“Teatri del Genere” - Percorsi di generi e sessualità - Prof. Paolo Valerio Professore di Psicologia Clinica Dipartmento di Neuroscienze Unità di Psicologia Clinica e Psicoanalisi Applicata Università Federico II di Napoli [email protected] www.progettorlando.unina.it “L’acquisizione della nostra identità di genere, è un processo che non ha mai fine, rispetto al quale noi dobbiamo continuamente negoziare e rinegoziarne sia la dimensione intrapsichica che relazionale” (Argentieri, 1996) Primi Passi… L’immaginario collettivo è stato per lungo tempo abituato ad associare compiti, mansioni, identità, differenziate per maschi e femmine sostenendo un “pensiero della differenza” (F. Heritier) Allo stesso modo la società attende che un corpo biologicamente maschile sviluppi “un’identità maschile” (uomo) e che uno biologicamente femminile sviluppi “un’identità femminile” (donna) Grandi trasformazioni culturali-economiche-politiche, hanno comportato numerosi spostamenti di significato riguardo l’essere uomo e l’essere donna nel secolo scorso Nell’ambito di tali complesse rivoluzioni culturali si si è “aggiunta” la figura “clinica” del “transessualismo”: Cosicché, da alcuni decenni, i concetti di sesso e genere hanno iniziato ad occupare uno spazio sempre maggiore nella scena di studi sociali, psicologici, giuridici, politici, nonché nelle comunicazioni dei media (cfr Gender Studies). In quanto ricercatori nel campo dell’identità di genere, ci poniamo quale ipotesi di partenza se non si debba iniziare a parlare al plurale, di generi e sessualità Gli studi su sesso e genere, inizialmente collegati al fenomeno del transessualismo, ma al contempo sempre più da esso svincolati, costituiscono una profonda evoluzione culturale I media Corriere Della Sera del 1 maggio 1995 Nuove rappresentazioni di adolescenti che si interrogano Numerosi e più complessi volumi specialistici Rintracciare nuove mappe Appare sempre più necessaria una nuova “Mappa” per provare a comprendere i nuovi scenari e quesiti che ci vengono posti. Verso nuovi e più complessi territori Dobbiamo chiederci come sia possibile “fissare” un processo che si presenta così complesso e dinamico! Primi passi… La ricerca psicologica sta ponendo una sempre maggiore attenzione alle interazioni tra mente e corpo e le possibili connessioni tra la sfera delle sessualità e quella dei generi: Quali relazioni sussistono tra sesso il biologico e il sesso psicologico? Quali connessioni tra il “dato” biologico del sesso e il percorso che porta alla costruzione dell’identità di genere? Sono questi dei “percorsi” scontati? Maschio e femmina li creò… Cosa avviene sul piano biologico Si presume che al momento del concepimento si aprano due strade differenziate, una che porta dai cromosomi XY alla mascolinità e l’altra dai cromosomi XX alla femminilità. Il piano biologico l primo elemento a determinare il sesso biologico di un individuo è il corredo cromosomico; esso si stabilisce al momento del concepimento dalla fusione tra la cellula uovo materna e lo spermatozoo paterno. Nell’essere umano questo corredo comprende 46 cromosomi, tra cui la coppia di cromosomi sessuali XX per la femmina XY per il maschio Le più attuali e complesse ricerche, hanno messo in luce come per i primi 40 giorni di vita l’embrione, indipendentemente dalla determinazione cromosomica, risulta “neutro”: le gonadi sono indifferenziate e sono presenti sia l’abbozzo dell’apparato genitale femminile (una coppia di canali chiamati dotti di Muller) sia l’abbozzo dell’apparato genitale maschile (i dotti di Wolff). Il piano biologico È solo in secondo momento, cioè a partire dalla sesta settimana di gravidanza, che effettivamente ha inizio la differenziazione sessuale, a seconda che sia presente o meno il cromosoma Y. Su questo cromosoma è presente, infatti, il gene SRY (sex determining region Y) il quale, attraverso la produzione del fattore antimulleriano, indirizza lo sviluppo in senso maschile permettendo la trasformazione delle gonadi in testicoli e inibendo lo sviluppo delle ovaie, altrimenti si avrebbe automaticamente uno sviluppo in senso femminile. Domanda: Ma è davvero così lineare e scontato il passaggio dalla determinazione sessuale alla differenziazione sessuale, e successivamente dall’identità sessuale a quella di genere? Tali riflessioni riguardano un processo estremamente complesso che implica e coinvolge contemporaneamente numerosi registri Se è vero che avviene un processo di differenziazione cellulare nell’embrione, vi è un lungo processo di definizione dell’identità ancora a venire Alcune Ipotesi di Sviluppo… Potremmo distinguere in modo schematico alcuni di questi livelli ai quali si articola l’identità umana, relativamente agli elementi del sesso e del genere: 1)livello biologico-anatomico 2)livello del genere, cioè del senso psicologico di appartenenza al genere maschile o femminile, che si articola nel rapporto con il proprio corpo e con gli altri come uguali o differenti, come maschi o come femmine. 