La memoria Eleonora Bilotta Ebbinghaus e gli studi sulla memoria Il primo lavoro sperimentale sulla memoria è stato condotto nella seconda metà del secolo scorso da Hermann Ebbinghaus (1850-1909). Ebbinghaus utilizzò se stesso come soggetto sperimentale e come sperimentatore. Egli ottenne dati quantitativi misurando la memoria in termini di risparmio di tempo (e di ripetizioni) nella seduta di ri-apprendimento rispetto a quella di apprendimento. Effetto del super apprendimento Ebbinghaus dimostrò che il super apprendimento, fino ad una certa soglia migliora la memoria. Aumentando il numero di ripetizioni proporzionalmente cresceva la memoria, però si arrivava ad un punto in cui ripetere ulteriormente non serviva più ad aumentarla. Limiti del metodo di Ebbinghaus: per mantenere condizioni sperimentali rigorosamente controllate ha tralasciato tutti quegli aspetti legati alla concettualizzazione e ai significati. Curva dell’oblio In un altro esperimento memorizzò alcune serie di sillabe e misurò la memoria dopo venti minuti, dopo un’ora, dopo nove ore, dopo un giorno, due giorni, sei giorni, trentuno giorni. In tal modo poté mettere in evidenza come procede nel tempo l’oblio: In un primo tempo la memoria calava rapidamente. Man mano che il tempo passava, però, Ebbinghaus si accorse che il decadimento diminuiva sempre più. Era come se le tracce e i ricordi, passato il primo periodo, diventassero più tenaci. Apprendimento massivo e distribuito In un terzo esperimento fece più sedute di apprendimento dello stesso materiale in giorni successivi. Si accorse che più sedute faceva, più si ricordava. Un certo numero di ripetizioni, distribuite nel tempo, aveva lo stesso effetto di un numero superiore, concentrato nella stessa seduta. Per cui arrivò a ritenere che l’apprendimento massivo, concentrato in un’unica volta, è meno efficace di quello distribuito, ripartito nel tempo. Effetto seriale È legato alla disposizione in serie delle cose da imparare. Le prime sillabe di una lista e le ultime si ricordano più facilmente di quelle posizionate nella parte centrale. Compiti sperimentali Si possono distinguere tre tipi sperimentali: ri-apprendimento, rievocazione riconoscimento. di compiti o ricordo, Nei processi mnestici si distinguono tre momenti fondamentali: formazione del ricordo (o fissazione o immagazzinamento o registrazione); l’oblio (o dimenticanza o decadimento); il richiamo (o il recupero di informazioni). Il ricordo La formazione del ricordo dipende principalmente da: la codifica (grado o tipo di catalogazione dell’informazione), l’organizzazione (soggettiva o oggettiva), la profondità (o ampiezza /ricchezza) dell’elaborazione. Le conoscenze pregresse che il soggetto possiede, la ridondanza del materiale e il significato di cui è dotato sono importanti per la formazione del ricordo. L’emotività influenza il ricordo e la memoria C’è un grado ottimale di attivazione emotiva al di sotto e al di sopra del quale la formazione del ricordo è meno efficace. Tale livello è diverso per la memoria a breve termine e per quello a lungo termine. Dei ricordi vengono immagazzinati solo alcuni pezzi. L’interferenza del materiale appreso prima (proattiva) o dopo (retroattiva) favorisce l’oblio quanto più i materiali sono simili. Il sonno ha l’effetto di consolidare le tracce mnestiche e ridurre l’oblio. Oblio e richiamo L’oblio varia a seconda del tipo di contenuto: odori, gusti e abilità motorie si dimenticano difficilmente. Il richiamo avviene in parte per accesso diretto alle informazioni immagazzinate, in parte per ricostruzione inferenziale. Oggi si ritiene che esistano più memorie effettivamente distinte (con basi, architetture e meccanismi di processo dell’informazione diversi ). I sistemi di memoria I più importanti sistemi di memoria possono essere i seguenti: la memoria sensoriale, consiste in un prolungamento delle sensazioni oltre il tempo di esposizione all’oggetto. La memoria iconica fa durare la vista di una figura fino a 0.25 secondi dopo che è scomparsa; la memoria ecoica fa continuare l’ascolto di un suono fino a 4 secondi. Il modello dello Human Information Processing Tale indirizzo di ricerca qualifica l’essere umano come un soggetto che opera sull’informazione che proviene dal mondo esterno decodificandola, elaborandola e codificandola. Componenti del modello sono: 1) uno stimolo esterno al soggetto (input),per esempio una frase. 