L`approccio dell`etica delle Virtù

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Alcune considerazioni preliminari che ci
aiutano a ragionare sul “contenuto
etico” (Goodpaster, 1991)
• Differenza fra “analisi degli stakeholder” e
“sintesi degli stakeholder”
• 6 punti legati al processo decisionale di
un’impresa (quando si presenta una
questione o un problema da risolvere)
1. Percezione o raccolta dei fatti sulle opzioni disponibili e
le relative implicazioni a breve o a lungo termine
2. Analisi di queste implicazioni con particolare attenzione
alle parti coinvolte e agli obiettivi, scopi, valori,
responsabilità ecc. del decisore
3. Sintesi di queste informazioni strutturate in base alle
priorità definite dal decisore
4. Scelta fra le opzioni disponibili basate sulla sintesi
5. Azione o implementazione dell’opzione scelta attraverso
una serie di richieste specifiche a determinati individui o
gruppi, allocazione delle risorse, incentivi, controlli,
feedback
6. Apprendimento dal risultato della decisione, che sfocerà
in un rinforzo o in un cambiamento (per le decisioni
future) della modalità con cui le fasi precedenti sono
state seguite
• L’analisi degli stakeholder non va oltre i
primi due passaggi (cioè si arriva fino
all’identificazione degli effetti sugli stk). E’
quindi solo una parte del processo
decisionale
• Cioè sapere che un’impresa adotta
l’analisi degli stk significa dire che
quest’impresa sta valutando gli effetti delle
sue azioni sui vari stk. Nulla più
• La sintesi degli stakeholder offre invece un
modello attraverso cui passare
dall’identificazione a una risposta o
risoluzione pratica concernente anche gli
effetti sugli stakeholder
• Che tipo di risoluzione?
• Quale relazione con l’etica?
Il nucleo normativo essenziale della
responsabilità sociale in una prospettiva
multi-stakeholder
• Consiste nella
definizione dei criteri di bilanciamento tra
interessi o diritti degli stakeholder
nella loro formulazione in principi di
governo di impresa
Il nodo dell’approccio etico - 1
• L’approccio normativo si basa su due
presupposti (Donaldson e Preston 1995):
1.Che gli stakeholder sono gruppi che hanno
interessi legittimi coinvolti da attività e risultati
dell’impresa e sono i loro interessi a definirli
come stakeholder e non l’interesse che
l’impresa può avere per loro
2.Che tali interessi hanno valore intrinseco, cioè
meritano considerazione e rispetto in se stessi
e non solo in senso strumentale rispetto ad altri
scopi.
Il nodo dell’approccio etico - 2
• Donaldson e Preston dicono anche che la teoria degli
stakeholder è manageriale ossia “prescrittiva per i
manager”. Cerca cioè di essere guida nelle decisioni
strategiche dei manager.
• Ma chiunque si impegni prescrittivamente in una teoria
strumentale della strategia, se riconosce l’importanza
degli stakeholder, ha bisogno di un criterio per
coordinare i loro interessi e le loro pretese che sia
accettabile dagli stakeholder stessi (altrimenti
anche il lato strumentale non si rispetta).
• Ciò richiede qualche criterio di
bilanciamento imparziale che possa
essere accettato da quanti non guardano
alla conduzione dell’impresa solo dal
punto di vista degli interessi di uno stk in
particolare
• Da qui, a riconoscere il passaggio a una
prospettiva etico-normativa è breve:
quando si fa appello a criteri di bilanciamento
accettabili da tutti gli stakeholder che possono
avere interessi in conflitto, bisogna sollevarsi al
di sopra dell’immedesimazione degli interessi di
un solo stk e assumere una posizione in
qualche modo imparziale
Ci si pone così nella prospettiva della giustizia
che ha una sua interna logica normativa, in
quanto trattamento imparziale delle
caratteristiche di valore (diritti, utilità, ecc.)
• E’ quindi evidente che non si è più in una
prospettiva solo strumentale, ma gli
interessi degli shareholder sono uno degli
interessi in gioco.
Quali approcci normativi?
• Quali approcci normativi si sono
considerati e sono stati adottati per
derivare in una prospettiva etica i doveri
dell’impresa verso gli stk?