3)livello delle vicissitudini relazionali, da cui deriva l’agire o il non agire il comportamento propriamente sessuale. Ipotesi di Sviluppo… 4) livello di ruoli e funzioni solo secondariamente e socialmente sessualizzate (come ad esempio la connotazione maschile o femminile di alcuni modelli di comportamento e attitudini intellettuali). Il primo livello - anatomo-biologico – non basta a garantire il secondo – cioe’ quello del genere. Sesso e genere In generale il sesso chiama in causa gli attributi che caratterizzano un maschio o una femmina dal punto di vista biologico: il sesso genetico, il corredo cromosomico, le gonadi, gli ormoni sessuali, le strutture riproduttive interne, i genitali esterni. Il genere invece e’ un concetto più ampio, in cui si articolano componenti multiple: psicologiche, relazionali e socio-culturali. J. Money Storicamente il primo a distinguere tra sesso biologico e genere e’ J. Money nel 1955, definendo il sesso sulla base dei genitali e delle attività erotiche connesse e distiguendolo da ruoli e attività non erotiche, ma culturalmente e socialmente determinate. Per queste ultime viene coniato il termine ruolo di genere, indicando così tutto ciò che un uomo o una donna dicono e fanno in quanto uomini o donne. Per ruolo di genere si intende dunque l’espressione pubblica e sociale dell’identità di genere individuale, a sua volta riconosciuta come un’esperienza più privata e personale dell’essere e riconoscersi come maschi e femmine. Il caso John Joan È il caso “John Joan”, storicamente, a dare il via, ufficialmente, alla ricerca sul “genere” È la storia del dott. John Money e del piccolo paziente David Reimer Il caso John Joan Il 22 agosto 1965, a Winnipeg, una piccola cittadina canadese, vengono alla luce Brian e David Reimer: due gemelli omozigoti All’età di 18 mesi vengono portati in ospedale per una circoncisione: il primo a doversi sottoporre all’intervento è David Il cattivo tempo impedisce al “primario” di essere presente in clinica. Sarà un suo assistente a procedere all’intervento Il caso John Joan Durante l’operazione viene purtroppo gravemente ferito il pene di David a causa di maldestri tentativi con un “elettrocauterio” mal settato È solo qualche tempo dopo che i genitori Reimer vedono in televisione il dottor Money che espone le sue ricerche nel campo dell’intersessualità Il caso John Joan Il dott. John Money, che intanto fonda una Clinica per l’Identità di Genere nel 1965, non solo crede che sia possibile cambiare chirurgicamente il sesso… …ma sostiene, inoltre, che l’identità sessuata della persona non sarebbe fondata su una preesistente realtà biologica, ma che sia qualcosa di costruito e determinato socialmente dall’educazione ricevuta (Galeotti, 2009) Il caso John Joan David, a circa 2 anni, ha la possibilità di continuare a vivere come Brenda. Non passano, però, molti anni che Brenda inizia a manifestare a scuola una certa irrequietezza e comportamenti “spiccatamente maschili” Con il tempo Brenda diviene sempre più ostile, cercando di saltare gli incontri di follow-up annuali con il dott. Money Il caso John Joan Ancora alcuni anni e il padre decide di raccontare tutto a Brenda. Tale evento è per Brenda/David l’occasione per dare finalmente un nome alle sofferenze sperimentate in precedenza L’allora Brenda decide di tornare David all’età di 15 anni, sottoponendosi a più interventi di ricostruzione del pene (il primo nel 1981), nonché alla amputazione del seno, intanto cresciuto Il caso John Joan Nel 2000 David riesce a raccontare le sue vicissitudini al giornalista David Colapinto, da cui nasce il libro: “As Nature Made Him: the boy who was raised as a girl” Purtroppo il 5 maggio del 2004, all’età di 38 anni, David decide di togliersi la vita Questo caso, noto come “caso John Joan” risulta di cruciale importanza nella più ampia discussione bioetica, in particolar modo per quanto attiene ai casi di DSD Il Transessualismo Provando a dare un prima definizione di transessualismo possiamo considerarla come quella condizione “paradigmatica” nella quale una persona sente di non riconoscersi nel proprio corpo, al punto da tentare di acquisire attraverso trattamenti chirurgici, caratteristiche peculiari del “sesso desiderato” R. Stoller Tra i primi testi nella ricerca sul transessualismo, nel 1968 appare “Sex and Gender” (Sesso e genere) dello psicoanalista