“Teatri del Genere”
- Percorsi di generi e sessualità -
Prof. Paolo Valerio
Professore di Psicologia Clinica
Dipartmento di Neuroscienze
Unità di Psicologia Clinica e Psicoanalisi Applicata
Università Federico II di Napoli
[email protected]
www.progettorlando.unina.it
“L’acquisizione della nostra identità di
genere, è un processo che non ha mai fine,
rispetto al quale noi dobbiamo
continuamente negoziare e rinegoziarne sia
la dimensione intrapsichica che relazionale”
(Argentieri, 1996)
Primi Passi…
L’immaginario collettivo è stato per lungo tempo
abituato ad associare compiti, mansioni, identità,
differenziate per maschi e femmine sostenendo
un “pensiero della differenza” (F. Heritier)
Allo stesso modo la società attende che un corpo
biologicamente maschile sviluppi “un’identità
maschile” (uomo) e che uno biologicamente
femminile sviluppi “un’identità femminile” (donna)
Grandi trasformazioni culturali-economiche-politiche,
hanno comportato numerosi spostamenti di significato
riguardo l’essere uomo e l’essere donna nel secolo
scorso
Nell’ambito di tali complesse rivoluzioni culturali si si
è “aggiunta” la figura “clinica” del “transessualismo”:
Cosicché, da alcuni decenni, i concetti di sesso e
genere hanno iniziato ad occupare uno spazio sempre
maggiore nella scena di studi sociali, psicologici,
giuridici, politici, nonché nelle comunicazioni dei media
(cfr Gender Studies).
In quanto ricercatori nel campo dell’identità di
genere, ci poniamo quale ipotesi di partenza se
non si debba iniziare a parlare al plurale, di generi
e sessualità
Gli studi su sesso e genere, inizialmente collegati
al fenomeno del transessualismo, ma al contempo
sempre più da esso svincolati, costituiscono una
profonda evoluzione culturale
I media
Corriere Della Sera del 1 maggio 1995
Nuove rappresentazioni di
adolescenti che si interrogano
Numerosi e più complessi volumi
specialistici
Rintracciare nuove mappe
Appare sempre più necessaria una nuova “Mappa” per provare a
comprendere i nuovi scenari e quesiti che ci vengono posti.
Verso nuovi e più complessi territori
Dobbiamo chiederci come sia possibile “fissare” un
processo che si presenta così complesso e dinamico!
Primi passi…
La ricerca psicologica sta ponendo una sempre
maggiore attenzione alle interazioni tra mente e
corpo e le possibili connessioni tra la sfera delle
sessualità e quella dei generi:
Quali relazioni sussistono tra sesso il biologico e il
sesso psicologico? Quali connessioni tra il “dato”
biologico del sesso e il percorso che porta alla
costruzione dell’identità di genere?
Sono questi dei “percorsi” scontati?
Maschio e femmina li creò…
Cosa avviene sul piano biologico
Si presume che al
momento del concepimento
si aprano due strade
differenziate, una che
porta dai cromosomi XY
alla mascolinità e l’altra dai
cromosomi XX alla
femminilità.
Il piano biologico
l primo elemento a determinare il sesso biologico di un individuo
è il corredo cromosomico; esso si stabilisce al momento del
concepimento dalla fusione tra la cellula uovo materna e lo
spermatozoo paterno. Nell’essere umano questo corredo
comprende 46 cromosomi, tra cui la coppia di cromosomi sessuali
XX per la femmina
XY per il maschio
Le più attuali e complesse ricerche, hanno messo in luce come per
i primi 40 giorni di vita l’embrione, indipendentemente dalla
determinazione cromosomica, risulta “neutro”:
le gonadi sono indifferenziate e sono presenti sia l’abbozzo
dell’apparato genitale femminile (una coppia di canali chiamati
dotti di Muller) sia l’abbozzo dell’apparato genitale maschile
(i dotti di Wolff).
Il piano biologico
È solo in secondo momento, cioè a partire dalla sesta
settimana di gravidanza, che effettivamente ha inizio la
differenziazione sessuale, a seconda che sia presente o
meno il cromosoma Y.
Su questo cromosoma è presente, infatti, il gene SRY (sex
determining region Y) il quale, attraverso la produzione del
fattore antimulleriano, indirizza lo sviluppo in senso
maschile permettendo la trasformazione delle gonadi in
testicoli e inibendo lo sviluppo delle ovaie, altrimenti si
avrebbe automaticamente uno sviluppo in senso femminile.
Domanda:
Ma è davvero così lineare e scontato il passaggio dalla
determinazione sessuale alla differenziazione sessuale,
e successivamente dall’identità sessuale a quella di
genere?
Tali riflessioni riguardano un processo estremamente
complesso che implica e coinvolge contemporaneamente
numerosi registri
Se è vero che avviene un processo di differenziazione
cellulare nell’embrione, vi è un lungo processo di
definizione dell’identità ancora a venire
Alcune Ipotesi di Sviluppo…
Potremmo distinguere in modo schematico alcuni di
questi livelli ai quali si articola l’identità umana,
relativamente agli elementi del sesso e del genere:
1)livello biologico-anatomico
2)livello del genere, cioè del senso psicologico di
appartenenza al genere maschile o femminile, che
si articola nel rapporto con il proprio corpo e con
gli altri come uguali o differenti, come maschi o
come femmine.
3)livello delle vicissitudini relazionali, da cui deriva
l’agire o il non agire il comportamento
propriamente sessuale.
