Corso on-line di Psicologia
Generale
La memoria – parte seconda
Eleonora Bilotta
Dipartimento di Scienze dell’Educazione
Università della Calabria, Cosenza, Italia
[email protected]
Che cos’è la memoria? (Continua)
• Le prove che esiste una forma di conservazione in
memoria provengono da quelle ricerche sperimentali
nelle quali si osserva che una quantità di materiale
appreso viene rievocato in funzione del tempo
trascorso dalla lettura del materiale stesso.
• La ritenzione di questo materiale costituisce ciò che
solitamente viene denominata memoria.
• Infatti se osserviamo quanto viene ricordato ad
intervalli fissi di tempo, si può evidenziare il processo
di ritenzione e/o conservazione di un evento,
percepito anche una sola volta.
Che cos’è la memoria?
• Lo studio del ricordo in funzione della variabile tempo
ha prodotto una delle più importanti scoperte nel
campo di questo settore di ricerca:
– la Memoria a Breve Termine o MBT.
Hebb comincia a studiare la memoria
(Continua)
• Tale idea, che esistano dei magazzini di memoria a
lungo e a breve termine, era stata già avanzata da
Hebb nel 1948.
• Si sapeva peraltro che la ritenzione diminuiva con il
passare del tempo (curva dell’oblio), ma non si
sapeva con esattezza quale fosse l’entità della
perdita a tempi molto brevi e molto lunghi.
• Infatti se si proponeva al soggetto di ricordare del
materiale abbastanza lungo subito dopo averlo letto,
non si poteva conoscere quanto veniva perso nei
secondi che si impiegavano per ripetere, subito dopo
la lettura.
Hebb comincia a studiare la memoria
• Era necessario quindi trovare un mezzo per misurare
il ricordo senza intervalli, subito dopo la lettura.
• Ma occorreva anche impedire, perché la misura
fosse corretta, che il soggetto stesso ricorresse a
particolari operazioni automatiche di “fissaggio” del
materiale come il rehearsal, che consiste nel ripetere
mentalmente quanto si è udito.
Gli studi di Brown Peterson e
Peterson del 1959 (Continua)
• Brown (1958), Peterson e Peterson (1959) hanno il
merito di aver messo in luce l’esistenza della MBT,
misurando infatti
la quantità di ricordo nelle
condizioni in cui è impedito al soggetto il rehearsal.
• Il primo di questi studiosi sostiene che è necessario
riconoscere l’esistenza di un magazzino a breve
termine con capacità limitata e soggetto a rapido
decadimento, se non interviene il rehearsal.
Gli studi di Brown Peterson e
Peterson del 1959 (Continua)
• Quando c'è molto materiale da mandare a memoria,
sarà molto lungo anche l’intervallo di tempo che
separa l’acquisizione dal ricordo, per cui buona parte
delle tracce avrà tempo di deteriorarsi definitivamente
prima di essere rievocata.
• Il rehearsal è, secondo Brown, una forma di ricordo
che riattiva le tracce oppure provoca una
reimpressione ex novo.
• Brown sostiene ancora che il magazzino della MBT è
molto diverso da quello a lungo termine.
Gli studi di Brown Peterson e
Peterson del 1959
• Se quest’ultimo è un archivio con enormi capacità,
nel quale le informazioni vanno perse a causa di
fenomeni di interferenza, la MBT ha una capacità
molto limitata e ciò è dovuto soprattuto al fatto che le
tracce in questa memoria hanno una velocità di
decadimento molto rapida che causa l’oblio.
• Nessuna perdita di informazione della MBT poteva
essere attribuita, secondo Brown, a fenomeni di
interferenza.
Il modello di Waugh e Norman (Continua)
• Il modello proposto da Waugh e Norman nel 1965
prevede due tipi di archivi:
– memoria primaria e memoria secondaria.
• La memoria primaria è un magazzino di capacità
limitate; per cui se gli elementi da ritenere sono
troppi, si supera ben presto questa capacità e si è
costretti a liberare la memoria dai vecchi elementi,
per far continuamente posto a quelli nuovi.