americano R. Stoller, nel quale si inizia a meglio delineare la differenza tra i due termini: con sesso deve farsi riferimento alla dimensione biologica dell’essere maschio o femmina; con il termine genere, invece, si fa riferimento, invece, alle connotazioni socio-psico-culturali dell’essere maschio o femmina. Quindi se i termini appropriati per sesso sono maschio e femmina, i termini corrispondenti per il genere sono maschile e femminile, questi ultimi possono essere indipendenti dal sesso biologico. L’esperimento naturale R. Stoller ha coniato l’espressione “esperimento naturale” a proposito del fenomeno del “transessualismo” per denotare la peculiarità di questo fenomeno e le sue implicazioni teoriche Con tale espressione, pertanto, Stoller è entrato tanto nel vivo della questione dei generi e delle sessualità – evidenziando la distanza che separa i concetti di genere e sessualità – quanto nella clinica del transessualismo stesso. Identità di genere I costrutti di sesso e genere permettono di evocare ed evidenziare la presenza di mescolanze e sfumature. Il genere è la quantità di mascolinità o di femminilità che si trova in una persona e benché vi siano delle mescolanze, appunto, di entrambe in tutti gli essere umani, il maschio “normale” ha evidentemente una preponderanza di mascolinità e la femmina “normale” una preponderanza di femminilità. Identità di genere Inoltre, secondo Stoller (1968), l’identità di genere ha a che fare con il riconoscimento e la consapevolezza, conscia ed inconscia, da parte del soggetto, della propria appartenenza all’uno o all’altro sesso e della presenza e mescolanza all’interno di sé di tratti più propriamente mascolini e tratti più propriamente femminili. Mentre, tornando a J. Money, essa è stata identificata più come l’uniformità e la persistenza della individualità di una persona quale maschio, femmina o persona ambigua, in relazione alla autoconsapevolezza del proprio comportamento. Identità di genere L’espressione identità di genere è, tuttavia, considerabile come un working term, uno strumento di lavoro (cfr Stoller, in Vitelli, 2001). Risulta complesso, infatti, dare un’univoca e definitiva definizione di identità e del genere stesso. Anche perché, sebbene l’identità ed il genere abbiano a che vedere con un ambito di sentimenti, pensieri e comportamenti diversi dalla sfera dell’attività sessuale, i confini non sono sempre netti e precisi Nucleo dell’identità di genere Stoller, ha poi ulteriormente approfondito la ricerca sulla strutturazione dell’identità di genere, ipotizzando uno stadio primitivo di sviluppo che si realizzerebbe a partire dalla nascita, per risultare definitivamente concluso intorno ai tre anni di età: durante tale periodo si consoliderebbe il cosiddetto nucleo dell’identità di genere cioè il convincimento primitivo, e pre-verbale, fissato una volta per tutte e osservabile sul piano comportamentale dell’appartenenza al genere sessuale maschile o femminile. Nucleo dell’identità di genere Nella determinazione di tale nucleo dell’identità di genere Stoller identifica tre fattori: 1) l’insieme delle componenti biologico-ormonali; 2) le caratteristiche anatomo-fisiologiche dei genitali esterni funzionanti, da un lato in quanto segno per il riconoscimento da parte del medico e per l’assegnazione quindi da parte dei genitori del sesso alla nascita, e dall’altra in quanto luogo d’origine di sensazioni somatiche che contribuirebbero alla definizione del primitivo Io corporeo; 3) infine l’insieme delle componenti relazionali, ovverossia gli atteggiamenti e i comportamenti agiti, in maniera più o meno inconscia soprattutto dalla madre prima e dal padre poi in riferimento al ruolo di genere del bambino. Nucleo dell’identità di genere Nella costituzione dell’identità soggettiva e di genere, che si struttura nelle diverse fasi evolutive, assume un peso sostanziale la relazione con la madre, cioè la prima persona con cui il lattante entra in contatto e da cui nel corso del tempo deve separarsi... Numerosi psicoanalisti pongono in evidenza l’esistenza di percorsi peculiari nel maschio e nella femmina, rispetto alla costituzione e al riconoscimento della propria identità di genere maschile e femminile; una diversità che passa attraverso le relazioni con le figure genitoriali e dunque attraverso i processi di identificazione e di differenziazione dal padre e dalla madre in quanto maschio o femmina. L’ipotesi psicodinamica di Stoller L’origine del transessualismo maschile risiederebbe in una mancata emersione del bambino dalla originaria fusione simbiotica con la madre, nonché in una identificazione aconflittuale con la stessa. È fondamentale, in tale processo, il tipo