2) una trasduzione sensoriale: la frase comincia ad esistere per il soggetto quando le onde sonore vengono convertite dal sistema uditivo del soggetto in impulsi neuroelettrici; 3) un magazzino per l’informazione sensoriale, o registro sensoriale: il soggetto conserva lo stimolo per un tempo brevissimo (massimo uno o due secondi). Il modello dello Human Information Processing 4. 5. 5. un riconoscimento percettivo, permette di attribuire un significato allo stimolo registrato, attraverso un confronto con le informazioni che il soggetto possiede. una memoria a breve termine. L’informazione viene conservata per un breve periodo di tempo (non più di 30 sec.) in un magazzino a breve termine che ha una capacità limitata di contenimento e dove possono avvenire dei processi di controllo (codificazione, raggruppamento funzionale, reiterazione) che permettono una maggiore permanenza dell’informazione in arrivo; una memoria a lungo termine. L’informazione, che è già stata elaborata dalla memoria a breve termine, può essere conservata per tempi lunghi e in quantità praticamente illimitata, Il modello dello Human Information Processing Le caratteristiche dell’informazione conservata in questo magazzino sono di tipo: semantico; fonologico-sensoriale. La memoria iconica Quest’area di studio, attualmente abbandonato, che è stata un argomento di punta degli anni 60/70 (Sperling, 1960), è stata trattata da Neisser nel suo primo libro sulla psicologia cognitiva (1967). L’indagine svolta sulla memoria iconica rappresenta una delle prime e più brillanti ricerche in cui si impiega un approccio cognitivista secondo il quale l’uomo funziona come un elaboratore di informazioni (Human Information Processing o HIP). Attraverso una lunga serie di esperimenti, iniziati da Sperling, ci si era accorti che nell’uomo esiste un magazzino dell’informazione visiva in grado di mantenere attivo il suo contenuto per circa 200 msec. I magazzini sensoriali e la memoria iconica Nell’esperimento classico veniva mostrata al soggetto una matrice di lettere, e veniva poi chiesto di ricordare le lettere che comparivano in una riga, a caso, dopo che la matrice veniva tolta dalla vista. Si scoprì che i soggetti erano in grado di ricordare fino a nove lettere, con una caduta del ricordo che aumentava con l’aumentare dell’intervallo tra la presentazione visiva della matrice e la richiesta. Si ipotizzò quindi l’esistenza di un magazzino di memoria, chiamato magazzino sensoriale, che manteneva l’informazione nella sua forma sensoriale, per pochi millisecondi. I magazzini sensoriali e la memoria iconica Si ipotizzò che l’informazione venisse successivamente tradotta o trasformata, e immagazzinata in una memoria a breve termine. I ricercatori si interrogarono sul funzionamento di questo magazzino sensoriale e sulla funzione della memoria iconica, facendo diverse ipotesi. I magazzini iconici Si ipotizzò che la memoria iconica serva a dare continuità all’immagine visiva, che altrimenti risulterebbe spezzettata e discontinua. Ma se fosse vero che il magazzino iconico permette di percepire un oggetto in movimento, allora sarebbe come legittimare che esiste una forma di conoscenza “a priori” dell’oggetto stesso (cfr. Roncato e Casco, 1979). La difficoltà di fornire risposte coerenti sul funzionamento del magazzino iconico visivo ha fatto sì che la ricerca su questo argomento diminuisse inesorabilmente, fino a restare un argomento quasi abbandonato. Le componenti di un processo di riconoscimento Consideriamo ora il seguente schema semplificato delle principali componenti in gioco in percezione, attenzione e memoria (Moates & Schumacher, 1983): Le componenti nel processo delle informazioni Possiamo identificare almeno 6 importanti componenti nel processo delle informazioni che sono attive mentre un individuo umano osserva un oggetto: recettori sensoriali, registri sensoriali, memoria permanente, processi di riconoscimento di configurazioni, attenzione e memoria di servizio. Il riconoscimento di modelli Gli individui hanno un repertorio permanente di conoscenze sul loro mondo, tale componente ha preso il nome di memoria permanente. E’ improbabile che gli stimoli esistenti nel nostro ambiente abbiano esattamente la stessa forma della conoscenza che abbiamo del mondo e che abbiamo immagazzinato nella memoria permanente. Entrano allora in gioco numerosi processi detti di riconoscimento di configurazioni (pattern recognition), gli stimoli ambientali vengono identificati con qualcosa di già immagazzinato nella memoria dell'individuo. Il concetto di schema Gli schemi sono strutture mentali o unità organizzate delle conoscenze che l’individuo ha del mondo. Noi possediamo un ampio numero di schemi di questo tipo, per quel che sappiamo sui libri, fiori, gli alberi. Essi possono avere vari livelli di generalità, e possono essere legati ad altri schemi. Il numero di stimolazioni ambientali a cui un individuo potrebbe prestare attenzione è illimitato. Ma poiché l’individuo ha limitate capacità di processamento allora egli deve decidere come distribuirle tra i vari compiti che potrebbe seguire. E’ questo il processo dell’attenzione. La memoria che sostiene l’attività L’individuo ha la capacità di porre in una memoria di servizio alcuni aspetti delle funzioni cognitive. Questo tipo di memoria è legata a quel che comunemente viene detto consapevolezza. L’individuo diventa così capace di controllare o modificare alcuni processamenti che sta compiendo. Questo aspetto consente anche di pianificare o di generare delle condizioni uniche di informazioni in cui non si è mai imbattuto in precedenza (Moates & Schumacher, 1983). Che cos’è la memoria? Esiste un magazzino dove solitamente archiviamo le nostre esperienze sensoriali che chiamiamo memoria. Gli studi sulla memoria iniziano in modo sistematico e coerente soltanto all’interno della psicologia cognitivista. Le prove che esiste una forma di conservazione in memoria provengono da quelle ricerche sperimentali nelle quali si osserva che una quantità di materiale appreso viene rievocato in funzione del tempo trascorso dalla lettura del materiale stesso. La ritenzione di questo materiale costituisce ciò che solitamente viene denominata memoria. Come funziona la memoria? Hebb e gli studi sulla memoria L’idea, che esistano dei magazzini di memoria a lungo e a breve termine, era stata già avanzata da Hebb nel 1948. Si sapeva peraltro che la ritenzione diminuiva con il passare del tempo (curva dell’oblio), ma non si sapeva con esattezza quale fosse l’entità della perdita a tempi molto brevi e molto lunghi. Era necessario quindi trovare un mezzo per misurare il ricordo senza intervalli, subito dopo la lettura. Ma occorreva anche impedire, perché la misura fosse corretta, che il soggetto stesso ricorresse a particolari operazioni automatiche di “fissaggio” del materiale come il rehearsal, che consiste nel ripetere mentalmente quanto si è udito. Gli studi di Brown Peterson e Peterson del 1959 Brown (1958), Peterson e Peterson (1959) hanno il merito di aver messo in luce l’esistenza della MBT, misurando infatti la quantità di ricordo nelle condizioni in cui è impedito al soggetto il rehearsal. Il primo di questi studiosi sostiene che è necessario riconoscere l’esistenza di un magazzino a breve termine con capacità limitata e soggetto a rapido decadimento, se non interviene il rehearsal. Gli studi di Brown Se c'è molto materiale da mandare in memoria, anche l’intervallo di tempo che separa l’acquisizione dal ricordo sara molto lungo, per cui buona parte delle tracce avrà tempo di deteriorarsi definitivamente prima di essere rievocata. Il rehearsal è, secondo Brown, una forma di ricordo che riattiva le