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Claudia e Orietta M. Scappatura
PROJECT
Progetto Docente
Classe 14 B
L’età romantica certamente segnò un periodo molto complesso e difficilmente catalogabile entro precise matrici
ideologiche, sia poetiche sia politiche. Tuttavia nonostante ciò, la corrente di pensiero romantica segnerà una svolta
radicale nella vita dell’uomo e del suo rapporto con la natura e l’universo. Volendo periodicizzare l’avvento di tale
fenomeno, bisogna riferirsi all’epoca della Restaurazione e, più in particolare, agli anni in cui il Congresso di Vienna
cercherà di cancellare decenni di storia e risparmiare l’ancient regime alla vecchia Europa (fine 18°secolo-metà 19°
secolo). Di questo ritorno al passato, fu proprio la nostra penisola a pagarne le conseguenze: infatti, la riabilitazione
del dominio austriaco, chiuderà le porte agli influssi della nuova cultura romantica che andava diffondendosi. Per
comprendere più a fondo, i motivi e le esigenze che determinarono il sorgere del movimento culturale esaminato,
bisogna riferirsi anche all’età immediatamente precedente, più propriamente detta “pre-romanticismo”.
Questo periodo fu caratterizzato dalla presenza di diverse tendenze, quali il gotico, il sublime e il pittoresco, e di
qualche movimento come il neo-classicismo e lo “Sturm und Drang”. Con il ricorso allo stile gotico e a quello
pittoresco, andava a prediligersi il tema del terrore, del macabro della ricerca di personaggi del tutto particolari, i
quali, in veste di protagonisti dei romanzi che animavano, erano vittime o persecutori. I fautori di tali tendenze
letterarie, sembrarono un ricalcare lo stesso stile e le stesse tematiche che Seneca (I sec.d.c.) aveva accolto nelle sue
tragedie. In esse l’unica verità, l’unica scienza, era rappresentata dalla magia nera, dalla vittoria delle forze malefiche
della natura. Nelle sue tragedie i crimini, gli orrori, gli eventi macabri non erano presentati senza un inquietante
compiacimento. Tutto ciò in contrapposizione antitetica all’atteggiamento che Seneca, invece, accolse nelle altre opere
come i “Dialogi” e le “Epistolae Morales”; in esse i protagonisti hanno l’esigenza di proiettare la propria anima verso
l’alto, verso la luce. I personaggi delle sue tragedie, invece, fuggono alla vista della luce, lanciandosi nell’oscurità dei
voli della propria vita. Con la ricerca del sublime, invece, si cercherà di esprimere l’astratto, ciò che non è concreto
bensì irraggiungibile. Nell’ambito della letteratura il sublime rappresenterà l’idea inconoscibile, ossia ciò che Kant
chiamò “noumeno”.
E’ di quegli stessi anni la nascita di un nuovo movimento culturale, nato in Germania, e radicatosi soprattutto presso
Francoforte e Strasburgo: lo Sturm und Drang. L’indagine che i fautori di questa corrente di pensiero compiono, è
volta ad attestare che tipo di relazione s’instaura tra l’individuo e la natura e tra l’individuo e la società. La conclusione,
alla quale si pervenne, fu quella secondo la quale l’uomo poteva soddisfare le sue aspirazioni, la sua sfera istintiva, solo
nella natura giacché nella società è vincolato a precisi doveri e inoltre è limitato nei suoi desideri alla luce delle
limitazioni che la vita consociativa impone. L’uomo ideale alla luce di questa prospettiva, lo “sturmer”, è un individuo
dai tratti geniali che, conscio di ciò che lo circonda, decide per la strada dell’allontanamento, dell’autoesclusione sino
alle conseguenze estreme, come la morte. L’altro movimento che influenzerà notevolmente il Romanticismo, è
costituito dal neo-classicismo. Esso rappresentò lo sforzo compiuto dall’uomo nel tentativo di rivivere quell’armonia
tra le parti, quell’idea di compostezza e d’ordine proprio del mondo classico. L’idea neo-classica si manifesta nella
ricerca del”bello ideale”, che prende forma nell’equilibrio e deve essere in grado di rapportarsi ad un concetto di base,
ossia nell’imitazione della natura. Winckelmann ha mostrato, come, con l’età classica, si ritrova nell’arte e nella
letteratura una grazia, una bellezza che egli stesso definiva come “il piacevole secondo della ragione”. Nella civiltà
greco-romana, l’uomo si sentiva in simbiosi con la natura e quindi all’idea di natura immutabile era connessa l’idea
d’arte immutabile. Per i romantici, invece, la natura non sarà statica bensì sottoposta ad un continuo divenire, pertanto
la stessa arte non potrà essere intesa semplicemente come imitazione della natura. Il romanticismo, in ogni modo, non
condanna completamente il classicismo, ma soltanto alcune manifestazioni troppo esasperate e quindi anacronistiche
rispetto al momento socio-politico-ideologico contingente. Con queste premesse viene a manifestarsi la corrente
romantica, la quale, si muove verso la ricerca dell’origine delle proprie radici culturali, della propria etnia e quindi della
riscoperta dell’ideale della nazionalità. In Italia, il ripristino delle proprie origini, generò il ritorno alla civiltà grecoromana e alla riscoperta dei valori e simbolismi mitologici, tipici delle epoche precedenti. Su tutto, l’avvento della
cultura romantica segnò un ritorno al sentimento; ciò concederà all’uomo la possibilità di conoscere quello che è oltre la
portata della sua ragione.