Ipotesi di Sviluppo…
4) livello di ruoli e funzioni solo secondariamente e
socialmente sessualizzate (come ad esempio la
connotazione maschile o femminile di alcuni modelli di
comportamento e attitudini intellettuali).
Il primo livello - anatomo-biologico – non basta a garantire
il secondo – cioe’ quello del genere.
Sesso e genere
In generale il sesso chiama in causa gli attributi che
caratterizzano un maschio o una femmina dal punto di
vista biologico: il sesso genetico, il corredo
cromosomico, le gonadi, gli ormoni sessuali, le
strutture riproduttive interne, i genitali esterni.
Il genere invece e’ un concetto più ampio, in cui si
articolano componenti multiple: psicologiche,
relazionali e socio-culturali.
J. Money
Storicamente il primo a distinguere tra sesso biologico e
genere e’ J. Money nel 1955, definendo il sesso sulla base
dei genitali e delle attività erotiche connesse e
distiguendolo da ruoli e attività non erotiche, ma
culturalmente e socialmente determinate. Per queste ultime
viene coniato il termine ruolo di genere, indicando così tutto
ciò che un uomo o una donna dicono e fanno in quanto uomini
o donne.
Per ruolo di genere si intende dunque l’espressione pubblica
e sociale dell’identità di genere individuale, a sua volta
riconosciuta come un’esperienza più privata e personale
dell’essere e riconoscersi come maschi e femmine.
Il caso John Joan
È il caso “John Joan”, storicamente, a dare il via,
ufficialmente, alla ricerca sul “genere”
È la storia del dott. John Money e del piccolo paziente
David Reimer
Il caso John Joan
Il 22 agosto 1965, a Winnipeg, una piccola cittadina
canadese, vengono alla luce Brian e David Reimer: due
gemelli omozigoti
All’età di 18 mesi vengono portati in ospedale per una
circoncisione: il primo a doversi sottoporre
all’intervento è David
Il cattivo tempo impedisce al “primario” di essere
presente in clinica. Sarà un suo assistente a
procedere all’intervento
Il caso John Joan
Durante l’operazione viene purtroppo gravemente
ferito il pene di David a causa di maldestri
tentativi con un “elettrocauterio” mal settato
È solo qualche tempo dopo che i genitori Reimer
vedono in televisione il dottor Money che espone
le sue ricerche nel campo dell’intersessualità
Il caso John Joan
Il dott. John Money, che intanto fonda una Clinica
per l’Identità di Genere nel 1965, non solo crede
che sia possibile cambiare chirurgicamente il
sesso…
…ma sostiene, inoltre, che l’identità sessuata della
persona non sarebbe fondata su una preesistente
realtà biologica, ma che sia qualcosa di costruito e
determinato socialmente dall’educazione ricevuta
(Galeotti, 2009)
Il caso John Joan
David, a circa 2 anni, ha la possibilità di
continuare a vivere come Brenda.
Non passano, però, molti anni che Brenda inizia a
manifestare a scuola una certa irrequietezza e
comportamenti “spiccatamente maschili”
Con il tempo Brenda diviene sempre più ostile,
cercando di saltare gli incontri di follow-up
annuali con il dott. Money
Il caso John Joan
Ancora alcuni anni e il padre decide di raccontare
tutto a Brenda. Tale evento è per Brenda/David
l’occasione per dare finalmente un nome alle
sofferenze sperimentate in precedenza
L’allora Brenda decide di tornare David all’età di
15 anni, sottoponendosi a più interventi di
ricostruzione del pene (il primo nel 1981), nonché
alla amputazione del seno, intanto cresciuto
Il caso John Joan
Nel 2000 David riesce a raccontare le sue
vicissitudini al giornalista David Colapinto, da cui
nasce il libro: “As Nature Made Him: the boy who
was raised as a girl”
Purtroppo il 5 maggio del 2004, all’età di 38 anni,
David decide di togliersi la vita
Questo caso, noto come “caso John Joan” risulta
di cruciale importanza nella più ampia discussione
bioetica, in particolar modo per quanto attiene ai
casi di DSD
Il Transessualismo
Provando a dare un prima definizione di
transessualismo possiamo considerarla come
quella condizione “paradigmatica” nella quale una
persona sente di non riconoscersi nel proprio
corpo, al punto da tentare di acquisire attraverso
trattamenti chirurgici, caratteristiche peculiari
del “sesso desiderato”
R. Stoller
Tra i primi testi nella ricerca sul transessualismo, nel 1968
appare “Sex and Gender” (Sesso e genere) dello
psicoanalista americano R. Stoller, nel quale si inizia a
meglio delineare la differenza tra i due termini:
con sesso deve farsi riferimento alla dimensione
biologica dell’essere maschio o femmina;
con il termine genere, invece, si fa riferimento,
invece, alle connotazioni socio-psico-culturali
dell’essere maschio o femmina.
Quindi se i termini appropriati per sesso sono maschio e
femmina, i termini corrispondenti per il genere sono
maschile e femminile, questi ultimi possono essere
indipendenti dal sesso biologico.
L’esperimento naturale
R. Stoller ha coniato l’espressione “esperimento
naturale” a proposito del fenomeno del
“transessualismo” per denotare la peculiarità di
questo fenomeno e le sue implicazioni teoriche
Con tale espressione, pertanto, Stoller è entrato
tanto nel vivo della questione dei generi e delle
sessualità – evidenziando la distanza che separa i
concetti di genere e sessualità – quanto nella clinica
del transessualismo stesso.
