identità di genere.
Psicopatologia associata a Disturbi
dell’Identità di Genere
 Molti transessuali sperimentano un disagio nella loro vita
derivante da un disturbo di personalità ma il transessualismo è
anche compatibile con uno stile di vita stabile.
 I transessuali mostrano sovente difficoltà di adattamento a
scuola e tendono ad avere un lavoro al di sotto delle loro capacità
intellettive.
 I disturbi psicotici dell’identità di genere non sono rari: nella
schizofrenia il disturbo dell’immagine di sé è globale e
potenzialmente incrinerebbe i sentimenti riguardo al sesso e al
genere. Spesso sono descritti deliri e allucinazioni a contenuto
sessuale: spesso credono di essere in procinto di cambiare sesso,
di essere omosessuali o credono che altri li ritengano tali.
 Deliri depressivi possono nascere in relazione al genere di
appartenenza e assumerebbero un contenuto nichilistico o di
colpa.
Il Sé e i Disturbi del Sè
 Il concetto del Sé è di grande interesse nella Filosofia e
nelle scienze della mente ovvero nelle Scienze
Cognitive, nelle Neuroscienze e nella Psichiatria.
 Si è tuttora lontani da un consenso su cosa significhi
esattamente il Sé.
 Il Sé definito da un punto di vista fenomenologico è:
un polo soggettivo di esperienza ed azione che non è
soltanto un costrutto astratto o illusorio ma è vissuto
come un’autopresenza corporeizzata.
Sviluppo storico
 La Fenomenologia moderna nella nozione del Sé si è
ispirata a Cartesio: “Cogito ergo sum”. Da allora vi è la
consapevolezza che
ogni atto della soggettività
(pensare, immaginare, sentire, volere ovvero tutte
varianti del Cogito) porta con sé una prospettiva
esistenziale soggettiva.
 Kant vedeva nel Sé una condizione trascendentale di
possibilità per ogni esperienza. Diversamente da
questa interpretazione, l’approccio fenomenologico
attribuisce al
Sé una realtà esperenziale,
fenomenicamente manifesta.
Distinzione tra Sé Nucleare e Sé
Narrativo
 La Fenomenologia distingue tra il Sé Nucleare (o
minimale) e il Sé Narrativo (o esteso) riferendosi ai
limiti esperenziali del Sé.
 Il Sé Nucleare racchiude alcune caratteristiche
strutturali dell’esperienza, senza le quali questa non
avrebbe il suo carattere soggettivo.
 Il Sé Narrativo corrisponde al concetto di persona, di
essere umano che insieme comprende aspetti
esperenziali dell’Io, elementi linguistici, disposizioni
cognitive ed emotive (temperamento, carattere,
personalità, abitudini, valori e ideali).
Il Sé Nucleare
 Il Sé Nucleare a cui ci si riferisce anche come “Ipseità” è la
configurazione di base del flusso della coscienza, che a sua
volta comprende l’auto-coscienza e la prospettiva in prima
persona (entrambi sono aspetti di un unico insieme). È il
requisito minimo perché un’esperienza possa definirsi
soggettiva ovvero l’esperienza di qualcuno.
 Il termine auto-coscienza fa riferimento al fatto che
l’esperienza è familiare con se stessa o che come tale si
riconosce, cioè si automanifesta.
 La prospettiva in prima persona è una modalità
caratteristica per cui l’esperienza assume sempre un
carattere personale: “Meità”.
Il Sé Narrativo
 L’Identità del Sé Narrativo è quella di un’unità costruita
su basi culturali come prodotto delle interazioni sociali
dipendenti dal linguaggio.
 Deriva dal concepire e organizzare la propria vita in un
certo modo. Quando ci chiediamo “chi sono io?”,
raccontiamo una storia, valorizziamo gli aspetti che
riteniamo rilevanti, il leitmotif della nostra vita, quello
che definisce chi siamo, ciò che offriamo agli altri per il loro
riconoscimento e la loro approvazione.
 Parte dell’essere umano è cercare una narrativa che sia il
più possibile coerente e integrata.
 I concetti di immagine di Sé, di auto-rappresentazione e di
auto-stima appartengono tutti al dominio del Sé Narrativo.
I Disturbi del Sè
 La Psicopatologia descrittiva definisce i Disturbi del
Sé o Disturbi dell’Io come esperienze interiori
anomale dell’interezza del Sé e dei suoi domini che si
riscontrano nei disturbi psichiatrici.
 Queste esperienze possono avvenire nello stato di
consapevolezza interiore del paziente, in modo
indipendente dagli eventuali cambiamenti che questi
può mostrare nella propria esperienza o nei propri
atteggiamenti riguardo il mondo esterno.
Le dimensioni della consapevolezza
di Sè
 Jaspers descrisse la consapevolezza di Sé come la capacità di
distinguere l’Io dal non io, con quattro caratteristiche formali alle
quali Scharfetter aggiunse una quinta dimensione, la vitalità
dell’io. Oggi visto che la vitalità viene fatta rientrare nella
consapevolezza di esistere e nella consapevolezza dell’attività, si
distinguono 5 dimensioni del Sé che sono:
1. il sentimento della consapevolezza di esistere,
2. il sentimento di consapevolezza dell’attività dell’Io,
3. la consapevolezza di unicità,
4. la consapevolezza di identità,
5. la consapevolezza dei confini del Sé.