Contrattualismo
Caratteristica individuale ritenuta rilevante per il contrattualismo è
che gli individui sono dotati di ragione
In particolare, si assume che gli agenti possono scegliere
razionalmente le istituzioni e/o gli assetti sociali e stabilire
accordi basati sul consenso.
Gli accordi riguardano le condizioni alle quali gli individui
decidono di entrare in società e cooperare gli uni con gli altri
Si tratta quindi di capire quali istituzioni sociali sceglierebbero,
sulla base di accordi, individui razionali in condizioni in cui
valgano i principi di prescrittività, universalizzabilità e
soverchianza
Il contrattualismo ideale - Rawls
• Definizione di razionalità
Razionale in senso pratico è quell’individuo il cui
comportamento non dipende
da nessuna condizione contingente,
da nessuno stato psicologico, passione o credenza
da nessuno scopo particolare
ma al contrario conforma l’agire a massime le quali
potrebbero costituire secondo l’individuo stesso leggi
valide universalmente
Contrattualismo
• Il contrattualismo è quindi caratterizzato da una
situazione dicotomica in cui
• Prima c’è una condizione presociale ipotetica,
nella quale gli individui decidono se entrare
oppure no in società e dotandosi di quali
istituzioni e “regole”
• Poi c’è la condizione in cui gli individui entrano in
società e possono effettivamente mettere in atto
quanto concordato (c’è il problema di far
rispettare l’accordo) e fruire dei benefici che
possono derivare dall’accordo
Contrattualismo: Donaldson (1982)
• Concepisce il contratto sociale dell’impresa come il
contratto tra la società e le “organizzazioni produttive”
(imprese) intese come istituzioni sociali le quali a loro
volta vengono istituite via contratto sociale con
specifici doveri (legati al motivo stesso per cui
nascono).
• La ragion d’essere delle imprese, e il motivo per cui
esse potrebbero essere istituite in un contratto sociale
è che esse “migliorano” la situazione preesistente (lo
stato di natura) provvedendo ai consumatori beni e
servizi e danno l’opportunità ai lavoratori di trarre
beneficio dalle attività produttive
• Queste sono le ragioni per cui viene
istituita l’impresa via contratto sociale.
• Di conseguenza essa incorpora come
diritti fondamentali ai quali deve
rispondere il benessere dei consumatori e
dei lavoratori. Questi sono quindi gli
obblighi fondamentali dell’impresa
(ovviamente considerando diritti e doveri
connessi al contratto)
• Quelli vs. gli azionisti sono invece doveri
speciali derivati dai contratti siglati dai
manager con i possessori di capitali per
indurli a investire.
• Quello della max del profitto è quindi
un diritto secondario soverchiato dai
diritti fondamentali di consumatori e
lavoratori
Difetto
• Enfasi posta sulla natura bilaterale del
contratto tra società e impresa.
• Non permette di cogliere l’insorgenza
dell’impresa per via di accordo tra gli
stakeholder, né di determinare in via
deduttiva i contenuti normativi dell’accordo
a partire dal calcolo razionale dei
contraenti
• L’impresa si erge cioè come entità a se
stante e il processo del contratto sociale
non viene indagato (come è tipico dei
contrattualisti quando cercano di spiegare
l’insorgenza dello stato a partire
dall’accordo tra gli individui nello “stato di
natura”)
Contrattualismo: Keeley (1988)
• Propone l’impresa come costellazione di
diritti concordati basati sulla contrattazione
implicita fra gli stakeholder
• Ai diritti di proprietà degli uni
corrisponderanno le pretese nei confronti
degli altri, i quali porranno tuttavia limiti a
tali diritti con altri diritti positivi (ad es. volti
alla protezione dell’interesse e al
risarcimento del danno)
• Grazie alla struttura di diritti e pretese,
dall’insieme dei diritti convenzionali, può
essere derivata la struttura formale dei
compiti e dei ruoli dell’organizzazione.
• Lo scopo dell’organizzazione è quindi
riconducibile all’insieme dei diritti
concordati nel contratto sociale implicito
tra gli stakeholder.