• Gli elementi espulsi dalla memoria vanno perduti
definitivamente.
Il modello di Waugh e Norman
• L’oblio può essere contrastato se interviene il
rehearsal perché tale operazione blocca l’immissione
di nuovi elementi informativi.
• Gli elementi ripetuti rimangono nella memoria
primaria fino a che dura il rehearsal.
• Durante tale fase di fissazione, le informazioni
passano nella memoria secondaria.
• Non esiste di fatto un confine temporale preciso tra i
due tipi di memoria.
La teoria dell’informazione influenza
gli studi sulla memoria (Continua)
• La teoria dell’informazione, all’inizio degli anni ‘50,
influenzò notevolmente gli studi sulla memoria.
• Secondo tale teoria, ogni stimolo che colpisce i nostri
organi di senso non è altro che un complesso di
informazioni. Queste informazioni sono più efficaci e
quantitativamente superiori, quanto più ampio è il
campione di stimoli da cui proviene lo stimolo in
oggetto.
• Infatti attraverso studi sperimentali si scoprì che il
cervello risponde alla quantità di informazione:
– maggiore è il numero di informazioni, maggiore è lo sforzo
che viene fatto per riconoscere o ricordare lo stimolo.
La teoria dell’informazione influenza
gli studi sulla memoria
• Ovviamente tale capacità di desumere informazioni
da complesse stimolazioni non può che essere
definita.
• Oltre una certa quantità limite, il cervello non ha più
la possibilità di filtrare le informazioni e quindi
diminuisce la sua capacità di elaborazione. Se per
esempio volessimo fare un piccolo esperimento,
potremmo far ascoltare dei suoni ad un soggetto,
chiedendogli di associare ad ogni suono un numero.
• Il soggetto ha appreso correttamente il compito
quando di mostra di saper riconoscere esattamente
ogni suono, chiamandolo col numero giusto.
La quantità di informazione che possiamo
ritenere può essere calcolata in bit (Continua)
• Con due suoni, il compito diventa più complicato, con
quattro la complessità aumenta, ma l’apprendimento
può ancora essere positivo; fino ad arrivare a sei
suoni che, per via degli errori e della confusione che
ingenerano nel soggetto sperimentale, può ritenersi
la soglia massima della capacità di elaborazione.
• Tale quota, che corrisponde a 2,5 bit o unità di
informazione, è ovviamente soggetta ad estrema
variabilità, a seconda degli stimoli e a seconda dei
soggetti.
La quantità di informazione che possiamo
ritenere può essere calcolata in bit (Continua)
• Che il cervello sia capace di elaborare ben più che
2,5 bit di informazione lo scopriamo se si considera,
per esempio, il riconoscimento delle voci.
• I meccanismi che entrano in gioco sono gli stessi del
riconoscimento dei suoni.
• Ma in questo compito il nostro cervello dimostra una
abilità, una precisione e una prontezza che sono
inspiegabili rispetto ai limiti della soglia di
elaborazione dei suoni.
La quantità di informazione che possiamo
ritenere può essere calcolata in bit
• Siamo infatti capaci di distinguere una voce fra
decine di altre voci che abbiamo in memoria.
• Ma i suoni variano solo in altezza, mentre le voci
possiedono altre caratteristiche connotative, fra cui il
timbro, l’altezza, il ritmo.
• Quando stimoli come questi si differenziano in più
particolari aumenta la nostra capacità di
discriminazione:
– in poche parole sono gli stimoli stessi a rendersi più
facilmente riconoscibili.
Sistemi di memoria
Il riconoscimento delle facce (Continua)
• Anche per il riconoscimento delle facce vale lo stesso
discorso dei suoni. Se la nostra capacità di
elaborazione si limitasse solo a 2,5 bit di
informazione, potremmo riconoscere solo un numero
molto limitato di facce.