di relazione che la madre intrattiene con il bambino e la particolare posizione che le deriva da alcuni tratti della sua personalità (bisessualità – senso di vuoto della madre) Stoller pone il transessualismo come un’identità di genere femminile irreversibile, derivante da una particolare costellazione familiare, che inciderebbe sulla formulazione del “nucleo dell’identità di genere” E. S. Person e L. Ovesey Person e Ovesey hanno criticato il modello etiopatogenetico di Stoller, non avendo riscontrato unicamente un rapporto madre-bambino sul piano simbiotico ma, anzi, osservando talvolta una certa distanza emotiva. Un concetto fondamentale è “l’angoscia di separazione” (Mahler, 1975), che pone la madre quale oggetto mediante il quale ripristinare la fusione perduta (in un secondo momento). Il rischio per il bambino, in tal senso, è piuttosto quello di “andare in pezzi” (Winnicott, 1962). Questi movimenti vengono pagati sul piano dell’identità di genere: un’ambiguità definibile nei termini di nucleo di identità di genere ambiguo e indefinito. E. S. Person e L. Ovesey Secondo Person e Ovesey (1973) l’identità di genere si compone di due elementi: - l’identità di genere nucleare (l’essere ed il riconoscersi come maschio o femmina, ovvero il senso di appartenere biologicamente ad un sesso piuttosto che ad un altro) “io sono maschio; io sono femmina”. - l’identità di ruolo di genere (l’essere e l’attribuire a sé e agli altri qualità maschili e/o femminili) che si compone anche del comportamento sessuale agito e fantasticato, oltre che delle componenti non sessuali del comportamento individuale (culturalmente e socialmente determinate). “Io sono femminile; io sono maschile”. E. S. Person e L. Ovesey Mentre l’identità di genere nucleare si consolida abbastanza presto nell’infanzia e resta stabile nel tempo l’identita’ di ruolo di genere invece emerge gradualmente in base a come il bambino risponde alle stimolazioni provenienti dall’ambiente esterno (dapprima familiare poi sociale) e continua dinamicamente ad evolversi e a mutare nel tempo, secondo la capacita’ dell’individuo di comportarsi ogni volta in conformita’ con il ruolo di genere culturalmente e socialmente determinato. Essa inoltre si compone anche del comportamento sessuale, pertanto dei comportamenti sesso-tipici che sono influenzati e mediati dalle differenze di genere. E. S. Person e L. Ovesey Sono stati inoltre differenziati un transessualismo primario e un transessualismo secondario. Nel transessualismo primario rientrano i soggetti che mantengono la “transessualità” per tutto il corso della loro vita. Nel transessualismo secondario rientrano invece i soggetti il cui impulso transessuale può essere oscillante e fluttuante, o variamente insistente. In tali casi esiste una maggiore libertà di vivere un orientamento sessuale omosessuale e il travestimento/travestitismo durante il corso della vita. C. Chiland Accoglie la differenziazione tra transessualismo primario e secondario. A differenza di Stoller non ravvede una posizione “a-conflittuale” nella simbiosi tra madre e bambino: Il bambino si troverebbe di fronte due immagini di donna: da un lato una con cui ha condiviso sentimenti di perfetta intimità e dunque positiva; dall’altro un’immagine associata a sensazioni di “soffocamento” ed oppressione. Differenzia poi, tra loro, l’identificazione e la “costruzione interna”; il bambino non è, infatti, solo la “copia conforme” dei suoi genitori, ma è più facile parlare di costruzione, radicabile nella profonda idealizzazione del bambino della propria madre. C. Chiland Secondo la Chiland la condizione dei transessuali biologicamente maschili è caratterizzata dalla totale inaccettabilità d’essere uomini; angosciati dalla masturbazione non desiderano delle relazioni sessuali con le donne, ma piuttosto indossare vestiti femminili dai colori graziosi. Vogliono truccarsi, portare smalto per unghie, praticamente interpretare la parte della donna. È in gioco una questione di riconoscimento, “vogliono essere ciò che non sono” (Chiland, 1997) Invidierebbero la “causalità biologica” degli intersessuali, che li potrebbe giustificare maggiormente sul piano del riconoscimento nei confronti della società. C. Chiland La Chiland sostiene anche come nella realtà siano molto frequenti delle forme “miste” caratterizzate dalla presenza di più componenti insieme: identitaria, omosessuale, travestita. I soggetti in cui predomina la componente identitaria sostengono la priorità dell’identità sulla sessualità. Le persone in cui predomina la componente omosessuale non riconoscono alla base dell’attrattiva che ispirano in loro gli uomini un orientamento omosessuale, in quanto si