 Distinguiamo dunque i Disturbi del Sé in relazione a quali
delle suddette dimensioni risultano alterate.
1.Disturbi della consapevolezza di
esistere
 L’esperienza che un paziente fa della sua esistenza può
essere alterata, questo avviene nei deliri nichilistici che
possiamo osservare nelle psicosi affettive:“Io non
esisto, qui non c’è nulla”.
 Ideazioni nichilistiche meno accentuate (non
deliranti) si possono riscontrare in alcune forme di
depersonalizzazione in cui si ha un’alterazione
dell’esperienza di Sé, accompagnata dal sentimento di
un mutamento o di una perdita del significato
attribuito al Sé: “Mi sento irreale, confuso, come se non
fossi più certo di essere ancora me stesso”.
2.Disturbi della consapevolezza
dell’attività dell’Io
 Il movimento può mostrare delle anomalie che osserviamo
nell’esperienza di passività o nei deliri di controllo dei pazienti
affetti da schizofrenia.
 La memoria e l’immaginazione possono essere alterate nel
paziente affetto da depressione che avverte la propria incapacità
a innescare il ricordo o la fantasia, come anche nel paziente
affetto da schizofrenia che può sentire che le sue azioni non sono
avviate da se stesso bensì dall’esterno.
 La volontà può essere compromessa nel paziente schizofrenico
che non esperisce più la sua volontà come propria, come anche
nel paziente depresso che descrive la sua incapacità a iniziare
un’attività accanto a una sensazione di inadeguatezza di fronte
alle vicissitudini della vita fino ad arrivare a un delirio nichilistico
in cui ci si ritiene incapaci di fare qualsiasi cosa.
3.Disturbi della consapevolezza
della propria unicità
 Rientrano in questi disturbi:
a)l’ Autoscopia,
b)il Fenomeno del Doppio o Doppelgänger,
c)la Personalità Multipla.
Autoscopia
 L’ Autoscopia è un disturbo percettivo dell’immagine
di sé ovvero “vedere il proprio sé” (Lukianowicz, 1958) o
l’ “l’esperienza di duplicazione del proprio sé reale”
(Damas Mora, Jenner ed Eacott, 1980) che include a
sua volta:
1. la depersonalizzazione autoscopica ,
2. l’allucinazione autoscopica ,
3. il delirio autoscopico.
Fenomeno del Doppio
 Il Fenomeno del Doppio o Doppelgänger è un
fenomeno soggettivo del sosia che è un fenomeno
cognitivo e ideativo piuttosto che necessariamente
percettivo; i pazienti affetti da depressione grave
esperiscono il loro “vero sé” come quello che devono
accettare in quanto parte vera di sé stessi, e un “altro
sé” ovvero un “Sé ideale” che è ciò che vorrebbero
essere e che mortifica e provoca la distruzione del sé.
Personalità multipla
La Personalità Multipla è un fenomeno che si osserva
negli stati dissociativi (isterici) e che nella clinica può
dar luogo alle seguenti manifestazioni:
1.personalità parziali simultanee,
2.personalità ben definite che si succedono,
3.personalità parziali multiple a grappolo.
4.Disturbi della consapevolezza
dell’Identità
 Un sentimento di continuità per se stessi e per il proprio
ruolo è un punto fondamentale della vita, in assenza del
quale non è possibile svolgere azioni in modo competente.
 I pazienti schizofrenici possono negare di essere sempre
stati la stessa persona. Prende così forma un’esperienza di
passività in cui il paziente sostiene che a una certa epoca
della sua vita è stato cambiato in un’altra persona.
 Un senso di perdita di continuità di minore intensità
rispetto al cambiamento psicotico e senza l’aspetto della
passività, può venire esperito anche in uno stato di salute
per es. in una situazione di vita straordinaria come
nell’adolescenza, in disturbi mentali organici, nevrosi o
depressione o in persone che si trovano in condizioni
particolari come gli stati di possessione.
Perdita di continuità nei Disturbi di
Identità
 Si assiste a un disturbo della consapevolezza di Sé caratterizzato




da cambi di identità del sé nel tempo.
La mancanza di un senso di identità rispetto al passato con
continuità nel futuro, rappresenta un forte freno per qualsiasi
attività organizzata.
Lo schizofrenico come parte del disturbo di passività, può nutrire
dubbi sulla propria continuità dal passato al presente.
Il depresso a causa del suo disturbo dell’umore non vede
continuazione nel futuro: “tutto è opaco, non c’è nulla che valga
la pena di aspettare”.
Una parte del senso di continuità del Sè è accettare che i
cambiamenti nello stato attuale soggettivo presente siano dovuti
a una malattia: capacità di “Insight”.
