LA PIANIFICAZIONE FISCALE INTERNAZIONALE (PFI) Definizione La pianificazione fiscale internazionale o tax planning può essere definita come il complesso di iniziative di organizzazione sul piano operativo da parte di imprese, al fine di rendere ottimale, per le imprese stesse, l’onere fiscale che ne consegue, considerando le caratteristiche dei singoli ordinamenti tributari e dell’ordinamento tributario internazionale in cui operare, le interrelazioni fra gli stessi, le possibilità che l’ottimizzazione dell’onere fiscale possa essere conseguenza del lecito utilizzo delle differenze e delle interconnessioni fra gli ordinamenti. Si tratta del complesso di scelte relative alla adozione di assetti negoziali e organizzativi volti alla crescita della competitività internazionale delle imprese, attraverso l’ottimizzazione del carico fiscale. I processi di globalizzazione in atto, infatti, spingono sempre più le imprese a promuovere la propria attività all’estero. Obiettivo L’obiettivo tipicamente perseguito attraverso il tax planning consiste nella individuazione delle discipline fiscali di favore esistenti in alcuni paesi, nella determinazione degli assetti contrattuali o societari che permettano di ridurre il peso delle imposte sul reddito d’impresa e, conseguentemente, nella localizzazione dell’attività produttiva o commerciale nei territori ove vige il regime fiscale favorevole. Obiettivo Ottenere legittimamente la massima possibile riduzione del carico fiscale globale. Pertanto, la PFI non configura alcuna ipotesi di evasione o di elusione. La pianificazione fiscale è di per sé attività perfettamente legittima, anzi auspicabile, se non, molto spesso, necessaria, quale parte della pianificazione aziendale. Una buona pianificazione aziendale deve, infatti, tenere conto anche della ottimizzazione dell’onere derivante dall’adempimento degli obblighi tributari; onere che deve essere inteso non soltanto come quello derivante dal pagamento del tributo, ma anche come quello derivante dagli adempimenti strumentali al pagamento stesso e dagli oneri di natura finanziaria connessi all’eventuale discostarsi del momento dell’effettivo pagamento o del rimborso dell’ imposta pagata e non dovuta, rispetto a quello in cui l’adempimento avrebbe dovuto essere eseguito (connected requirements). PFI come parte della pianificazione aziendale 1. 2. 3. 4. Effettuare la pianificazione fiscale delle imprese o dei gruppi di imprese significa: analizzare l’ambiente in cui tale attività deve svolgersi; definire gli obiettivi che si vogliono conseguire; identificare le modalità mediante le quali conseguire gli obiettivi; predisporre i mezzi necessari al loro conseguimento. Le scelte di allocazione dell’attività di impresa sono rimesse al giudizio dell’imprenditore, che è in linea di massima insindacabile dall’esterno. La libertà di scelta dei modi in cui organizzare e localizzare l’impresa sono particolarmente tutelate nella UE e tutelate dalla Corte di Giustizia anche con riferimento ai rapporti tributari. La PFI e la competizione fiscale tra Stati (Tax competition) La PFI trova il suo humus nelle differenze degli ordinamenti impositivi che possono in buona parte dipendere dalla concorrenza fiscale che si può sviluppare tra gli Stati. Gli Stati possono essere sollecitati dalla necessità di tutelare il risparmio, così come dalla possibilità di attrarre investimenti a tutela della integrità del loro bilancio. La concorrenza fiscale, quindi, non è fatto tipico della contrapposizione esistente tra Paesi in via di sviluppo e Paesi sviluppati, ma è estesa anche agli ordinamenti dei Paesi sviluppati. Gli squilibri devono essere superati dagli ordinamenti mediante l’allineamento normativo che tolga caratteristiche di particolare attrazione ad istituti come le Holdings o a strumenti imperfetti per evitare le doppie imposizioni come in alcuni casi il credito di imposta, pure eventualmente salvaguardando quegli aspetti della competizione che possono essere definiti virtuosi in quanto stimolanti provvedimenti di allineamento da parte di Paesi che si discostano dal più generale utilizzo degli strumenti di imposizione. La competizione fiscale trova un ammortizzatore quando si manifesta tra Paesi aderenti ad organizzazioni regionali di Stati con avanzate caratteristiche di integrazione economica e politica, quali l’Unione Europea, soprattutto in