Carlo Campagnoli, Olga Martinis, Clementina Peris
Servizio di Ginecologia Endocrinologica, Azienda Ospedaliera OIRM-Sant'Anna,
Torino
SALUTE E MENOPAUSA: HRT E ALTRO
INTRODUZIONE
La Tabella 1 elenca le principali conseguenze della carenza di estrogeni
endogeni determinata della menopausa.
Particolarmente rilevante è il punto 4. In effetti la tendenza all'iperinsulinemia,
facilitata dall'incrocio della carenza estrogenica con uno stile di vita inadeguato, è un
punto focale dell'incremento non solo del rischio cardiovascolare ma anche di quello
tumorale (Fig. 1).
Per quanto riguarda la mammella, il rischio - pur continuando a crescere per i
meccanismi oncogeni legati all'età - subisce, dopo la menopausa, una flessione
dovuta alla riduzione dello stimolo degli estrogeni sul tessuto mammario. Tale
flessione è meno netta nelle donne dismetaboliche. Infatti sia il diabete tardivo, sia
l'obesità addominale rappresentano ben precisi fattori di rischio per il cancro del seno
in menopausa. Il punto chiave è l'aumento dei livelli di insulina. L'insulina, agendo
tramite i propri recettori o quelli per l'Insulin-like Growth Factor I (IGF-I), può di per
sé favorire la crescita neoplastica. Inoltre l'iperinsulinemia causa sia una diminuzione
dei livelli di Sex Hormone Binding Globulin (SHBG) sia, soprattutto, un aumento
dell'attività dell'IGF-I circolante per riduzione dei livelli della IGF Binding Protein 1.
Bassi livelli di SHBG costituiscono un indubbio fattore di rischio non solo perché ne
consegue una più elevata quantità di estrogeni (e di androgeni) nella forma libera, ma
anche perché viene ridotta la capacità di contrastare lo stimolo estrogenico sulle
cellule neoplastiche che l'SHBG stessa esercita legandosi (quando non sia già legata
allo steroide) ad uno specifico recettore di membrana. Di particolare rilievo sono
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anche le modificazioni dell'attività dell'IGF-I, dotato di elevata capacità mitogena.
Tuttavia il rischio di sviluppare un tumore mammario è risultato nettamente correlato
ai valori di IGF-I soprattutto in donne nella 5a decade di vita non ancora in
menopausa e quindi estrogenizzate. Infatti l’IGF-I e gli estrogeni si potenziano
vicendevolmente nel favorire la proliferazione delle cellule neoplastiche mammarie.
Una strategia per la salute della donna in menopausa deve mirare a contrastare
le conseguenze della carenza estrogenica di cui ai punti 1-6 della Tabella 1, senza
ribaltare la (relativa) riduzione del rischio di tumori mammari.
Vediamo qui di seguito se e quanto ciò sia possibile con le terapie ormonali, e
quali siano, eventualmente, le alternative.
LE TERAPIE ORMONALI SOSTITUTIVE (HRT)
Il trattamento con estrogeni è impiegato su ampia scala (soprattutto negli USA
e nei paesi nord-europei) da più di trent'anni. L'impiego prevalente è stato, ed è
tuttora, di estrogeni orali. Tra questi i più usati sono stati e sono gli estrogeni
coniugati equini (ECE) dapprima (soprattutto negli USA) impiegati prevalentemente
a dosi elevate (1.250 mg/ die o più) e più di recente (a partire dalla fine degli anni '80)
alla dose di 0.625 o 0.300 mg/die.
In Europa, oltre agli ECE (impiegati in genere alle dosi basse), è stato
ampiamente usato per os l'estradiolo valerianato, e più di recente l'estradiolo
micronizzato, entrambi alla dose di 2 mg/die, biologicamente equivalente agli 0.6251,250 mg di ECE. Dalla fine degli anni '80 si sono resi disponibili dei preparati per la
somministrazione dell'estradiolo per via transdermica, dapprima sotto forma di
cerotti e più recentemente di gel. Tale via è considerata tuttora di seconda scelta negli
altri Paesi, mentre in Italia è ampiamente prevalente tra le (poche) donne che
impiegano la terapia sostitutiva.
La principale differenza tra la via transdermica e la via orale sta nel fatto che
quest'ultima, a conseguenza del "primo passaggio epatico" degli estrogeni, è
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caratterizzata da più spiccate azioni epatomediate e metaboliche (Fig. 2). Tali azioni,
potenzialmente controproducenti in pochi casi particolari, sono nell'insieme e in linea
generale di vantaggio.
Nelle donne non isterectomizzate, al fine di prevenire la patologia
endometriale, l'azione dell'estrogeno deve essere compensata dall'aggiunta del
progestinico. Negli USA ciò non è stato fatto per circa 20 anni (con conseguente
incremento dei tumori endometriali); solo nella seconda metà degli anni '80 è stato
aggiunto il progestinico, in genere medrossiprogesterone acetato (MAP) a modesta
azione androgenica, dapprima secondo lo schema sequenziale (10-14 giorni al mese)
e più di recente, in modo assai diffuso, secondo lo schema combinato-continuativo
(assunzione quotidiana di estrogeno più progestinico). In Europa il progestinico è
sempre stato aggiunto, in genere secondo lo schema sequenziale; oltre al MAP sono
stati impiegati (soprattutto nei Paesi del Nord) il norgestrel ed il noretisterone
acetato ad azione androgenica; più di recente, soprattutto nei Paesi mediterranei sono
impiegati il didrogesterone, e, più di recente, il nomegestrolo acetato ed il
ciproterone acetato, tutti privi di azione androgenica, oltre al progesterone puro per
via vaginale. I progestinici ad azione androgenica contrastano buona parte delle
azioni epatocellulari e metaboliche degli estrogeni.