Identità di genere
I costrutti di sesso e genere permettono di evocare ed
evidenziare la presenza di mescolanze e sfumature.
Il genere è la quantità di mascolinità o di femminilità che si trova
in una persona e benché vi siano delle mescolanze, appunto, di
entrambe in tutti gli essere umani, il maschio “normale” ha
evidentemente una preponderanza di mascolinità e la femmina
“normale” una preponderanza di femminilità.
Identità di genere
Inoltre, secondo Stoller (1968), l’identità di genere
ha a che fare con il riconoscimento e la
consapevolezza, conscia ed inconscia, da parte del
soggetto, della propria appartenenza all’uno o all’altro
sesso e della presenza e mescolanza all’interno di sé
di tratti più propriamente mascolini e tratti più
propriamente femminili.
Mentre, tornando a J. Money, essa è stata
identificata più come l’uniformità e la persistenza
della individualità di una persona quale maschio,
femmina o persona ambigua, in relazione alla
autoconsapevolezza del proprio comportamento.
Identità di genere
L’espressione identità di genere è, tuttavia,
considerabile come un working term, uno strumento di
lavoro (cfr Stoller, in Vitelli, 2001).
Risulta complesso, infatti, dare un’univoca e definitiva
definizione di identità e del genere stesso.
Anche perché, sebbene l’identità ed il genere abbiano
a che vedere con un ambito di sentimenti, pensieri e
comportamenti diversi dalla sfera dell’attività
sessuale, i confini non sono sempre netti e precisi
Nucleo dell’identità di genere
Stoller, ha poi ulteriormente approfondito la ricerca
sulla strutturazione dell’identità di genere,
ipotizzando uno stadio primitivo di sviluppo che si
realizzerebbe a partire dalla nascita, per risultare
definitivamente concluso intorno ai tre anni di età:
durante tale periodo si consoliderebbe il cosiddetto
nucleo dell’identità di genere
cioè il convincimento primitivo, e pre-verbale, fissato
una volta per tutte e osservabile sul piano
comportamentale dell’appartenenza al genere sessuale
maschile o femminile.
Nucleo dell’identità di genere
Nella determinazione di tale nucleo dell’identità di genere
Stoller identifica tre fattori:
1) l’insieme delle componenti biologico-ormonali;
2) le caratteristiche anatomo-fisiologiche dei genitali esterni
funzionanti, da un lato in quanto segno per il riconoscimento
da parte del medico e per l’assegnazione quindi da parte dei
genitori del sesso alla nascita, e dall’altra in quanto luogo
d’origine di sensazioni somatiche che contribuirebbero alla
definizione del primitivo Io corporeo;
3) infine l’insieme delle componenti relazionali, ovverossia gli
atteggiamenti e i comportamenti agiti, in maniera più o meno
inconscia soprattutto dalla madre prima e dal padre poi in
riferimento al ruolo di genere del bambino.
Nucleo dell’identità di genere
Nella costituzione dell’identità soggettiva e di genere, che si
struttura nelle diverse fasi evolutive, assume un peso
sostanziale la relazione con la madre, cioè la prima persona
con cui il lattante entra in contatto e da cui nel corso del
tempo deve separarsi...
Numerosi psicoanalisti pongono in evidenza l’esistenza di
percorsi peculiari nel maschio e nella femmina, rispetto alla
costituzione e al riconoscimento della propria identità di
genere maschile e femminile; una diversità che passa
attraverso le relazioni con le figure genitoriali e dunque
attraverso i processi di identificazione e di differenziazione
dal padre e dalla madre in quanto maschio o femmina.
L’ipotesi psicodinamica di Stoller
L’origine del transessualismo maschile risiederebbe in una
mancata emersione del bambino dalla originaria fusione
simbiotica con la madre, nonché in una identificazione aconflittuale con la stessa.
È fondamentale, in tale processo, il tipo di relazione che la
madre intrattiene con il bambino e la particolare posizione
che le deriva da alcuni tratti della sua personalità
(bisessualità – senso di vuoto della madre)
Stoller pone il transessualismo come un’identità di genere
femminile irreversibile, derivante da una particolare
costellazione familiare, che inciderebbe sulla formulazione del
“nucleo dell’identità di genere”
E. S. Person e L. Ovesey
Person e Ovesey hanno criticato il modello
etiopatogenetico di Stoller, non avendo riscontrato
unicamente un rapporto madre-bambino sul piano
simbiotico ma, anzi, osservando talvolta una certa distanza
emotiva.
Un concetto fondamentale è “l’angoscia di separazione”
(Mahler, 1975), che pone la madre quale oggetto mediante
il quale ripristinare la fusione perduta (in un secondo
momento). Il rischio per il bambino, in tal senso, è
piuttosto quello di “andare in pezzi” (Winnicott, 1962).
Questi movimenti vengono pagati sul piano dell’identità di
genere: un’ambiguità definibile nei termini di nucleo di
identità di genere ambiguo e indefinito.
E. S. Person e L. Ovesey
Secondo Person e Ovesey (1973) l’identità di genere si
compone di due elementi:
- l’identità di genere nucleare (l’essere ed il
riconoscersi come maschio o femmina, ovvero il senso
di appartenere biologicamente ad un sesso piuttosto
che ad un altro) “io sono maschio; io sono femmina”.