considerazione della finalità primaria per il raggiungimento della quale l’organizzazione è stata creata. Esempio: La limitazione ed il controllo degli aiuti di Stato anche sotto forma di vantaggi fiscali è materia che attiene alla tutela della concorrenza ma che incide sulla valutazione dell’onere fiscale. E’ da notare che nell’ambito della Commissione Affari Fiscali dell’OCSE è maturato un cambiamento di strategie per contrastare la competizione fiscale, puntando soprattutto su di un efficace sistema di scambio di informazioni e sulla evidenza di condizioni normative che assicurino la trasparenza delle organizzazioni e dell’attività dei soggetti in condizioni di avvalersene, piuttosto che su norme penalizzanti nei confronti di soggetti che operano con residenti in Paesi inclusi nelle cosiddette black lists. Il tax planning presuppone l’accurata disamina e applicazione delle norme giuridiche interne dedicate alle operazioni internazionali e delle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali, nonché le spesso complesse e contrastanti interpretazioni della giurisprudenza, della dottrina, e dell’amministrazione finanziaria circa la definizione di taluni istituti quali la residenza, la stabile organizzazione. È opportuno che tale attività sia svolta congiuntamente da avvocati e dottori commercialisti (occorrono sia conoscenze economico-contabili che di stretta interpretazione giuridica) per ridurre il rischio di sanzioni penali. Strumenti preventivi a disposizione dei contribuenti, spesso poco utilizzati, sono le varie forme di interpello (ruling) previste dal nostro ordinamento. Il mancato utilizzo dell’interpello, così come il discostarsi motivato dalle risultanze infondate dello stesso, non comporta una preclusione alla difesa in sede penale, ma ne può comportare soltanto una maggiore difficoltà. Le scelte localizzative delle imprese producono un impatto di carattere fiscale che può depotenziare il prelievo dello Stato nel quale risiede principalmente l’impresa. Pertanto si riscontrano forme di resistenza dell’ordinamento tributario nazionale nei confronti della pianificazione tributaria internazionale adottata dalle imprese ivi residenti Da un lato, emerge l’esigenza di contenere l’ambito di fruizione dei vantaggi fiscali dell’international tax planning al fine di garantire l’integrità sostanziale del prelievo tributario rispetto alla capacità contributiva espressa dalle imprese residenti. In questa prospettiva vengono riguardate con particolare cautela tutte le scelte allocative che possono generare veri e propri abusi rispetto alle modalità ordinarie di produzione del reddito di impresa. Si tratta dunque di una serie di istanze tutte riconducibili al valore dell’interesse fiscale dello Stato comunità rispetto al mantenimento di un flusso di entrate tributarie idonee ad assicurare il perseguimento degli scopi di utilità collettiva. Dall’altro, le ragioni di coerenza verso l’ordinamento internazionale impongono il rispetto della sovranità fiscale degli Stati esteri e, pertanto, inducono a mantenere una posizione non aggressiva nei confronti dei soggetti che aderiscono alle legislazioni tributarie di favore esistenti in altri paesi. I limiti alla PFI derivanti dalle norme antielusive È da ritenersi sostanzialmente marginale l’adoperabilità di clausole generali antielusione per contrastare il fenomeno di possibili abusi del treaty shopping (ricorso ad una persona interposta che si inserisce nel rapporto tra l’interponente ed il soggetto erogatore del reddito, al fine di avvantaggiarsi di un trattato di cui altrimenti non potrebbe beneficiare) o comunque della localizzazione all’estero di attività di impresa. Pur essendo diffuso il convincimento che tale clausola sia in qualche modo presupposta dalle convenzioni internazionali contro la doppia imposizione. L’uso di formule ampie di contenimento della facoltà di localizzazione all’estero delle attività di impresa rischia di essere inteso come una limitazione della sovranità fiscale di altri Stati e, dunque, come una inaccettabile lesione dell’ordinamento internazionale. Viene quindi privilegiato il ricorso a regole specifiche di restrizione dei vantaggi fiscali riconnessi ad operazioni di carattere internazionale. Le misure anti-abuso sono dunque stabilite con riferimento ad atti o soluzioni organizzative ben determinate, nei quali si suppone un intento