• L’idea è ben riassunta dalla distinzione tra
a) scopo e risultati PER l’organizzazione
b) scopo e risultati DELL’organizzazione
• Solo l’espressione b è accettabile. Infatti
l’impresa non ha scopi per sé e non genera
conseguenze per sé, ma solo per i suoi
stakeholder
• I risultati dell’impresa sono ottenuti grazie
all’azione organizzata e coordinata degli
stk resa possibile dalla trama di diritti e
doveri reciproci
• In che modo dunque si definiscono gli
scopi DELL’organizzazione e l’azione di
ciascuno stk?
• Attraverso il contratto sociale fra gli
stakehodler che sarebbe quello che
definisce i diritti / pretese.
• Tuttavia, anche in questo approccio, il
contratto sociale non è visto
essenzialmente come modello normativo,
ma essenzialmente descrittivo/esplicativo
dei diritti e delle pretese che rendono
possibile di fatto l’attività dell’impresa
LA TEORIA KANTIANA DEGLI STK
• La legge morale come imperativo
categorico, un comando a cui non si può
sfuggire, si distingue dall' "imperativo
ipotetico“
• (se vuoi questo fai quello giudicato
eccessivamente influenzato da contingenze
e valutazioni soggettive per poter essere
fondante di un sistema morale)
• L’imperativo ipotetico subordina il comando
dell’azione al conseguimento di uno scopo
• Imperatività dell’imperativo categorico
• - non è condizionata da nulla;
• - vale per tutti gli uomini in tutte le
condizioni
• Quindi l'imperativo morale:
• - non è formulabile mediante regole particolari
miranti a far compiere determinate azioni
connesse a obiettivi particolari
• - non potrà provenire da nessuna autorità
esterna all'uomo. In questo caso, il comando
morale varrebbe solo per chi riconoscesse
quella autorità: no universalità.)
Kant descrive l’imperativo
categorico in tre formule
1. Agisci in modo che tu possa volere che la
massima (regola) delle tue azioni (soggettivo)
divenga universale (oggettivo)
2. Agisci in modo da trattare l'uomo così in te
come negli altri sempre anche come fine, non
mai solo come mezzo [il fine di ogni atto
“buono” è l’uomo stesso]
3. Agisci in modo che la tua volontà possa
istituire una legislazione universale
Freeman e Evan (1990, 1993)
• La teoria kantiana degli stakeholder.
• Parte da 2 principi etici normativi:
1.Quello kantiano del rispetto dei diritti e
della dignità di ogni individuo
2.Quello della responsabilità per le
conseguenze delle proprie azioni
Impostazione di base
• Il manager deve essere in grado di porsi in
modo imparziale per risolvere i conflitti
degli stakeholder
• L’impresa serve per perseguire gli
interessi coordinati di tutti gli stakeholder
(è un sistema di cooperazione in cui
kantianamente, nessuno stakeholder è
solo mezzo per il conseguimento dei fini
degli altri, ma è anche fine in sé).
2 principi kantiani della gestione
• I diritti e gli interessi di tutti gli stakeholder
dovrebbero essere perseguiti e ciascuno
stk dovrebbe prendere parte al processo
decisionale che influisce sul suo interesse
• Il management ha una relazione fiduciaria
nei confronti sia di tutti gli stk, sia nei
confronti dell’impresa come entità a sé di
cui ha il dovere di garantire la
sopravvivenza e la salute
• Il richiamo all’imparzialità e all’equità nella
gestione degli stk implica per questo approccio
riconoscere esplicitamente il problema del
conflitto distributivo (passo in avanti).