• Al contrario siamo capaci di riconoscere un enorme
numero di fisionomie e questo fenomeno, secondo
Miller (1956) è estremamente adattativo anche se, in
un mondo in continua fluttuazione, sarebbe stato
meglio avere poca informazione su una grande
varietà di cose, piuttosto che avere molta
informazione su un piccolo pezzetto d’ambiente.
Il riconoscimento delle facce
• Sempre secondo Miller il nostro cervello è capace di
oltrepassare il limite costituito dalla capacità di
elaborare solo 2,5 bit di informazione riorganizzando
le informazioni in entrata. Se cerchiamo di ricordare
le seguenti lettere P-A-O-L-O-M-A-R-I-A-L-I-S-A ad
una ad una, dopo un primo tentativo potremmo
ricordarne solo 5 o 6. Ma non avremo difficoltà una
volta che noi le riconoscessimo come nomi di
persona. Esiste quindi una capacità limitata della
nostra memoria. Tale capacità però può essere
migliorata
notevolmente
attraverso
una
ricodificazione delle lettere sotto forma di parole.
Sistemi di memoria
L’approccio odierno: i sistemi di
memoria (Continua)
• Un sistema di memoria è una struttura in grado di
conservare l’informazione nel tempo.
• Nella vita di ogni giorno, sii può ricorrere alla
memoria interna del soggetto o ad un tipo di memoria
esterna.
• Benché la Psicologia Cognitiva si interessi quasi
esclusivamente dei sistemi di memoria interna
dell’uomo, si può dire che i termini “codifica”,
“ritenzione” e “recupero” siano usati per descrivere
tre aspetti fondamentali dei sistemi di memoria.
L’approccio odierno: i sistemi di
memoria
• Il termine codificasi riferisce al modo in cui
l’informazione, al suo arrivo, viene immagazzinata in
un determinato sistema.
• Il termine ritenzione si riferisce al modo in cui
l’informazione viene conservata in un sistema nel
corso del tempo
• Il termine recupero si riferisce al modo in cui
l’informazione viene estratta dal sistema.
• Si usa il concetto di perdita di informazione per
riferirsi a ciò che accade quando qualcosa accade
con il processo di immagazzinamento e di
conservazione dell’informazione.
Zone cerebrali coinvolte nei processi
di memoria
La soglia limite: il magico numero
sette, più o meno due (Continua)
• Questo fenomeno ci può anche informare rispetto a
quanto riusciremo a superare la capacità limite:
– se a questo punto utilizziamo le parole come items
dell’esperimento, anche qui, dopo una prima lettura non
riusciremo a ricordarne che 5 o 6.
• Ma se, ancora una volta, possiamo fare una ricodificazione significativa, formando per esempio
delle frasi, il limite sarà di nuovo superato.
La soglia limite: il magico numero
sette, più o meno due (Continua)
• Noi abbiamo quindi la possibilità di raggruppare gli
items in unità particolari che Miller chiama chunks.
• La ri-codificazione per chunks ha una importanza
eccezionale nei processi di memoria.
• Se poi si pensa che tale procedimento si serve
soprattutto della ri-codificazione verbale, si può
concludere che l’influenza di tale fenomeno si
estende a tutte le attività cognitive, dal
riconoscimento alla soluzione dei problemi.
La soglia limite: il magico numero
sette, più o meno due
• Gli studi di Miller e di altri hanno importanza in
quanto hanno dimostrato che l’organismo non
risponde tanto a uno stimolo singolo definito spaziotemporalmente, quanto allo stimolo in comparazione
con l’insieme di altri stimoli di cui fa parte.
• In poche parole si potrebbe dire che quando
riconosciamo qualcosa lo riferiamo a ciò che ci è noto
circa il suo insieme di appartenenza.
• In questo senso la percezione è strettamente legata
alla memoria in quanto è solo nella memoria che si
trova la chiave interpretativa dello stimolo.