La combinazione dei differenti preparati estrogenici e progestinici offre quindi
una gamma di effetti, soprattutto collaterali, alquanto articolata, cosicché non è
possibile considerare le varie forme di HRT come un blocco unico.
Vediamo ora quali siano gli effetti dell'HRT distinguendo, nei limiti del
possibile, l'una forma dall'altra.
Disturbi climaterici (vampate, etc.).
Tutti i preparati estrogenici sono in grado di contrastarli. Spesso sono
sufficienti dosi relativamente basse.
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Trofismo dell’apparato genito-urinario.
Tutti i preparati estrogenici svolgono un’azione favorevole, eliminando le
conseguenze della distrofia (rapporti sessuali dolorosi; disturbi urinari; etc.).
Tessuto osseo.
Numerosi studi retrospettivi hanno evidenziato la capacità delle terapie
ormonali di frenare, sintantoché le si effettui, la perdita post-menopausale di tessuto
osseo, riducendo di conseguenza il rischio di fratture su base osteoporotica.
Quando si inizi il trattamento entro 5 anni dalla menopausa e lo si prosegua sino
all'età avanzata (cosa poco consueta, se non in alcune zone degli USA) si giunge
all'ottantina con una densità ossea decisamente superiore rispetto a quella delle donne
non trattate; ciò si traduce in una consistente protezione nei confronti delle fratture
osteoporotiche, compresa la più importante, quella del femore. Anche un trattamento
iniziato tardivamente (ad es. a 15 anni dalla menopausa) per riscontro di una densità
ossea ridotta, e proseguito sino all'età avanzata, fornisce una protezione, ma meno
rilevante. Un trattamento iniziato negli anni immediatamente seguenti la menopausa e
poi sospeso dopo 5-10 anni si traduce in una protezione transitoria (negli anni di
trattamento e, in modo declinante, nei 6-8 seguenti) nei confronti delle fratture che
tendono a presentarsi più precocemente, quelle del polso e delle vertebre.
L'azione è presente con tutti i preparati estrogenici, purché si usino dosi
adeguate. Dosi relativamente basse possono essere efficaci se abbinate all’assunzione
del calcio (si veda oltre).
Quando si aggiunga un progestinico a collaterale attività androgenica l’azione
dell’estrogeno viene significativamente potenziata, con un deciso incremento della
massa ossea; ciò è probabilmente dovuto al fatto che all’azione estrogenica di freno
del riassorbimento osseo viene aggiunta, con meccanismi diretti ed indiretti,
un’azione di stimolo della formazione ossea.
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Apparato cardiovascolare.
Numerosi studi osservazionali concordano nell'indicare che l'uso corrente di
estrogeni orali riduce di circa un terzo il rischio di infarto miocardico. Il beneficio
appare più evidente nelle donne con fattori di rischio cardiovascolare (familiarità,
dismetabolismo, fumo, etc.); esso si mantiene finché dura il trattamento, mentre tende
a declinare dopo la sospensione cosicché a 5-6 anni dalla stessa il rischio torna ad
essere simile a quello delle donne non trattate. Un'analoga transitoria protezione nei
confronti dell'ictus non è ancora stata stabilita, forse per il numero limitato (anche
negli USA) di donne che impieghino la terapia in età avanzata.
È da considerare che negli studi osservazionali alcuni fattori che potrebbero
portare ad una sovrastima del beneficio: ad es. il fatto che all'HRT vengano
sottoposte donne sostanzialmente più sane rispetto a quelle dei gruppi di controllo, o
il fatto che un farmaco influenza più favorevolmente il rischio coronarico quando vi
sia una buona "compliance", come è evidentemente il caso delle donne in HRT.
Tuttavia una riduzione del rischio è resa biologicamente plausibile dai molteplici
meccanismi con cui gli estrogeni agiscono, in senso favorevole, sull'albero arterioso.
Infatti, oltre che tramite le modificazioni del quadro lipidico e dell'assetto metabolico,
gli estrogeni influenzano favorevolmente sia il processo dell'aterogenesi sia il tono
arteriolare con una serie di azioni dirette ed indirette sulle pareti vasali.
Gli studi osservazionali si riferiscono all'impiego di estrogeni orali da soli o
integrati dal progestinico secondo lo schema sequenziale. Sull'impiego dei
transdermici o dello schema estrogeno + progestinico combinati continuativamente
sono possibili delle illazioni, basate su dati di ordine sia biologico che clinico.
L'aumento dei trigliceridi indotto dagli estrogeni orali (Fig. 2) è probabilmente
(in genere) privo di conseguenze negative, in quanto dovuto all'aumentata secrezione
di "large VLDLs" che non vengono convertite in forme potenzialmente aterogene.
Tuttavia una netta ipertrigliceridemia costituisce una controindicazione agli estrogeni
orali. L'estradiolo transdermico non influenza, o tende a ridurre, la trigliceridemia. E'
da notare che, contrariamente all'effetto indubbiamente favorevole dell'aumento delle
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HDLs (altra peculiarità degli estrogeni orali), l'aumento dei trigliceridi è evidente
soprattutto con le dosi più elevate (ad es.  1,250 mg di ECE); queste determinano
anche un più netto aumento dell'angiotensinogeno e tendono a ribaltare l'azione
favorevole sulla sensibilità all'insulina. E' interessante rilevare che nell'ampio Nurses'
Health Study la riduzione del rischio di infarto è assai più significativa con l'uso di
dosi normo-basse (  0,625 mg) che non con le dosi elevate.
