elementipsicologiacognitiva

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Elementi della psicologia
cognitiva che influenzano lo
Human Computer Interaction
A cura di Eleonora Bilotta
Indice
– La
percezione,
l’attenzione,
la
memoria, il pensiero visivo
– Lo
sviluppo
ontogenetico
della
percezione
– Il pensiero visivo
– Percezione ed attenzione
– La memoria
Introduzione


Per più di quarant’anni il Comportamentismo ha
costituito la corrente dominante della Psicologia
scientifica e si è fondato esclusivamente sullo
studio del comportamento osservabile, descritto e
spiegato in termini di meccanismi di associazione
tra stimoli e risposte.
Negli gli anni Cinquanta il Comportamentismo, che
fino a quel momento era stato il modello più
significativo
all'interno
della
psicologia
sperimentale, entra in crisi, per diversi motivi sia di
ordine teorico che metodologico.
Introduzione

Il modello Stimolo-Risposta (S-R) appare sempre
più insufficiente nel fornire spiegazioni e
giustificazioni di tutti i comportamenti umani.
L'insoddisfazione si avverte in tutti gli ambiti di
studio, soprattutto in quei settori quali il linguaggio,
l'apprendimento, il pensiero in quanto diventa
sempre più complesso spiegare questi fenomeni
cognitivi in termini di associazioni tra stimolo e
risposta. Nel 1960, Miller, Galanter e Pribram
tentano di trovare un'unità di misura del
comportamento che sia in grado di sostituire il
modello classico S-R. Tale unità, TOTE, ( da TestOperate-Test-Exit ) implica già la nozione di feedback, termine con cui la cibernetica indicava il
Introduzione

Si sviluppò così un nuovo modo di fare psicologia
detto cognitivismo, che ha rappresentato
l'inevitabile sintesi delle esigenze, nate dalle
innumerevoli contraddizioni e dai limiti presenti
nei modelli empirici precedenti. Con il termine
Cognitivismo si indica, infatti, una nuova
concezione teorica della Psicologia, che focalizza
l’attenzione sullo studio dei processi mentali
mediatori tra stimoli e risposte e che si oppone al
Comportamentismo. Vengono condotte, in questo
periodo, un gran numero di ricerche.
Introduzione

Ulric Neisser pubblica nel 1967 "Cognitive Psycology"
che diventa il manifesto della nuova scuola psicologica.
L'impostazione cognitivista parte dai seguenti assunti:
– 1) la psicologia ha il compito di focalizzare la sua
attenzione sui processi interni dell'organismo, come
mediatori tra stimoli e risposte, formulando modelli del loro
funzionamento e confrontando i risultati di laboratorio con
le previsioni dei modelli stessi;
– 2) i processi interni, devono consistere in processi di
elaborazione dell'informazione, strutturalmente equivalenti
a quelli di un computer digitale;
– 3) i processi di elaborazione dell' informazione consistono
in processi di manipolazioni di stimoli.
Introduzione

Nel corso degli anni '70
si assiste alla
realizzazione di sistemi esperti, il cui progetto
mette i ricercatori di fronte al problema di come
rappresentare la conoscenza all' interno di un
"congegno artificiale" e di conseguenza
nell'uomo. Da questi assunti nacque la teoria
dell' Uomo Elaboratore di Informazioni, meglio
conosciuta come Human Information Processing
(HIP) che, basata sul presupposto che la mente
sia un elaboratore di segni, andava alla ricerca di
un apparato di segni in grado di eseguire i compiti
e le funzioni che la mente effettua.
Introduzione


Tra i modelli dell'HIP, quello di di Atkinson e
Shiffrin (1968) presenta i processi della memoria
suddivisi in tre sottosistemi: registro sensoriale;
memoria a breve termine (MBT) e memoria a
lungo termine (MLT).
Mentre il modello di Tulving distingue la memoria
episodica e la memoria semantica e un terzo
sistema, la memoria procedurale. Il modello di
Craik e Lockart del 1972, introduce la nozione di
profondità di elaborazione.
Introduzione


I cognitivisti hanno identificato i processi che
riguardano
l'apprendimento
come
una
modificazione
permanente
delle
strutture
cognitive dell'individuo, spostando l'accento più
sugli aspetti di rappresentazione "interna" della
conoscenza, che sulla sua condotta osservabile.
Di qui i successivi studi sul rinforzo, sul transfer,
sull'imprinting,
sul
problem
solving,
sul
biofeedback,
sull'apprendimento
verbale
(fissazione-ripetizione).
La percezione,
l’attenzione, la memoria,
il pensiero visivo

I presupposti essenziali delle attività cognitive che vengono
messe in gioco, durante l’interazione uomo-computer,
attraverso le interfacce sono:
– la percezione;
– la memoria;
– il pensiero visivo

Sia che si tratti di testi scritti, di immagini e/o di suoni,
attualmente presenti nelle interfacce, la percezione di tali
elementi da parte dell’utente, il ricordarsi delle funzioni che
essi veicolano durante lo svolgimento di un compito
attraverso il calcolatore sono tutti processi fondamentali
che influenzano la qualità dell’interazione.
La percezione,
l’attenzione, la memoria,
il pensiero visivo

Un'altra categoria di problemi inerenti lo
studio della percezione è di tipo
epistemologico e riguarda le domande che
ci si pone sull'origine e la natura della
conoscenza umana. Due sono le posizioni
principali ed antitetiche che hanno assunto
gli studiosi a questo riguardo:
– Empiristi,
la
conoscenza
cresce
con
l’esperienza.
– Innatisti, che la conoscenza non si fonda su
nessuna esperienza, bensì l’uomo ne è dotato
sin dalla nascita.
La percezione,
l’attenzione, la memoria,
il pensiero visivo

La figura, a lato
riportata, illustra le
diverse curve possibili
dello
sviluppo
percettivo prima che
intervenga
l'esperienza e i modi
in cui quest'ultima può
influenzare
il
funzionamento
percettivo.
Lo sviluppo
ontogenetico della
percezione

E’ opportuno analizzare lo sviluppo
ontogenetico della visione a livello
percettivo e cognitivo, analizzando in
particolar modo la percezione della forma,
della dimensione e del colore, relativa al
mondo del neonato. Gli studi evolutivi sulla
percezione forniscono molte informazioni
importanti sui processi che regolano la
qualità, i limiti e le capacità del sistema
sensoriale, il modo in cui funzionano e in cui
avviene il loro primo sviluppo.
Lo sviluppo
ontogenetico della
percezione

A livello visivo il neonato umano possiede,
fin dai primi giorni di vita, delle capacità
geneticamente programmate di orientarsi di
preferenza verso cambiamenti di intensità
luminosa, di seguire con lo sguardo, per
brevi periodi, un oggetto in movimento e di
rispondere alla luce. Mentre la prima abilità
è facilmente verificabile anche fuori da un
laboratorio, la seconda è osservabile
soltanto se si dispone di particolari
strumenti.
Lo sviluppo
ontogenetico della
percezione


Un'altra fonte di dati molto importante che
sottolinea come gli infanti riescano a percepire
configurazioni globali, riguarda le ricerche
condotte sull'invarianza della forma (Bornstein,
1984).
Tale invarianza dipende, in ultima analisi, dal fatto
che un oggetto viene percepito come sempre
identico a se stesso, nonostante le variazioni che
si producono nelle sue rappresentazioni
sensoriali, soprattutto in presenza di variazioni
nell'orientamento dell'immagine dell'oggetto nella
retina del soggetto che percepisce.
Lo sviluppo
ontogenetico della
percezione


Un altro elemento importante degli oggetti è
il loro colore.
Il colore è un tipo di informazione fisica
intellettualmente
suggestiva
e
molto
attraente dal punto di vista estetico. In ogni
caso, gli stimoli che interessano il bambino
sono preferibilmente complessi, con colori
contrastanti, come ampie scacchiere
bianche e nere, con forme ovoidali (Fantz et
al., 1975).
Lo sviluppo
ontogenetico della
percezione