- l’identità di ruolo di genere (l’essere e
l’attribuire a sé e agli altri qualità maschili e/o
femminili) che si compone anche del comportamento
sessuale agito e fantasticato, oltre che delle
componenti non sessuali del comportamento
individuale (culturalmente e socialmente determinate).
“Io sono femminile; io sono maschile”.
E. S. Person e L. Ovesey
Mentre l’identità di genere nucleare si consolida
abbastanza presto nell’infanzia e resta stabile nel
tempo
l’identita’ di ruolo di genere invece emerge
gradualmente in base a come il bambino risponde alle
stimolazioni provenienti dall’ambiente esterno
(dapprima familiare poi sociale) e continua
dinamicamente ad evolversi e a mutare nel tempo,
secondo la capacita’ dell’individuo di comportarsi ogni
volta in conformita’ con il ruolo di genere
culturalmente e socialmente determinato.
Essa inoltre si compone anche del comportamento
sessuale, pertanto dei comportamenti sesso-tipici che
sono influenzati e mediati dalle differenze di genere.
E. S. Person e L. Ovesey
Sono stati inoltre differenziati un transessualismo
primario e un transessualismo secondario.
Nel transessualismo primario rientrano i soggetti che
mantengono la “transessualità” per tutto il corso della loro
vita.
Nel transessualismo secondario rientrano invece i soggetti
il cui impulso transessuale può essere oscillante e
fluttuante, o variamente insistente. In tali casi esiste una
maggiore libertà di vivere un orientamento sessuale
omosessuale e il travestimento/travestitismo durante il
corso della vita.
C. Chiland
Accoglie la differenziazione tra transessualismo primario e
secondario.
A differenza di Stoller non ravvede una posizione “a-conflittuale”
nella simbiosi tra madre e bambino:
Il bambino si troverebbe di fronte due immagini di donna: da
un lato una con cui ha condiviso sentimenti di perfetta intimità
e dunque positiva; dall’altro un’immagine associata a sensazioni
di “soffocamento” ed oppressione.
Differenzia poi, tra loro, l’identificazione e la “costruzione
interna”; il bambino non è, infatti, solo la “copia conforme” dei
suoi genitori, ma è più facile parlare di costruzione, radicabile
nella profonda idealizzazione del bambino della propria madre.
C. Chiland
Secondo la Chiland la condizione dei transessuali biologicamente
maschili è caratterizzata dalla totale inaccettabilità d’essere
uomini; angosciati dalla masturbazione non desiderano delle
relazioni sessuali con le donne, ma piuttosto indossare vestiti
femminili dai colori graziosi. Vogliono truccarsi, portare smalto
per unghie, praticamente interpretare la parte della donna.
È in gioco una questione di riconoscimento, “vogliono essere ciò
che non sono” (Chiland, 1997)
Invidierebbero la “causalità biologica” degli intersessuali, che li
potrebbe giustificare maggiormente sul piano del
riconoscimento nei confronti della società.
C. Chiland
La Chiland sostiene anche come nella realtà siano molto frequenti
delle forme “miste” caratterizzate dalla presenza di più
componenti insieme:
identitaria,
omosessuale,
travestita.
I soggetti in cui predomina la componente identitaria sostengono
la priorità dell’identità sulla sessualità. Le persone in cui
predomina la componente omosessuale non riconoscono alla
base dell’attrattiva che ispirano in loro gli uomini un
orientamento omosessuale, in quanto si sentono donne
attratte da maschi eterosessuali. Lo stesso accade
per soggetti FtM. Quelli in cui predomina la componente
travestita, non si travestono per ottenere un piacere erotico,
ma per un sentimento di benessere che procura in loro un
accordo tra ciò che sentono d’essere e come appaiono.
A. Oppenheimer
Secondo A. Oppenheimer “è difficile rendere
conto di una patologia della soggettivazione
sessuata qual è il transessualismo, in termini
puramente intrapsichici”.
“Questo disturbo dipende anche dalla psiche
dell’altro, che si tratti dell’ambiente primario o
della società, che offre la possibilità di agire sul
corpo e l’identità” (1992)
A. Oppenheimer
La relazione con la madre, basata su uno sfondo improntato al
narcisismo, risulterebbe inevitabilmente “perturbata”. Sarebbe
la madre stessa ad “intralciare la strutturazione del mondo
interno del bambino”
“la madre di un ragazzo femminile mi diceva quanta fatica doveva
fare per impedire a suo figlio di travestirsi o di giocare con la
bambola, perché temeva di farlo soffrire; anche per lei la
differenza tra i sessi non aveva senso”
E di seguito: “Il padre non interviene per rompere questo
sistema; non apprezza il figlio e non si lascia idealizzare da lui”
A. Oppenheimer
Alcune considerazioni della Oppenheimer risultano
centrali per il lavoro clinico con queste persone, in
particolare sul perché queste persone non arrivino
in consultazione prima di essere pervenute ad un
“fatto compiuto”:
“questo fatto compiuto è forse la condizione che
permette ad alcuni transessuali di venire a
parlare di se stessi: come potrebbero accettare
di rompere le loro difese protettive per un lavoro
analitico che li esporrebbe a delle angosce che
l’atto gli evita di affrontare?” (ibid)
A. Oppenheimer
“Il transessuale imprigiona l’altro in un doppio legame
[…]. Questo intrappolamento dell’altro che si
manifesta nella relazione terapeutica, riflette
certamente quel che il soggetto ha vissuto, essendo
questa influenza sull’altro l’inverso di un sottostante
sconforto profondo” (ibid)
“Il soggetto rischia allora di riorganizzarsi in questa
neo-identità, che è il passaggio dall’altro lato del
sesso”
Talvolta, pertanto, il soggetto “transessuale” utilizza
tanto meccanismi di difesa nevrotici che psicotici
D. Di Ceglie
Critica il concetto di “nucleo dell’identità di genere” di
Stoller, in particolar modo sul piano della fissità
riconosciuta da Stoller. Secondo Di Ceglie tale nucleo
sarebbe fisso e immutabile solo in alcune precise
condizioni (cfr. Valerio, 2006).