I registri sensoriali (Continua)
• Un tipo particolare di memoria sono i cosiddetti
registri sensoriali, che hanno la funzione di trattenere
per pochissimo tempo, in forma non elaborata, quello
che percepiamo.
• Nonostante vengano chiamate memoria, sono in
realtà forme di persistenza dello stimolo, prima che
venga analizzato.
• Furono Sperling (1960, Averbach e Corriell (1961) i
primi a ipotizzare l'esistenza di registri sensoriali
visivi.
I registri sensoriali
• Le ricerche di Sperling avevano l’esigenza di
spiegare perché solo una certa quantità di items
memorizzati in precedenza poteva essere rievocata.
• Questa quantità, che attualmente viene chiamata
span di memoria immediata, è una porzione piuttosto
piccola del materiale appreso e non dipende da
fattori quali:
– la presentazione del materiale, il tempo di acquisizione, ecc.
• L’autore ipotizzò che quello che percepiamo delle
lettere dell’alfabeto, per esempio, può essere
conservato per brevissimo tempo.
Il modello di Sperling del 1967 (Continua)
• Se in questo intervallo tutto il materiale non viene per
così dire materializzato, scritto su un foglio o tradotto
in parole, va irrimediabilmente perduto.
• Per cui lo span di memoria immediata non è altro che
il massimo di informazione recuperabile dal registro
sensoriale prima che inizi il processo di decadimento.
• Nel modello che segue, desunto da Sperling (1967)
sono previsti dei meccanismi di esplorazione della
memoria iconica (Magazzino dell’Informazione Visiva
o MIV ), delle operazioni di rehearsal e un magazzino
uditivo (MIU).
Il modello di Sperling del 1967
• Tra le operazioni di esplorazione o scansione e
rehearsal interviene la memoria cuscinetto che ha la
funzione di conservare le informazioni raccolte dalla
memoria iconica sotto forma di istruzioni motorie.
• In questo modo il cuscinetto immagazzina le
immagini e fornisce al meccanismo di ripetizione le
informazioni necessarie perché questo le traduca in
suoni.
• Qualora ciò non sia necessario, essi vengono
conservati nel magazzino uditivo. Questo a sua volta
può venire esplorato perché abbia luogo una nuova
ripetizione sub-vocalica.
Rappresentazione schematica del
modello di Sperling
suono
M IV
scansione
memoria
cuscinetto
M IU
rehearsal
traduttore
lettere
scritte
I principali tratti della memoria
Spiegazione dello schema (Continua)
• Dallo schema si può estrapolare il fatto che
l’informazione, prima di essere comunicata attraverso
parole o scrittura, viene tradotta in suoni e mantenuta
attraverso il rehearsal in un magazzino di memoria
uditiva.
• I processi che sono rappresentati graficamente prima
della memoria uditiva, sono stati inseriti da Sperling
per spiegare in che modo l’informazione sensoriale
viene tradotta in suoni.
• Il processo di rehearsal in questo caso è troppo lento
per eseguire una lettura rapida delle lettere nella
memoria sensoriale.
Spiegazione dello schema
• Ogni lettera infatti può essere ripetuta mentalmente
al massimo in un terzo di secondo, per cui non è
possibile leggerle tutte prima che scompaiano dal
registro sensoriale. E’ necessario a questo punto
inserire una memoria intermedia, la memoria
cuscinetto, per raccogliere le informazioni sensoriali
velocemente prima che svaniscano e per mantenerle
a disposizione per un eventuale operazione di
rehearsal.
• Uno dei problemi che ha interessato questo studioso
riguarda la natura delle informazioni che sono
depositate nel registro sensoriale visivo (o memoria
iconica secondo Neisser).
Esperimenti di Sperling (Continua)
• Sperling fece numerosi esperimenti attraverso i quali
capì che nella memoria iconica è depositato qualcosa
di molto simile allo stimolo, cioè viene conservato del
materiale visivo con tutti i suoi elementi di specificità.