L'aumento dell'angiotensinogeno (Fig. 2) è probabilmente compensato dalla
riduzione dei livelli di renina e da una riduzione dell'attività dell'ACE, oltre che dalla
serie di azioni dirette sul tono vasale. Ciò spiega come anche la terapia orale non
comporti di norma, nemmeno nelle pazienti ipertese, un rialzo pressorio; tuttavia
questo può verificarsi, sporadicamente e soprattutto con dosi elevate di estrogeni orali,
come espressione di ipersensibilità individuale all'aumento dell'angiotensinogeno.
Gli estrogeni possono ridurre l'antitrombina III, anche se la riduzione è in genere
assai minore di quella necessaria a determinare trombofilia. Inoltre essi possono
determinare sfavorevoli variazioni dell'attività del fattore VII facilitate anche (con gli
orali) dall'aumento dei trigliceridi. Ciò è compensato sia dalla riduzione del
fibrinogeno, sia, in particolare, da una riduzione di fattori antifibrinolitici quali la
lipoproteina (a) e il PAI-1. Tuttavia oscillazioni nel delicato e complesso equilibrio
coagulazione / fibrinolisi possono avere rilevo clinico, soprattutto nei primi mesi di
terapia, quando vi siano già ben precisi danni dell'intima vasale. Questo -facilitato dal
dosaggio estrogenico relativamente elevato per l'età delle pazienti (in media 67 anni)potrebbe aver contribuito all'imprevisto e transitorio aumento di infarti nelle prime fasi
dello studio HERS di prevenzione secondaria in casi con malattia coronarica accertata.
E' invece improbabile che le sole alterazioni coagulatorie siano alla base del piccolo
aumento di trombosi venose profonde rilevabile in donne più giovani nei primi mesi di
trattamento; infatti l'aumento è stato rilevato anche con gli estrogeni transdermici, che
hanno poche interferenze sull'equilibrio coagulazione / fibrinolisi. Più probabilmente è
in causa una riduzione del tono venoso per sovraccarico estrogenico dovuto all'avvio
della terapia a dosi piene in donne non ancora del tutto in menopausa.
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Un'altra caratteristica dello studio HERS è l'impiego dello schema combinatocontinuativo con aggiunta quotidiana del MAP. Tale progestinico, a modesta azione
androgenica, può contrastare l'azione favorevole degli estrogeni sul quadro lipidico e
sulla sensibilità all'insulina. Inoltre, il progestinico potrebbe contrastare la riduzione
della reattività arteriolare determinata dagli estrogeni. E' da rilevare che, in donne più
giovani, sia il MAP sia progestinici a più spiccata azione androgenica non sembrano
contrastare né la riduzione del rischio coronarico determinata dagli estrogeni orali, né
l'azione antiaterogena degli stessi. Tuttavia è verosimile che in presenza di fattori di
rischio siano preferibili i progestinici più neutri da un punto di vista metabolico
impiegati secondo lo schema sequenziale.
Apparato gastroenterico.
Gli estrogeni aumentano il rapporto colesterolo/acidi biliari nella bile. Quando
tale
modificazione
sia
spiccata,
come
può
avvenire soprattutto
con
la
somministrazione orale, aumenta il rischio di calcoli biliari.
D'altro canto, la relativa riduzione degli acidi biliari indotta dagli estrogeni
potrebbe essere una delle cause della diminuzione di circa un terzo del rischio di
cancro del colon rilevata da alcuni studi epidemiologici. E’ anche possibile un'azione
protettiva diretta degli estrogeni sulla mucosa del colon. È da rilevare che nel Nurse's
Health Study la riduzione del rischio per il colon è risultato appannaggio delle donne
in sovrappeso (RR = 0,51 con BMI > 29 vs RR = 1,1 con BMI < 21). Ciò potrebbe
essere dovuto sia ad una più spiccata azione sulla bile sia ad una più importante
interferenza sulle alterazioni metaboliche favorenti lo sviluppo tumorale (ad es.
l'attività dell'IGF-I) (Fig. 1) da parte degli estrogeni orali (Fig. 2).
Sistema nervoso centrale.
Alcuni studi clinici suggeriscono un vantaggio dall’uso degli estrogeni nelle
donne affette da morbo di Alzheimer. La terapia di lunga durata con estrogeni a dosi
elevate, e senza progestinico, parrebbe anche avere una certa capacità di prevenzione
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nei confronti dell'Alzheimer stesso. Oltre al miglioramento del flusso sanguigno
cerebrale, ciò potrebbe essere dovuto ad un’azione diretta sulle cellule cerebrali.
Altri possibili benefici in qualche modo collegabili a queste azioni –
miglioramento della memoria, mantenimento di buoni tempi di reazione- sono stati
documentati per ora in modo insufficiente, anche se l’improvviso e netto calo della
memoria rilevato da alcune donne al momento della menopausa (e che ovviamente
nulla ha a che fare con il rischio di un successivo Alzheimer) migliora decisamente
con l'HRT.
Mucosa endometriale.
L’aggiunta del progestinico per almeno 10-12 giorni al mese (a seconda del
preparato) minimizza il rischio di tumori che si era evidenziato negli Stati Uniti con
l’impiego dei soli estrogeni. Tale rischio è praticamente assente nei primi 5 anni di
una terapia iniziata subito dopo la menopausa; successivamente si ha un piccolo
aumento del rischio. È opportuno sia un controllo periodico della mucosa endouterina
(perlomeno tramite ecografia), sia un'attenta considerazione delle perdite ematiche
irregolari.
Mammella.
Il rapporto tra HRT e carcinoma mammario è stato indagato da un numero
rilevante di studi osservazionali. Nell'insieme è stato evidenziato un modesto
aumento dell'incidenza nelle donne sotto trattamento di lunga durata, anche se tale
aumento parrebbe prevalentemente riguardare forme poco aggressive e a prognosi più
favorevole.