Nel testo “A Stranger in My Body” viene definito l’
“AGIO” (Atipical Gender Identity Organization –
Organizzazione Atipica dell’Identità di Genere):
l’attenzione viene così spostata ad un piano
multidimensionale, da cui osservare l’organizzazione di
genere (Steiner), ovverosia la complessa “famiglia di
sistemi difensivi” caratterizzata da difese rigide che
hanno la funzione di ridurre ed evitare l’ansia”.
D. Di Ceglie
Le caratteristiche dell’AGIO:
1) rigidità-flessibilità (solo in alcuni casi sussistono le
credenze immutabili evidenziate da Stoller);
2) c’è un periodo in cui si forma l’AGIO;
3) vi può essere la presenza o l’assenza di eventi traumatici in
relazione all’AGIO;
4) collocazione dell’AGIO nel continuum posizione schizoparanoide posizione depressiva
D. Di Ceglie
Anche per Di Ceglie (come per Person e Ovesey) l’ansia di
separazione” giocherebbe un ruolo importante nello sviluppo di
AGIO.
Il bambino farebbe fronte alla catastrofe psicologica
identificandosi con un’immagine materna gratificante
mediante identificazione proiettiva, diventando in questo
modo la madre, con la conseguente sensazione che non c’è
nulla da temere.
In conclusione
Da quanto detto appare chiaro che l’espressione GENERE
viene usata distinguendola da SESSO quando si vogliono
sottolineare le connotazioni psichiche e sociali
dell’appartenenza sessuale.
Tale differenziazione risulta di capitale importanza quando
trattiamo il “fenomeno transessuale”.
In conclusione
Tale distinzione, inoltre, ci permette di distinguere tra loro:
Omosessualità: le persone omosessuali hanno un’identità di
genere congruente con il sesso biologico loro assegnato ma sono
attratti da persone dello stesso sesso sul piano dell’orientamento
sessuale.
Bisessualità: anche in questo caso l’identità di genere è
congruente con il sesso biologico ma la loro attrazione sessuale è
rivolta a persone tanto dello stesso sesso quanto del sesso
opposto.
Travestitismo: le persone che si travestono non disconoscono la
loro appartenenza al genere loro assegnato ma traggono un
intenso piacere erotico dall’indossare indumenti del genere
opposto.
In conclusione
In particolare, secondo Stoller, "Il travestitismo rappresenta
un agito di tale desiderio [essere o apparire donna] ma essi
sanno bene che non sono donne. La loro identità di genere
nucleare è maschile: essi sono consapevoli di avere un corpo
maschile e sanno di essere stati assegnati sin dalla nascita al
sesso maschile“ (Stoller, 1964).
In conclusione
Come si è visto, a partire da Stoller, viene
concettualizzato il nucleo dell’identità di genere, concetto
tutt’ora cardine per la riflessione teorica e clinica.
Esso prevede l’autoidentificazione isomorfa con il proprio
sesso biologico (sex), o la devianza da esso, nei casi
estremi di autoidentificazione anisomorfa con l’altro sesso
biologico (la cosiddetta transessualità).
In conclusione
Il nucleo è il sesso corporeo (sex) e più precisamente le
sue diverse sottostrutture,morfologica, endocrina,
anatomica, ecc.
Attorno a questo nucleo è disposto in modo isomorfo
(corrispondente alla conformazione del corpo) o
anisomorfo (in contrasto con la conformazione del corpo)
un mantello che a sua volta diventa un nucleo: il nucleo
dell’identità di genere.
Attorno ad esso poi si dispongono le molteplici
rappresentazioni di sé e dell’oggetto, insomma tutto ciò
che viene designato come ruolo di genere.
In conclusione
È ancora attualmente oggetto di discussione quando e come
il nucleo dell’identità di genere diventi consolidato, e quali
siano eventualmente i margini alla malleabilità.
La recente ricerca ne dedurrebbe la stabilizzazione all’età
di circa due anni, quando il bambino si riconosce in accordo
con il suo sesso biologico e di norma dice di sé “io sono un
bambino”, oppure “io sono una bambina”. Nel caso estremo
di “devianza”, in presenza cioè di uno “sviluppo atipico
dell’identità di genere” la risposta potrebbe essere quella
di: “io sono un bambino/a in un corpo sbagliato”.
In conclusione
Alcuni autori (Person e Ovesey 1974; Stoller 1968, 1969)
tentando di rintracciare una specifica patologia
transessuale primaria, hanno inoltre tentato di individuare
i casi in cui determinati soggetti potrebbero trarre
beneficio dall'intervento chirurgico.