elusivo da parte delle imprese volto a minimizzare artificiosamente il carico fiscale. Anche nell’ordinamento comunitario, allorché si è deciso di avviare una decisa azione di contrasto alla concorrenza fiscale dannosa mediante il contenimento delle discipline fiscali privilegiate previste nei territori dell’Unione europea, si è optato per una soluzione casistica (individuazione specifica delle normative di favore da abrogare o comunque da limitare) e non anche per l’introduzione di una clausola generale volta a precludere gli effetti favorevoli della disciplina agevolata relativa localizzazione in territori a fiscalità privilegiata. Esempi: servizi infragruppo, servizi finanziari, società offshore, regimi settoriali specifici, incentivi fiscali di carattere settoriale. Clausola dell’effettivo beneficiario e abusi della PFI Si è detto che si ritiene rinvenibile, anche se in via implicita, nelle convenzioni internazionali una clausola generale antielusiva. Si tratterebbe del principio dell’effettivo beneficiario, in virtù del quale il titolare dell’attività economica o comunque il soggetto a cui va imputato l’atto o l’attività da cui deriva la produzione di reddito va individuato in ragione della posizione di effettivo beneficiario dell’incremento reddituale, indipendentemente dal soggetto che si pone quale interlocutore formale delle controparti negoziali. Indici Il trasferimento del reddito dal soggetto che incassa un provento a favore di un altro soggetto viene considerato come elemento presuntivo della mancanza di un interesse sostanziale all’incremento economico prodotto. Segue… L’assenza di un assetto organizzativo materiale e comunque l’insussistenza di un contributo alla produzione del risultato economico vengono considerati indici di un ruolo passivo, di mero intermediario del soggetto estero rispetto alla realizzazione del reddito. Il riconoscimento in pratica di tali situazioni non è agevole, e ciò conferma la difficoltà già ricordata di reperire nel diritto tributario internazionale rimedi generali contro i possibili abusi della PFI. Tale principio può tuttavia essere inteso quale generico riconoscimento della prevalenza della sostanza sulla forma. Articolazione territoriale dell’impresa multinazionale e profili fiscali Nel diritto tributario sono IM i soggetti passivi persone fisiche o giuridiche che pongono in essere fattispecie che presentano collegamenti di natura reale e/o personale con più di un ordinamento. Una distinzione Impresa multinazionale unitaria: soggetto che esercita attività produttiva di reddito di impresa su base transnazionale avvalendosi di unità localizzate all’estero prive di autonoma soggettività giuridica (uffici di rappresentanza e/o stabili organizzazioni). Impresa multinazionale di gruppo (IMG):è costituita da due o più società, dotate di autonoma soggettività giuridica, variamente collegate, che svolgono attività produttive di reddito di impresa con livelli più o meno intensi di collegamento funzionale e di integrazione determinati dalla sottoposizione alla direzione unitaria di una società capogruppo. Processo economico di espansione e moduli organizzativi IMG Esportazione e commercializzazione di beni o effettuazione di servizi all’estero Creazione di stabili organizzazioni all’estero (branch) Costituzione di una singola controllata all’estero Creazione di più società operative e/o di controllo intermedie Ognuna di queste scelte organizzative è oggetto di un distinto regime tributario. Ufficio di rappresentanza (art. 5, par. 4, Modello OCSE) Sede fissa d’affari utilizzata al solo fine di acquistare merci, di raccogliere informazioni per l’impresa, di effettuare pubblicità, ricerche scientifiche, o attività analoghe che abbiano carattere preparatorio ed ausiliario per l’impresa. In questo caso viene esclusa in linea di principio l’applicabilità della disciplina del reddito di impresa. Stabile organizzazione (art. 162, comma 1, Tuir) Sede fissa d’affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato. Si tratta di una mera articolazione organizzativa del medesimo soggetto estero priva di una propria autonoma rilevanza soggettiva, la quale è però tenuta ad una serie di adempimenti tributari al pari di una società controllata in ragione della forza attrattiva esercitata rispetto alla determinazione del reddito di impresa. Essa è tenuta al rispetto degli