Le principali informazioni sull'incidenza di cancro del seno sotto HRT
derivano da due studi: il primo, pubblicato nel 1997, di rianalisi di 51 studi pubblicati
precedentemente; il secondo, pubblicato nel 1999, con i dati di un'ampia indagine
svolta in Svezia.
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I dati raccolti dal primo studio, che si riferiscono prevalentemente all'impiego
degli "estrogeni coniugati" (ECE) per via orale, indicano che il rischio di tumore
presenta un aumento modesto che diventa statisticamente significativo per terapie di
durata superiore ai 5 anni. Per puntualizzarne l'entità è opportuno ricorrere, più che ai
valori percentuali di incremento del rischio (come spesso è stato fatto, con risultato
involontariamente allarmistico), ai valori assoluti. Nell'insieme delle casistiche, il
tumore del seno colpisce, in assenza di qualunque terapia ormonale, 45 su 1000
donne al di sopra dei 50 anni; il rischio attribuibile ad un'HRT iniziata a 50 anni è di
ulteriori 2 casi su 1000 donne per una durata d'uso di 5 anni e di 6 casi su 1000 per
una durata di 10 anni. Il rischio torna nella norma a partire da 5 anni dalla fine del
trattamento, anche se effettuato per più di 10 anni. E' da considerare che tali studi
riflettono le modalità di prescrizione degli ECE tipiche dei decenni scorsi. Per tutti gli
anni '70 il dosaggio di "prima scelta" era, negli USA, doppio rispetto a quello
ottimale; ancora sino alla metà degli anni '80 tale dosaggio era impiegato in più della
metà dei casi trattati. Per meglio definire l'entità del rischio saranno indispensabili i
dati relativi a casistiche in cui sia stato impiegato come "prima scelta" il dosaggio
"giusto". Conforta al riguardo il fatto che, a parte l'incremento dello stimolo
estrogenico, la terapia con estrogeni orali causa modificazioni metaboliche ed
epatocellulari (netto aumento dell'SHBG; riduzione dei livelli e dell'attività dell'IGFI) (Fig. 2) opposte a quelle determinate dall'obesità addominale che è caratterizzata da
un rischio aumentato. È interessante rilevare che le donne in sovrappeso non
mostrano alcun ulteriore incremento del rischio per il seno a seguito di HRT di lunga
durata. E' probabile che le donne in sovrappeso, che presentano spiccate
modificazioni metaboliche in grado di favorire il rischio oncologico (Fig. 1),
risentano più favorevolmente delle azioni metaboliche ed epatocellulari degli
estrogeni orali.
Altre forme di HRT potrebbero presentare un rischio maggiore, come suggerito
dallo studio svedese pubblicato nel 1999. In tale casistica l'aumento del rischio è
attribuibile soprattutto all'impiego di progestinici a collaterale azione androgenica
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che, con meccanismi diretti o indiretti ( gli stessi cui è dovuta, come abbiamo visto,
una più favorevole azione sull'osso di tali prodotti), potenziano l'azione degli
estrogeni sul tessuto mammario.
Controindicazioni alla terapia ormonali.
Emergono da quanto detto sopra: - gravi malattie epatiche; - situazioni di
rischio di trombosi venosa profonda (pregresse trombosi; storia familiare segnalante
facilità a tale patologia; ipercoagulabilità; sovrappeso; immobilizzazione a letto); certezza o dubbio di patologie tumorali estrogeno-sensibili ed anche un elevato
rischio per le stesse (ad es. spiccata familiarità per tumore del seno o delle ovaie).
Altre controindicazioni (relative) sono l'otosclerosi e alcune forme di patologia
autoimmune quali il lupus eritematoso non stabilizzato. Controindicazioni che
riguardano
in
particolare
la
somministrazione
per
via
orale
sono
le
ipertrigliceridemie, l'ipertensione arteriosa non ben compensata e i calcoli della
colecisti.
PRODOTTI A PARZIALE AZIONE ESTROGENICA
In via prevalente, i numerosi effetti biologici indotti dagli estrogeni derivano
dal fatto che gli stessi si legano a specifiche proteine intranucleari (Recettori
Estrogenici o ERs) determinandone l’attivazione. Ne consegue l’interazione del
Recettore con specifici Elementi di Risposta (EREs), noti anche come “Promoters”,
localizzati nelle regioni regolatorie dei geni bersaglio. Ciò - direttamente o per il
tramite di "Adattatori” di natura proteica – avvia il meccanismo di trascrizione. Di
ERs ve ne sono almeno due tipi, l’ER e l’ER, distribuiti differentemente nei
diversi tessuti.
Questa complessa situazione rende ragione delle differenze d’azione di vari
prodotti ad attività estrogenica, dovute non solo a differenti affinità per gli ERs ma
anche a differenti gradi di interazione del Recettore attivato con i “Promoters” e del
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Recettore -“Promoter” con l’eventuale “Adattatore”. Si comprende quindi come,
mentre l'estradiolo ed altri prodotti svolgono un'azione agonista più o meno netta,
altre sostanze possono svolgere un’azione mista agonista-antagonista. Ci si riferisce
non solo ai cosidetti SERM (Selective Estrogen Receptor Modulators), quali il
tamoxifene e il raloxifene (e probabilmente i fitoestrogeni), ma anche a prodotti che
rientrano nella categoria dei veri e propri estrogeni.
Tamoxifene.