• Per esempio, in questo tipo di memoria la “a”
(Palatino, Macintosh) e diversa dalla “a” (Chigago,
Macintosh) perché i due simboli non sono riconosciuti
come esempi della stessa classe “A”, non sono cioè
categorizzati.
• Altri esperimenti confermarono a Sperling che le
informazioni iconiche hanno carattere visivo.
Esperimenti di Sperling
• Due immagini fatte vedere per brevissimo tempo e in
stretta successione si confondono e, secondo alcuni
studiosi, questo è dovuto ad una sovrapposizione
materiale nei registri visivi che genera la confusione.
• Altri esperimenti mostrano che le icone, proprio per le
loro caratteristiche di immagini, hanno la proprietà di
integrarsi:
– se illuminiamo un disco rotante, su cui sia stato disegnato un
raggio bianco con dei flash rapidissimi, possiamo vedere un
ventaglio di raggi bianchi ruotare. Questo succede perché
l’immagine del disco in una posizione si somma, nella
memoria iconica, con l’immagine dello stesso disco
leggermente ruotato.
L’ipotesi di von Wright (Continua)
• Anche von Wright (1968) ipotizzò che le icone siano
materiale non categorizzato.
• Egli utilizzò la stessa procedura di Sperling con la
sola differenza che, insieme alle lettere (consonanti)
c’erano anche dei numeri.
• Il soggetto doveva rispondere a due segnali, uno per
le consonanti e uno per i numeri.
• Le percentuali di ricordo esatto dimostravano che il
compito era molto più difficile di quello utilizzato negli
esperimenti da Sperling.
L’ipotesi di von Wright
• Da ciò von Wright concluse che nella memoria
iconica non può essere fatta una discriminazione in
base al criterio di appartenenza categoriale
(riconsocere lettere o numeri), perché il materiale non
è stato ancora riconosciuto.
• Oltre ad un magazzino sensoriale preposto alla
conservazione delle immagini, esiste anche un altro
registro dotato delle stesse caratteristiche, che ha la
funzione di conservare per brevissimo tempo i suoni
(memoria ecoica). Dagli esperimenti effettuati risultò
comunque che la memoria ecoica ha una durata
maggiore di quella iconica.
Il cognitivismo e i modelli di memoria
(Continua)
• Una nuova interpretazione e la creazione di un
modello comportamentale antiassociazionista (la
teoria che vede il comportamento come una
sequenza di stimoli cui seguono risposte
condizionate) passa anche attraverso la definizione
di un nuovo tipo di organizzazione cognitiva, e quindi
anche attraverso un nuovo modello di acquisizione di
dati e di memoria.
• Miller, Galanter e Pibram, nel 1960 pubblicano il libro
“Piani e struttura del comportamento”, considerato
generalmente
il
manifesto
della
psicologia
cognitivista.
Il cognitivismo e i modelli di memoria
• In tale opera, attraverso l’utilizzo di strumenti
concettuali, desunti dagli studi di simulazione di
comportamenti biologici su calcolatore, si sostiene
che il comportamento, o come dicono, “tutte le
correlazioni fra stimolo e risposta devono essere
mediate da una rappresentazione organizzata
dell’ambiente che è costituita da un sistema di
concetti e relazioni entro cui l’organismo si colloca”
(Miller et alt, 1960). Già alcune ipotesi precise
sull’importanza della rappresentazione interna si
trovano negli scritti dei gestaltisti, fra cui Koehler, e in
Tolman, anche se non viene mai chiarito il modo in
cui l’azione viene diretta da questa organizzazione
cognitiva.
Gli schemi di comportamento (Continua)
• I cognitivisti, infatti, individuano il fatto che esiste una
organizzazione del comportamento, configurazione
che è importante sia per il comportamento che per la
percezione. Le configurazioni che riguardano il
comportamento,
però,
tendono
ad
essere
preminentemente temporali. Quello che i cognitivisti
vogliono fornire è il mezzo attraverso il quale
elaborare una mappa della rappresentazione
cognitiva dell'appropriato schema di attività.