obblighi contabili previsti in genere per le imprese residenti (art. 14, dpr 600/1973). Art. 14, co. 5, Dpr n. 600/1973 Le società (…) non residenti che esercitano attività commerciali in Italia mediante stabili organizzazioni devono rilevare nella contabilità distintamente i fatti di gestione che interessano le stabili organizzazioni, determinando separatamente i risultati dell’esercizio relativi a ciascuna di esse. La norma in esame : non obbliga alla tenuta di una separata contabilità per la S.O. (apposita e anche materialmente diversa da quella dell’impresa considerata nel suo complesso), ma soltanto a una distinta rilevazione, anche nell’ambito di un’unica contabilità di impresa, dei fatti attinenti alla stabile organizzazione; non indica il luogo in cui deve essere tenuta la contabilità. Il sistema contabile della stabile organizzazione estera può essere approntato principalmente attraverso: l’utilizzo di giornali sezionali, da tenersi presso la casa madre in Italia o all’estero; la predisposizione di un opportuno piano di schede di mastro e di relativi sottoconti e di un libro giornale generale sul quale siano registrate le operazioni relative alla S.O. Spese generali e costi di direzione (cc.dd. spese di regia) Si tratta di spese sostenute dalla casa madre e ribaltate alla S.O. (o alla società controllata). I criteri di imputazione sono individuati da schemi economici di portata generale all’interno del gruppo (cc.dd. cost sharing). L’art. 7, co. 3, Modello OCSE consente la deducibilità di tali spese su base analitica (se corredate da adeguata documentazione contabile) tanto per la società controllata che per la stabile organizzazione. Qualora si adotti un meccanismo forfetario, esso dovrà essere compatibile col principio della libera concorrenza. Il Commentario OCSE suggerisce quale criterio di ripartizione il rapporto tra volume d’affari della sede nazionale e volume d’affari complessivo. Società controllata estera (subsidiary) I rapporti tributari tra società controllante e società controllata differiscono da quelli intercorrenti tra casa madre e S.O.: Controllante e controllata sono soggetti passivi aventi distinta capacità giuridica e tributaria Gli utili della controllata risultano dalla contabilità da essa autonomamente predisposta e non sono imputabili alla controllante se non sotto forma di dividendi, royalties, prezzi di trasferimento, a meno che non operi la normativa CFC o quella sul consolidato. I redditi prodotti all’estero dalla controllata godono in capo alla controllante di sospensione di imposta fino a che non sono rimessi ad essa, mentre la produzione dei redditi tramite una S.O. determina l’immediata imponibilità in capo alla casa madre. Ai dividendi, interessi e royalties pagati dalla controllante alla controllata è applicata la ritenuta, mentre ciò non avviene per la corresponsione di fondi tra S.O. e casa madre. Il regime impositivo dei rapporti intragruppo riguarda i pagamenti dei dividendi, interessi, royalties, nonché prezzi di trasferimento. Regime impositivo dei dividendi transnazionali Dividendi in uscita (pagati da società residenti in Italia ad azionisti esteri): ritenute a titolo di imposta. Dividendi in entrata (percepiti da società controllate estere): regime della participation exemption (95% per i soggetti Ires residenti e 50,28% per i soggetti IRPEF residenti). Si prevede: l’esenzione totale per dividendi distribuiti da società consolidate la tassazione totale degli utili distribuiti da società residenti in Paesi RFP. Strumenti della PFI: alcuni esempi 1. Erosione della base imponibile (tax base erosion): consiste nella “estrazione” di utili al lordo delle imposte da paesi a fiscalità più elevata a paesi a fiscalità più ridotta, mediante deduzioni fiscali di costi in uno Stato (interessi, royalties) e tassazione di ricavi in altro Stato. Segue… Diverse società sono preposte a canalizzare tali flussi all’interno del gruppo (società finanziarie e holding, cd. licencing companies, captive insurance companies). Quanto più è elevato il differenziale di aliquote, tanto è maggiore il trasferimento di utili. Limitazioni a tali tecniche sono le normative in tema di prezzi di trasferimento ed in materia di rapporti con i Paesi RFP. Società finanziarie Sono costituite al fine di raggiungere il seguente vantaggio fiscale: concentrazione del servizio del debito (sotto forma di