NIETZSCHE (1844-1900) 1 – Vita e opere Friedrich Nietzsche nasce il 15 ottobre 1844 a Röcken, vicino a Lipsia, dal pastore protestante Karl Ludwig e da Franziska Oehler. Perso precocemente il padre (1849) la madre, nel 1850, si trasferisce a Naumburg con Friedrich e la sorella Elisabeth. Qui, nel 1858, entra nel prestigioso ginnasio di Pforta, dove rimane fino al 1864, anno in cui si iscrive alla facoltà di Teologia dell’Università di Bonn. Frequentando soprattutto le lezioni del filologo classico Friedrich Ritschl, sarà portato ad abbandonare la teologia per la filologia. Si prepara così una rottura con il cristianesimo che costituirà motivo di profondi contrasti con la madre, la quale nutriva speranze in una futura carriera ecclesiastica del figlio. Nel 1865 si trasferisce a Lipsia per seguire Ritschl negli studi di filologia classica. Nello stesso anno avviene l’incontro-“rivelazione” con Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer. In questa città cominciano a manifestarsi i sintomi di sofferenze e malattie (nausea, emicranie, reumatismi) che lo accompagneranno per tutta la vita. Stringe amicizia con il futuro filologo classico Erwin Rohde. Nel 1868 avviene l’incontro con Richard Wagner, da cui rimane fortemente impressionato sia dal punto di vista musicale che filosofico. Nel 1869, a soli 24 anni, grazie all’interessamento di Ritschl, ottiene la cattedra di Lingua e letteratura greca presso l’università svizzera di Basilea, dove tiene la sua prolusione su “Omero e la filologia classica”. A Basilea entra in rapporto con lo storico Jacob Burckhardt, suo collega, e stringe amicizia con il teologo Franz Overbeck. Nel frattempo si reca spesso a Tribschen per frequentare i futuri sposi Wagner e Cosima von Bulow, per la quale prova una sorta di venerazione. La pubblicazione nel 1872 della sua prima opera, La nascita della tragedia dallo spirito della musica. Ovvero: grecità e pessimismo, mentre suscita l’ammirazione di Wagner e la difesa dell’amico Rohde, incontra l’ostilità dei filologi accademici, e dello stesso Ritschl, che la interpreta come un abbandono dei rigorosi metodi filologici. In realtà l’opera, pur costituendo una ricerca filologica, segna contemporaneamente il distacco dagli interessi puramente filologici e l’esordio filosofico di Nietzsche. Tra il 1872 e il 1873 il filosofo scrive Su verità e menzogna in senso extramorale e La filosofia nell’epoca tragica dei greci, che rimarranno inediti. Tra il 1873 e il 1876 escono le quattro Considerazioni inattuali (tra cui: Sull’utilità e sul danno della storia per la vita, Schopenhauer educatore, Richard Wagner a Bayreuth). Tra il 1874 e il 1878, data di pubblicazione di Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi, la maturazione filosofica di Nietzsche coincide con il progressivo distacco da Wagner e da Schopenhauer. In Wagner, soprattutto nell’ultima fase della suo melodramma musicale, orientato verso un recupero nostalgico del cristianesimo, vede l’affermarsi di un atteggiamento di rinuncia e di rassegnazione di fronte alla vita, lo stesso atteggiamento che si può ravvisare nella “fuga ascetica” dalla vita, come estrema via di liberazione dal dolore, in Schopenhauer. Gli scritti di questa fase “illuministica” del pensiero di Nietzsche (Umano troppo umano è dedicato a Voltaire) si completano con la seconda parte di Umano troppo umano (1880), Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali (1881) e La gaia scienza (1882). Nel frattempo, per l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, nel maggio del 1879, rinuncia alla cattedra all’università di Basilea che gli concede una pensione annua di 30000 franchi. Da questo momento Nietzsche inizia una vita di vagabondaggio, di solitudine e di malattia che lo vedrà a St. Moritz, in Italia (Riva del Garda, Venezia, Genova, Rapallo), a Marienbad, Nizza e, da quando scopre Sils-Maria, in Engadina, tutte le estati in questa località. Nel 1882, ospite a Roma di Malwida von Meysenburg, conosce la giovane russa Lou von Salomé che vorrebbe sposare; ma, dopo un periodo di complicati rapporti sentimentali tra Lou, Nietzsche e l’amico Paul Rée, il sodalizio si rompe, lasciando Nietzsche sempre più solo, malato e in cattivi rapporti con la madre e la sorella Elisabeth. Questa, oltre ad avversare l’amicizia del fratello con Lou Salomé, nel 1883 si fidanza, disapprovata dal fratello, con l’agitatore antisemita Bernhard Förster, intenzionato a fondare in Paraguay una colonia tedesca ispirata a principi razziali (il fallimento dell’esperimento si concluderà con il suicidio di Förster, diventato nel frattempo marito di Elisabeth). Con il 1883 ha inizio l’elaborazione della filosofia dell’eterno ritorno, contenuta in Così parlò Zarathustra (1883-1884) e negli scritti successivi fino alla follia: Al di là del bene e del male. Preludio di una filosofia dell’avvenire (1886), Genealogia della morale. Uno scritto polemico (1887), Il caso Wagner (1888), Crepuscolo degli idoli. Ovvero come si filosofa col martello (1888) e, postumi, anche se febbrilmente composti tutti nel 1888, L’Anticristo. Maledizione del cristianesimo, Ecce homo. Come si diventa ciò che si è, Nietzsche contra Wagner. Nella primavera del 1888 Nietzsche si stabilisce a Torino e, proprio mentre all’Università di Copenaghen lo studioso Georg Brandes tiene lezioni su di lui, dà i primi segni di squilibrio mentale che culmineranno nel crollo psichico del 3 gennaio 1889. Burckhardt, allarmato da una delle tante lettere “pazze” che Nietzsche sta scrivendo ad amici e uomini di Stato, avverte l’amico Overbeck che raggiunge Torino e riporta il filosofo a Basilea, dove viene ricoverato in una clinica per malattie nervose. Assistito prima dalla madre (che muore nel 1897) e poi dalla sorella Elisabeth, muore il 25 agosto 1900. La sorella, nel frattempo, dopo il suicidio del marito, aveva fondato un archivio, a Weimar, con il progetto di conservare i manoscritti del fratello e occuparsi dell’edizione completa delle sue opere, con la collaborazione di Peter Gast, musicista amico di Nietzsche fin dai tempi di Basilea. Alcuni dei manoscritti inediti vengono raggruppati arbitrariamente in paragrafi, ordinati sistematicamente sotto il titolo La volontà di potenza e pubblicati in tre edizioni successive: 1901, 1906 e 1911. Nietzsche stesso aveva progettato, al termine della Genealogia della morale, di pubblicare un’opera con questo titolo, ma vi aveva poi rinunciato. Nonostante l’arbitrarietà dell’operazione compiuta dalla sorella, La volontà di potenza ha avuto un notevole impatto storico-culturale nella prima metà del ‘900. Nel 1956, a cura di Karl Schelechta, viene pubblicata una nuova edizione delle opere di Nietzsche, compresa La volontà di potenza, non più nell’arbitrario ordine sistematico, ma con criterio cronologico. Lo stesso criterio, rigorosamente cronologico, viene seguito nella monumentale edizione critica delle opere nietzscheane a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montanari, a partire dal 1967. 2 – “Dionisiaco/Apollineo” o giustificazione estetica dell’esistenza Anche se il giovane Nietzsche nasce come filologo, nei primi anni di Basilea elabora una coppia concettuale, “dionisiaco/apollineo” che, seppur utilizzata originariamente per spiegare La nascita della Tragedia dallo spirito della musica (1872), diventa un’importante chiave interpretativa della vita umana in generale e prepara gli sviluppi successivi della sua filosofia. Con “dionisiaco” e “apollineo” Nietzsche intende innanzitutto due atteggiamenti spirituali ( o “psicologici”) dell’uomo di fronte alla vita, ricavati per analogia dalle caratteristiche delle due corrispondenti divinità greche. L'Apollo del Belvedere Roma, Musei Vaticani (cortile del Belvedere). Marmo. Altezza: m. 2,24. Bacco [Dioniso], Caravaggio (1596-1597) Galleria degli Uffizi, Firenze Apollo è il dio della luce e della bellezza, della salute e dell’ordine, difensore delle leggi e garante della pace; filosofia, matematica e scienza erano sotto la sua protezione. Dioniso è il dio del vino e dell’ebbrezza, collegato al ciclo vitale della natura, racchiude in sé i caratteri contraddittori della lacerazione e del dolore (il gelo dell’inverno che distrugge la natura) e la gioia della rinascita (il trionfo primaverile della natura). Allevato dalle ninfe, accompagnato da satiri e dal saggio Sileno, percorreva l mondo per insegnare agli uomini la viticoltura. L’atteggiamento o spirito “apollineo” si manifesta nello stato fisiologico del sogno, quindi della parvenza, dell’illusione, presupposto, come osserva Nietzsche, di tutte le arti figurative. Dal punto di vista artistico, la sua massima forma espressiva sono le arti plastiche, scultura e architettura, proprio in quanto perfezione ed equilibrio di forme razionali, caratterizzanti la bellezza “classica”. Resti del leggendario Tempio di Apollo a Delfi (tempio in cui la Pizia emetteva le proprie ambigue profezie) L’atteggiamento o spirito “dionisiaco” si manifesta nello stato fisiologico dell’ebbrezza e dell’esaltazione entusiastica di fronte alla vita in tutti i suoi aspetti e, dal punto di vista artistico, si esprime nella musica. Non però quella musica lievemente suonata con la cetra, tipica di Apollo, che Nietzsche chiama “architettura dorica in suoni”, ma “ditirambo dionisiaco”, ovvero suono violentemente sconvolgente, passionale, che scava nelle profondità istintuali dell’individuo e lo porta a superare il principium individuationis per sentirsi riunito, riconciliato, fuso col suo prossimo: <<come se il velo di Maia fosse stato strappato e sventolasse ormai in brandelli davanti alla misteriosa unità originaria. Cantando e danzando, l’uomo si manifesta come membro di una comunità superiore: ha disimparato a camminare e a parlare ed è sul punto di volarsene in cielo danzando>> 1. La giovinezza di Bacco (1884), William-Adolphe Bouguereau 1 Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, MI, 1990, p. 26 Nella sua ricostruzione filologica, Nietzsche scopre, contrariamente all’immagine neo-classica della cultura greca (accreditata da Winckelmann nel ‘700 e ripresa in età romantica da Schiller, Schelling e Hegel) come mondo “apollineo” di ragione e serenità, un fondo “dionisiaco”, caratterizzato dal senso tragico della vita. La sensibilità dionisiaca, nella sua accettazione totale del divenire, assieme alla gioia di vivere, faceva percepire all’uomo greco gli aspetti orribili e assurdi dell’esistenza, testimoniati da alcuni elementi della saggezza popolare che Nietzsche rintraccia nella risposta di Sileno all’interrogativo di re Mida su quale fosse la cosa più desiderabile per l’uomo: <<Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non esser nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è – morire presto… Il Greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell’esistenza: per poter comunque vivere, egli dové porre innanzi a tutto ciò la splendida nascita sognata degli dèi olimpici>>2. Gli dèi olimpici, frutto dell’illusione apollinea, giustificano l’esistenza umana semplicemente vivendola eternamente essi stessi, in una sfera superiore di bellezza, senza sottoporla a imperativi o rimproveri morali: si tratta quindi di una “giustificazione estetica dell’esistenza”. Nietzsche, per esprimere la reciproca necessità del mondo di bellezza apollinea e del suo sfondo tragico dionisiaco, utilizza un celebre dipinto di Raffaello: Trasfigurazione. Trasfigurazione, Raffaello, 1518-20 [Pinacoteca Vaticana] Nel dipinto Gesù si libra in alto tra Mosè ed Elia, alla presenza di Pietro, Giacomo e Giovanni, mentre in basso il fanciullo ossesso è circondato dagli apostoli e dalla folla che vorrebbero guarirlo, in un vero e proprio vortice di braccia e di mani. L’intera composizione, è scissa nei due episodi, terreno e celeste, da una netta contrapposizione: luminosa la scena in alto, simmetricamente ordinata nello slancio verso il cielo; tumultuosa, nel concitato schianto di luci e di ombre, nell’intreccio delle membra quella in basso. L’interpretazione che ne dà il filosofo è la seguente: <<Nella sua Trasfigurazione la metà inferiore col ragazzo ossesso, gli uomini in preda alla disperazione che lo sostengono, gli smarriti e angosciati discepoli, ci mostra il rispecchiarsi dell’eterno dolore originario, dell’unico fondamento del mondo: l’”illusione” è qui un riflesso dell’eterno contrasto, del padre delle cose. Da questa illusione si leva poi, come un vapore d’ambrosia, un nuovo mondo illusorio, simile a una visione, di cui quelli dominati dalla prima illusione non vedono niente – un luminoso fluttuare in purissima delizia e in un’intuizione priva di dolore, raggiante da occhi lontani. Qui abbiamo davanti ai nostri occhi, per un altissimo simbolismo artistico, quel mondo di bellezza apollinea e il suo sfondo, la terribile saggezza di Sileno, e comprendiamo, per intuizione, la loro reciproca necessità ….. Apollo … ci mostra come tutto il mondo dell’affanno sia necessario, perché da esso l’individuo possa venire