Con questo presupposto di fondo, ci saranno due reazioni diverse degli uomini dinanzi alla nuova consapevolezza di se
stessi e della propria vita: il titanismo e il vittimismo. L’uomo, in pratica, o accetterà dolorosamente la propria
piccolezza oppure si esalterà nel suo sforzo, nel suo tentativo di conoscere l’ignoto e quindi di trovarsi in simbiosi con
l’intero universo. Ciò era ravvisabile nel Leopardi e dalla lettura dei suoi scritti. Nella “Ginestra”, ad esempio, lo
stesso fiore del deserto sta a rappresentare un’immagine che evoca, da un lato la solitudine assoluta, dall’altro
testimonia lo sforzo eroico sovraumano d’adattamento e di resistenza ad un ambiente ostile. Atteggiamenti differenti si
ebbero per le influenze del pensiero romantico anche nell’ambito religioso. Infatti, alla scelta, d’ateismo di alcuni,
fece riscontro in altri un forte senso religioso. Nella nuova prospettiva, però, il credo fu inteso non più nelle sue veste
oscure, bensì come strumento irrazionale da impiegare per innalzarsi al divino. Un forte senso di spiritualità fu
espresso dal Manzoni il quale, ad esempio, nella “Pentecoste” esalta ed evoca la diffusione del messaggio cristiano nel
mondo, attraverso l’opera della chiesa. Il pensiero romantico stette ad indicare le ragioni del progresso, di nazionalità,
di vera e propria “religione della Patria” che svelava anche la necessità del riscatto dei popoli oppressi. Per meglio
comprendere la complessità del fenomeno in esame, bisogna rilevare la presenza d’alcuni aspetti contraddittori in tale
cultura: alle sue diverse manifestazioni, infatti, talvolta si alternano componenti ora realistiche ora decisamente
irrazionalistiche, ora progressive (la modernità) ora regressive (il medioevo). Così come l’illuminismo è il principale
obiettivo polemico dei romantici in ambito filosofico culturale, in quello più specificatamente letterario, lo è il
classicismo. Pertanto la poesia romantica, si connota come poesia spirituale, tenebrosa e malinconica, che fa suo quel
senso di irrequietezza: la Sensucht. Tutto ciò in contrapposizione allo Stille, ossia all’imperturbabile serenità
dell’anima, essenza della poesia classica. Per il bisogno d’introspezione, per la necessità di ricercare nel proprio
animo, il poeta romantico privilegiò le tematiche sentimentali, elaborò un ideale di uomo sensibile che vive le proprie
passioni ed esperienze senza mezze misure e conduce un’esistenza sregolata ma intensa. Si costituì il canone della
spontaneità e dell’autenticità, che si rese concreto in un accentuato gusto per un’espressione disordinata, caotica e
passionale. Schlegel disse:”Romantico è ciò che ci rappresenta la materia sentimentale in una forma fantastica”.