sentono donne attratte da maschi eterosessuali. Lo stesso accade per soggetti FtM. Quelli in cui predomina la componente travestita, non si travestono per ottenere un piacere erotico, ma per un sentimento di benessere che procura in loro un accordo tra ciò che sentono d’essere e come appaiono. A. Oppenheimer Secondo A. Oppenheimer “è difficile rendere conto di una patologia della soggettivazione sessuata qual è il transessualismo, in termini puramente intrapsichici”. “Questo disturbo dipende anche dalla psiche dell’altro, che si tratti dell’ambiente primario o della società, che offre la possibilità di agire sul corpo e l’identità” (1992) A. Oppenheimer La relazione con la madre, basata su uno sfondo improntato al narcisismo, risulterebbe inevitabilmente “perturbata”. Sarebbe la madre stessa ad “intralciare la strutturazione del mondo interno del bambino” “la madre di un ragazzo femminile mi diceva quanta fatica doveva fare per impedire a suo figlio di travestirsi o di giocare con la bambola, perché temeva di farlo soffrire; anche per lei la differenza tra i sessi non aveva senso” E di seguito: “Il padre non interviene per rompere questo sistema; non apprezza il figlio e non si lascia idealizzare da lui” A. Oppenheimer Alcune considerazioni della Oppenheimer risultano centrali per il lavoro clinico con queste persone, in particolare sul perché queste persone non arrivino in consultazione prima di essere pervenute ad un “fatto compiuto”: “questo fatto compiuto è forse la condizione che permette ad alcuni transessuali di venire a parlare di se stessi: come potrebbero accettare di rompere le loro difese protettive per un lavoro analitico che li esporrebbe a delle angosce che l’atto gli evita di affrontare?” (ibid) A. Oppenheimer “Il transessuale imprigiona l’altro in un doppio legame […]. Questo intrappolamento dell’altro che si manifesta nella relazione terapeutica, riflette certamente quel che il soggetto ha vissuto, essendo questa influenza sull’altro l’inverso di un sottostante sconforto profondo” (ibid) “Il soggetto rischia allora di riorganizzarsi in questa neo-identità, che è il passaggio dall’altro lato del sesso” Talvolta, pertanto, il soggetto “transessuale” utilizza tanto meccanismi di difesa nevrotici che psicotici D. Di Ceglie Critica il concetto di “nucleo dell’identità di genere” di Stoller, in particolar modo sul piano della fissità riconosciuta da Stoller. Secondo Di Ceglie tale nucleo sarebbe fisso e immutabile solo in alcune precise condizioni (cfr. Valerio, 2006). Nel testo “A Stranger in My Body” viene definito l’ “AGIO” (Atipical Gender Identity Organization – Organizzazione Atipica dell’Identità di Genere): l’attenzione viene così spostata ad un piano multidimensionale, da cui osservare l’organizzazione di genere (Steiner), ovverosia la complessa “famiglia di sistemi difensivi” caratterizzata da difese rigide che hanno la funzione di ridurre ed evitare l’ansia”. D. Di Ceglie Le caratteristiche dell’AGIO: 1) rigidità-flessibilità (solo in alcuni casi sussistono le credenze immutabili evidenziate da Stoller); 2) c’è un periodo in cui si forma l’AGIO; 3) vi può essere la presenza o l’assenza di eventi traumatici in relazione all’AGIO; 4) collocazione dell’AGIO nel continuum posizione schizoparanoide posizione depressiva D. Di Ceglie Anche per Di Ceglie (come per Person e Ovesey) l’ansia di separazione” giocherebbe un ruolo importante nello sviluppo di AGIO. Il bambino farebbe fronte alla catastrofe psicologica identificandosi con un’immagine materna gratificante mediante identificazione proiettiva, diventando in questo modo la madre, con la conseguente sensazione che non c’è nulla da temere. In conclusione Da quanto detto appare chiaro che l’espressione GENERE viene usata distinguendola da SESSO quando si vogliono sottolineare le connotazioni psichiche e sociali dell’appartenenza sessuale. Tale differenziazione risulta di capitale importanza quando trattiamo il “fenomeno transessuale”. In conclusione Tale distinzione, inoltre, ci permette di distinguere tra loro: Omosessualità: le persone omosessuali hanno un’identità di genere congruente con il sesso biologico loro assegnato ma sono attratti da persone dello stesso sesso sul piano dell’orientamento sessuale. Bisessualità: anche in questo caso l’identità di genere è congruente con il sesso biologico ma la loro attrazione sessuale è rivolta a persone tanto dello stesso sesso quanto del sesso opposto. Travestitismo: le persone che si travestono non disconoscono la loro appartenenza al genere loro assegnato ma traggono un intenso piacere erotico dall’indossare indumenti del genere opposto. In conclusione In particolare, secondo Stoller, "Il