interessi passivi deducibili) in Stati a fiscalità relativamente elevata, con correlata accumulazione degli interessi attivi in capo a soggetti localizzati in Stati a fiscalità ridotta. Segue… Tali società sono sovente localizzate in centri finanziari offshore, caratterizzati da segreto bancario, controlli ridotti, efficienti servizi finanziari, accesso al mercato dei capitali internazionale. Captive insurance companies Si tratta di società che all’interno del gruppo garantiscono la copertura di svariati rischi delle consociate e percepiscono da esse le fees, utilizzando la tecnica della erosione delle basi imponibili basata sui differenziali di aliquote. Segue… I vantaggi derivano dalla localizzazione della società in un Paese a bassa fiscalità con riferimento alla tassazione delle fees assicurative, nonché dalla possibilità di dedurre i premi pagati in capo alle società del gruppo. Licencing companies Si tratta delle società destinatarie di royalties (diritti sulla proprietà intellettuale) costituite al fine di perseguire la gestione centralizzata dei flussi remunerativi di intangibles. I vantaggi fiscali consistono nella concentrazione delle royalties passive deducibili in Stati a fiscalità comparativamente elevate e nella accumulazione delle royalties attive in capo a soggetti localizzati in Stati a fiscalità ridotta. Segue… Tali società finanziarie sono sovente localizzate in Paesi RFP. Società di trading internazionale Società intermediaria nell’acquisto o vendita di beni o servizi alla quale non è applicabile il regime dei prezzi di trasferimento. Società preposte alla vendita: rifatturano beni o servizi ricevuti da entità operative in Paesi ad elevata fiscalità, al consumatore finale, senza che le merci vengano materialmente consegnate alla società di trading. Società di trading internazionale Questa tecnica consente di spostare i margini di profitto dal Paese ad alta fiscalità al Paese a bassa fiscalità. I Paesi che consentono tale tipo di struttura sono i Paesi RFP. Segue… Società preposte all’acquisto: acquistano beni e servizi da terzi per poi rivenderli ad altre società del gruppo ad un costo maggiorato del profitto. Le società del gruppo vendono poi i beni e servizi a consumatori finali realizzando ridotti margini di utili. Accentrando gli acquisti si ottengono migliori prezzi, termini di consegna e condizioni di acquisto, oltre che profitti soggetti a tassazione ridotta. Rimedi normativi contro l’abuso della PFI: la disciplina delle Cfc Con la disciplina delle Controlled foreign companies (Artt. 167 e 168 Tuir) si procede a sterilizzare i possibili benefici fiscali che un gruppo di imprese italiano può ritrarre dalla delocalizzazione artificiosa delle proprie attività in un paradiso fiscale. I redditi prodotti da controllate (art. 167) e da collegate (art. 168) residenti o localizzate in Paesi RFP sono attratti in Italia. Segue… Si ricorre al principio di trasparenza quale criterio di imputazione del reddito direttamente in capo ai residenti in Italia per attività prive di radicamento territoriale. Obiettivo Impedire che la localizzazione nei territori a fiscalità privilegiata sia preordinata a sottrarre i relativi redditi a tassazione nel nostro ordinamento. Esimente (art. 167, co. 5) Al fine di ottenere la disapplicazione della regola delle Cfc, potrà essere presentata un’istanza di interpello preventivo diretta a dimostrare: Che il soggetto partecipato svolge una effettiva attività industriale o commerciale come propria principale attività, nello Stato o nel territorio nel quale ha sede. Segue… Che dalle partecipazioni detenute non deriva alcun risparmio di imposta Effettiva attività: precisazioni Il soggetto controllato deve svolgere effettivamente un’attività commerciale ai sensi dell’art. 2195 c.c., come principale attività, con una struttura organizzativa idonea allo svolgimento della stessa oppure alla sua autonoma preparazione e conclusione (art. 5, co. 3, dm 21.11.2001, n. 429). Ai fini dell’esenzione risulta indispensabile la sussistenza di un rapporto fra insediamento produttivo e lo stato estero che possa integrare quel radicamento territoriale che giustifichi la localizzazione della controllata. (Lupi) L’A.F. richiede che sia fornita la documentazione atta a dimostrare la sussistenza di una struttura organizzativa idonea allo svolgimento dell’attività suddetta: esistenza di