• Esso rivela anche però la maggiore debolezza: pur
riconoscendo la necessità dell’imparzialità, si
conclude che, quando è impossibile soddisfare
contemporaneamente le pretese di tutti, allora il
manager deve far prevalere l’interesse per l’”entità
astratta” impresa come mezzo per la soddisfazione di
lungo periodo degli stk (in realtà si rimanda all’infinto
l’individuazione di un criterio per risolvere il conflitto)
Approccio kantiano di Norman
Bowie (1999)
• Argomentazione dell’impresa basata sulle
tre formulazioni dell’imperativo categorico
kantiano:
1.Dobbiamo agire secondo le massime
derivabili da una legge universale, che
chiunque riconoscerebbe come razionale,
indipendentemente da ogni
condizionamento e fine particolare
• 2. Nel definire le regole di una unione
sociale, non possiamo mai trattare alcuni
partecipanti come mezzi, ma sempre
anche come fini in sé
• 3. un unione sociale è un regno dei fini in
cui ogni individuo deve essere insieme
soggetto alle regole ma anche potersi
riconoscere come legislatore, cioè fonte
dei fini
• Le regole di ogni unione sociale (inclusa
l’impresa) devono essere accettabili da
tutti i partecipanti
• I principi che vengono derivati per
l’impresa come comunità morale e regno
dei fini sono:
1. L’impresa deve riconoscere e considerare gli
interessi di tutti gli stk influenzati
2. Essa dovrebbe consentire a tutti gli stk
influenzati di partecipare alla determinazione
delle regole organizzative
3. A nessuno stk dovrebbe essere a priori
accordata la prevalenza su tutte le decisioni
4. Quando per risolvere i conflitti occorre che
alcune pretese siano insoddisfatte, allora la
decisione sulle pretese legittime da sacrificare
non dovrebbe essere presa solo sulla base del
numero dei componenti di ciascun gruppo di
stk
5. Non possono essere adottate regole organizzative
che violano le formulazioni dell’imperativo categorico
6. Ogni organizzazioni for profit ha un dovere imperfetto
(ossia senza un destinatario specifico) di beneficenza
verso la società in cui risiede: l’impresa è una
istituzione sociale regolata e istituita attraverso atti
giuridici della società per il suo benessere, e quindi
ha un dovere di beneficienza come riconoscenza
verso la società che l’ha creata
7. L’organizzazione deve stabilire procedure per la
presa delle decisioni influenti sui partecipanti che
possono essere riconosciute come proceduralmente
giuste da loro stessi
• Dunque i principi 1,3,4 e 5 ci dicono in relazione
al bilanciamento degli interessi:
l’uguale considerazione e rispetto non implica
uguale distribuzione dei benefici, ma esclude
una discriminazione a priori a favore di uno
stakeholder (ad es. la proprietà) o il prevalere
della categoria più numerosa. Le formulazioni
dell’imperativo categorico (regno dei fini in
primis) escludono che qualcuno sia sacrificato
come mero mezzo.
• Il principio 2 impone una radicale
democratizzazione delle organizzazioni
• Il principio 7 sottolinea l’importanza della
giustizia procedurale
• Bowie non offre tuttavia una procedura
univoca per determinare un modello di
impresa che rispetti gli standard kantiani
citati.
• Ossia non si dà un risposta univoca al
problema del conflitto distributivo e della
gestione dell’impresa, si offre piuttosto un
“test” per le varie forme d’impresa.
• Es. come esce da questo test la visione
tayloristica dell’impresa?
• (viola sicuramente il secondo imperativo
categorico)
• E gli schemi di incentivazione basati sul
modello principale agente?
• (assumono un modello psicologico di
lavoratore contrastante con quello di
agente morale motivato anche non da fini
particolaristici)
Solomon 1992
• L’approccio dell’etica delle Virtù
• Si intende la giustizia nel campo dell’etica degli affari
come riconoscere a ciascuno il merito delle virtù che
il suo carattere dimostra nel perseguire l’eccellenza
nei suoi doveri legati contingentemente al ruolo che
l’organizzazione gli assegna
• Il tema della soluzione del conflitto fra stk si esaurisce
nel fatto che ciascuno deve fare il meglio e accettare
la soluzione migliore nell’ottica di quello che è il “bene”
dell’organizzazione (sulla base delle ragioni sociali per
cui essa nasce)
• Si è virtuosi se si eccelle nel compito che ci
è assegnato, nello svolgere il ruolo che ci
identifica come parte della
comunità/organizzazione; rendendo
possibile la realizzazione dei “fini ultimi”
dell’impresa.
• I fini dell’impresa/organizzazione sono
sovra-ordinati rispetto ai fini dei singoli
stakeholder che sono virtuosi e agiscono
eticamente se sono disposti a “sacrificare” i
loro interessi per quelli più generali
dell’impresa
• Occorre che l’impegno di ciascuno sia
coerente alle finalità della
comunità/organizzazione
• Questo approccio si basa quindi su 3 parametri
principali enunciati da Solomon:
• Comunità: l’impresa deve essere riconosciuta come
una comunità che ha una personalità morale
superiore agli individui che vi partecipano e che di
contro serve a definire la loro identità e i loro
valori, in base ai significati condivisi delle pratiche che
vi avvengono, il modo di intenderne la natura e le
finalità. (ovviamente gli individui appartengono a più
“comunità” che identificano e socializzano i loro valori.
