Elementi della psicologia cognitiva che influenzano lo Human Computer Interaction A cura di Eleonora Bilotta Indice – La percezione, l’attenzione, la memoria, il pensiero visivo – Lo sviluppo ontogenetico della percezione – Il pensiero visivo – Percezione ed attenzione – La memoria Introduzione Per più di quarant’anni il Comportamentismo ha costituito la corrente dominante della Psicologia scientifica e si è fondato esclusivamente sullo studio del comportamento osservabile, descritto e spiegato in termini di meccanismi di associazione tra stimoli e risposte. Negli gli anni Cinquanta il Comportamentismo, che fino a quel momento era stato il modello più significativo all'interno della psicologia sperimentale, entra in crisi, per diversi motivi sia di ordine teorico che metodologico. Introduzione Il modello Stimolo-Risposta (S-R) appare sempre più insufficiente nel fornire spiegazioni e giustificazioni di tutti i comportamenti umani. L'insoddisfazione si avverte in tutti gli ambiti di studio, soprattutto in quei settori quali il linguaggio, l'apprendimento, il pensiero in quanto diventa sempre più complesso spiegare questi fenomeni cognitivi in termini di associazioni tra stimolo e risposta. Nel 1960, Miller, Galanter e Pribram tentano di trovare un'unità di misura del comportamento che sia in grado di sostituire il modello classico S-R. Tale unità, TOTE, ( da TestOperate-Test-Exit ) implica già la nozione di feedback, termine con cui la cibernetica indicava il Introduzione Si sviluppò così un nuovo modo di fare psicologia detto cognitivismo, che ha rappresentato l'inevitabile sintesi delle esigenze, nate dalle innumerevoli contraddizioni e dai limiti presenti nei modelli empirici precedenti. Con il termine Cognitivismo si indica, infatti, una nuova concezione teorica della Psicologia, che focalizza l’attenzione sullo studio dei processi mentali mediatori tra stimoli e risposte e che si oppone al Comportamentismo. Vengono condotte, in questo periodo, un gran numero di ricerche. Introduzione Ulric Neisser pubblica nel 1967 "Cognitive Psycology" che diventa il manifesto della nuova scuola psicologica. L'impostazione cognitivista parte dai seguenti assunti: – 1) la psicologia ha il compito di focalizzare la sua attenzione sui processi interni dell'organismo, come mediatori tra stimoli e risposte, formulando modelli del loro funzionamento e confrontando i risultati di laboratorio con le previsioni dei modelli stessi; – 2) i processi interni, devono consistere in processi di elaborazione dell'informazione, strutturalmente equivalenti a quelli di un computer digitale; – 3) i processi di elaborazione dell' informazione consistono in processi di manipolazioni di stimoli. Introduzione Nel corso degli anni '70 si assiste alla realizzazione di sistemi esperti, il cui progetto mette i ricercatori di fronte al problema di come rappresentare la conoscenza all' interno di un "congegno artificiale" e di conseguenza nell'uomo. Da questi assunti nacque la teoria dell' Uomo Elaboratore di Informazioni, meglio conosciuta come Human Information Processing (HIP) che, basata sul presupposto che la mente sia un elaboratore di segni, andava alla ricerca di un apparato di segni in grado di eseguire i compiti e le funzioni che la mente effettua. Introduzione Tra i modelli dell'HIP, quello di di Atkinson e Shiffrin (1968) presenta i processi della memoria suddivisi in tre sottosistemi: registro sensoriale; memoria a breve termine (MBT) e memoria a lungo termine (MLT). Mentre il modello di Tulving distingue la memoria episodica e la memoria semantica e un terzo sistema, la memoria procedurale. Il modello di Craik e Lockart del 1972, introduce la nozione di profondità di elaborazione. Introduzione I cognitivisti hanno identificato i processi che riguardano l'apprendimento come una modificazione permanente delle strutture cognitive dell'individuo, spostando l'accento più sugli aspetti di rappresentazione "interna" della conoscenza, che sulla sua condotta osservabile. Di qui i successivi studi sul rinforzo, sul transfer, sull'imprinting, sul problem solving, sul biofeedback, sull'apprendimento verbale (fissazione-ripetizione). La percezione, l’attenzione, la memoria, il pensiero visivo I presupposti essenziali delle attività cognitive che vengono messe in gioco, durante l’interazione uomo-computer, attraverso le interfacce sono: – la