travestitismo rappresenta un agito di tale desiderio [essere o apparire donna] ma essi sanno bene che non sono donne. La loro identità di genere nucleare è maschile: essi sono consapevoli di avere un corpo maschile e sanno di essere stati assegnati sin dalla nascita al sesso maschile“ (Stoller, 1964). In conclusione Come si è visto, a partire da Stoller, viene concettualizzato il nucleo dell’identità di genere, concetto tutt’ora cardine per la riflessione teorica e clinica. Esso prevede l’autoidentificazione isomorfa con il proprio sesso biologico (sex), o la devianza da esso, nei casi estremi di autoidentificazione anisomorfa con l’altro sesso biologico (la cosiddetta transessualità). In conclusione Il nucleo è il sesso corporeo (sex) e più precisamente le sue diverse sottostrutture,morfologica, endocrina, anatomica, ecc. Attorno a questo nucleo è disposto in modo isomorfo (corrispondente alla conformazione del corpo) o anisomorfo (in contrasto con la conformazione del corpo) un mantello che a sua volta diventa un nucleo: il nucleo dell’identità di genere. Attorno ad esso poi si dispongono le molteplici rappresentazioni di sé e dell’oggetto, insomma tutto ciò che viene designato come ruolo di genere. In conclusione È ancora attualmente oggetto di discussione quando e come il nucleo dell’identità di genere diventi consolidato, e quali siano eventualmente i margini alla malleabilità. La recente ricerca ne dedurrebbe la stabilizzazione all’età di circa due anni, quando il bambino si riconosce in accordo con il suo sesso biologico e di norma dice di sé “io sono un bambino”, oppure “io sono una bambina”. Nel caso estremo di “devianza”, in presenza cioè di uno “sviluppo atipico dell’identità di genere” la risposta potrebbe essere quella di: “io sono un bambino/a in un corpo sbagliato”. In conclusione Alcuni autori (Person e Ovesey 1974; Stoller 1968, 1969) tentando di rintracciare una specifica patologia transessuale primaria, hanno inoltre tentato di individuare i casi in cui determinati soggetti potrebbero trarre beneficio dall'intervento chirurgico. Altri (Socarides 1970, Money 1974), invece, hanno ritenuto che il cambiamento di sesso fosse richiesto unicamente da pazienti con problemi complessi e con particolari disturbi nell’area della personalità In conclusione Prima dell'anno 1953, quando fu realizzato il primo cambiamento chirurgico di sesso su “Christine Jorgensen", i problemi relativi dell'identità sessuale rientravano nelle categorie diagnostiche dell'omosessualita’ e del travestitismo L’attuale ricerca su genere e sessualità riguarda sempre più un campo multidisciplinare, poiché sono coinvolte (in particolare nei casi di transessualismo) più e differenziate figure professionali. Il fenomeno transessuale In seguito alla pubblicazione nel 1966 del testo “Il fenomeno transessuale” dell'endocrinologo Harry Benjamin si si è cominciato a trattare di transessualismo in modo esteso e dettagliato. Una ricerca tuttora viva, alla quale personalmente ci dedichiamo da più di 15 anni presso l’Unità di Psicologia Clinica e Psicoanalisi Applicata del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Napoli Federico II I criteri “diagnostici” I concetti di sesso e genere, elaborati nel campo analitico e precedentemente evidenziati, hanno influenzato il modo in cui il Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM) ha definito il Disturbo dell’Identità di Genere. Tuttavia c’è uno scarto temporale effettivo e significativo tra la pubblicazione del testo di Benjamin (del 1966) e l’iscrizione della condizione del transessualismo nel sapere medico e psichiatrico (prima volta DSM III del 1980). L’incontro tra transessualismo e DSM ha portato indubbiamente molti benefici. Tuttavia grazie all’avanzamento della ricerca, tale categoria diagnostica è posta a critica e revisione. Attualmente la comunità scientifica si interroga se possiamo ancora considerare ,alla luce anche dei radicali mutamenti che hanno investito la nostra società negli ultimi decenni ,il transessualismo un disturbo mentale . Procediamo ,dunque ,ad un excursus Review dei criteri diagnostici Nel 1980, la terza edizione del Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM III), ospita nel capitolo riguardante i disturbi psicosessuali, la sottoclasse "disturbi della identità di genere" ed il transessualismo viene considerato non piu’ come il sintomo di una sindrome, bensì come disturbo dell‘identità sessuale, categoria applicabile a quei soggetti che in modo continuativo – da almeno due anni – mostrano un particolare interesse a modificare la propria anatomia sessuale. Il “disturbo” individuato è articolato in tre categorie: Dell’infanzia