Pertanto, dalla descrizione dello sviluppo
ontogenetico risulta che le caratteristiche
percettive elementari, comuni a tutti gli esseri
umani, possono essere le seguenti:
a) la capacità di percepire cambiamenti di
intensità luminosa, di seguire il movimento e
rispondere alla luce;
b) le linee curve attirano maggiormente
l'attenzione;
c) gli stimoli più interessanti sono preferibilmente
complessi, con colori contrastanti;
Lo sviluppo
ontogenetico della
percezione




d) alcune forme sono istintivamente privilegiate,
come gli occhi di forma umana;
e) è più naturale la capacità di discriminare colori
diversi che il loro riconoscimento;
f) la percezione dello spazio è un'altra
caratteristica universale;
g) infine è la "costanza percettiva", acquisita
successivamente, che consente il riconoscimento
delle "qualità".
Il pensiero visivo

Tutti i processi che riguardano l’organizzazione
visiva dell’informazione sono molto importanti a
livello di interfacce in quanto, per poter interagire
proficuamente con un computer, l’utente deve
sviluppare alcune abilità visivi, sia attentive che
proiettive, legate appunto alla riconoscibilità e
comprensibilità organizzate nell’interfaccia. Per
immaginazione mentale o immaginazione visiva
intendiamo semplicemente la memoria di immagini
che ci permette di ricordare la faccia di un amico o
per esempio alcune strade di una città che abbiamo
visitato nel passato.
Il pensiero visivo



Il processo immaginativo è in qualche modo
simile al processo percettivo ed è legato
saldamente all'attività del ricordare.
E' noto, infatti come il miglior modo per
ricordare due oggetti strani insieme è quello di
formare una bizzarra immagine mentale che li
incorpori entrambi.
Per chiarire un pò le cose, un'importante
distinzione da fare è quella fra sensazione e
percezione.
Il pensiero visivo

Le sensazioni sono le esperienze mentali
e rappresentano il risultato della
stimolazione degli organi di senso. In molti
casi, queste esperienze interne non
specificano la realtà esterna: sono
semplicemente dei sottoprodotti dell'attività
che svolgono gli organi di senso. La
percezione non dipende da queste
sensazioni: si basa, invece, sull'estrazione
di informazioni dall'ambiente.
Il pensiero visivo

Questo suggerisce che ci sono due tipi di
immagini mentali: uno basato su informazioni
percettive stivate e l'altro su sensazioni
rinforzate. Per cui noi abbiamo la conoscenza
dell'ambiente esterno (basata su informazioni
stivate che specificano l'ordinamento spaziale
degli oggetti e le loro proprietà e la possibilità di
riesperire le nostre sensazioni senza tener
conto del mondo esterno). Neisser (1982)
chiama questi due tipi di esperienze interne
"conoscenza spaziale" e "visione mentale".
Il pensiero visivo

Nel 1977 Schank, sviluppa un particolare tipo di
schema detto script, tale schema rappresenta le
informazioni comportamentali e non, utili per
esperienze culturali che ci sono familiari, es:
andare al ristorante, dal medico, prendere il
treno, ecc.. Noi abbiamo imparato cosa succede,
per esempio, quando andiamo al ristorante
semplicemente perchè l'abbiamo fatto più volte.
L'accumulo di conoscenza dell'arrangiamento
spaziale di un posto familiare costituisce un
genere di memoria che è nota come mappe
cognitive.
Il pensiero visivo


E' importante notare il valore funzionale e
adattativo di questo tipo di memoria: se noi
sappiamo cosa accade regolarmente,
possiamo anticiparlo; se sappiamo dove
sono le cose, possiamo trovarle.
Per riassumere, uno script è una struttura
che descrive una sequenza di eventi in un
contesto particolare
Il pensiero visivo


In ogni caso, per facilitare i processi di
memorizzazione, ricordo e apprendimento il nostro
cervello usa delle strategie operative, come
l'associazione per contiguità, somiglianza e
contrasto, la semplificazione, l'ancoraggio a
immagini visuali concrete di concetti astratti.
A questo proposito ci sembra importante riportare il
modello dell'Human Information Processing di
Norman e Bobrow (1976), in quanto tale indirizzo di
ricerca qualifica l'essere umano come un soggetto
(non l'unico) che opera sull'informazione che
proviene dal mondo esterno decodificandola,
elaborandola e codificandola a sua volta.
Il pensiero visivo

I componenti del modello sono i seguenti:
– uno stimolo esterno al soggetto, ovvero
input;
– una trasduzione sensoriale
– un
magazzino
per
l'informazione
sensoriale, o registro sensoriale
– un riconoscimento percettivo
– una memoria a breve termine
– una memoria a lungo termine
Il pensiero visivo

Un altro settore di ricerca, che riguarda lo studio
della memoria iconica, è stato attualmente
abbandonato. Quest'area di studio, che è stata un
argomento di punta degli anni 60/70 (Sperling,
1960), è stata anche trattata da Neisser nel suo
primo libro sulla psicologia cognitiva (1967).
L'indagine svolta sulla memoria iconica
rappresenta una delle prime e più brillanti
ricerche in cui si impiega un approccio
cognitivista secondo il quale l'uomo funziona
come un elaboratore di informazioni (Human
Information Processing o HIP).
Percezione ed
attenzione

La figura mostra lo
schema
semplificato
delle
principali
componenti in gioco
nella
percezione,
attenzione
e
memoria (Moates e
Schumacher,
1983).
Percezione ed
attenzione


Il modello mostra anche come tali componenti
interagiscono reciprocamente, consentendo all'individuo
di processare le informazioni provenienti dal mondo che
lo circonda.
Possiamo identificare almeno 6 importanti componenti
nel processo delle informazioni che sono attive mentre
un individuo umano osserva un oggetto:
–
–
–
–
–
–
recettori sensoriali;
registri sensoriali;
memoria permanente;
processi di riconoscimento di configurazioni;
attenzione;
memoria di servizio.
Percezione ed
attenzione

Poiché l'ambiente può cambiare rapidamente, e
dato che uno stimolo può terminare prima del
completamento del processo percettivo, potremmo
attenderci che l'analisi di molti stimoli termini a
metà, prima che ne venga determinato il significato.
Nei fatti la cosa non si verifica di frequente, in
quanto noi siamo dotati di sistemi che trattengono
per breve tempo una rappresentazione abbastanza
completa degli stimoli, e così l'analisi percettiva può
essere condotta a termine. Questi sistemi, che
costituiscono i registri sensoriali, sono la seconda
componente importante di processamento delle
informazioni (immagini).
Percezione ed
attenzione

Un aspetto cruciale del processamento di
informazioni risiede nella capacità dell'individuo di
porre in una memoria di servizio alcuni aspetti
delle funzioni cognitive. Questo tipo di memoria è
legata a quel che comunemente viene detto
consapevolezza. L'individuo diventa così capace
di controllare o modificare alcuni processamenti
che stà compiendo. Questo aspetto consente
anche di pianificare o di generare delle condizioni
uniche di informazioni in cui non si è mai
imbattuto in precedenza (Moates e Schumacher,
1983).
La memoria


Gli studi sulla memoria iniziano in modo sistematico e
coerente soltanto all'interno della psicologia cognitivista
e all'interno di teorie anche non strettamente
psicologiche che hanno dato impulso a indagini
sperimentali le quali hanno messo in luce aspetti
sorprendenti del cervello umano, fino a quel momento
insospettati.
Le prove che esiste una forma di conservazione in
memoria provengono da quelle ricerche sperimentali
nelle quali si osserva che una quantità di materiale
appreso viene rievocato in funzione del tempo trascorso
dalla lettura del materiale stesso. La ritenzione di questo
materiale costituisce ciò che solitamente viene
denominata memoria.
La memoria

Lo studio del ricordo in funzione della variabile tempo ha
prodotto una delle più importanti scoperte nel campo di
questo settore di ricerca: la Memoria a Breve Termine o
MBT. Tale idea, che esistano dei magazzini di memoria a
lungo e a breve termine, era stata già avanzata da Hebb
nel 1948. Si sapeva peraltro che la ritenzione diminuiva
con il passare del tempo (curva dell'oblio), ma non si
sapeva con esattezza quale fosse l'entità della perdita a
tempi molto brevi e molto lunghi. Brown (1958), Peterson e
Peterson (1959) hanno il merito di aver messo in luce
l'esistenza della MBT, misurando infatti la quantità di
ricordo nelle condizioni in cui è impedito al soggetto il
rehearsal (particolare operazione automatica di 'fissaggio'
del materiale).
La memoria

Il modello proposto da Waugh e Norman (1965) prevede
due tipi di archivi, memoria primaria e memoria
secondaria. La memoria primaria è un magazzino di
capacità limitate; per cui se gli elementi da ritenere sono
troppi, si supera ben presto questa capacità e si è
costretti a liberare la memoria dai vecchi elementi, per
far continuamente posto a quelli nuovi. Gli elementi
espulsi dalla memoria vanno perduti definitivamente.
L'oblio può essere contrastato se interviene il rehearsal
perchè tale operazione blocca l'immissione di nuovi
elementi informativi. Gli elementi ripetuti rimangono
nella memoria primaria fino a che dura il rehearsal.
Durante tale fase di fissazione, le informazioni passano
nella memoria secondaria.
La memoria

La teoria dell'informazione, all'inizio degli anni
Cinquanta, influenzò notevolmente gli studi sulla
memoria. Secondo tale teoria, ogni stimolo che
colpisce i nostri organi di senso non è altro che un
complesso di informazioni. Queste informazioni
sono più efficaci e quantitativamente superiori,
quanto più ampio è il campione di stimoli da cui
proviene lo stimolo in oggetto. Infatti attraverso
studi sperimentali si scoprì che il cervello risponde
alla quantità di informazione: maggiore è il numero
di informazioni, maggiore è lo sforzo che viene fatto
per riconoscere o ricordare lo stimolo.
La memoria

La capacità di desumere informazioni da complesse
stimolazioni non può che essere definita: oltre una certa
quantità limite, il cervello non ha più la possibilità di filtrare
le informazioni e quindi diminuisce la sua capacità di
elaborazione. Se volessimo far ascoltare dei suoni ad un
soggetto, chiedendogli di associare ad ogni suono un
numero, il soggetto ha appreso correttamente il compito
quando dimostra di saper riconoscere esattamente ogni
suono, chiamandolo col numero giusto. Con due suoni, il
compito diventa più complicato, con quattro la complessità
aumenta; fino ad arrivare a sei-sette suoni che, per via
degli errori e della confusione che ingenerano nel soggetto
sperimentale, può ritenersi la soglia massima della
capacità di elaborazione.
La memoria

Nel riconoscimento delle voci i meccanismi che entrano
in gioco sono gli stessi del riconoscimento dei suoni; ma
in questo compito il nostro cervello dimostra una abilità,
una precisione e una prontezza che sono inspiegabili
rispetto ai limiti della soglia di elaborazione dei suoni.
Siamo infatti capaci di distinguere una voce fra decine di
altre voci che abbiamo in memoria. Ma i suoni variano
solo in altezza, mentre le voci possiedono altre
caratteristiche connotative, fra cui il timbro, l'altezza, il
ritmo, ecc. Quando stimoli come questi si differenziano
in più particolari aumenta la nostra capacità di
discriminazione: in poche parole sono gli stimoli stessi a
rendersi più facilmente riconoscibili.
La memoria

Anche per il riconoscimento delle facce vale lo
stesso discorso dei suoni: se la nostra capacità di
elaborazione si limitasse solo a 2,5 bit di
informazione, potremmo riconoscere solo un
numero molto limitato di facce. Al contrario siamo
capaci di riconoscere un enorme numero di
fisionomie e questo fenomeno, secondo Miller
(1956) è estremamente adattativo anche se, in un
mondo in continua fluttuazione, sarebbe stato
meglio avere poca informazione su una grande
varietà di cose, piuttosto che avere molta
informazione su un piccolo pezzetto d'ambiente.
La memoria


Gli studi di Miller e di altri hanno importanza in
quanto hanno dimostrato che l'organismo non
risponde tanto a uno stimolo singolo definito
spazio-temporalmente, quanto allo stimolo in
comparazione con l'insieme di altri stimoli di cui fa
parte.
In poche parole si potrebbe dire che quando
riconosciamo qualcosa lo riferiamo a ciò che ci è
noto circa il suo insieme di appartenenza. In questo
senso la percezione è strettamente legata alla
memoria in quanto è solo nella memoria che si
trova la chiave interpretativa dello stimolo.
La memoria


I registri sensoriali sono un tipo particolare di memoria,
che hanno la funzione di trattenere per pochissimo
tempo, in forma non elaborata, quello che percepiamo.
Furono Sperling (1960), Averbach e Sperling (1961) i
primi a ipotizzare l'esistenza di registri sensoriali visivi.
Le ricerche di Sperling avevano l'esigenza di spiegare
perchè solo una certa quantità di items, memorizzati in
precedenza, poteva essere rievocata. Questa quantità,
che attualmente viene chiamata span di memoria
immediata, è una porzione piuttosto piccola del
materiale appreso e non dipende da fattori quali: la
presentazione del materiale, il tempo di acquisizione,
ecc.
La memoria

Nel modello desunto da Sperling (1963) sono
previsti dei meccanismi di esplorazione della
memoria iconica (Magazzino dell'Informazione
Visiva o MIV ), delle operazioni di rehearsal e un
magazzino uditivo (MIU). Tra le operazioni di
esplorazione o scansione e rehearsal interviene la
memoria cuscinetto che ha la funzione di
conservare le informazioni raccolte dalla memoria
iconica sotto forma di istruzioni motorie. In questo
modo il cuscinetto immagazzina le immagini e
fornisce al meccanismo di ripetizione le
informazioni necessarie perchè questo le traduca in
suoni.
La memoria

La figura mostra il modello
desunto da Sperling (1963) il
quale prevede i meccanismi di
esplorazione della memoria
iconica
(Magazzino
dell'Informa zione Visiva o MIV
), delle operazioni di rehearsal
e un magazzino uditivo (MIU).
Dallo
schema
si
può
estrapolare
il
fatto
che
l'informazione, prima di essere
comunicata attraverso parole o
scrittura, viene tradotta in
suoni e mantenuta attraverso il
rehearsal in un magazzino di
memoria uditiva.
suono
MIV
scansione
memoria
cuscinetto
MIU
rehearsal
traduttore
lettere
scritte
La memoria

Il processo di rehearsal in questo caso è troppo
lento per eseguire una lettura rapida delle lettere
nella memoria sensoriale. Ogni lettera infatti può
essere ripetuta mentalmente al massimo in un
terzo di secondo, per cui non è possibile leggerle
tutte prima che scompaiano dal registro
sensoriale. E' necessario a questo punto inserire
una memoria intermedia, la memoria cuscinetto,
per raccogliere le informazioni sensoriali
velocemente prima che svaniscano e per
mantenerle a disposizione per un eventuale
operazione di rehearsal.
La memoria

Uno dei problemi che ha interessato questo
studioso riguarda la natura delle informazioni che
sono depositate nel registro sensoriale visivo (o
memoria iconica secondo Neisser). Sperling fece
numerosi esperimenti attraverso i quali capì che
nella memoria iconica è depositato qualcosa di
molto simile allo stimolo, cioè viene conservato del
materiale visivo con tutti i suoi elementi di
specificità. Per esempio, in questo tipo di memoria
la "a" (Palatino, Macintosh) è diversa dalla "a"
(Chigago, Macintosh) perchè i due simboli non
sono riconosciuti come esempi della stessa classe
"A", non sono cioè categorizzati.
La memoria


Altri esperimenti confermarono a Sperling che le
informazioni iconiche hanno carattere visivo. Due
immagini fatte vedere per brevissimo tempo e in
stretta successione si confondono e, secondo
alcuni studiosi, questo è dovuto ad una
sovrapposizione materiale nei registri visivi che
genera la confusione.
Anche von Wright (1968) ipotizzò che le icone siano
materiale non categorizzato; egli utilizzò la stessa
procedura di Sperling con la sola differenza che,
insieme alle lettere (consonanti) c'erano anche dei
numeri.
La memoria

I cognitivisti, individuano l’esistenza di una
organizzazione del comportamento, configurazione
che è importante sia per il comportamento che per
la percezione. Le configurazioni che riguardano il
comportamento, però, tendono ad essere
preminentemente temporali. Quello che i cognitivisti
vogliono fornire è il mezzo attraverso il quale
elaborare una mappa della rappresentazione
cognitiva dell'appropriato schema di attività.
La memoria

I cognitivisti suppongono che in questo complesso
di schemi non siano contenute solo delle nozioni,
ma anche delle istruzioni sul modo in cui vanno
eseguite le azioni. All'origine di ogni comportamento
ci sarebbe un piano di cui il comportamento è la
realizzazione. "Un piano è ogni processo
gerarchico nell'organismo che può controllare
l'ordine in cui deve essere eseguita una sequenza
di operazioni" (Miller et al., 1960). In questa
accezione il piano non è altro che un programma
completo di operazioni, che fissa la successione di
quelle più generali così come di quelle più
specifiche.
La memoria

Miller e gli altri definiscono il piano come il sistema
di raccordo fra la rappresentazione della nostra
conoscenza, l'immagine mentale, e l'azione. Tra
immagine e piano non c'è una distinzione precisa in
quanto un piano, una volta acquisito, viene a far
parte dell'immagine; a sua volta la conoscenza
deve essere incorporata in un piano generale
altrimenti non avrebbe la possibilità di condizionare
il comportamento. La realizzazione e la creazione
di un piano avviene sempre attraverso operazioni
di confronto fra due elementi: l'unità di analisi non è
più il riflesso perchè non esistono risposte
automatiche, bensì risposte controllate.
La memoria

Per esempio se noi chiamiamo per nome una persona a
noi familiare, lo stimolo, cioè la persona, deve essere
confrontato con una qualche immagine che di costei
possediamo e, nel caso in cui questo test risulti positivo,
allo stesso stimolo si attribuirà la conferma che il nome
corrisponde alla persona fisica che conosciamo. Se il
risultato del confronto fra stimolo/persona fisica è negativo,
cioè non riconosciamo la persona, riesamineremo più in
dettaglio lo stimolo per procedere a verifiche più accurate
dei nostri ricordi. Questa successione di verifiche (tests) è
stata chiamata TOTE (test, operate, test, exit) da Miller e
collaboratori ed è da loro proposta come unità di analisi del
comportamento, in alternativa al concetto di riflesso.
La memoria

Da questa breve rassegna di indirizzi di ricerca
sulla memoria possiamo dire che la psicologia
cognitivista riunisce tutte quelle teorie della
percezione, del riconoscimento e della memoria,
fondate sull'assunto principale che fra stimolo e
risposta intervengano complesse strategie di
elaborazione dell'informazione, processo nel
quale il soggetto ha una parte attiva. Il flusso
dell'informazione passa attraverso varie fasi nelle
quali
intervengono
forme
provvisorie
di
archiviazione di dati, associate a meccanismi di
trasformazione dell'informazione stessa.
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