un management operativo, la disponibilità di locali aziendali e di magazzino, esistenza di personale dipendente, contratti commerciali. (cm 23.5.2003, n.29/E) Documenti richiesti a corredo dell’istanza di disapplicazione disciplina Cfc Bilancio e relativa certificazione Prospetto descrittivo dell’attività esercitata Contratti di locazione immobili adibiti a sede degli uffici e dell’attività Contratti di lavoro Copia delle fatture Conti correnti aperti presso istituti locali Etc. Esterovestizione delle attività di impresa Gli abusi derivanti dalla localizzazione estera di attività di impresa (cd. esterovestizione) sono contrastati da una presunzione relativa di localizzazione in Italia della residenza di società ed enti controllati da soggetti italiani e costituiti in territori a bassa fiscalità al ricorrere di determinate condizioni (art. 73, co.5 bis 5 ter, Tuir). La residenza effettiva, secondo la norma in oggetto, è da determinarsi in base alla sede dell’amministrazione (luogo dal quale provengono gli impulsi volitivi inerenti la gestione della società). Si presumono, salvo prova contraria, residenti in Italia le società o enti che hanno stabilito la sede legale o amministrativa all’estero e che detengono direttamente partecipazioni di controllo ai sensi dell’art. 2359, co. 1, c.c., in una società o ente commerciale residenti in Italia qualora, in alternativa: Siano assoggettati al controllo, anche indiretto, ai sensi dell’art. 2359, co. 1, c.c., da parte di soggetti residenti nel territorio dello Stato italiano Siano dotate di un organo di gestione composto prevalentemente da amministratori residenti in Italia. La norma prevede l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente. Questi dovrà dimostrare l’esistenza di elementi di fatto e di situazioni o atti idonei a provare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero (Circ. 4 agosto 2006, n. 28/E). In definitiva: la società estera si considera residente se è controllata, anche indirettamente, da soggetti residenti in Italia. Effetti della presunzione Assoggettamento della società estera agli obblighi tributari (sostanziali e strumentali) previsti dalla normativa italiana Possibile modifica nella determinazione del reddito imponibile e dell’imposta dovuta. Regime del transfer pricing Normativa volta a contrastare l’abuso della PFI dovuto allo spostamento di materia imponibile da un ordinamento all’altro per effetto della modifica dei prezzi di trasferimento intragruppo, con lo scopo di ridurre il carico fiscale complessivo sul gruppo di imprese. Sulla base di una regola di derivazione internazionale (art. 9, Modello OCSE), è così previsto che, in deroga al principio della rilevanza del corrispettivo contrattuale, al fine di individuare le componenti reddituali si deve assumere il criterio del valore normale dei beni o servizi oggetto delle transazioni intragruppo (art. 110, co. 7, Tuir) La norma prevede che si debba trattare di operazioni effettuate da un’impresa residente (ovvero da una stabile organizzazione di impresa estera) con una società non residente, direttamente o indirettamente riconducibili ad un medesimo gruppo. Nel caso in esame il corrispettivo contrattuale è considerato un elemento inidoneo a misurare l’effettiva portata reddituale della transazione commerciale, stante la mancanza di un contrasto di interessi tra le parti negoziali che possa portare ad un valore fondato sulla valutazione delle leggi del mercato. Si assume il criterio del valore normale in quanto parametro di misurazione oggettiva dell’effettivo valore espresso dalla operazione intragruppo. Qualora sia operata in capo ad una società una rettifica del reddito in base alla disciplina del transfer pricing ne deriva l’esigenza di procedere ad aggiustamenti corrispondenti in capo alla controparte negoziale al fine di evitare il rischio di una doppia imposizione (art. 9, co. 2, modello Ocse). L’aggiustamento della componente reddituale è ammesso a condizione che rientri nell’ambito del prezzo di libera concorrenza (principio dell’arm’s lenght). Al fine di ridurre le controversie vengono utilizzati accordi preventivi tra contribuente ed Amministrazione finanziaria per la determinazione dei prezzi, i cosiddetti APA (Advance Pricing Arrangernents o Advance Price Agreements). Nei diversi Paesi esistono varie procedure intese a determinare preventivamente i