Dell’adolescenza Dell’età adulta – altrimenti definito come “disturbo dell’identità di genere atipico” Queste tre condizioni vengono collocate all’interno della più ampia categoria dei “disturbi psicosessuali” (Valerio et al., 2006). È da notare che contestualmente, con il DSM III ha la sua “fuoriuscita” la diagnosi di omosessualità. Review dei criteri diagnostici Nella versione rivisitata della terza edizione del manuale, avvenuta nel 1987, la “questione transessuale” trova collocazione in un altro raggruppamento, nella categoria “disturbi che usualmente compaiono per la prima volta nell’infanzia, nella fanciullezza e nell’adolescenza”; essa viene giustificata dall’osservazione della manifestazione di tale fenomeno in fase di sviluppo. Fanno , inoltre, la loro comparsa il “disturbo dell’identità di genere dell’adolescenza e dell’età adulta, tipo non transessuale” (GIDAANT), in cui spicca l’assenza del desiderio di intervenire con manovre chirurgiche, e il “disturbo dell’identità di genere non altrimenti specificato”. Review dei criteri diagnostici Nella quarta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM IV) pubblicato nel 1994, la nozione di transessualismo viene definitivamente inglobata da quella di disturbi dell’identità di genere. La diagnosi viene collocata nella sezione “disturbi sessuali e dell’identità di genere” con questi criteri: a) Una forte e persistente identificazione con il sesso opposto; b) persistente malessere riguardo al proprio sesso o senso di estraneità riguardo al ruolo sessuale del proprio sesso; c) l’anomalia non è concomitante con una condizione fisica intersessuale d) l’anomalia causa disagio clinicamente significativo o compromissione dell'area sociale, lavorativa o di altre aree importanti del funzionamento Review dei criteri diagnostici Nel 2012 è prevista l’uscita del V capitolo del DSM, il DSM V. È molto aperta la discussione su quale sia il “destino” del disturbo dell’identità di genere e quale possa essere la nuova “formula” diagnostica da adottare. L’attenzione creatasi intorno a questo fenomeno, sia all’interno che all’esterno dei confini clinici, come ad esempio quella del movimento LGBTQ, sta permettendo di beneficiare di un clima diverso nei quali sono coinvolti gli operatori tutti e l’opinione pubblica, che lentamente sta approfondendo la propria conoscenza di tale fenomeno. Review dei criteri diagnostici Sul sito del DSM V (www.DSM5.org) è possibile trovare gli aggiornamenti più recente dell’attuale task force diagnostica, ed in particolare leggere che: “Il sotto-gruppo che si occupa del Disturbo dell’Identità di Genere sta lavorando ad una revisione della letteratura concettuale, e valutando la logicità stessa, della diagnosi psichiatrica di tale disturbo (DIG)”. Review dei criteri diagnostici Al di là degli spostamenti minimi avvenuti con la revisione (Tr) del DSM nel 2000, è in discussione l’inclusione di tale condizione nei disturbi mentali, soprattutto per quanto attiene al suo possibile esordio durante l’età infantile e l’adolescenza. Il DIG potrebbe essere, nell’ipotesi della non patologizzazione, unicamente prodromo e precoce manifestazione di un orientamento sessuale omosessuale, e dunque in quanto tale non “patologico”, e non oggetto di trattamento psicologico o psichiatrico (cfr Valerio et al, 2006). Review dei criteri diagnostici Tuttavia tale ipotesi va valutata con attenzione, a causa di diverse implicazioni economiche e medico-legali. Infatti, prima della legge 164 del 1982, le procedure medico chirurgiche finalizzate al cambiamento di sesso erano sostanzialmente illegali. A tal proposito è stato solo mediante la definizione di “disturbo”, e individuando le conseguenti possibili “terapie”, che è stato possibile derogare l’articolo 5 C.C. e 579 e 580 del C.P.: articoli dedicati ai principi di “immutabilità del sesso” e “non disponibilità del proprio corpo”. Tutto ciò può avere numerose ricadute, anche sul piano economico, poiché l’attuale configurazione giuridica permette comunque che l’intervento sia a carico del sistema sanitario nazionale. Nonostante quanto fino ad ora esposto, rimane estremamente complesso rispondere in modo univoco alla domanda: “è il disturbo dell’identità di genere una malattia mentale?” Auspichiamo e lavoriamo per una società più comprensiva e meno giudicante, nonché maggiormente disponibile ad includere e comprendere le diverse espressioni di generi e sessualità! L'INTERVENTO PSICOLOGICO, A NOSTRO PARERE, SI PUO' SVOLGERE SU DUE PIANI: 1) QUELLO INIZIALE DI DIAGNOSI E VALUTAZIONE. 