percezione; – la memoria; – il pensiero visivo Sia che si tratti di testi scritti, di immagini e/o di suoni, attualmente presenti nelle interfacce, la percezione di tali elementi da parte dell’utente, il ricordarsi delle funzioni che essi veicolano durante lo svolgimento di un compito attraverso il calcolatore sono tutti processi fondamentali che influenzano la qualità dell’interazione. La percezione, l’attenzione, la memoria, il pensiero visivo Un'altra categoria di problemi inerenti lo studio della percezione è di tipo epistemologico e riguarda le domande che ci si pone sull'origine e la natura della conoscenza umana. Due sono le posizioni principali ed antitetiche che hanno assunto gli studiosi a questo riguardo: – Empiristi, la conoscenza cresce con l’esperienza. – Innatisti, che la conoscenza non si fonda su nessuna esperienza, bensì l’uomo ne è dotato sin dalla nascita. La percezione, l’attenzione, la memoria, il pensiero visivo La figura, a lato riportata, illustra le diverse curve possibili dello sviluppo percettivo prima che intervenga l'esperienza e i modi in cui quest'ultima può influenzare il funzionamento percettivo. Lo sviluppo ontogenetico della percezione E’ opportuno analizzare lo sviluppo ontogenetico della visione a livello percettivo e cognitivo, analizzando in particolar modo la percezione della forma, della dimensione e del colore, relativa al mondo del neonato. Gli studi evolutivi sulla percezione forniscono molte informazioni importanti sui processi che regolano la qualità, i limiti e le capacità del sistema sensoriale, il modo in cui funzionano e in cui avviene il loro primo sviluppo. Lo sviluppo ontogenetico della percezione A livello visivo il neonato umano possiede, fin dai primi giorni di vita, delle capacità geneticamente programmate di orientarsi di preferenza verso cambiamenti di intensità luminosa, di seguire con lo sguardo, per brevi periodi, un oggetto in movimento e di rispondere alla luce. Mentre la prima abilità è facilmente verificabile anche fuori da un laboratorio, la seconda è osservabile soltanto se si dispone di particolari strumenti. Lo sviluppo ontogenetico della percezione Un'altra fonte di dati molto importante che sottolinea come gli infanti riescano a percepire configurazioni globali, riguarda le ricerche condotte sull'invarianza della forma (Bornstein, 1984). Tale invarianza dipende, in ultima analisi, dal fatto che un oggetto viene percepito come sempre identico a se stesso, nonostante le variazioni che si producono nelle sue rappresentazioni sensoriali, soprattutto in presenza di variazioni nell'orientamento dell'immagine dell'oggetto nella retina del soggetto che percepisce. Lo sviluppo ontogenetico della percezione Un altro elemento importante degli oggetti è il loro colore. Il colore è un tipo di informazione fisica intellettualmente suggestiva e molto attraente dal punto di vista estetico. In ogni caso, gli stimoli che interessano il bambino sono preferibilmente complessi, con colori contrastanti, come ampie scacchiere bianche e nere, con forme ovoidali (Fantz et al., 1975). Lo sviluppo ontogenetico della percezione Pertanto, dalla descrizione dello sviluppo ontogenetico risulta che le caratteristiche percettive elementari, comuni a tutti gli esseri umani, possono essere le seguenti: a) la capacità di percepire cambiamenti di intensità luminosa, di seguire il movimento e rispondere alla luce; b) le linee curve attirano maggiormente l'attenzione; c) gli stimoli più interessanti sono preferibilmente complessi, con colori contrastanti; Lo sviluppo ontogenetico della percezione d) alcune forme sono istintivamente privilegiate, come gli occhi di forma umana; e) è più naturale la capacità di discriminare colori diversi che il loro riconoscimento; f) la percezione dello spazio è un'altra caratteristica universale; g) infine è la "costanza percettiva", acquisita successivamente, che consente il riconoscimento delle "qualità". Il pensiero visivo Tutti i processi che riguardano l’organizzazione visiva dell’informazione sono molto importanti a livello di interfacce in quanto, per poter interagire proficuamente con un computer, l’utente deve sviluppare alcune abilità visivi, sia attentive che proiettive, legate appunto alla riconoscibilità e comprensibilità organizzate nell’interfaccia. Per immaginazione mentale o immaginazione visiva intendiamo semplicemente la memoria