È il prodotto che con le sue peculiarità d'azione ha fatto da battistrada al
concetto di SERM. Utilizzato da molti anni, con grande successo, nel trattamento dei
tumori del seno (soprattutto delle forme estrogeno-sensibili) ha rivelato attività
estrogeniche su altri tessuti. Infatti, contrariamente a quanto si poteva temere
considerando le sue proprietà anti-estrogeniche sulla ghiandola mammaria, esso ha
dimostrato, nelle donne trattate appunto per il tumore al seno, un'azione di freno della
perdita di tessuto osseo. Altre azioni di tipo estrogenico sono quella sull'apparato
cardiovascolare, con riduzione del rischio di infarto cardiaco, e quella,
potenzialmente controproducente, sulla mucosa endometriale. Non agisce invece
sulle vampate e sui tessuti vaginali.
Raloxifene.
È un prodotto più recente, espressamente e primitivamente studiato per le sue
azioni sull'osso. Studi prospettici in donne con osteoporosi ne hanno evidenziato,
nell'arco di 3-4 anni di trattamento e rispetto ai gruppi di controllo, la capacità di
contrastare l'ulteriore perdita di tessuto osseo e, soprattutto, di ridurre il rischio di
fratture vertebrali. Per questo è utilizzato da qualche anno, sia negli Stati Uniti sia in
molti Paesi europei, come prevenzione farmacologica dell'osteoporosi e delle sue
complicanze. In Italia verrà probabilmente introdotto nel 2000.
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Il Raloxifene è di enorme interesse per le azioni collaterali ben evidenziate
dagli studi prospettici. Soprattutto, tra queste, una ben precisa e netta riduzione, nel
corso dei 3-4 anni di trattamento, del rischio di sviluppare un tumore al seno (rischio
diminuito del 75%). Inoltre il Raloxifene, contrariamente al Tamoxifene, non stimola
la mucosa endometriale. Invece, come il Tamoxifene, svolge azioni tendenzialmente
favorevoli (di tipo estrogenico) nei confronti del rischio cardiaco (mentre,
analogamente agli estrogeni e al Tamoxifene può transitoriamente aumentare il
rischio di trombosi venosa). Come il Tamoxifene è privo di azioni sulle vampate e sui
tessuti vaginali.
Fitoestrogeni.
È certamente prematuro, e forse inappropriato, inserire tali sostanze tra i
farmaci da utilizzarsi per la salute della donna in menopausa. Tuttavia i fitoestrogeni
costituiscono un argomento di grande interesse, ed è ipotizzabile che nel futuro
potranno rappresentare un importante strumento di prevenzione.
Si tratta di sostanze presenti in numerosi vegetali, soprattutto nei legumi, e di
cui è particolarmente ricca la soja. Sulla loro attività vi sono numerosi indizi ed
alcune certezze, che nell'insieme indicano i fitoestrogeni come provvisti di tutte le
azioni favorevoli degli estrogeni, essendo privi di quelle potenzialmente sfavorevoli.
Gli indizi al riguardo sono di due tipi. Innanzitutto l'osservazione che le donne
asiatiche, con alimentazione assai ricca di soja, risentono assai meno della carenza
estrogenica determinata dalla menopausa, e nel contempo sono a minor rischio di
tumore mammario; tuttavia è dubbio se quest'ultimo aspetto, così come il basso
rischio cardiovascolare, sia ascrivibile alla presenza dei fitoestrogeni o non piuttosto
al tipo di alimentazione in generale (è ben nota infatti la favorevole ricaduta sul
rischio sia tumorale sia cardiovascolare di un'alimentazione ricca di vegetali e povera
di grassi animali). Altri indizi derivano da piccoli studi che indicano come
preparazioni a base di soja possano svolgere un'azione favorevole sulle vampate e sul
metabolismo osseo (a riguardo di quest'ultimo un ulteriore indizio deriva dalla
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comprovata attività ossea di un derivato sintetico dei fitoestrogeni, l'Ipriflavone). Le
certezze derivano da studi effettuati su primati che indicano come i fitoestrogeni della
soja abbiano tutte le azioni estrogeniche che prevengono l'aterosclerosi e riducono il
rischio cardiovascolare, senza stimolare la ghiandola mammaria e la mucosa
endouterina.
Dal punto di vista pratico il problema principale sta nell'avere dei preparati che da
un lato siano accettabili per un impiego prolungato e d'altro lato siano in grado di
fornire una quantità adeguata di fitoestrogeni. Tale aspetto deve essere ancora
approfondito.
Tibolone.
È un prodotto di sintesi provvisto di attività progestinica che, tramite suoi
metaboliti, presenta, a seconda del singolo soggetto, più o meno nette azioni di tipo
estrogenico e di tipo androgenico. Ne è stata documentata un'attività favorevole sulla
massa ossea. Inoltre è efficace sui sintomi climaterici, sul tono dell'umore e sul
trofismo dei tessuti vaginali. Potrebbe svolgere un'azione favorevole anche
sull'apparato cardiovascolare, mentre non stimola, se non sporadicamente, la mucosa
endometriale e la ghiandola mammaria.
Estriolo.
L'estriolo (E3) è, come ben noto, un catabolita fisiologico degli estrogeni. Esso
mantiene una certa attività, caratterizzata da alcune peculiarità biologiche: possiede
una bassa affinità per l'ER, con un tempo di ritenzione nucleare del complesso
ormone-recettore sei volte più breve rispetto a quello dell'estradiolo; inoltre
determina peculiari interferenze nell'interazione ER-ERE.