Il Congresso di Vienna: decisioni e conseguenze
Come si è già detto,gli anni che segnarono la nascita e l’estendersi della cultura romantica furono quelli del congresso di
Vienna, con il quale si cercò di creare ordine, alla luce della sconfitta di Napoleone e dei profondi mutamenti delle
monarchie europee. Nel congresso, le potenze vincitrici si riunirono fra il novembre del 1814 e giugno del 1815 per
ridisegnare la Carta d’Europa. Il criterio che fu adottato in questa occasione, rispondeva al principio di “legittimità”, cioè
all’imperativo di ricondurre sul trono, i sovrani legittimi e le dinastie spodestate dalla rivoluzione francese e dall’impero
napoleonico. Ebbe così inizio l’età della Restaurazione. Diversi e talora divergenti si rivelarono gli obbiettivi e gli intenti
delle potenze vincitrici. La Gran Bretagna, ossia il paese che aveva ottenuto i maggiori benefici con la rivoluzione
industriale, non pretese compensi territoriali, ma si accontentò di vedere consolidata la propria egemonia marittima e
commerciale: In realtà essa con i suoi proclami verso la parità e l’equilibrio tra gli stati, avrebbe, infatti, ulteriormente
valorizzato la sua economia. Russia e Prussia, invece, si ingrandirono espandendosi verso occidente. Agli zar toccarono
il gran ducato di Finlandia, gran parte della Polonia e la Besserabia; alla Prussia la Sassonia e le province Renane di
Treviri e Colonia. L’impero austriaco acquisì la Lombardia, ottenne il Veneto e nel gran ducato di Toscana e nei ducati di
Parma e Modena impose sovrani legati alla corona Asburgica. Nel sud della penisola italiana, il Regno delle Due Sicilie,
restaurato con questo nome dalla dinastia dei Borboni, si trovò legato all’Austria da un’alleanza militare. Sul territorio
italiano, il regno di Sardegna, poteva essere considerato relativamente autonomo rispetto all’egemonia austriaca. Furono
inoltre restaurate le dinastie legittime in Spagna, dove Ferdinando sesto abolì la liberale costituzione di Cadice del 1812.
Nei Balcani non fu messa in discussione la sovranità ottomana sebbene l’onda dell’insurrezione faceva sentire i suoi
effetti. La Francia, pur essendo la potenza sconfitta non uscì la potenza umiliata al congresso: essa rientrò nei confini del
1791 e riaprì le porte alla dinastia spodestata del 1792. Dal congresso emerse tuuttavia la figura del principe di
Metternich, ministro degli esteri austriaco tessitore della Santa Alleanza stretta tra Russia, Austria e Prussia. Tale
alleanza, si proponeva di rendere organico, il legame tra gli stati che intendevano dividere “il trono e l’altare”.
L’equilibrio, delineato dal congresso, si dimostrò assai fragile, così, l’opposizione liberale e democratica, fece sentire la
sua forza contro le gerarchie che erano state create. In particolar modo, fu l’avvento della classe borghese ad affermare
un nuovo equilibrio sociale: tutto ciò portò allo scoppio di diversi moti rivoluzionari tra il 1820 e il 1830 fino all’apice
della rivolta del 1848.
La riflessione “idealistica” di Fichte, Schelling, Hegel
La rinata riflessione filosofica portata dall’avvento delle idee romantiche, determinò il definitivo passaggio del
criticismo kantiano all’idealismo. Tale nuovo termine rappresentava la fede nell’irreale, nell’attività del pensiero
ovunque essa tendesse. L’idealismo ebbe modo di svilupparsi attraverso diverse scuole filosofiche, manifestandosi
pertanto con connotati diversi. Al riguardo si è parlato di “idealismo etico” con riferimento all’opera di Fichte per il
quale la vera realtà non consiste in ciò che è ma in ciò che deve essere, di “idealismo estetico” secondo Schelling, il
quale asseriva che l’arte è l’unico mezzo valido per risolvere il contrasto tra reale e ideale, ed infine si è fatto ricorso
all’espressione “idealismo logico” per indicare la riflessione di Hegel secondo la quale le idee non derivano dalle cose,
ma, al contrario, costituiscono l’essenza stessa della realtà. Fichte fa derivare tanto l’io quanto il non io (cioè tanto
l’uomo quanto la natura) da un principio unico originario che l’io puro. L’io per Fichte è dunque un processo
inesauribile che si attua dialetticamente in tre momenti logici. Nel primo momento (tesi) l’io pone se stesso:cioè l’io
puro s’impone come libera attività rappresentativa. L’io pone se stesso perché se non ci fosse già il rappresentare o
pensare in generale, non potrebbero poi esserci i vari oggetti e soggetti pensati. Nel secondo momento (antitesi) l’io
pone a sé il non io : L’io in pratica è costretto a porsi degli ostacoli per poi superarli. Nel terzo momento (sintesi) si ha
la reciproca limitazione dell’io e del non io. L’io puro attraverso la riflessione ripiega sul non io e lo ritrova superando
per attuare la propria libertà sennonchè il non io è limitato così anche l’io puro d’innanzi a questa limitazione si
avverte finito, dando vita ai cosidetti io divisibili o empirici.