prezzi di trasferimento. In Italia è stato introdotto il ruling internazionale, di cui all’art. 8, d.l. n. 269 del 2003 ed in vigore dal 2004, per il quale è possibile determinare tra imprese con attività internazionali ed Amministrazione accordi di valenza triennale, non solo in materia di prezzi di trasferimento. Indeducibilità dei corrispettivi pagati ad imprese localizzate in paradisi fiscali (art. 110, co. 10 Tuir) Con una norma di portata generale è stata introdotta una clausola diretta a contenere la prassi simulatoria di compensi erogati a favore di soggetti situati in paradisi fiscali mediante la indeducibilità delle componenti negative dal reddito di impresa imponibile in Italia. Non sono ammessi in deduzione i costi e le altre componenti negative che derivano da operazioni effettuate con imprese residenti o domiciliate in paesi a fiscalità privilegiata. L’operazione intercorsa con i paradisi fiscali viene pertanto considerata alla stregua di una operazione inesistente, stante la presunzione della mancanza di una effettiva sostanza economica in ragione della localizzazione territoriale. Tale regola di indeducibilità, originariamente limitata alle sole transazioni intragruppo, è stata estesa a tutte le operazioni anche se poste in essere con soggetti non appartenenti al medesimo gruppo. L’ambito applicativo della norma risulta, pertanto, più ampio rispetto a quello previsto dalla disciplina del transfer pricing o delle Cfc. . La regola della indeducibilità non trova applicazione quando le imprese residenti forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente una attività commerciale effettiva ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto una concreta esecuzione» (art. 110, co. 110). Prima di procedere all’emissione dell’atto di accertamento, l’amministrazione finanziaria deve notificare all’interessato un avviso con cui si chiedono chiarimenti entro 90 giorni in ordine alla dimostrazione della prova contraria. Qualora le prove siano giudicate inidonee a vincere la presunzione relativa di inesistenza delle operazioni poste in essere con la società estera, verrà emesso l’atto di accertamento (art. 110, co. 110, ultimo periodo). Tale articolato meccanismo normativo è stato esteso anche alle prestazioni di servizi, rese da professionisti (e non dunque solo da imprese) che siano domiciliati o residenti in territori a fiscalità privilegiata non appartenenti all’Unione europea (art. 110, co. 12 bis). Qualora all’impresa estera si applichi la disciplina delle Cfc, non trova applicazione la regola della indecucibilità dei costi: l’impresa italiana potrà dedurre regolarmente le componenti negative derivanti dalle operazioni economiche intercorse con tale soggetto (art. 110, co. 12). Paradisi fiscali (Tax Heavens) Si tratta di Paesi e territori i cui regimi tributari, se confrontati con altri, evidenziano rilevanti privilegi. In senso più tecnico è preferibile parlare di Paesi a regime fiscale privilegiato. Paradisi fiscali sarebbero quelli in cui non sono applicate affatto imposte sui redditi o sono applicate in misura assolutamente marginale (ad es, le Isole Cayman, Bahamas e Bermuda); Centri offshore sarebbero sia i Paesi nei quali le imposte sui redditi sono applicate esclusivamente con riferimento a redditi di fonte interna, mentre non sono applicate (o lo sono ad aliquote minime) sui redditi di fonte estera (es. Hong Kong, Panama, Liberia), sia Paesi che prevedono regimi fiscali privilegiati per certe tipologie societarie o per redditi derivanti dallo svolgimento di determinate attività economiche (es. il Liechtenstein, il Lussemburgo, l’Irlanda). In molti Paesi quelli a fiscalità privilegiata sono indicati in specifichi elenchi Black List cui si contrappongono in alcuni casi le White List dei Paesi considerati a fiscalità normale, come oggi in Italia. I criteri di valutazione dei Paesi a fiscalità privilegiata, elaborati nell’ambito dell’OCSE, sono negli ultimi anni sostanzialmente mutati, essendo mutate le strategie per contrastarli. Attualmente il discrimine è rappresentato dall’esistenza di regole procedurali dirette a consentire lo scambio di informazioni. In Italia la White List si basa non solo sull’adeguato scambio di informazioni con lo Stato estero, ma anche sul livello di tassazione colà applicato, che deve essere non sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia.