Sociologia della malattia Antonio Maturo Cap. 2 par.4-6 Malattia come iatrogenesi • «La corporazione medica è diventata una grande minaccia per la salute. L’effetto inabilitante prodotto dalla gestione professionale della medicina ha raggiunto le dimensioni di un’epidemia. Il nome di questa nuova epidemia, iatrogenesi, viene da iatros, l’equivalente greco di ‘medico’, e genesis, che vuol dire ‘origine’» [Illich 1991: 11]. Malattia come iatrogenesi • • • iatrogenesi clinica; iatrogenesi sociale; iatrogenesi culturale. Iatrogenesi clinica. • «l’intervento specificatamente medico non appare mai collegato in maniera significativa a un calo della morbosità globale o ad un aumento della speranza di vita» [1991: 24]. Al contrario, sono proprio gli interventi medici, i farmaci e le ospedalizzazioni a produrre, come effetti collaterali, una moltitudine di patologie e danni alle persone. • (“effetto-nocebo”) malpratice • i farmaci inducono nell’organismo a produrre specie batteriche farmacoresistenti; Iatrogenesi sociale. • Iatrogenesi sociale. • i guasti prodotti nella salute delle persone dalla particolare organizzazione sociale della medicina. Non si tratta, quindi, di danni direttamente provocati da medici, farmaci e terapie, ma di danni indirettamente causati dalla burocrazia sanitaria, dalla induzione di nuovi bisogni, dall’etichettamento e classificazione delle persone attuate dall’organizzazione sanitaria. • Insomma, è la medicalizzazione della vita: Iatrogenesi culturale • il sistema della medicina ha espropriato l’uomo della possibilità di dare significati al dolore: «Il dolore diventa oggetto di controlli da parte del medico anziché occasione per chi lo soffre di vivere responsabilmente la propria esperienza. È la professione a decidere quali sono i dolori autentici, quali hanno una base somatica e quali una psichica, quali sono quelli immaginari e quelli simulati. La società riconosce questa valutazione professionale e vi si attiene» • La malattia è un’invenzione creata per non mettere in dubbio la legittimità dell’ordine sociale. • molte malattie sono l’effetto di un ordine sociale oppressivo: «gli uomini si ribellerebbero se la medicina non spiegasse il loro scombussolamento biologico come un difetto della loro salute, invece che come un difetto del modo di vivere che viene loro imposto o che essi impongono a se stessi» [1991: 170]. • La malattia, e non più l’uomo, diviene il centro del sistema medico. • L’uomo diviene un paziente che delega ad altri (al medico, anzi al sistema sanitario, anzi alle macchine) la lotta contro la morte (sempre che di lotta si tratti). • L’uomo quindi non c’entra più con la sua morte: se muore, possiamo dare la “colpa” a qualcun altro. Paradossalmente, la morte viene espropriata dall’uomo per essere riconsegnata alla religione. • Ma si tratta di una religione sui generis: «Con la medicalizzazione della morte l’assistenza sanitaria è diventata una religione mondiale monolitica» Il modello co-relazionale • Il modello co-relazionale (o correlazionale) della sociologia della salute è stato proposto da Giarelli [1998; 2000] e Cipolla [2002b] attraverso l’applicazione del paradigma co-relazionale di Cipolla [1997] alla matrice di concetti di sociologia della salute presentata da Ardigò [1998]. • La matrice di Ardigò è formata da quattro concetti e dalle loro interrelazioni. I concetti sono: natura esterna, sistema sociale, soggetto e natura interna delle persone. • • Per natura esterna «generatrice sia di agenti patogeni per la salute sia di risorse per la cura», Ardigò [1997: 92] intende l’ambiente fisico in genere e «i viventi non umani». Per sistema sociale, Ardigò intende «ogni rete comunicativa selettiva durevole tra individui, istituzioni e ruoli sociali, col supporto di valori e linguaggi praticati, come di norme riconosciute, entro culture socialmente condivise» [ivi]. • La persona è, invece, allo stesso tempo “ego”, centro di intenzionalità, e “social self” ovvero identità eterocostruita. Tuttavia, a questo polo, Ardigò associa anche le trame relazionali che costituiscono il mondo della vita «perciò intendiamo assumere il terzo polo del quadrilatero – ego/social self in relazioni di mondo vitale quotidiano – come il polo dell’identità personale situata» [ibidem: 93]. • La natura interna corrisponde invece al corpo umano «considerato sia come base biologica (a partire dal patrimonio genetico umano), sia come entità psicosomatica», non dimenticando che «le attività neurobiologiche del corpo vivente sono solo in parte soggette al controllo intenzionale del soggetto come mente» [ivi].