L’azione di superamento nei confronti del non io è infinita, poiché, superati determinati ostacoli se ne presentano altri.
L’ostacolo è vitale per l’io stesso, senza di esso non potrebbe attuare la propria libertà rappresentativa. Per Schelling
natura e spirito non sono due realtà opposte, come avviene per l’io e non io di Fichte, ma rappresentano due aspetti
successivi di un unico principio assoluto, che si manifesta prima come natura e poi come spirito La natura non è
qualcosa di inerte e passivo, ma un complesso di forze che dà vita ad un’attività inesauribile. Per poter attuare la sua
attività, essa ha bisogno di superare degli ostacoli che si auto-oppone ciò significa che nella natura esistono due
attività l’una positiva e l’altra negativa, l’una riproduttiva e l’altra antiriproduttiva. Ogni prodotto della natura è frutto
di un momento d’equilibrio, di una sintesi delle due forze. La funzione dello spirito per Schelling è quella di
ripercorrere coscientemente attraverso la riflessione, ciò che prima aveva attuato incosciamente sotto forma di natura.
Pertanto lo spirito attraverso la sua attività, l’identità assoluta o assoluto. Nel suo percorso segue la via del conoscere
sia quella dell’agire: nel primo caso si parla di spirito teoretico, nell’altro di spirito pratico. Ma sia nella conoscenza
sia nell’azione pratica natura e spirito rimangono comunque distinti: occorre quindi procedere per una seconda via,
l’arte. In essa concorrono sia l’attività inconscia dell’ispirazione sia quella conscia dell’elaborazione del prodotto
artistico. Per questo motivo l’arte è per Schelling è l’unico strumento mediante il quale la filosofia coglie l’assoluto.
Nei confronti dei suoi illustri colleghi, Hegel può vantare una maggiore coerenza, perché, nel momento supremo della
sua dialettica, la ragione, che è per lui il principio d’ogni cosa, coglie se stessa proprio mediante la ragione. Essa,
pertanto, non si limita ad essere l’essenza della realtà ma funge da oggetto, poiché tutto ciò che è reale è razionale,
quindi tutte le manifestazioni del mondo materiale, vegetale, animale e umano non sono create né hanno origine da
questa ragione, ma è la ragione stessa ad attuarsi nelle singole cose. In particolar modo la critica che Hegel volge a
Schelling risiede nella teoria dell’assoluto di quest’ultimo. Esso ad avviso di Hegel annulla le forme concrete della
realtà, non rendendo possibile alcuna distinzione; con la Ragione invece egli consente tutte le forme di suddetta realtà.
L’obiezione che invece Hegel muove nei confronti di Fichte, sta nel fatto che egli non vuole dedurre tutta la realtà da
un unico principio, bensì conservarlo nella ricchezza delle sue forme contraddittorie.
La natura in Lucrezio
Se la natura è una rinomata concezione della stessa, nel rapporto con l’uomo rappresentava una delle più interessanti
ideologie prodotte dalla riflessione romantica, non ci si può esimere dal ravvisare elementi di carattere teoretico
formulati da Lucrezio già nel corso del 1° secolo a.C. nel suo “De Rerum Natura”. L’opera svela in pieno la tendenza
del poeta ad accogliere i limiti del razionalismo dinanzi ad interrogativi legati al destino degli uomini, al perché della
durezza della vita, al perché dell’angoscia per il proprio futuro oltre la vita terrena. Pertanto il richiamato invito al carpe
diem epicureo, viene a cozzare con l’angosciante consapevolezza della piccolezza umana dinanzi alla natura e alla sua
forza. Il poema didascalico di Lucrezio si articola in tre gruppi di due libri (diadi). Nel 1° libro sono esposti i principi
della fisica epicurea: gli atomi muovendosi nel vuoto infinito si aggregano in modi diversi dando origine a tutta la realtà
esistente.