di immagini che ci permette di ricordare la faccia di un amico o per esempio alcune strade di una città che abbiamo visitato nel passato. Il pensiero visivo Il processo immaginativo è in qualche modo simile al processo percettivo ed è legato saldamente all'attività del ricordare. E' noto, infatti come il miglior modo per ricordare due oggetti strani insieme è quello di formare una bizzarra immagine mentale che li incorpori entrambi. Per chiarire un pò le cose, un'importante distinzione da fare è quella fra sensazione e percezione. Il pensiero visivo Le sensazioni sono le esperienze mentali e rappresentano il risultato della stimolazione degli organi di senso. In molti casi, queste esperienze interne non specificano la realtà esterna: sono semplicemente dei sottoprodotti dell'attività che svolgono gli organi di senso. La percezione non dipende da queste sensazioni: si basa, invece, sull'estrazione di informazioni dall'ambiente. Il pensiero visivo Questo suggerisce che ci sono due tipi di immagini mentali: uno basato su informazioni percettive stivate e l'altro su sensazioni rinforzate. Per cui noi abbiamo la conoscenza dell'ambiente esterno (basata su informazioni stivate che specificano l'ordinamento spaziale degli oggetti e le loro proprietà e la possibilità di riesperire le nostre sensazioni senza tener conto del mondo esterno). Neisser (1982) chiama questi due tipi di esperienze interne "conoscenza spaziale" e "visione mentale". Il pensiero visivo Nel 1977 Schank, sviluppa un particolare tipo di schema detto script, tale schema rappresenta le informazioni comportamentali e non, utili per esperienze culturali che ci sono familiari, es: andare al ristorante, dal medico, prendere il treno, ecc.. Noi abbiamo imparato cosa succede, per esempio, quando andiamo al ristorante semplicemente perchè l'abbiamo fatto più volte. L'accumulo di conoscenza dell'arrangiamento spaziale di un posto familiare costituisce un genere di memoria che è nota come mappe cognitive. Il pensiero visivo E' importante notare il valore funzionale e adattativo di questo tipo di memoria: se noi sappiamo cosa accade regolarmente, possiamo anticiparlo; se sappiamo dove sono le cose, possiamo trovarle. Per riassumere, uno script è una struttura che descrive una sequenza di eventi in un contesto particolare Il pensiero visivo In ogni caso, per facilitare i processi di memorizzazione, ricordo e apprendimento il nostro cervello usa delle strategie operative, come l'associazione per contiguità, somiglianza e contrasto, la semplificazione, l'ancoraggio a immagini visuali concrete di concetti astratti. A questo proposito ci sembra importante riportare il modello dell'Human Information Processing di Norman e Bobrow (1976), in quanto tale indirizzo di ricerca qualifica l'essere umano come un soggetto (non l'unico) che opera sull'informazione che proviene dal mondo esterno decodificandola, elaborandola e codificandola a sua volta. Il pensiero visivo I componenti del modello sono i seguenti: – uno stimolo esterno al soggetto, ovvero input; – una trasduzione sensoriale – un magazzino per l'informazione sensoriale, o registro sensoriale – un riconoscimento percettivo – una memoria a breve termine – una memoria a lungo termine Il pensiero visivo Un altro settore di ricerca, che riguarda lo studio della memoria iconica, è stato attualmente abbandonato. Quest'area di studio, che è stata un argomento di punta degli anni 60/70 (Sperling, 1960), è stata anche trattata da Neisser nel suo primo libro sulla psicologia cognitiva (1967). L'indagine svolta sulla memoria iconica rappresenta una delle prime e più brillanti ricerche in cui si impiega un approccio cognitivista secondo il quale l'uomo funziona come un elaboratore di informazioni (Human Information Processing o HIP). Percezione ed attenzione La figura mostra lo schema semplificato delle principali componenti in gioco nella percezione, attenzione e memoria (Moates e Schumacher, 1983). Percezione ed attenzione Il modello mostra anche come tali componenti interagiscono reciprocamente, consentendo all'individuo di processare le informazioni provenienti dal mondo che lo circonda. Possiamo identificare almeno 6 importanti componenti nel processo delle informazioni che sono attive mentre un individuo umano osserva un oggetto: – – – – – – recettori sensoriali; registri sensoriali; memoria permanente; processi di riconoscimento di configurazioni; attenzione; memoria di servizio. Percezione ed attenzione Poiché l'ambiente può cambiare rapidamente, e dato che uno stimolo può terminare prima del completamento del processo percettivo, potremmo attenderci che l'analisi di molti stimoli termini a metà, prima che ne venga determinato il significato. Nei fatti la cosa non si verifica di frequente, in quanto noi siamo dotati di sistemi che trattengono per breve tempo una rappresentazione abbastanza completa degli stimoli, e così l'analisi percettiva può essere condotta a termine. Questi sistemi, che costituiscono i registri sensoriali, sono la seconda componente importante di processamento delle informazioni (immagini). Percezione ed attenzione Un aspetto cruciale del processamento di informazioni risiede nella capacità dell'individuo di porre in una memoria di servizio alcuni aspetti delle funzioni cognitive. Questo tipo di memoria è legata a quel che comunemente viene detto consapevolezza. L'individuo diventa così capace di controllare o modificare alcuni processamenti che stà compiendo. Questo aspetto consente anche di pianificare o di generare delle condizioni uniche di informazioni in cui non si è mai imbattuto in precedenza (Moates e Schumacher, 1983). La memoria Gli studi sulla memoria iniziano in modo sistematico e coerente soltanto all'interno della psicologia cognitivista e all'interno di teorie anche non strettamente psicologiche che hanno dato impulso a indagini sperimentali le quali hanno messo in luce aspetti sorprendenti del cervello umano, fino a quel momento insospettati. Le prove che esiste una forma di conservazione in memoria provengono da quelle ricerche sperimentali nelle quali si osserva che una quantità di materiale appreso viene rievocato in funzione del tempo trascorso dalla lettura del materiale stesso. La ritenzione di questo materiale costituisce ciò che solitamente viene denominata memoria. La memoria Lo studio del ricordo in funzione della variabile tempo ha prodotto una delle più importanti scoperte nel campo di questo settore di ricerca: la Memoria a Breve Termine o MBT. Tale idea, che esistano dei magazzini di memoria a lungo e a breve termine, era stata già avanzata da Hebb nel 1948. Si sapeva peraltro che la ritenzione diminuiva con il passare del tempo (curva dell'oblio), ma non si sapeva con esattezza quale fosse l'entità della perdita a tempi molto brevi e molto lunghi. Brown (1958), Peterson e Peterson (1959) hanno il merito di aver messo in luce l'esistenza della MBT, misurando infatti la quantità di ricordo nelle condizioni in cui è impedito al soggetto il rehearsal (particolare operazione automatica di 'fissaggio' del materiale). La memoria Il modello proposto da Waugh e Norman (1965) prevede due tipi di archivi, memoria primaria e memoria secondaria. La memoria primaria è un magazzino di capacità limitate; per cui se gli elementi da ritenere sono troppi, si supera ben presto questa capacità e si è costretti a liberare la memoria dai vecchi elementi, per far continuamente posto a quelli nuovi. Gli elementi espulsi dalla memoria vanno perduti definitivamente. L'oblio può essere contrastato se interviene il rehearsal perchè tale operazione blocca l'immissione di nuovi elementi informativi. Gli elementi ripetuti rimangono nella memoria primaria fino a che dura il rehearsal. Durante tale fase di fissazione, le informazioni passano nella memoria secondaria. La memoria La teoria dell'informazione, all'inizio degli anni Cinquanta, influenzò notevolmente gli studi sulla memoria. Secondo tale teoria, ogni stimolo che colpisce i nostri organi di senso non è altro che un complesso di informazioni. Queste informazioni sono più efficaci e quantitativamente superiori, quanto più ampio è il campione di stimoli da cui proviene lo stimolo in oggetto. Infatti attraverso studi sperimentali si scoprì che il cervello risponde alla quantità di informazione: maggiore è il numero di informazioni, maggiore è lo sforzo che viene fatto per riconoscere o ricordare lo stimolo. La memoria La capacità di desumere informazioni da complesse stimolazioni non può che essere definita: oltre una certa quantità limite, il cervello non ha più la possibilità di filtrare le informazioni e quindi diminuisce la sua capacità di elaborazione. Se volessimo far ascoltare dei suoni ad un soggetto, chiedendogli di associare ad ogni suono un numero, il soggetto ha appreso correttamente il compito quando dimostra di saper riconoscere esattamente ogni suono, chiamandolo col numero giusto. Con due suoni, il compito diventa più complicato, con quattro la complessità aumenta; fino ad arrivare a sei-sette suoni che, per via degli errori e della confusione che ingenerano nel soggetto sperimentale, può ritenersi la soglia massima della capacità di elaborazione. La memoria Nel riconoscimento delle voci i meccanismi che entrano in gioco sono gli stessi del riconoscimento dei suoni; ma in questo compito il nostro cervello dimostra una abilità, una precisione e una prontezza che sono inspiegabili rispetto ai limiti della soglia di elaborazione dei suoni. Siamo infatti capaci di distinguere una voce fra decine di altre voci che abbiamo in memoria. Ma i suoni variano solo in altezza, mentre le voci possiedono altre caratteristiche connotative, fra cui il timbro, l'altezza, il ritmo, ecc. Quando stimoli come questi si differenziano in più particolari aumenta la nostra capacità di discriminazione: in poche parole sono gli stimoli stessi a rendersi più facilmente riconoscibili. La memoria Anche per il riconoscimento delle facce vale lo stesso discorso dei suoni: se la nostra capacità di elaborazione si limitasse solo a 2,5 bit di informazione, potremmo riconoscere solo un numero molto limitato di facce. Al contrario siamo capaci di riconoscere un enorme numero di fisionomie e questo fenomeno, secondo Miller (1956) è estremamente adattativo anche se, in un mondo in continua fluttuazione, sarebbe stato meglio avere poca informazione su una grande varietà di cose, piuttosto che avere molta informazione su un piccolo pezzetto d'ambiente. La memoria Gli studi di Miller e di altri hanno importanza in quanto hanno dimostrato che l'organismo non risponde tanto a uno stimolo singolo definito spazio-temporalmente, quanto allo stimolo in comparazione con l'insieme di altri stimoli di cui fa parte. In poche parole si potrebbe dire che quando riconosciamo qualcosa lo riferiamo a ciò che ci è noto circa il suo insieme di appartenenza. In questo senso la percezione è strettamente legata alla memoria in quanto è solo nella memoria che si trova la chiave interpretativa dello stimolo. La memoria I registri sensoriali sono un tipo particolare di memoria, che hanno la funzione di trattenere per pochissimo tempo, in forma non elaborata, quello che percepiamo. Furono Sperling (1960), Averbach e Sperling (1961) i primi a ipotizzare l'esistenza di registri sensoriali visivi. Le ricerche di Sperling avevano l'esigenza di spiegare perchè solo una certa quantità di items, memorizzati in precedenza, poteva essere rievocata. Questa quantità, che attualmente viene chiamata span di memoria immediata, è una porzione piuttosto piccola del materiale appreso e non dipende da fattori quali: la presentazione del materiale, il tempo di acquisizione, ecc. La memoria Nel modello desunto da Sperling (1963) sono previsti dei meccanismi di esplorazione della memoria iconica (Magazzino dell'Informazione Visiva o MIV ), delle operazioni di rehearsal e un magazzino uditivo (MIU). Tra le operazioni di esplorazione o scansione e rehearsal interviene la memoria cuscinetto che ha la funzione di conservare le informazioni raccolte dalla memoria iconica sotto forma di istruzioni motorie. In questo modo il cuscinetto immagazzina le immagini e fornisce al meccanismo di ripetizione le informazioni necessarie perchè questo le traduca in suoni. La memoria La figura mostra il modello desunto da Sperling (1963) il quale prevede i meccanismi di esplorazione della memoria iconica (Magazzino dell'Informa zione Visiva o MIV ), delle operazioni di rehearsal e un magazzino uditivo (MIU). Dallo schema si può estrapolare il fatto che l'informazione, prima di essere comunicata attraverso parole o scrittura, viene tradotta in suoni e mantenuta attraverso il rehearsal in un magazzino di memoria uditiva. suono MIV scansione memoria cuscinetto MIU rehearsal traduttore lettere scritte La memoria Il processo di rehearsal in questo caso è troppo lento per eseguire una lettura rapida delle lettere nella memoria sensoriale. Ogni lettera infatti può essere ripetuta mentalmente al massimo in un terzo di secondo, per cui non è possibile leggerle tutte prima che scompaiano dal registro sensoriale. E' necessario a questo punto