Altri (Socarides 1970, Money 1974), invece, hanno ritenuto
che il cambiamento di sesso fosse richiesto unicamente da
pazienti con problemi complessi e con particolari disturbi
nell’area della personalità
In conclusione
Prima dell'anno 1953, quando fu realizzato il primo
cambiamento chirurgico di sesso su “Christine Jorgensen", i
problemi relativi dell'identità sessuale rientravano nelle
categorie diagnostiche dell'omosessualita’ e del travestitismo
L’attuale ricerca su genere e sessualità riguarda sempre più
un campo multidisciplinare, poiché sono coinvolte (in
particolare nei casi di transessualismo) più e differenziate
figure professionali.
Il fenomeno transessuale
In seguito alla pubblicazione nel 1966 del testo “Il fenomeno
transessuale” dell'endocrinologo Harry Benjamin si si è
cominciato a trattare di transessualismo in modo esteso e
dettagliato. Una ricerca tuttora viva, alla quale personalmente ci
dedichiamo da più di 15 anni presso l’Unità di Psicologia Clinica e
Psicoanalisi Applicata del Dipartimento di Neuroscienze
dell’Università di Napoli Federico II
I criteri “diagnostici”
I concetti di sesso e genere, elaborati nel campo analitico e
precedentemente evidenziati, hanno influenzato il modo in cui il Manuale
Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM) ha definito il
Disturbo dell’Identità di Genere.
Tuttavia c’è uno scarto temporale effettivo e significativo tra la
pubblicazione del testo di Benjamin (del 1966) e l’iscrizione della
condizione del transessualismo nel sapere medico e psichiatrico (prima
volta DSM III del 1980).
L’incontro tra transessualismo e DSM ha portato indubbiamente molti
benefici. Tuttavia grazie all’avanzamento della ricerca, tale categoria
diagnostica è posta a critica e revisione. Attualmente la comunità
scientifica si interroga se possiamo ancora considerare ,alla luce anche
dei radicali mutamenti che hanno investito la nostra società negli ultimi
decenni ,il transessualismo un disturbo mentale .
Procediamo ,dunque ,ad un excursus
Review dei criteri diagnostici
Nel 1980, la terza edizione del Manuale Statistico e Diagnostico dei
Disturbi Mentali (DSM III), ospita nel capitolo riguardante i disturbi
psicosessuali, la sottoclasse "disturbi della identità di genere" ed il
transessualismo viene considerato non piu’ come il sintomo di una sindrome,
bensì come disturbo dell‘identità sessuale, categoria applicabile a quei
soggetti che in modo continuativo – da almeno due anni – mostrano un
particolare interesse a modificare la propria anatomia sessuale.
Il “disturbo” individuato è articolato in tre categorie:
Dell’infanzia
Dell’adolescenza
Dell’età adulta – altrimenti definito come “disturbo dell’identità di
genere atipico”
Queste tre condizioni vengono collocate all’interno della più ampia
categoria dei “disturbi psicosessuali” (Valerio et al., 2006).
È da notare che contestualmente, con il DSM III ha la sua “fuoriuscita” la
diagnosi di omosessualità.
Review dei criteri diagnostici
Nella versione rivisitata della terza edizione del manuale,
avvenuta nel 1987, la “questione transessuale” trova collocazione
in un altro raggruppamento, nella categoria “disturbi che
usualmente compaiono per la prima volta nell’infanzia, nella
fanciullezza e nell’adolescenza”; essa viene giustificata
dall’osservazione della manifestazione di tale fenomeno in fase di
sviluppo.
Fanno , inoltre, la loro comparsa il “disturbo dell’identità di
genere dell’adolescenza e dell’età adulta, tipo non transessuale”
(GIDAANT), in cui spicca l’assenza del desiderio di intervenire
con manovre chirurgiche, e il “disturbo dell’identità di genere non
altrimenti specificato”.
Review dei criteri diagnostici
Nella quarta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei
Disturbi Mentali (DSM IV) pubblicato nel 1994, la nozione di
transessualismo viene definitivamente inglobata da quella di disturbi
dell’identità di genere. La diagnosi viene collocata nella sezione
“disturbi sessuali e dell’identità di genere” con questi criteri:
a) Una forte e persistente identificazione con il sesso opposto;
b) persistente malessere riguardo al proprio sesso o senso di
estraneità riguardo al ruolo sessuale del proprio sesso;
c) l’anomalia non è concomitante con una condizione fisica
intersessuale
d) l’anomalia causa disagio clinicamente significativo o
compromissione dell'area sociale, lavorativa o di altre aree
importanti del funzionamento
Review dei criteri diagnostici
Nel 2012 è prevista l’uscita del V capitolo del DSM, il
DSM V.
È molto aperta la discussione su quale sia il “destino”
del disturbo dell’identità di genere e quale possa
essere la nuova “formula” diagnostica da adottare.
L’attenzione creatasi intorno a questo fenomeno, sia
all’interno che all’esterno dei confini clinici, come ad
esempio quella del movimento LGBTQ, sta
permettendo di beneficiare di un clima diverso nei
quali sono coinvolti gli operatori tutti e l’opinione
pubblica, che lentamente sta approfondendo la propria
conoscenza di tale fenomeno.
Review dei criteri diagnostici
Sul sito del DSM V (www.DSM5.org) è possibile trovare gli
aggiornamenti più recente dell’attuale task force
diagnostica, ed in particolare leggere che:
“Il sotto-gruppo che si occupa del Disturbo dell’Identità di
Genere sta lavorando ad una revisione della letteratura
concettuale, e valutando la logicità stessa, della diagnosi
psichiatrica di tale disturbo (DIG)”.
Review dei criteri diagnostici
Al di là degli spostamenti minimi avvenuti con la revisione (Tr)
del DSM nel 2000, è in discussione l’inclusione di tale
condizione nei disturbi mentali, soprattutto per quanto
attiene al suo possibile esordio durante l’età infantile e
l’adolescenza.
Il DIG potrebbe essere, nell’ipotesi della non
patologizzazione, unicamente prodromo e precoce
manifestazione di un orientamento sessuale omosessuale, e
dunque in quanto tale non “patologico”, e non oggetto di
trattamento psicologico o psichiatrico (cfr Valerio et al,
2006).
Review dei criteri diagnostici
Tuttavia tale ipotesi va valutata con attenzione, a causa di diverse
implicazioni economiche e medico-legali. Infatti, prima della legge
164 del 1982, le procedure medico chirurgiche finalizzate al
cambiamento di sesso erano sostanzialmente illegali.
A tal proposito è stato solo mediante la definizione di “disturbo”,
e individuando le conseguenti possibili “terapie”, che è stato
possibile derogare l’articolo 5 C.C. e 579 e 580 del C.P.: articoli
dedicati ai principi di “immutabilità del sesso” e “non disponibilità
del proprio corpo”.
Tutto ciò può avere numerose ricadute, anche sul piano economico,
poiché l’attuale configurazione giuridica permette comunque che
l’intervento sia a carico del sistema sanitario nazionale.
Nonostante quanto fino ad ora
esposto, rimane estremamente
complesso rispondere in modo
univoco alla domanda: “è il disturbo
dell’identità di genere una malattia
mentale?”
Auspichiamo e lavoriamo per una
società più comprensiva e meno
giudicante, nonché maggiormente
disponibile ad includere e
comprendere le diverse espressioni
di generi e sessualità!
L'INTERVENTO PSICOLOGICO, A
NOSTRO PARERE, SI PUO' SVOLGERE
SU DUE PIANI:
1) QUELLO INIZIALE DI DIAGNOSI E
VALUTAZIONE.
2) QUELLO DI CONSULENZA E PRESA IN CARICO
DURANTE IL
PERCORSO CHE PORTA ALLA
RETTIFICAZIONE ANAGRAFICA DEL
SESSO.
LO SCOPO DEI COLLOQUI PSICOLOGICI
INIZIALI DOVREBBE ESSERE QUELLO DI
RACCOGLIERE INFORMAZIONI SULLA
PERSONA E SULL'AMBIENTE ( FAMIGLIA,
VITA SOCIALE, LAVORO, ECC..) PER
CONOSCERE E VALUTARE NON SOLO
L’ELEGIBILITA’ DEL PAZIENTE PER
L’INTERVENTO MA ANCHE QUALI SIANO LE
RISORSE INTERNE ED ESTERNE DISPONIBILI
ALL’INDIVIDUO.
GLI INTERVENTI SONO VOLTI A “SOSTENERE,
AFFIANCARE IL/LA PAZIENTE NEL PERCORSO
INTRAPRESO” E A RESTITUIRGLI LE INFORMAZIONI
E I RISULTATI DEI COLLOQUI DI VALUTAZIONE.
SIAMO CONSAPEVOLI CHE QUALSIASI
COLLOQUIO, SIA ESSO DI VALUTAZIONE, DI
DIAGNOSI 0 DI CONSULENZA, ACQUISTA ANCHE
VALENZE TERAPEUTICHE IN SENSO
GENERALE.
TUTTAVIA IN QUESTO TIPO DI INTERVENTO NON
VORREMMO PARLARE DI
PSICOTERAPIA, MA DI “COUNSELLING
PSICOLOGICO”.
SI PUO’ AFFERMARE CHE NEL CASO DEL
COUNSELLING PSICOLOGICO PSICODINAMICAMENTE
ORIENTATO ESISTE UNA
MINORE INTENSITA’ E FREQUENZA DELLA
RELAZIONE, UNA DURATA CIRCOSCRITTA,
UNA FOCALIZZAZIONE E LIMITAZIONE DEGLI
INTERVENTI AD ALCUNE AREE DELLA
PERSONALITA’ DEL/LA PAZIENTE, UNA
DIFFERENTE ELABORAZIONE VERBALE DELLA
RELAZIONE TRA IL/LA PAZIENTE E LO
PSICOLOGO.
PER COLORO CHE HANNO DECISO PER IL
CAMBIAMENTO CHIRURGICO DEL SESSO, LO
PSICOLOGO NON POTRA’ CHE “SOSTENERE”
TALE DECISIONE.
MA COSA SIGNIFICA “SOSTENERE”?
NEI CASI IN CUI IL PAZIENTE ACCETTA DI
SOSTENERE UN CICLO DI COLLOQUI, LO
PSICOLOGO POTRA’ SVOLGERE LA FUNZIONE
DI UN “SE’ AUSILIARIO”, DI UNA GUIDA CHE
PUO’ FORNIRE AL PAZIENTE MAPPE
DETTAGLIATE DEL PAESE SCONOSCIUTO DA
VISITARE.
QUESTI PAZIENTI
FINISCONO PER DIFENDERSI
DALL'IRRUZIONE DI SENTIMENTI O DI CONFLITTI
INSOSTENIBILI, FINISCONO CON IL POLARIZZARE
TUTTA LA PROPRIA ATTENZIONE SU CONTENUTI
RELATIVI
ALLA DIFFERENZA SESSUALE.