2) QUELLO DI CONSULENZA E PRESA IN CARICO DURANTE IL PERCORSO CHE PORTA ALLA RETTIFICAZIONE ANAGRAFICA DEL SESSO. LO SCOPO DEI COLLOQUI PSICOLOGICI INIZIALI DOVREBBE ESSERE QUELLO DI RACCOGLIERE INFORMAZIONI SULLA PERSONA E SULL'AMBIENTE ( FAMIGLIA, VITA SOCIALE, LAVORO, ECC..) PER CONOSCERE E VALUTARE NON SOLO L’ELEGIBILITA’ DEL PAZIENTE PER L’INTERVENTO MA ANCHE QUALI SIANO LE RISORSE INTERNE ED ESTERNE DISPONIBILI ALL’INDIVIDUO. GLI INTERVENTI SONO VOLTI A “SOSTENERE, AFFIANCARE IL/LA PAZIENTE NEL PERCORSO INTRAPRESO” E A RESTITUIRGLI LE INFORMAZIONI E I RISULTATI DEI COLLOQUI DI VALUTAZIONE. SIAMO CONSAPEVOLI CHE QUALSIASI COLLOQUIO, SIA ESSO DI VALUTAZIONE, DI DIAGNOSI 0 DI CONSULENZA, ACQUISTA ANCHE VALENZE TERAPEUTICHE IN SENSO GENERALE. TUTTAVIA IN QUESTO TIPO DI INTERVENTO NON VORREMMO PARLARE DI PSICOTERAPIA, MA DI “COUNSELLING PSICOLOGICO”. SI PUO’ AFFERMARE CHE NEL CASO DEL COUNSELLING PSICOLOGICO PSICODINAMICAMENTE ORIENTATO ESISTE UNA MINORE INTENSITA’ E FREQUENZA DELLA RELAZIONE, UNA DURATA CIRCOSCRITTA, UNA FOCALIZZAZIONE E LIMITAZIONE DEGLI INTERVENTI AD ALCUNE AREE DELLA PERSONALITA’ DEL/LA PAZIENTE, UNA DIFFERENTE ELABORAZIONE VERBALE DELLA RELAZIONE TRA IL/LA PAZIENTE E LO PSICOLOGO. PER COLORO CHE HANNO DECISO PER IL CAMBIAMENTO CHIRURGICO DEL SESSO, LO PSICOLOGO NON POTRA’ CHE “SOSTENERE” TALE DECISIONE. MA COSA SIGNIFICA “SOSTENERE”? NEI CASI IN CUI IL PAZIENTE ACCETTA DI SOSTENERE UN CICLO DI COLLOQUI, LO PSICOLOGO POTRA’ SVOLGERE LA FUNZIONE DI UN “SE’ AUSILIARIO”, DI UNA GUIDA CHE PUO’ FORNIRE AL PAZIENTE MAPPE DETTAGLIATE DEL PAESE SCONOSCIUTO DA VISITARE. QUESTI PAZIENTI FINISCONO PER DIFENDERSI DALL'IRRUZIONE DI SENTIMENTI O DI CONFLITTI INSOSTENIBILI, FINISCONO CON IL POLARIZZARE TUTTA LA PROPRIA ATTENZIONE SU CONTENUTI RELATIVI ALLA DIFFERENZA SESSUALE. OGNI MODO DI PENSARE E’ REIFICATO E FORMULATO IN TERMINI DICOTOMICI, DI DIVISIONE, DI TAGLIO, DI OPPOSIZIONE: OGNI CAMBIAMENTO E’ VISTO COME UNA TRASFORMAZIONE MAGICA. SI PUO' RITENERE CHE LA RIASSEGNAZIONE ORMONOCHIRURGICA DEL SESSO RAPPRESENTI UN TENTATIVO DI DARE UNA RISPOSTA AI BISOGNI DEL PAZIENTE, NON AGENDO IN ALCUN MODO SUL DISTURBO PSICOLOGICO. IL TRANSESSUALE CONTESTA DI SOFFRIRE DI PROBLEMI PSICOLOGICI; IL SUO, SOSTIENE, NON E’ CHE UN “ERRORE DELLA NATURA”, CHE NON GLI HA DATO UN CORPO APPROPRIATO A QUELLO CHE EGLI SENTE DI ESSERE O VORREBBE ESSERE. TUTTO, PER QUESTI PAZIENTI, SI GIOCA SUL PIANO CORPOREO E NON SU QUELLO PSICHICO; ESSI ARRIVANO RISOLUTI AD OTTENERE UN INTERVENTO CHIRURGICO, MENTRE LA PSICOTERAPIA E L’APPROCCIO PSICOLOGICO IN GENERE DESTANO IL SOSPETTO CHE LI SI VOGLIA DISTOGLIERE DAL LORO SCOPO FACENDO LORO CAMBIARE IDEA. PERTANTO, TUTTI I TENTATIVI PSICOLOGICI INIZIANO CON SOSPETTO E DIFFICOLTA’ DEL PAZIENTE A STABILIRE UN RAPPORTO DI FIDUCIA CON LO PSICOLOGO. QUESTI PAZIENTI INDUCONO NEL TERAPEUTA UNA CONFUSIONE DI IDENTITA’, PER CUI NON SI SA SE CI SI RIVOLGE AD UN UOMO O AD UNA DONNA. MA QUESTA CONFUSIONE RAPPRESENTA ANCHE IL CONFRONTO CON LA POSSIBILITA’ DI UNA BISESSUALITA’ PSICHICA CHE RENDE PIU’ ARTICOLATO IL RICONOSCIMENTO DELLA PROPRIA IDENTITA’ SESSUALE, INTEGRANDO PARTI MASCHILI E FEMMINILI IN UNO STESSO CORPO. ANCORA OGGI NON ESISTONO PARERI UNANIMI SULLA IDONEITA’ E LA LICEITA’ DELL’INTERVENTO CHIRURGICO COME MEZZO PER RISOLVERE TALE PROBLEMA. ALCUNI AUTORI PARLANO, INFATTI, A FAVORE DELL’INTERVENTO, CONSIDERANDO IL TRANSESSUALISMO COME UNA SCELTA NON CONFLITTUALE, ALTRI INVECE, RIBADENDO LA NATURA PSICOLOGICA DI TALE DISTURBO, SI MOSTRANO DUBBIOSI SULL’UTILITA’ DELL’INTERVENTO. MARIA VITTORIA TURRA RIBADISCE CHE SI TRATTA DI PAZIENTI CHE COLLOCANO NELL’ORGANO DA ASPORTARE O DA TRASFORMARE MOLTO PIU’ CHE IL SEMPLICE DATO ANATOMICO. “NEL LORO PENE E’ POSTA LA MOSTRUOSITA’ MASCHILE DA AMPUTARE, LA SOFFERENZA CHE QUESTO HA INDOTTO: IL CHIRURGO NON ASPORTA DUNQUE SOLO IL PENE E I TESTICOLI, MA IL DOLORE, LA RABBIA, LA MORTIFICAZIONE CHE SONO STATI LORO ATTRIBUITI.. LA VAGINA SAGOMATA ALLA MEGLIO DIVENTA IL POSSIBILE CONTENITORE DELLA GIOIA, DELL’IDENTITA’, ED IL LUOGO CHE DEFINISCE LA POSSIBILITA’ DI STABILIRE CONTATTI CON IL MONDO ESTERNO NELLA NUOVA SEDE DEL GENERE DESIDERATO” . (TURRA, 1995) Alcuni testi di riferimento Valerio P., Bottone M., Galiani R., Vitelli R. (a cura di) (2001). Il Transessualismo , Milano, Angeli Valerio P. Nunziante Cesaro A., (a cura di) (2006). Dilemmi dell’Identità: Chi Sono?, Milano, Angeli. Valerio P., Bottone M., Vitelli R., Sisci N. (2006). L’identità Transessuale tra Storia e Clinica. In “Gay e Lesbiche in Psicoterapia”, Milano, Cortina. Di Ceglie D. (2006). Organizzazione Atipica dell’Identità di Genere. In “Gay e Lesbiche in Psicoterapia”, Milano, Cortina. Grazie per la vostra attenzione! Per ogni altra informazione, comunicazione o commento: [email protected] e www.progettorlando.unina.it