Quando sia somministrato per os in dose unica giornaliera (in genere 1-2 mg)
svolge una discreta azione sui settori che, probabilmente per particolarità dell'assetto
recettoriale, riescono a rispondere alla sua fuggevole attività estrogenica, in
particolare la parete vaginale e i tessuti circostanti. Viceversa la risposta
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endometriale, a quelle dosi e in somministrazione unica, è praticamente nulla, anche
se, per un probabile eccesso di sensibilità individuale, può sporadicamente verificarsi
(sul lungo periodo) proliferazione. L'E3 può essere somministrato anche in crema ed
ovuli vaginali. Viene prontamente assorbito, raggiungendo concentrazioni ematiche
superiori e più costanti rispetto a quelle della somministrazione orale. Svolge,
evidentemente, un'ottima azione sui tessuti della vagina e su quelli circostanti. Le
caratteristiche farmacocinetiche su ricordate rendono plausibile l'eventualità che la
somministrazione vaginale determini, sul lungo periodo, un certo grado di
proliferazione endometriale.
L'E3 è molto usato nei Paesi nord-europei, ove il suo impiego si è rivelato del
tutto privo di conseguenze sul rischio mammario.
Promestriene.
Si tratta di un dietere dell'estradiolo che sembra non superare l'epitelio
malpighiano della vagina né venir metabolizzato ad estradiolo. Quando venga
somministrato in vagina sotto forma di crema o capsule, svolge un'azione locale
antidistrofica.
ALTERNATIVE AGLI ORMONI
Farmaci
Per le vampate esiste la disponibilità di farmaci caratterizzati da un'attività più
ridotta e meno costante rispetto agli estrogeni: la clomidina, il veralipride, la
bromocriptina, alcuni fitoterapici.
Per il tessuto osseo esistono, come ben noto, una serie di prodotti in grado di
frenarne, se pur transitoriamente, la perdita; alcuni di questi hanno un documentato
effetto sull'incidenza di fratture (Tab. 2).
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Per l'apparato cardiovascolare buona efficacia preventiva presentano, come
ben noto, le statine, gli antiaggreganti e altri farmaci specifici.
Stile di vita
È estremamente riduttivo inquadrare lo stile di vita tra le alternative alle terapie
ormonali. In effetti, per la salute della donna in menopausa un corretto stile di vita
rappresenta la cosa di gran lunga più importante: infatti esso è in grado di ridurre
tutti i principali rischi del periodo post-menopausale, compresi quelli tumorali (con
l'unica eccezione del rischio di Alzheimer).
A parte gli scontati provvedimenti della riduzione/abolizione del fumo e della
riduzione degli alcolici, enorme rilievo hanno l'incrementare l'attività fisica e seguire
una buona alimentazione.
La Tabella 3 elenca i principali benefici dell'attività fisica.
La fatica fisica fa liberare nel SNC le endorfine; di qui il senso di benessere
con miglioramento del tono dell'umore (e il conseguente aumento della tollerabilità
dei disturbi climaterici) e dell'insonnia.
Lo stimolo meccanico esercitato dalla stazione eretta e dall'attività fisica
costituisce un importante fattore di ricostruzione del tessuto osseo. Un'ora o più di
attività fisica quotidiana produce una riduzione del rischio di frattura del femore
analoga a quella determinata da una protratta HRT. Il miglior tono muscolare, e
l'agilità ed equilibrio che ne conseguono, sono ulteriori elementi di prevenzione di
tale tipo di frattura, in quanto possono evitare le cadute o contenerne l'impatto.
I benefici di una quotidiana attività fisica nei confronti del rischio
cardiovascolare conseguono da un insieme di azioni favorevoli: sul quadro lipidico,
sulla tolleranza agli zuccheri (con riduzione del rischio di diabete), sulla pressione
arteriosa, ed eventualmente sul peso corporeo. Le possibilità di prevenzione nei
confronti dell'infarto sono rilevanti: anche a tal riguardo i benefici che si possono
attendere da un'ora o più di moderata attività fisica quotidiana (ad esempio, una
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camminata di buon passo) sono probabilmente analoghi a quelli che sono stati
documentati con l'impiego protratto di estrogeni.
L'attività fisica, infine, riduce anche il rischio di alcuni tumori: del colon
(riduzione facilitata anche da una buona alimentazione), della mucosa endouterina e
forse anche (se non altro prevenendo l'eccesso di adipe addominale) del seno.
Una buona alimentazione è importante per ridurre sia il rischio vascolare sia il
rischio di osteoporosi, diminuendo nel contempo il rischio di tumori del colon e del
seno. Al riguardo, è opportuna un'alimentazione non eccessiva (1800-2000 calorie al
dì) e variata, ma che sia: - povera di grassi d'origine animale; - povera di zuccheri a
rapido assorbimento (contenuti in tutto ciò che è dolce o alcoolico); - relativamente
povera di proteine; - povera di sodio; - ricca di calcio.
Quindi un'alimentazione di tipo mediterraneo, con: farinacei, carni o pesce e verdure,
non troppo conditi; latte o suoi derivati, eventualmente scremati; poco o niente cibi
dolci; frutta fresca e poco dolce; piccole quantità di alcoolici, vino e birra compresi.
Il latte e i suoi derivati sono molto importanti in quanto, tra gli alimenti d'uso
corrente, sono quelli di gran lunga più ricchi di calcio; ciò anche quando siano
scremati e resi poveri di grassi. Dopo la menopausa è opportuna l'assunzione
giornaliera di almeno 1300 mg di calcio. Un litro di latte ne contiene circa 1200 mg,
lo yogurt e i formaggi freschi da 100 a 200 mg l'etto, mentre i formaggi stagionati
(che però sono anche i più grassi) ne contengono da 400 a 900 mg l'etto. Quando, per
intolleranza o altro nei confronti di latte e derivati, la dieta risulta carente, è
opportuna un'integrazione di sali di calcio eventualmente con aggiunta di Vit. D3
(soprattutto nei soggetti al di là dei 65 anni). Un buon apporto di calcio con gli
alimenti (eventualmente con l'integrazione) è in grado di frenare la perdita di tessuto
osseo soprattutto se unito ad altre norme igieniche quali l'attività fisica.