spinto alla 2 Nietzsche, La nascita della tragedia, op. cit., pp. 31-32 creazione della visione liberatrice e poi, sprofondato nella contemplazione di essa, possa sedere tranquillo nella sua barca oscillante, in mezzo al mare>>.3 Secondo Nietzsche fu proprio da questo tipo di trasfigurazione, compiuta dallo spirito dionisiaco (lo “spirito della musica”), modulato e disciplinato dallo spirito apollineo, che nacque e si affermò la tragedia greca. La tragedia, seguendone l’etimologia (“canto dei capri”), sarebbe nata originariamente dal coro dei Satiri, ovvero una processione sacra di seguaci di Dioniso, mascherati da capri che, esaltandosi nella danza e nel canto, si “trasformano”: <<In questo incantesimo chi è esaltato da Dioniso vede se stesso come Satiro, e come Satiro guarda a sua volta il dio, cioè nella trasformazione egli vede fuori di sé una nuova visione, come compimento apollineo del proprio stato. Con questa nuova visione il dramma è completo. Secondo questa conoscenza dobbiamo intendere la tragedia greca in quanto coro dionisiaco, che sempre di nuovo si scarica in un mondo apollineo di immagini>>4. Nella tragedia attica (di Eschilo e Sofocle) troviamo la perfetta armonizzazione dei due impulsi fondamentali: danza e musica “dionisiaca”, messe in scena dal coro; immagini “apollinee” rappresentate dalla trama eroica (l’eroe tragico, secondo Nietzsche, sarebbe una “maschera” di Dioniso, del quale Dioniso con menadi e satiri musicanti rivive le gesta e le sofferenze). Vaso a figure nere del 530-520 a.C. Questo equilibrio si rompe con l’avvento della tragedia di Londra, British Museum Euripide, conseguenza della nuova visione razionalistica delle vicende umane inaugurata da Socrate. Spiegando tutto lo svolgimento dell’azione tragica allo spettatore (con l’introduzione del prologo) e riducendola all’interno di uno schema razionale, Euripide annulla l’elemento oscuro e dionisiaco, privilegiando la tendenza apollinea all’ordine e alla chiarezza. Ordine e chiarezza che trovano la loro giustificazione filosofica nel “concetto” socratico e nelle “idee” platoniche, da cui si svilupperà tutta la metafisica occidentale responsabile, secondo Nietzsche, della decadenza e dell’indebolimento esistenziale dell’uomo moderno. Infatti, mentre gli dèi olimpici rendevano sopportabile all’uomo greco il caos della vita senza sottometterla a degli assoluti metafisici e morali, la rassicurazione garantita dal “mondo vero” dei concetti universali e delle idee iperuraniche darebbe luogo ad un processo bimillenario di predominio di valori opposti alla vita e alle pulsioni dionisiache originarie, riassumibile nella formula: socratismo-platonismo-cristianesimo, che darà forma alla cultura occidentale fino all’800. Contro quella nuova forma di razionalismo che è l’ottimismo dell’epoca moderna (“positivismo”), contro il conformismo, l’ipocrisia e il cattivo gusto della società borghese del suo tempo, contro l’egualitarismo socialista, inteso come appiattimento delle individualità, contro il “democratico” prevalere della quantità sulla qualità, quindi contro tutti i sintomi della “decadenza” che insidiano il mondo a lui contemporaneo, Nietzsche, alla fine dell’opera del ‘72, auspica una rinascita della cultura tragica, col mito germanico, attraverso il dramma musicale wagneriano e, di conseguenza, una nuova giustificazione estetica del vivere. Nietzsche, però, si rende conto quasi subito (già nel 1874) che l’uomo moderno non può recuperare l’orizzonte del mito e della cultura tragica. Le motivazioni di questa consapevolezza, e la conseguente svolta filosofica, maturata negli anni di Basilea, saranno sviluppate nell’opera del 1878: Umano, troppo umano. 3 – La “decostruzione” della metafisica e della morale La “giustificazione estetica” dell’esistenza è diventata inattuale, nel mondo moderno, perché è diventata inattuale l’arte, almeno per due ragioni. a) Da un lato, l’inattualità dell’arte (e quindi anche dell’arte wagneriana), deriverebbe dal mutamento delle generali condizioni di vita della società moderna, fondata sull’organizzazione industriale del lavoro, dovute in parte anche all’affermarsi della scienza: <<Noi abbiamo la coscienza di un’età laboriosa: ciò non ci permette di dare all’arte le ore e le mattine migliori, neanche se quest’arte fosse la più grande e la più degna. Essa è per noi cosa d’ozio, di ricreazione: noi le dedichiamo i resti del nostro tempo, delle nostre forze. – È questo il fatto più generale, per il quale la posizione dell’arte rispetto alla vita è mutata: essa ha contro di sé, quando accampa le sue grandi pretese di tempo e di energia nei confronti dei destinatari dell’arte, la coscienza dei laboriosi e dei valenti… Per essa potrebbe perciò essere finita, poiché le manca l’aria e il respiro libero: oppure – la grande arte cerca, in una specie di involgarimento e di travestimento, di ambientarsi 3 4 Nietzsche, op. cit., p. 36 Nietzsche, op. cit., pp. 60-61 in quell’altra aria (…), che è propriamente l’elemento naturale solo per la piccola arte, per l’arte della ricreazione, della dilettevole distrazione>>5. b) Da un altro lato, la funzione formatrice dell’arte, tipica delle epoche passate, oggi è svolta dalla scienza. Il valore di quest’ultima, però, non starebbe in un maggior grado di verità rispetto all’arte, ma nel fatto che presuppone e induce un atteggiamento libero, spregiudicato e coraggioso nei confronti della verità stessa (metafisica, morale, religiosa, scientifica…). Mentre il predominio dell’arte presupponeva e alimentava una visione del mondo fantastica, emotiva, fatta di superstizioni, popolata da dèmoni e dèi, lo spirito scientifico, che si basa sulla conoscenza del metodo, promuove un’immagine del mondo non “più vera”, ma meno fanatica e “più obiettiva”, nel senso di meno condizionata da interessi e passioni, favorisce quindi il formarsi degli “spiriti liberi”. Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi è infatti dedicato a Voltaire, campione di libertà critica e ironica spregiudicatezza, e segna il passaggio alla cosiddetta fase “illuministica” (in senso lato) del pensiero di Nietzsche. Quindi, abbandonate definitivamente le velleità di rinascita della cultura tragica, Nietzsche si ripropone, operando con uno spirito affine a quello dello scienziato, di elaborare una filosofia ”storica” che lavori con il metodo della “chimica”. La filosofia storica, nel primo aforisma dell’opera (Chimica delle idee e dei sentimenti), si contrappone alla filosofia metafisica che per spiegare tutte le cose stimate superiori, pone per esse un’origine miracolosa, che scaturirebbe immediatamente dal nocciolo e dall’essenza della “cosa in sé”. Ma, per Nietzsche: <<ciò che noi ora chiamiamo il mondo, è il risultato di una quantità di errori e di fantasie che sono sorti a poco a poco nell’evoluzione complessiva degli esseri organici, e che sono cresciuti intrecciandosi gli uni alle altre e ci vengono ora trasmessi in eredità come tesoro accumulato in tutto il passato… Da questo mondo della rappresentazione la severa scienza [filosofia storica] può in realtà liberarci solo in piccola misura…; ma essa può gradatamente e progressivamente rischiarare la storia della nascita di quel mondo come rappresentazione: e sollevarci, almeno per qualche momento, al di sopra dell’intero processo>>6. La chimica delle idee e dei sentimenti morali, religiosi ed estetici è, appunto, il nuovo strumento del filosofare nietzscheano che si ripropone di riportare i problemi filosofici quasi alla <<stessa forma interrogativa di duemila anni fa: come può qualcosa nascere dal suo opposto, per esempio il razionale dall’irrazionale, ciò che sente da ciò che è morto, la logica dall’illogicità, il contemplare disinteressato dal bramoso vivere, il vivere per gli altri dall’egoismo, la verità dagli errori?... [Secondo Nietzsche]… non esiste, a rigor di termini, né un agire altruistico né un contemplare pienamente disinteressato, entrambe le cose sono soltanto sublimazioni, in cui l’elemento base appare quasi volatilizzato e solo alla più sottile osservazione si rivela ancora esistente… ma che avverrebbe, se questa chimica concludesse col risultato che anche in questo campo i colori più magnifici si ottengono da materiali bassi e persino spregiati? Avranno voglia, molti, di seguire tali indagini?>>7. La “sottile osservazione” (simile a quella del chimico, capace di individuare gli elementi che stanno alla base dei composti, svelandone il segreto) che potrebbe condurre a “materiali bassi e persino spregiati”, costituisce l’aspetto fondamentale, “decostruttivo” e demistificante, della filosofia di Nietzsche. Avendo ormai chiaro che tutti i presunti valori trascendenti altro non sono che “costruzioni” storiche e psicologiche dell’umanità nel corso della sua evoluzione, Nietzsche si impegna a “decostruirli” mostrando come tutto il comportamento umano, e i valori che dovrebbero giustificarlo, derivano dall’istinto di conservazione <<o, ancor più esattamente, dall’intenzione dell’individuo di procurarsi il piacere e di evitare il dolore>>8; essendo però per lo più inconsci i “meccanismi” che stanno alla base delle costruzioni metafisiche e morali, l’uomo le considera come direttamente scaturite da “Dio” o dalla “cosa in sé”. È questo il senso del famoso aforisma di Ecce homo: <<dove voi vedete le cose ideali, io vedo cose umane, ahi troppo umane>> Invece di dare per scontata l’esistenza della morale, Nietzsche cerca di individuare i “meccanismi di sublimazione” che, a partire dal solo istinto di conservazione e dall’impulso a cercare il piacere e fuggire il dolore, hanno determinato la genesi e lo sviluppo del mondo morale. Seguendo l’analisi dell’opera proposta da Gianni Vattimo9, possiamo individuarvi almeno tre “meccanismi” fondamentali. 1) Il primo meccanismo consiste in un processo di “autoscissione dell’uomo” (simile a quello posto da Feuerbach alla base del sentimento religioso) per il quale, dall’istinto a conservarsi, a cercare il piacere e fuggire il dolore, si può arrivare anche all’azione eroica, al sacrificio di sé, all’altruismo. <<Il soldato desidera cadere sul campo di battaglia per la sua patria vittoriosa: poiché nella vittoria della sua patria vincono insieme i suoi più alti desideri. La madre dà al figlio ciò che toglie a se stessa, il sonno, il miglior cibo, in certi casi la salute e gli averi. Ma sono, tutti questi, stati altruistici?... Non è evidente che in tutti questi casi l’uomo ama Nietzsche, “Il viandante e la sua ombra” [Af. 170], in Umano, troppo umano, II, Adelphi, MI, 1989, pp. 202-203 Nietzsche, Umano, troppo umano, I, [Af. 16], Adelphi, MI, 1989, p. 27 7 Nietzsche, op. cit., [Af. 1], p. 16 8 Nietzsche, op. cit., [Af. 99], p. 76 9 Gianni Vattimo, Introduzione a Nietzsche, Laterza, Bari, 1986 5 6 qualcosa di sé, un pensiero, un’aspirazione, una creatura, più di qualche altra cosa di sé, che egli, cioè, scinde il suo essere e ne sacrifica una parte all’altra?>>10. Quindi l’individuo, lungi dall’essere mosso da un impulso originariamente (noumenicamente) “altruistico”, per perseguire più intensamente gli scopi “egoistici” dell’autoconservazione e del piacere, si sdoppia e costituisce questi scopi come oggetti autonomi, socialmente approvati, di fronte a sé. 2) Il secondo meccanismo consiste nella formazione di esperienze e abitudini che, una volta “utili” al singolo, alla comunità o alla specie nella lotta per la sopravvivenza, hanno poi perso il loro significato originario e tuttavia sono rimaste. Nell’aforisma: L’importanza del dimenticare nel sentimento morale, leggiamo: <<Le stesse azioni che nella società originaria furono in un primo tempo ispirate dallo scopo dell’utilità comune, furono successivamente compiute da altre generazioni per altri motivi: per paura o per rispetto di coloro che le esigevano e raccomandavano, oppure per abitudine, in quanto sin dall’infanzia le si erano viste fare intorno a sé… Tali azioni, in cui il motivo principale, quello dell’utilità, sia stato dimenticato, si chiamano poi morali… Evidentemente la società, focolare di ogni morale e di tutte le lodi dell’agire morale, ha dovuto lottare troppo a lungo e troppo duramente con l’utile egoistico e l’ostinazione del singolo, per non giudicare da ultimo ogni altro motivo superiore all’utilità. Così nasce l’apparenza che la morale non si sia sviluppata dall’utilità; mentre essa è originariamente l’utile sociale, che ha avuto gran pena per affermarsi e per acquistare considerazione superiore contro tute la utilità private>> 11. Così l’individuo, dimenticando che certi valori raccomandati dalla morale nacquero solo per qualche scopo, tratta come “imperativi categorici” quegli imperativi che Kant chiamerebbe solo “ipotetici”. Gli “imperativi categorici” semplicemente non esistono, esistono solo “imperativi ipotetici” dei quali si sia dimenticata la loro origine puramente utilitaristica. 