• Individuare uno schema alla base del comportamento
non è facile in quanto non si riesce a definire le unità
minimali ultime del comportamento.
Gli schemi di comportamento
• In ogni comportamento possiamo individuare unità
specifiche e altre più generali.
• “Uscire di casa” è una unità che può essere
ricondotta a unità di comportamento più generali
(“Fare un viaggio”) o più specifiche (“Aprire la porta”).
• A sua volta, ognuna di queste unità ha delle
sottounità.
• Se si eseguono tutte le possibili scomposizioni si
arriva ad un comportamento ridottto a un complesso
di unità organizzate gerarchicamente, a seconda
della loro complessità.
Come si legano gli schemi con la
memoria? (Continua)
• Tutto questo discorso, come si lega con la
successione
delle
azioni
guidata
da
un’organizzazione cognitiva?
• I cognitivisti suppongono che in questo complesso di
schemi non siano contenute solo delle nozioni, ma
anche delle istruzioni sul modo in cui vanno eseguite
le azioni.
• All’origine di ogni comportamento ci sarebbe un
piano di cui il comportamento è la realizzazione. “Un
piano è ogni processo gerarchico nell’organismo che
può controllare l'ordine in cui deve essere eseguita
una sequenza di operazioni” (Miller et alt, 1960).
Come si legano gli schemi con la
memoria?
• In questa accezione il piano non è altro che un
programma completo di operazioni, che fissa la
successione di quelle più generali così come di
quelle più specifiche.
• Secondo questi studiosi, ogni comportamento è
scomponibile in unità più semplici, per cui, se
vengono eseguite tutte le possibili scomposizioni, si
avrà lo stesso comportamento , ridotto alla sua forma
essenziale, cioé un complesso di unità organizzate
gerarchicamente a seconda della loro complessità.
Tecniche di memorizzazione
attraverso la distintività contestuale
Il piano come raccordo fra la rappresentazione
della conoscenza, l’immagine mentale e
l’azione (Continua)
• Inoltre è necessario, perché l’analisi sia efficace, che
sia attuata a tutti i livelli gerarchici simultaneamente,
altrimenti andrebbero perse le proprietà configurative
del comportamento stesso.
• L’esecuzione di un piano può anche non essere una
azione vera e propria (lettura silenziosa), ma anche
operazioni di raccolta e trasformazione di
informazione, cioè tutte le attività cognitive in
generale.
• Miller e gli altri definiscono il piano come il sistema di
raccordo fra la rappresentazione della nostra
conoscenza, l’immagine mentale, e l’azione.
Il piano come raccordo fra la rappresentazione
della conoscenza, l’immagine mentale e
l’azione
• Tra immagine e piano non c'è una distinzione precisa
in quanto un piano, una volta acquisito, viene a far
parte dell’immagine; a sua volta la conoscenza deve
essere incorporata in un piano generale altrimenti
non avrebbe la possibilità di condizionare il
comportamento. La realizzazione e la creazione di un
piano avviene sempre attraverso
operazioni di
confronto fra due elementi:
– l’unità di analisi non è più il riflesso perché non esistono
risposte automatiche, bensì risposte controllate.
• Parlando di controllo i cognitivisti si riferiscono
sempre ad un confronto fra la situazione percepita e
la situazione rappresentata.
Le verifiche del comportamento
(Continua)
• Per esempio se noi chiamiamo per nome una
persona a noi familiare, lo stimolo, cioè la persona,
deve essere confrontato con una qualche immagine
che di costei possediamo e, nel caso in cui questo
test risulti positivo, allo stesso stimolo si attribuirà la
conferma che il nome corrisponde alla persona fisica
che conosciamo.
• Se il risultato del confronto fra stimolo/persona fisica
è negativo, cioè non riconosciamo la persona,
riesamineremo più in dettaglio lo stimolo per
procedere a verifiche più accurate dei nostri ricordi.
Fine della seconda parte
• La prossima lezione riguarderà la terza parte
della memoria