inserire una memoria intermedia, la memoria cuscinetto, per raccogliere le informazioni sensoriali velocemente prima che svaniscano e per mantenerle a disposizione per un eventuale operazione di rehearsal. La memoria Uno dei problemi che ha interessato questo studioso riguarda la natura delle informazioni che sono depositate nel registro sensoriale visivo (o memoria iconica secondo Neisser). Sperling fece numerosi esperimenti attraverso i quali capì che nella memoria iconica è depositato qualcosa di molto simile allo stimolo, cioè viene conservato del materiale visivo con tutti i suoi elementi di specificità. Per esempio, in questo tipo di memoria la "a" (Palatino, Macintosh) è diversa dalla "a" (Chigago, Macintosh) perchè i due simboli non sono riconosciuti come esempi della stessa classe "A", non sono cioè categorizzati. La memoria Altri esperimenti confermarono a Sperling che le informazioni iconiche hanno carattere visivo. Due immagini fatte vedere per brevissimo tempo e in stretta successione si confondono e, secondo alcuni studiosi, questo è dovuto ad una sovrapposizione materiale nei registri visivi che genera la confusione. Anche von Wright (1968) ipotizzò che le icone siano materiale non categorizzato; egli utilizzò la stessa procedura di Sperling con la sola differenza che, insieme alle lettere (consonanti) c'erano anche dei numeri. La memoria I cognitivisti, individuano l’esistenza di una organizzazione del comportamento, configurazione che è importante sia per il comportamento che per la percezione. Le configurazioni che riguardano il comportamento, però, tendono ad essere preminentemente temporali. Quello che i cognitivisti vogliono fornire è il mezzo attraverso il quale elaborare una mappa della rappresentazione cognitiva dell'appropriato schema di attività. La memoria I cognitivisti suppongono che in questo complesso di schemi non siano contenute solo delle nozioni, ma anche delle istruzioni sul modo in cui vanno eseguite le azioni. All'origine di ogni comportamento ci sarebbe un piano di cui il comportamento è la realizzazione. "Un piano è ogni processo gerarchico nell'organismo che può controllare l'ordine in cui deve essere eseguita una sequenza di operazioni" (Miller et al., 1960). In questa accezione il piano non è altro che un programma completo di operazioni, che fissa la successione di quelle più generali così come di quelle più specifiche. La memoria Miller e gli altri definiscono il piano come il sistema di raccordo fra la rappresentazione della nostra conoscenza, l'immagine mentale, e l'azione. Tra immagine e piano non c'è una distinzione precisa in quanto un piano, una volta acquisito, viene a far parte dell'immagine; a sua volta la conoscenza deve essere incorporata in un piano generale altrimenti non avrebbe la possibilità di condizionare il comportamento. La realizzazione e la creazione di un piano avviene sempre attraverso operazioni di confronto fra due elementi: l'unità di analisi non è più il riflesso perchè non esistono risposte automatiche, bensì risposte controllate. La memoria Per esempio se noi chiamiamo per nome una persona a noi familiare, lo stimolo, cioè la persona, deve essere confrontato con una qualche immagine che di costei possediamo e, nel caso in cui questo test risulti positivo, allo stesso stimolo si attribuirà la conferma che il nome corrisponde alla persona fisica che conosciamo. Se il risultato del confronto fra stimolo/persona fisica è negativo, cioè non riconosciamo la persona, riesamineremo più in dettaglio lo stimolo per procedere a verifiche più accurate dei nostri ricordi. Questa successione di verifiche (tests) è stata chiamata TOTE (test, operate, test, exit) da Miller e collaboratori ed è da loro proposta come unità di analisi del comportamento, in alternativa al concetto di riflesso. La memoria Da questa breve rassegna di indirizzi di ricerca sulla memoria possiamo dire che la psicologia cognitivista riunisce tutte quelle teorie della percezione, del riconoscimento e della memoria, fondate sull'assunto principale che fra stimolo e risposta intervengano complesse strategie di elaborazione dell'informazione, processo nel quale il soggetto ha una parte attiva. Il flusso dell'informazione passa attraverso varie fasi nelle quali intervengono forme provvisorie di archiviazione di dati, associate a meccanismi di trasformazione dell'informazione stessa.