tracce oppure provoca una reimpressione ex novo. Brown sostiene ancora che il magazzino della MBT è molto diverso da quello a lungo termine (MLT). MBT e MLT La MLT è un archivio con enormi capacità, nel quale le informazioni vanno perse a causa di fenomeni di interferenza, la MBT ha una capacità molto limitata poichè le tracce in questa memoria hanno una velocità di decadimento molto rapida che causa l’oblio. Nessuna perdita di informazione della MBT poteva essere attribuita, secondo Brown, a fenomeni di interferenza. Il modello di Waugh e Norman Il modello proposto da Waugh e Norman nel 1965 prevede due tipi di archivi: memoria primaria e memoria secondaria. La memoria primaria è un magazzino di capacità limitate, per cui se gli elementi da ritenere sono troppi, si supera ben presto questa capacità e si è costretti a liberare la memoria dai vecchi elementi. Gli elementi espulsi dalla memoria vanno perduti definitivamente. L’oblio L’oblio può essere contrastato se interviene il rehearsal perché tale operazione blocca l’immissione di nuovi elementi informativi. Durante tale fase di fissazione, le informazioni passano nella memoria secondaria. Non esiste di fatto un confine temporale preciso tra i due tipi di memoria. La teoria dell’informazione Secondo tale teoria (inizio degli anni ‘50), ogni stimolo che colpisce i nostri organi di senso non è altro che un complesso di informazioni. Queste informazioni sono più efficaci e quantitativamente superiori, quanto più ampio è il campione di stimoli da cui proviene lo stimolo in oggetto. La teoria dell’informazione Attraverso studi sperimentali si scoprì che il cervello risponde alla quantità di informazione: maggiore è il numero di informazioni, maggiore è lo sforzo che viene fatto per riconoscere o ricordare lo stimolo. La capacità di desumere informazioni da complesse stimolazioni non può che essere definita. Oltre una certa quantità limite, il cervello non ha più la possibilità di filtrare le informazioni e quindi diminuisce la sua capacità di elaborazione. La quantità di informazione che possiamo ritenere Con due suoni, il compito diventa più complicato, con quattro la complessità aumenta, ma l’apprendimento può ancora essere positivo, fino ad arrivare a sei suoni che, per via degli errori e della confusione che ingenerano nel soggetto sperimentale, può ritenersi la soglia massima della capacità di elaborazione. Tale quota, che corrisponde a 2,5 bit o unità di informazione, è ovviamente soggetta ad estrema variabilità, a seconda degli stimoli e a seconda dei soggetti. La quantità di informazione che possiamo ritenere Che il cervello sia capace di elaborare ben più che 2,5 bit di informazione lo scopriamo se si considera, per esempio, il riconoscimento delle voci. I meccanismi che entrano in gioco sono gli stessi del riconoscimento dei suoni, ma in questo compito il nostro cervello dimostra una abilità, una precisione e una prontezza che sono inspiegabili rispetto ai limiti della soglia di elaborazione dei suoni. Siamo infatti capaci di distinguere una voce fra decine di altre voci che abbiamo in memoria. La quantità di informazione che possiamo ritenere I suoni variano solo in altezza, mentre le voci possiedono altre caratteristiche connotative, fra cui il timbro, l’altezza, il ritmo. Quando stimoli come questi si differenziano in più particolari aumenta la nostra capacità di discriminazione. In poche parole, sono gli stimoli stessi a rendersi più facilmente riconoscibili. Sistemi di memoria I sistemi di memoria Un sistema di memoria è una struttura in grado di conservare l’informazione nel tempo. I termini presenti qui di seguito sono usati per descrivere tre aspetti fondamentali dei sistemi di memoria: “codifica”, “ritenzione” e “recupero” I sistemi di memoria Il termine codifica si riferisce al modo in cui l’informazione, al suo arrivo, viene immagazzinata in un determinato sistema. Il termine ritenzione si riferisce al modo in cui l’informazione viene conservata in un sistema nel corso del tempo Il termine recupero si riferisce al modo in cui l’informazione viene estratta dal sistema. Si usa il concetto di perdita di informazione per riferirsi a ciò che accade quando qualcosa accade con il processo di immagazzinamento e di conservazione dell’informazione. Zone cerebrali coinvolte nei processi di memoria La soglia limite: il magico numero sette, più o meno due Gli studi di Miller e di altri hanno dimostrato che l’organismo non risponde tanto a uno stimolo singolo definito spazio-temporalmente, quanto allo stimolo in comparazione con l’insieme di altri stimoli di cui fa parte. Quando riconosciamo qualcosa lo riferiamo a ciò che ci è noto circa il suo insieme di appartenenza. In questo senso la percezione è strettamente legata alla memoria in quanto è solo nella memoria che si trova la chiave interpretativa dello stimolo. La soglia limite: il magico numero sette, più o meno due Questo fenomeno ci può anche informare rispetto a quanto riusciremo a superare la capacità limite. Se utilizziamo le parole come items dell’esperimento dopo una prima lettura non riusciremo a ricordarne che 5 o 6. Con una ri-codificazione significativa, formando per esempio delle frasi, il limite sarà di nuovo superato. Noi abbiamo quindi la possibilità di raggruppare gli items in unità particolari che Miller chiama chunks. La ri-codificazione per chunks ha una importanza eccezionale nei processi di memoria, dal riconoscimento alla soluzione dei problemi. I registri sensoriali I registri sensoriali visivi (Sperling, 1960; Averbach e Corriell, 1961) hanno la funzione di trattenere per pochissimo tempo, in forma non elaborata, quello che percepiamo. Le ricerche di Sperling avevano l’esigenza di spiegare perché solo una certa quantità di items memorizzati in precedenza poteva essere rievocata. Questa quantità, che attualmente viene chiamata span di memoria immediata, è una porzione piuttosto piccola del materiale appreso. Sperling Sperling ipotizzò che quello che percepiamo delle lettere dell’alfabeto, per esempio, può essere conservato per brevissimo tempo. Se in questo intervallo tutto il materiale non viene per così dire materializzato, scritto su un foglio o tradotto in parole, va irrimediabilmente perduto. Per cui lo span di memoria immediata non è altro che il massimo di informazione recuperabile dal registro sensoriale prima che inizi il processo di decadimento. Il modello di Sperling Nel modello di Sperling (1967) sono previsti dei meccanismi di esplorazione della memoria iconica (Magazzino dell’Informazione Visiva o MIV ), delle operazioni di rehearsal e un magazzino uditivo (MIU). Tra le operazioni di esplorazione o scansione e rehearsal interviene la memoria cuscinetto che ha la funzione di conservare le informazioni raccolte dalla memoria iconica sotto forma di istruzioni motorie. Il cuscinetto immagazzina le immagini e fornisce al meccanismo di ripetizione le informazioni necessarie perché questo le traduca in suoni. Qualora ciò non sia necessario, essi vengono conservati nel magazzino uditivo. Questo a sua volta può venire esplorato perché abbia luogo una nuova ripetizione subvocalica. I principali tratti della memoria Principali tratti della memoria L’informazione, prima di essere comunicata attraverso parole o scrittura, viene tradotta in suoni e mantenuta attraverso il rehearsal in un magazzino di memoria uditiva. Il processo di rehearsal in questo caso è troppo lento per eseguire una lettura rapida delle lettere nella memoria sensoriale. Nella memoria cuscinetto vengono raccolte le informazioni sensoriali velocemente prima che svaniscano e per mantenerle a disposizione per un eventuale operazione di rehearsal. Il cognitivismo e i modelli di memoria Miller, Galanter e Pibram, nel 1960 pubblicano il libro “Piani e struttura del comportamento”, considerato generalmente il manifesto della psicologia cognitivista. In tale opera, attraverso l’utilizzo di strumenti concettuali, desunti dagli studi di simulazione di comportamenti biologici su calcolatore, si sostiene che: “tutte le correlazioni fra stimolo e risposta devono essere mediate da una rappresentazione organizzata dell’ambiente che è costituita da un sistema di concetti e relazioni entro cui l’organismo si colloca” (Miller et alt, 1960). Alcune ipotesi sull’importanza della rappresentazione interna si trovano negli scritti dei gestaltisti, fra cui Koehler, e in Tolman, anche se non hanno mai chiarito il modo in cui l’azione viene diretta da questa organizzazione cognitiva. Gli schemi di comportamento Per i cognitivisti esiste una organizzazione del comportamento (configurazione), che è importante sia per il comportamento che per la percezione che però, tendono ad essere preminentemente temporali. Individuare uno schema alla base del comportamento non è facile in quanto non si riescono a definire le unità minimali ultime del comportamento. “Uscire di casa” è una unità che può essere ricondotta a unità di comportamento più generali “Fare un viaggio” o più specifiche “Aprire la porta”. A sua volta, ognuna di queste unità ha delle sottounità: se si eseguono tutte le possibili scomposizioni si arriva ad un comportamento ridotto a un complesso di unità organizzate gerarchicamente, a seconda della loro complessità. Schemi e memoria I cognitivisti suppongono che in questo complesso di schemi non siano contenute solo delle nozioni, ma anche delle istruzioni sul modo in cui vanno eseguite le azioni. All’origine di ogni comportamento ci sarebbe un piano di cui il comportamento è la realizzazione. “Un piano è ogni processo gerarchico nell’organismo che può controllare l'ordine in cui deve essere eseguita una sequenza di operazioni” (Miller et alt, 1960). In questa accezione, il piano non è altro che un programma completo di operazioni, che fissa la successione di quelle più generali così come di quelle più specifiche. Che cos’è un piano? Ogni comportamento è scomponibile in unità più semplici, per cui, se vengono eseguite tutte le possibili scomposizioni, si avrà lo stesso comportamento, ridotto alla sua forma essenziale, cioè un complesso di unità organizzate gerarchicamente a seconda della loro complessità. Affinché l’analisi sia efficace, è necessario che sia attuata a tutti i livelli gerarchici simultaneamente, altrimenti andrebbero perse le proprietà configurative del comportamento stesso. L’esecuzione di un piano può anche non essere una azione vera e propria (lettura silenziosa), ma anche operazioni di raccolta e trasformazione di informazione, cioè tutte le attività cognitive in generale. Miller e gli altri definiscono il piano come il sistema di raccordo fra la rappresentazione della nostra conoscenza, l’immagine mentale, e l’azione. Che cos’è un piano? Tra immagine e piano non c'è una distinzione precisa in quanto un piano, una volta acquisito, viene a far parte dell’immagine; a sua volta la conoscenza deve essere incorporata in un piano generale altrimenti non avrebbe la possibilità di condizionare il comportamento. La realizzazione e la creazione di un piano avviene sempre attraverso operazioni di confronto fra due elementi: l’unità di analisi non è più il riflesso perché non esistono risposte automatiche, bensì risposte controllate. Parlando di controllo i cognitivisti si riferiscono sempre ad un confronto fra la situazione percepita e la situazione rappresentata. Le verifiche del comportamento Per esempio se noi chiamiamo per nome una persona a noi familiare, lo stimolo, cioè la persona, deve essere confrontato con una qualche immagine che di costei possediamo e, nel caso in cui questo test risulti positivo, allo stesso stimolo si attribuirà la conferma che il nome corrisponde alla persona fisica che conosciamo. Se il risultato del confronto fra stimolo/persona fisica è negativo, cioè non riconosciamo la persona, riesamineremo più in dettaglio lo stimolo per procedere a verifiche più accurate dei nostri ricordi. Questa successione di verifiche (tests) è stata chiamata TOTE (test, operate, test, exit) da Miller e collaboratori ed è da loro proposta come unità di analisi del comportamento, in