Tuttavia, anche l’impresa è una comunità, seppure
non in senso assoluto, in grado di definire un
ideale di eccellenza nella pratica economicoproduttiva, e quindi di stabilire valori e virtù per
coloro che vi partecipano)
• Eccellenza: Proprio l’eccellenza nelle attività
economiche può essere identificata come un modello
normativo: è il fine cui la comunità-impresa attribuisce
valore e che definisce le virtù del carattere dei
partecipanti.
La virtù del carattere di chi persegue il fine proprio di
una pratica sociale è auto-remunerativo (la
soddisfazione non dipende dal ricevere un premio
estrinseco), è intrinseco e consiste nel condurre una
“vita buona”, conforme all’ideale di eccellenza
della pratica stessa. Riceviamo la remunerazione
intrinseca di condurre una vita buona e di esibire un
carattere virtuoso in quanto adempiamo alle richieste
di quel ruolo
• Appartenenza: Molto perciò dipende da
come i valori dell’individuo possono
identificarsi con il fine interno della
comunità/impresa cui egli partecipa.
L’identità individuale è strettamente
connessa a quella della comunità cui sei
inserito ed è contestuale e non assoluta (e
non può non dipendere dal contesto al
quale per una buona parte del tempo gli
individui appartengono, quello lavorativo)
• Olismo: approccio olistico all’impresa. Il
tutto non è riconducibile e spiegabile
attraverso le sue parti. L’impresa è qualche
cosa di più di un collettivo di individualità.
L’impresa è una pratica sociale di tipo
cooperativo in vista di un fine comune,
sostenuta da relazioni di fiducia e affettive
che trascende i fini individuali.
• La virtù dunque non è riconducibile a un
unico “principio morale”, bensì, le diverse
virtù del carattere sono intrinsecamente
legate al fine interno di ciascuna attività
sociale.
• Le virtù sono i tratti di carattere che sono
richiesti agli agenti affinché una certa
attività o pratica sociale possa raggiungere
il suo scopo. Sono mezzi por lo scopo
intrinseco di una data pratica sociale.
•
• Poiché l’attività degli affari è essenzialmente
un’insieme di transazioni e di scambi di beni
e servizi, la natura degli affari è scambiare
per il mutuo vantaggio degli agenti
economici, allora le virtù in questo
contesto non sono altro che quei tratti di
carattere che permettono il buon
funzionamento di tali attività:
• Onestà; equità; fiducia, scaltrezza intesa
come conoscenza dell’attività che si svolge
ecc.
• Secondo Solomon, per quanto attiene alle
attività commerciali le virtù sono:
Onestà; equità; fiducia, scaltrezza intesa
come conoscenza dell’attività che si
svolge ecc.
nell’organizzazione interna le virtù sono:
amicizia, la lealtà, il senso dell’onore e
della vergogna.
• La stessa giustizia è una virtù nel carattere
del manager cui nei vari contesti spetta di
stabilire qual è il merito di ciascuno
• La massima di giustizia per l’impresa sarà
di trattare ciascuno in proporzione alle sue
virtù funzionali allo scopo e al fine
dell’impresa
Problemi comuni ai vari approcci
normativi fin’ora trattati
• Non arrivano a dedurre da una teoria normativa
la struttura istituzionale di governance
dell’impresa
• Di seguito si propone una teoria normativa,
basata sull’approccio contrattualista, un
modello di governance generale dell’impresa
che consente di orientare l’impostazione
complessiva dell’organizzazione e non
semplicemente di valutare singolarmente le
decisioni del management
Cosa s’intende con “governance”
•
Non è solo la composizione del CdA o il sistema di deleghe e
controllo sul management da parte dei soci (governance ristretta)
•
È l’allocazione dei diritti di decisione mediante il quale si
determina l’appropriazione e la ripartizione del surplus frutto
degli investimenti specifici
•
È l’insieme degli interessi/diritti e dei doveri correlati, in base ai
quali si stabilisce in funzione di chi è guidata l’impresa e a chi il
gestore deve rendere conto
•
è l’insieme dei criteri che deve guidare la discrezionalità
dell’amministratore, o imprenditore
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