16
QUANDO L'HRT?
Una generalizzazione dell'HRT a tutte le donne in menopausa sarà proponibile
quando e se gli schemi caratterizzati da bassi rischi (per tipo e dosaggio
dell'estrogeno e per l'impiego del progestinico nelle non-isterectomizzate) si saranno
mostrati in grado di ridurre significativamente il rischio di Alzheimer. È possibile, ed
ovviamente auspicabile, che ciò avvenga, ma per ora ne siamo lontani.
Quindi, al momento, per la salute della donna in menopausa innanzitutto e
soprattutto occorre puntare con impegno sul miglioramento dello stile di vita.
Ovviamente le terapie ormonali sono preziose per superare al meglio alcune
fasi ed alcune situazioni. I progestinici nella fase di transizione alla menopausa (per
gestire le irregolarità mestruali), e l'HRT nei casi di menopausa precoce (Tab. 4) o di
forti disturbi climaterici (Tab. 5), dovrebbero, in assenza di controindicazioni, essere
impiegati con larghezza.
La decisione di avviare o mantenere un'HRT di lunga durata, finalizzata a
ridurre il rischio di patologie, deve fondarsi su di un'accurata valutazione del singolo
caso, da cui emerga un favorevole bilancio tra vantaggi e svantaggi. Debbono essere
presi in considerazione sia la situazione medica sia le esigenze e le aspettative della
paziente. Su di un piatto di questa ideale bilancia vanno messi i benefici attesi in quel
particolare caso; sull'altro, gli inconvenienti della terapia (mantenimento dei flussi
mestruali; medicalizzazione), ed anche i moderati rischi che per ora non possono
essere esclusi, oltre ovviamente l'esistenza o meno di valide alternative per il caso
specifico.
Un'HRT avviata entro gli anni immediatamente seguenti la menopausa è più
che probabilmente di beneficio nei soggetti ad elevato rischio coronarico per fumo
e/o dismetabolismo (Tab. 6). In quest'ultimo caso è da attendersi anche una riduzione
del (aumentato) rischio per il cancro del colon, mentre non sono da temersi
conseguenze sul (già aumentato di base) rischio per il seno.
17
Il trattamento dovrebbe essere iniziato con dosi dapprima basse e poi
progressivamente crescenti di estradiolo transdermico, per poi passare agli estrogeni
orali in quanto questi sono caratterizzati da un più consistente insieme di azioni
metaboliche favorevoli (Fig. 2).
Un'altra motivazione di indubbio valore è il rischio di cedimenti vertebrali su
base osteoporotica comprovato già in fase immediatamente postmenopausale (Tab.
7). In relazione alle alternative farmacologiche è opportuno considerare che: a. tutti i
farmaci hanno azione sull'osso sintantoché li si usi; infatti, così come è stato
evidenziato per gli estrogeni, anche gli altri prodotti hanno un'azione che non va tanto
oltre il periodo d'uso, con tendenza alla perdita progressiva della protezione nel
periodo successivo alla sospensione; b. per nessuno dei singoli farmaci è, al
momento, preventivabile un trattamento di durata illimitata. Per gli estrogeni il
problema non sta certo nella perdita di efficacia col prolungarsi dell'uso (la
fisiologicità dei meccanismi d'azione sull'osso ne garantisce l'attività sino all'età
avanzata, come d'altronde è stato dimostrato) bensì nei possibili rischi di un
trattamento protratto coll'avanzare dell'età(1), anche se questi possono essere
minimizzati dall'impiego di dosi estrogeniche più basse integrate dal calcio; per gli
(1)
In assenza di dati definitivi, è ipotizzabile che in età avanzata il rischio per il
seno, pur utilizzando i prodotti meno rischiosi, sia più accentuato che nel decennio
seguente la menopausa
18
altri farmaci il problema ( a parte quello dei costi) sta nel fatto che ognuno di essi è
stato studiato per un numero limitato di anni(2).
Per questo, soprattutto quando una prevenzione farmacologica sia resa
necessaria sin da una età relativamente giovane da un referto densitometrico di
osteoporosi, è opportuno procedere ad una scelta ragionata del farmaco, o, meglio,
della sequenza di farmaci.
Un quadro ben preciso di osteoporosi, con rischio incombente di fratture o
cedimenti ossei, impone la scelta dei preparati a documentato effetto sull'incidenza
delle fratture (Tab. 2). Un quadro di tal genere già all'epoca della menopausa (evento
non rarissimo) deve far prevedere un trattamento protratto per decenni: innanzitutto
con l'HRT, eventualmente effettuata in un primo tempo con i prodotti più attivi
sull'osso (ma potenzialmente più rischiosi per il seno), da proseguirsi poi per 8-10
anni a dosaggio declinante (con aggiunta degli integratori ed eventualmente, quando
il dosaggio estrogenico sia molto ridotto, dei bifosfonati per 12-18 mesi), in modo da
superare senza ricadute la fase dei disturbi soggettivi del climaterio; successivamente,
quando disponibile, il Raloxifene; quindi, i bifosfonati e più oltre gli altri farmaci
(Fig. 3). Ovviamente, a fianco dell'eventuale uso dei farmaci, deve essere mantenuto
(2)
La non fisiologicità dell'azione dei bifosfonati rende, per ora, incerta la loro
validità su periodi che superino i 3 anni d'uso. La fisiologicità (simil-estrogenica)
dell'azione ossea del raloxifene fornisce maggiori garanzie al riguardo, cosicché,
soprattutto se verrà documentato il mantenersi nel tempo della protezione nei
confronti del tumore mammario (evidenziata nei primi 3-4 anni di trattamento), tale
farmaco potrà essere considerato per terapie di lunghissima durata. Per gli
integratori (calcio e Vit. D3) è ipotizzabile sin d'ora la validità di un trattamento di
lunga durata (che è anche un assai utile complemento alle altre forme di terapia).