A tal proposito Lucrezio chiama in causa, le dottrine dei filosofi naturalisti quali Eraclito, Empedocle, Anassagora. Nel
2° libro è illustrata la teoria del “clinamen” ossia delle inclinazioni che gli atomi hanno nel loro movimento e che gli
permette di comporsi in una variegata gamma di forme. I libri 3° e 6° sono dedicati alla antropologia epicurea. Si
evidenzia in essi come l’anima e il corpo siano entrambi costituiti da atomi aggregati in forma diversa e si affronta il
problema della coscienza. Il libro 5° dimostra la mortalità del mondo ed infine quello 6° cerca di fornire spiegazioni
assolutamente naturali di vari fenomeni fisici. Ciò nonostante, sebbene Lucrezio si sforzi nel tentativo di richiamare la
ragione a fondamento dell’esistenza umana, si arrende dinanzi all’impossibilità di ottenere risposte razionali intorno ai
grandi interrogativi della vita.
Il magnetismo terrestre
Le teorie e le scoperte formulate intorno al magnetismo, accompagnate dalle diverse applicazioni delle stesse a corpi
sempre più estesi, hanno permesso di pervenire al risultato per il quale il globo terrestre si comporta come una sorta di
enorme calamita con il polo positiva al nord e quello negativo al sud. In senso più specifico, in virtù del movimento
della terra, si generano flussi di corrente elettrica i quali trasformano il nucleo solido in un grande magnete. Tutto ciò
avviene in base al principio della Dinamo autoalimentata ossia: le correnti elettriche che attraversano un materiale
conduttore generano campi magnetici. Bisogna evidenziare che i poli magnetici non coincidono con quelli geografici
essendo entrambi situati tra 70 e 75 gradi di latitudine, motivo per il quale l’ago della bussola non indica esattamente il
nord astronomico. Per questo motivo si parla di declinazione magnetica, della quale bisogna tener conto per un esatto
orientamento. Lo stesso campo magnetico terrestre presenta un’intensità variabile, tali variazioni possono essere
regolari e irregolari. Le prime sono determinate dalle correnti elettriche presenti nell’atmosfera e si manifestano
nell’arco della giornata modificando la loro intensità con il succedersi delle stagioni. Le variazioni irregolari, invece,
si verificano in maniera brusca e sono causate dal cosiddetto “vento solare “ che invia sulla terra particelle cariche di
elettricità che provocano improvvisi e violenti movimenti del campo magnetico: è questo il fenomeno delle tempeste
magnetiche. Inoltre bisogna evidenziare come ad intervalli di alcune decine di anni possano avvenire improvvise
inversioni di poli magnetici che si scambiano di posto.
Le esperienze di Oersted e Faraday sul magnetismo
L’età romantica si caratterizzò oltre che per le nuove ideologie e la consistente produzione letteraria, anche per alcune
innovazioni nel campo delle scienze. La notevole importanza di alcune scoperte, non mancò di suscitare nelle menti di
autorevoli pensatori quali Schelling che nell’analisi della sua “filosofia della Natura”, non mancò di ravvisare di due
forze in contrasto l’una positiva e l’altra negativa. Tale riferimento fu dovuto alle scoperte che durante quegli anni si
ebbero nel campo del magnetismo. A tal proposito fece scalpore la scoperta del fisico danese Oersted il quale nel 1820
annunciò che una corrente elettrica fa deviare un ago magnetico fino a disporlo perpendicolarmente alle linee agocorrente. Nel 1821 l’inglese Faraday invertì l’esperienza di Oersted: egli pose fra i due poli di un magnete un filo, che
non sia teso, il quale fa parte di un circuito in cui è inserito un interruttore e una batteria. Se in questo circola corrente il
filo è violentemente spinto verso destra. Se ne conclude che in un campo magnetico un circuito percorso da corrente è
soggetto a forze (elettromagnetiche) che sono dovute al campo magnetico. Quindi un campo magnetico può essere
generato o da un magnete o da un circuito percorso da corrente, e, viceversa per conoscere se uno spazio è sede di un
campo magnetico, si può fare uso di un ago magnetico o di un piccolo circuito percorso da corrente. Ci si può allora
chiedere come mai i due esteriormente diversi tra loro, quali sono i circuiti elettrici e i magneti, generino nello spazio
circostante lo stesso stato di cose e subiscano analoghe azioni meccaniche da parte dello stesso campo di forze. La
risposta sta nel fatto che un campo magnetico è generato da cariche elettriche in moto soggette a forze dovute al campo
magnetico. Ampère suggerì che il campo magnetico generato da un margine abbia origine da una moltitudine di
piccolissime correnti elettriche esistenti in esso.