3) Il terzo meccanismo è l’aspetto psicologico del principio di conservazione e ricerca del piacere che possiamo chiamare bisogno di rassicurazione e di certezze. Da questo bisogno sorgono, secondo Nietzsche, le idee basilari della metafisica: “sostanza” e “libertà”. L’idea di qualcosa che comunque “permane” nel tempo (nonostante l’incessante fluire di nascita e morte, generazione e corruzione), ovvero di una “sostanza incondizionata”, e di una “volontà libera”, per cui il soggetto avrebbe un controllo sulla propria esistenza, riducono l’angoscia che deriva dall’instabilità delle cose e dall’incontrollabilità della propria condotta. Queste idee sono in realtà semplici atti di fede, o “errori”, derivanti dal <<sentimento del piacevole e del doloroso con riguardo al soggetto senziente… In quanto perciò ogni metafisica si è di preferenza occupata di sostanza e di libertà del volere, la si può definire come la scienza che tratta degli errori fondamentali dell’uomo – però come se fossero verità fondamentali>> 12. Questa critica radicale dei presunti fondamenti della metafisica e della morale fa cadere sotto una luce sospetta proprio l’entità sulla quale si era sempre “fondata” ogni morale: l’Io, l’anima, la coscienza, la res cogitans cartesiana. Essa non può più essere concepita come qualcosa di unitario e di dato “a-priori”, bensì come il “prodotto” di una pluralità di forze storico-sociali che si sono stratificate nel nostro sistema organico nel corso dell’evoluzione della specie. CONCEZIONE METAFISICA DELL’IO CONCEZIONE NIETZSCHEANA DELL’IO IO IO (sostanza) (unità fittizia) Valori-attributi (morali, religiosi…) “a-priori” Pluralità di forze storico-sociali Il paradosso è che questa “dissoluzione” del fondamento della morale, è stato originato dalla morale stessa, secondo un processo che Nietzsche, in Aurora, chiama “autosoppressione della morale”. 10 Nietzsche, Umano, troppo umano, I, [Af. 57], op. cit., pp. 60-61 Nietzsche, “Il viandante e la sua ombra”, [Af. 40:], op. cit., pp. 160-161 12 Nietzsche, Umano, troppo umano, I, [Af. 18], op. cit., pp. 28-29 11 4 – Autosoppresione della morale, “morte di Dio” e nichilismo Con “autosoppressione della morale” Nietzsche intende il processo storico culturale della civiltà occidentale che, a partire dal “dovere di verità” socratico-platonico, attraverso la “cristianizzazione” di quel dovere, fino all’eredità del cristianesimo nelle filosofie dell’età moderna, giunge, per coerenza, rigore e logica consequenzialità, a negare il problema stesso da cui era iniziata tutta la ricerca. La più chiara e sintetica esposizione di questo processo viene fornita da Nietzsche in Crepuscolo degli idoli, nel capitolo: <<Come il “mondo vero” finì per diventare una favola>> Storia di un errore 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Il mondo vero, attingibile dal saggio, dal pio, dal virtuoso, - egli vive in esso, lui stesso è questo mondo. (La forma più antica dell’idea, relativamente intelligente, semplice, persuasiva. Trascrizione della tesi “Io, Platone, sono la verità”). Il mondo vero, per il momento inattingibile, ma promesso al saggio, al pio, al virtuoso (“al peccatore che fa penitenza”). (Progresso dell’idea: essa diventa più sottile, più capziosa, più inafferrabile – diventa donna, si cristianizza…). Il mondo vero, inattingibile, indimostrabile, impromettibile, ma già in quanto pensato una consolazione, un obbligo, un imperativo. (In fondo l’antico sole, ma attraverso nebbia e scetticismo; l’idea sublimata, pallida, nordica, königsbergica). Il mondo vero – inattingibile. Comunque non raggiunto. E in quanto non raggiunto, anche sconosciuto. Di conseguenza neppure consolante, salvifico, vincolante: a che ci potrebbe vincolare qualcosa di sconosciuto?... (Grigio mattino. Primo sbadiglio della ragione. Canto del gallo del positivismo). Il “mondo vero” – un’idea, che non serve più a niente, nemmeno più vincolante – un’idea divenuta inutile e superflua, quindi un’idea confutata: eliminiamola! (Giorno chiaro; prima colazione; ritorno del bon sens e della serenità; Platone rosso di vergogna; baccano indiavolato di tutti gli spiriti liberi). Abbiamo tolto di mezzo il mondo vero: quale mondo ci è rimasto? Forse quello apparente?... Ma no! col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente! (Mezzogiorno; momento dell’ombra più corta; fine del lunghissimo errore; apogeo dell’umanità: INCIPIT ZARATHUSTRA)13. Quindi l’intera storia della filosofia occidentale, <<La stessa moralità cristiana, il concetto di veracità preso con sempre maggior rigore, la sottigliezza da padri confessori della coscienza cristiana, tradotta e sublimata nella coscienza scientifica, nella pulizia intellettuale a qualsiasi prezzo…[tutto questo rigore ha fatto si che]…noi siamo appunto buoni Europei ed eredi del più lungo autosuperamento dell’Europa… anche noi, uomini della conoscenza di oggi, noi atei e antimetafisici, continuiamo a prendere anche il nostro fuoco dall’incendio che una fede millenaria ha acceso, quella fede cristiana che era anche la fede di Platone, per cui Dio è verità e la verità è divina… Ma come è possibile, se proprio questo diventa sempre più incredibile, se niente più si rivela divino salvo l’errore, la cecità, la menzogna, se Dio stesso si rivela come la nostra più lunga menzogna?>>14. Il venir meno di questa “favola” segna la “morte di Dio”, annunciata per la prima volta nella Gaia scienza, con l’aforisma dell’”uomo folle”. Se la parola “Dio” è sempre stata il simbolo di tutte le illusioni metafisiche, religiose e morali dell’Occidente (l’anima immortale, le Idee dell’iperuranio platonico, il Primo motore immobile di Aristotele, il dualismo cartesiano tra res cogitans e res extensa, la Sostanza spinoziana, l’armonia prestabilita leibniziana, l’imperativo categorico kantiano, l’Io puro infinito dell’idealismo tedesco…, ma anche la “secolarizzazione” della teleologia cristiana nel mito illuministico del “progresso” e nel mito hegeliano dello Spirito assoluto che progressivamente si incarna nella storia) la “morte di Dio” rappresenta la fine di tutte quelle illusioni, la fine di una “favola” utile ed efficace in altre epoche, la fine di tutti i valori eterni, la fine di tutte le certezze. Inoltre, tanto più gli uomini si erano illusi, quindi quanto più erano impreparati alla crudele “verità” sul mondo (un mondo “sdivinizzato”, senza scopo e quindi senza senso, un mondo “schopenhaueriano”…) tanto più subiranno la disillusione, tanto più resteranno smarriti e angosciati, saranno presi da un senso di vertigine e orrore per l’abisso che si apre sotto i loro piedi, finora saldamente appoggiati alle “certezze” della metafisica occidentale. 13 14 Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, Adelphi, MI, pp. 75-76 Nietzsche, La gaia scienza, Adelphi, MI, p. 290, [Af. 344] pp. 207-208 L’urlo, Edvard Munch (1893), Galleria Nazionale - Oslo - Norvegia <<Camminavo sulla strada con due amici, il sole tramontava, sentii come una vampata di malinconia. Il cielo divenne all’improvviso rosso-sangue. Mi arrestai, mi appoggiai al parapetto, stanco da morire. Vidi le nuvole fiammeggianti come sangue e una spada. Il mare e la città di un nero bluastro. I miei amici continuarono a camminare. Io rimasi là, tremando d’angoscia, e sentivo come un grande interminabile grido che attraversava la natura>> [Munch, Diario, 22/1/1892]. La larva umana, dalle occhiaie vuote, che disperatamente si stringe il volto tra le mani, sembra non voler sentire il proprio incontenibile urlo che si confonde con l’urlo della natura! Sta attraversando un ponte, sullo sfondo due ombre assistono impassibili alla sua solitaria disperazione. La “morte di Dio”, privando la natura e l’uomo di ogni fondamento, pone l’individuo di fronte al “nulla”, provocando quel senso di solitudine, sgomento e orrore che, sotto forma di onde sonore, pare uscire dal quadro per invadere anche il nostro spazio al di qua del ponte. La “morte di Dio” non deriva però solo da una logica interna al discorso metafisico-morale dell’Occidente (ovvero solo da una “storia delle idee”), ma anche da un mutamento delle condizioni materiali di esistenza che hanno reso superflua e inattuale quella “favola”. Nella società antica, insicura e violenta, l’uomo viveva nell’angoscia della miseria, della malattia e della morte, ma soprattutto della mancanza di senso. Infatti: <<non la sofferenza in se stessa era il suo problema, bensì il fatto che il grido alla domanda “a che scopo soffrire?” restasse senza risposta. L’uomo, l’animale più coraggioso e più abituato al dolore, in sé non nega la sofferenza; la vuole, la ricerca persino, posto che gli si indichi un senso di essa, un “perché” del soffrire. L’assurdità della sofferenza, non la sofferenza, è stata la maledizione che fino a oggi è dilagata su tutta l’umanità…>> 15, e la credenza in “Dio” offrì ad essa un senso! Ma, come abbiamo visto, la credenza in “Dio” fu credenza nella “Verità”, la cui intransigente ricerca portò al progresso tecnico-scientifico che, a sua volta, rese la società meno violenta e più sicura. Ora, proprio le migliori condizioni di vita che ne conseguono, hanno fatto perdere di importanza le “questioni eterne”, hanno sottratto spazio alla dimensione contemplativa in favore di quella mondana, hanno reso “inattuale” Dio. La “morte di Dio” ha come conseguenza il “nichilismo”. Il termine deriva dal latino nihil (nulla) ed assume un particolare significato nella cultura russa della seconda metà dell’800 (con il romanzo Padri e figli di Turgenev e nei Demoni di Dostoevskij) dove viene utilizzato polemicamente per designare l’atteggiamento di rifiuto dell’autorità politica e religiosa, la fiducia materialistica nella scienza e il programma sovversivo di rottura del sistema zaristico di oppressione sociale. In Nietzsche assume almeno due diversi significati: 1) Nichilismo “passivo”: la “morte di Dio”, ovvero il venir meno dell’ordine trascendente e del sistema valoriale ad esso collegato, produce un effetto di spaesamento, di vuoto, di vertigine di fronte al “nulla” nel quale l’uomo moderno si trova “gettato”, dopo che per secoli si era aggrappato alle “bugie vitali” della metafisica occidentale. Questo tipo di nichilismo è fattore di decadenza poiché getta l’individuo in uno stato psicologico di angoscia che lo abbatte e lo paralizza, abituato com’è a vedere lo scopo della vita sempre imposto dall’esterno. 15 Nietzsche, Genealogia della morale, Adelphi, MI, 1972, p. 366 È un po’ quello che accade ad un adolescente che, nel momento cruciale della sua formazione umana, perde il padre, cadendo in uno stato di sconforto psicologico e di paralisi dell’azione, derivanti dalla perdita del punto di riferimento e del senso di sicurezza garantiti e rappresentati dalla figura paterna che non c’è più. <<Il nichilismo come stato psicologico subentra di necessità, in primo luogo, quando abbiamo cercato in tutto l’accadere un “senso” che in esso non c’è, sicché alla fine a chi cerca viene a mancare il coraggio. Il nichilismo è allora l’acquistar coscienza del lungo spreco di forze, il tormento dell’”invano”, l’insicurezza, la mancanza dell’occasione di riposarsi in qualche modo, di tranquillizzarsi su qualcosa ancora – la vergogna di fronte a se stessi, come se ci si fosse troppo a lungo ingannati… Quel senso potrebbe essere stato: l’”adempimento” di un supremo canone morale in tutto l’accadere, l’ordine morale del mondo; o l’accrescimento dell’amore e dell’armonia nei rapporti fra gli esseri; o l’avvicinamento a uno stato universale di felicità… Ciò che è comune a tutte queste rappresentazioni è che si debba raggiungere qualcosa attraverso il processo stesso – e poi si capisce che col divenire non si mira a nulla, non si raggiunge nulla… Dunque la delusione su un preteso fine del divenire è causa del nichilismo: sia in relazione a un fine del tutto determinato, sia, in modo più generale, come comprensione dell’insufficienza di tutte le ipotesi finalistiche finora fatte, che riguardano l’intero “sviluppo” (l’uomo non è più collaboratore, per non dire centro, del divenire)>>16. Ansietà, Edvard Munch (1894), Munch Museum - Oslo - Norvegia Questi uomini e donne (borghesi) sembrano fantasmi senz’anima che, con gli occhi sbarrati e i volti giallastri carichi di angoscia, ci guardano e, al tempo stesso, guardano il “nulla” ….. Però per l’uomo (a meno che non si trasformi in “superuomo”, come vedremo più avanti) è quasi impossibile vivere senza “Dio”. Anche quando il “Dio cristiano” è morto, anche quando sono cadute tutte le illusioni della metafisica occidentale, negli uomini, guidati dalla morale del gregge, permane l’abitudine di postulare una qualche autorità esterna da cui farsi guidare: è così che nascono i “supplenti” di Dio o i suoi “sostituti idolatrici”. Come osserva N. Abbagnano: <<…nelle pagine finali di Così parlò Zarathustra Nietzsche racconta di uomini che si mettono ad adorare un asino, con grande ira del filosofo-profeta, il quale constata come il passaggio dall’uomo al superuomo sia lento e difficile. L’”asino” è simbolo di ogni sostituto idolatrico di Dio e allude probabilmente