19
nel tempo un particolare impegno nello stile di vita, elemento essenziale della
strategia di prevenzione dell'osteoporosi e delle sue complicanze.
BIBLIOGRAFIA
Disponibile su richiesta.
20
Tabella 1. Principali conseguenze della carenza di
estrogeni endogeni
1. Disturbi soggettivi vasomotori (e psichici)
2. Distrofia delle mucose e del tratto genito-urinario
3. Accelerazione del riassorbimento osseo
4. Facilitazione di dismetabolismi (insulino-resistenza)
5. Facilitazione della patologia cardiovascolare
6. Facilitazione dei processi degenerativi del SNC
7. Riduzione (relativa)del rischio di tumori mammari
21
Tabella 2. Sostanze disponibili per la prevenzione
farmacologica dell'osteoporosi e delle sue conseguenze.
A. Estrogeni **
Raloxifene **
Tibolone *
Estratti di soja (? ?)
C.
Alendronato **
Altri bifosfonati *
Ipriflavone *
Calcitonina *
(Nandrolone) *
B. Sali di Calcio *
Vit. D3 + Calcio **
** farmaci con documentato effetto sull'incidenza delle fratture
* farmaci con documentato effetto sulla massa ossea
22
Tabella 3. Benefici di un’adeguata attività fisica in menopausa
 Miglioramento del tono dell’umore
(maggiore tollerabilità delle vampate)
 Miglioramento dell’insonnia
 Riduzione del rischio osseo
 Riduzione del rischio cardiovascolare
• azione favorevole sul metabolismo lipidico
• azione favorevole sul metabolismo glicidico
(con riduzione del rischio di diabete)
• miglior controllo delle pressione arteriosa
• miglior controllo del peso corporeo
 Miglioramento della circolazione negli arti inferiori
 Riduzione dei rischi tumorali
23
Tabella 4. Motivazioni dell’HRT:
donne con menopausa precoce o relativamente
precoce (<50 anni)

Riduzione o eliminazione di:
 disturbi vasomotori

disturbi legati alla distrofia vaginale

problemi di ordine psicologico

problemi ossei o cardiovascolari
 Nessun incremento del rischio tumorale
rispetto alle coetanee ancora mestruate
24
Tabella 5. Motivazioni dell’HRT:
forte sintomatologia climaterica*
(e/o desiderio di mantenere il flusso mestruale)
(in genere sufficienti pochi anni di terapia)
 Netto miglioramento qualità vita
 Vantaggi per osso, app. cardio-vascolare,
colon : modesti e transitori
 Rischi per seno ed endometrio:
praticamente irrilevanti
* Alternative: veralipride,
veralipride, bromocriptina,
bromocriptina, clonidina,
clonidina,
fitoterapici, fitoestrogeni
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Tabella 6. Motivazioni dell’HRT di lunga durata:
elevato rischio di coronaropatia su base dismetabolica
in postmenopausa iniziale
 Benefici collaterali: miglioramento qualità della vita e
riduzione del (modesto) rischio osseo e del (aumentato)
rischio per il colon (oltre che per il SNC)
 Incremento del rischio per il seno (e per l’endometrio):
probabilmente irrilevante rispetto alle non trattate
 Alternative: (attività fisica, abolizione del fumo),
terapie ipolipemizzanti e cardiovascolari;
fitoestrogeni (?).
26
Tabella 7. Motivazioni dell’HRT di media-lunga durata:
comprovato rischio di cedimenti vertebrali
su base osteoporotica in postmenopausa iniziale
 Benefici collaterali: miglioramento qualità della vita e
riduzione del rischio cardiovascolare (e per il SNC)
 Incremento del rischio per il seno (e per l’endometrio):
proporzionale alla durata
 Alternative: (sali di calcio, attività fisica); bifosfonati,
calcitonina; dal 2000, raloxifene; fitoestrogeni (??).
27
Figura 1. Conseguenze del dismetabolismo dovuto a stile di vita
inadeguato e facilitato dalla carenza estrogenica
Sedentarietà
e dieta inadeguata
adipe addominale
resistenza all'insulina
Menopausa
riduzione rapporto
estrogeni/androgeni
(aumento androgeni liberi)
riduzione SHBG
iperinsulinemia
(aumento estr. liberi)
aumento attività IGF-I
Alterata tolleranza al glucosio,
Aumentato rischio di tumori a:
dislipidemia , ipercoagulabilità ,ipertensione.
mammella, endometrio (e forse colon)
28
Figura 2. Principali effetti epatomediati e metabolici delle
terapie estrogeniche per via orale o transdermica
High-density lipoproteins (HDLs)
Trigliceridi
Low-density lipoproteins (LDLs)
Lipoproteina (a)
Plasminogen activator inhibitor-1
Antitrombina III
Angiotensinogeno
Sensibilità all’Insulina
Sex horm. binding globulin (SHBG)
Attività IGF-I circolante
Orale
Transdermica


/








/

/




/

29
Figura 3. Strategie per la prevenzione dell'osteoporosi postmenopausale
e delle sue complicanze
Attivita’ fisica e buona alimentazione
• Calcio
Vit. D3
• Eventuale (Ev.) densitometria
 Ev. Estrogeni
menopausa
Estratti
di soja
Ev. Tibolone
Ev. Ipriflavone
??
Ev. Raloxifene
Ev. Bifosfonati
senilità
Ev. Calcitonina
Ev. Nandrolone
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