Alterazione della consapevolezza di
Sé nelle esperienze di premorte
 È stata riportata un’alterazione della consapevolezza di
Sé in persone poste in condizioni eccezionali: in
persone che si erano trovate in punto di morte o in una
situazione di grave pericolo di vita.
 Come le pseudoallucinazioni post lutto, le esperienze
di premorte in soggetti che poi sopravvivono sono
frequenti, anche se questi tendono spesso a tacerle per
timore di essere considerati pazzi.
 L’insieme dei sintomi che le caratterizza comprende:
depersonalizzazione, aumentata allerta, autoscopia o
un’esperienza trascendentale.
5.Disturbi della consapevolezza dei
confini del Sè
 Si tratta di disturbi in cui si perde la capacità di discernere dove
termini l’Io e inizi il non io.
 Nella schizofrenia il senso di invasione del proprio Sé è un tratto
che definisce la condizione che il paziente vive: c’è una fusione
tra il Sé e il non sé. Nelle esperienze di passività si attribuiscono
al non sé funzioni vissute come influenze provenienti dal mondo
esterno ma che in realtà sono generate dal Sé.
 Nell’intossicazione da LSD viene descritta la sensazione di
dissoluzione dell’Io associata a quella del proprio sé che “scivola
via”.
 In stati di estasi vi può essere un disturbo dei confini del Sé:
viene riportata una sensazione di comunione con l’universo, di
fusione col nirvana, di identificazione con le piante e gli alberi o
di unità con Dio.
Spettro clinico dei disturbi del Sè
 Alterazioni della consapevolezza di Sé possono
osservarsi in persone normali in condizioni particolari:
intensa spossatezza, fame, sete, estasi, stati acuti di
ansia libera, nell’eccitamento sessuale, negli stati
ipnagogici, nei sogni, nella deprivazione sensoriale e
nell’ipnosi.
 Una lieve depersonalizzazione è frequente in soggetti
che assumono antidepressivi triciclici, mentre
cambiamenti più imponenti si hanno con droghe
come cannabis, mescalina e acido lisergico.
Spettro clinico dei disturbi del Sè
 Stati mentali disturbati in cui si può osservare
un’alterazione della consapevolezza di Sé sono: nel
campo delle nevrosi, stati d’ansia acuti, disturbo
ipocondriaco, disturbi dissociativi con sintomi di
conversione e nell’anoressia nervosa dove c’è un
disturbo dell’immagine di Sè, nelle psicosi in cui
manca l’esame di realtà, negli stati organici in cui
troviamo anomalie della percezione sia del Sé che di
parti del corpo.
Evidenza naturale
 L’espressione
“perdita dell’evidenza naturale” fu
coniata da una paziente di Blankenburg, Anne Rau,
affetta da schizofrenia paucisintomatica: “Che cosa mi
manca veramente? Qualcosa di piccolo, di buffo,
qualcosa di importante ma senza il quale non si può
vivere. A casa, da mia madre non c’ero. Non ero
all’altezza. Ero semplicemente là, solamente in quel
posto, ma senza essere presente… è senza dubbio
l’evidenza naturale che mi manca”.
Evidenza naturale
 Come spiega la stessa paziente è un “sentimento del
mondo” ovvero sentirsi parte del mondo, sintonizzati con
esso, presenti a se stessi e alla situazione che si vive,
un’atmosfera di familiarità tacitamente avvertita, la cui
perdita fa sentire “inadatti alla vita”.
 È un sentimento, non una cognizione razionale, per Pascal
le “ragioni del cuore” contrapposte alla razionalità.
 È inoltre una consapevolezza che si dà a priori, qualcosa
che non è nel mondo ma che trascende il mio essere-nelmondo e ne rappresenta la condizione di possibilità.
Evidenza naturale: sentimento preriflessivo e pre-verbale
 È un tipo di sapere non concettuale ma pratico: un saper-
fare che ci permette di afferrare senza alcuno sforzo, senza
alcuna riflessione o il bisogno di alcuna giustificazione, il
senso di ciò che succede nel mondo.
 Per Wittgenstein (1969) è il bedrock ovvero quello sfondo
di credenze implicite che non richiedono alcuna
spiegazione come “io ho un corpo”, “il mondo esisteva prima
che io nascessi”.
 Per Searle (1995) è il background di quelle abilità e
disposizioni che non sono né rappresentazioni né regole e
che sono presupposte affinché i fenomeni acquistino un
senso.
Perdita dell’evidenza naturale nella
schizofrenia
 La Fenomenologia trova nella “perdita dell’evidenza
naturale” o nei suoi simili “crisi del senso comune”
o “crisi del contatto vitale con al realtà”, la chiave di
lettura della schizofrenia.
 L’approfondimento della soggettività della perdita
dell’evidenza naturale è una delle frontiere della
ricerca in Psicopatologia.
 Resta tuttora da spiegare la relazione tra
quest’esperienza e le anomalie della coscienza di Sé e
dell’intersoggetività che tratteggiano l’esistenza del
paziente schizofrenico.
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