alle varie forme dell’ateismo “positivo” dell’Ottocento, nelle quali il vecchio Dio si trova “rimpiazzato” da altrettanti supplenti (lo stato, l’Umanità, la scienza, il socialismo, ecc.), che vengono a riempire il vuoto lasciato dalle precedenti strutture metafisiche: “Dopo che Buddha fu morto, si continuò per secoli ad additare la sua ombra in una caverna – un’immensa orribile ombra. Dio è morto: ma stando alla natura degli uomini, ci saranno forse ancora per millenni caverne nelle quali si additerà la sua ombra. E noi – noi dobbiamo vincere anche la sua ombra!” (La gaia scienza)>>17. Queste profetiche parole di Nietzsche sembrano descrivere il XX° secolo, ancor più dell’800, con tutti i suoi “ismi” (fascismo, nazismo, comunismo, “consumismo”…) regolarmente infranti dalle “prove di verifica” della storia. Nietzsche, a proposito di questi surrogati di Dio, parla di un “nichilismo incompleto”: <<Nel nichilismo incompleto rimane ancora operante una fede; per rovesciare il mondo dei valori si deve ancora credere in qualcosa, in un ideale, si ha un bisogno di verità. Come forme di nichilismo incompleto Nietzsche nomina: a) in ambito politico il nazionalismo, lo chauvinismo, il socialismo e l’anarchismo; b) in ambito scientifico lo storicismo e il positivismo; c) in ambito artistico il naturalismo e l’esteticismo francese>>18. Nietzsche, “Critica del nichilismo”, in Frammenti postumi 1887-1888, Adelphi, MI, 1971, pp. 256-257 Abbagnano-Fornero, Fare filosofia (Autori), vol. 3°, Paravia, MI, 2001, p. 143 18 F. Volpi, voce “nichilismo”, in Dizionario di filosofia di N. Abbagnano. Terza edizione aggiornata e ampliata da G. Fornero, UTET, Torino, 1998, p. 758 16 17 Entrata di Cristo a Bruxelles (1888-89), di James Ensor, Anversa, Musée Royal des Beaux-Arts Il quadro sembra volerci dire che, se Cristo entrasse in una qualsiasi metropoli moderna, probabilmente molti non se ne accorgerebbero, indaffarati come sono ad assumere la loro «maschera» sociale ; oppure potrebbe essere confuso con uno dei tanti «idoli» socio-politici di fine ‘800, come sembra suggerire la scritta Vive Jésus, sul lato destro sopra un piccolo stendardo, associata a Fanfares doctrinaires, sull’insegna della banda musicale, e Vive la Sociale, in alto, su uno striscione che attraversa la strada. Questa folla variopinta di buffoni, prostitute, soldati, autorità religiose e civili, con i volti deformati, brutali, clowneschi, con un’aria di eccitazione carnevalesca, sembrano tutte maschere ipocritamente impegnate a riempire il nulla e l’insensatezza della loro esistenza. Viene il sospetto che persino Cristo sia una maschera! L’unica maschera che non porta la maschera, quindi l’unica maschera «autentica» è la morte (lo scheletro in basso a sinistra) con la tuba da borghese gentiluomo. 2) Nichilismo “attivo”: contrariamente al “nichilismo passivo”, e in quanto suo superamento, il “nichilismo attivo” viene proposto e praticato da Nietzsche come una “cresciuta potenza dello spirito”, segno di “forza” che, pur avvertendo la decadenza, non si crogiola in essa, non l’accetta come ultimo destino dell’Occidente: <<… l’energia dello spirito può essere cresciuta tanto, che i fini sinora perseguiti (“convinzioni, articoli di fede”) le riescono inadeguati… Il suo MASSIMO di forza relativa, lo raggiunge come forza violenta di DISTRUZIONE, come nichilismo attivo… Il nichilismo rappresenta uno stato intermedio patologico (patologica è l’immensa generalizzazione, la conclusione che non c’è nessun senso): sia che le energie creative non siano ancora forti abbastanza, sia che la decadenza indugi ancora e non abbia ancora trovato i suoi rimedi… Che non ci sia una verità; che non ci sia una costituzione assoluta delle cose, una “cosa in sé”; - ciò stesso è un nichilismo, è anzi il nichilismo estremo. Esso ripone il valore delle cose proprio nel fatto che a tale valore non corrisponde né abbia corrisposto nessuna realtà, ma solo un sintomo di forza da parte di chi pone il valore, una semplificazione ai fini della vita… Ciò che racconto è la storia dei prossimi due secoli. Descrivo ciò che verrà, ciò che non potrà più venire diversamente… “La volontà di potenza. Tentativo di una trasvalutazione di tutti i valori” – con questa formula si esprime un contromovimento quanto a principio e a compito: un movimento che in qualche futuro prenderà il posto di quel perfetto nichilismo; ma che lo presuppone, logicamente e psicologicamente, che in ogni modo può rivolgersi solo a esso e venire solo da esso… Perché sono i nostri stessi valori precedenti, che traggono in esso la loro ultima conclusione; perché il nichilismo è una logica pensata sino in fondo dei nostri grandi valori e ideali – perché dobbiamo prima vivere il nichilismo, per accorgerci di quel che fosse propriamente il valore di questi “valori”… Noi abbiamo bisogno, quando che sia, di nuovi valori…>>19 19 Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, in Opere, vol. VIII, tomo II, Adelphi, MI, 1971, pp. 12-13, 392-394 <<Tutta la nostra cultura europea si muove già da gran tempo con una tensione torturante che cresce di decennio in decennio, come se si avviasse verso una catastrofe: inquieta, violenta, precipitosa; come un fiume che vuole sfociare, che non si rammenta più, che ha paura di rammentare. Chi prende qui la parola, al contrario, non ha fatto altro sinora che rammentarsi: come un filosofo e solitario per istinto, che trova il suo vantaggio nello stare in disparte, nello stare al di fuori, nella pazienza, nell’indugio, nel rimanere indietro; come uno spirito temerario e sperimentatore, che si è già una volta perduto in ogni labirinto del futuro… come il primo perfetto nichilista d’Europa, che però ha già vissuto in sé fino in fondo il nichilismo stesso – che lo ha dietro di sé, sotto di sé, fuori di sé>> 20. Sera nel corso Karl Johan, Edvard Munch (1892), Rasmus Meyer Collection, Bergen, Norway La passeggiata dei borghesi di Oslo (corso Karl Johan), diventa una processione di spettri che proseguono senza sosta sullo steso marciapiede e nella stessa direzione senza sapere perché. Sui loro volti di esseri disincarnati affiorano i lividi colori della desolazione interiore. Da questa massa di alienati, sulla destra si stacca una figura (forse Munch) che, solitaria, prende la direzione opposta. Essa sembra alludere alla contrapposizione nietzscheana tra la forza torrenziale del pensiero comune, che non ha consapevolezza del proprio percorso, e la riflessione filosofica controcorrente che, in questo caso, coincide con quella del “nichilista attivo” ed “estremo”. Proprio perché Nietzsche ha avuto il nichilismo “dietro di sé, sotto di sé, fuori di sé”, ovvero ha vissuto fino in fondo l’esperienza nichilista, può tentare di superarla. È questo il senso della “trasvalutazione di tutti i valori” di cui si parla nei frammenti sulla “volontà di potenza”. Ma la premessa per l’elaborazione di un qualsiasi discorso “terapeutico” nei confronti della “malattia mortale del nichilismo” (H. Küng) dovrà passare attraverso una nuova concezione del tempo rispetto a quella cristiana che ha informato di sé la cultura europea degli ultimi duemila anni. Dobbiamo quindi affrontare la teoria dell’Eterno Ritorno dell’Uguale che costituisce la base filosofica del cosiddetto periodo di Zarathustra (1880-1884). 5 – L’Eterno Ritorno dell’Uguale Il superamento definitivo del nichilismo non può che coincidere con l’accettazione totale della vita, attraverso l’elaborazione di una nuova tavola di valori. Ma questa rifondazione dell’etica richiede preliminarmente la critica della concezione lineare e finalistica del tempo di matrice cristiana, codificata da S. Agostino. Secondo questa concezione l'universo fu creato ex nihilo (dal nulla), attraverso un libero atto di Dio, il Creatore, escludendo quindi l’idea di una sua possibile eternità. Durante la sua permanenza nel Paradiso terrestre, l’uomo si macchia del peccato originale, simbolo della colpa legata alla debolezza della natura umana. La perdita dell'innocenza originaria prelude alla cacciata dall'Eden, che costringerà l’uomo alla fatica del lavoro nei campi e la donna a partorire nel dolore. L'incarnazione del divino nell'umano (la nascita di Cristo) porta la salvezza agli uomini: il sacrificio di Cristo sulla croce, e la sua successiva ascensione al cielo presso il Padre, libera l'uomo dalla condizione del peccato (redenzione) e gli apre la possibilità di salvezza eterna. Il mondo è ancora una “valle di lacrime” (S. Agostino), ma l’era cristiana, che si contrappone nettamente al mondo pagano, è l’era della speranza e della carità. Nel Vangelo di Giovanni si annuncia la “fine dei tempi”, l’avvento definitivo del regno eterno del Salvatore, segnato dal Giudizio Universale, il momento finale della storia dell'uomo sulla Terra, quella che separa il tempo umano dall'eternità che appartiene solo a Dio: tutti gli uomini verranno giudicati in rapporto ai loro meriti ed alle loro colpe; eterna beatitudine e felicità da una parte, eterno dolore dall'altra spetterà ai colpevoli. 20 Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, in Opere, vol. VIII, tomo II, Adelphi, MI, 1971, pp. 392-394 CREAZIONE PECCATO ORIGINALE INIZIO REDENZIONE (Cristo sulla croce) GIUDIZIO UNIVERSALE (salvezza o condanna delle anime) Questa concezione del tempo cosmico e storico dell’uomo, secondo Nietzsche, implica “infelicità esistenziale”, mancanza di “pienezza vitale”, poiché il senso di ogni attimo non è mai nell’attimo stesso, ma in un “oltre” futuro che dovrà essere raggiunto e che, da quel lontano “altrove”, dà significato al presente. È un modo di concepire il divenire che Vattimo chiama “struttura edipica del tempo”, dove ogni attimo è come il padre (il presente) che viene “ucciso” dal figlio (il futuro), che a sua volta verrà ucciso dal proprio figlio ( il futuro successivo) e così via, fino alla “fine dei tempi”. Anche quando questa visione “escatologica” della storia (iniziata da S. Agostino) verrà “secolarizzata” nei miti della modernità (il mito illuministico e poi positivistico del “progresso”; il mito hegeliano dello Spirito che progressivamente si incarna nella storia per la realizzazione della “sapere assoluto”; il mito socialista di una futura società “felice e giusta”, dove tutti gli uomini saranno “liberi e uguali”), la struttura temporale da essa sottintesa non cambierà, poiché presuppone sempre un presente che non trova in se stesso il proprio significato e la propria giustificazione, ma pone il senso dell’essere sempre al di là dell’essere stesso, in una meta che, pur non essendo più di carattere teologico o metafisico, ma socio-politico, non cessa di privare il “qui ed ora” della sua pienezza di senso. A questa concezione lineare e finalistica del tempo, Nietzsche contrappone una concezione circolare del tempo (già presente in alcune cosmologie presocratiche, come quella dei pitagorici e di Empedocle) in cui l’essere non deriva dal nulla, non va verso uno scopo, ma è caratterizzato da un incessante ed eterno divenire delle cose attraverso ripetitivi cicli cosmici. Questa nuova concezione del tempo (Eterno Ritorno dell’Uguale) che Nietzsche vuole trasmettere, costituirà l’insegnamento principale del saggio persiano Zarathustra (alter ego del filosofo) nell’opera del 1883-84, Così parlò Zarathustra; ma fa la sua comparsa per la prima volta nell’aforisma 341 della Gaia scienza, “Il peso più grande”: <<Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: “Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione – e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!”. Non ti rovesceresti a terra digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: “Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina”? Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: “Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?” graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun’altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello?>>21. Dal brano citato emerge uno dei due significati che si possono attribuire alla teoria dell’Eterno Ritorno dell’Uguale: il significato morale o “esistenziale”. Infatti, mentre, in un primo tempo, l’uomo può perfino provare un senso di oppressione (“il peso più grande”) e vivere come una maledizione l’idea che tutto ciò che fa è già stato fatto, e sarà fatto altre innumerevoli volte per l’eternità, come se venisse privato della libertà e della soddisfazione di crearsi il proprio destino, in un secondo tempo, un uomo nuovo (il”superuomo”) potrà assumere quest’idea come un invito ad amare la vita ed ogni attimo di essa e, quindi, a viverla come se tutto dovesse ritornare: “Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?”. Ma Nietzsche, pur negando qualsiasi valore di “verità” alle sue ipotesi filosofiche (il che lo farebbe ricadere nel circolo vizioso della metafisica), ritiene importante dimostrare almeno la plausibilità “scientifica” dell’idea dell’Eterno Ritorno, per dare ad essa un fondamento cosmologico. 