OGNI MODO DI PENSARE E’ REIFICATO E
FORMULATO IN TERMINI DICOTOMICI,
DI DIVISIONE, DI TAGLIO, DI
OPPOSIZIONE: OGNI CAMBIAMENTO E’
VISTO COME UNA TRASFORMAZIONE
MAGICA.
SI PUO' RITENERE CHE LA
RIASSEGNAZIONE
ORMONOCHIRURGICA DEL SESSO RAPPRESENTI
UN TENTATIVO DI DARE UNA RISPOSTA
AI BISOGNI DEL PAZIENTE, NON
AGENDO IN ALCUN MODO SUL
DISTURBO PSICOLOGICO.
IL TRANSESSUALE
CONTESTA DI
SOFFRIRE DI PROBLEMI PSICOLOGICI;
IL SUO, SOSTIENE, NON E’ CHE UN
“ERRORE DELLA NATURA”, CHE NON
GLI HA DATO UN CORPO APPROPRIATO
A QUELLO CHE EGLI SENTE DI ESSERE
O VORREBBE ESSERE.
TUTTO, PER QUESTI PAZIENTI, SI GIOCA SUL PIANO
CORPOREO E NON SU QUELLO
PSICHICO; ESSI ARRIVANO RISOLUTI AD
OTTENERE UN INTERVENTO CHIRURGICO,
MENTRE LA PSICOTERAPIA E L’APPROCCIO
PSICOLOGICO IN GENERE DESTANO IL
SOSPETTO CHE LI SI VOGLIA DISTOGLIERE
DAL LORO SCOPO FACENDO LORO
CAMBIARE IDEA.
PERTANTO, TUTTI I TENTATIVI PSICOLOGICI
INIZIANO CON SOSPETTO E DIFFICOLTA’ DEL
PAZIENTE A STABILIRE UN RAPPORTO DI FIDUCIA
CON LO PSICOLOGO.
QUESTI PAZIENTI INDUCONO NEL
TERAPEUTA UNA CONFUSIONE DI
IDENTITA’, PER CUI NON SI SA SE CI
SI RIVOLGE AD UN UOMO O AD UNA DONNA.
MA QUESTA CONFUSIONE
RAPPRESENTA ANCHE IL CONFRONTO
CON LA POSSIBILITA’ DI UNA
BISESSUALITA’ PSICHICA CHE RENDE
PIU’ ARTICOLATO IL RICONOSCIMENTO DELLA
PROPRIA IDENTITA’ SESSUALE, INTEGRANDO PARTI
MASCHILI E FEMMINILI IN UNO STESSO CORPO.
ANCORA OGGI NON ESISTONO PARERI
UNANIMI SULLA IDONEITA’ E LA
LICEITA’ DELL’INTERVENTO
CHIRURGICO COME MEZZO PER
RISOLVERE TALE PROBLEMA.
ALCUNI AUTORI PARLANO, INFATTI, A FAVORE
DELL’INTERVENTO, CONSIDERANDO IL
TRANSESSUALISMO COME UNA
SCELTA NON CONFLITTUALE, ALTRI
INVECE, RIBADENDO LA NATURA
PSICOLOGICA DI TALE DISTURBO, SI
MOSTRANO DUBBIOSI SULL’UTILITA’
DELL’INTERVENTO.
MARIA VITTORIA TURRA RIBADISCE CHE SI TRATTA
DI PAZIENTI CHE COLLOCANO NELL’ORGANO DA
ASPORTARE O DA TRASFORMARE MOLTO PIU’ CHE IL
SEMPLICE DATO ANATOMICO.
“NEL LORO PENE E’ POSTA LA MOSTRUOSITA’ MASCHILE DA
AMPUTARE, LA SOFFERENZA CHE QUESTO HA INDOTTO: IL
CHIRURGO NON ASPORTA DUNQUE SOLO IL PENE E I
TESTICOLI, MA IL DOLORE, LA RABBIA, LA
MORTIFICAZIONE CHE SONO STATI LORO ATTRIBUITI.. LA
VAGINA SAGOMATA ALLA MEGLIO DIVENTA IL POSSIBILE
CONTENITORE
DELLA GIOIA, DELL’IDENTITA’, ED IL LUOGO CHE DEFINISCE
LA POSSIBILITA’ DI STABILIRE CONTATTI CON IL MONDO
ESTERNO NELLA NUOVA SEDE DEL GENERE DESIDERATO” .
(TURRA, 1995)
Alcuni testi di riferimento
Valerio P., Bottone M., Galiani R., Vitelli R. (a cura di) (2001). Il
Transessualismo , Milano, Angeli
Valerio P. Nunziante Cesaro A., (a cura di) (2006). Dilemmi
dell’Identità: Chi Sono?, Milano, Angeli.
Valerio P., Bottone M., Vitelli R., Sisci N. (2006). L’identità
Transessuale tra Storia e Clinica. In “Gay e Lesbiche in
Psicoterapia”, Milano, Cortina.
Di Ceglie D. (2006). Organizzazione Atipica dell’Identità di
Genere. In “Gay e Lesbiche in Psicoterapia”, Milano, Cortina.
Grazie per la vostra attenzione!
Per ogni altra informazione, comunicazione
o commento:
[email protected]
e
www.progettorlando.unina.it