alternativa al concetto di riflesso. TOTE “Il TOTE rappresenta lo schema di base in cui sono inseriti i nostri piani, la fase di test del TOTE implica la specificazione di tutte le conoscenze necessarie per il confronto che deve essere fatto e la fase operativa rappresenta ciò che l'organismo fa in proposito” (Miller et alt,1960). Con il TOTE si può rappresentare più in dettaglio il sistema di raccordo fra immagine e azione, specificando opportunamente i tipi di controllo che si devono attuare. Poiché, in ogni comportamento si può stabilire una gerarchia di azioni, dalle più elementari alle più generali e per ogni livello è necessario il controllo da parte di un piano particolare. Come tutte le attività, anche quella del ricordo implica la realizzazione di un piano, o meglio un duplice piano, uno per l’organizzazione in memoria delle informazioni e un altro per il loro recupero. Tecniche di memorizzazione attraverso la distintività contestuale Le immagini del ricordo L’esistenza di piani di questo tipo è convalidata dal verificarsi di alcuni fenomeni che gli associazionisti si sono sempre rifiutati di considerare: l’uso di immagini nel ricordo, codificazione delle sillabe senza senso attraverso le parole. A volte nelle prove di memoria l'intervento dei piani non appare chiaramente, ma ciò non toglie che ci sia. Sembra a volte che un soggetto impari meccanicamente. Le immagini del ricordo Se si osserva il fenomeno con più attenzione ci si può accorgere che egli ha come ritmato le sillabe utilizzando uno stratagemma efficace, sicuramente dettato da un piano di memorizzazione. Anche apprendere non è possibile senza la predisposizione di un piano: “Per poter riuscire a memorizzare una lista, un soggetto deve avere quel misterioso qualcosa detto 'intento ad apprendere… l’intenzione di apprendere significa che il soggetto esegue un piano per formare un piano che guidi la rievocazione” (Miller et alt., 1960). Mappa mentale di New York L’entità e la durata della perdita di informazione Una perdita di informazione si può avere luogo durante la codifica, la ritenzione o il recupero. Un problema importante riguarda l’entità e la durata della perdita di informazione. La perdita può essere momentanea e recuperabile, ma vi sono casi in cui la perdita diventa permanente Per la memoria umana si pone il problema se nell’oblio l’informazione è definitivamente perduta o momentaneamente irrecuperabile. L’entità e la durata della perdita di informazione In ogni sistema di memoria, l’informazione viene immagazzinata e conservata facendo ricorso a determinati meccanismi di registrazione, regolati da un proprio codice che consente una facile reperibilità e trasferibilità. Lo stesso sistema di memoria può anche impiegare diversi codici. L’informazione ritenuta in un sistema di memoria può anche essere ricodificata, recuperando l’informazione da quel sistema di memoria e codificandola in un altro sistema. La riduzione e la riorganizzazione dell’informazione nei sistemi di memoria I processi di reintegrazione o ricostruttivi permettono di completare un’informazione parzialmente distrutta o deteriorata. L’informazione viene ricostruita grazie ad ipotesi interpretative fondate su quella porzione di informazione che non è andata perduta, e grazie a fenomeni di ridondanza linguistica e di contesto. L’informazione viene rappresentata, organizzata e codificata secondo varie modalità, e sono state sviluppate sofisticate strategie di recupero (information retrieval). e sistematizzazione delle conoscenze. La riduzione e la riorganizzazione dell’informazione nei sistemi di memoria Nel processo di ricodifica si possono verificare due importanti sub-processi: la riduzione dell’informazione e la sua riorganizzazione. La riduzione dell’informazione consiste nella concentrazione e sintesi dei dati, passando da una fonte all’altra. La riorganizzazione delle informazioni nella transizione da un magazzino all’altro consiste in una diversa elaborazione Abilità cognitive basate sulla memoria La memoria negli anni