21 Nietzsche, La gaia scienza, [Af. 341], Adelphi, MI, pp. 201-202 Come ci ricorda Mazzino Montinari nella sua biografia intellettuale di Nietzsche: <<…l’ipotesi scientifica della ripetizione eterna dell’identico occupava gli scienziati dell’epoca… Nietzsche sentiva, naturalmente, di avere a che fare con un’ipotesi, ma – un po’ come Pascal – scriveva: “anche se la ripetizione ciclica fosse solo una verosimiglianza o una probabilità: già il pensiero di una probabilità può sconvolgerci e riplasmarci… Quali effetti non ha sortito la possibilità dell’eterna dannazione!... Non si può affermare con sicurezza che Nietzsche “credesse” nell’eterno ritorno delle cose stesse. Nei manoscritti la certezza si alterna al dubbio; nello Zarathustra la teoria viene, più che dimostrata, enunciata in forma di simboli. In ogni modo può essere interessante riportare, tra le “dimostrazioni” rimaste nei manoscritti, quella che sembra la più convinta: “Il mondo delle forze non subisce diminuzione: altrimenti nel tempo infinito si sarebbe indebolito e sarebbe perito. Il mondo delle forze non subisce stasi: altrimenti questa sarebbe stata raggiunta, e l’orologio dell’esistenza si sarebbe fermato. Dunque, il mondo delle forze non giunge mai a un equilibrio, non ha mai un attimo di quiete, la sua forza e il suo movimento sono ugualmente grandi in ogni tempo. Quale che sia lo stato che questo mondo può raggiungere, esso deve averlo già raggiunto, e non una ma infinite volte. Così questo attimo: esso era già qui una volta e molte volte e parimenti ritornerà, tutte le forze distribuite esattamente come ora; lo stesso avviene per l’attimo che ha generato questo e per quello che sarà il figlio dell’attimo attuale>>.22 Ancora: <<La misura della forza nel cosmo è determinata, non è “infinita”… Conseguentemente, il numero delle posizioni, dei mutamenti, delle combinazioni e degli sviluppi di questa forza è certamente immane e praticamente “non misurabile”; ma in ogni caso è anche determinato e non infinito. È vero che il tempo nel quale il cosmo esercita la sua forza è infinito […]. Fino a questo attimo è già trascorsa un’infinità, cioè tutti i possibili sviluppi devono già essere esistiti. Conseguentemente, lo sviluppo momentaneo deve essere una ripetizione, e così quello che l’ha generato e quello che da esso nasce, e così via: in avanti e all’indietro>>23. Una volta chiarita la possibilità cosmologica dell’Eterno Ritorno, Nietzsche può sviluppare le conseguenze etiche di quello che considera il “pensiero più potente”. È come se questo pensiero ci esortasse continuamente a vivere in modo da poter desiderare di rivivere questa nostra vita in ripetizione eterna: <<La differenza tra coloro che credono nell’eterno ritorno e coloro che non ci credono è che i primi imprimono alla loro vita l’impronta dell’eternità, i secondi vivono una “vita fugace”. L’individuo deve plasmare la sua vita come una opera d’arte e in ciò lo aiuterà proprio la fede di rivivere eternamente una tal vita. L’eterno ritorno sanziona anche la fine di ogni teleologia: l’universo non ha scopo né morale né estetico, il divenire ciclico è innocente; ma ciò permette quello che Nietzsche chiama la “disumanizzazione della natura” e l’assimilazione di tutte le esperienze del passato, di tutto il bene e il male della umanità, di tutti gli errori che ne hanno condizionato e ne condizionano la vita. Il culmine di questa nuova “grande cosmodicea” è simboleggiato come “annulus aeternitatis”: “il sole della conoscenza risplende di nuovo a mezzodì: e il serpente dell’eternità si inanella alla sua luce – è il vostro tempo fratelli del meriggio!”>>.24 Miniatura araba del XVIII secolo Il serpente che si morde la coda, chiamato Ouroboro, un simbolo esoterico ricorrente in civiltà diversissime, costituisce un’immagine della ciclicità del tempo, ovvero del tempo che ritorna su se stesso. Un chiaro riferimento a questo simbolo è il "serpente nero" di cui parla Nietzsche in Così parlò Zarathustra. 22 M. Montinari, Che cosa ha veramente detto Nietzsche, Astrolabio-Ubaldini Ed., Roma, 1975, pp. 93-95 Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, op. cit., vol. V, tomo II, p. 382 24 M. Montinari, Che cosa ha veramente detto Nietzsche, op. cit., p. 95 23 Se il tempo non scorre più su una “linea retta” che viene dal nulla e va verso uno scopo ultimo, ma scorre lungo una “circonferenza” che si ripete all’infinito, allora ogni punto-attimo di essa non realizza più il proprio significato alla luce del punto d’arrivo (che non c’è), ma si autorealizza nella pienezza dell’attimo stesso; non vi è più separazione tra senso ed essere “qui ed ora” (come se il senso dell’essere stesse sempre in un altro mondo e in un altro tempo), ma coincidenza tra senso ed essere, pienezza esistenziale del “qui ed ora” o, come la chiama Nietzsche, “felicità del circolo”. * 6 – Il superuomo (Così parlò Zarathustra) L’uomo capace di collocarsi nella prospettiva dell’Eterno Ritorno, ovvero di vivere come se tutto dovesse ritornare, non può essere l’uomo come è esistito finora, l’uomo platonico-cristiano, su cui grava tutto il peso di un mondo “apollineo” di (pretesi) valori trascendenti; e neppure l’uomo moderno, il nichilista passivo, decadente, deluso incapace di dire sì alla vita e di decidere in proprio; ma un uomo nuovo: il superuomo (Uber-mensch) o oltreuomo (come viene tradotto dal filosofo Vattimo). La scelta di tradurre il prefisso uber con “oltre”, anziché “super”, ci permette di liberare il concetto di superuomo dalla sua interpretazione prevalentemente “politica” (nel senso di una élite di dominatori) per recuperarne il valore filosofico più profondo, ovvero quello di una umanità liberata, di un uomo “oltre l’uomo” com’è esistito finora, capace di reggere la “morte di Dio” e accettare la prospettiva dell’Eterno Ritorno dell’Uguale, quindi di accettare la vita senza più ricorrere alle “bugie di sopravvivenza” della metafisica, della religione e della morale. Il carattere etico-esistenziale, volitivo e decisionale, che caratterizza il superuomo nei confronti dell’Eterno Ritorno, trova una delle sue massime espressioni nel racconto di Zarathustra, La visione e l’enigma: <<A voi, temerari della ricerca e del tentativo, e a chiunque si sia mai imbarcato con ingegnose vele su mari terribili, … a voi soli racconterò l’enigma che io vidi, - la visione del più solitario tra gli uomini… Un sentiero, in salita dispettosa tra sfasciume di pietre, maligno solitario, cui non si addicevano più né erbe né cespugli: un sentiero di montagna digrignava sotto il dispetto del mio piede. Muto, incedendo sul ghignante crepitio della ghiaia, calpestando il pietrisco, che lo faceva sdrucciolare: così il mio piede si faceva strada verso l’alto. Verso l’alto: - a dispetto dello spirito che lo traeva in basso, in basso verso gli abissi, lo spirito di gravità, il mio demonio e nemico capitale. Verso l’alto: - sebbene fosse seduto su di me, metà nano; metà talpa; storpio; storpiante; gocciante piombo nel cavo del mio orecchio, pensieri-gocce-di-piombo nel mio cervello. “O Zarathustra, sussurrava beffardamente sibilando le parole, tu, pietra filosofale! Hai scagliato te stesso in alto, ma qualsiasi pietra scagliata deve – cadere! … Condannato a te stesso, alla lapidazione di te stesso: o Zarathustra, è vero: tu scagliasti la pietra lontano, - ma essa ricadrà su di te! Qui il nano tacque; e ciò durò a lungo. Il suo tacere però mi opprimeva… Salivo, - salivo, - sognavo, - pensavo: ma tutto mi opprimeva. Ero come un malato….. * Così parlò Zarathustra (1883-85) È un poema in prosa, strutturato in versetti (come il Vangelo), in cui Nietzsche, attraverso una catena di parabole, annuncia la teoria dell’Eterno Ritorno e del superuomo. L’alter-ego del filosofo è l’antico profeta persiano Zarathustra o Zoroastro, fondatore (nel VI sec. A. C.) dell’omonima religione (zoroastrismo), che individuava un dualismo all’interno dell’essere, contrapponendo alla divinità, Ormuz, un’antidivinità, Ariman, presentandosi così come una semplice soluzione al problema del male. Alle enigmatiche predicazioni di Zarathustra (interamente reinventate da Nietzsche con immagini, simboli e allegorie) viene affidato il nucleo filosofico più importante delle “terapie” antinichiliste. L’opera è divisa in quattro parti: 1) All’età di trent’anni Zarathustra si ritira in solitudine sulla montagna, per dieci anni, con i suoi animali, l’aquila e il serpente, dove raggiunge la comprensione dell’essenza di tutte le cose. Così ridiscende tra gli uomini per annunciare loro la verità e l’avvento del superuomo. [Delle tre metamorfosi … Di coloro che abitano un mondo dietro il mondo ….. Dei dispregiatori del corpo] 2) Gli uomini però non sono ancora pronti ad ascoltare la sua “lieta novella”. Così egli torna sulla montagna “aspettando come un seminatore, che ha gettato il suo seme”. Ridiscende quindi tra gli uomini raccontando loro una serie di parabole preparatorie alla rivelazione del “più abissale” tra i suoi pensieri. [Delle tarantole… Della vittoria su se stessi …… Della redenzione] 3) Tornato per la terza volta tra gli uomini annuncia, con toni sempre più profetici e oracolari, il suo pensiero più profondo, l’enigma dell’Eterno Ritorno dell’Uguale. [Il viandante ….. La visione e l’enigma ….. Il convalescente… La seconda canzone di danza] 4) Viene presentata la vita degli “uomini superiori”, quegli uomini che sono rimasti “senza Dio”, ovvero i nichilisti, “tutti gli uomini della grande brama, della grande nausea, del grande disgusto”. Ma Zarathustra saprà superare anche questi “uomini superiori”. [Dell’uomo superiore … ] Ma c’è qualcosa che io chiamo coraggio: questo finora ha sempre ammazzato per me ogni scoramento. Questo coraggio mi impose alfine di fermarmi e dire: “Nano! O tu! O io!”… Ma di noi due il più forte son io -: tu non conosci il mio pensiero abissale! Questo – tu non potresti sopportarlo!” Qui avvenne qualcosa che mi rese più leggero: il nano infatti mi saltò giù dalle spalle, incuriosito! Si accoccolò davanti a me, su di un sasso. Ma, proprio dove ci eravamo fermati, era una porta carraia. “Guarda questa porta carraia! Nano! Continuai: essa ha due volti. Due sentieri convengono qui: nessuno li ha mai percorsi fino alla fine. Questa lunga via fino alla porta e all’indietro: dura un’eternità. E quella lunga via fuori della porta e in avanti_ è un’altra eternità. Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l’un contro l’altro: e qui, a questa porta carraia, essi convengono. In alto sta scritto il nome della porta: ‘attimo’. Ma, chi ne percorresse uno dei due – sempre più avanti e sempre più lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno?”. “Tutte le cose dritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo”. “Tu, spirito di gravità! dissi io incollerito, non prendere la cosa troppo alla leggera!... Guarda, continuai, questo attimo! Da questa porta carraia che si chiama attimo, comincia all’indietro una via lunga, eterna: dietro di noi è un’eternità. Ognuna delle cose che possono camminare, non dovrà forse aver già percorso questa via? Non dovrà ognuna delle cose che possono accadere, già essere accaduta, fatta, trascorsa una volta? E se tutto è già esistito: che pensi, o nano, di questo attimo? Non deve anche questa porta carraia – esserci già stata? E tutte le cose non sono forse annodate saldamente l’una all’altra, in modo tale che questo attimo trae dietro di sé tutte le cose avvenire? Dunque - - anche se stesso? Infatti, ognuna delle cose che possono camminare: anche in questa lunga via al di fuori – deve camminare ancora una volta!... Così parlavo, sempre più flebile: perché avevo paura dei miei stessi pensieri e dei miei pensieri reconditi. E improvvisamente, ecco, udii un cane ululare…. Ma dov’era il nano? E la porta?... Stavo sognando? Mi ero svegliato? D’un tratto mi trovai in mezzo a orridi macigni, solo, desolato, al più desolato dei chiari di luna. Ma qui giaceva un uomo!... E, davvero, ciò che vidi, non l’avevo mai visto. Vidi un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero penzolava dalla bocca. Avevo mai visto tanto schifo e livido raccapriccio dipinto su di un volto? Forse, mentre dormiva, il serpente gli era strisciato dentro le fauci e – lì si era abbarbicato mordendo. La mia mano tirò con forza il serpente, tirava e tirava – invano! non riusciva a strappare il serpente dalle fauci. Allora un grido mi sfuggì dalla bocca: “Mordi! Mordi! Staccagli il capo! Mordi!” così gridò da dentro di me: il mio orrore, il mio odio, il mio schifo, la mia pietà, tutto quanto in me – buono o cattivo – gridava da dentro di me, fuso in un sol grido. – … - Il pastore, poi, morse come gli consigliava il mio grido; e morse bene! Lontano da sé sputò la testa del serpente -: e balzò in piedi. Non più pastore, non più uomo, - un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise! Oh, fratelli, udii un riso che non era di uomo, - - e ora mi consuma una sete, un desiderio nostalgico, che mai si placa. La nostalgia di questo riso mi consuma: come sopporto di vivere ancora! Come sopporterei di morire ora! – Così parlò Zarathustra>>25. L’enigmatico racconto di Nietzsche-Zarathustra, oltre a ribadire la teoria dell’Eterno Ritorno già delineata nella Gaia scienza26, tenta di chiarire l’atteggiamento dell’uomo (che deve diventare oltre-uomo) proprio verso questa stessa concezione del tempo. Infatti la teoria dell’Eterno Ritorno, dal punto di vista cosmologico, era già stata elaborata in qualche modo nella storia della filosofia, in particolare dalla filosofia stoica. È probabilmente a questo aspetto della teoria che il profeta si riferisce quando rimprovera lo “spirito di gravità”, intimandogli di “non prendere la cosa troppo alla leggera”, ovvero di non limitarsi alla superficiale enunciazione di una legge cosmica. Anzi, se restiamo prigionieri dell’idea di Eterno Ritorno come legge cosmica ineluttabile, questa idea può diventare angosciante e soffocante per la volontà umana (“Vidi un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero penzolava dalla bocca”). Lo stesso Zarathustra, nel capitolo Della redenzione, per un momento ne rimane “terrorizzato all’estremo”. 25 26 Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, MI,1976, pp. 181-186 Nietzsche, La gaia scienza, [Af. 341], op. cit., pp. 201-202 Ciò che vi è di soffocante e terribile nell’idea cosmologica dell’Eterno Ritorno (soprattutto per l’uomo nichilista e decadente) è il senso di impotenza derivante dal sentirsi un semplice anello della catena deterministica dell’Essere (“tutte le cose non sono forse annodate saldamente l’una all’altra, in modo tale che questo attimo trae dietro di sé tutte le cose avvenire?”); ovvero, se nel tempo infinito tutte le possibili combinazioni della materia si sono già realizzate, anche noi, con le nostre azioni presenti, ci siamo già stati e non possiamo essere altro che una ripetizione di eventi cosmici, manifestazioni di un divenire che subiamo, proprio come accade nello “storicismo”, criticato nella seconda delle Considerazioni inattuali (Sull’utilità e il danno della storia per la vita), per cui tutto ciò che accade è perché doveva accadere: “Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale” (Hegel). Ma è proprio qui, nel momento più inquietante ed enigmatico della concezione “circolare” del tempo, che si traccia la linea di confine tra uomo e superuomo. Infatti, anziché lasciarsi “soffocare” dalle conseguenze di un’interpretazione cosmologica (e quindi metafisica) dell’Eterno Ritorno dell’Uguale, l’uomo (il “pastore” de La visione e l’enigma), decidendo coraggiosamente di “mordere la testa del serpente”, cioè di vivere come se tutto dovesse ritornare, diventa superuomo. <<L’oggi e il passato sulla terra – ah, amici miei – questo è per me il massimo di ciò che non posso sopportare; e non saprei vivere, se non avessi anche la visione di ciò che necessariamente verrà. Uno che vede e vuole e crea, egli stesso un futuro e un ponte verso il futuro – e ahimè, ancora quasi uno storpio sul ponte: tutto ciò è Zarathustra… Ogni “così fu” è un frammento, un enigma, una casualità orrida – fin quando la volontà che crea non dica anche: “ma così volli che fosse!”. - Finché la volontà che crea non dica anche: “ma io così voglio! Così vorrò!>>27. Munch, Nietzsche, 1906-1907, Galleria Thielska - Stoccolma <<Uno che vede e vuole e crea, egli stesso un futuro e un ponte verso il futuro – e ahimè, ancora quasi uno storpio sul ponte: tutto ciò è Zarathustra>>. Il ritratto di Munch sottolinea l’atteggiamento del filosofo Nietzsche che, dignitosamente pensieroso, sembra guardare dall’alto di un ponte il paesaggio del mondo sottostante; quasi a voler rappresentare l’atteggiamento risoluto del superuomo che, nella totale assenza di certezze, affronta in solitudine il compito della creazione di nuovi valori, anche se “umani, ahi troppo umani!”. 27 28 Il superomismo di questo tipo d’uomo è dato soprattutto dal fatto che la sua scelta esistenziale ed etica (la “scelta” riguarda sempre un orizzonte di valori) avviene senza alcuna garanzia trascendente, facendo sì che tutte le responsabilità il coraggio della decisione ricadano sull’uomo stesso, che così si fa superuomo. Il superuomo, parafrasando Schopenhauer, pur di cogliere le poche rose della vita, ne affronta tutte le spine senza alcuna forma di protezione metafisica. Questa scelta esistenziale radicale trasforma l’uomocammello in “fanciullo”, dopo aver attraversato la fase transitoria del “leone”, come si legge nel discorso Delle tre metamorfosi. Il cammello rappresenta l’uomo occidentale che si sobbarca tutti i pesi della tradizione, piegandosi di fronte a Dio, alla morale e alla metafisica. Il leone rappresenta il nichilista attivo che, pur non essendo ancora in grado di “creare valori nuovi”, si crea la “libertà per una nuova creazione”. <<Ma ditemi, fratelli, che cosa sa fare il fanciullo, che neppure il leone era in grado di fare? Perché il leone rapace deve ancora diventare fanciullo? Innocenza è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire sì. Sì per il giuoco della creazione, fratelli, occorre un sacro dire sì: ora lo spirito vuole la sua volontà, il perduto per il mondo conquista per sé il suo mondo. Tre metamorfosi vi ho nominato dello spirito: come lo spirito divenne cammello, leone il cammello, e infine il leone fanciullo>>28. Il fanciullo è il simbolo dionisiaco dell’oltre-uomo che, con la sua innocenza ludica, dice “si” alla vita e al gioco della creazione di nuovi valori. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, op. cit., pp. 161-164 Nietzsche, Così parlò Zarathustra, op. cit., pp. 24-25 La gioia di vivere del pastore trasformato, “circonfuso di luce” (de La visione e l’enigma) e il “sacro dire sì…per il giuoco della creazione” del fanciullo (Delle tre metamorfosi) si esprimono nel corpo di Zarathustra che danza. Nelle prime pagine di Così parlò Zarathustra, mentre il filosofo-profeta, colmo di saggezza, scende dalla montagna per parlare agli uomini, incontra un eremita che, vedendolo, esclama: <<Sì, riconosco Zarathustra, puro è il suo occhio, né disgusto si cela sulle sue labbra. Non incede egli a passo di danza? Trasformato è Zarathustra, un bambino è diventato Zarathustra, Zarathustra è un risvegliato: che cerchi mai presso coloro che dormono?>>29. Man mano che l’uomo-Zarathustra si “risveglia”, cioè si avvicina allo stato ideale di “superuomo”, comincia a danzare, proprio come accadeva nell’ebbrezza dionisiaca de La nascita della Tragedia: <<Cantando e danzando l’uomo si manifesta come membro di una comunità superiore: ha disimparato a camminare e a parlare ed è sul punto di volarsene in cielo danzando. … risuona in lui qualcosa di soprannaturale: egli sente se stesso come dio, egli si aggira ora in estasi e in alto, così come in sogno vide aggirarsi gli dèi. L’uomo non è più artista, è divenuto opera d’arte..>>30. Come osserva Teresa Schettino nel suo lavoro sul corpo in Nietzsche31, nella danza prede forma quanto vi è di spirituale in ognuno, perché il corpo del danzatore supera gesti quotidiani e di La danza, Matisse (1910) - The Hermitage, St. Petersburg, Russia facciata per poter esprimere il senso del proprio essere. Il quadro, come osserva G.C. Argan (L’arte moderna), ha un significato miticoLa danza così intesa, a sua cosmico: il suolo verde è l’orizzonte terrestre, la curva del mondo; il cielo blu (”il volta, ha come presupposto più blu dei blu”, come scrive lo stesso Matisse) ha la profondità turchina degli spazi interstellari; le gigantesche figure vermiglione (“il vermiglione vibrante l’accettazione dell’Eterno dei corpi”) danzano vorticosamente tra la terra e il firmamento. Ritorno delle cose. Infatti, ne Il convalescente, gli animali amici del profeta-filosofo, per consolarlo dallo stordimento provocatogli dal “pensiero più abissale” (l’Eterno Ritorno dell’Uguale) così si esprimono: <<O Zarathustra … le cose stesse tutte danzano per coloro che pensano come noi: esse vengono e si porgono la mano e ridono e fuggono – e tornano indietro. Tutto va, tutto torna indietro; eternamente ruota la ruota dell’essere. Tutto muore, tutto torna a fiorire, eternamente corre l’anno dell’essere…Tutto si diparte, tutto torna a salutarsi; eternamente fedele a se stesso rimane l’anello dell’essere>>32. Anche per l’Eterno Ritorno viene quindi adoperata la metafora della danza. Questa connessione tra danza ed eterno ritorno viene illuminata dalla figura del pastore de La visione e l’enigma: il pastore, che rappresenta l’uomo disgustato dalla “verità” dell’eterno ritorno, non vive la vita, ma la guarda e la ricorda, condizione tipica dell’uomo moderno (descritta nella seconda delle Considerazioni inattuali) soffocato dal senso storico, sazio del suo sapere e stanco di vivere. Ma quando il pastore, risvegliatosi dal sonno, morde e stacca la testa del serpente e si rialza sorridente (<<Non più pastore, non più uomo, - un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva>>), preannuncia la trasformazione dello stesso Zarathustra da pastore in danzatore. 29 Nietzsche, Così parlò Zarathustra, op. cit., p. 4 Nietzsche, La nascita della tragedia, op. cit., p. 26 31 Schettino, Il corpo in Nietzsche, Ed. Jubal (coll. “Luoghi non comuni”), 2005, pp.112 32 Nietzsche, Così parlò Zarathustra, op. cit., pp. 255-256 30 Ne La seconda canzone di danza, infatti, Zarathustra balla con la vita e questa danza è la metafora del suo rapporto con l’esistenza: la loro danza è un gioco di distacchi e di avvicinamenti (<<Ti temo vicina, ti amo lontana; la tua fuga mi alletta, il tuo cercarmi mi blocca: - io soffro, ma che cosa non ho sofferto volentieri per te!>>33) connotata di sfumature erotiche, che ricorda una “baccanale”. Mentre all’inizio sembra che Zarathustra si lasci imporre il ritmo dalla vita (<<Per due volte soltanto agitasti i tuoi sonagli nelle piccole mani – e già il mio piede dondolava per smania di danza>>) ad un certo punto, stanco di essere sempre il suo “stupido pastorello”, ordina alla vita di danzare e di strillare per lui e, nel far questo, diventa superuomo al quale il coraggio, la conoscenza di Sé e il senso di potenza riconquistati permettono di affrontare tutte le avversità e di danzare nella vita34. 7 – La volontà di potenza 7.1 – Volontà di potenza come “salute” Il corpo di Zarathustra che danza porta con sé un’ultima fondamentale valenza simbolica: esso esprime la sua “volontà di potenza”. Questo concetto, prima di avere connotazioni politiche legate al processo di “nazificazione” del filosofo di Röcken35, è portatore di un’accezione profondamente filosofica. Per comprendere il concetto di volontà di potenza nell’uso non sistematico che ne fa Nietzsche, bisogna partire, come suggerisce Vattimo, dal suo significato “fisiologico”. Infatti, con il venir meno di ogni criterio fondativo delle azioni umane, conseguente alla “morte di Dio” (al divenir “favola” del “mondo vero”), Nietzsche si affida alle dicotomie fisiologiche di salute/malattia, forza/debolezza e a quelle, ad esse correlate, di creatività/risentimento, attività/reattività: <<Quando, per il modificarsi delle condizioni di esistenza e insieme per la logica interna alla morale, la menzogna della morale-metafisica si svela come tale e Dio “muore”, allora il non prendere atto di ciò, più che il rifiuto di aderire a una verità di fatto, è il segno di degenerazione fisiologica, una manifestazione di scarsa salute… Così, il suo odio per la morale, per il cristianesimo e per il socialismo (che, come ideologia egualitaria, è solo un’estrema derivazione del cristianesimo) è tutto motivato dalla preferenza “fisiologica” per la salute e la forza. La morale è una volontà di potenza che si caratterizza come vendetta: non è la proposta di un valore alternativo rispetto ad altri, secondo Nietzsche; ma piuttosto la nichilistica negazione di ogni valore al mondo, e la conseguente volontà di abbassarlo ancora di più, disprezzandolo e umiliandolo (come si disprezza e si umilia, nella morale cristiana, la “carne”)… Di contro allo spirito vendicatore dei deboli, che vedono l’insensatezza del divenire e si rivoltano contro di essa disprezzando e abbassando il mondo, la forza e la salute sono invece proprio caratterizzate come capacità di vivere attivamente l’esperienza del nichilismo>>36. Come Nietzsche aveva già svelato in Umano troppo umano: <<La morale ha inventato e proposto valori per l’utilità della vita; ma con ciò, pretendendo di imporre valori fondati sulla “verità”, ha nascosto da sempre il senso stesso delle posizioni di valore, cioè il loro essere radicate nella volontà di potenza di singoli e gruppi>>37. La prima definizione esplicita della volontà di potenza si trova svolta in Così parlò Zarathustra, nell’aforisma Della vittoria su se stessi: <<”Volontà di verità”, o saggissimi, voi chiamate ciò che vi incalza e vi riempie di desiderio? Volontà di rendere pensabile tutto l’essere: così chiamo io la vostra volontà! Tutto quanto è, voi volete prima di tutto farlo pensabile: giacché con buona diffidenza dubitate che sia già pensabile. Ma esso deve anche adattarsi e piegarsi a voi! Così vuole la vostra volontà. Levigato deve diventare e soggetto allo spirito, come suo specchio e immagine riflessa. Questa è la vostra volontà tutta intera, saggissimi, in quanto una volontà di potenza; anche quando parlate del bene e del male e dei valori… Ogni volta che ho trovato un essere vivente, ho anche trovato volontà di potenza; e anche nella volontà di colui che serve ho trovato la volontà di essere padrone. Il debole è indotto dalla sua volontà a servire il forte, volendo egli dominare su ciò che è ancora più debole… E la vita stessa mi ha confidato questo segreto. “Vedi, disse, io sono il continuo, necessario superamento di me stessa. 33 Nietzsche, Così parlò Zarathustra, op. cit., p. 264 Cfr. Schettino, Il corpo in Nietzsche, op. cit. 35 Vedi: “Nazificazione e denazificazione” in Abbagnano-Fornero, La filosofia. Da Schopenhauer a Freud, vol. 3A, Paravia, Milano, 2009, pp. 399-400 36 Gianni Vattimo, Introduzione a Nietzsche, op. cit., p. 99 37 Gianni Vattimo, Introduzione a Nietzsche, op. cit., p. 95 34 Certo, voi chiamate tutto ciò volontà di generare e istinto verso lo scopo, verso sempre maggior altezza, lontananza, varietà: ma tutto questo non è che uno stesso e identico mistero… E anche tu, uomo della conoscenza, non sei che un sentiero e l’orma della mia volontà: in verità, la mia volontà di potenza cammina anche sulle gambe della tua volontà di verità! Certo non ha colto nella verità, colui che per raggiungerla lanciò la parola della “volontà di esistere”: questa volontà – non esiste! Infatti: ciò che non è, non può volere; ma ciò che è nell’esistenza, come potrebbe ancora volere l’esistenza! Solo dove c’è vita, è anche volontà: ma non volontà di vita, bensì – così ti insegno io – volontà di potenza! Molte cose per il vivente hanno valore più della vita stessa; ma anche dal suo porre valori parla – la volontà di potenza!”… In verità io vi dico: un bene e male che fosse imperituro – non esiste! Esso deve superarsi continuamente, da se stesso. Con i vostri valori e le vostre parole di bene e male, voi esercitate violenza, voi che determinate i valori… E colui che vuol essere creatore di “bene e male”: in verità, costui dev’essere in primo luogo un distruttore, e deve infrangere valori. Quindi il massimo male inerisce alla bontà suprema: questa però è la bontà creatrice.>> 38. Dal testo nietzscheano emerge chiaramente la vera essenza della volontà di potenza. Essa non coincide col modo d’essere di una nuova entità biologica di tipo darwiniano (la “razza” ariana!) e nemmeno con l’atteggiamento dell’esteta di tipo dannunziano, ma si manifesta come potenza ermeneutica o interpretativa. 7.2 – Volontà di potenza come “interpretazione” Gli uomini hanno sempre interpretato la loro esistenza creando valori che le dessero senso e ordine, in contrapposizione con altre prospettive di valori, ma hanno sempre camuffato queste creazioni valoriali dietro una presunta origine trascendente. <<Scoperto che tutto è volontà di potenza, tutti sono costretti a prender posizione: non c’è più per i deboli e falliti, la protezione della morale, che ha dato loro la base per disprezzare e condannare i forti. Esplicitandosi e generalizzandosi la lotta tra opposte volontà di potenza, i deboli e falliti periscono; anzitutto, in quanto, per non lottare, restano attaccati ai loro pregiudizi morali, e li radicalizzano (ad esempio, l’egualitarismo in politica) in modo da renderli più distruttivi e contrari alla vita. Tutto questo, però, non conduce Nietzsche a un’affermazione senza limiti della lotta, e all’esaltazione della forza come capacità di imporsi in questa lotta: gli uomini davvero forti, dice il § 15, saranno i più moderati, quelli che non hanno bisogno di principi di fede esterni, quelli che non solo ammettono, ma anche amano una buona parte di caso, di assurdità, quelli che sanno pensare, riguardo all’uomo, con una notevole riduzione del suo valore, senza diventare perciò piccoli e deboli: i più ricchi di salute, quelli che sono all’altezza della maggior parte delle disgrazie e che quindi non hanno tanta paura delle disgrazie – gli uomini che sono sicuri della loro potenza e che rappresentano con consapevole orgoglio la forza raggiunta dall’uomo…>>39 Come si evince dalla citazione, non si tratta tanto dell’instaurarsi di una situazione di lotta di tutti contro tutti. Quest’ultima è sempre esistita e, paradossalmente, proprio i deboli (i cristiani) hanno a lungo vinto con l’imposizione dei pregiudizi morali. Si tratta invece della consapevolezza che la lotta delle opposte volontà di potenza, all’opera nel mondo, è lotta di interpretazioni. Con il divenire favola del “mondo vero”, il mondo apparente, l’unico mondo che rimane, si rivela come il prodotto delle interpretazioni che ciascun centro di forza elabora: <<Ogni centro di forza ha per tutto il resto la sua prospettiva, cioè la sua affatto determinata scala di valori, il suo tipo di azione, il suo tipo di resistenza. Il “mondo apparente” si riduce pertanto ad un modo specifico di agire sul mondo, che muove da un centro. Ma non c’è nessun’altra azione, e il “mondo” è solo una parola per il gioco complessivo di queste azioni>>40. Quest’idea che il mondo non è altro che gioco delle interpretazioni che partono da “centri di forza”, è stata “politicamente” sviluppata in modo originale da Michel Foucault in Microfisica del potere41. In questa raccolta di interventi politici, il filosofo sostiene che il principio di sovranità che legittima lo Stato - quello delle grandi monarchie amministrative, autoritarie e assolute, come quello delle democrazie parlamentari - impone l'interruzione del conflitto, si fa garante della pace, ma solo a condizione di occultare la storia reale come luogo di scontro tra forze. La filosofia politica non sarebbe stata capace di "tagliare la testa al re", inducendo 38 Nietzsche, Così parlò Zarathustra, op. cit., pp. 129-132 Gianni Vattimo, Introduzione a Nietzsche, op. cit., p. 96 40 Nietzsche, Frammenti postumi, 14 [184], VIII, 3, p. 160 41 Michel Foucault, Microfisica del potere (interventi politici), a cura di Alessandro Fontana e Pasquale Pasquino, Einaudi, Torino, 1977. 39 ad ignorare che i dispositivi di sorveglianza, di controllo, di normalizzazione, di correzione, di educazione, sono un modo da parte dello Stato di condurre e di rendere "silenziosa" una "guerra generalizzata". La ricerca storica sul potere non può rimanere vincolata, dunque, alla teoria giuridico-politica della sovranità, ma deve assumere il compito di dar vita alla complessità e alla conflittualità delle forze in campo, degli operatori materiali, delle forme di assoggettamento e dei dispositivi di strategie. Anche se il concetto di volontà di potenza è stato soggetto a controverse interpretazioni “politiche”, non v’è dubbio che la sua declinazione originaria sia di tipo “etico”. Ne abbiamo la dimostrazione nell’idea di Nietzsche di scrivere un’opera dal titolo: La volontà di potenza Tentativo di una trasvalutazione di tutti i valori I vari tentativi (mai portati a termine) di scrivere quest’opera, sono riportati da Montinari nella sua biografia intellettuale del filosofo (Che cosa ha veramente detto Nietzsche), e testimoniano l’interesse eminentemente “morale” del pensiero nietzscheano. In uno di questi tentativi, datato Sils-Maria, estate 1886, troviamo il seguente indice: <<Primo libro: Il pericolo dei pericoli (descrizione del nichilismo, come la conseguenza necessaria delle valutazioni fino ad oggi) Secondo libro: Critica dei valori (della logica ecc.) Terzo libro: Il problema del legislatore (qui la storia della solitudine) Come devono essere fatti gli uomini che sovvertono i valori? Uomini, che hanno tutte le qualità dell’anima moderna, ma sono tanto forti da trasformarle in salute. Quarto libro: Il martello è il loro mezzo per il loro compito>>42. Come si vede è il problema dei valori che nell’abbozzo è messo in primo piano: i valori devono essere “trasvalutati” (“Umwertung aller Werte” diventa la formula ricorrente), quindi devono essere ricreati. In realtà, come abbiamo già visto altre volte (soprattutto in Umano troppo umano), l’uomo ha sempre “creato” valori, ma ha sempre “mentito” a se stesso: <<C’è un solo mondo, ed è falso, crudele, contraddittorio, corruttore, senza senso […]. Un mondo così fatto è il vero mondo […]. Noi abbiamo bisogno della menzogna per vincere questa “verità”, cioè per vivere […]. La metafisica, la morale, la scienza – […] vengono prese in considerazione solo come diverse forme di menzogna: col loro sussidio si crede nella vita. “La vita deve ispirare fiducia”: il compito, così posto, è immenso. Per assolverlo, l’uomo dev’essere per natura un mentitore, dev’essere prima di ogni altra cosa un artista […]. Metafisica, morale, religione, scienza, sono nient’altro che creature della sua volontà d’arte>> 43. 7.3 – Volontà di potenza come “arte” Con il concetto di “volontà d’arte” si amplia e si completa l’accezione ermeneutica della volontà di potenza, ovvero la volontà di potenza come interpretazione. Infatti, se la vita è autocreazione (continuo superamento di se stessa) e, per quanto riguarda l’uomo, continua produzione di valori “utili” alla vita stessa, possiamo vedere nell’arte un modello normativo della volontà di potenza e nell’artista una “prima visibile figura dell’oltreuomo” (Vattimo44). Non nel senso che solo l’artista è “superuomo”, ma in senso traslato, ovvero: così come l’artista plasmando la materia amorfa conferisce ad essa un significato (un “valore”) che prima non aveva, il superuomo creando nuovi valori (“trasvalutando” i valori dell’Occidente) cerca di dare un senso all’insensatezza caotica del mondo: <<Una tavola dei valori è affissa su ogni popolo. Vedi: è la tavola dei suoi superamenti; vedi: è la voce della sua volontà di potenza. Lodevole è ciò che gli sembra difficile; ciò che è indispensabile e difficile lo chiama buono; e ciò che anche libera dalla suprema afflizione, ciò che è raro e più difficile di tutto – esso lo esalta come santo….. In verità, gli uomini hanno dato a se stessi tutto il loro bene e male. In verità, essi non lo presero, non lo trovarono, né cadde loro come una voce dal cielo. Per conservarsi, l’uomo fu il primo a porre dei valori nelle cose, - per primo egli creò un senso alle cose, un senso umano! Perciò si chiama “uomo”, cioè colui che valuta>>45. 42 M. Montinari, Che cosa ha veramente detto Nietzsche, op. cit., pp. 112-113 Nietzsche, Frammenti postumi, 11 [415], VIII, 2, pp. 396-97 44 Gianni Vattimo, Introduzione a Nietzsche, op. cit., p. 106 45 Nietzsche, Così parlò Zarathustra, op. cit., pp. 64-65 43 L’uomo quindi è sempre stato un “artista”, poiché ha sempre creato concetti-metafore46 o menzogne morali di sopravvivenza, ma (come il filosofo di Röcken ha già dimostrato in Umano troppo umano, nell’aforisma L’importanza del dimenticare nel sentimento morale) si è sempre “dimenticato” l’origine creativa e utilitaristica delle sue menzogne, ha sempre mentito inconsciamente e per secolare abitudine, giungendo al sentimento della verità proprio attraverso questa incoscienza e questo oblio. Il superuomo invece è, per così dire, un “artista” consapevole, poiché assume coraggiosamente su di sé tutta la responsabilità (ma anche la gioia) della creazione, tutto il peso (ma anche l’ebbrezza) della produzione di valori senza punti di riferimento metafisici, bensì solo umani, ahi troppo umani! Se ora ci domandiamo con quale criterio la volontà di potenza si accinge a creare nuovi valori, non troveremo una risposta esaustiva nelle opere di Nietzsche. Infatti il filosofo non portò mai a conclusione i suoi progetti di “trasvalutazione di tutti i valori”, nonostante i tentativi di sistematizzazione della sorella Elisabeth (e dell’amico Peter Gast) che in ripetute edizioni (1901, 1906, 1911) pubblicherà una raccolta di appunti-aforismi inediti del fratello con il titolo La volontà di potenza (Der Wille zur Macht). Possiamo solo inferire dalle varie opere di Nietzsce, in particolare da Così parlò Zarathustra, una direzione di pensiero, un filo conduttore, che ci faccia capire in che senso la creazione superomistica di valori si rapporti in modo inedito alla realtà. Questo filo conduttore è quello (non solo metaforicamente) della “terra” e del “corpo”: <<Il superuomo è il senso della terra. Dica la vostra volontà: sia il superuomo il senso della terra! Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovra terrene speranze! Lo sappiano o no: costoro esercitano il veneficio. Dispregiatori della vita essi sono, moribondi e avvelenati essi stessi, hanno stancato la terra: possano scomparire! Un tempo il sacrilegio contro Dio era il massimo sacrilegio, ma Dio è morto, e così sono morti anche tutti questi sacrileghi. Commettere il sacrilegio contro la terra, questa è oggi la cosa più orribile, e apprezzare le viscere dell’imperscrutabile più del senso della terra! In passato l’anima guardava al corpo con disprezzo: e questo disprezzo era allora la cosa più alta: - essa voleva il corpo macilento, orrido, affamato. Pensava, in tal modo, di poter sfuggire al corpo e alla terra….. “Corpo io sono e anima” – così parla il fanciullo. E perché non si dovrebbe parlare come i fanciulli? Ma il risvegliato e sapiente dice: corpo io sono in tutto e per tutto, e null’altro; e anima non è altro che una parola per indicare qualcosa del corpo. Il corpo è una grande ragione, una pluralità con un solo senso….. Strumento del tuo corpo è anche la tua piccola ragione, fratello, che tu chiami “spirito”, un piccolo strumento e un giocattolo della tua grande ragione….. Vi è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore saggezza. E chi sa a quale scopo per il tuo corpo è necessaria proprio la tua migliore saggezza?>>47. Se la morale occidentale ha sempre fatto calare i valori dal “cielo” (la consegna delle “tavole della legge” da Dio a Mosè sul monte Sinai, l’iperuranio platonico, ecc.) per depositarli nell’anima dell’uomo, la terra e i corpo in Nietzsche diventano i simboli e gli strumenti per il rovesciamento dell’ascetismo (anche schopenhaueriano) e della sua battaglia contro la morale-metafisica platonico-cristiana. Secondo quanto suggerisce Vattimo il <<riferimento al corpo è un’altra delle ragioni per cui è l’arte l’unica forma spirituale capace di realizzare la possibilità positiva della volontà di potenza: morale, metafisica, religione, anche la scienza (almeno in quanto ha ridotto il corpo alla massa misurabile), hanno sempre espresso nella presa di distanza ascetica dal corpo il loro spirito nichilistico e reattivo. Nel definire l’arte un “contromovimento” rispetto all’ascetismo e al nichilismo, Nietzsche ne enfatizza gli elementi tonificanti: Il senso dell’ebbrezza, corrispondente in realtà a un di più di forza; nel modo più forte nel periodo di accoppiamento dei sessi; nuovi organi, nuove abilità, colori, forme […] l’”abbellimento” è conseguenza della forza accresciuta. Abbellimento come conseguenza necessaria dell’aumento di forza. Abbellimento come espressione di una volontà vittoriosa, di un coordinamento intensificato, di un’armonizzazione di tutti i desideri forti […]. Lo stato di piacere che si chiama ebbrezza è esattamente un alto senso di potenza […]. Le sensazioni di spazio e tempo cambiano: immense distanze vengono abbracciate e quasi percepite per la prima volta; l’estensione dello sguardo su maggiori moltitudini e vastità; il raffinamento dell’organo per la percezione di molte cose piccolissime e fuggevolissime; la divinazione, la forza di capire per il più lieve suggerimento, per ogni suggestione; la sensualità “intelligente” […]. Gli artisti, se servono a qualcosa, hanno forti inclinazioni (anche fisicamente), esuberanza, energia animale, sensualità; senza una certa sovreccitazione del sistema sessuale un Raffaello non è pensabile […] 48. Sulla natura metaforica del concetto si veda: “La natura metaforica del concetto”, in Nietzscche, Su verità e menzogna in senso extramorale, Adelphi, MI, 1973, III, 2, pp. 355-368 47 Nietzsche, “Prologo” e “Dei dispregiatori del corpo”, in: Così parlò Zarathustra, op. cit., pp. 6, 33 48 Gianni Vattimo, Introduzione a Nietzsche, op. cit., pp. 109-110 46 Se il rapporto di Raffaello con la creazione artistica è paragonabile al rapporto del superuomo con la creazione etica, allora (come era già accaduto nella Nascita della Tragedia) anche nel tardo Nietzsche, alla fine, “Apollo parla la lingua di Dioniso”. Infatti, l’accento posto sulla corporeità e (come suggerisce Nicola Abbagnano) la “rivendicazione della natura terrestre del superuomo” fanno tutt’uno con “l’accettazione totale della vita che è propria dello spirito dionisiaco. In virtù di tale accettazione, la terra cessa di essere il deserto in cui l’uomo è in esilio per divenire la sua dimora gioiosa, e il corpo cessa di essere la prigione o la tomba dell’anima per divenire il concreto modo di essere dell’uomo nel mondo”49. La gioia di vivere, Matisse (1905-1906) – Barnes Foundation, Merion, PA, USA “la terra cessa di essere il deserto in cui l’uomo è in esilio per divenire la sua dimora gioiosa” Questa grandiosa composizione “vuol essere un’immagine mitica del mondo come si vorrebbe che fosse: un’età dell’oro in cui non vi è distinzione tra gli esseri umani e la natura, tutto comunica e si associa, le persone si muovono libere come fossero fatte d’aria, la sola legge è l’armonia universale, l’amore” [G.C. Argan, L’arte moderna]. Matisse riesce ad armonizzare e semplificare la forma, e a fondere uomo e natura, anche utilizzando i colori innaturali del paesaggio, come ad esempio l'albero rosa che è lo stesso colore utilizzato per la pelle delle persone. L’opera compone i due temi tradizionalmente opposti del Baccanale e della Pastorale, esalta ora il fervore dionisiaco (come nel girotondo danzante), ora la pace apollinea (come nei suonatori di flauto), ora il ritmo, ora la melodia….. ..…alla fine “Apollo parla la lingua di Dioniso” 49 Abbagnano-Fornero, La filosofia. Da Schopenhauer a Freud, cit., p. 423 NIETZSCHE PAROLE CHIAVE Dionisiaco: atteggiamento spirituale dell’uomo di fronte alla vita, ricavato per analogia dalle caratteristiche della corrispondente divinità greca. Si manifesta nello stato fisiologico dell’ebbrezza e dell’esaltazione entusiastica di fronte alla vita in tutti i suoi aspetti e, dal punto di vista artistico, si esprime nella musica, in particolare nel “ditirambo dionisiaco”, ovvero suono violentemente sconvolgente, passionale, che scava nelle profondità istintuali dell’individuo e lo porta a superare il principium individuationis per sentirsi riunito, riconciliato, fuso col suo prossimo. Apollineo: atteggiamento spirituale dell’uomo di fronte alla vita, ricavato per analogia dalle caratteristiche della corrispondente divinità greca. Si manifesta nello stato fisiologico del sogno, quindi della parvenza, dell’illusione, presupposto, come osserva Nietzsche, di tutte le arti figurative. Dal punto di vista artistico, la sua massima forma espressiva sono le arti plastiche, scultura e architettura, proprio in quanto perfezione ed equilibrio di forme razionali, caratterizzanti la bellezza “classica”. Sublimazione: spostamento e trasformazione delle forze istintive (autoconservative, sessuali, aggressive) da un modo impulsivo e immediato ad un modo socialmente consentito e approvato: attività produttive, ludiche, artistiche, culturali. In Nietzsche implica l’auto-scissione dell’uomo che, per perseguire più intensamente gli scopi “egoistici” dell’autoconservazione e del piacere, si sdoppia e costituisce questi scopi come oggetti autonomi, socialmente approvati, di fronte a sé. Nella psicoanalisi freudiana è un “meccanismo di difesa” dall’ansia. “Morte di Dio”: Se la parola “Dio” è sempre stata il simbolo di tutte le illusioni metafisiche, religiose e morali dell’Occidente la “morte di Dio” rappresenta la fine di tutte quelle illusioni, la fine di una “favola” utile ed efficace in altre epoche, la fine di tutti i valori eterni, la fine di tutte le certezze. Tanto più gli uomini si erano illusi, tanto più erano impreparati alla crudele “verità” di un mondo “sdivinizzato”, senza senso, tanto più subiranno la disillusione, tanto più resteranno smarriti e angosciati di fronte al “nulla”. Nichilismo: deriva dal latino nihil (nulla) e si distingue in: a) Nichilismo “passivo”: la “morte di Dio” produce un effetto di spaesamento, di vuoto, di vertigine di fronte al “nulla” nel quale l’uomo moderno si trova “gettato”, dopo che per secoli si era aggrappato alle “bugie vitali” della metafisica occidentale. Questo tipo di nichilismo è fattore di decadenza poiché getta l’individuo in uno stato psicologico di angoscia che lo abbatte e lo paralizza, abituato com’è a vedere lo scopo della vita sempre imposto dall’esterno. b) Nichilismo incompleto: <<Nel nichilismo incompleto rimane ancora operante una fede; per rovesciare il mondo dei valori si deve ancora credere in qualcosa, in un ideale, si ha un bisogno di verità>>. Come forme di nichilismo incompleto Nietzsche nomina il nazionalismo, lo chauvinismo, il socialismo, l’anarchismo, lo storicismo, il positivismo, ecc. c) Nichilismo “attivo”: contrariamente al “nichilismo passivo”, e in quanto suo superamento, il “nichilismo attivo” viene proposto e praticato da Nietzsche come una “cresciuta potenza dello spirito”, segno di “forza” che, pur avvertendo la decadenza, non si crogiola in essa, non l’accetta come ultimo destino dell’Occidente, ma tenta una trasvalutazione di tutti i valori. Eterno Ritorno dell’Uguale: concezione circolare del tempo (già presente in alcune cosmologie presocratiche, come quella dei pitagorici e di Empedocle) in cui l’essere non deriva dal nulla, non va verso uno scopo, ma è caratterizzato da un incessante ed eterno divenire delle cose attraverso ripetitivi cicli cosmici. Con questa concezione del tempo (di cui Nietzsche fornisce anche una spiegazione pseudoscientifica) il filosofo, criticando la concezione lineare e finalistica del tempo di matrice cristiana, ci invita ad amare la vita ed ogni attimo di essa e, quindi, a viverla come se tutto dovesse ritornare. Superuomo: Uber-mensch, dove il prefisso uber può essere tradotto con super oppure con oltre (Vattimo), da cui: oltre-uomo. La scelta di tradurre il prefisso uber con “oltre”, anziché “super”, ci permette di liberare il concetto di superuomo dalla sua interpretazione prevalentemente “politica” (nel senso di una élite di dominatori) per recuperarne il valore filosofico più profondo, ovvero quello di una umanità liberata, di un uomo “oltre l’uomo” com’è esistito finora, un uomo nuovo capace di reggere la “morte di Dio” e accettare la prospettiva dell’Eterno Ritorno dell’Uguale, quindi di accettare la vita e decidere in proprio, senza più ricorrere alle “bugie di sopravvivenza” della metafisica, della religione e della morale. Zarathustra: antico profeta persiano Zoroastro o Zarathustra, fondatore (nel VI sec. A. C.) dell’omonima religione (zoroastrismo), che individuava un dualismo all’interno dell’essere, contrapponendo alla divinità, Ormuz, un’anti-divinità, Ariman, presentandosi così come una semplice soluzione al problema del male. Nell’opera Così parlò Zarathustra il profeta rappresenta l’alter-ego di Nietzsche; alle sue enigmatiche predicazioni (interamente reinventate dal filosofo con immagini, simboli e allegorie) viene affidato il nucleo filosofico più importante delle “terapie” antinichiliste: Eterno Ritorno, superuomo e volontà di potenza. Volontà di potenza: non coincide col modo d’essere di un’entità biologica di tipo darwiniano (la “razza” ariana!) e nemmeno con l’atteggiamento dell’esteta di tipo dannunziano, ma si manifesta come potenza ermeneutica o interpretativa. Se la vita è autocreazione (continuo superamento di se stessa) e, per quanto riguarda l’uomo, continua produzione di valori “utili” alla vita stessa, possiamo vedere nell’arte un modello normativo della volontà di potenza e nell’artista una “prima visibile figura dell’oltreuomo” (Vattimo). Non nel senso che solo l’artista è “superuomo”, ma in senso traslato, ovvero: così come l’artista plasmando la materia amorfa conferisce ad essa un significato (un “valore”) che prima non aveva, il superuomo creando nuovi valori (“trasvalutando” i valori dell’Occidente) cerca di dare un senso all’insensatezza caotica del mondo. Ermeneutica: metodologia dell'interpretazione, traduzione, chiarimento e spiegazione. Essa nasce in ambito religioso con lo scopo di spiegare la corretta interpretazione dei testi sacri. In seguito il termine assume un respiro più ampio tendente a dare un significato a tutto ciò che è di difficile comprensione. In questo senso può essere vista come la teoria generale delle regole interpretative. NIETZSCHE BIBLIOGRAFIA UTILIZZATA Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, MI, 1990 Nietzsche, Umano, troppo umano, I, [Af. 16], Adelphi, MI, 1989 Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, Adelphi, MI, 1972 Nietzsche, La gaia scienza, Adelphi, MI, 1971 Nietzsche, Genealogia della morale, Adelphi, MI, 1972 Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, Adelphi, MI, 1971 Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, MI,1976 Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale, Adelphi, MI, 1973 Gianni Vattimo, Introduzione a Nietzsche, Laterza, Bari, 1986 M. Montinari, Che cosa ha veramente detto Nietzsche, Astrolabio-Ubaldini Ed., Roma, 1975 Abbagnano-Fornero, Fare filosofia (Autori), vol. 3°, Paravia, MI, 2001 Abbagnano-Fornero, La filosofia. Da Schopenhauer a Freud, vol. 3A, Paravia, Milano, 2009 Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia, Terza edizione aggiornata e ampliata da G. Fornero, UTET, Torino, 1998 Schettino, Il corpo in Nietzsche, Ed. Jubal, 2005 Michel Foucault, Microfisica del potere (interventi politici), a cura di Alessandro Fontana e Pasquale Pasquino, Einaudi, Torino, 1977